Interni Panorama 67

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IL MaGazine DeL DesiGn N. 67 – 12 APrIle 2012 Numero speciale per i lettori di

milano. dire, fare, guardare…

design week, isaloni, fuorisalone

legacy

l’eredità del presente. installazioni, architettura e cultura

incontro

roberto e renato minotti

TecH-TraDiTionDesiGn c_IP67_CoverMinotti_c.indd 1

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indice

12 aprile 2012

INterNIPANoramaNEws 17

c’è fermento

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fuoriSalone

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appuntINterNIPANorama 31

milano da guardare

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che città!

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500 eventi ci a spet tano NELLA SETTIMANA MILANESE DEL DESIGN. cibo & fil osofia LA CUCINA DIVENTA ITINERANTE vint age contemporane o zona Venezia: modernariato, creatività, riciclo. tre signore per un “garage” extra cit tà laboratori progettuali e mostre di ricerca, le nuove leve del design funny DESIGN VARIOPINTO E MORBIDO CHE PORTA IL BUONUMORE archi-shoo ting in mostra alla Triennale di Milano, future roots, una raccolta fotografica di architetti e designer

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al l ’ombra del la madonnina amata? Odiata? Milano in questo periodo piace a tutti il chi e il do ve del la set timana ful l y booked il popolo del design sceglie così make it yourself i creativi sulla scena milanese ci svelano il mondo della fabbricazione digitale visioni, scomme sse , ut opie pionieri ieri e protagonisti oggi: imprenditori, architetti, galleristi, designer e art director ci raccontano la loro Milano proibit o manc are i giovani designer arrivano per esporre o annusare l’aria che tira e... portano idee

materiali bent orna t o le gno superstar tra salone e fuoriSalone. progetti, oggetti e divertissement da scoprire

tendenze

s-f orma ti ad ar te i nuovi imbottiti “cicciotti”: grande volume, grande comfort

archimaison

nel palazz o di valentino progettato da david chipperfield, il nuovo negozio romano della maison

IdeeINterNIPANorama

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il design è senza tempo

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panorama degli arredi

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il senso del bel l o incontra quel l o del f are arredi di stagione all’ombra dell’accademia di brera happ y preview! colore, colore, colore. È questa la risposta anticrisi:una casa tonica ed energetica

panorama degli interni

vint age d ’aut ore un’abitazione che unisce la storia privata e professionale di una famiglia milanese. unico imperativo: “no black” tre amici e il genius l oci tanto basta per reinterpretare con arte un appartamento inizi Novecento

cover story

te ch- traditionde sign roberto e renato minotti raccontano la loro storia e i loro progetti

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rubrINterNIPANorama

scusi, dove trovo...?

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lifestyle

sarai sempre con me i taccuini diventano veri e propri atout per un preciso stile di vita 110 ri-us ami case history. il successo di un brand di abbigliamento. Location? una lavanderia 112 hip, hip, grea t tutto è grande a londra!. locali cool nuovi e rinnovati in vista del più grande cimento sportivo

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aziende young

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aziende cult

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nuo ve re gole daniele lago, imprenditore trentenne, punta sui giovani e sulla comunicazione re -genera tion giuliano mosconi, presidente di tecno, racconta i prodotti, i designer, la qualità made in Italy

aziende/change

se dè cor f a rima con sogno da ipe cavalli a visionnaire, come un mondo da favola diventa concreto

anniversari

from a vant -garde t o icon royal oak di audemars piguet festeggia 40 anni con una mostra itinerante che coinvolge design e fotografia

produzione

10 nuo vi mus t per il bagno che si trasforma

136 po t-pourri un ambiente relax per tutti i gusti 138 real cooking proposte per cucinare in ambienti rigorosamente design oriented

144 col lezione de cora ta d a romero brit

del flagship store milanese di coin

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INterNIPANoramaLeGacY

valore vo cercando, ch’è sì caro mostre

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energie crea tive riccardo dalisi e il senso della vita. Dai vicoli di Napoli alla triennale di Milano

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cinema a simple l eventi

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indirizzi

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t o per i 50 anni

ove l’amore che si trasmette come un virus benefico

le ga cyland la vera vittoria delle olimpiadi di Londra sarà l’eredità duratura che lasceranno 162 interni le ga cy architetti e designer internazionali alla mostra evento alla statale di Milano

Direttore responsabile GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it Art-director Christoph Radl christoph.radl@radl.it Caporedattore centrale Simonetta Fiorio simonetta.fiorio@mondadori.it A cura di Patrizia Catalano interniv@mondadori.it Hanno collaborato Assunta Corigliano Olivia Cremascoli Valentina Croci Ali Filippini Claudia Foresti Luna Fumagalli Antonella Galli Daniela Greco Rosa Tessa Henry Thoreau Federico Villa Grafica Elena Mariani internie@mondadori.it Elena Michelini imkt2@mondadori.it

Sistema di sedute Allen, design Rodolfo Dordoni per Mino t ti . appartiene alla collezione Design Identity del 2011. Nel riquadro, i fratelli Minotti, Roberto e Renato.

Il prossimo

Interni Panorama uscirà il 13 settembre 2012

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NUMERO SPECIALE DI

per i lettori di Anno 16° n. 67 allegato a Panorama n. 17 del 18 aprile 2012

ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE-MILANO INTERNI La rivista dell’arredamento via D. Trentacoste 7 20134 Milano tel. 02.215631- 20 linee r.a. telefax 02.26410847 www.mondadori.com/interni www.internimagazine.com Pubblicità Mondadori Pubblicità 20090 Segrate - Milano Tel. +39 02 7542 2203 Fax +39 02 7542 3641 Coordinamento Silvia Bianchi silvia.bianchi@mondadori.it www.mondadoripubblicita.com

Segreteria di redazione Stampato da Alessandra Fossati - responsabile Adalisa Uboldi - assistente del direttore Mondadori Printing S.p.A., via Luigi e Pietro Pozzoni 11 Cisano Bergamasco (Bergamo) Stabilimento di Verona aprile 2012 © Copyright 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.- Milano Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono

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C’è Fermento “Still & Sparkling” è il titolo della mostrainstallazione di Nendo, invitato come special guest da Super studio Più . È il primo lavoro in vetro dello studio giapponese in collaborazione con l’azienda boema Lasvit .

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MILANO si prepara alla grande kermesse che l’ha resa celebre in tutto il mondo. Salone e FuoriSalone, cinquecento appuntamenti tra mostre, eventi, performance, stage. Tutto sotto il segno del mobile.

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FUORISALONE

Vitaminici i numeri che accompagnano la settimana del design milanese. In controtendenza rispetto al trend economico recessivo dello stivale, confermano la leadership mondiale della manifestazione. Sopra. un’immagine della mostra “Homines Energetici” Italo Rota interpreta inediti progetti sui temi dell’energia e del territorio alla Triennale . a destra. l’installazione “libro cielo” uno degli eventi de I Sal oni in ci ttà, ospitata nella Pina co teca Ambro siana . A lato, due installazioni del Temporar y Mu seum for N ew De sign che quest’anno amplia l’esposizione, con il Su per stu dio di via Forcella.

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500 eventi ci aspettano

di Rosa Tessa

Per i Saloni che aprono le porte al pubblico martedì 17 aprile e le chiudono domenica 22 sono attesi oltre 300 mila visitatori, vengono occupati 209 mila metri quadrati di superficie espositiva e a fare registrare il tutto esaurito sono 2500 espositori. Credenziali che riconfermano la manifestazione fieristica italiana dell’arredo come riferimento internazionale del settore e il capoluogo lombardo come capitale mondiale del design. Al Salone del Mobile, del complemento d’arredo e al Salone Satellite quest’anno si affiancheranno le due biennali dedicate al bagno e alla cucina. Quest’ultima sarà accompagnata da Technology for the Kitchen, la proposta dedicata all’innovazione tecnologica degli elettrodomestici da incasso e alle cappe d’arredo. E, fra gli espositori de I Saloni non espongono solo gli specialisti dell’arredo ma marchi che hanno le radici in altri settori come Bang & Olufsen che sarà presente con uno stand tutto dedicato

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all’inspirational living. Due gli eventi Cosmit in città dedicati alla cultura dell’abitare: al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano andrà in scena Design Dance, progetto di Michela Marelli e Francesca Molteni che, insieme ad attori e ballerini fa danzare i lavori dei protagonisti della storia del design; nella Pinacoteca Ambrosiana viene ospitata l’installazione libro cielo ideata da Attilio Stocchi, un omaggio multimediale al cuore romano della città meneghina. Altrettanto ragguardevoli i numeri del FuoriSalone con oltre 500 eventi in giro per la città suddivisi in zone che sono ormai diventati veri e propri distretti del design, ognuno con un identikit ben definito. In Zona Tortona diventa sempre più grande il Temporary Museum For New Design che, al suo quarto anno di vita, aggiunge al Superstudio Più lo spazio del Superstudio 13 di via Forcella. Il progetto di Gisella Borioli con la direzione artistica di Giulio Cappellini prevede una trentina di mostre con presentazioni firmate dai grandi nomi del design e nel basement dell’edificio presenta una novantina di nuovi nomi. Filo conduttore di quest’anno è il design raccontato dalle parole, dagli aforismi e dal lettering che esprimono il pensiero di grandi architetti e intellettuali. In Triennale il programma è fitto. Sono 16 le mostre che si svolgeranno in occasione della Design week, da Roberto Giacomucci. Il piccolo designer, a cura di Marco Ferreri a Objet Coloré, una mostra realizzata da Fabrica, fino alle collettive dedicate a Belgio e Finlandia. In centro, nel quadrilatero del lusso, numerose le installazioni animano le vetrine della moda. Dagli oggetti pop di Frankie & Morello che quest’anno presentano The Octopus Chair, un lavoro di Máximo Riera alle novità di Hermès che presenta, in via San Carpoforo 9, un sistema modulare per creare pannellature decorative, Module H, disegnato da Shigeru Ban. A ospitare collezioni di design a tiratura limitata non sono solo le gallerie, ma negozi, come il monomarca dell’argentiere Giovanni Raspini che ospita otto artisti con opere editate da Otto, la galleria di Olivia Toscani Rucellai di Firenze. Anche la fotografia dà il meglio di sé, con grandi interpreti come Steve McCurry, il fotoreporter statunitense di fama mondiale, di cui verranno presentati scatti inediti legati a “Take your Time” una settimana ricca di appuntamenti e con esponenti di fama internazionale, legati alla promozione della cultura, all’arte e al design della regione Umbria in via Bigli all’11. Per info: www.internimagazine.it, sezione guide.

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In alto, le nuove carte da parati Hermè s . A lato, The Octopus Chair, lavoro di Máximo Riera ospitato dal marchio di moda Frankie & Morel l o . A destra, Olivia Toscani Rucellai che, nel monomarca dell’argentiere Giovanni Raspini presenterà otto artisti con opere editate da Ot t o , la sua galleria fiorentina. Sotto, Steve McCurr y, famoso fotoreporter statunitense, presente con alcuni scatti a “Take your Time” la settimana della promozione della cultura della R egione Umbria .

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FUORISALONE

La cucina diventa itinerante, le cascine portano i loro prodotti per strada, Il design e il cibo sperimentano nuove forme di convivialità e di pensiero.

Quale scusa migliore del design per ritrovare il gusto della convivialità? Di tavolate, banchetti e cibo è davvero fitta l’agenda del FuoriSalone. Ogni evento è un’occasione per riscoprire valori dimenticati legati alla ritualità del cibo, alla bontà delle materie prime, al fascino dei posti,

CIBO & filosofia

Titta, cuoca pugliese durante il Fuorisalone cucina per gli ospiti dell’agenzia fbr che, riuniti intorno a un grande tavolo disegnato da de lucchi per riv a 1920, dibatteranno su temi come ecologia arte e design. (nell’immagine la tavola dello scorso anno). Sopra Radicetonda, ristorante vegano dove, durante il Salone, si può scegliere tra circa 240 zuppe.

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di Rosa Tessa

alla chiacchiera e all’incontro intorno a un buon piatto. Francesca Ballini Richards, (responsabile agenzia FBR) istituzionalizza “a casa” l’iniziativa che, lanciata lo scorso anno, invita giornalisti, designer e addetti ai lavori a una pausa di relax: dei pranzi a tema in cui si dibatte di arte, design,

green e altro. Ferma le attività consuete del suo studio per una settimana, allestisce la stanza centrale con il grande tavolo Colino di Michele De Lucchi per Riva 1920 e, dietro i fornelli, mette Titta, cuoca pugliese con cucina itinerante. Si torna per strada, invece, con il progetto di accoglienza Farmer’s Street Food organizzato da Tortona Area Lab e CIA (Confederazione Italiana Agricoltori). Il concept prevede l’allestimento di una serie di punti di ristoro lungo via Tortona, dove si potranno gustare piatti preparati con i prodotti delle migliori cascine lombarde. Un’iniziativa garantita anche dalla presenza di un team di notissimi chef, coordinati da Cesare Battisti del ristorante Ratanà. Lo stesso tema – le materie prime reinventate da chef creativi – è centrale in “Un posto a Milano”, il ristorante che apre a Cascina Cuccagna e che fa capo a Esterni. Lago, invece, nell’ambito del progetto degli “appartamenti Lago” e nello specifico in quello milanese di via Brera 30, ha ingaggiato Charlotte Guarlaschelli, editor in chief di Essen, nota rivista gourmet, che coordinerà un gruppo di chef che faranno performance intorno al cibo e al design. Sono solo alcuni esempi, per spiegare come il food design rimanga centrale nel FuoriSalone insieme all’itinerario di ristoranti consolidati a cui i frequentatori del Salone “non si abituano mai” come dichiara l’ideatore di eventi e installazioni Felice Limosani parlando della trattoria Bebel o come suggerisce il progettista di giardini e terrazze Stefano Baccari parlando del suo ristorante preferito U barba.

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FUORISALONE Si chiama Garage perché occupa un’ex officina in via Maiocchi, zona Porta Venezia che – occhio – sta diventando uno dei poli più vivaci in città. Ben millecinquecento metri quadrati, dedicati al modernariato mixato a proposte sul design contemporaneo. Tre donne, Alba Maria Pattori, collezionista e artefice del progetto, più due curatrici, nell’ordine, Paola Gaggiotti artista e ideatrice di Alterarte, laboratorio dedicato alla diffusione dell’arte contemporanea e Nelsy Leidi, organizzatrice di eventi tra Londra e l’Italia. Visitiamo lo spazio quando è ancora un cantiere. Indubbiamente notevole: “Accidenti, ce la farete a essere pronte per il Salone?” Rispondono convinte: “Certo che sì! È il momento topico per Milano dobbiamo esserci per raccontare il nostro progetto”. Che sarebbe? “Un crossing tra modernariato, design e arte contemporanea, in breve le nostre esperienze in salsa fusion”. Fantastico, non temete la crisi? “Come tutti, ma è più forte la voglia di mettersi in gioco – un gioco al femminile – e

si sa, quando le donne si mettono in testa una cosa...”. Piatto forte? “Garage è un indirizzo a cavallo tra la galleria e il negozio. La creatività non si esprimerà soltanto nella produzione di nuovi oggetti ma anche attraverso la possibilità di ripensarli, come ben evidenzia la selezione della prima mostra che faremo durante il FuoriSalone, Revival: gli artisti coinvolti lavoreranno su pezzi reinterpretati e anche su oggetti rigenerati”. Della serie, evviva! Non si butta via più niente.

vintage contemporaneoAprire un nuovo spazio di Daniela Greco

di 1.500 metri quadrati in tempi di crisi? Scelta temeraria di tre signore che hanno le idee molto chiare.

IN ALTO.Uno degli ingressi di Gara ge, il nuovo indirizzo che apre in via maiocchi e si propone di mettere in pista modernariato, design di ricerca, con un occhio al riciclo dei materiali, e arte contemporanea. Qui sopra. dettaglio dello spazio e a lato la sedia in pallett di legno di studiomama, nina tolstrup. in alto due sgabelli pallett stools sempre di studiomama.

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FUORISALONE

alcuni dei designer partecipanti alla mostra collettiva (nonaspettare.archivioasacchi.it) presso l’Archivio S acchi in cui, foto sotto, sono allestiti permanentemente modelli e strumenti del noto modellista. In basso il teatro d’ombre dell’installazione Shadow Play di Hans-Peter Feldmann all’Ha ng ar Bicocc a (hangarbicocca.org).

Durante la design week, dal 17 al 21 aprile, quaranta emergenti allestiranno negli spazi dell’Archivio Sacchi (che accolgono una parte della collezione del grande modellista del design italiano, compresi macchinari e cimeli provenienti dalla storica bottega milanese) i loro prototipi in cerca di produzione. La selezione comprende concept diversi che vanno da avveniristici robot low cost per terreni minati a prototipi di velivoli a basso impatto ambientale, fino a sperimentazioni sul textile. Il titolo è azzeccato: “Non aspettare di diventar vecchio per finire in un archivio” e in concomitanza si terranno due laboratori, uno dedicato alla decorazione ceramica a cura di Segno Italiano, con la manifattura veneta Ceramica d’Este; l’altro in collaborazione con l’Officina tipografica Novepunti dedicato alla stampa a caratteri mobili (dal 24 aprile, la mostra I panni sporchi si lavano in famiglia – a cura di Magut Design – ne presenterà gli esiti). A poca distanza, HangarBicocca riapre le porte, dopo una temporanea sospensione delle attività, con spazi rinnovati, una nuova immagine e due originali progetti espositivi: NON NON NON, la prima retrospettiva degli artisti Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, e una inedita versione dell’installazione Shadow Play di Hans-Peter Feldmann, artista tedesco tra i più accreditati al mondo. I quindicimila metri quadrati, ora a ingresso gratuito, che ospitano già le installazioni permanenti di Anselm Kiefer e di Fausto Melotti, offriranno aree più funzionali per le attività espositive e culturali: dal nuovo spazio dedicato ai bambini alla parete multimediale interattiva, dall’area polifunzionale per workshop e conferenze al rinnovato ristorantecaffetteria.

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Ai margini della città laboratori progettuali e mostre di ricerca: Le nuove leve del design all’Archivio Sacchi e i linguaggi visivi del contemporaneo all’Hangar Bicocca. di Ali Filippini

extracittà

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FUORISALONE Le nuove proposte sono colorate e gioiose, ognuna di loro con una storia da raccontare. La collezione in edizione limitata Happy Pills, ideata da +Fabio Novembre per Venini, è composta da cinque oggetti che traggono ispirazione dal mondo chimico-farmaceutico. Viene realizzata con la complessa tecnica dell’Incalmo che consiste nella lavorazione separata dalla parti superiore e inferiore dell’oggetto, che vengono poi unite a caldo da mastri vetrai. Collector’s cabinet è un progetto di Maurizio Galante + Tal Lancman per il Centre Pompidou di Parigi, sviluppato e realizzato da Cerruti Baleri. Al suo interno ospita una collezione di manga giapponesi prodotti tra il 1960 e il 2011. La poltrona Ale di Alessandro Ciffo fa parte della collezione Iperbolica: 11 pezzi unici dedicati a grandi maestri dell’arte dei quali solo il nome è rivelato, ma che si svelano attraverso l’elemento cromatico che li contraddistingue. L’autore si ritrae ironicamente proprio nella forma della poltrona Ale. Infine, il classico motivo Barocco, simbolo iconico della Maison Versace, diventa tridimensionale e si materializza nelle linee sinuose della dormeuse Wave che si presenta con un rivestimento in velluto blu elettrico o verde acido.

Funny di Claudia Foresti

Design variopinto e ‘morbido’ che porta una sferzata di buonumore. Come le Happy Pills di venini, il placebo muranese che, con forma e colori, vuole sostituirsi a soluzioni farmacologiche.

Collector’s cabinet progettato da Maurizio Galante + Tal Lancman e realizzato da Cerruti B aleri . Poltrona Ale in silicone autoprodotta da Ale ssandro Ciffo . Dormeuse Wave di Versa ce Home . collezione Happy Pills, design Fabio Novembre per Venini .

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FUORISALONE Gli architetti, si sa, hanno un ego ipertrofico, per cui, quando li metti davanti a una macchina fotografica assumono pose da divetta del cinema muto: photo opportunity. Un po’ megalomani lo sono e, in fondo, forse è giusto: chi disegna e organizza il nostro esoscheletro, non può avere una piccola concezione di sé. Che riesca bene o meno, gli affidiamo un compito importante. E lui se ne fa carico. “Future roots”, raccoglie 56 fotografie, di altrettanti celebri professionisti, con l’ambizione di illuminare la visione del futuro attraverso valori e tradizioni del passato. Forse perché promosso da Hogan, azienda calzaturiera, che immagina un ponte tra ieri e domani, tra piedi piantati in terra e ali nel cielo. I Grandi Architetti sono ritratti in ambienti che essi stessi hanno scelto, ma tutti rigorosamente indossano scarpe Hogan. In alcuni casi, gli scatti sono molto divertenti: De Lucchi, che guarda in tralice sopra gli occhialetti, ma mostra vezzoso – con molta nonchalance – la zampetta coperta di nuove babbucce. Poi Mario Cucinella che imponente svetta come torre sulle sue architetture. O Giulio Cappellini e Firouz Galdo:“I’m singing in the rain”. Barbara Pistilli, piccola silhouette, attraversa l’architettura stringendo per mano il suo futuro, ancor più piccolo, ma così luminoso ed evidente. E Benedetta Tagliabue che, invece, tra futuro e passato saltella leggera con le scarpe in mano. Ancora, Marcel Wanders, che sta al gioco e, di nero vestito con aria luciferina, le scarpe le vuole proprio tutte. La galleria

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Archi-shooting

di Alessandro Bini

Future Roots, una raccolta di 56 fotografie di architetti e designer, voluta da Hogan, per celebrare la visione di un futuro che trova radici nei valori del passato.

di ritratti (curata da Donatella Sartorio, con foto scattate da Ornella Sancassani) che compongono il progetto Hogan “Future roots” sarà in mostra alla Triennale di Milano, dal 17 al 22 aprile, nel corso della Design week 2012. In questa occasione verrà presentato il libro raccolta, edito da Skira.

Ornella Sancassani è l’autrice delle foto degli architetti riprodotte in questa pagina. L’allestimento della mostra Future Roots. Alla triennale di Milano dal 17 al 22 aprile.

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appuntINterNIPANorama i giovani artigiani che si autoproducono e gli imprenditori che hanno fatto sistema, gli architetti che hanno firmato grandi progetti e i galleristi che hanno voglia di fare cultura. la cittĂ operosa di borromeiana memoria ha ancora molto da raccontare.

Milano da guardare

una sedia icona del design che omaggia il capoluogo lombardo: si chiama appunto Milano disegnata dall’architetto aldo rossi nel 1987.

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All’ombra della Madonnina di Patrizia Catalano

Breve e giocoso decalogo degli oggetti che portano nomi legati a Milano, città più amata di quanto non si dica. perlomeno dai designer.

2. Teatro Alla Scala

1. Accademia Brera

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ieci pezzi che omaggiano la città di Milano, un gioco divertente (non esaustivo) per mettere in evidenza quanto il design sia in feeling con questa città. Ma c’è un altro gioco che purtroppo amano fare i milanesi: denigrare la propria città. E si stupiscono di quando un romano ci si trasferisce e dichiara apertis verbis di starci benissimo. E lo può fare anche un nord europeo o un americano. Non tutti ovviamente, ma molti. A quel punto il milanese se interrogato, snocciola gli interminabili difetti della città: parte con la solita questione dell’aria insana, passa allo stress da lavoro (parole sante), dice che la città è cara, che i servizi latitano, è sporca, non c’è verde (anche qui vero, verissimo), piste ciclabili da far ridere (e pericolose). E via così. Il foresto, riflette e argomenta il suo punto di vista dicendo: “ma voi avete la creatività, la moda”. “Per carità” ribatte stizzito il locale (soprattutto se non di primo pelo) “quella ha fatto più danni che altro, ha tolto genuinità alla città”. A tanta ostentata sicurezza, lo straniero ribatte. “Ok, però avete il design, avete il Salone del Mobile, il FuoriSalone!”. A quel punto anche il

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3. “vidun”

più recidivo dei milanesi abbassa la guardia e ammette con un certo orgoglio che, effettivamente, “quelli li abbiamo solo noi”. E non si parla di addetti ai lavori, ma di gente comune, che con il design non ha nulla a che spartire. In quella settimana (quest’anno dal 16 al 22 aprile) che poi è un po’ di più perché i lavori di preparazione hanno inizio almeno dieci giorni prima, l’aria diventa più lieve e frizzante e tutti i milanesi ne traggono giovamento. Motivo? Sarà sentire parlare finnico, giapponese, brasiliano che fa sentire meglio? Forse la sensazione di essere al centro dell’attenzione internazionale? Certo, ma non solo. La verità è che in quella settimana i local guardano la città con un occhio diverso. È lo sguardo degli altri. Puntano il naso all’insù e si trovano flaneur in una città dove il vagabondare, il perdersi, il prendere tempo, (perfino pensare) a volte sono considerati una perdita di tempo. Ecco, forse questo manca a una città terribilmente autocentrica, dove ognuno è concentrato su quello che è, su quello che fa, su quanto produce. Manca uno sguardo, cosa ben diversa da un’occhiata rapida e superficiale sulle

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6. PireLLIna

4. Piazza Della Scala

5. Brera 7. Nuovo MILano

8. Moscova 9. San Siro cose. Allargare i propri orizzonti e diventare un piccolo esploratore delle differenze, intraprendere un viaggio anche tra le pieghe di una città che ne ha molte, talvolta insospettabili, questo c’è da imparare da quella flotta di persone che ogni anno ad aprile sovverte inaspettatamente le regole del buon vivere meneghino. In questo numero abbiamo cercato di raccogliere le tante opinioni su Milano: certi signori che ci lavorano da trent’anni e che hanno contribuito a costruire l’immagine di una città design oriented nel mondo (pag. 46). Certi ragazzi che occupano le periferie, lavorano in spazi condivisi e provano a fare autoproduzioni in 3D (pag. 40) Designer che arrivano a Milano, magari per la prima volta (nuovi talenti insomma) e che trovano la città ricettiva e pronta ad accoglierli (pag. 53). Certi altri, un po’ più affermati, che ci vengono da anni, felici di trovare, oltre al Salone e al FuoriSalone, un sacco di cose carine: posti dove andare a ristorarsi dopo una “stressante giornata alla milanese”(pag. 34).

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10. Dezza

1. sedia accademia brera, una action painting extemporanea fatta sulla poltrona louis ghost, di Philippe Starck, all’interno della manifestazione kartell loves milan 2011, di Kar tel l . 2. Vassoio forna set ti con il teatro alla scala. 3. Tavolo vidun (in dialetto milanese significa vitone o grossa vite), di Vico Magistretti 1987, per De Padova. 4. piazza della scala, vassoio di fabio Novembre, per Dria de. 5. Lampada da soffitto Brera, di Achille Castigliioni, per F l os . 6. Due versioni della lampada Pirellina, di Gio Ponti 1967, per F ont ana Ar te . 7. servizio di Posate nuovo Milano, design Ettore Sottsass 1987, per Ale ssi . 8. Poltrona Dezza (il nome di una via in città), di Gio Ponti 1965, riproposta da Pol trona F ra u . 9. Poltrona san siro, di Luigi Caccia Dominioni 1967, prodotto da Azucena . 10. moscova antracite 3d, Pianta tridimensionale di una zona storica di milano riprodotta su superficie ceramica, di Diego Grandi per L ea Ceramiche .

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Il chi e il dove della settimana Fully booked di Rosa Tessa

FOTO DI SIMONE CECCHETTI

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opo tanti anni al Baglioni, Philippe Starck, per il suo soggiorno milanese, opta per la sua suite al Bulgari Hotel. Stessa abitudine per l’archistar Zaha Hadid per la quale è diventata ormai una consuetudine soggiornare nell’hotel della maison del lusso. È ormai assodato che l’albergo di via Fratelli Gabba sia diventato un punto di riferimento per le celebrities d’oltreconfine e uno dei loro posti preferiti per l’ora dell’aperitivo che, con la bella stagione, si trasferisce in giardino, adiacente all’orto botanico di Milano. Una delle feste più ambite della settimana, il party del T, il magazine del New York Times, a cui il jet set del design internazionale non manca mai, si svolge proprio in quell’oasi di verde cittadino. New entry tra i luoghi dell’ospitalità milanese è l’Armani Hotel insieme a tantissimi alberghi storici, molto amati. Sostenitrice del Four Season è Alice Rawsthorn che critica di design, insigne penna dell’Herald Tribune, durante il FuoriSalone ha un suo book notes di luoghi e posti in città dove trovare conforto e un po’ di relax dalle intensissime giornate di lavoro. Per dare ristoro alle sue lunghe marce lavorative sono obbligatorie delle fermate nei bar che, come lei racconta “fanno dei fantastici espresso”. Il relax? Semplice e per niente costoso: “Non appena posso – confessa Rawsthorn – mi siedo sui panettoni in cemento di Enzo Mari (i dissuasori da parcheggi impropri ndr)”. E sebbene la giornalista non abbia neanche il tempo di respirare, cerca comunque di trovare, ogni volta una mezz’oretta per fare un salto nel negozio di Lorenzi, uno dei più antichi di via Montenapoleone, e farsi ispirare per qualche acquisto. In quanto a ristoranti, non salta mai, ogni volta che è a Milano, una cena a La Latteria in via San Marco. Giornate pienissime per la Rawsthorn che adotta

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C’è chi opta per una suite nell’hotel alla moda. ma Molto spesso il (democratico) popolo del design preferisce affittare appartamenti. i più giovani quest’anno potranno approfittare di un ostello in centro città. Le agende – fitte di appuntamenti – contemplano anche gli indirizzi più cool per cene, feste e aperitivi. benvenuti in città.

il terrazzo dell’Arm ani Ho tel in via Manzoni, nuova meta dell’ospitalità milanese durante la settimana del design. pagina a lato. dall’alto, Châte au Monfor t , luxury hotel a cinque stelle appena aperto che, ispirato a una sorta di castello urbano, fa il suo primo vero test di collaudo ad aprile. Sotto, Il giardino del Bul g ari Ho tel , preso letteralmente d’assalto durante la design week: aperitivi, feste e relax, non solo per gli ospiti dell’albergo, ma anche per i milanesi. In basso l’archistar Zaha Hadid, un’habitué dell’hotel di via Fratelli Gabba, dove le viene riservata sempre una comodissima suite.

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sopra. due immagini di Ostel l o Bel l o, meta dei più giovani, con prezzi low price, ma con un servizio e un’accoglienza da vero albergo. Durante il fuoriSalone ospita numerosi eventi musicali. a lato. la la t teria di via san marco. perfetta per la pausa pranzo. sotto. il temporary office T he H u b, dove si possono affittare postazioni e servizi per svolgere la propria attività lavorativa. Durante la design week apre le porte anche per aperitivi e serate a tema. la designer Matali Crasset che, tra un appuntamento e l’altro durante il FuoriSalone, si rilassa nel giardino del Diana Maje stic in Viale Piave.

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L’evento di heineken una delle feste che animeranno il fuorisalone. il designer francese Philippe Starck, ormai cliente fisso del Bul gari Ho tel , dopo aver alloggiato per tanti anni al Baglioni. due scatti della casa di Stefano ed elisa Giovannoni che, durante il Fuorisalone, apre le porte ad amici e addetti ai lavori per un party considerato irrinunciabile dal jet set del design.

scarpe stilose, ma anche pratiche per camminare a lungo. “Quest’anno ho ai piedi – racconta – un bel paio di desert boots di Prada con suole molto spesse. Davvero comode”. Matali Crasset invece preferisce rilassarsi nel giardino del Diana Majestic in viale Piave; prendere un aperitivo a Les Gitanes Bistrot di via Tortona; e in qualche raro momento di libertà fare un salto da Peck per comprare qualche goloseria oppure fare un acquisto nella Galleria Luisa delle Piane. Per il pranzo? La trattoria Ponte Rosso in Ripa di Porta Ticinese e Alla Cucina Economica, in via Guicciardini. Si sa che non c’è folla più straordinariamente eterogenea di quella che invade festosamente Milano nei giorni più movimentati dell’anno. Molti designer, come Luca Nichetto, non hanno mai messo piede in un albergo durante il Salone. “Di solito– racconta Nichetto – affitto un appartamento, per poter spostare entrambi i miei studi (Venezia e Stoccolma) a Milano e creare una sede operativa mobile. Questo mi dà la possibilità di vivere la settimana cruciale del design insieme ai miei collaboratori. Senza contare che in questo periodo il prezzo degli alberghi cresce notevolmente e diventa più pratico avere una soluzione di questo tipo. Per il resto – racconta – non c’è molto tempo da dedicare al relax”. Gotha del design e archistar a parte, gli studenti, i designer giovanissimi, il grande pubblico degli appassionati e i simpatizzanti dove dormono? Milano apre porte insospettabili, di ville e più modeste case private. Molti albergatori fanno lievitare i listino prezzi, mentre c’è qualche mosca bianca che, in assoluta controtendenza, li abbassa.

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Sopra, il Bar Basso da sempre un’istituzione per tirar tardi durante la design week milanese. Designer di grido e giovani studenti concludono le loro giornate nello storico bar di via Plinio dove fra un Negroni e un Martini si discute e si chiacchiera su quello che valeva davvero la pena vedere durante la giornata appena conclusa. A destra, il designer Luca Nichetto che, nelle sue permanenze milanesi, non va mai in albergo. preferisce affittare un grande appartamento per sé e i suoi collaboratori che trasforma in sede operativa temporanea.

È il caso di Ostello Bello diventato famoso per essere una struttura low price, ma con servizi e accoglienza da albergo: Wi-Fi, colazione a buffet a qualsiasi ora, welcome drink. Durante la Design Week ci si ritrova a scoprire nuovi posti come The Hub, un temporary office che durante il Salone diventa punto di accoglienza per serate ed eventi. L’aperitivo rimane un rito molto milanese che viene celebrato ovunque durante la settimana del design. Ai designer inglesi della generazione dei cinquantenni non si tocchi l’aperitivo del Bar Cucchi. Lo confessa James Irvine: “È uno dei pochi posti genuini che hanno conservato il fascino della vecchia Milano”. E poi le feste imperdibili, come quella di Established&Sons, quella di Heineken e quella in casa Giovannoni, a porte chiuse, ambitissima e amatissima. Altra certezza: per tirar tardi, non ci sono dubbi, tutto il mondo del design, ormai da decenni, ha un punto di riferimento, il Bar Basso in via Plinio. È lì che intere generazioni di designer si sono date appuntamento prima di andare a dormire. Se un giornalista vuole sapere come è andata la giornata, conoscere i retroscena e sapere cosa è successo, è lì che deve andare. Non è mai troppo tardi per arrivare al Bar Basso. Dopo la mezzanotte è il posto giusto. Il suo proprietario, Maurizio Stocchetto, è una specie di database che ha immagazzinato nomi di designer

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Tra le feste di rito non mancano party esclusivI. Per molti le giornate si chiudono a notte fonda con un cocktail, mentre si chiacchiera sulle novità appena viste

e date. È rimasta negli annali come lui ricorda – una festa nel ’99, organizzata da lui, James Irvine, JasperMorrison, Marc Newson, Stefano Giovannoni e altri designer. “Doveva essere una festa intima di un centinaio di persone – racconta Stocchetto – e così fu fino alla mezzanotte, ma intorno all’una incominciarono ad arrivare una serie infinita di taxi. Facemmo un pienone con circa un migliaio di persone”. Tutto con la forza del passaparola, la vera chiave per non perdere il meglio del FuoriSalone.

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Make it yourself

utoproduttori, fabber, microimprese o semplicemente hobbisti. Al di là delle definizioni, c’è una ricca comunità di creativi, soprattutto a Milano, che costruisce oggetti con la fabbricazione digitale che abbatte i costi, accorcia la filiera e consente una produzione on demand. Si appoggiano a strutture come Vectorealism a Sesto San Giovanni (Milano), che mette a disposizione un sistema digitale di taglio e incisione laser professionale e la consulenza per la realizzazione. Dal 2010 in cui è nato, Vectorealism ha fornito servizi, dal semilavorato al prodotto finito, a duemilacinquecento persone tra decoratori, designer, modellisti e progettisti elettronici. I cosiddetti maker sono una realtà in crescita. A Milano si organizzano workshop e ci si scambiano informazioni sui social network. Wefab, creato da Zoe Romano, fabber nel settore della moda

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che lavora in un’agenzia di marketing, è un marchio nato nel 2011 che organizza laboratori sul taglio laser con il supporto tecnico di Vectorealism. Wefab ha lo scopo di fare formazione sulle potenzialità creative della fabbricazione digitale applicata alla moda. Zoe Romano è anche cofondatrice di Openware, un “marchio aperto” che dal 2009 realizza una collezione collaborativa di abbigliamento con licenza Creative Commons. Ovvero, i cartamodelli possono essere scaricati online liberi da diritti, modificati e implementati con la stessa licenza e a loro volta condivisibili. Il marchio open punta sulla produzione diffusa, dislocata e aperta, fungendo da garante dell’etica condivisa e catalizzatore di creatività. Ma se il capo può essere realizzato ovunque a partire dal cartamodello e istruzioni online, il lavoro progettuale in sé non è fonte di remunerazione.

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Creativi della scena milanese ci svelano il mondo della fabbricazione digitale che trasforma i processi dell’artigianato e perfino il fai-da-te. C’è chi è fautore di una produzione autarchica e autogestita e chi, grazie alla rete e ai social network, propone nuove forme di impresa.

di Valentina Croci foto di Federico Villa

Sopra. Costantino Bongiorno è socio di Vect orealism . È ingegnere meccanico e interaction designer, esperto in piattaforme hardware opensource come Arduino. Ha costruito la MakerBot, una macchina per la stampa 3D di materiale plastico, grazie a un progetto collettivo scaricabile in rete. A lato. Patrizia Bolzan e Marcello Pirovano sono i fondatori di T ecnificio , una maker facility milanese che fornisce un service di abilitazione alla produzione e consulenza progettuale. Propone una nuova idea di made in Italy con macchine e prodotti 100% italiani. Pagina a fianco. Matteo Costa e Marco Fossati sono industrial designer di milano. Con il marchio T own Island hanno autoprodotto le lampade realizzate con sinterizzazione laser Paipu-so e quelle in cartone a strati tagliato a laser Livin’Morocco.

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Quest’attività genererà economia dal momento in cui si avviano dei servizi, per esempio un negozio online dove comprare il prodotto finito. La condivisione del know-how è un aspetto fondante la comunità dei fabber. Costantino Bongiorno, ingegnere meccanico, da ottobre a Vectorealism dopo un’esperienza con Massimo Banzi nell’interaction design, sottolinea che l’autoproduttore è diverso dal fabber. Nonostante entrambi seguano direttamente tutte le fasi dal progetto alla distribuzione nell’ottica di filiera cortissima, il fabber ricerca la condivisione del progetto per creare discontinuità col passato, e agisce nelle community online e nell’opensource. Condivisione di conoscenze come nella piattaforma hardware Arduino, primo strumento di programmazione sviluppato in dinamica opensource, oggi venduta preassemblata, consentendo a chiunque di costruire oggetti elettronici senza avere competenze ingegneristiche. Arduino è un openbusiness lucrativo, il cui passo ulteriore è stata la recente apertura a Torino del punto operativo, Officine Arduino. La fabbricazione digitale allontana dalla produzione di massa per seguire un mercato più parcellizzato e autogestito. Il portale Tribù, curato tra gli altri da Gabriele Roveda, creativo milanese ed esperto in comunicazione multimediale, vende oggetti “eco sensibili”, di cui molti sono realizzati con taglio laser, promuovendo una nuova concezione del fatto a mano. Segue anche Mani Libere, una piattaforma e shop online di oggetti sostenibili che fornisce un service per la formazione e la consulenza costruttiva. Perché tra le maggiori difficoltà del progetto c’è la gestione della rete dei fornitori. Sulla stessa onda, i milanesi Matteo Costa e Marco Fossati, consulenti di disegno industriale per Bticino e Beretta, tra le altre. Attratti dalle >> tecnologie che possono trasformare l’artigianato, realizzano con

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in alto. Zoe Romano è cofondatrice di Openw EAR, un marchio con licenza Creative Commons. Insieme a Vect orealism organizza, sotto il cappello W ef ab, laboratori di formazione per diffondere l’uso della fabbricazione digitale nella moda. Davide Prato è studente al quinto anno di informatica ed esperto di grafica 3D. Da sempre costruisce gli oggetti grazie al suo background da modellista. La lampada sviluppa le potenzialità del laser e la sua espressività. SOPRA Vectorealism è un laboratorio per la consulenza e la realizzazione di oggetti e con sistema digitale di taglio laser. Dal 2010 ha fornito servizi a oltre duemilacinquecento tra creativi, decoratori e progettisti elettronici.

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La fabbricazione digitale apre nuove strade produttive perfino nella moda. È accessibile a tutti e ci libera dal feticismo degli oggetti. Perché ciò che si rompe si rifà

A lato. I designer Diego Longoni e Paolo Liaci vicino alla sedia Andre e al lampadario Morandi, disegnato con Lorenzo Antonioni per il marchio di autoproduzione re .R urb an . IN BASSO. Designer ed esperto di comunicazione multimediale, Gabriele Roveda assembla una delle lampade in plexiglass tagliate a laser e vendute su Tribù , il portale dedicato al fatto a mano e all’ ecosostenibilità.

il marchio Town Island lampade tra low e hitech, dal cartone tagliato a laser al processo di sinterizzazione laser. Convinti che le nuove tecnologie possano potenziare anche la produzione tradizionale e che l’artigianato oggi non sia solo manualità. Patrizia Bolzan e Marcello Pirovano sono i fondatori di Tecnificio, una “maker facility” a Lambrate (Milano) che si inaugura con i prototipi della mostra Analogico/Digitale per la galleria Subalterno1, in cui i designer Massimiliano Adami, Antonio Cos, Francesco Faccin, Andrea Gianni, Alessandro Marelli, Simone Simonelli e Paolo Ulian affiancano ad altrettanti artigiani di Meda. Tecnificio si aggancia a produttori di macchine utensili come Kent’s Strapper per dare supporto e consulenza. Oltre alla stampante 3D, Tecnificio consta di una macchina per il taglio laser, un pantografo, una fresatrice e una serie di strumenti “analogici” tradizionali. Non si tratta di un semplice laboratorio, ma di un service di consulenza e networking per realizzare piccole serie. Ovvero un punto di scambio e abilitazione dei maker con una nuova definizione di made in Italy: produttori di macchine e fornitori italiani e connessioni territoriali su piccola scala, ma i cui confini sono abbattuti dalla rete. Nuove economie possono nascere dalla logica opensource. Perfino “servizi autoprodotti”. Il duo re.urban ha ideato un modello di management territoriale concretizzato nell’Osteria del Granaio a Settimo Milanese e nel Comitato Cascine Milano 2015, in cui artigiani del territorio e associazioni di categoria vengono coinvolti nel processo di riqualificazione di aree in abbandono attraverso forniture e vendita diretta delle loro merci. Sono progetti con una modalità gestionale codificata che possono crescere in modo autogestito, senza paternità autorale. Perché nella modalità opensource, copiare significa ispirarsi, migliorare, incrementare.

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Imprenditori, architetti, galleristi, designer e art director: Sono tra i pionieri degli anni ruggenti del design e protagonisti attivi della scena contemporanea. Ma Soprattutto sono instancabili visionari che ci raccontano la loro Milano. 8_IP67_46_50_PERSONAGGI.indd 46

Michele De Lucchi “la sfida dell’architettura, per chi arriva dal design” La sfida milanese dei prossimi anni? “L’architettura” risponde Michele De Lucchi. “È difficile sperimentare in Italia, ma, spero di dimostrare che gli edifici che faccio nel mondo si possono fare anche a Milano”. Madre vicentina e padre padovano, Michele De Lucchi arriva a Milano nel 1976 da Firenze dove ha studiato architettura. Stringe una forte relazione con Ettore Sottsass e attraverso di lui con Memphis, e la Olivetti, di cui diventa il responsabile del design. Successivamente apre il suo studio. “Ho contribuito alla creazione della disciplina del design” racconta l’architetto “che non riguarda solo la realizzazione dei prodotti, ma il loro senso e il loro valore culturale. Ed è proprio nel fare cultura del design che Milano rimane una delle capitali del mondo. Il mio contributo a Milano oggi continua con l’architettura. E ho il vantaggio di arrivare dal design, che non vuol dire solo essere un esperto di industria e tecnologia, ma di concepire l’architettura come strumento di diffusione di contemporaneità, come una disciplina creativa ed espressiva, indipendentemente dalla sua funzione”.

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Visioni, scommesse, utopie di Rosa Tessa

Ernesto Gismondi: “Solo a Milano l’industria “I meravigliosi anni Novanta” di Jean Blanchaert del design è poliglotta” Quella di Jean Blanchaert è la Milano del design contemporaneo La Milano che Ernesto Gismondi, patron di Artemide, ama ricordare è quella interpretato da vetri e ceramiche. Blanchaert è stato un apripista negli anni di Memphis. “In un periodo dove l’interno delle abitazioni era grigio, noioso Novanta, quando lavorando nella storica e meravigliosa galleria antiquaria e squadrato, Ettore Sottsass radunò un gruppo di giovani, tra i quali c’ero di sua madre in via Nirone, aveva cominciato a interessarsi al design e a anch’io, nelle vesti di imprenditore, per sovvertire le regole. Riuscì a mettere partecipare al FuoriSalone diventando un punto di riferimento a Milano tutto in discussione” racconta Gismondi. “Da Memphis ognuno disegnava nelle arti del fuoco in vetro e ceramica contemporanee. I Novanta sono stati quello che voleva Ettore sovrintendeva, correggeva i disegni, ma lasciava un periodo meraviglioso” ricorda il gallerista “pieni di grande energia. grande libertà. E così è riuscito a portare il colore nelle case, nell’arredamento, Lavoravamo intensamente con Emmanuel Babled, Alessandro Diaz de nelle luci. Giulio Castelli riferendosi a Memphis mi diceva: ‘Ernesto lo sai Santillana, Melvin Anderson, Massimo Micheluzzi, Lino Tagliapietra, che tu vivi di design e stai facendo un’operazione che distruggerà il design?’ Serge Manseau, Ritsue Mishima tutti i più grandi del vetro venivano da gli spiegai che si sbagliava e che al contrario di quello che lui sosteneva, noi. Il mio ruolo” racconta “è sempre stato quello di essere un ponte tra stavamo dando nuovo ossigeno al design”. E Artemide? “Artemide “ prosegue l’artista e l’artigiano”. Grandi mostre ed esposizioni importanti come quelle del Victoria and Albert Museum hanno accompagnato i vetri e le ceramiche l’imprenditore “ha sempre sostenuto Milano con la sua internazionalizzazione, con la pluralità delle voci progettuali raccolte nei vari Paesi e portate qui in di Blanchaert che negli ultimi anni ha spostato la sua galleria in piazza Italia. La caratteristica che la Milano del design ha sempre avuto e ha ancora Sant’Ambrogio. Ultima sfida: si è messo in gioco come designer e già da è di saper inglobare linguaggi progettuali differenti. Una capacità che non ha qualche anno fa progetti in vetro. Nel FuoriSalone di quest’anno presenta nessun altro Paese”. un lavoro in metacrilato di Jacopo Foggini. Inarrestabile Blanchaert.

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Giulio Cappellini, “La città, è un grande raccoglitore di differenze” “Milano ha avuto personaggi straordinari: da una parte grandi progettisti e dall’altra imprenditori illuminati che hanno creduto nel design come forma di business e hanno creato in maniera molto spontanea il fenomeno straordinario dell’Italian design” spiega Giulio Cappellini art director dell’azienda omonima e di altri marchi. “E oggi se Milano vuole continuare a mantenere il ruolo di capitale del design deve difendere la grande qualità del progetto per la quale si è fatta conoscere in tutto il mondo”. Altro ruolo a cui la Milano del design non deve sottrarsi, secondo Cappellini, è di generare cultura. “Mi spiace veder sorgere edifici mediocri che non mi fanno capire se sono a Milano o ad Hong Kong. Questa cultura in cui è bello solo ciò che luccica dobbiamo togliercela di dosso. La sua sfida personale da sempre è quella di fare di Milano un punto di riferimento per i giovani. E quest’anno più di ogni altra volta, con quest’obiettivo in testa, si è mosso a 360 gradi e durante la settimana del design porta giovani designer svedesi, brasiliani, indiani, francesi e dell’Europa dell’Eest. “Il pregio di Milano” conclude Cappellini “è che continua a essere un grande raccoglitore di differenze”.

Antonia Jannone: “abbasso l’architettura inutilmente spettacolare” Modi schietti e carattere determinato, Antonia Jannone, milanese d’adozione, è stata la prima ad aprire una galleria a Milano di disegni di architettura e design alla fine degli anni Settanta, quando Milano era in pieno fermento artistico e intellettuale. “Frequentavo molti architetti ed ero affascinata dal loro modo di pensare” racconta Jannone. “Siccome in Triennale non decollava il progetto di un archivio dedicato ai disegni d’architettura e design, decisi di aprire personalmente una galleria in via del Carmine, nel cuore di Brera”. Iniziò facendo una mostra collettiva alla fine degli anni Settanta con alcuni dei nomi più illustri: Sottsass, Scolari, Mendini, Raggi, Gregotti, Aldo Rossi. “Gli inizi furono esplosivi e la Milano di quegli anni era accogliente, piena di energia, straordinaria. Adesso mi limito a fare tre, quattro mostre l’anno. Cerco l’architettura che mi piace, che rende bella la città, che non sia invasiva e inutilmente spettacolare”. I giovani? “Nella mia galleria ne ho portati di bravi, ma è molto difficile oggi scegliere tra le avanguardie. C’è un eccesso di comunicazione. Si corre troppo. È tutta una cavalcata”.

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Gli imprenditori ritornino a scommettere sull’intuito e i designer e gli architetti a dare contenuto morale ed etico a oggetti e architetture

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foto di Carlo Lavatori

Claudio Luti. “Qui c’è un’energia difficile da trovare altrove” Claudio Luti, professionalmente parlando, di Milano ha vissuto i periodi d’oro, a cominciare da quello fulgido della moda degli anni Ottanta, quando lavorava a fianco di uno dei protagonisti assoluti della moda Italiana, Gianni Versace. “Erano gli anni più brillanti del prêt-à-porter milanese quando Milano era sulla copertina dei magazine internazionali” ricorda Luti che nel 1988 lasciò la moda per il design, comprando Kartell, azienda milanesissima . “Ho avuto la fortuna di lavorare in due settori di cui Milano è la capitale del mondo” commenta Luti . “E sono sicuro della posizione unica e irripetibile che Milano occupa nel design e nella moda ancora oggi. Ha un’energia difficile da trovare altrove: tutti vorrebbero copiare il nostro sistema ma credo che su questo Milano avrà ancora tantissimo da dire in futuro”. Aggiunge: “Nel design come nella moda è importantissimo il momento della presentazione dei prodotti e noi qui abbiamo il Salone del Mobile che obbliga tutto il mondo a venire e vedere le innovazioni del settore. È un capitale prezioso che i milanesi devono stare attenti a non farsi scappare.

Paola Navone: “oggi le aziende scommettono poco sull’intuito” Nomade per vocazione, piemontese di nascita e formazione, Paola Navone tempo fa, ha scelto Milano per lavorare. Incapace di mettere radici in un qualunque posto, ha fatto vent’anni di pendolarismo tra Milano e il Sud Est asiatico. “Alternavo un mese a Milano e un mese ad Hong Kong, girando fra Thailandia, Filippine e Indonesia”. E sono state proprio le contaminazioni tra l’artigianato dei Paesi lontani e l’industria milanese il contributo originale di Paola Navone. Gli incontri hanno fatto il resto: l’esperienza di Alchimia con Guerriero, l’azienda Mondo con Cappellini, Gervasoni per citare solo alcune delle sue prime storie di successo. “È stata la prima a scoprire questi mondi lontani dell’artigianato e a portarli a Milano” dice di lei l’amico Valerio Castelli. E oggi? Paola Navone è sempre in viaggio intorno al mondo, ma la sua base è ancora nel capoluogo lombardo. “Il grande fenomeno del design è sempre qui” commenta Paola, anche se la perdita della scommessa sull’intuito sta penalizzando le aziende. La mia scommessa personale? È di riuscire a mantenere nel lavoro che faccio una piccola percentuale di divertimento. Ci riesco quasi sempre, per fortuna”.

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Alessandro Mendini “non si producono più utopie umanistiche” “Milano? Da piccolo me la ricordo leggera e piena di sole, oggi mi sembra grigia e più violenta. Ma al di là di ogni ragionamento per me rimane un humus insostituibile, non saprei vivere in un’altra città” racconta Alessandro Mendini. Scuola tedesca da piccolo, facoltà di architettura da grande Mendini racconta che il Politecnico gli ha dato molto in termini di relazioni: “il rapporto indiretto con Piero Portaluppi, con Ernesto Rogers, con Gio Ponti...”. Ma è l’arte che sin da piccolo lo ha formato più di ogni altra disciplina. Designer, architetto, direttore di riviste, artista. Il suo rapporto con Milano è sempre stato molto intenso. Dall’utopia di Alchimia negli anni a cavallo tra i Settanta agli Ottanta alle utopie contemporanee. “Oggi la cultura del progetto è indeterminata” commenta Mendini. “Siamo in un momento di involuzione o riflusso, dove gli oggetti e le architetture sono espressioni di vacuità. Manca il segno del messaggio, del contenuto morale ed etico. Tutto è tecnocratico e pragmatico sia a Milano che nel resto del mondo. Per questo, con l’ultima direzione di Domus ho fatto una ricerca mondiale sulle possibili utopie, parola che, purtroppo, non si usa più. La mia speranza è che si generino delle nuove utopie umanistiche e non tecologiche. L’ipertecnologismo imperante conduce alla finanza virtuale, al mondo delle archistar, alla nuova macrospeculazione edilizia”.

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ProIBITo ManCARE di Ali Filippini

Arrivano per esporre o annusare che aria tira. Portano idee e prodotti. ma cosa resta loro della capitale del design per antonomasia? La parola a cinque creativi da tenere d’occhio.

LA SCRIVANIA MULTIMEDIA LD130, UN PROGETTO DI SCRITTORIO DOCKING STATION CHE INTEGRA UNA GRANDE PRESTAZIONE NELLA DIFFUSIONE DEL SUONO (SI USA CON LAPTOP, NOTEBOOK E NETBOOK) ALL’IMMAGINE DI UN ARREDO DA AMBIENTARE NEGLI INTERNI GRAZIE A FINITURE DIVERSE DEI CREATIVI DI LA BOITE (FOTO IN ALTO) .

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12 aprile 2012 INTERNI•PANORAMA PATRIK FREDRIKSON E IAN STALLARD NELLA LORO INSTALLAZIONE “IRIS” PER S WAROVS KI DELL’ANNO SCORSO. RIENTRA TRA I LORO PEZZI SCULTOREI IL NUOVO TAVOLO BASSO WATERFALL DISEGNATO PER DRIADE. A LATO LE FORME ACCARTOCCIATE DELLE SEDUTE KING BONK DEGLI STESSI DESIGNER.

I

Céline Merhand et Anaïs Morel del duo Les M fondato da qualche anno. SONO LORO LE FORME MORBIDE e ricoprenti della poltrona tessile Collerette, DI Casa mania , una calda coperta come imbottitura da indossare all’occorrenza.

l tradizionale, e atteso, appuntamento a Milano con la design week di aprile è anche occasione per fare il punto su il ‘chi è chi’ del giovane design europeo. Per alcuni di loro è la prima volta a Milano, anche se sono attivi da qualche anno, mentre hanno già avuto una loro visibilità altrove. Per tutti è il confronto con la città del design, con la sua mitologia cresciuta nel tempo; li abbiamo intervistati per capire quali caratteri della milanesità li seducono e convincono maggiormente. Iniziamo il tour con il duo al femminile di Les M – il loro studio si divide tra Francia e Lussemburgo – sbarcano al Salone con una poltrona tessile ‘indossabile’ per Casamania. Céline e Anaïs sono colpite dalla diffusione del FuoriSalone: “Amiamo l’effervescenza della città. Tutte le zone sono trasformate: è veramente eccitante trovarsi a Milano durante quella settimana!”. Patrick e Ian dello studio londinese Fredrikson Stallard (duo anglo svedese) già noti nel circuito art design presentano due progetti prodotti da Driade. Per loro Milano fa rima con professionalità perché “rappresenta un’opportunità di lavoro importante e la possibilità di sperimentare sempre di più un nuovo linguaggio per il design, che nutre ispirazione da un contesto creativo molto ampio”. Sarà per questo che il team de La Boite Concept ripone grandi speranze nell’accoglienza del loro scrittoio docking station, ovvero un sofisticato sistema hi-fi per laptop travestito da piccola scrivania, già object cult a Parigi, che ha segnato l’inizio di una giovane azienda che sperimenta suono e design. “Milano è una capitale internazionale della moda e del design come Londra e New

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il provocatorio messaggio su ricchezza e povertà nella Cheap Ass Elites, di Sar an Yen Panya diplomato alla Konstfack University di Stoccolma (Design for a Liquid Society da R o ssana O r landi).

York. L’anno scorso in fiera abbiamo incontrato il nostro distributore italiano (Sounders) e ci siamo resi conto di quanto il design sia importante a Milano e in Italia, dove contiamo di farci conoscere con la nostra creatività”. Per Sylvain Willenz, designer belga entrato nella scuderia di Cappellini con il suo nuovo progetto di tavoli in tondino d’acciaio rivisitato, Milano è sempre “welcoming”: “Passarci la Design Week è immergersi in un’atmosfera accogliente – dice soddisfatto – è tutto chiaro e organizzato, facile da raggiungere da ogni posto. Nonostante rappresenti per me un impegno professionale, (passo correndo da un posto all’altro), le molteplici qualità e l’accoglienza generale della città mi rendono la settimana speciale: è l’occasione di godere di un aspetto della vostra Italia”. Non si dimentichi che l’occasione è ghiotta anche per le scuole e in generale per mostrare la produzione di certi Paesi o distretti produttivi. Presso lo spazio galleria di Rossana Orlandi, tra le altre mostre di ricerca, troviamo Design for a Liquid Society della Konstfack University College

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of Arts, Crafts and Design di Stoccolma, al suo settimo anno a Milano; mostra curata da Ikko Yokoyama che esporrà tra gli altri anche il progetto del giovane e promettente designer Saran Yen Panya autore dell’impattante Cheap Ass Elites collection. “Scegliere delle giovani leve, neo studenti di design, da portare a Milano – ci dice Ikko – significa aiutarli a comprendere le logiche anche economiche e pratiche del mondo del design, che in questa città si colgono molto bene; è una specie di corso intensivo per chi si sta formando alla professione”.

IL DESIGNER BELGA SYLVAIN WILLENZ AUTORE DEI TAVOLI DELLA CANDY COLLECTION DI CAPPELLINI, CHE SFRUTTANO LE POTENZIALITÀ DELLE BARRE DI RINFORZO IN ACCIAIO USATE PER LE STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO, RESE SEDUTTIVE DALLA VERNICIATURA INDUSTRIALE.

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Bentornato Legno di Antonella Galli

Il più sostenibile. Il più naturale. Il più antico. Ma anche il più attuale e fantasioso. Con quel profilo blasonato che gli deriva da secoli di artigianalità e tradizione. ora è superstar tra Salone e FuoriSalone. Ecco progetti, oggetti e divertissement da scoprire, in nome della creatività. In alto e qui sopra.i Wooden Popsicle, ghiaccioli di legno, pezzi unici numerati (150) fabbricati a mano dal designer e artigiano Johnny Hermann (alias Mauro Savoldi). A sinistra. una delle briccole di Venezia (i pali della laguna a guida delle imbarcazioni). Riva 1920 lancia il secondo concorso per il progetto di un tavolo con il legno delle briccole. A fianco, l’auto sportiva di ToBeUs, collezione di automobiline in legno di cedro prodotta da Matteo Ragni.

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60 / MATERIALI

T

rasformabile, versatile, ecologico. Vivo, cangiante, sostenibile. Resistente, intramontabile, sincero. Quanti sono gli aggettivi con cui gli artigiani, i designer, gli imprenditori oggi descrivono i pregi del legno? È scoccata la scintilla, ed è grande amore tra il mondo del progetto e il materiale più antico e domestico del mondo. Perché la forza attuale del legno sta tutta nella sua naturalità senza inganni. Quest’anno Salone e FuoriSalone saranno un fiorire di proposte che hanno il legno nel cuore. Come la collezione di oggetti progettati da trenta designer internazionali (tra cui Terry Dwan, Carlo Colombo, Matteo Thun, Alessandro Mendini, Karim Rashid) e realizzati dalle mani dei ragazzi di San Patrignano: il legno è quello delle botti esauste che ciclicamente la cantina della comunità scarta, e che i progettisti reimpiegano nelle loro creazioni. L’iniziativa “Le botti rinascono a San Patrignano” nasce dalla partnership tra Riva 1920 e la comunità di San Patrignano, e sarà presentato alla Fiera di Milano durante Eurocucina (con la collaborazione di Federvini, Federlegno e Cosmit). Riva 1920, azienda che al legno ha legato tutta la sua prestigiosa storia, ha in serbo un’altra iniziativa legata al recupero: il bando del secondo concorso ‘Tra le briccole di Venezia’, che invita giovani progettisti a cimentarsi con il progetto di un tavolo realizzato con il legno delle briccole (i pali che segnano i percorsi in laguna) dismesse, di cui i progettisti dovranno valorizzare il materiale corroso dall’acqua e bucherellato dai molluschi (il bando scade il 30 giugno). Tra gli eventi più interessanti durante il Fuorisalone c’è anche la mostra dedicata alle sedie chiavarine di Segno Italiano: la rete di artigiani e progettisti nata per valorizzare le eccellenze della tradizione italiana espone le intramontabili sedute, realizzate interamente a mano, nella sede di Atelier du Project di via San Carpoforo.

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Sopra. il laboratorio artigianale e le cantine di San P atrignano . La comunità, in occasione del Salone, lancia con R iva 1920 la collezione di oggetti fabbricati con il legno delle botti esauste delle cantine, ideati da 30 famosi designer e realizzati dai ragazzi di ‘Sanpa’. Qui sotto. Ouverture, la nuova sedia-poltroncina disegnata da Paolo Cappello per Minifor ms, realizzata in faggio e verniciata in rosso.

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INTERNI•PANORAMA

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In alto. alcune sedie Campanino, della tradizione delle chiavarine, realizzate dagli artigiani di Segno It al iano (al centro), una rete nata per promuovere i prodotti eccellenti della manifattura italiana.

BENTORNATO LEGNO / 61

IL LEGNO È L’ANIMA DI UN progetto. FA innamorare DI sÉ perchÉ VIVO, familiare e RACCONTA storie

A destra. il banco Bricks, progettato da Mat te o Ra gn i per le scuole di Haiti. Può essere facilmente costruito dai falegnami locali. La forma e la solidità permettono di impilarlo facilmente.

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A sinistra. la fabbrica giapponese Karimo ku , che da 70 anni produce mobili in legno, presenta al Fuorisalone la collezione Karimoku New Standard, con arredi progettati da designer internazionali e realizzati in legno di recupero delle foreste giapponesi (Erastudio Apartment Gallery, Via Palermo). Sotto. il nuovo tavolo Yala realizzato con strisce di scarti di compensato, di Daniel Romero per la messicana Pir wi . orologio da parete Pieces of Time, design Ding 3000 per il nuovo marchio Disci pline : L’intarsio di elementi di frassino disegna i 12 spicchi del quadrante. In basso. Bedu, letto di Plinio il Gio vane . Il marchio, produce mobili in legno ecologici e naturali. Sullo sfondo, Parquet in frassino Natural Genius di Atelier L ist one Gior dano , design Daniele Lago.

dalla grande industria al piccolo artigiano. il legno sposa la flessibilità

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Apparentemente innocui, ironizzano sui vizi “da benessere” della nostra società. Sono i nuovi imbottiti fuori forma, dove le morbidezze ridisegnano il comfort e i volumi sono esagerati.

S-foRmaTI Ad aRte di Ali Filippini

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Nella pagina a fianco, da sinistra, cuscini Deform di Milena Krais autrice anche dello sgabello Pat a fianco, rivestito in tricot, e della poltrona Sora, in rosa sullo sfondo. La sua ricerca stilistica è una riflessione sui concetti di bello e di brutto e sulla cultura del corpo nella società occidentale. Nella foto al centro Frolla di Andrea Radice e Folco Orlandini, che fa parte della nuova collezione Skit sch , poltrona a metà strada tra le sedute informali “a sacco” e le tradizionali, da vestire con tessuti traspiranti per l’estate o caldi per l’inverno. In questa pagina, da sinistra lo sgabello della serie Fat Forniture del designer Lambert Kamps, che si ispira per le sue collezioni al problema dell’obesità nella cultura consumistica occidentale. Seduta della serie Ecopoltrona in versione argento di Essent ’ial , informale ed eco perché ottenuta da riciclo di materiali di scarto cartotecnico, disponibili in versione piena o vuote da riempire.Seggiolina Nisa di Milena Krais, una vera sedia rivestita di poliestere e ovatta rivestita di tessuto di lana cucito a mano.

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Arredamenti ispirati agli anni Trenta con citazioni all’architettura degli anni Sessanta. Nel nuovo negozio della maison romana progettata da David Chipperfield e dal suo team, trionfa la tradizione italiana.

la scala che collega il piano terra con quello superiore, completamente realizzata in legno ricurvo. L’enorme lampadario realizzato con centinaia di lenti da occhiali, è dI Viabizzuno . A destra e in basso, terrazzo veneziano, marmo e legno sono i materiali più utilizzati nelle stanze del negozio.

Nel Palazzo di Valentino

B

di Rosa Tessa

asta mettere un solo piede nel nuovo spazio milanese di Valentino per avere la sensazione di essere entrati in un palazzo. Ed è stata proprio l’idea del palazzo il filo conduttore seguito da David Chipperfield, nel progetto del negozio che l’architetto inglese ha voluto fosse figlio dell’architettura piuttosto che dello shopfitting. Una premessa condivisa dalla maison Valentino e dagli stilisti Maria Grazia Chiuri e Pier Paolo Piccioli, per esorcizzare completamente l’effetto showroom. La David Chipperfield Architects di Milano – capitanata da Giuseppe Zampieri e con Giuseppe Sirica, architetto associato, responsabile del progetto – ha perciò riportato all’interno del negozio, due piani per 700 metri quadri, le caratteristiche architettoniche di un palazzo: stanze in sequenza spaziale,

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la luce che entra in un certo modo, l’utilizzo dei tipici materiali della tradizione come il terrazzo alla veneziana, i marmi e il legno. Lo spazio è diviso in stanze, in modo da restituire ai clienti un’atmosfera intima e circoscritta. Il materiale che spicca sugli altri è il terrazzo veneziano, usato per le cornici a pavimento delle porte e per gli zoccoli. Nelle stanze dell’ingresso, all’interno del seminato veneziano, ci sono inserti di marmo bianco e nero, ripresi dalla tradizione di Valentino e man mano che si entra nel negozio si cammina su pavimenti in legno, in marmo specchiato e seminato. Le stanze si susseguono in asse, ognuna con una sua personalità: la “stanza in gesso”, con pareti decorative (ma non decorate) e con pannelli in gesso tridimensionali ad effetto tenda; la “stanza specchio” con pareti rivestite a specchio dalle satinature verticali in modo da non essere completamente specchianti; la “stanza in legno”, completamente rivestita in noce americano; “la biblioteca”, una stanza molto particolare, pannellata in legno con mensole ricurve, per esporre borse lussuose in modo esclusivo; la “stanza della scala”, rivestita in legno, con scalini a zampa d’oca e corrimano curvati. Anche gli arredi esprimono la ricchezza del progetto. Quelli in fibra di carbonio, sono un omaggio in chiave contemporanea ad Albini. Mentre, tra gli arredi più decorativi convivono pezzi disegnati da Josef Hoffmann, sedute progettate da Chipperfield e ispirate agli anni Trenta e sedute, riservate alla parte del negozio dedicata all’uomo, che sono state ricavate da blocchi del millenario legno Kauri. Una nota a sé meritano le luci firmate da Chipperfield e Mario Nanni. Colpiscono i grandi e romantici lampadari realizzati in ottone e con centinaia di lenti da occhiali. Si chiamano Dama, un nome molto femminile, ma che nasce dall’insieme delle iniziali dei nomi di battesimo di chi le ha disegnate, David e Mario. Un vezzo d’autore, pienamente meritato.

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In alto, viene chiamata “biblioteca” ed è la stanza che, rivestita in legno e con mensole ricurve, è stata ideata per esporre le borse più lussuose della maison Valentino. Sopra, gli stilisti Pier Paolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri con l’architetto David Chipperfield.

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IdeeINterNIPANorama

Il design è senza tempo Perlomeno quello buono. Lo dimostrano la passione vintage ormai in esubero nelle case italiane, l’interesse per la cura sartoriale di mobili e complementi, il valore del pezzo d’arredo, artigianale o industriale che sia, rigorosamente, made in Italy.

Nei corridoi della Acc ademi a di Bel le Ar ti di Brer a a Milano. Poltrona e pouf di Maurizio Galante per Cerruti B aleri rivestite in tessuto elasticizzato effetto marmo di Carrara e poltrona con struttura in rete metallica e imbottitura rivestita in pelle nera di Shiro Kuramata riproposta da L iving Divani .

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Il senso del bello incontra quello del fare

di Patrizia Catalano foto di Henry Thoreau

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L’arte del belpaese è in crisi? Solo per i burocrati, certo non per le migliaia di studenti italiani e stranieri che approdano ogni anno all’ombra dell’Accademia di Brera. Tra gessi griffati (“ti amo Dora”) e magnifici spazi polverosi, sbarca il design di stagione.

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Nell’aula di scenografia, tra maquette e giovani aspiranti scenografi. Poltrona Fleur de Mousse, a forma di margherita in panno viola con cuscino rosa fucsia di Roche Bo bois . Pouf Kir Royal, con frange verde salvia di Fratel li Bo ffi. Pouf arancio di L igne Roset .

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Tra stucchi e gessi prende forma la creatività italiana. Non dimenticare il proprio passato può aiutare a comprendere il presente. Senza retorica

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Il senso del bello incontra quello del fare / 75

In una delle tre aule di scultura dell’accademia tra opere in fieri e sgabelli polverosi. Da sinistra. Vasi in ceramica Nuance rossi e neri e pouf Yoshi in fantasia bianco e nero e giallo sole di Kenz o Maison , poltrona Catilina grande, di Luigi Caccia Dominioni, con struttura in metallo e cuscino rivestito in velluto giallo di Azucena . Tavolino Illusion con cassettino e piano finitura in cuoio testa di moro e struttura in metallo dorato di Bor bone se . Sullo sfondo, Giantoro, abat-jour da tavolo in metallo color oro di Maiugu ali . Accanto a un gesso di leone, copia di un bassorilievo romano. il mobile (inclinato) a specchio verde della collezione Paesaggi italiani firmata da Massimo Morozzi per Edra , poltrona con seduta in velluto viola e schienale in vinile rosso di Versa ce Ho me.

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Nella sala napole onica dell’Accademia, tra gessi e colonne neoclassiche. Set completo di cinque tavolini con struttura in metallo nero e piani colorati in bordeaux, grigio, giallo, verde e blu di Cassina , due pouf Co ccol one e Co ccolino di Promemoria e lampada da terra Metacolor a luce regolabile policroma di Ar temide .

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Il senso del bello incontra quello del fare / 77

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Il senso del bello incontra quello del fare / 79

Pittura, scultura, moda e design. Senza dimenticare la storia delle arti e del costume. E poi c’è scenografia, che le comprende tutte. Assistere a una lezione di arte della scena incanta più di una fiction in tv. E le porte sono sempre aperte

In uno dei corridoi. Poltrona Emmanuele con housse bianca di Martin Margiela per Cerruti B aleri , tavolini Duplo con struttura in metallo e piano colorato azzurro e bianco di L ema . Appoggiata ai piedi della scultura, lampada Boalum di Ar temide . pagina a lato. Nell’aula di scultura, una serie di tavolini. Showcase azzurro con cassettino di Porro , bianco in cristalplant opaco, di Zano t ta, tondi in metallo nero e rosso i Kub di Moroso e, sempre di Moroso, in rosso e verde di metallo i tavolini Shanghai. Si ringrazia per l’ospitalità l’Accademia di Bel le Ar ti di Milano .

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HappY PreView! IL rosso, colore del cuore, il verde, colore della speranza, e le forme morbide e giocose sono una delle risposte toniche ed energetiche alla crisi. di Claudia Foresti

in alto, Sedia impilabile in policarbonato trasparente o lucido Spoon, progettata da Roberto Semprini per Scab De sign . sopra, Seduta Love rivestita, in cotone sfoderabile, di Opini on Ciat ti . a destra, Imbottito con zip Birba, design Marco Maran per Parri .

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dall’alto, Lampada Happy Apple, ideata da Alberto Basaglia e Natalia Rota Nodari per Pedrali . Completamente riciclabile, è realizzata con la tecnologia del rotazionale. Divano Jelly, rivestito in neoprene bielastico, design Simone Micheli per Adrenalina . Pouf multicolor Zoe, progettato da Roberto Giacomucci per Emporium , in materiale plastico termofuso di cui una parte derivante dal processo di riciclo.

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Libreria Shark, design Giuseppe Vigano per Morela t o . realizzata in acero e noce, ha i montanti con scanalature che fanno da appoggio alle mensole. Sedute Okumi, progetattate da Studio Catoir per L igne R oset . struttura e basamento in faggio massello; la fodera/cappa dello schienale e dei braccioli è realizzata in un pezzo unico: in tinta unita o in due colori. Divano Archivio, ideato da Giorgio Soressi per Erb a Italia . può essere rivestito in tessuto o in pelle. Seduta d’attesa per l’ufficio In-Pila, design Favaretto&Partners per estel . struttura in scatolato di lamiera; seduta e schienale in legno multistrato curvato.

Tonalità naturali e rassicuranti dialogano con colori accesi e caldi

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Dondolo Wing, design Edward Van Vliet per Paola L enti , in legno di sassofrasso curvato e trattato e con cuscini in tessuti per l’esterno L uz e Ro pe T. Sedia Bloom, design Archivolto per Cal liga ris . Struttura in metallo cromato o verniciata nel colore del bordo; scocca in plastica policarbonato colorato coprente o trasparente con bordo colorato. Poltrona Palio nella variante Primavera firmata orlandini design per Biesse . il rivestimento tessile riprende l’immagine dell’origami. Tappeto in pura lana vergine 100% con lavorazione tufted a mano disegnato da Linde Burkhardt per driade .

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Lampada in metallo con paralume in tessuto Kimono 2 di Kenz o Maison . Mobile buffet Face and Stripes in legno stampato, laccato e dipinto a mano di Forna set ti. È disponibile con molteplici decori. Poltrona Ollwood, design william sawaya per S aw aya&Moroni . Struttura in multistrato di legno termocurvato e sagomato; copertura di seduta e schienale in tessuto e pelle. Tavolo Colletto, firmato da Moschino per Al tre for me. L’alluminio colorato è plasmato come fosse un foglio di carta, ricordando l’iconico bavero di Arlecchino; il piano è in vetro temperato.

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FORME geometriche PER ‘DISEGNARE’ AMBIENTI fantasiosi. UN’ESPOLOSIONE DI TONI BRILLANTI CHE Dà UN TOCCO DI ironia E UNA sferzata di energia

Mensola Liquorice, design Alessandro Masturzo per B-Line , realizzata in polietilene stampato in rotazionale. Contenitore Chameleon, progettato da Front per Porro . È costituito da una scatola di legno rivestita da nastri di pelle in 2 colori che fungono sia da involucro che da cerniera, cosicché quando si apre e chiude cambia colore. Welded Table ideato da Alain Gilles per Bona ldo . piano in legno o in cristallo e gambe in acciaio, disponibili in una vasta gamma di colori.

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Mensole disegnate da Ron Gilad per Mol teni&C . Reverb Wire Chair, design Brodie Neill per Marz ora ti R on chet ti . Prodotta in edizione limitata per la Patrick Brillet Gallery, è composta da un sistema di nervature di acciaio realizzate in tondino intrecciato. Divano Mantò di Pol trona Fra u, con rivestimentomantello in pelle o tessuto. Tavolino con piano in mdf laccato e gambe a slitta in tondino cromato, disegnato da Orlandini Design per Mino t ti it ali A.

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forme pure, design lineare. azzurri polverE e arancioni ramati per ambienti eleganti

Lampada in rame KME Design Classic, progettata da Front per KME. Madia Eileen Square, design Giuseppe Bavuso per Rimad esio . Con struttura di sostegno in nichel satinato, ha quattro ante complanari in vetro laccato lucido e opaco nei 50 colori Ecolorsystem. Comodino City, ideato da Castello Lagravinese Studio per Cant o ri. struttura in rovere; piede e maniglia in metallo finitura rame protetto.

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VinTAGE D’autore di Rosa Tessa foto di Henry Thoreau

casa Sartori progettata da Nicola Quadri. sopra. nel living, pouf di rossana O rlandi , libreria ptolomeo di opinion cia t ti e una poltrona Egg di Arne Jacobsen in cuoio color cognac, un pezzo di autentico pregio. Nella pagina a lato. nel corridoio dell’ingresso, applique in ottone della svedese Svenskt T enn e disegnate dall’architetto austriaco Josef Frank nel 1933. La credenza sospesa con consolle in marmo nero è un pezzo italiano degli anni ’40 proveniente da una residenza progettata da Gio Ponti. Il tessuto che riveste le armadiature sulla destra è il modello Brazil disegnato nel 1943 sempre da Josef Frank per Svenskt Tenn.

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i mobili in stile nordico, le tappezzerie di Josef Frank, l’ottone che riscalda l’ambiente, la cultura del colore. Le scelte estetiche di una famiglia che, complice l’amico architetto, ha abolito il nero.

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“Una casa aperta e luminosa” racconta l’architetto Nicola Quadri “che ho strutturato in modo che potesse vivere anche senza nessun tipo di arredo”

C’

era una volta, a inizi anni Settanta, in un tipico edificio residenziale della Milano di quel periodo, la sede di una storica azienda di cravatte, che si trovava tra Sant’Ambrogio e Corso Magenta. A distanza di qualche decennio da allora, a prendere il posto degli operosi uffici aziendali, è stata la casa privata di Michele Sartori, rappresentante della quarta generazione della sua famiglia che a fine Ottocento creò il cravattificio che lui ha trasformato in un marchio di moda. “Sono particolarmente affezionato a queste mura che racchiudono una parte importante della storia della mia famiglia” racconta Michele che da qualche anno vive lì con sua moglie Elena e le figlie Rebecca e Veronica. Comune denominatore di questa casa che riunisce la trama della storia privata e professionale dei Sartori è la cultura del ‘colore’ che attraversa la moda di cui Michele e sua moglie Elena si occupano quotidianamente e che pervade l’accogliente atmosfera domestica. “La nostra casa è ‘no black’, come la nostra moda” racconta Elena che, a riprova di quanto afferma, estrae da un’anta

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In alto. mobile credenza svedese, disegnato da David Rosén per Nordiska Kompaniet nel 1950, con dettagli in ottone. A sinistra. il tavolo in teak è attribuito a Finn Juhl, Danimarca anni Cinquanta. Intorno, le sedie di Niels Moeller per J.L. Moe ller , Danimarca 1954. Il lampadario a sospensione anni Sessanta è di Osten Kristiansson per Luxus Svezia. La tappezzeria in stoffa fiorata è sempre della collezione disegnata da Josef Frank per Svenskt Tenn ed è il modello Aralia del 1928. In fondo, divano di Vico Magistretti per De Pado va e lampada di Piet Hein Eek, in vendita da R ossa na O r landi .

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Sopra. la cucina fatta su misura e vetrina piroscafo di luca meda per mol teni & c . a soffitto una rarissima lampada con foglie in madreperla di provenienza finlandese.

di un armadio vestiti d’antan con stampe e fantasie vivaci che fanno parte dell’immenso archivio azienda (1000 metri quadrati che, all’interno dell’azienda Altea, poco fuori Milano, sono dedicati esclusivamente a vestiti, collezioni e disegni che raccontano 100 anni di storia). Il colore di casa Sartori, che contrasta con il pavimento in Carpino sbiancato, affonda le proprie radici nello stile nordico degli anni Cinquanta. Catturano, appena si varca la soglia, le carte da parati Svenskt Tenn con stampe esotiche e floreali, disegnate da Josef Frank, protagoniste di casa Sartori insieme a ceramiche, lampade in ottone, poltrone, mobili vintage, e a qualche tocco di magistrale italianità, come il divano di Vico Magistretti o la credenza di Giò Ponti, ed altre citazioni d’autore come la poltrona Egg di Arne Jacobsen , originale, comprata a un’asta a Stoccolma. Niente messo a caso o lasciato all’incoerenza. E tutto in puro stile nordico anni Cinquanta. Un genere amato dai coniugi Sartori e studiato per loro dall’architetto Nicola Quadri, grande amico e architetto di fiducia che per loro ha progettato abitazione, azienda e showroom. “Una casa, però” racconta l’architetto milanese “che ho strutturato in modo che potesse vivere anche senza nessun tipo di arredo”. L’intuizione architettonica fa perno sul cavedio intorno al quale

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a lato. la stanza battezzata dai Sartori come family room. Protagonista la poltrona, modello papa Bear disegnato da Hans J. Wegner per carl Hansen nei primi anni Sessanta, con tessuto originale dell’epoca. Rara la credenza, in faggio e ante in midollino, di Hans J Wegner per R y Mobler , Danimarca 1953. IN basso a sinistra, un angolo della camera da letto e uno specchio decorativo in stile francese in uno dei bagni.

viene costruito un doppio corridoio che racchiude nel mezzo armadiature, servizi, attrezzature. Idea che permette alla casa alternativamente, di avere stanze arredate in modo più leggero. Una soluzione che, grazie a un sistema di pareti a scomparsa, permette di trasformare tutto lo spazio domestico in un grande open space o in ambienti più intimi e privati. Per lasciare che di giorno la luce e i colori si inseguano di stanza in stanza senza soluzione di continuità e di notte prevalga l’intimità di ogni singola stanza.

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di Patrizia Catalano foto di Henry Thoreau

un appartamento inizi Novecento reinterpretato da un architetto che ama la storia e le finiture sartoriali.

tre amici e il genius loci

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il salone della casa di mauro mori e di giovanna borroni, in primo piano, divano jockey di Robe rt o ge rosa , in velluto di lino con schienale profondo utilizzabile come seduta d’appoggio. Sullo sfondo, consolle di albizia rosa di Mau ro Mo ri e opera fotografica di Gianpaolo Barbieri riprodotta anche nella copertina del suo libro “Tahiti tattoos�. a lato, libreria bianca in contrasto con la parete rosso magenta. tende sovrapposte di seta e lino a righe, tavolini sempre di mauro mori.

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a cerchia tardo ottocentesca milanese è una riserva di sorprese. Capita se si è fortunati di trovare ancora degli edifici intatti nella loro sobrietà: un androne in pietra, un’ariosa corte interna, le scale in ferro battuto, in genere più d’una, ciascuna ancora dotata di un ascensore originale in ferro dotato di seggiolino in legno pieghevole per riposarsi dagli affanni di una passeggiata cittadina. Gli appartamenti rigorosamente simmetrici, erano spesso articolati attorno a un lungo corridoio: ben fatti, solidi, con soffitti alti circa quattro metri spesso dotati di stucchi e i pavimenti in legno di rovere posato a spina di pesce alternato a piastrelle di graniglia di marmo colorata a motivi Liberty. Mauro Mori artista e designer noto per i suoi pezzi realizzati in pregiati legni esotici con la sua compagna Giovanna Borroni volevano proprio una casa di questo tipo. Così quando hanno trovato la loro casa in zona Monforte intatta e luminosa, non hanno avuto dubbi. A quel punto hanno riflettuto sul rapporto con

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la tradizione, l’autenticità del luogo, e le loro necessità di persone del XXI secolo. Avevano bisogno di scardinare la rigidità simmetrica dello spazio, creando una struttura più ariosa, volevano evitare di snaturare il luogo ma contemporaneamente era necessario avere degli ambienti più funzionali. A occuparsi della ristrutturazione è stato il loro comune amico Roberto Gerosa. Progettista, laureato in storia alla facoltà di architettura di Firenze, Gerosa ha la straordinaria capacità di intuire il genius loci di un luogo e interpretarlo tenendo conto della psicologia dei proprietari e delle loro ragionevoli necessità. “Mi trovavo a lavorare per due creativi” commenta Gerosa “per giunta cari amici”. A parte il muro maestro la pianta viene letteralmente scardinata. Si costruisce un ingresso più ampio che suddivide la zona giorno da quella notte. Una serie di stanze passanti si succedono per costruire il salone, la sala da pranzo e la cucina. Si affacciano all’ingresso uno salottino camera degli ospiti con bagno e

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la stanza da pranzo è divisa dal salone da una parete quinta color verde intenso. foto casco di banane di gian paolo barbieri su cornice in bois jaune. La cucina design mauro mori è separata dalla sala da pranzo da due vecchi portoni liguri. il lavandino è in marmo nero marquiña con rubinetti vintage di bronzo e lampade monica l upi . pagina a lato. la zona pranzo con tavolo sashimi rivestito in rame ossidato di Mauro Mori sedie vintage finitura in foglia di rame con sedute rivestite in tessuto scozzese, il paralume in seta sempre di gerosa è montato su pantografo di grazia monte si .

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la stanza degli ospiti ha una zona a salottino con ottomane foderate in stoffa damascata di eger di mussolente . sopra un dettaglio con cuscini in velluto di seta e lino e una serie di fotografie a parete. pagina a lato. la camera da letto. baldacchino in rami di takamaka mauro mori con copriletto di lino. vasca in lamiera zincata e specchio vintage di monica l upi , la rubinetteria da terra è di stel la . accanto alla seggiolina in stile settecento tela di nicola andrea frignani: tutto il tempo che mi rimane.

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la lavanderia. Un ulteriore corridoio corredato da armadi a parete in stucco e rame porta alla zona notte costituita da stanza da letto, due guardaroba, e un bagno. Si mantegono i soffitti a tutt’altezza. Si salvaguardano infissi e pavimenti. E si definiscono una serie di colori per le pareti davvero inusuali per una città come Milano. “Ingresso giallo cedro, soggiorno di un leggero pervinca e rosso fucsiato, cucina verde intenso e con righine rarefatte e sottili sempre dello stesso verde. Stanza degli ospiti taupe, grigio talpa e la zona notte mauve, malva”, racconta Gerosa. Per le finestre Gerosa si orienta verso bastoni d’epoca di ottone con tende sovrapposte in tessuti naturali come la seta grezza cinese e il lino. Il salotto presenta due divani dalle forme generose uno Jockey, progettato da Gerosa e l’altro ripensato dall’architetto, accanto un tavolino di Mori con abat-jour dell’architetto che ha realizzato la maggior parte dei paralumi di casa con piantane vintage e paralumi in seta e passamaneria. Una consolle extra large di Mauro Mori ospita un ritratto del fotografo e amico Gian Paolo Barbieri. Nella zona pranzo un tavolo di rame di Mori accoglie le sedie vintage in legno trattato a foglia di rame con tessuti rigati colorati e un paralume di seta sempre di Gerosa montato su un pantografo di Grazia Montesi. La cucina fatta da Mauro Mori, ha un bel lavello in marmo nero Marquina accompagnato da due lampade da esterno francesi. La camera da letto è caratterizzata da due elementi a contrasto: il baldacchino in rami di legno Takamaka design del padrone di casa e una notevole vasca in metallo zincato sormontata da una specchiera dorata.

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IdeeINterNIPANorama / 101

TecH-TraDiTionDesiGn

Il loro carburante? La passione. Il loro stile? Understatement. un sogno? garantire un prodotto icona che durerĂ nel tempo. Benvenuti in minottiland, dove abitano progetto e qualitĂ .

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di Gilda Bojardi renato E roberto mino t ti seduti al tavolo Claydon laccato color ruggine, design Rodolfo Dordoni. Sullo sfondo, una fase della lavorazione dellA poltronA Pasmore, ideata da Gordon Guillaumier. pelli esclusive della collezione Minotti.

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a storia di Minotti è di una solida azienda di imbottiti con una grande ambizione e cura nei prodotti che fa. Ci raccontate quando è nata e che sviluppi ha avuto? Minotti – racconta Roberto Minotti – è stata fondata da nostro padre Alberto nel Dopoguerra. Nasce, come molte realtà qui in Brianza, come un’impresa produttrice di imbottiti, con il know how della tappezzeria e della manifattura di qualità. Nostro padre è mancato nel ’91: mio fratello Renato era già in azienda fin dagli anni Settanta, mentre io avevo iniziato a lavorarci saltuariamente da studente di architettura, ma ufficialmente, sono entrato in azienda dopo essermi laureato al Politecnico, era il 1985. Gli anni in cui era ancora presente nostro padre – prosegue Renato – sono stati un periodo di affiancamento per noi fondamentale, durante il quale ci siamo potuti permettere, pur essendo ancora molto giovani, di operare, fare delle scelte, sperimentare e comprendere le cose giuste fatte e magari qualche volta anche quelle sbagliate. Così nel ’91, quando nostro padre, è mancato abbiamo deciso di continuare l’attività di famiglia, con l’obiettivo di farla crescere, e ormai siamo nel settore da oltre trent’anni. Si è consolidato sempre più il rapporto di collaborazione che ci lega, una sinergia che dura tutt’oggi – spiega Roberto. Renato si occupa di più dello sviluppo finanziario, economico e logistico dell’azienda. Io di comunicazione e di prodotto, ma siamo complementari. Trovate sia molto cambiato in questi anni il nostro settore? Certamente sì, gli anni del boom economico, per quanto riguarda il fenomeno della Brianza, sono stati importanti e vanno letti con molta attenzione. In quel periodo straordinario si è mosso un plotone di imprenditori molto agguerrito e determinato: ognuno faceva per sé ma insieme portavano il mobile italiano nel

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sistema di sedute Donovan, pouf Davis, tavolino con piano tondo Duchamp, poltrona Jensen, tavolino quadrato Duchamp e libreria Johns. Tutto disegnato da Rodolfo Dordoni per la collezione Design Identity 2011.

mondo. La storia del design italiano fonda qui le sue radici. Quello che a noi piace ora è continuare questa tradizione. Attraverso il nostro marchio, il valore non seriale dei nostri prodotti, la comunicazione e lo sviluppo della rete degli showroom. In quegli anni operavano nel settore del mobile, nella maggior parte dei casi, aziende di famiglia. Il vostro esserlo ancora oggi nonostante oramai siate una Spa, è importante? Certamente è un nostro plus – spiega Roberto – oggi in Minotti ci siamo noi ma anche i figli di Renato, Alessio e Alessandro, e spero che qualcuno dei miei quattro ragazzi – una volta raggiunta l’età giusta e finiti gli studi – entri a far parte della nostra realtà. Il segreto – incalza Renato – è che pur rivestendo ruoli differenziati, siamo sinergici e affini. Questo dà molta energia al lavoro. Così, con la nostra voglia di lavorare dodici ore al giorno e il nostro entusiasmo, abbiamo portato avanti l’azienda, trasformandola in un brand molto ben identificato in Italia e all’estero. Negli anni Minotti si è qualificata come icona di stile: attraverso quali progettualità imprenditoriali, distributive e di comunicazione vi siete imposti come un marchio affidabile e di qualità? Si è trattato di un lavoro complesso e articolato su più piani: certamente in primo luogo si è lavorato sullo sviluppo del prodotto. La nostra è una proposta

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“negli anni del boom si è mosso un plotone di imprenditori molto agguerrito e determinato: ognuno faceva per sé ma insieme portavano la cultura del mobile italiano nel mondo”

DALL’ALTO, il monobrand store Minotti Los Angeles, le vetrine dello showroom di Londra E Rodolfo Dordoni nello showroom Minotti New York. A SINISTRA, LA nuova collezione 2012 coordinata da Rodolfo Dordoni: poltrone York lounge con rivestimento in diversi colori, pouf Davis drum, tavolino Sullivan E consolle Wilson.

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Letto Tatlin Soft, ideato da Rodolfo Dordoni nel 2011, E dettaglio della lavorazione sartoriale del cuoio, che richiama l’alta scuola della valigeria classica.

di lifestyle che prevede ogni anno la messa a punto di un’intera collezione, con diverse proposte d’arredo, che coniugano contenuti forti di industrial design a un aspetto estetico ormai riconoscibile come “stile Minotti”. Questo equilibrio è raggiunto grazie ad un gusto understated, duraturo nel tempo e segnato da un forte aspetto di unicità. A questo si accompagna la volontà di comunicare i nostri valori attraverso una campagna stampa di grande effetto, ma elegante e raffinata, che corrisponde alla filosofia Minotti. La comunicazione e la qualità della nostra collezione hanno dato ottimi riscontri di mercato: basti pensare che oggi siamo presenti in più di 60 Paesi del mondo e che l’80 per cento del nostro fatturato lo facciamo all’estero anche se l’Italia, a cui noi teniamo moltissimo resta il nostro primo mercato. Le vostre proposte sono sinonimo di alta manifattura e di made in Italy con produzioni eleganti e una ricerca del tessuto che spesso si rifà alla moda maschile: è vero che il prodotto italiano ha sempre una marcia in più? Noi facciamo una grande ricerca nell’ambito tessile. L’alta qualità dei materiali è uno dei grandi valori del brand. Al nostro interno abbiamo una struttura di ricerca che lavora sulle superfici e sui materiali: ogni anno individuiamo delle texture particolari ed elaboriamo una gamma di cromatismi dettati dal mood della collezione. Da questa attività di ricerca scaturiscono dei tessuti esclusivi e teniamo a sottolineare che i nostri tessuti hanno uno spessore, una qualità, una piacevolezza al tatto uniche perché vengono lavorati con tecniche che uniscono aspetti tradizionali a tecnologie contemporanee. Lo stesso lavoro di meticolosa ricerca viene fatto sulle pelli e su tutti i materiali impiegati dall’azienda. Questa attività è svolta internamente da Minotti Studio. Siamo un’industria 100% Made in Italy, che fa moltissimo al suo interno: dal design del prodotto, all’ingegnerizzazione, dall’architettura dei nostri showroom agli allestimenti fieristici, dalla grafica alla comunicazione: è un lavoro di equipe che si avvale del coordinamento di Rodolfo Dordoni. Da quindici anni Rodolfo Dordoni è il vostro direttore artistico. Quali ragioni vi hanno spinto a sceglierlo e che cosa ha comportato questo nella strategia aziendale? Rodolfo era l’architetto che cercavamo: con una cultura vicina alla tradizione del design milanese e con una buona conoscenza del mondo della moda. All’inizio abbiamo portato avanti una strategia che consisteva nell’elaborare

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prodotti, con una forte connotazione, che potessero renderci più riconoscibili. Questo progetto è diventato un percorso vero e proprio, volto a creare e poi a rafforzare l’identità del brand. Sempre in collaborazione con l’architetto Dordoni, stiamo lavorando alla messa a punto di prodotti fortemente caratterizzati sul piano tecnologico, per esempio con stampi realizzati in pressofusione di alluminio, che comportano investimenti rilevanti e rendono i prodotti difficilmente imitabili. Tutta l’attività degli ultimi anni ha puntato all’affermazione internazionale del marchio e al rafforzamento della sua identità, tant’è che la collezione dell’anno scorso si chiamava Minotti Design Identity. Come siete organizzati all’estero? Con quanti negozi siete inseriti nel mercato internazionale? L’Italia, primo mercato assoluto, è seguita dalla Germania che è il nostro secondo mercato di riferimento. Per quanto riguarda la nostra distribuzione, mentre in Europa abbiamo una presenza capillare in vari negozi, in altri Paesi abbiamo puntato su monomarca sviluppati con dei partner locali. In Europa i nostri monobrand store sono a Londra, Vienna e Madrid. I restanti 21 sono sparsi nel resto del mondo: l’ultimo nato è a Beirut ma sono in previsione entro l’anno altre tre aperture di cui una a Berlino e due in India. Quali e quante novità presentate quest’anno a Milano ad aprile durante il Salone del Mobile? Ci piace mantenere il riserbo e non fare anticipazioni sulle scelte. Di base, presenteremo un’intera nuova collezione e introdurremo dei nuovi colori. C’è un sogno nel cassetto dei fratelli Minotti? L’idea di poter sviluppare un marchio riconosciuto come un brand: ci piacerebbe restare nella storia un po’ come è successo a certe aziende nella moda. Nell’ambito del design la nostra ammirazione va a nomi come Charles Eames o Mies Van der Rohe che hanno creato delle icone. Insomma, sarebbe bello lasciare un’impronta nel design contemporaneo. Se chiudete gli occhi cosa vedete: il divano che verrà o qualcosa che non c’entra nulla? Dipende dal periodo. A ridosso del Salone il pensiero ricorrente, ad occhi aperti o chiusi, è la nuova collezione che ci entusiasma molto.

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“Ci sono molte ragioni per cui si sceglie un nostro divano: è elegante, dura nel tempo, ma soprattutto, è confortevole”

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A SINISTRA, sistema di sedute Andersen, progettato da Rodolfo Dordoni nel 2010, tra i best-seller dell’azienda, sotto, Poltrona e poggiapiedi Jensen, disegnati da Rodolfo Dordoni nel 2010. in basso, tavolo claydon con piano laccato ruggine, design rodolfo dordoni, 2011. Le basi della poltrona e del tavolo in alluminio pressofuso verniciato color Peltro, prodotte su disegno esclusivo di Minotti Studio, raccontano la cura del dettaglio e la ricerca tecnologica che caratterizzano ogni prodotto dell’azienda.

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rubrINterNIPANorama nella foto la nuova collezione di Mole skine , il marchio che propone un’articolata serie di quaderni, agende, notes.

Scusi, dove trovo…?

le novità di Eurocucina, I bagni che fanno tendenza, l’oggetto cool, i mobili coordinati per arredare casa. il meglio dalla produzione più qualche effetto a sorpresa.

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Sarai sempre con me

di Alessandro Bini

Il taccuino, con la sua bellezza touchable, Nelle tasche di ognuno di noi dove atterrano liste della spesa e voli pindarici della fantasia.

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IN ALTO. One year of white page di Nava . Si tratta di un pacchetto di dodici piccoli taccuini legati assieme da spago nero. a lato. un blocco di Muji . Fa parte di una vasta gamma di taccuini, quaderni e blocchi minimalisti, ma molto ricercati da chi ama scrivere. Blocchetti per appunti della collezione Monocromo HD Professional di Pig na.

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i dice che in quell’alba gelida del 24 novembre 1956, Ferenk Pintér, scappando da Budapest immersa nel sangue dai cingolati sovietici non avesse altro con sé se non gli abiti e le scarpe. Forse, una pipa in tasca. Ma certamente non i suoi quaderni dove quello che è stato probabilmente il più grande grafico illustratore contemporaneo, abbozzava le sue idee. Si dice poi (e la fonte è abbastanza certa, lo racconta il figlio Antonio), che arrivato in Italia, il venticinquenne Ferenk sia riuscito a recuperare in qualche stamperia un po’ di quei libri bianchi costruiti dai tipografi per valutare lo spessore e definirne il dorso. Da quei libri bianchi, da cui non si separò mai più, per 32 anni, sono uscite le più belle copertine della Mondadori: Simenon, Hemingway, Kerouac, Pavese, Stout e molti altri. Si sa che Federico Fellini teneva sul comodino un grosso quaderno e, svegliatosi alla mattina, si affrettava – prima che gli scappassero – a schizzare la sua “bimba” Giulietta, la Tabaccaia tettona, se stesso a forma di cuore e tutti i personaggi che, dalla “sostanza di cui son fatti i sogni”, nel corso della giornata si sarebbero tramutati in trame di celluloide. Si sa tanto di Bruce Chatwin, dei suoi viaggi e del suo taccuino Moleskine, che non vale nemmeno la pena ripeterlo, ormai sono entrati nella mitologia. Del rapporto stretto di questi e altri personaggi con il quaderno, si racconta molto. Ora si parla molto anche della riscoperta della carta, meglio, di quei piccoli scrigni – spesso con una copertina nera, volutamente anonima e dall’aria un po’ sabby-chic – dove si depositano pensieri e foglietti. Il taccuino accende i postbruciatori e decolla. Se ne trova almeno uno in ogni tasca, borsetta o zainetto, sembrerebbe una mise en doute delle magnifiche sorti e progressive del digitale, ma che poi non è così. Piuttosto, nuovi mezzi e supporti fanno ritrovare l’unicità e l’esclusività di altri. Quindi, il digitale per certe cose, il taccuino per altre, la macchina per scrivere per altro ancora: sarebbe difficile immaginare Pasolini mentre digita “Io so. Ma non ho le prove” su un computer, neppure mentre lo scrive a matita su un foglio. Perché per un pezzo del genere ci vuole la forza delle dita che picchiano sui tasti e bisogna sentire il martelletto che batte sulla carta. Al computer, o scritto a mano, sarebbe uscita

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NELLA PAGINA ACCANTO. alcuni dei quaderni utilizzati da Ferenk Pintér per i propri disegni (Courtesy Antonio Pinter). disegni, appunti, collage realizzati da Mole ski ne sui propri taccuini, per illustrare la nuova linea Utility Lady.

un’altra cosa. Il quadernino ha una sua fisicità, spessore, usura e questo si unisce al segno che vi si carica, che di per sé porta significati superiori a quelli propri della parola. Senza metterla giù dura, con significato-significante e De Saussure, “è vero che anche ritrovando una vecchia lista della spesa, non leggo soltanto: pomodori, saponette, un etto di prosciutto. Riscopro lo stato d’animo del momento in cui ho scritto, un’intera galassia di sensazioni e sentimenti”. A dirlo è Maria Sebregondi che di queste cose la sa lunga, tant’è che ha reinventato la mitica Moleskine, facendo di un povero taccuino non un oggetto di moda, che sarebbe riduttivo, ma un vero e proprio atout per un preciso stile di vita. Chi dovesse ritenerla un’esagerazione si faccia una passeggiata nel sito web della casa, se non altro per provare la curiosa sensazione di trovarsi in un labirinto di specchi, dove grafie e segni rimbalzano dalla pagina di carta al monitor e viceversa. Curioso, e conferma quanto detto, che anche un’azienda come Nava, nata come tipografia, per poi sposare il design andando su produzioni ben diverse – dagli orologi alla pelletteria – non abbia mai abbandonato l’agendina e, oggi, vi si stia ridedicando con decisione e oggetti sempre più orientati all’assetto sensoriale del “prendere appunti”. Nascono così My Book, che non è solo un quaderno, ma un vero e proprio libro bianco (come quelli di Pintér), e One year of white pages, un bellissimo pacchetto di dodici piccoli taccuini, numerati da piccoli fori e legati assieme da spago nero. Un bel modo per cavalcare verso il tramonto, quello della carta, che continua a trovare adepti non solo tra i raffinati cultori delle risme pregiate di Pineider, ma in grandi store come Muji dove, come racconta la direttrice di un centro di Milano, chi entra sa benissimo quale quadernino vuole, magari perché lo ha già acquistato in un altro punto di Londra o Singapore, ma continua a cercare quello e solo quello. Una liturgia che non viene scardinata da nessun altro strumento: il libro stampato perde terreno ogni giorno a favore dell’e.book; il taccuino e la matita acquistano posizioni. Forse c’è qualcosa di terapeutico, in molti dicono che usarlo abbassa la pressione. E tiene lontana l’incontinenza verbale.

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a lato e al centro. una delle collezioni di T-shirt di Laundr y disegnate da giovani artisti. QUI SOTTO. la sede di Laundry e una delle lavatrici dismesse che viene utilizzata come espositore nei corner-shop Laundry, che presto apriranno anche all’estero.

Laundry è un brand di abbigliamento giovane e grintoso che si ispira al concetto di recupero. A partire dalla location: una lavanderia a gettoni.

RI-UsaMI di Antonella Galli

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a lavanderia milanese di via Vigevano 20, che da un anno condivide lo spazio con i ragazzi del nuovo brand Laundry, non ha mai interrotto la sua attività, anzi. Il numero dei clienti è aumentato da quando tre giovani amici, insofferenti della depressione da crisi, l’hanno scelta come location per lanciare il loro marchio di abbigliamento. “Per iniziare senza troppe spese, avevamo bisogno di un’attività già avviata che ci ospitasse” spiega Francesco Marconi, uno dei fondatori di Laundry, “e a sua volta la lavanderia avrebbe aumentato il suo giro; così abbiamo trovato un’alleanza”. L’idea su cui si fonda il marchio Laundry parte da un dato: nel 2010 gli italiani hanno di buttato mole di vestiti pari a Loreuna Ipsum 18.000 km di stoffa; circa il doppio della distanza tra Milano e Tokyo. E che stoffa: velluto, lana, cotone. I ragazzi di Laundry recuperano stock di stoffe pregiate confinati a magazzino dalle aziende e ne fanno nuovi abiti progettati dalle stiliste Efrat Shahar e Elena Grappiolo; acquistano anche capi e scarpe vintage e li attualizzano; infine chiamano giovani artisti a

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disegnare T-shirt originali, permettendo loro di esporre le loro opere negli ambienti della lavanderia. Ora intorno al negozio ruotano giovani e appassionati di musica e arte, poiché si tengono ogni settimana concerti ed esposizioni che accompagnano le collezioni di abiti. Il progetto, inaugurato durante lo scorso FuoriSalone, è già stato studiato dalle università milanesi come case-history di successo; durante la design week, quest’anno, ogni sera un aperitivo festeggerà la buona idea di Laundry al suo primo anniversario.

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hip, hip, Great! di Olivia Cremascoli

per i giochi olimpici, David Cameron ha lanciato internazionalmente la campagna ‘GREAT’. ormai, tutto è grande nell’ancora cool Britannia. ma la stella fulgente rimane l’inarrivabile londra, i cui nuovi o rinnovati locali s’accingono ad accogliere, night and day, i maratoneti del cimento sportivo.

in questa pagina, dall’alto: il forman’s fish islands , prelibato ristorante di pesce, lounge bar e persino smokehouse gallery, affacciato sul fiume Lea, difronte allo stadio olimpico. qui accanto, uno scorcio del Bread Street Kit chen , uno dei noti gastro-pub del sommo chef gordon ramsa y, che ha di recente anche aperto un ristorante presso il nuovo terminal five, riservato a british airways, all’ aeroporto di heathrow. nella pagina accanto, dall’alto: s ket ch , la tea room e il ristorante d’arte e design più cool di londra, fondato a mayfair da Morad Maz ouz , patron di celebri ristoranti parigini e dallo chef pierre ga gnaire (tre stelle michelin); il 1° marzo il suo gallery restaurant ha inaugurato i suoi rinnovati interni grazie all’ intervento di mar tin creed , artista che nel 2001 ha vinto il turner prize, il più prestigioso premio d’arte inglese. il F ive & N ine Cl u b house di shoreditch, il cui bar è progettato dallo scultore irlandese pau l dal y, oggi viene considerato il più ‘segreto’ ed esclusivo rooftop dell’east end grazie anche al suo giardino, comprensivo di un orto le cui erbe vengono utilizzate per i cocktails.

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Londra nessun dorme. Non che abbiano mai dormito granché sul Tamigi, ma in particolare ora, a tre mesi dai giochi olimpici, gli alacri londinesi (ristoratori, albergatori, negozianti, trasportatori, ecc.) lustrano gli ottoni in previsione del periodo d’oro, tra luglio e agosto. C’è chi rivoluziona tutto, chi si limita a un modesto spolvero e chi invece rinnova, come suggerisce Henrietta Thompson nel suo libro “Remake it”. Ma l’importante è fare. Perché anche chi vive o chi sogna di sport, mangia, dorme e si diverte come tutti. Di conseguenza, fuori dall’olympic time, legioni di adulti, adolescenti e bambini dovranno prendere metro e taxi per sfamarsi, svagarsi e acquistare souvenir. Non godendo precisamente di fama di città a buon mercato, Londra per contro offre talmente tanto e talmente bene che, a volte, ci si fa salassare volentieri. E se pensiamo che, in pochi anni, è passata dall’essere considerata una città dalla cucina-sbobba a rilanciarsi come il paradiso di chef (Heston Blumenthal, Gordon Ramsay, Tom Aikens, Jamie Oliver, Stevie Parle, Michel Roux jr, M. Pierre White, Giorgio Locatelli) e di gourmet (che se la godono già anche solo al Borought Market e aVinopolis o nelle proposte della vicina Bermondsey, zona di gran moda grazie al nuovo The Shard di Renzo Piano e alla terza sede londinese

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in questa pagina, dall’alto e da sinistra: la caffetteria con abiti della nuova sede di dalston del vintage store bey ond retro , all’interno dell’estesa Simpson House (1929) di Stoke Newington Road. nella nuova zona über-hip di bermondsey, T he Garrison Public H ouse , gastro-pub arredato con mobili e complementi vintage, che la domenica sera prevede proiezioni cinematografiche. l’ingresso flamboyant del nuovo w (starwood) di leicester square (zona di teatri e cinema), il cinque stelle preferito dalla gente dello spettacolo e della moda (kate moss è un’habitué); progettato da Jestico + W hile s , prevede tra il resto una ‘penthouse in the sky’, il ristorante spice market di jean-Ge or ges Von gerichten (3 stelle michelin) e il super-bar Wyld con tanto di dj set e di Strobosfere che pendono, luccicanti, dal soffitto. l’estivo garden, ristorante e bar dell’ho xt on hotel di shoreditch, famoso per avere debuttato mettendo in palio camere a cinque sterline. il Dock Kit chen , ristorante dello chef Ste vie Parle , presso lo showroom di t om dix on ai Portobello Docks. uno dei ristoranti di dayle sford or ganic , azienda agricola di lady carole bamfiord, che, grazie anche alla consulenza dello chef stellato t om aiken , ha messo a punto dei menu biolocici e gustosi; annessi ai ristoranti, nel cuore del west end, dei take away di cibo biologico, crudo e cucinato, e anche concept stores che propongono oggetti, totalmente organici, per la casa e l’igiene del corpo.

della galleria White Cube di Jay Joplin), immaginiamoci cosa significhi in quei settori in cui è sempre stata forte, come l’offerta culturale. O quella vintage. C’è persino Kate Moss che va personalmente da Rellik e Rokit, da Beyond Retro e The East End Thrift Store. Le fashion addicts abbienti preferiscono Liberty ma, soprattutto, il Dover Street Market. Per ciò che riguarda i vintage-pub, cioè gli ormai scarsi e acerrimi nemici dei nuovi gastro-pub, oggi così à la page, citiamo alcuni sopravvissuti: ad esempio, The Cow a Westbourne Park, che Tom Conran, figlio di Sir Terence, ha rilevato e mantenuto orginale, o The Engineer a Primerose Hill, che Tamsin Olivier, figlia di Laurence Olivier e Joan Plowright, ha difeso con le unghie e con i denti dalla nuova proprietà, o anche il Punch Bowl a Mayfair di Guy Ritchie, regista di Sherlock Holmes ed ex-marito di Madonna. Di fatto, Vic Annells, direttore di UK Trade & Investment in Italia, sottolinea che il comitato organizzatore di London 2012 lavora da ben due anni sulla London Food Vision con l’obiettivo poi d’offrire il cibo britannico più sano e sostenibile. D’altronde, il tema del sostenibile è sentito nel Regno Unito: il principe Carlo ha creato Duchy Originals, azienda alimentare biologica;

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Sir Anthony con Lady Bamford si sono inventati Daylesford Organics, fattoria nel Gloucestershire, ristoranti londinesi bio-chic e annessi negozi d’oggetti per la casa (Guide to Natural Housekeeping di Cabbage & Roses); persino l’attrice Liz Hurley ha lanciato una linea di prodotti biologici, cui ha dedicato la sua tenuta di campagna. Ma di cibo flamboyant in tutti i sensi ne sanno qualcosa Bompas & Parr, aitanti giovanotti in stile Anni Ruggenti, una via di mezzo tra “architectural foodsmiths, jellymongers e barmans”, che oggi vengono considerati il non plus ultra in fatto di eventi culinari anche di grand’effetto (vaporizzazioni, affumicamenti, esplosioni). Ma è soprattutto nell’East End, cioè da Shoreditch verso la zona olimpica, che i locali si moltiplicano: da The Bounday Project di Terence Conran con l’Albion Café, il lounge bar terrazzato e l’altero The Boundary ai deliziosi coffee shop intorno al mercato dei fiori di Columbia Road a quelli, molto arty, in Hoxton square; da Frizzante, agreste trattoria all’Hackney City Farm, bucolica fattoria metropolitana con flora e fauna, a The Narrow, il nuovissimo gastro-pub sull’acqua di Gordon Ramsay, al Forman’s Fish Island ristorante di pesce, bar e art gallery, di fianco allo stadio olimpico.

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in questa pagina, dall’alto e da sinistra: lounge bar & grill, l’invitante terrazza fra i tetti di the bound ar y proje cT , l’ultimo progetto di Pre sco t t & Conran nell’east end londinese (shoreditch), che hanno convertito un magazzino vittoriano in un articolato edificio dove mangiare, bere e dormire (17 camere, una diversa dall’altra). di fronte alla cattedrale di saint Paul, il barbe co a, il più recente ristorante aperto nella city da j amie oliver , celebrity chef e popolarissimo mattatore televisivo, pur non avendo mai guadagnato una stella michelin. T he Gherkin , il più altolocato club privato di londra, vale a dire all’ultimo piano del celebre grattacielo 30 St Mary Axe, firmato da N orman fos ter & partners. una vista sui giardini di Kensington Palace, dove nel 2013 andranno ad abitare william e kate, da una suite dell’hotel baglioni , un cinque stelle lusso che è la quintessenza dello stile italiano, che propone anche alta cucina italiana presso il ristorante brunello, diretto dallo chef andrea vercel li .

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dall’alto e da sinistra: Forgiveness (2007), opera al neon di Dan Attoe al mess , ristorante e bar della S aat chi gal ler y presso il complesso Duke of York’s, in sloane square. za c goldsmith , ex-direttore della rivista The Ecologist e membro tory del parlamento per il Richmond park & North Kingston. nigel la la wson sa at chi , giornalista, chef e seguitissima conduttrice televisiva di programmi culinari. livia fir th , moglie italiana del premio oscar colin firth, indossa esclusivamente abbigliamento , ha aperto, nel quartiere sostenibile, e, insieme al fratello nicola giuggioli chic di Chiswick, eco-ege, concept store ecologico ed etico, distribuito su due livelli (cosmetici biologici, borse tessili riciclate, oggetti in latta riciclata, giocattoli in legno e pupazzetti in lana organica, arredi ecologici progettati da designer ‘militanti’, tra i quali Massey, McIntyre e Sido, e altro ancora). gli inarrestabili alchimisti culinari sam bomp as & harr y Parr mentre presentano un’improbabile ‘magic box’ da cucina con il lyle’s golden syrup come protagonista; il duo, trentenne, ha tra il resto progettato voluminose gelatine architettoniche che s’illuminano al buio, sale cinematografiche ‘gratta e annusa’, dove vengono distribuiti biglietti con incapsulati aromi corrispondenti ad alcune scene di film, l’Alcoholic Architecture, estemporaneo pub dove s’inalavano drink e cocktail (40 minuti d’inalazione equivalevano a un cocktail ingeritO). due manichini con retrostante, scenografica casetta lignea al do ver s treet market di mayfair, fondato e diretto da rei ka w ak ubo (comme de garÇon), vale a dire uno showroom, su quattro livelli, gremito d’abbigliamento e accessori firmati da super griffes internazionali; tra queste, anche mary katrantz ou (classe 1983), greca trapiantata a londra, che tra l’altro progetta meravigliosi abiti che riproducono interni di case.

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Per essere un imprenditore poco più che trentenne Daniele Lago ha delle idee molto chiare su come si porta avanti un’azienda del mobile. punta sui giovani e su un alto tasso di comunicazione. Hai detto niente?

Nuove regole di Assunta Corigliano

L’interno e l’esterno del nuovo building di la go progettato secondo i canoni della bio edilizia contemporanea dall’architetto italo Ciucchini. Un ritratto dall’alto di daniele lago (a destra) al tavolo di lavoro. A sinistra. sedia nurbs con struttura in legno e seduta in monolastra di corian. design di jordi canudas, shai akram, andrew haythornthwaite/lagostudio in collaborazione con G or tan te ch lab . sopra. replis di daniele lago una chaise longue che si trasforma in letto singolo.

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Il team progettuale della la go al lavoro con daniele lago al centro dell’immagine.

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un gruppo di lavoro di lagostudio ogni anno l’azienda accoglie dei giovani in stage residenziale per elaborare dei progetti. Poltrona Lastika design velichko velikov/ lagostudio: quaranta elastici per una seduta multicolore, leggera e impilabile.

aniele Lago ha una grande carica energetica e la trasmette in ogni frase che dice, anche quelle più enigmatiche (fortemente legate a certi trend comunicativi figli delle nuove tecnologie) ma che intuisci che stanno alla base di strategie innovative e radicali per il sistema produttivo italiano. E infatt, parliamo della Lago azienda veneta di cui Daniele è amministratore delegato, azienda di famiglia (oltre a lui in fabbrica ci sono altri 2 fratelli Lago) che produce mobili moderni per un target medio e medio-alto. Lago funziona per tante e interessanti ragioni. “È una fabbrica nel senso tradizionale del termine” commenta Daniele “il che significa che quello che facciamo, lo produciamo noi e basta, i nuovi capannoni e la nuova fabbrica sono il simbolo di questa intenzionalità al made in Italy”. Quindi Lago produce i suoi sistemi in Italia. Come si presenta? In una maniera tradizionale con i suoi Lago Store sparsi in tutto il mondo, negozi monomarca di proprietà o in franchsing con vetrine su strada dove è possibile acquistare i prodotti dell’azienda. Poi ci sono gli appartamenti di Lago e qui, diciamocelo, Lago marca la differenza. Nel lontano 2009 l’appartamento di Lago è un temporary apartment creato in zona Tortona durante il Salone del Mobile. L’idea è di creare una casa che oltre a essere totalmente arredata dai mobili dell’azienda ospita, delle persone che ci abitano davvero, per tutto il periodo del FuoriSalone. Daniele intuisce l’effetto positivo dell’niziativa e nel 2010 in via Brera proprio sopra lo storico bar Jamaica si inaugura l’appartamento Lago stanziale, uno spazio permanente che diventa una vetrina culturale dell’azienda: qui si ospitano giovani designer, web designer, artisti che ci vivono veramente, si accolgono mostre e performance, si fanno eventi. “È uno spazio vivo, un appartamento vero e proprio, dove vengono a trovarti, è la casa che presti all’amico che viene da lontano, all’artista per fare vedere i suoi quadri, all’autore che promuove il suo libro”. La gente se ne innamora e diventa subito un fenomeno grazie a un notevole passa parola. L’appartamento milanese è seguito da altri in diverse città: due a Torino di cui uno nella regia Venaria, uno

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a Bolzano, uno in Salento e altri ancora. Nel frattempo il tam tam dei consensi dilaga. Intanto Lago costruisce un blog, è su Facebook e su Twitter e i social network diventano un sistema irrinunciabile per farsi conoscere “ma soprattutto per capire chi sono gli altri” incalza Daniele. Infine il progetto. Da oltre quattro anni Lago mette in produzione alcuni mobili elaborati da studenti e giovani progettisti ospitati in azienda per uno stage estivo: il progetto si chiama Lagostudio. “Abbiamo la Cascina Lago” spiega Daniele “uno spazio predisposto per accogliere i giovani che provengono da scuole internazionali e dotato di tutte le tecnologie necessarie per mettere a punto dei progetti e prototiparli”. Durante questo master residenziale i ragazzi vengono briffati dall’azienda e stimolati a pensare a dei sistemi o dai mobili che possono essere funzionali al nostro catalogo, ma anche a lavorare su arte, comunicazione e grafica. Le idee che ne escono dopo giornate di incontri e di dibattito sono molto interessanti e ogni anno scegliamo una rosa di prodotti che vengono messi in produzione: alcuni sono diventati dei veri e propri best seller d’azienda”. Segno che non devi essere necessariamente un’archistar per fare i numeri. Ma un imprenditore creativo e dotato di fiuto, quello sì.

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Si parla di un’azienda storica che ha segnato le sorti del Made in Italy per molti decenni, Una realtà che va salvaguardata: per i suoi prodotti, i suoi designer, la sua qualità produttiva. Ci ha pensato un signore molto bravo e un po’ pasionario. di Patrizia Catalano

re-generation

sopra. un dettagliodel nuovo showroom te cno insediato nelle storiche porte del dazio di porta nuova a milano, recentemente ristrutturate. tavolo nomos di normann foster (1986) e sedia modus di kugu toru disegnata per l’azienda nel 1972. leggera con una sofisticata struttura che la rende extra sottile come un origami è la poltrona plau di gabriele e oscar buratti proposta in diversi rivestimenti in pelle e tessuto. Il progetto pons di rodolfo dordoni è un sistema di divani dal design neo vintage che offre un’estrema versatilità compositiva.

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hi conosce Giuliano Mosconi sa di che tipo di imprenditore stiamo parlando. Patron storico di Poltrona Frau, arrivati in azienda nel 1996 con un progetto di ristrutturazione e rilancio, decide nel 2003 di fare sistema, sposando il progetto imprenditoriale di Charme, il fondo capitanato da Matteo di Montezemolo che oltre alla nota azienda marchigiana leader di imbottiti in pelle aveva incluso in quegli anni anni Cassina, Cappellini, Gufram (poi rivenduta) e Alias (idem) creando il Gruppo Poltrona Frau, il primo importante polo del lusso nell’arredamento. “È stata un’avventura straordinaria” commenta Mosconi “che ha permesso a ciascuna di queste aziende di sviluppare progetti che altrimenti, singolarmente, non avrebbero potuto fare”. Mosconi resta nell’impresa fino al 2009 rivestendo il ruolo di amministratore delegato di poltrona Frau, dopodiché lascia intenzionato a rientrare nelle “sue” Marche

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per seguire tutta una serie di attività in cui era coinvolto: “Per anni facevo la spola tra Milano e le Marche. Era il momento di stare un po’ più tranquillo e stanziale” commenta. Questo lo si può chiedere a una persona che non ha nel sangue la passione per il design e per le imprese. E allora cosa succede? “Quello che non sarebbe dovuto accadere: sono chiamato da Federico Borsani, nipote di Osvaldo, proprietario di Tecno, a dare un parere su un possibile rilancio di un’azienda che negli anni aveva completamente perso il ruolo di leadership che aveva avuto sia nel mondo del mobile per ufficio che in quello del design”. È stato come tentare un grande autore musicale a ritornare a ricalcare le scene, difficile rinunciare al fascino del palcoscenico. E così Mr Mosconi è tornato in pista, con la “sua” Tecno. Entrando con il 60 per cento del capitale ne diventa presidente. “Devo ammettere che ero molto emozionato” conferma “ anche un po’ spaventato: cattiva gestione della distribuzione, un settore dell’ufficio decisamente in crisi, una grande alternanza di dirigenti alla guida dell’azienda non avevano fatto per niente bene”. E come una signora scrupolosa che prima di prendere possesso di un vecchio appartamento >> da rinnovare fa piazza pulita di tutte le cose inutili accatastate,

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in senso orario. il best seller di tecno: la sedia modus disegnata nel 1972 fotografata nella versione rossa e trasparente. la sedia, che ha il sedile realizzato con scocca di nylon, ha venduto 30 milioni di copie nel mondo. un dettaglio dell’esterno dello showroom tecno all’interno delle porte del dazio di porta nuova. ritratto di giuliano mosconi, presidente dell’azienda. un pezzo storico dell’azienda la poltrona p40 di osvaldo borsani.

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a sinistra. provini fotografici di una sequenza che ritrae osvaldo borsani, fondatore di tecno, seduto sul divano d70 mentre muove il meccanismo della sedia s88, fine degli anni cinquanta. un’immagine della nuova sede tecno a mariano comense: tutti gli elementi presenti nella nuova azienda sono produzione tecno. courtesy Tecno.

così Mosconi per rilanciare Tecno si mette a fare ordine. Di più, trasloca. “Porto la fabbrica dalla sede storica a Mariano Comense: un edificio rinnovato, pensato ad hoc ha dato alle persone dell’azienda il segnale che ci credevo, che volevo un cambiamento, e che lo pretendevo anche da parte loro s’intende”. Cambia la prospettiva ma non si dimentica della storia di Tecno, “un’azienda che ha avuto tre momenti topici” spiega Mosconi “gli anni Cinquanta, il periodo degli esordi con i pezzi disegnati da Osvaldo Borsani in cui la tecnologia dei prodotti era associata al timore di metterla in mostra, mobili che fecero un pezzo della storia del design; il periodo della sperimentazione di materiali innovativi e dei grandi numeri, e mi riferisco soprattutto agli anni Settanta e a uno straordinario progettista, il giapponese Kugo Toru che con la sua seduta non elitaria in monoscocca di nylon Modus fece vendere alla Tecno bel 3 milioni di esemplari, cifra pazzesca per quel periodo; infine l’ultimo grande momento di Tecno è stato circa venticinque anni fa con l’arrivo di Normann Foster e la sua ostentazione della tecnologia con il sistema Nomos”. Rispetto per il passato, per la sua grande storia: solo chi conosce la storia può proseguire il cammino. Così fa il presidente: prende in mano l’archivio, riposiziona sul mercato i prodotti in catalogo, “compresa la bellissima collezione di pezzi a tiratura limitata per la casa, la collezione ABC”, apre uno showroom a Milano insediandosi nelle porte storiche di Porta Nuova, ne rilancia altri preesistenti come quello di Bologna, va a riallacciare i contatti commerciali che erano stati abbandonati, ne imposta di nuovi, inizia dei rapporti di collaborazione con nuovi designer, primo fra tutti

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uno schizzo di norman foster del sistema operativo nomos articolato su più livelli. courtesy Tecno.

Rodolfo Dordoni che firma Pons un sistema di imbottiti agile e molto flessibile. “Dordoni quando ha saputo di Tecno, mi ha chiamato dicendomi che da tempo avrebbe voluto collaborare con questa azienda azienda, ne è nato un rapporto stimolante, fertile e positivo”. E infine, a chiudere il cerchio, Mosconi fa una cosa molto importante produce un libro sull’azienda, a firma di Giampiero Bosoni edito da Skira, un tributo alla ricchezza di documentazione di questa realtà italiana: un atto non dovuto ma che va preso a esempio da tutti coloro che, per capire come fare, devono sapere che cos’hanno tra le mani. Sembra facile…

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c’era una volta un’azienda che produceva mobili contemporanei. un bel giorno un giovane intraprendente ha pensato che la stessa industria, con la sua grande esperienza potesse dar vita a un marchio con un nome che è tutto un programma: visionnaire... di Daniela Greco

Se dècor fa rima con sogno

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eopold Cavalli è un intraprendente trentottenne, la terza generazione della famiglia Cavalli votata al mobile. Un’industria la sua IPE (specializzata in imbottiti) che nasce in quel di Bologna nel 1959, straordinario territorio per cultura e capacità di buon vivere ma che di arredamento mastica poco. Ma Leopold fa della sua emilianitudine un punto di forza. Nel 2004 con la sorella Eleonore e il padre Luigi, cofondatore dell’azienda, condivide un progetto piuttosto ambizioso e rischiosetto: far conoscere (e digerire) al mondo uno stile che con il tradizionale Italian Design Style non ha tantissimo a che fare. All’inizio lo chiamano Glamour Medioeval. “Il nostro immaginario spaziava tra il mondo magico e gotico di Henry Potter a quello dark ed elegante del Codice da Vinci” racconta Leopold, “Il nostro business si orientava a solleticare la curiosità di un pubblico internazionale con una forte vocazione al lusso, al bello, al comfort e soprattutto al total look”. Risultato, nasce Visionnaire e Leopold diventa amministratore delegato. “Il nome è l’esatta espressione di quello che vogliamo rappresentare, una collezione ispirata a un mondo da favola dove tutto quello che fino ad allora sembrava irrealizzabile diventa concreto”. E che concretezza. “Noi offriamo un catalogo di duemila prodotti che vanno dai pezzi più impegnativi, boiserie comprese, fino alle luci e

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agli accessori d’arredo e stiamo pensando anche alle finiture”nsomma un mondo... “Certo, una collezione molto ricca per giunta tailor made, altamente personalizzabile. Noi ogni anno al Salone proponiamo come minimo 150 nuovi pezzi, non è uno scherzo se pensa che per ogni prodotto puntiamo al massimo della qualità manifatturiera, ci avvaliamo di artigiani eccezionali sparsi nel territorio italiano, proponiamo dei materiali super”. Risultato? “Direi più che soddisfacente” commenta Cavalli “se lei pensa che il volume di Visionnaire è decuplicato da quando siamo partiti” (24mila euro nel 2011 ndr). Il merito di questo exploit? “Crederci, fidarsi dei nostri consulenti, ricordo tra tutti Samuele Mazza, che ci ha supportato creativamente dagli esordi, catturare al volo le idee visionarie che ci sfiorano, e renderle praticabili, come lo spazio di piazza Cavour a Milano, un ex cinema di duemila metri quadri che durante le ore della giornata subisce delle vere e proprie metamorfosi passando da showroom a ristorante, da lounge a spazio per mostre ed eventi”. Il futuro? “Non perdere mai di vista questa fascinazione per la qualità e per l’esplorazione di mondi: a Parigi abbiamo presentato la nuova collezione per dehor e a Milano, non sorrida, oltre alla nostra proposta arredamento porteremo un jet tailor made firmato Visionnaire”.

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Dressing table grimilde, in smalto bianco, fusione di ottoni, marmo e legno laccato. design alessandro la spada, 2012. un dettaglio di un’ambientazione di visionnaire a maison & objet 2012. chaise longue Duhbe di Alessandro La Spada e Samuele Mazza rivestita in pelliccia ecologica, 2008. divano ginevra di samuele mazza e alessandro la spada, uno dei pezzi storici di visionnaire, 2004. lampada excalibur in alluminio e ottone cromato e paralume in seta con decorazione applicata, 2004. pagina a lato. foto storica di ipe cavalli l’azienda fondata da luigi cavalli nel 1959 da cui è nata visionnaire. leopold cavalli 38 anni italo francese amministratore delegato visionnaire.

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Royal Oak, il primo orologio sportivo di lusso di Audemars Piguet, festeggia 40 anni con il lancio di otto nuovi modelli e un’esibizione itinerante che coinvolge Design, fotografia, suono e video.

From Avant-Garde

to Icon

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di Claudia Foresti

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in alto, una delle tappE. quella newyorkese della mostra ROYAL OAK 40 Years. SOPRA, 3 DEGLI 8 NUOVI MODELLI royal oak (4 della linea Extrapiatti e 4 Automatici e al Quarzo) che reinteRPRETANO i codici e i valori originari della collezione. da sinistra, Automatico 41 mm, Tourbillon Extrapiatto Squelette (Edizione limitata di 40 pezzi) e Tourbillon Extrapiatto. a sinistra, uno schizzo e immagini del progetto di royal oak. nella pagina accanto, il lavoro presso la Manifattura a Le Brassus, nella Vallée de Joux, Svizzera.

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l Royal Oak rappresenta uno spartiacque nella storia dell’orologeria moderna. Lanciato nel 1972 da Audemars Piguet, il primo orologio sportivo di lusso era già un precursore dei tempi. Quarant’anni dopo, questo modello è diventato un’icona dell’orologeria moderna. Anticonformista e all’avanguardia, ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’azienda. Per celebrare il 40° anniversario del Royal Oak, Audemars Piguet presenta otto nuovi modelli, ideati nel rispetto dei codici della collezione originale. Inoltre la Manifattura Svizzera di Le Brassus, nella Vallée de Joux, ha realizzato un’esibizione mondiale itinerante. Utilizzando design, fotografia, suono e video di tre artisti, Sebastien Leon Agneessens, Quayola e Dan Holdsworth, la mostra espone 100 segnatempo posti sullo sfondo di un palcoscenico per sottolineare le origini, la maestria e la capacità artistica di Audemars Piguet. Questi rari orologi, dal primo Royal Oak del 1972 agli ultimi modelli presentati lo scorso gennaio durante il Salone dell’Alta Orologeria di Ginevra, sono svelati in una serie di mostre. Il tour mondiale è iniziato a New York il 21 marzo, presso il Park Avenue Armory ed è a Milano dal 17 al 22 aprile in Triennale, durante il FuoriSalone. La mostra poi, nel corso del 2012, toccherà altre 4 città internazionali: Parigi, Beijing, Singapore e Dubai. L’esibizione – creata, sviluppata e realizzata globalmente dall’agenzia MA3 – illustra come il Royal Oak sia diventato l’icona che è oggi, reinterpretando le origini e la modernità di Audemars Piguet attraverso la prospettiva innovativa e contemporanea degli artisti. L’installazione, la fotografia, il suono e il video dei tre artisti creano un ambiente che porta il visitatore ad immergersi nella Vallée de Joux, il luogo di nascita dell’alta orologeria in Svizzera.

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PRODUZIONE

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Il radiatore contenitore Che il calorifero possa essere anche scalda-salviette, lo si sa. Ma Towel box di Peter Jamieson per Del tacal or fa un passo ulteriore perché inserisce la salvietta nel disegno, grazie a un modulo centrale basculante che la stringe e la stende.

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Il wc robot (sullo sfondo) Da oltre trent’anni, la giapponese T oto realizza washlet superaccessoriati: con ugelli che consentono l’igiene personale sfruttando getti di acqua calda, sedute riscaldabili, sensori integrati che regolano operazioni come l’apertura e la chiusura del coperchio, un deodorizer che purifica l’aria o la funzione asciugante che rende superfluo l’utilizzo di carta igienica.

Il lavabo indipendente

Di Massimiliano e Doriana Fuksas per Catalano , il lavabo Impronta si svincola dal disegno dei sanitari. Caratterizzato da una linea organica racchiusa in una solida forma geometrica, Impronta evoca le superfici di sabbia modulate dalle onde e la matrice organica ricorrente nelle architetture dei Fuksas.

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pareti come in salotto Il sistema Osmos a moduli pensili multifunzione, progettato da LucidiPevere per Gla ss Idroma ssa ggio , trasforma l’area doccia che diventa parte integrante dell’ambiente con elementi che si espandono in tutta la stanza.

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Il bagno è in trasformazione. si moltiplicano gli stili e gli oggetti si liberano dalle tipologie consuete. Fino a integrarsi con gli arredi del resto della casa.

10 nuovi must

di Valentina Croci

I sanitari Watersaving Solo 2,7 litri di acqua sono utilizzati dallo scarico della linea Thin di Azzurra , primato mondiale dell’azienda che consente di ridurre del 70% i consumi rispetto ai comuni sanitari. Nella linea, la collezione Victorian Style rappresenta una sintesi stilistica tra la modernità dei sanitari sospesi e le linee classiche della tradizione.

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Il piatto doccia fantasia Le Plages è una serie di dodici texture realizzate con stampa digitale su ceram ica Ciel o . I francesi 5.5 designer, che per la prima volta si cimentano in un progetto per il bagno, ci portano in un viaggio intorno al mondo, alla scoperta delle spiagge più belle.

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Parola d’ordine, personalizzazione. Dall’hi-tech dei soffioni, come nelle spa, a tende doccia che sembrano preziosi tessuti orientali. Un mix di suggestioni e richiami formali per una stanza senza confini

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Il soffione performante Aqua zone, disegnato da Franco Sargiani per Fantini è un soffione a soffitto di nuova generazione, che integra una plancia di comando con tastiera elettronica per selezionare sei diversi “mood” di acqua e luci. L’interfaccia è molto intuitivo: tasti blu per le funzioni dell’acqua, bianchi per modulare la fonte. luminosa. Dimensioni soffione: 53x53 cm.

La vasca freestanding Un must del bagno sembra essere la vasca indipendente che troneggia al centro stanza. Eco di atmosfere ottocentesche, senza citazioni dirette. È proprio così Morphing di Ludovica e Roberto Palomba per Ko s che coniuga forme della memoria con un’estetica moderna. Fa pendant con il rubinetto rosso verniciato a polvere della celebre linea Isy, disegnata da Matteo Thun con Antonio Rodriguez per Zucchet ti .

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La tenda Kimono Paolo Schianchi progetta per Disegno Ceramica le tende doccia WasserKimono che rileggono le stoffe dei tradizionali kimono di Kyoto, utilizzandone il segno grafico e il richiamo cromatico. Per renderne impermeabili le trame, sono stati utilizzati procedimenti con materiali naturali.

Gli asciugamani supernatural Stropicciati, ma sempre belli perché visivamente morbidi. La linea di asciugamani Pliss di Societ y invita all’uso e a vivere l’ambiente in maniera informale. I colori sono pastello e evocano le colorazioni naturali. Pliss è un telo in cotone leggero, né spugna né tradizionale telo di cotone, plissettato grazie a una lavorazione innovativa direttamente a telaio.

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linee morbide, accoglienti, floreali o “peccaminose”. ma anche linee compatte, candide o lineari. un ambiente relax per tutti i gusti. di Luna Fumagalli

pot-pourri

da sinistra, lampada da terra Column, design Ross Lovegrove per Ar te mide . la sorgente all’interno della base crea una luce d’ambiente e decorativa. Lampade a sospensione Can Can, design Marcel Wanders per Fl os che si connotano per l’elaborato fregio floreale in policarbonato del paralume. dall’alto, Poltroncina Anteprima, design Claudio Bellini per N atuzzi , con rivestimento in pelle e piedini in metallo cromato.

Byobu, design nendo per Moroso , il piano del tavolo è sostenuto da un telaio quadratoche si piega come un paravento giapponese. Ninix 65 T di R oyal Botania , poltrona in&outdoor relax a tre posizioni: da poltrona dritta diventa sdraio. Sistema componibile di pouf morbidi Panama, ideato da Paola Navone per Baxter . Schienali e braccioli sono in realtà cuscini riposizionabili. Tappeto della limited edition di Il l ulian , firmato da Alessandro La Spada.

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Real cooking di Claudia Foresti

non c’è canale televisivo che non proponga programmi dedicati al cibo e alla sua preparazione. È L’argomento più attuale. Ecco qualche proposta per cucinare in ambienti rigorosamente design oriented.

Cucina Twenty in resina di cemento, design Andrea Bassanello per Modulno va. Molto varia la gamma di nuovi pensili contenitivi, l’introduzione delle colonne complanari e gli innovativi schienali attrezzati. a sinistra, Cappa Eccentrica System, design Giulio Iacchetti e Riccardo Diotallevi per Elica : un sistema completo, configurabile in quattro diversi modi, per aspirare e portare all’esterno i vapori della cucina, ovunque sia il foro murario di evacuazione dei fumi. Famiglia di oggetti per la tavola Tancredi&Bartolomeo, disegnata da Giulio Iacchetti per Vh erni er De Vecchi Design .

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sullo sfondo, Collezione Materie di Marazzi , realizzata in gres a tutta massa. Lampada a sospensione in policarbonato Faretto White, design Nigel Coates per Sla mp. il sistema cucina HD23, progettato da Massimo castagna per Rossana, presenta tre nuovi elementi da abbinare alla gamma preesistente: due banconi snack e una cappa. in basso, da sinistra, Posate in lega Christofle della collezione Jardin d’Eden ideata da Marcel Wanders per Chri st ofle . thermo pot con tappo in sughero prodotto da Bla ck+Bl u m e distribuito da Moroni Go mma Centrotavola Origami, design Kazuma Iwata per Mesa. Realizzato in lega argentata o antiossidante oppure in acciaio.

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140 / PRODUZIONE

12 aprile 2012 INTERNI•PANORAMA

Lampade a sospensione da interno ed esterno Ralph di Panzeri , in alluminio e ottone verniciato metalizzato con paralume in rattan sintetico. Lampada a parete in metallo con paralumi color avorio di Zonca . elementi della collezione Liberi in Cucina di Al pes nelLa nuova finitura in laminato con decoro fluido creato da Karim Rashid per Abet L amina ti . Collezione Aster Maximum di GranitiFiandre in gres porcellanato effetto cemento, finitura Mars.

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Parquet brevettato Noce tessuta in polvere oro bianco di Cadorin . Ăˆ ricco di venature variegate e sfumature caratteristiche del legno da cui prende vita, il noce americano.

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Cucina Kalea, design Gian Vittorio Plazzogna per Cesar che si connota per ante differenziate in altezza e larghezza, contenitori a giorno versatili e l’esclusiva anta spessa solo 1,4 cm. Pentole della linea Antika di Frabosk in bimetallo rame e acciaio. Collezione di mosaici in smalto veneziano multicolor di Domeni co Mori .

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142 / PRODUZIONE Piano a induzione Full Induction CX 480 di Gaggena u . Tutta la superficie del piano si trasforma in un’unica, grande area di cottura. lampada DA MURO a led della COLLEZIONE PERSONALIZZABILE lumhier di lamur in plexiglasS E SPECCHIO metacrilato. Cappa Maris in cristallo nero di Franke , dotata di aspirazione perimetrale, funzione filtrante e filtri long lasting.

12 aprile 2012 INTERNI•PANORAMA diverse pentole di Knindus trie , tra cui foodwear, in acciaio INOSSIDABILE 18/10 WONDERPLUS, e white pot, con interno CERAMICO NANOTECNOLOGICO BIANCO, entrambe ideate da rodolfo dordoni. sullo sfondo, Decoro Mentine, dal disegno a pois, della collezione Audrey in monoporosa in pasta bianca smaltata di L ea Cerami che .

composizione di Knife Pot, blocco coltelli in plastica con alloggiamento incorporato per riporre coltelli, frustine e mestoli, disegnato da DesignWright per N ormann Copenha gen .

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rubriINterNIPANorama / 144

collezione decorata da Romero Britto di Luna Fumagalli

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nergia, ottimismo e joie de vivre. Sono questi i valori che accomunano il giovane brand Infiniti e l’artista Romero Britto che, grazie alla consulenza strategica di Licensing Vision, hanno dato vita a Infiniti Loves Romero Britto, la prima collezione di sedute e complementi d’arredo decorati dal creativo brasiliano. Il 18 aprile, in occasione del FuoriSalone, Coin, già promotore di talenti, con la collezione Coincasadesign, presenta la collezione, in anteprima mondiale, nello store di Milano Piazza 5 Giornate. Al progetto sono dedicate le vetrine e uno spazio all’interno del mondo Coincasa. GCasa è media partner dell’evento. Questo è la prima delle iniziative che Coin dedicherà ai 50 anni del flagship store milanese.

a lato, seduta pinup e sopra, tavolo elephas della collezione infiniti loves romeo britto, che coniuga la creatività dell’artista e designer della Pop Art e l’azienda di design e che viene presentata presso coin milano piazza 5 giornate.

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INterNIPANoramalegacy

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Valore vo cercando, ch’è sì caro…

Un metodo, una strada, un’altra prospettiva attraverso cui guardare le cose. Per trasmettere un futuro migliore.

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riccardo d alisi , ar tis ta, de signer, architet t o, scul t ore , scrit t ore e, sopra t tut t o, mae stro di crea tivit à e di vit a, “la vora ” insieme ai b ambini durante il workshop “L e a ut os trade del la f ant asia . Creare riciclando” tenut o, l o scorso febbraio , per TDMK ids , la sezione did at tic a del T riennale Design Museum di Milano .

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Una mostra (di gioielli) e un workshop (sul creare riciclando) ci mostrano come un artista-poeta, Riccardo Dalisi,trasmette il senso della vita. Dai vicoli di Napoli alla Triennale di Milano. di Simonetta Fiorio

Energie creative La mostra “I gioielli sostenibili di Riccardo Dalisi”, a cura di Alba Cappellieri (Catalogo Marsilio), dopo la SOSTA al Triennale DesignCafé di Milano Si trasferisce, dal 18 maggio al 18 giugno 2012, a Vicenza, Palazzo Thiene Bonin Longare.

Il gioiello? Lo considero, lo vedo, mi ci provo “Ho davanti a me un mondo misterioso che richiede, che esige una pura ispirazione ed una lunga sperimentazione. In quelle piccole opere concorrono tutte le energie creative. E io sono sempre in agguato (è una tecnica) dell’idea feconda.Sogno architetture come immensi gioielli: una foglia di platano accartocciata, immensa, d’argento, con una sfera d’oro in su la cima e, sullo sfondo del mare, una scultura da orafo…I titoli?: un soffio creativo, un veloce pensiero, un sentire rappreso, la soglia di un nuovo mondo, una finestra gentile, un dolce tocco, una carezza, la nota alta di una canzone, un tenero incontro, una goccia di perfezione, un amico del cuore, una verità fuggente, un ricordo gentile, un tenero confine, un guizzo, un bagliore, un gesto in fiore, una passione silente, una dolcezza ardimentosa, un mondo d’incanto, un gioco veloce, uno sguardo prezioso, un congegno salterino, un amico ritrovato, una fierezza contenuta… gioielli? Sì, gioielli! A volte mi dilungo a dipingere schegge di lavagna, frammenti di lava del Vesuvio o di pietra calcarea tra residui di materiali metallici; quelle forme improvvise, casuali, le più impensate sagome e le patine del tempo, suggeriscono qualcosa che appartiene alla vita. Un tocco d’oro, un profilo ed ecco qualcosa che allude ad un gioiello”. Riccardo Dalisi

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La mostra “Il gioiello sostenibile ” alla Triennale di Milano è STATA la prima opera omnia dei gioielli di Riccardo Dalisi. “Sono cento gioielli autoprodotti e realizzati a mano nel suo laboratorio, delicati e candidi, dai colori vivaci e dai materiali ‘ultrapoverissimi’, nella definizione di Dalisi, come latta, ottone, stagnola che affiancano oro e argento e ci immergono dolcemente in una performance artistica giocata sulla metamorfosi e sul movimento: realizzati tra il 1990 e oggi questi gioielli ben descrivono il mondo misterioso di Riccardo e le creature che lo abitano: alberi, fiori, stelle, comignoli su cui si posano placide colombe, porte e finestre che si aprono su foreste incantate popolate da giraffe, leoni ed elefanti, mani che accolgono, cuori che abbracciano, volti che sorridono dal balcone di un cammeo”. Alb a Cappel lieri, professore di Design del G ioiel l o al Polite cni co di Mil ano . “I gioielli ‘sostenibili’ di Riccardo Dalisi (…) molto più che semplici ornamenti, lontanissimi dall’idea di sfarzo che spesso si accompagna alla tradizione orafa, ridisegnano in modo radicale la nozione stessa di valore, legandola non alla venale preziosità del materiale, ma all’originalità e all’unicità del trattamento creativo a cui il materiale stesso è sottoposto. È il progetto che fa il valore, non la materia in cui il progetto si realizza. Che tutto ciò nasca in un contesto problematico come quello di una città spesso assunta a simbolo di degrado civile e sociale, è molto più che un segno di speranza: è l’indicazione di un metodo, di una strada, forse perfino di un’altra prospettiva attraverso cui provare a guardare le cose e _ appunto _ il loro ‘valore’. ”. S il van a Anni cchi ari co , Diret t ore T rienn ale Design Museu m

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iccardo Dalisi aspetta i bambini al Design TriennalCafé di Milano, seduto su uno sgabellino. Sorride, è contento e impaziente. Non vede l’ora di “scambiare” creatività coi più piccoli, sicuro che alla fine di questo incontro lui, e loro, porteranno a casa gioia di vivere in più. Intanto ragiona sul suo nome. Attorno a lui la mostra dei suoi gioielli eppure dice: “Non dovrei chiamarmi RICCardo ma POVERardo, sarebbe più adatto” perché dai gioielli alle sculture, dal design alla pittura, Dalisi ha sempre saputo inventare idee e opere d’arte utilizzando materiali umili, di recupero, come latta, rame, ferro. Dalle sue mani “impazienti” e abili sono nati una miriade di personaggi e oggetti. Con la sua vita ha portato avanti, nella sua città d’adozione, Napoli, progettazione basata sulla partecipazione e anche ora prosegue nella sua marcia nel sociale

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partita tra i bambini di strada del rione Traiano (1971-1975), continuata con gli anziani di Ponticelli (1977) e giunta al rione Sanità con il laboratorio “Progettazione e compassione”. La sua attività di progettista e la sua capacità di mettersi in gioco grazie ad un lato infantile e puro, mantenuto dentro di sé nonostante l’età, suscitano uno spontaneo senso di ammirazione. Pensiamo a quante cose si possono imparare da un uomo così, un designer, architetto e docente universitario, appassionato della vita in generale e della conoscenza nelle sue forme più disparate, dalla matematica, alla poesia, alla filosofia alla progettazione basata sulla partecipazione. Che eredità quotidiana, quella di POVERardo Dalisi. Vietato sprecare.

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A simple love

di Andrea Pirruccio

l’amore che si ‘trasmette’ come un virus benefico. la pura bellezza della solidarietà gratuita. l’affetto che travalica le classi sociali. sono alcuni dei temi trattati in uno tra i più bei film dell’anno.

a fianco, la locandina della pellicola diretta da ann hui. nell’immagine grande, i due protagonisti, deannie yip (premiata con la coppa volpi a venezia) e andy lau.

A

nella pagina accanto, in basso, un altro momento del film..

h Tao è una ‘amah’, una domestica che, da oltre 60 anni, presta servizio per una famiglia di Hong Kong, i Leung. Nel corso della sua vita, ha assistito a nascite, morti, ed emigrazioni (le ultime generazioni dei Leung si sono trasferite negli Stati Uniti), fino a ritrovarsi, a più di 70 anni, a prendersi cura del solo Roger, l’unico discendente della stirpe a essere rimasto nell’ex colonia britannica. Il loro rapporto riproduce le dinamiche di quello tra una madre e un figlio: Ah Tao cucina per Roger, si preoccupa della sua salute e gli dedica infinite premure. L’uomo, da parte sua, è felice della tranquillizzante routine che la presenza della domestica gli assicura. Ma quando Ah Tao sarà colta da ictus e in seguito ricoverata in un istituto per anziani, i ruoli si ribalteranno e toccherà proprio a Roger prendersi cura di lei. Diretto da una veterana del cinema di Hong Kong come Ann Hui e recitato da una straordinaria Deannie Yip (presenza costante del cinema hongkonghese già a partire dalla fine degli anni Settanta, e premiata con la Coppa Volpi a Venezia per questa interpretazione) e dal super divo del cinema orientale Andy Lau (che qui rinuncia all’abituale glamour a vantaggio di una recitazione misurata e deliberatamente sotto

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tono), A Simple Life descrive, con asciutta partecipazione e con quella grazia sospesa tipica di certo cinema orientale, quello che il titolo promette: la storia di una persona dalla vita semplice che, destinata a servire gli altri già da bambina, dispensa cure e amore senza nulla chiedere in cambio e che, arrivata al capolinea della propria esistenza, si sorprenderà di essere diventata finalmente lei la destinataria delle premure altrui. E così, senza alcuna forzatura o sottolineatura melodrammatica, lo spettatore è proiettato in una vicenda in cui l’amore si ‘trasmette’ come il più dolce dei virus, in cui la solidarietà è una predisposizione naturale, e dove le differenze di classe (Roger è un produttore cinematografico che ‘sacrifica’ il proprio tempo libero per dedicarlo alle visite all’anziana domestica) non pregiudicano in alcun modo i rapporti umani. Per raccontare il rapporto tra Ah Tao e Roger, Ann Hui sceglie uno stile piano, scegliendo di tenersi alla ‘giusta distanza’ dai personaggi e affidandosi ai piccoli dettagli e alle sfumature minime che affiorano sul volto degli attori. Basti pensare alla scena durante la quale un’ospite della casa di riposo in cui soggiorna la domestica, fa i complimenti alla donna per la fortuna di avere un figlioccio

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(è così che si presenta l’uomo a chi gli chiede quale legame di parentela lo leghi ad Ah Tao) così affettuoso e sollecito nelle visite, a cui fa immediato seguito un fuggevole, appena accennato ma tenerissimo sorriso di orgoglio sul viso dell’anziana donna. Sullo sfondo della vicenda principale, si percepisce uno sguardo sconsolato sulla città di Hong Kong, con le nuove generazioni emigrate in altri Paesi o in procinto di farlo, con le case di cura gestite da trafficoni loschi e poco raccomandabili, e con un sistema sanitario che non permette cure adeguate ai meno fortunati (si veda il personaggio della ragazza costretta a fare le dialisi nella struttura per anziani perché non può ricorrere a una clinica privata). Ma il merito forse più elevato di questo magnifico film, è quello di riuscire a narrare la storia di un lento ma inesorabile avvicinamento alla fine trasmettendo una profonda emozione pur senza mai pigiare sul pedale della commozione ‘telecomandata’, né suscitare tristezza o, peggio, angoscia, forse anche grazie a una serie di episodi delicatamente umoristici disseminati qua e là nel racconto. O forse perché approdare alla morte accompagnati da una persona amata è il coronamento più degno di ogni vita semplice.

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I giochi della XXX Olimpiade, a Londra, sono solo una“scusa”, una tappa a metà percorso nella costruzione di una nuova zona della città realizzata per le generazioni future. La vera vittoria delle Olimpiadi sarà l’eredità duratura che lasceranno.

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al centro. Lo stadio olimpico, Progetto di HOK Spor t , situato in Marshgate Lane a Stratford nella Lower Lea Valley. ha una capacità di 80.000 spettatori e ospiterà le cerimonie di apertura e chiusura dei giochi e le manifestazioni di atletica leggera. a sinistra. la torre simbolo delle olimpiadi londinesi: “ArcelorMittal Orbit” di ani sh kapoor , scultore di origine indiana, ma con attività e atelier a Londra. Con i suoi 115 metri d’altezza, La struttura disporrà di vari ascensori ad alta velocità in grado di trasportare 700 persone all’ora: i visitatori, una volta raggiunta la cima della torre, potranno godere di una fantastica vista mozzafiato sul Villaggio Olimpico e su Londra.

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legacyland di Simonetta Fiorio foto Courtesy Olympic Delivery Authority

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l’ olympic stadium ospita 25.000 posti nella struttura permanente inferiore e 55.000 nella parte alta che sarà rimossa alla fine dei Giochi. obiettivo: evitare di costruire un’enorme infrastruttura difficilmente sfruttabile e quindi a rischio abbandono, Si è preferita così una soluzione “riconvertibile” e di minor impatto ambientale in termini di materiali da costruzione e di consumi energetici (ANCHE CON IL CONTRIBUTO DELL’AZIENDA ITALIANA MAPEI IN PARTICOLARE PER I COLLANTI UTILIZZATI NELLE CORSIE PER LE GARE). L’olympic stadium ospiterà le cerimonie di apertura e chiusura dei giochi e le manifestazioni di atletica leggera. sopra. dicembre 2010. lord Sebastian Coe e David Beckham seguono l’avanzamento dei lavori del nuovo stadio. Lord Coe (ex atleta, due volte olimpionico dei 1500 metri piani) ora è presidente del Comitato organizzatore dei Giochi Olimpici. David Beckham è uno dei pochi giocatori inglesi ad aver giocato più di 100 partite con la maglia della propria nazionale.

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15 vittorie olimpiche. Sono quelle che conta, dal 1896 al 2008, il medagliere “estivo” del Regno Unito. E per i prossimi Olympic Games, quelli giocati in casa dal 27 luglio al 12 agosto 2012, Londra e tutto il Paese ne hanno già vinte, prima ancora che la torcia olimpica (di design, naturalmente! Firmata da Edward Barber e Jay Osgerby) infiammi il braciere, tre e tutte gold medal: per la sostenibilità sociale, per la sostenibilità eco ambientale, per la legacy. Il grande merito è stato quello di mettere al centro dell’interesse la comunità più che le Olimpiadi, evento “usato” in realtà per ottenere, dopo il 2012, una città più vivibile. Tutto è nato nei due anni precedenti la candidatura della città all’evento (risaliamo al 2001) durante la stesura del Bid Book, le motivazioni _ i progetti di supporto politico e della popolazione, delle infrastrutture

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generali, delle infrastrutture sportive, del villaggio olimpico, dell’ambiente, della ricettività alberghiera, dei trasporti, della sicurezza, delle finanze e del riutilizzo futuro dei siti olimpici _ con cui Londra si candidava come migliore sede olimpica per il 2012. C’è un paragrafo, nell’introduzione del Bid Book scritta da Lord Coe (lui, quel Sebastian Coe che negli anni Ottanta, a Mosca e Los Angeles ci ha tenuti incollati alle finali degli ottocento e dei 1500 per le sue incredibili sfide con i connazionali Steve Ovett e Steve Cram, lui, quel Sebastian Coe che ha vinto quattro medaglie olimpiche e ha stabilito otto volte il record del mondo in gare di mezzofondo, diventato poi dirigente sportivo britannico e, dal 2005, presidente del Locog, il comitato organizzatore dei Giochi olimpici del 2012) in cui sosteneva che Londra, attraverso i Giochi, sarebbe stata in grado (ed elencava come) di sviluppare la Lower Lee

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l’ODA, Olympic Delivery Authority, ha deciso di realizzare un “prototipo” di grande evento orientato alla sostenibilità sociale per ottenere, dopo il 2012, una città più vivibile

Valley, l’area col più alto tasso di criminalità e disoccupazione dell’intero Regno Unito. Questa è stata la vera opportunità, la motivazione profonda dell’intero progetto, la ragione per cui Londra ha vinto l’assegnazione delle Olimpiadi e paraolimpiadi estive battendo Parigi. Ma di solito si dice che “tra dire e fare c’è di mezzo”… Questa volta, per fortuna, c’è di mezzo ODA, Olympic Delivery Autority, (l’Autorità Olimpica responsabile dello sviluppo, della progettazione e costruzione dei siti e delle infrastrutture dei Giochi, incluse le attrezzature e i giochi del Parco Olimpico e degli altri siti, così come delle infrastrutture e dei trasporti associati ai giochi) che, per la prima volta nella storia delle Olimpiadi è in carica sia nel pre che nel post evento. “Questo è un punto fondamentale perché si annulla lo scarico di responsabilità finanziarie di passaggio tra una società e l’altra” sottolinea l’architetto italiano Mario

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l’Aquatics Centre, Progettato dall’architetto iracheno zaha hadid , e terminato lo scorso luglio, comprende due piscine da cinquanta metri e una da venticinque dedicata ai tuffi. Le piscine sono dotate di impianto di riciclo dell’acqua e saranno riconfigurabili dal punto di vista modulare in previsione di un uso civico dopo la fine dei giochi. L’impianto mostra una diversità eclatante tra fase olimpica e successivi eventi. Per quattro settimane è richiesta una capienza di 17.500 spettatori ma, in futuro, per una finale mondiale per esempio, serviranno al massimo 2500 posti. Rispetto al progetto originale visibile nel post olimpiade (immagine sopra) sono state aggiunte due ali, due grandi tribune temporanee su impalcature in acciaio che si “infilano” nella struttura permanente (in alto a destra).

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velopark. il velodromo Si trova nel distretto di Leyton ed è stato il primo impianto a essere completato (Febbraio 2011), rimpiazzando il vecchio Eastway Cycle Circuit. Il progetto porta la firma dello studio Hopkins Arc hite ct s che ha disegnato la copertura che ha un peso molto ridotto ed è sorretta da una leggerissima struttura in acciaio, riflettendo la geometria del circuito sottostante lungo un miglio. del legno in cedro rosso canadese riveste la superficie esterna con strategici lucernari e vetrate posizionati per ridurre la necessità di illuminazione e ventilazione artificiali. È dotato inoltre di sistemi di risparmio idrico e raccolta delle acque piovane.

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all’esterno del velopark si trova il BMX Circuit, pista di 470 metri che, al termine dei giochi, verrà ridisegnata. sarà resa adatta a uso della comunità: un nuovo tracciato per mountain-bike e circuito per ciclisti di ogni livello.

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Il nuovo parco urbano creato per le Olimpiadi londinesi. È dai tempi della Regina Vittoria che non se ne costruiva uno così: occupa circa 300 ettari, grazie a un investimento totale di 9,3 miliardi di sterline (di cui solo il 25% sarà speso per il Giochi e il 75% per la fase successiva). La superficie designata per ospitare i Giochi 2012 farà da sfondo “verde” alle gare e dopo il 2012 sarà un nuovo spazio green conquistato dalla città e da chi ama stare all’aria aperta. Nella parte meridionale, i giardini lungo il fiume, i mercatini, gli eventi e le zone ricreative, a Nord uno spazio più “wild”, un’oasi di pace a contatto con la natura. sono Oltre 4 mila gli alberi piantati nel parco, e 300 mila le piante che popoleranno le zone umide del fiume.

Kaiser, per tre anni principal design advisor di ODA “soprattutto dopo il grande evento quando l’interesse del pubblico e dei promotori finanziari svanisce e l’area viene abbandonata perché non ci sono le finanze e non c’è nessuna società interessata a prendersene carico”. Prosegue l’architetto: “la sostenibilità sociale è il nuovo paradigma delle Olimpiadi, non solo di Londra, bensì di qualsiasi grande evento in Occidente. Si tratta di un concetto allargato che comprende anche il fattore energetico per compensare le emissioni. Come si realizza? Con architettura passiva e politiche ad hoc. Ma la vera scommessa è quella della riqualificazione effettiva di un sito critico. Sostenibilità sociale ed economica dunque: diciamo sempre che di una sterlina spesa, 75 pence _ i 3/4 di 6mld di sterline _ vanno alla città che resterà”. Finora ODA ha raggiunto tutti gli obiettivi: a luglio 2010 ha concluso l’attività di progettazione, a luglio 2011 ha terminato il lavoro di coordinamento sul cantiere completando, a un anno esatto dall’inizio dei giochi, l’88% degli impianti e delle costruzioni. Ora ha “ceduto la mano” al LOCOG, il comitato olimpico vero e proprio, e riprenderà in carico, con il nome di Olympic Park Legacy Company, l’area a metà settembre 2012 per trasformarla e donarla alla città a fine 2014.

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Sia i programmi che i budget di ODA sono già stati trasferiti alla Legacy Company. Spiega l’architetto Kaiser: “Dal 2012, terminati i giochi olimpici e paraolimpici, al 2014 la Legacy Company ha il preciso incarico di trasformare l’area che è stata studiata progettata e utilizzata per un evento così grande in qualcosa che sia invece di grande utilizzo per la città: drasticamente si riducono gli impianti. Di 16, quelli olimpici, ne rimangono 4. Rimane lo Stadio ridimensionato, rimane il Centro Acquatico di Zaha Hadid nel suo progetto originale ridimensionato rispetto a quello dei giochi, rimane il Velodromo e rimane l’Arena multiuso. Ad esempio, l’accesso più grande al parco olimpico, che è quello vicino allo Stadio, oggi è un ponte di 40 m che diventerà, nel “dopo”, di 4 m. Tutti gli impianti che abbiamo progettato non sono altro che piattaforme già urbanizzate. Li smonteremo e lasceremo la piattaforma pronta in modo che il privato assieme al pubblico sviluppino le residenze commerciali, il terziario, una parte d’industria, centri multiuso a disposizione di Londra. L’impianto che mostra una diversità eclatante tra fase olimpica e successivi eventi è il Centro acquatico di Zaha Hadid. Per quattro settimane è richiesta una capienza di 17.500 spettatori e poi? Per una finale mondiale, per esempio, servono al massimo 2500 posti. Rispetto al progetto originale allora

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abbiamo ‘tenuto in sospeso’ la chiusura a vetrate prevista dall’architetto iracheno e abbiamo aggiunto due grandi tribune temporanee su impalcature in acciaio che si ‘infilano’ nella struttura permanente. Lo spettatore delle Olimpiadi vedrà un’immagine della stupenda architettura a onda di Zaha Hadid completamente stravolta ma funzionale ai suoi interessi di pubblico di un evento agonistico. In compenso per i prossimi vent’anni i londinesi usufruiranno di una piscina architettonicamente perfetta, a loro misura, senza costi di gestione insostenibili”. Lo stesso discorso vale anche per l’Olympic Stadium, la “coppa di biancomangiare” come l’hanno già soprannominato gli inglesi più “criticoni”. Per le Olimpiadi deve avere una capienza di 80.000 spettatori ma per essere usato in futuro dalla comunità bastano 25.000 posti. “La nostra strategia” prosegue Mario Kaiser “si è basata sul fatto che, al momento del progetto, nessuna squadra di calcio locale (e comunque le recenti dispute tra la squadra del West Ham e i rivali del Tottenham Hotspur si sono concluse con un niente da fare per entrambi) aveva dimostrato interesse per l’uso dello stadio nel post olimpiadi, e quindi abbiamo pensato a un’alternativa: no calcio, sì atletica. E uno stadio di atletica a Est di Londra può avere al massimo un pubblico di 25.000 persone. Stabilito l’uso abbiamo deciso una trasformazione insolita: in

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sezione. Su quest’ area, che in realtà chiamiamo Stadium Island perché è contornata da due canali, ricaveremo lo stadio a mo’ di anfiteatro nel dislivello di terreno che qui è molto accentuato. Quindi tutti gli strati che noi vediamo innalzati oggi nell’Olympic Stadium sono assolutamente provvisori ogni anello è stato costruito bullone su bullone per essere smontato. Struttura metallica, struttura di acciaio delle piattaforme, rivestimento a mo’ di tenda e struttura del tetto? Tutto smontabile. La sfida che abbiamo accettato è stata quella di non trovarci, dopo l’evento, con un fardello di edifici mastodontici, inutilizzati, in aree ritornate desertiche. Giusto, no?”.

Basketball-Arena, un esempio di architettura sostenibile progettato da un consorzio di imprese e studi di architettura come sinclair knight merz , wilkinson eyre archite ct s e kss che si dedicano a progetti di design innovativi che rispettano l’ambiente. Lo stadio ha il pregio di essere stato ideato come una struttura d’acciaio temporanea facilmente smontabile e riutilizzabile in altri luoghi offrendo indubbi vantaggi in termini di risparmio economico e difesa ambientale.

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La sostenibilità sociale è il nuovo paradigma delle Olimpiadi. la vera scommessa è stata quella della riqualificazione effettiva di un sito critico: di una sterlina spesa, 75 pence (i 3/4 di 6 mld di sterline) vanno alla CITTà CHE RESTERà

in primo piano. Handball Arena. Su progetto di Make Archite ct s con Arup & Par tners , si distingue dagli altri impianti per il suo aspetto lineare, pulito e ortogonale. Una scatola semplice ma flessibile e pronta a riconvertirsi per accogliere manifestazioni sportive locali o musicali. La fascia del basamento è interamente vetrata per consentire il più possibile un’illuminazione e una ventilazione naturali e al medesimo scopo si rifanno i lucernari della copertura. Riduzione dei consumi energetici, rame riciclato per i rivestimenti esterni, sedili a scomparsa delle tribune, fa percepire il carattere flessibile e l’eccellente elasticità spaziale di questa struttura.

one planet living Questi sono i numeri delle Olimpiadi, un evento che, da un punto di vista logistico, non ha equivalenti: 17.000 atleti, 2.000 giudici, 5.000 addetti al comitato olimpico e alle federazioni, 20.000 giornalisti, 7.000 sponsor privati. E non ultimi 70.000 volontari. Ci saranno 9 milioni di spettatori e una audience in TV di circa 5 miliardi. Il Villaggio Olimpico si trova nella zona est di Londra, a sette minuti da tutte principali attrazioni del centro città, adiacente a Stratford City importante area di sviluppo commerciale. Sebbene la superficie del Villaggio non sia molto estesa, 30 ettari compresi gli spazi aperti, i corsi d’acqua e gli edifici, gli organizzatori promettono che sarà garantira la più spaziosa sistemazione nella storia dei Giochi. La grande maggioranza dei concorrenti, l’80% di atleti olimpici e oltre il 95% di quelli paraolimpici soggiornerà a 20 minuti degli impianti di gara. Il tutto sarà costruito senza barriere architettoniche per i disabili. La sostenibilità è stata un criterio fondamentale nella progettazione del

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Villaggio Olimpico, dalla selezione dei materiali (per i sistemi di substrato ha partecipato anche l’azienda italiana Mapei) fino alla effettiva costruzione e gestione, il tutto è fatto con l’ausilio di esperti in materia ambientale al fine di garantire le minori emissioni di carbonio possibili, in coerenza con il principio “One planet Living”. Per la prima volta in un evento così grande si parla di tre masterplan: Olimpiadi e Paraolimpiadi; Trasformazione; Legacy. Il secondo è quello dei tre su cui è stata posta una grande attenzione. La novità è che la stessa agenzia governativa che predispone progettazione e realizzazione del sito rimane in carica per altri due anni dopo l’evento, fino a fine 2014, per garantire che il sito si trasformi a uso della comunità. Il parco, alla fine dei giochi, si chiuderà a spicchi (non deve mai rimanere chiuso completamente), per diventare parco urbano ed essere consegnato definitivamente ai quattro borough (distretti amministrativi). Tutto è stato progettato: il prima, il durante e il dopo. l

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Quali messaggi, idee, modelli consegna alla nostra epoca il mondo del progetto? Cosa porta con sé dal passato? Interni presenta le risposte dei più influenti architetti e designer internazionali nella mostra evento alla Statale di Milano.

interni legacy a cura di Antonella Galli

“N

oi siamo come nani sulle spalle dei giganti”, affermava nel 1120 il filosofo Bernardo di Chartres, “così che possiamo vedere più cose e più lontano, perché siamo sostenuti e innalzati dalla statura dei giganti ai quali ci appoggiamo”. Questo celebre aforisma sintetizza le coordinate su cui si muove il progresso: il sostegno dei grandi del passato, e lo sguardo rivolto al futuro. La riflessione che quest’anno Interni propone in occasione del FuoriSalone (la mostra sarà aperta fino al 28 aprile) ruota intorno a questo tema: Legacy, ovvero l’eredità, il lascito trasmesso dal mondo del progetto all’uomo contemporaneo, ma anche il rapporto con i maestri del passato e le consegne da trasmettere alle giovani generazioni. Le installazioni che per Interni Legacy animano la Ca’ Granda, oggi Università Statale milanese (essa stessa meravigliosa eredità architettonica con cui dialogare), rappresentano altrettante ‘lezioni’ magistrali: architetti, designer, creativi, studi internazionali che operano in tutto il mondo – dal

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Giappone, alla Russia, dagli Stati Uniti alla Cina – forniscono la loro personale interpretazione del tema dell’eredità, con progetti che toccano più ambiti, dalle micro-architetture ai modelli astratti, dal landscape urbanistico agli oggetti dell’arredo domestico, all’opera concettuale che lambisce i territori dell’arte. A indispensabile supporto alle installazioni, il contributo dei partner, che hanno messo a disposizione pregiati materiali naturali o prodotti ottenuti da lavorazioni avanzate, competenze tecnologiche e manifatturiere d’avanguardia. E che rivelano, da parte del mondo dell’impresa, il desiderio di sostenere la riflessione progettuale intesa come atto di cultura. I linguaggi impiegati dai progettisti sono molteplici, e ciò rende Interni Legacy un caleidoscopio di idee e suggestioni. Emergono, però, con forza almeno due filoni comuni: da un lato la necessità di una relazione stretta con la natura, benché mediata dalla tecnologia mai fine a se stessa ma mezzo per conservare questa relazione in una civiltà complessa come la nostra; dall’altro, la propensione alla verticalità, espressa in torri e totem, paesaggi montuosi e sculture che cercano il cielo. Uno slancio, una proiezione verso l’alto che fa emergere l’anelito profondo insito nel costruire: la voglia di crescere, di salire. D’altronde, dall’alto le cose si vedono meglio. Parola di Bernardo di Chartres.

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Alcune delle installazioni previste nei cortili e nei portici della Statale di Milano per L’evento Intern i Lega cy: dal 16 al 22 aprile la mostra sarà aperta tutti i giorni fino alla mezzanotte, dal 23 al 28 aprile fino alle ore 21.

Pagina accanto, Uno scorcio notturno dei chiostri della Ca’ Granda, antico Ospedale Maggiore milanese e oggi sede dell’Università Statale, durante la mostra evento organizzata da Interni. In secondo piano, la Torre Velasca, che caratterizza il profilo urbano, realizzata negli anni Cinquanta dallo studio B.B.P.R.

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Ph. Cristina Pica

Nove totem verticali dal profilo ondulato e dalle superfici variegate, realizzati da Elegant Living,si innalzano nel Cortile d’Onore a rappresentare l’oscillazione delle forme tra passato e futuro.

Alessandro e Francesco Mendini

Surface

Sopra: il disegno di Surface, installazione ideata da Alessandro e Francesco Mendini; attraverso nove alti pannelli, realizzati con il parquet di El egant L iving stampato grazie a tecniche digitali, Surface rappresenta le variazioni regolari e oscillatorie delle forme nello scorrere del tempo.

I

l tema dell’eredità come passaggio di patrimoni e consegne tra storia e futuro ha indotto i fratelli Alessandro e Francesco Mendini a una riflessione progettuale astratta sulle forme, intese come entità in continua oscillazione tra le varie epoche. Se le forme attraversano con ritorni e avanzamenti regolari sia il passato, sia il futuro, la loro rappresentazione attuale è simboleggiata da Surface, una scultura totemica astratta e fantastica che costituisce una visualizzazione delle forme estrapolata dall’arco percorso dal tempo. Nove superfici verticali alte fino a 11 metri, disposte come quinte teatrali, compongono un insieme imponente e di grande suggestione grazie ai loro contorni ondulati che richiamano il movimento dell’oscillazione, e alle superfici variegate, che rivelano la veste estetica, mutevole e fantasiosa, delle forme stesse. I visitatori possono attraversarle e immergersi nella scenografia creata dalla composizione, che si modifica grazie al variare della luce nei diversi momenti del giorno. L’installazione Surface ha valenza simbolica e

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visualizza, nello stile calligrafico e raffinato proprio di Alessandro e Francesco Mendini, un’estetica pura e leggera, a cui è abbinato un alto contenuto tecnologico. Le nove torri, infatti, presentano ciascuna una decorazione superficiale differente grazie al materiale utilizzato: un parquet stampato a trasferimento e realizzato con processi altamente specializzati. È prodotto da Elegant Living, azienda appartenente a Samling Group, società malese (quotata alla borsa di Hong Kong) che gestisce risorse di legname sostenibili, produce e distribuisce manufatti in legno. Elegant Living, in particolare, produce pavimenti in legno da oltre 14 anni, ed è stata tra le prime aziende in Cina ad ottenere la prestigiosa qualificazione ambientale FSC dal Forest Stewardship Council. Il materiale impiegato nell’installazione è un multistrato di compensato di eucalipto di 14 mm, su cui è incollata una lamina di betulla cinese di 1 mm decorata con un processo di stampa digitale.

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Un punto di vista sul mondo e un invito a contemplare le cose belle: è il significato dell’elegante struttura in legno e metallo realizzata con Listone Giordano, Marzorati Ronchetti e Publistand.

Belvedere

Ph. Giovanni Gastel

INTERNI•PANORAMA

Michele De Lucchi in collaborazione con Philippe Nigro

il disegno dell’edificio Belvedere ideato da Michele De Lucchi con List one Giord ano , Marz ora ti R onchet ti e Pub listand . in alto, il rendering della struttura in ferro nero con pavimentazioni in frassino termotrattato e pannelli lignei Osb. Le luci sono di Ar te mide .

G

ioca sulla composizione linguistica della parola Belvedere, e sul suo significato, l’installazione omonima di Michele De Lucchi per Interni Legacy: belvedere è un punto di vista su ciò che ci circonda, a cui si accede quando si desidera guardarsi attorno, contemplare e comprendere la realtà. Ma è anche un luogo in cui si va appositamente per individuare e vedere cose belle. Ed è questa la doppia indicazione che l’installazione Belvedere di Michele De Lucchi, posizionata nel Cortile d’Onore, vuole trasmettere: la necessità di osservare il mondo per capirlo e, insieme, di ricercare costantemente la bellezza. Per realizzarla l’architetto e designer creatore di Produzione Privata ha richiamato un’eredità storica, il belvedere dei giardini romantici e dei palazzi barocchi, ripensandolo in forme lineari e pulite, e realizzandolo in materiali senza tempo come il legno e il metallo. La balaustra di osservazione è situata sopra a una struttura che riproduce quattro strati delle curve di livello caratteristiche dei modelli di architettura per la rappresentazione dei rilievi; è realizzata in ferro nero cerato, grazie a Marzorati Ronchetti di Cantù, vera ‘sartoria del metallo’. Sono in ferro anche i parapetti

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per i gradini e il chiosco al livello più alto: qui il ferro nero, dello spessore di soli due millimetri, regala effetti iridescenti ottenuti grazie ad una sofisticata lavorazione alle presse. La pavimentazione del ponte di accesso e della balaustra è in prezioso legno massello di frassino termotrattato (e in tal modo reso più resistente, stabile e durevole), fornito da Listone Giordano, marchio di punta nel settore delle pavimentazioni lignee di alta gamma, mentre le quattro basi sovrapposte sono realizzate con pannelli Osb, composti da scaglie di legno orientate e unite da resine fenoliche, prodotti da Publistand. I faretti Led Naiade di Artemide, incassati nel pavimento, illuminano il percorso di salita e la balaustra di sosta.

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Un monolite ligneo attraversato da feritoie sottili e poggiato su porfido ingabbiato esprime l’attualità dei materiali naturali, originari della Provincia di Trento.

I

Monica Armani

l legame con il territorio e la valorizzazione delle sue risorse, attraverso forme architettoniche primarie e senza tempo, sono il leit-motiv dell’installazione XL Wood ideata da Monica Armani. La progettista, originaria di Trento, affermata sia come architetto (ha firmato a Milano l’originale soffitto-installazione Clouds per Coin e, recentemente, il nuovo department store Excelsior) sia come designer con la celebre serie autoprodotta Progetto 1 e con collaborazioni con i principali brand del settore, ha interpretato il tema di Legacy rivolgendosi alla matrice primaria di ogni progetto, ovvero la relazione con il territorio. L’installazione XL Wood, infatti, richiama il paesaggio trentino a partire dalla forma a torre, elemento architettonico caratteristico della provincia, ricca di castelli, che la Armani ha interpretato in una forma contemporanea, essenziale e rigorosa. La torre poggia su una base realizzata con scarti ingabbiati di porfido, pietra

XL WooD

diffusamente impiegata nel campo edilizio, di cui sia l’estrazione, sia la lavorazione rappresentano campi di eccellenza della provincia di Trento. Il visitatore, salendo sul basamento, può avvicinarsi all’edificio di forma quadrangolare, delimitato da alte pareti (oltre 7 m) costruite con pannelli lamellari in legno massiccio X-Lam, sempre più diffusi nell’edilizia per le loro qualità antisismiche e antincendio. Le pareti sono attraversate longitudinalmente da strette feritoie che consentono ai visitatori di guardare all’interno, dove un sistema di specchi cattura i particolari dello storico portico della Ca’ Granda. Di notte le feritoie si animano facendo uscire piccoli lampi di luce. Legno, pietra e luce sono gli elementi puri con cui Monica Armani ha composto XL Wood, valorizzando materiali locali e abilità professionali.

quattro alte pareti in pannelli lamellari in legno massiccio X-Lam tagliate da feritoie racchiudono specchi e luci con cui interagisce lo sguardo dei visitatori nell’installazione XL Wood, ideata da Monica Armani.

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L’architetto francese invita a una riflessione sulla geometria e la prospettiva, e sugli effetti della tridimensionalità, attraverso un cubo composto da sottilissime lastre di porcellanato tecnico di GranitiFiandre.

Q

uando Antonio Averlino, detto il Filarete, nel 1460 iniziò a scrivere il suo Trattato di Architettura, aveva già tracciato il grandioso progetto della Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore della Milano rinascimentale, oggi sede dell’Università Statale e della mostra Interni Legacy. In quei testi l’architetto e umanista impostò, basandosi su linee prospettiche e geometrie pure, la composizione della città ideale, che avrebbe condizionato le trame urbanistiche per i secoli a venire. A questa teoria colta e raffinata si collega, in linea diretta, l’installazione 3D X1 ideata per Interni Legacy da Odile Decq, Leone d’Oro alla Biennale di Architettura di Venezia nel 1996. L’architetto francese, già autrice del Museo Macro di Roma e, recentemente, dell’Art Hôtel di Pechino e dello splendido ristorante dell’Opéra Garnier di Parigi, propone una riflessione sugli strumenti e i metodi dell’architettura attraverso un cubo di 4,50 m di lato realizzato con 31 lastre sottilissime (6 mm) di porcellanato tecnico di GranitiFiandre, azienda tra le più importanti nella produzione di questo materiale e partner dell’installazione.

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3D X1

Odile Decq Decq multi slice VIEW Odile

l’installazione 3D X1 di Odile Decq è un grande corpo cubico composto da pannelli di sottilissimo porcellanato tecnico di GranitiFiandre e scavato da forme coniche; consente a chi lo osserva l’indagine e la scomposizione prospettica di un complesso volume tridimensionale. Le luci sono di iGuzzini .

I pannelli, posizionati a 15 cm uno dall’altro, compongono un cubo attraversato da morbide cavità a forma di cono: l’effetto per il visitatore è di un continuo cambiamento nella percezione delle forme in base al punto di osservazione. Un affascinante gioco prospettico, una rappresentazione concettuale del dialogo tra il fruitore e la forma stessa dell’architettura, che instaura uno scambio continuo e mutevole con l’occhio che la osserva e la persona che la vive. Le lastre di porcellanato tecnico fornite da GranitiFiandre evidenziano le capacità di innovazione dell’azienda, che ha saputo affrontare le sfide della contemporaneità proponendo prodotti di ricerca, come la linea Active Clean Air & Antibacterial CeramicTM, dalle proprietà antibatteriche e antinquinanti, e la linea Maximum con grandi pannelli (3 x 1,5 m) di spessore straordinariamente sottile (da 3 a 6 mm).

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La figura del monolite rappresenta il punto di partenza della creatività e svela luci in movimento, racchiuse da lastre ceramiche di FMG Fabbrica Marmi e Graniti.

Ph. Enrico Basili per Dogma

Al centro: la torre di oltre 9 m progettata da Massimo Iosa Ghini, fondatore dello studio Iosa Ghini Associati con sedi a Bologna e Milano; è rivestita da grandi lastre ceramiche di FMG Fabbrica Mar mi e Graniti , partner dell’installazione, ed è animata da un gioco di luci led di iGuzzini .

U

Massimo Iosa Ghini

Quattro punti per una torre

n blocco di materiale lapideo grezzo costituisce l’entità naturale che sin dalle origini ha generato nell’uomo il desiderio di scolpire, costruire, creare. Ispirandosi a quest’immagine primigenia Massimo Iosa Ghini, tra i più quotati e riconosciuti architetti italiani in ambito internazionale, ha progettato per Interni Legacy una torre a stelo di oltre 9 metri di altezza che svela un segreto: da un taglio curvo sulle pareti emerge un gioco di luci led a rappresentare il movimento del pensiero. Si tratta di una maglia luminosa a geometria variabile, ottenuta grazie a corpi luminosi a basso consumo di iGuzzini con effetto motion; la base della torre, inoltre, è perimetrata con una balaustra in cristallo illuminata in costa grazie a led. Il monolite rappresenta l’eredità del passato, il mezzo con cui la natura ha saputo accendere la creatività umana, a sua volta simboleggiata dall’effetto luminoso mobile che si scorge all’interno della torre. L’architetto, di origini bolognesi, premiato con numerosi riconoscimenti nel campo dell’architettura e del design e autore del recentissimo IBM Software Executive Briefing Center a Roma, ha scelto di rivestire la struttura della torre con grandi lastre ceramiche di 300 x 150 cm, tagliate e rifinite a laser, prodotte da FMG Fabbrica Marmi e Graniti, partner dell’installazione. FMG Fabbrica Marmi e Graniti è specializzata nella realizzazione di pietre naturali di fabbrica, adatte ai più diversi impieghi, grazie a una tecnologia esclusiva che consente di riprodurre con metodi industriali le varietà più belle di marmi, graniti e pietre naturali in lastre a tutta massa e ad altissime prestazioni (in 80 varietà e 14 finiture e formati). Attraverso la scelta di un materiale industriale che perfeziona e amplifica le possibilità d’uso del materiale naturale, Massimo Iosa Ghini nella sua installazione Quattro punti per una Torre ha voluto sottolineare come l’innovazione tecnologica sostenga il mondo del progetto grazie al continuo ampliamento delle possibilità realizzative.

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La roccia e l’acqua, elementi che rappresentano l’eredità della natura, interagiscono nell’ambito del progetto che incorpora una minipiscina Zucchetti.Kos in un candido blocco di pietra di Payanini.

I

Eau Vive è un parallelepipedo di White rhino e pietra del cardoso di Payanini che ingloba la minipiscina da esterno Faraway di Zucchet ti.K os ; l’interazione tra purissima materia naturale e un raffinato prodotto industriale rappresenta per Ludovica e Roberto Palomba la mediazione tra natura e artificio, propria di un sistema progettuale.

n natura gli opposti si attraggono: la solidità e l’inerzia della roccia sembrano richiamare la mobilità e la fuggevolezza dell’acqua. Affascinati dalla potente sinergia che i due elementi naturali sviluppano se posti in dialogo tra loro, Ludovica e Roberto Palomba hanno scelto di sviluppare questa relazione archetipica nell’installazione Eau Vive, collocata per Interni Legacy nel Cortile d’Onore della Ca’ Granda. Il tema dell’eredità, a cui si ispira la mostra evento, è suggerito in questo caso dalla natura stessa, i cui elementi, dotati di una forza primigenia e pura, sono catturati dal mondo del progetto per essere integrati in un sistema complesso, intelligente e finalizzato allo sviluppo umano. I due progettisti, che nel loro percorso professionale hanno sviluppato sistemi ed elementi di grande successo per lo spazio domestico del bagno, hanno pensato per Eau Vive una piattaforma di White Rhino e Pietra del Cardoso, un monolite quasi metafisico, che accoglie al suo interno una minipiscina a sfioro, simbolo della fonte d’acqua all’interno della roccia. Così una delle immagini più antiche e potenti del

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Ph. Max Zambelli

Eau VIve

Ludovica+Roberto Palomba mondo naturale – la fonte di vita che sgorga dal cuore antico della Terra – viene sintetizzata e mediata attraverso un progetto che valorizza sia i materiali purissimi, forniti dall’azienda veronese Payanini, sia l’elemento di arredo bagno minipool Faraway di Zucchetti.Kos, progettato dagli stessi Palomba. Faraway si caratterizza per l’essenzialità e l’incisività dell’estetica, data dal taglio a pavimento di raccolta dell’acqua, che raddoppia il segno del perimetro della vasca; bellezza e funzionalità condivise con le collezioni di prodotti e sistemi sviluppati da Zucchetti. Kos, punto di riferimento per il mondo del bagno e del benessere. La mission di Payanini, invece, si focalizza sulla ricerca di pietre naturali, sulla selezione delle più rare, dei colori e delle venature più belle e spettacolari di marmi, graniti, travertini ed onici.

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Due alte pareti di marmo bianco ritagliano un percorso geometrico: l’installazione, realizzata con Carrara Marmotec, simboleggia il rapporto che l’architettura instaura con questo nobile materiale naturale. Stephen Apking

One - InTo the VoID

Alexander Sipkes

Stephen Apking

Kent Jackson

Yasemin Kologlu

Top pictures ©Bruce Byers Photography

S

SOM

Skidmore, Owings & Merrill

cavare, estrarre, modellare, costruire: sin dalle origini la relazione tra natura, creatività e architettura ha individuato nella filiera del marmo un passaggio obbligato. Il settore, oggi ad alta specializzazione tecnologica, vanta nel distretto di Carrara una delle eccellenze mondiali. Lo studio internazionale SOM, Skidmore, Owings and Merrill, tra i più affermati nel panorama internazionale (ha firmato, tra l’altro, la torre Burj Khalifa e la Rolex Tower a Dubai), ha interpretato questo rapporto così fecondo attraverso la realizzazione della scultura One - Into the Void, con il contributo di Carrara Marmotec (Franchi Umberto Marmi, Gemeg, Il Fiorino, Italmarble Pocai, Jove, Marmi Carrara, MT&S, Sagevan Marmi, Sam, Sampietro 1927, Savema e Up Group). Due imponenti pareti verticali, costruite grazie alla sovrapposizione di moduli in marmo dello spessore di 10 cm, individuano un percorso stretto e dalle linee spezzate, lungo quasi 5 metri. Il passaggio, candido e misterioso come un varco iniziatico, simboleggia l’estrazione del marmo dalla cava, il vuoto lasciato dall’uomo nelle vene della terra, e il percorso arduo e avvincente della creatività che si misura con la materia. L’installazione, realizzata con la collaborazione di Paolo Armenise e Silvia Nerbi, Studio Zot, appare come una scultura imponente, attrtaverso la luce sapiente di Martinelli Luce. La geometria spezzata delle pareti rende dinamico il percorso interno e pone in contrasto lo spazio vuoto, definito dalle pareti bianche, con l’entità statica di una panca nera, posta al termine del percorso. La collaborazione di Carrara Marmotec con lo

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le pareti di marmo di Carrara che definiscono lo stretto varco sono composte da moduli dello spessore di 10 cm sovrapposti e accostati per una lunghezza di quasi 5 metri. L’installazione One - Into the Void è opera dello studio internazionale SOM (A lato alcuni soci) con il contributo di Carrara Mar mote c la collaborazione di paolo armenise e silvia nerbi, studio zot e l’illuminazione di mar tinel li l u ce.

studio SOM evidenzia il legame di questa fiera internazionale dedicata al settore estrattivo e progettuale del marmo con i rappresentanti più qualificati dell’architettura e della creatività. Durante Carrara Marmotec, che a maggio celebrerà la 31° edizione, il legame del comparto con il territorio si farà ancora più intenso grazie alla seconda edizione delle Carrara Marble Weeks (dal 23 maggio), dense di appuntamenti ed eventi dedicati alla tradizione del marmo.

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Village Mountains

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ianificazione urbanistica e landscape design sono tra le specializzazioni di Standardarchitecture, studio di progettazione con sede a Pechino fondato nel 2001 da Zhang Ke, a cui sono associati Zhang Hong e Claudia Taborda. Ed è alla dimensione progettuale urbana che ha attinto lo studio cinese per sviluppare il tema dell’eredità in architettura: la vita in montagna, considerata dalla cultura cinese un modello equilibrato, dovrà tornare ad essere praticata una volta che lo sviluppo della popolazione mondiale e l’erosione dei terreni agricoli obbligheranno a cercare nuovi modelli. Come i Village Mountains, montagne artificiali alte fino a 600 m, costituite da agglomerati di cellule abitabili e autosufficienti per ciascun nucleo familiare. I progettisti di Standardarchitecture hanno portato ad Interni Legacy la rappresentazione di questo modello urbano futuribile: tre torri di forma organica, che si allungano in picchi lineari e fluidi, alte 4, 5 e 6 metri e posizionate nel Cortile d’Onore, rappresentano un richiamo allo stile di vita legato alla montagna, e nello stesso tempo configurano un modello urbano e paesaggistico prossimo venturo. Le torri Village Mountains sono realizzate con 446 pannelli d’acciaio ultrasottili, di 3 mm di spessore, saldati per ottenere una struttura a nido d’ape autoportante e dipinta di bianco. L’impatto estetico della composizione durante il giorno è quello di una forma astratta e straniante, che con il calare del buio si trasforma in un corpo vivido e animato grazie ad un sistema di retroilluminazione di iGuzzini proiettato su pannelli di plexiglas con cui è rivestita la facciata interna delle torri. Ha contribuito alla realizzazione dell’installazione il brand cinese Camerich, diffuso capillarmente in Cina e in quasi sessanta Paesi del mondo. La sua produzione copre a tutto campo il settore dell’arredo domestico con progetti e ricerche nell’ambito di un lifestyle contemporaneo e raffinato.

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Tre torri autoportanti, in pannelli d’acciaio retroilluminati, realizzate grazie al brand di arredi Camerich, rappresentano un richiamo all’antico stile di vita cinese e una prospettiva di sviluppo sostenibile.

i tre picchi luminosi che riproducono il futuristico modello urbano delle Village Mountains, individuato da Standardarchitecture, studio di progettazione urbanistica e landscape design con base a Pechino. Le ‘montagne abitate’ prevedono una cellula autosufficiente per ogni famiglia (con orto e giardino); partner dell’installazione è il brand cinese Cameri ch .

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l’installazione Photosynthesis di Akihisa Hirata per Pana sonic ; i pannelli solari compongono le fronde tecnologiche di un ideale albero dell’energia pulita, attraverso cui si alimentano fiori a led disposti nel prato e lungo le arcate.

Akihisa Hirata

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PhotosYnthesis

a fotosintesi clorofilliana è l’unico processo biologico in grado di raccogliere l’energia solare: ne cattura una quantità immensa (quasi cento terawatt) e sostiene, in maniera diretta o indiretta, lo sviluppo di tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta. L’architetto giapponese Akihisa Hirata, classe 1971, titolare del pluripremiato studio Akihisa Hirata Architecture Office di Tokyo, ha scelto il processo naturale più comune e straordinario come tema di una simbolica eredità progettuale, rappresentata nell’installazione Photosynthesis realizzata con Panasonic per la mostra evento di Interni. Photosynthesis è un padiglione a pannelli solari che fotosintetizza la luce solare e la trasmette a fiori led sparsi per le gallerie ad arco del chiostro del Cortile della Farmacia, traducendo così in modo spettacolare e tecnologico il processo che avviene in natura. Per Akihisa Hirata, infatti, l’architettura deve condividere con la natura il carattere di entità vivente, animata, mutevole. Questa comunanza di processi e intenti è ben rappresentata dall’installazione realizzata con Panasonic, in cui i

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Ispirato al processo naturale più diffuso sul pianeta, il padiglione a pannelli solari ideato dall’architetto giapponese con Panasonic concretizza il concetto di progetto integrato all’ecosistema.

pannelli solari non sono posati in piano come di consueto, ma montati su supporti in policarbonato trasparente che li fanno assomigliare alle fronde di un albero. È lo stesso Hirata ad affermare che “un futuro creato dall’uomo deve coincidere con l’ordine naturale delle cose, con edifici e città che sono realmente parte della biosfera”, e che della natura assimilano i processi virtuosi di sopravvivenza e sviluppo. In questa direzione agisce senza dubbio anche Panasonic Corporation, gruppo di riferimento a livello internazionale nello sviluppo e nella produzione di prodotti elettronici, che ha concentrato la sua ricerca sulla creazione, l’immagazzinaggio e l’utilizzo efficiente di energia rinnovabile. In questo settore, di importanza determinante per la sopravvivenza del pianeta, Panasonic ha deciso di investire, per arrivare a festeggiare i suoi primi cento anni di vita – nel 2018 – come prima società al mondo nell’innovazione verde dell’industria elettronica.

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Il fiume del tempo incide con i suoi meandri un territorio vergine a bande colorate, costituite da migliaia di moduli in plastiche avveniristiche fornite da Maip.

acopo Foggini, esploratore di forme tra arte e design, quest’anno mette da parte il metacrilato estruso, sua materia d’elezione, per rivolgersi a un nuovo materiale plastico, vivido di colori, malleabile e componibile: è il mezzo con cui dà corpo all’installazione Flysch, attinta dal suo universo immaginifico per tradurre in forme concrete il tema di Interni Legacy.Flysch è un corpo multicolor, come uno stralcio di terra, attraversato dal corso di un fiume che scava un percorso sinuoso tra due rive che mai si toccano: il fiume ricorda lo scorrere del tempo, ma anche il valore della tradizione e i riti delle persone, mentre i colori rappresentano la varietà della natura, le tinte delle foreste, dei deserti e dei mari. Flysch raffigura un mini-universo sintetico, in cui si fondono, attraverso un’immagine evocativa, le due dimensioni in cui è racchiusa l’avventura umana: lo spazio e il tempo. L’opera, fruibile a 360°, è percebile nella sua interezza dal loggiato superiore dell’Università, dove è possibile cogliere la complessità cromatica dell’insieme. Flysch è un termine che deriva dalla geologia e si riferisce a un deposito di rocce di elevato spessore, costituito da materiale detritico: è un evidente richiamo alla tecnica compositiva che caratterizza l’installazione, ovvero l’assemblaggio di 1800 moduli estrusi realizzati per l’installazione. I moduli (nidi), ciascuno di 45x35x20 cm, vanno a coprire una superficie di quasi 600 mq e sono modellati a mano in apposite vasche d’acqua con materiali avveniristici prodotti da Maip (Materiali, Accessori e Impianti Plastici). L’azienda torinese, nata nel 1962, si distingue per la ricerca nel campo dei materiali plastici, sia associandosi a centri di ricerca su progetti che indagano il futuro dei polimeri, sia ampliando la propria gamma di effetti estetici speciali e di compounds con proprietà specifiche, grazie a 30 tecnopolimeri, 2.800 colori di base, 15.000 formulazioni differenti, 90 effetti speciali e 5 tecnologie esclusive.

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Ph. Hugh Findlater

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Flysch

Jacopo Foggini Al centro: l’installazione Flysch di Jacopo Foggini è una visione fantastica che richiama le forme del corso di un fiume attraverso una landa colorata; è composta da quasi duemila moduli di materiale plastico colorato assemblati, prodotti dall’azienda torinese Maip, specializzata in produzione e ricerca sui tecnopolimeri.

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Ph. Aborkin Zakhar

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la sfera in acciaio inossidabile totalmente riflettente, su cui compare una pupilla animata grazie a un sistema di led, ideata dallo studio Speech Tchoban & Kuznetsov con il contributo di Tal tos . A SINISTRA, l’architetto Sergei Tchoban, originario di San Pietroburgo, fondatore dello studio insieme a Sergey Kuznetsov.

Speech Tchoban & Kuznetsov

Architect’s Eye

Lo sguardo dell’architetto interpreta il patrimonio storico, media la realtà e anticipa il futuro: lo rappresenta una sfera riflettente animata da una pupilla mobile, realizzata in collaborazione con Taltos.

L’

eredità del pensiero architettonico consiste nel patrimonio di edifici e installazioni che hanno attraversato i secoli, e si concretizza in disegni, tecniche e materiali che nutrono la cultura e la fantasia dei progettisti. I quali impiegano, come strumento principe del loro creare, la vista; o, meglio, la visione, concetto che assimila alla mera funzione esercitata dall’occhio la valenza intellettuale del pensiero, rivolto verso il futuro. Su questa ampia considerazione si basa l’idea di Architect’s Eye, installazione ideata per Interni Legacy dallo studio russo Speech Tchoban & Kuznetsov con il contributo di Taltos, azienda piemontese specializzata in rivestimenti in pietre naturali ad alto contenuto tecnologico. Sergei Tchoban e Sergey Kuznetsov, partner e titolari del prestigioso studio di architettura Speech Tchoban & Kuznetsov, con base a Mosca, in cui oggi operano più di 120 progettisti, hanno ideato una sfera in

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acciaio inossidabile, completamente liscia e riflettente, posizionata nel Cortile d’Onore della Ca’ Granda. Vera e propria scultura high tech, la sfera è animata, grazie a un sistema a led, dall’immagine di una gigantesca pupilla umana che si rivolge al cielo, oppure ai visitatori, o a terra, modificando sia il colore dell’iride, sia la dimensione della pupilla. All’interno dell’occhio si susseguono immagini di monumenti dell’avanguardia russa che si trovano in stato di preoccupante abbandono: un forte richiamo alla necessità di conservare la propria storia ed eredità culturale. Grazie all’effetto riflettente dell’acciaio, la sfera riproduce e deforma l’immagine del chiostro settecentesco del Cortile, a simboleggiare il processo intellettuale dell’architetto che legge e interpreta le forme straordinarie del passato. La tecnologia, rappresentata dall’effetto mobile della pupilla, è un forte richiamo all’approccio che contraddistingue l’attività di Taltos, partner dell’installazione: l’azienda è specializzata nella realizzazione di lastre in pietre naturali, ampie e sottilissime, rinforzate da resine epossidiche e da supporti in fibra di vetro, di carbonio o acciaio, adatte ad impieghi su aerei e navi o come raffinati rivestimenti di interni e top di arredi.

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Matteo Ragni

eredità, in questo caso, è blasonata: fu Fortunato Depero nel 1932 a disegnare la prima bottiglietta Camparisoda e l’inconfondibile profilo dell’omino colorato che beve l’aperitivo, grazie a una brillante intuizione che siglava un patto indissolubile tra arte, comunicazione e industria. Nel 2012 a raccogliere il testimone c’è il talentuoso designer Matteo Ragni, che firma

Forme fluide e organiche per l’installazione che l’architetto polacco ha ideato con Samsung Cheil Industries.

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Icon Celebration l’ultima versione della celebre bottiglietta e la incorona nell’installazione Icon Celebration, uno scultoreo origami in lamiera alto 3 metri, attorniato da ottanta sagome del celebre pupazzo con l’aperitivo. Ottanta come gli anni di Camparisoda, best seller dell’azienda leader nel settore del beverage e partner dell’installazione con Verallia, marchio del packaging alimentare in vetro del Gruppo Saint-Gobain.

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Flow

econdo Przamyslav “Mac” Stopa, fondatore dello studio Massive Design specializzato nella progettazione di spazi aziendali (tra cui Coca-Cola, Google, Microsoft), ‘il retaggio del passato sono le forme organiche, i disegni e i colori’. Questi sono gli elementi che l’architetto ha voluto riprodurre e reinterpretare in chiave contemporanea nell’installazione Flow: il flusso che dà il nome al progetto è generato da venti pannelli termoformati di Staron che presentano una geometria a onde, semisferica e organica, valorizzata attraverso l’uso di colori contrastanti, dal cioccolato al giallo, dall’arancione al bianco. Una miscela cromatica che evoca gli Impressionisti, ma anche le tinte della grafica e della moda. Solid Staron Surface, materiale di nuova generazione composto da minerali naturali legati con acrilico e caratterizzato da resistenza e flessibilità, è un prodotto di Samsung Cheil Industries, partner dell’installazione.

Sopra: l’installazione ideata da Matteo Ragni per Camparisod a e Veral lia celebra gli ottant’anni della bottiglietta per l’aperitivo monodose con ottanta sagome in metallo rosso raffiguranti il celeberrimo ‘Pupazzo che beve Campari Soda’ disegnato da Fortunato Depero nel 1925. Ph. Michal Gmitruk

L’

Ph. Silvia Agosti

Ottanta sagome in lamiera circondano un grande origami che ospita la celebre bottiglietta dell’aperitivo, nell’installazione realizzata con Camparisoda e Verallia.

Przamyslav “Mac ” Stopa

a lato: una vista dall’alto dell’installazione ideata da Przamyslav “Mac” Stopa composta da venti pannelli termoformati di Staron, prodotti da Samsung Cheil Indus trie s; creano una figura ondulata e organica con colori contrastanti, che richiamano il mondo dell’arte e della moda.

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“Be Open è un progetto a lungo termine, sfaccettato e multi-disciplinare”, dice Elena Baturina, ideatrice della fondazione Be Open creative think tank E DI UNA MOSTRA NELL’AMBITO DI interni legacy.

verge

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ei artisti russi presentano un progetto tra arte contemporanea e design. Il titolo della mostra, Verge, significa proprio questo: linea sottile che permette di afferrare un confine difficile da definire, cioè dove comincia l’arte e dove finisce il design. Oggi queste discipline s’intrecciano e s’influenzano reciprocamente, e l’arte russa contemporanea non fa eccezione. Ed è esattamente per questo motivo che la mostra Verge, nell’ambito di InterniLegacy, trova una sua logica. Infatti, presentando un progetto che si pone al confine fra i due citati linguaggi, vengono assolti due compiti: in primis, si vanifica l’immagine tradizionale della Russia quale Paese di matrioske, artigianato artistico che non è riuscito ad andare oltre il pensiero ‘realistico’ conservatore; secondo, vengono mostrate le ultime tendenze dell’arte contemporanea russa, che significativamente incorpora il linguaggio culturale del design. Di conseguenza, si fa un gran passo verso il futuro presentando, durante il FuoriSalone di Milano, autori attivi sulla scena artistica internazionale, dove la ricerca si fa più complicata e profonda, e permette di promuovere ulteriormente l’opera di giovani artisti e di brillanti designer russi. Verge non propone solamente delle nuove tendenze dell’arte contemporanea confrontata alla ricerca visiva nel campo del design, ma anche una innovativa immagine della Russia: aperta, dinamica,

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opere tra arte e design

interattiva, ambiziosa e profonda. La curatrice della mostra è Elena Selina – una delle curatrici indipendenti e delle galleriste russe più autorevoli, che si è occupata, fin dal suo debutto, di arte russa contemporanea. La sua XL Gallery è una delle più importanti e più consolidate gallerie d’arte contemporanea di Mosca ed ha partecipato a fiere d’arte internazionali. “Abbiamo deciso di essere presenti all’evento Interni-Legacy con la mostra Verge, che mette in luce i migliori artisti russi, le cui opere sono trasversali tra arte e design, e con una serie di conferenze che hanno questo obiettivo: un ‘futuro migliore’, che si riuscirà a prospettare grazie a proposte creative e innovative”. Alla mostra Verge (dal 16 al 28 aprile) partecipano, con sette opere, gli artisti: Irina Korina, Alex Buldakov, Sergej Shekhovtsov, Mikhail Kosolapov e il gruppo Electroboutique (Aristarkh Chernyshev e Alexej Shulgin).

SOPRA, DA SINISTRA, Irina Korina, Process 2 e dettaglio dell’opera (300x200x200). Alex Buldakov, Files (215x260x60). Electroboutique, 3 G Interna tional (150x100x100). Electroboutique, C ross (320x220). NEL DISEGNO di paola navone, il progetto d’allestimento della mostra. QUI A LATO, Electroboutique, Knode (200x150x150).

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Il Centro Ricerca e Innovazione di Italcementi inaugura con la firma di Richard Meier. E invita a Bergamo quattro celebri architetti a illustrare la loro visione sul progetto green e la sua eredità. L’atrio centrale di i.lab, che inaugura ad aprile con un ciclo di quattro conferenze. Richard Meier, autore del progetto, ha previsto nell’atrio centrale, che costituisce il raccordo tra i due corpi di fabbrica, lo spazio per il ricevimento, illuminato da lucernari. L’esterno di i.lab con il tetto aggettante realizzato in calcestruzzo e le pareti vetrate a tutt’altezza. Il complesso di i.lab prevede un’area verde su tre lati dell’edificio.

i.lab, eccellenza sostenibile

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dal punto di vista dei materiali, sia sotto l’aspetto dell’impiantistica e della sostenibilità energetica, grazie ai quali l’edificio concorre al conseguimento del più alto livello (Platinum) della certificazione LEED, sistema di valutazione internazionale dell’impatto ambientale delle costruzioni. Per l’edificazione dile Decq, Zhang Ke (dello studio Standardarchitecture), di i.lab, composto da due ali allungate e convergenti in un vertice, in cui è Mario Cucinella, e Daniel Libeskind sono i quattro big dell’architettura che da collocato l’ingresso principale, è stato impiegato un calcestruzzo bianco a martedì 17 aprile a venerdì 20 terranno ogni giorno una lectio magistralis sul vista, ad alta resistenza, sviluppato da Italcementi appositamente per questo tema ‘Architetture: costruire un’eredità sostenibile’: le conferenze, patrocinate progetto; nel rivestimento esterno dell’edificio è stato utilizzato TX Active®, un da Italcementi nella cornice dell’evento Interni Legacy, si svolgono nella nuova cemento fotocatalitico autopulente e in grado di ridurre lo smog. All’interno struttura i.lab, situata nel parco scientifico tecnologico Kilometro Rosso di di i.lab ha trovato applicazione l’ormai celebre i.light®, il cemento trasparente Bergamo, che ospita il Centro Ricerca e Innovazione Italcementi. Autore che Italcementi ha esibito per la prima volta nel Padiglione Italia dell’Expo di del progetto i.lab è Richard Meier, maestro statunitense dell’architettura Shanghai nel 2010. Tra i materiali innovativi impiegati per i.lab ci sono anche contemporanea, che ha stretto con Italcementi, leader in Italia per la calcestruzzi autocompattanti di nuova generazione e realizzati con materiali produzione di materiali da costruzione, un rapporto consolidato (dalla chiesa riciclati provenienti da demolizioni o scorie d’altoforno. Altro caposaldo per Dives in Misericordia di Roma nel 2003 all’installazione Mutated Panels i.lab è la sostenibilità energetica, ottenuta grazie all’impianto geotermico (51 alla Statale di Milano per la mostra di Interni lo scorso anno). Il complesso pozzi che garantiscono riscaldamento d’estate e raffrescamento d’inverno), a di i.lab presenta aspetti di innovazione tecnologica e progettuale di grande 420 pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica e a 50 mq di rilevanza, strettamente connessi all’evoluzione green dell’architettura, sia pannelli solari termici impiegati per la produzione di acqua calda.

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178 / in service / indirizzi

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DISCIPLINE www.discipline.eu DOMENICO MORI Tel. - Fax 0734679252 www.domenicomori.it info@domenicomori.it DRIADE Tel. 0523818618 Fax 0523822628 www.driade.com communication@driade.com EDRA Tel. 0587616660 Fax 0587617500 www.edra.com edra@edra.com ELEGANT LIVING Tel. +8676088486902 Fax +8676088482337 www.elegantliving.cn elwoodart@yahoo.com ELICA Tel. 07326101 Fax 0732610249 www.elica.com info@elicagroup.com EMPORIUM Tel. 0733671747 Fax 0733870081 www.emporium.it emporium@emporium.it ERBA ITALIA Tel. 039490632 Fax 039491582 www.erbaitalia.it info@erbaitalia.it ESSENTIAL Tel. +32 51265122 Fax +32 51265101 www.essential.be info@essential.be ESTEL Tel. 0445389611 Fax 0445808824 www.estel.com estel@estel.com F.LLI BOFFI Tel. 0362564304 Fax 0362562287 www.fratelliboffi.it info@fratelliboffi.it FLOS Tel. 03024381 Fax 0302438250 www.flos.com info@flos.com FMG - FABBRICA MARMI E GRANITI IRIS CERAMICA Tel. 0536862111 Fax 0536804602 www.irisfmg.com mktg@irisfmg.com Numero verde Italia 800211931 FONTANAARTE Tel. 0245121 Fax 024512560 www.fontanaarte.com info@fontanaarte.com FORNASETTI Tel. 0289658040 Fax 026592244 www.fornasetti.com gallery@fornasetti.com FRABOSK Tel. nr. verde 800 276760 www.frabosk.it emporio@frabosk.it FRANKE Tel. nr verde 800359359 www.franke.it ks-info.it@franke.com FRANKIE MORELLO MAISON Tel. 025405391 Fax 025456340 www.frankiemorello.it info@frankiemorello.it FRATELLI FANTINI Tel. 0322918411 Fax 0322969530 www.fantini.it fantini@fantini.it GAGGENAU - BSH ELETTRODOMESTICI Tel. 02413361 nr verde 800091240 Fax 0241336222 www.gaggenau.it info@gaggenau.it GARAGE MILANO Tel. 0236554764 www.garagemilano.it info@garagemilano.it

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180 / in service / indirizzi

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VECTOREALISM www.vectorealism.com nfo@vectorealism.com VENINI Tel. 0412737211 Fax 0412737223 www.venini.com venini@venini.it VERALLIA - SAINT GOBAIN VETRI Tel. 019 55701 Fax 019 5570351 www.verallia.it VERSACE HOME DIVISION GIANNI VERSACE Tel. 02760931 Fax 0276004122 www.versacehome.it infohome@versace.it VHERNIER Tel. 0254122297 Fax 0254122398 www.vhernier.it info@vhernier.it VIABIZZUNO Tel. 0518908011 Fax 0518908089 www.viabizzuno.com viabizzuno@viabizzuno.com VISIONNAIRE by IPE CAVALLI Tel. 0516569198 Fax 051270544 www.ipe-cavalli.it www.visionnaire-home.it visionnaire.bologna@ipe.it W STARWOOD LEICESTER SQUARE www.starwoodhotels.com WASSERKIMONO DISEGNO CERAMICA Tel. 0761496725 Fax 0761496726 www.disegnoceramica.com disegnoc@disegnoceramica.com WEFAB www.wefab.it ZANOTTA Tel. 03624981 Fax 0362451038 www.zanotta.it sales@zanotta.it ZONCA Tel. 038348441 Fax 0383647336 www.zonca.com zonca@zonca.com ZUCCHETTI RUBINETTERIA Tel. 0322954700 Fax 0322954823 www.zucchettidesign.it marketing@zucchettidesign.it

ERRATA CORRIGE nel numero 66 del Magazine del Design allegato a Panorama è stato pubblicato un indirizzo incompleto. Ci scusiamo con i lettori e i diretti interessati.

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