Interni 645 - October 2014

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INdice/contents oTToBre/october 2014

INterNIews 15

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In copertina: un gioco optical nel segno di Jasper Morrison che rende omaggio alle linee senza tempo del lavabo Bonola, prodotto da Ceramica Flaminia su progetto del designer inglese. La collezione, che prima comprendeva lavabi su colonna e da appoggio, si è da poco arricchita di un vaso e di un bidet sospesi. On the cover: an optical game in the terms of Jasper Morrison to pay homage to the timeless lines of the Bonola washstand produced by Ceramica Flaminia and created by the English designer. The collection, which previously included countertop and column washstands, has recently added a suspended toilet and bidet.

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produzione production Elementi di Architettura/ElemenTS OF arcHITecTure Camini/Fireplaces muro/Wall pavimenti/Floors serramenti/Window and door frames termoarredi/Radiators and heaters vetro/GLass techno furniture soluzioni innovative/Innovative solutions brevi/short takes le curve del design/THe curves oF DesIGn project

nouvelle vague polacca/POLISH NouveLLe vaGue sogni da bauhaus/Bauhaus dreams raiding: la casa della cicogna/THe sTorK’S House la sedia come corpo/The chair as body premi prizes C. scarpa per il giardino/FOR THE GARDEN eventi events carrara marble weeks 2014

showroom

progetti d’autore/Signature projects giovani designer young designers ettore giordano 94 mostre Exhibitions i 150 del mak di/THE 150 Years oF THe MAK in vienna L’appartamento di HÖller a/HÖLLer’s apartment in vienna ugo riva a firenze/in Florence short takes: istanbul design biennal - bob wilson & illy 102 tendenze trends vivere la/Living on giudecca 105 art & design c.ar.d nei/IN THE colli piacentini 91

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INdice/CONTENTS II 107 108

in libreria in bookstores fashion file abiti da lavoro/Work clothes

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info&tech

play the future 112

office&contract anche il bar è smart/Even THe bar gets smarT INservice

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traduzioni translations indirizzi firms directorY

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INtopics 1

editoriale editorial di/by gilda bojardi INteriors&architecture

poli didattici culturali e ospitalità

centers of culture and hospitality a cura di/edited by antonella boisi

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lione, la sede di gl events/Lyon, GL events HQ progetto di/design by studio odile decq architectes urbanistes foto di/photos by roland halbe testo di/text by antonella boisi

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evora, la facoltà di arte e architettura

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School of Art and Architecture progetto di/design by ines lobo ARQUITECTOS foto di/photos by leonardo finotti testo di/text by laura ragazzola 14

aix-en-provence, il conservatorio di musica darius milhaud/Darius Milhaud Conservatory of Music progetto di/design by kengo kuma and associates foto di/photos by roland halbe testo di/text by matteo vercelloni

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ora, ampliamento della scuola elementare

elementary school addition progetto di/design by modus architects con/with bergmeisterwolf foto di/photos by oskar da riz testo di/text by laura ragazzola

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dunkerque, la sede del frac/Dunkirk, FRAC facility progetto di/design by lacaton & vassal architects foto di/photos by philippe ruault testo di/text by matteo vercelloni

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new york, row hotel progetto di/design by gabellini sheppard associates foto di/photos by michael kleinberg testo di/text by alessandro rocca

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parigi, il nuovo molitor by mgallery

paris, the new Molitor by MGallery progetto d’interni di/interior design by jean-philippe nuel/agence nuel foto di/photos by gilles trillard testo di/text by antonella boisi

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INdice/CONTENTS III

INsight INscape 44

biennale ma non biennale/but not Biennial di/by andrea branzi

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INexhibition

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fra memoria e innovazione

Between memory and innovation di/by francesco massoni

INdesign INcenter 48

tavole in galleria/Tables in the gallery di/nadia lionello foto di/photos byemanuele zamponi

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illusioni materiali/Material illusions di/by elisa musso foto di/photos by miro zagnoli

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ceramic style/cErAmIc sTYLe di/by Danilo Signorello INprofile

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felice limosani, creativitĂ caleidoscopica Kaleidoscopic creaTIvITY di/by Cristina Morozzi INproject

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libere abluzioni/Free ablutions di/by Maddalena Padovani INview

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tanti cari saluti/very best wishes di/by Valentina Croci

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tangible graphics di/by stefano caggiano INproduction

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abitare il marmo/Living with marble di/by katrin cosseta

INservice 92

traduzioni translations

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indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi

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INtopics / 1

EDiToriaLe

I

l presente torna ancora una volta a confrontarsi con il passato: nell’architettura, nel design, nello stile dell’abitare, secondo differenti visioni progettuali comunque tese a fare della storia e dell’esistente lo spunto per soluzioni inedite per la città e il vivere quotidiano. A Lione, Odile Decq si rapporta alla memoria industriale dell’area dei dock disegnando un’ardita struttura in ferro e vetro che evoca l’identità e le suggestioni del luogo. Nel nord della Francia, Lacaton & Vassal Architects attuano il recupero di un edificio portuale mediante la sua ‘clonazione’; a Parigi, i grafismi e le decorazioni a parete permettono a Jean-Philippe Nuel di creare un dialogo tra l’architettura art déco delle piscine Molitor e i nuovi spazi di un hotel a cinque stelle; mentre in Alto Adige, la scuola progettata da Modus Architects assume la sperimentazione linguistica come uno strumento d’innesto dei nuovi volumi sul tessuto urbano. Passando al mondo del design, la storia e l’identità dei luoghi diventano oggetto di ben altro genere di progetti: quello dei souvenir da viaggio, che da oggetti kitsch si trasformano in occasioni di ricerca espressiva e tipologica. Una sorta di transfer che Diego Grandi attua, invece, sul piano funzionale: dalle lampade snodabili di Le Corbusier e Charlotte Perriand il designer prende ispirazione per reinventare il modo di fare la doccia. Infine, la rassegna dei prodotti novità in marmo racconta come un materiale di tradizione millenaria si proietti nel futuro. Protagoniste sono inedite soluzioni per superfici e arredi realizzate grazie a tecnologie di lavorazione d’avanguardia e nuovi processi di recupero. Gilda Bojardi Aix en Provence, Conservatorio di Musica e Danza, progetto di Kengo Kuma. Foto di Roland Halbe.

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La copertura vetrata, segnata dalla cornice rosso arancio, del volume in aggetto lungo 28 metri, che rende rappresentativa la permeabilitĂ tra architettura e ambiente, anche quando lo si vede dal sotto, passeggiando lungo il fiume.

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A Lione, nei Docks di Quai Rambaud, la sede della GL EVENTS: un’architetturalandmark, ardita struttura in ferro e vetro, aperta al dialogo con il paesaggio industriale di questa porzione urbana rivitalizzata, che vive in stretta simbiosi con il fiume

Total trasparency progetto di studio Odile Decq architectes urbanistes foto di Roland Halbe testo di Antonella Boisi

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VIDE CENTRAL

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eone d’oro alla Biennale di Architettura di Venezia del 1992 e Médaille de Vermeil et d’Honneur de l’Académie d’Architecture, dallo scorso giugno, a riconoscimento di un percorso creativo che spazia dall’architettura all’interior design fino all’arte contemporanea, Odile Decq, la punk chic del design francese non smette di stupire. Questa volta è di scena a Lione “Una vera città europea, dalla fortissima vocazione internazionale” ha detto, con la nuova sede della LG Events. E molto a breve lo sarà con un altro progetto in cui crede molto: la sua scuola (è tra i soci fondatori), Confluence, il sogno che l’architettura sia sempre più trans-disciplinare, basata sull’interazione, e in grado di produrre una nuova generazione di architetti del Rinascimento, umanisti. Ma questa è un’altra storia. Il sogno di esprimere le potenzialità aerodinamiche delle architetture in acciaio (su base di cemento) è, invece, già diventato realtà negli 8.300 mq del padiglione numero 8 dedicato agli uffici e agli spazi di organizzazione eventi del gruppo LG. Costruito tra due fiumi, il Rodano e la

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Saône, nel rivitalizzato sito strategico dei Docks di Quai Rambaud, in precedenza occupato da stabilimenti industriali e, dal 2003, oggetto di una grande opera di riqualificazione urbana, al fianco di strutture culturali e realtà di ricerca e istruzione superiore, l’edificio è un compendio di levità, poesia figurativa e precisione tecnica ingegneristica. In altre parole, un intervento altamente specialistico nel processo realizzativo, ma concepito all’interno del quadro di grande apertura culturale della sua deux ex machina.

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“Ho sempre sentito un grande senso di responsabilità di fronte all’atto di progettare” ha spiegato “che, rispetto ai contesti e ai bisogni sociali di riferimento dati, equivale a trasformare, realizzare innesti e affrontare inevitabili perdite”. Qui, nella fattispecie, la perdita sarebbe stata quella dell’ambiente, naturale e artificiale, cresciuto nel corso del tempo lungo il fiume, e del genius-loci, memoria del passato industriale di una città e di una collettività, cancellato dalla fisicità impattante del nuovo corpo architettonico.

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HABILLAGE ACIER INOX

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PAROI BÉTON PEINT

HABILLAGE ACIER INOX

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SANITAIRES 40619M2 HSP 2,80

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ISSUE DE SECOURS 1UP

PORTES PF 1/2H+FP

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PORTES PF 1/2H+FP

L’architettura esterna della sede di GL Events nei Docks di Quai Rambaud, definita dalla composizione di due parallelepipedi sovrapposti, ma non del tutto perpendicolari, con struttura metallica e doppia facciata ventilata. Nel vetro delle facciate sono state integrate quattro vedute della città riprese dall’alto, contributo artistico di Felice Varini, che formano una singolare pellicola di foto in bianco e nero, tra effetti di opacità, rappresentazione e trasparenza.

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PORTES PF 1/2H+FP

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PF 1/2

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Nel disegni: due sezioni e la planimetria dell’insediamento.

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STABILISÉ

MUR

Uno spazio interno di incontro. Pavimento in resina grigia, poltroncine Phantom Chair (2011) di Poltrona Frau e luci a sospensione Pétale (2012) e Javelot (2010) di Luceplan, su disegno di Odile Decq.

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STABILISÉ

N PATCHWORK ~ 164.60

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BÉTON NEUF

VOI POMPIERS

PATCHWORK

BÉTON PREFABRIQUÉ BANC/MARCHE

BANC

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Fluidità, trasparenza e accenti rosso arancio degli spazi interni declinano il contrappunto dinamico alla maestosa struttura tridimensionale di doppie travi incrociate, sorretta da tre grosse colonne di acciaio, guida della composizione architettonica. La zona lavamani di un bagno, con arredo su disegno in Corian® DuPont. Lo spazio operativo di un ufficio, con tavolo e sedie di Vitra. Nella pagina a fianco, scorcio della promenade architecturale interna formata dai flessibili open space articolati sui vari piani intorno all’atrio a tutt’altezza, concepito come il fulcro di monitoraggio dei ‘movimenti’ attraverso l’intero edificio.

Sarebbe stata, perché di fatto il manufatto, grazie alla robustezza quasi muscolare della ruvida struttura metallica si presenta nell’involucro, definito da una doppia facciata dinamica ventilata, completamente vetrato e dalla rarefatta consistenza, proteso come un balcone belvedere sul corso d’acqua limitrofo: un landmark, un’architettura-paesaggio che segna la nuova geografia del tessuto urbano, mantenendo uno stretto legame con la storia del sito; un manifesto in cui si fondono le intenzioni dei committenti e quelle della progettista. Sospeso su un’enorme struttura tridimensionale di doppie travi incrociate, sorretta da tre grosse colonne di acciaio, il nuovo padiglione si compone di due parallelepipedi sovrapposti, ma non completamente perpendicolari, per sei piani di sviluppo complessivo. L’accento ritmico rispetto al fronte trasparente e compatto è dato da uno sbalzo in aggetto lungo 28 metri dei quattro livelli sovrastanti che risolve il nodo del suo sviluppo longitudinale, affermandone l’impronta rappresentativa, con un escamotage: una copertura in vetro trasparente coronata dal segno di una cornice rosso arancio che rende esperibile la progressiva scoperta del volume e dei suoi contenuti, anche quando lo si vede dal sotto, passeggiando lungo il fiume. Tutte e quattro le facciate continuano poi il gioco dell’interfaccia permeabile tra architettura e ambiente, alimentando una singolare texture in tensione tra opacità e trasparenza, grazie al contributo artistico di Felice Varini. Nel vetro sono state infatti inserite, con una particolare tecnica, quattro vedute della città riprese dall’alto, come una pellicola di foto in bianco e nero che restituisce le direzioni del paesaggio erose dalla presenza dell’edificio. La copertura piana terrazzata a celle fotovoltaiche diventa infine il palcoscenico per eccellenza sullo scenario urbano, aprendosi a liberi sguardi e molteplici punti di osservazione, riservati ai lavoratori della GL events e ai loro ospiti. Negli spazi interni il mood non cambia: “Il principio di base che ha guidato il design, su precisa richiesta del committente, è stato ancora la trasparenza totale” ha spiegato Odile Decq. Così, in una promenade architecturale di flessibili open space articolati sui vari piani intorno all’atrio continuo a tutta altezza – concepito come il fulcro di monitoraggio dei ‘movimenti’ attraverso l’intero edificio – protagonisti della messa in scena, insieme a una luce tagliente che penetra copiosamente in ogni anfratto, diventano muri divisori completamente vetrati e glass boxes

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che delimitano piccole sale riunioni collocate sugli angoli trasparenti perimetrali. “Nell’essenza, sono stati gli elementi primari per immaginare la dimensione di una rete dinamica e fluida, una sorta di hub all’insegna della circolarità e della condivisione della comunicazione”. E, con estrema coerenza sul piano visivo, anche la tavolozza matericocromatica è stata orientata a dipingere un’uniformità che evoca l’identità e le suggestioni del contesto, privilegiando massello di quarzo, resina e moquette per le finiture interne degli ambienti, durevole Corian per gli arredi fissi e

una palette di tonalità grigio scuro. Unico contrappunto dinamico: quel rosso arancio e vitaminico prediletto dall’architetto bretone, già introdotto in esterno per la cornice del volume a sbalzo (e di fortuita coincidenza anche colore del logo della GL Events), che ritorna sulle poche pareti opache trattate come fondali e nei selezionatissimi arredi delle caffetterie al primo e terzo livello, della cucina gourmet al quarto e del bar sul tetto. Ossia in tutti gli spazi di socializzazione e di incontro informale all’interno della vita lavorativa. Che in questo luogo non vuole essere assolutamente grigia.

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Il passato si proietta nel futuro A

Ăˆ lo slogan che riassume il progetto della FacoltĂ di Arte e Architettura di Evora, in Portogallo. Dove i volumi di un’archeologia industriale possente dialogano felicemente con il segno contemporaneo di edifici costruiti ex novo. Nel nome della storia

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progetto di Ines Lobo Arquitectos foto di Leonardo Finotti testo di Laura Ragazzola

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Nella pagina a fianco: il nuovo e l’antico s’incontrano nel progetto della nuova università portoghese. L’edificio contemporaneo in metallo dalla forma allungata (è visualizzato in nero nelle sezioni in basso) si raccorda al volume dell’ex pastificio con un secondo corpo più basso dalla copertura arrotondata, che disegna una elle (qui e a fianco): il primo, che ha uno sviluppo su tre livelli, ospita, nell’ordine, la maxi aula della scultura, le ‘room’ per gli audiovisivi e le stanze dei professori; il secondo, invece, è adibito a caffetteria.

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Qui sopra, il nuovo ingresso alla Facoltà universitaria: una scala in cemento raccorda i tre nuovi livelli; sul fronte più lungo è stata ‘ancorata’ una pensilina, che ricorda quelle in uso negli spazi industriali per il riparo del carico/scarico merci: oggi serve, invece, per creare un volume ipogeo di relax per studenti e professori. Nella pagina a fianco in alto, un corridoio di raccordo nell’ala nuova: tutti gli impianti sono a vista per facilitarne la manutenzione e, contemporanemente, conservare le tracce del passato industriale dell’edificio. La grande aula che si sviluppa al piano terreno del nuovo edificio è dedicata alla scultura e alla pittura: la luce entra generosa dalle finestre a nastro che corrono su entrambi i lati dell’ambiente. All’estrema destra le piante del piano terreno e del primo livello.

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alle mura seicentesche della bellissima città di Evora, una sorta di ‘museourbano’ che l’Unesco ha proclamato patrimonio dell’umanità, balza subito all’occhio l’architettura dell’antica fabbrica Leõe (prima mulino poi pastificio) per le sue generose dimensioni, che s’impongono bruscamente sull’area pianeggiante intorno alle antiche fortificazioni. “Che fare di lei?” si è più volte chiesto il Comune di Evora, quando l ‘attività cessò alla fine degli anni Settanta. Presenza ingombrante del territorio, ma contemporaneamente testimonianza preziosa della storia cittadina, la fabbrica nata nel 1916 come maxi deposito per la farina e la sua lavorazione, ha trovato nuova vita alla fine del 2010: dopo decenni di abbandono i suoi spazi di lavoro sono stati, infatti, trasformati in luoghi per l’insegnamento. Complice un bando di concorso vinto (anzi stravinto) dallo studio dell’architetto portoghese Ines Lobo, balzata recentemente sulla scena del progetto internazionale quale vincitrice dell’ArcVision Prize — Women and Architecture 2014, l’importante riconoscimento voluto da Italcementi Group per premiare l’eccellenza architettonica al femminile. Ma Ines Lobo nel suo Paese vanta già una storia professionale

importante, soprattutto nell’ambito dell’edilizia scolastica. “Vincevo tutti i bandi di concorso” ci rivela divertita la progettista che abbiamo incontrato in occasione della sua premiazione presso il Centro di Ricerca e di Innovazione di Italcementi Group a Bergamo, lo scorso aprile. “Sin dall’inizio della mia attività — ho aperto il mio studio a Lisbona alla fine degli anni 2000 — mi sono concentrata sugli spazi pubblici. Nel giro di pochi anni l’attività è aumentata (e con essa anche i collaboratori) grazie soprattutto alla partecipazione ai concorsi promossi dal Governo portoghese per la riqualificazione degli edifici scolastici. Ce ne siamo subito aggiudicati quattro: eravamo chiamati a reinventare la scuola del futuro. Come? Recuperando spazi, storia, memoria, partendo da quello che esisteva già. In altri termini, il nostro slogan era (ed è): il passato si proietta nel futuro per riutilizzare senza disperdere, aggiungere senza sprecare”. Proprio come è successo recentemente nel progetto della Facoltà di Arti e di Architettura di Evora che, per dirla con le parole della progettista “si è adattata alla fabbrica esistente e non viceversa”.

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Chiarisce la Lobo: “Abbiamo voluto riutilizzare gli spazi già presenti, un patrimonio pieno di storia e di bellezza, perché penso che il progetto sia continuità, e cioè comporti un processo di rifacimento degli stessi elementi. Ma lì, fra i possenti muri di quello stabilimento, mancava da molto tempo la vita: noi l’abbiamo riportata con i nuovi laboratori, le aule, la mensa, gli studenti, i professori… Perché l’architettura è un contenitore di vita e di persone: è questo il suo miracolo”.

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A sinistra il terzo livello del nuovo edificio con le ‘room’ dei professori servite da un lungo corridoio: si affaccia sulle mini aule degli audiovisivi del piano sottostante. In basso, uno dei laboratori della Facoltà di Architettura ritagliato nei volumi esistenti dell’ex fabbrica. Nella pagina a fianco la scenografica aula lettura della biblioteca con pareti modulari realizzate con pannellature in metallo appese al colmo del tetto: siamo negli spazi della vecchia fabbrica. Gli arredi sono low cost realizzati su misura con legno riciclato.

Il disegno vincente del progetto è stato quello di interpretare, con uno sguardo diverso, la ricchezza e la complessità del luogo e del costruito, lavorando per sottrazione, prima, e per addizione, dopo. Per prima cosa, infatti, gli edifici annessi nel corso degli anni, volumi caratterizzati da un’architettura povera che ignorava la vera natura dello stabilimento, sono stati rimossi. “Il fatto è che siamo andati controtendenza rispetto alle indicazioni del bando”, precisa a questo riguardo la Lobo, “che prevedeva il riuso di tutti i volumi, anche quelli aggiunti (ben quattro) durante la fase di crescita dell’attività produttiva della fabbrica. Noi abbiamo deciso di rinunciarvi, con un risparmio economico tra l’altro notevole, proponendo invece il recupero completo del corpo più antico del pastificio: il cuore della vecchia fabbrica è diventato così il cuore della nuova università”. Un nuovo volume (“lo abbiamo soprannomiato TGV perché ricorda un treno”, ci ha raccontato la progettista) ha sostituito i quattro vecchi edifici: combina metallo e cemento, perché anche da questo punto di vista il progetto ‘riusa’ i materiali del territorio, quelli disponibili, cioè, a km zero. Non solo. Il ‘TGV’, che funzionalmente lega il vecchio al nuovo, propone dal punto di vista formale un linguaggio che si ispira direttamente a quello dell’architettura industriale, come chiarisce la Lobo: “Si impara sempre dall’esistente per costruire il contemporaneo. A Evora, infatti, abbiamo individuato strategie vincenti, ‘ereditandole’ dal vecchio stabilimento per poi riadattatarle all’edilizia scolastica. Un esempio concreto? Le grandi pensiline che proteggevano le banchine ferroviarie nelle aree di scarico e carico, che abbiamo riproposto nella nuova realtà universitaria per riparare studenti e professori, creando un punto di incontro e di vita. Ecco un’ulteriore conferma di come l’architettura del passato riguardi in modo diretto la contemporaneità. Anche nel più rivoluzionario dei progetti”.

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Ad Aix en Provence in Francia il nuovo Conservatorio di Musica e Danza Darius Milhaud, dedicato anche al teatro, conclude la formazione del forum culturale della città . Con il nuovo edificio di Kengo Kuma, dalle facciate in allUminio lavorate che creano un gioco di luci e ombre, il sistema urbano del polo didattico completa l’offerta di tutte le discipline artistiche

progetto di Kengo Kuma and Associates foto di Roland Halbe testo di Matteo Vercelloni

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Vista del fronte principale, che si affianca al Pavillion Noir di Rudy Ricciotti lungo l’Esplanade Mozart. Il rivestimento di alluminio, lavorato come un origami architettonico, produce un gioco di ombre che segue la luce del giorno. Il taglio degli angoli di appoggio concorre a dare un senso di leggerezza al volume complessivo, organizzando sulla destra l’ingresso principale.

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Alcuni scorci del trattamento compositivo delle facciate e dell’aspetto tridimensionale della pelle architettonica. Nella pagina a fianco, l’interno di una delle sale di prova.

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fianco del Pavillon Noir di Rudy Ricciotti, di fronte al complesso del Gran Théatre de Provence di Vittorio Gregotti, il nuovo Conservatorio di Musica e Danza dedicato al compositore francese Darius Milhaud (1892-1974) completa in modo esaustivo il disegno urbano dell’Esplanade Mozart, asse centrale di questa parte del forum culturale cittadino. Nel progettare l’involucro esterno di questo edificio Kengo Kuma ha lavorato con un unico materiale, l’alluminio, per scandire il volume complessivo, sorta di parallelepipedo che sfrutta il dislivello del terreno verso il giardino. L’edificio è declinato in modo scultoreo sia a livello di pelle architettonica, sia a livello perimetrale, con dei forti tagli angolari inclinati per creare l’ingresso principale e per dare l’effetto di leggerezza nell’appoggio a terra sul lato opposto. La superficie delle facciate, nella sua complessa trama tridimensionale, ricorda la tecnica giapponese dell’origami, con andamenti geometrici in aggetto in grado di creare un affascinante gioco di ombre e riflessi che enfatizzano il ritmo della giornata e i colori delle stagioni.

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In senso antiorario: vista della sala concerti e del suo foyer, la scuola di danza.

Nella pagina a fianco: la scala distributiva che si sviluppa lungo la facciata vetrata a sud verso il giardino. Il disegno del controsiffitto ligneo simula a livello architettonico il ritmo di una partitura musicale.

Come afferma lo stesso Kuma: “Gli elementi principali della facciata sono dunque la luce e l’ombra, piuttosto dell’alluminio. In questo senso ci siamo ispirati all’opera di Paul Cézanne, il grande artista della Provenza, insieme all’arte giapponese dell’origami”. L’ombra diventa così il mutevole e improprio materiale che disegna e scolpisce l’immagine del Conservatorio secondo la diversa intensità della luce del giorno. “In verità, non esistono né segreti, né misteri: tutto è magia dell’ombra” scriveva Junichiro Tanizaki nel suo libro In Ei Raisan (Elogio dell’Ombra, 1935). I tagli, il gioco di aggetti e le aperture, l’andamento verticale del disegno del fronte principale affacciato sul percorso pedonale e

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quello a fasce orizzontali più compatto della facciata di altezza maggiore rivolta verso il giardino, ricordano anche nell’insieme i ritmi di una partitura musicale, i suoi contrappunti, i suoi sistemi e accollature, diventando così simbolo e riuscito specchio architettonico del contenuto e delle attività dell’edificio. Negli spazi interni, disposti su una superficie complessiva di circa 7.400 mq. oltre 1.400 studenti popolano le 62 aule, le 15 sale di prova individuale e le 5 di pratica collettiva. La sala concerti da 500 posti, una delle poche in Francia ad essere attrezzata per concerti d’organo, offre un’acustica di alto livello ottenuta anche dalla lavorazione architettonica parietale, dalle pieghe

volumetriche del suo guscio sonoro che riprendono il tema delle facciate. Altre soluzioni compositive negli interni rimandano a temi legati alla musica, alla danza e al teatro, come nel trattamento ‘plissettato’ del disegno dei controsoffitti e dei fronti interni del foyer, a fasce alternate aggettanti di legno chiaro. Afferma Kuma: “Nel Conservatorio ho conosciuto le differenze dei materiali, delle forme e delle ombre che simboleggiano le note di una partitura e l’ampia varietà degli strumenti musicali”.

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Un fiore di scuola

A Ora, in Alto Adige, due nuovi volumi s’innestano come gemme della modernità nel corpo di uno storico edificio scolastico. Memoria più nuovi linguaggi. A misura di bambino

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progetto di MoDus Architects con bergmeisterwolf foto di Oskar Da Riz testo di Laura Ragazzola

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o scorso settembre, quando gli alunni sono entrati nelle loro nuove aule piene di luce (e di fiori, inaspettatamente scolpiti sulle pareti) erano felicissimi. Anche i genitori e gli insegnanti ne hanno subito condiviso l’entusiasmo, perché lì, in quell’edificio così bello dall’architettura un po’ severa, vi avevano studiato insieme a generazioni di scolari del comune di Ora, tranquilla località vinicola alle porte delle Dolomiti. L’ampliamento della scuola elementare, infatti, è stato realizzato ‘innestando’ due nuovi volumi sulle pareti cieche dell’edificio originario, senza stravolgerne il carattere rievocativo e identitario, ma infondendovi nuova linfa e vitalità.

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A sinistra, una veduta della scuola elementare su progetto di MoDus Architects con bergmeisterwolf, entrambi studi di progettazione altoatesini. Le due nuove ali, aggiunte sui lati ciechi dell’edificio, accolgono le scuole di lingua italiana (primo piano) e di lingua tedesca (piani secondo e terzo). Sotto, la pianta del piano terreno: in nero i muri dei due ‘innesti’. Il candore dei volumi aggiunti contrasta con la texture materica dell’edificio antico. L’effetto visivo è ulteriormente enfatizzato dalla presenza di maxi fiori bianchi che punteggiano le facciate.

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Ed è proprio questa capacità di guardare al passato e al futuro, di parlare con voci diverse a persone (e culture) differenti, la cifra distintiva dello studio altoatesino MoDus Architects, alias Matteo Scagnol e Sandy Attia: coppia anche nella vita, meno di novant’anni in due, studi alla Harvard University (dove si sono incontrati) ma formatisi in Paesi culturalmente lontani (lui è triestino, lei egiziana), condividono dal 2000 un’intensa attività professionale e, soprattutto, moltissimi premi e riconoscimenti a livello internazionale. Ultimo, in ordine di tempo, la partecipazione alla mostra-ricerca del Padiglione Italia dal titolo “Innesti. Il nuovo come metamorfosi” in occasione della Biennale veneziana. Un tema assolutamente familiare al linguaggio compositivo dello studio altoatesino, come testimonia il progetto dello scuola elementare di Ora (condiviso con Gerd Bergmeister e Michaela Wolf, giovani ed emergenti progettisti di Bressanone), dove proprio l’innesto, l’aggiunta di nuovi corpi come una sorta di meccano, ne ha risolto l’ampliamento per far fronte alle nuove esigenze della comunità. “Serve sempre partire da un’idea forte a priori, da un ‘fundamental’, da una soluzione architettonica ben vagliata, che abbia una sua personalità, un’identità certa” ha esordito l’architetto Scagnol quando lo abbiamo incontrato all’Arsenale, a Venezia.

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In alto, l’atrio con il guardaroba destinato ai bambini per ‘una scuola senza scarpe’, consuetudine molto diffusa nei Paesi di lingua tedesca (questa scelta ha consentito l’uso del parquet in rovere per il pavimento di tutto l’edificio). In basso il corridoio del primo piano che si raccorda con l’apertura di collegamento all’edificio antico (sulla destra).

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La scala dell’ala Est che regola l’accesso alle aule del primo piano della scuola tedesca. Ritorna il motivo decorativo dei fiori, qui ‘scolpiti’ sulle pareti in cemento.

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A fianco, una delle aule del terzo piano. Si intravvede il corpo-scala in legno che porta alla ‘cupola’, uno spazio mansardato che viene usato dai bambini come una sorta di ‘soffitta segreta’ (sotto a sinistra)

“Certo, il contesto dove il progetto prende forma e cresce, è importante: serve studiarlo, analizzarlo, ma per noi non è mai il punto di partenza. Per chiarire meglio questo concetto prendo sempre come esempio un viaggio che ho fatto negli Stati Uniti, da Los Angeles a San Francisco, lungo la Big Sur, una strada panoramica sull’Oceano che passa ora alta sulla scogliera, ora piega, invece, verso l’interno. Bene, alberi bellissimi, tutti della stessa specie, punteggiano il paesaggio ma succede che quelli affacciati sul mare sono contorti, piegati e provati dalla forza del vento, mentre quelli più all’interno sono alti e maestosi e vantano fronde simmetriche, ben disegnate. Tuttavia,” continua l’architetto “il seme che ha dato la vita a quegli alberi è sempre lo stesso: in altri termini, nel progetto avere un’idea forte significa trovare ‘il seme’ dell’architettura, che poi quando cade si deforma, si trasforma, esibendo modifiche e cambiamenti”. Non si può ignorare che il segno forte, quello di un oggetto autonomo, vivo ma soprattutto ‘diverso’, può essere sostituito da un’architettura che decide di celarsi, ‘annullarsi’ nel paesaggio o nel costruito. “La modestia di fare un passo indietro è sempre un’ottima soluzione, ma noi siamo giovani e ci piace lavorare sul contrappunto. Forse perché conserviamo ancora una certa dose di freschezza e di coraggio”, ha concluso sorridendo il progettista.

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Sopra, il corridoio/passaggio all’ala nuova (controcampo della foto a destra), come rivela la nuova volta in cemento che si intravvede sullo sfondo (vedi la pianta del primo piano a sinistra). Nella pagina a fianco, l’elegante imbotte dell’ala antica della scuola: i colori accesi enfatizzano gli spessi intradossi delle porte, spezzando il candore dell’ambiente e introducendo un segno di modernità (foto di René Riller).

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Twin Architecture foto di Philippe Ruault testo di Matteo Vercelloni

progetto di Lacaton & Vassal Architects con Florian de Pous, Camile Gravellier, Yuko Ohash

Sopra, vista del fronte laterale del nuovo corpo museale. Le facciate accostano a teli in pvc dal forte spessore (nella parte ‘libera’ del contenitore architettonico metallico), brani vetrati corrispondenti ai livelli e alla sagoma della struttura prefabbricata in esso accolta. Nella pagina a fianco, fronte complessivo che sottolinea la simbiosi architettonica tra il grande hangar navale AP2 (a sinistra) e il nuovo edificio trasparente che ne ricalca fedelmente la sagoma.

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Nel nord della Francia, nella città portuale di Dunkerque, la sede del FRAC (Fond Règional d’Art Contemporain) della Regione Nord-Pas-de-Calais, pensata nella prospettiva del recupero di un grande edificio parte del cantiere navale sul porto, raddoppiato per clonazione in chiave contemporanea, per un confronto serrato tra storia e modernità

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Esploso assonometrico e funzionale del nuovo corpo museale. Sezione trasversale che evidenzia l’accostamento tra la Halle AP2, mantenuta a tutt’altezza, e il nuovo edificio museale a livelli sovrapposti, contenuti nell’involucro architettonico che raddoppia con la stessa figura quello a cui si affianca.

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Nella pagina a fianco, vista della zona a tutt’altezza corrispondente alla strada interna che corre lungo e a fianco la Halle AP2. L’ultimo livello della struttura prefabbricata interna accoglie un belvedere.

a nuova sede del FRAC della Regione del Nord della Francia ha inaugurato i suoi spazi, ‘vecchi’ e nuovi, nel novembre del 2013. Il progetto, vincitore del concorso bandito dalla Comunità Urbana di Dunkerque nel 2009, si basa essenzialmente nell’assumere quale ‘’monumento’ di confronto e di misura del nuovo intervento il grande manufatto industriale denominato AP2, costruito nel 1945 sul porto della città quale cantiere navale che per circa 40 anni ha visto uscire dalla sua bocca frontale ogni genere di imbarcazioni: piroscafi, navi da guerra e cargo postali, navi cisterna e barche a vela, sino alla sua chiusura definitiva avvenuta nel 1988. L’AP2, soprannominato in città “la cattedrale”, è un edificio di grande mole e di geometria essenziale; un lungo parallelepipedo di 75 ml, con struttura di cemento armato chiamata a disegnare la regolarità del ritmo delle aperture vetrate, con copertura a doppia falda che definisce sulle testate due ampi timpani ciechi. Memoria del passato industriale e dei cantieri navali della città e della regione, l’AP2 ha caratterizzato per decenni l’immagine dello skyline urbano offrendosi in modo diretto e in primo piano verso l’Oceano. Punto di riferimento non solo geografico del luogo, il grande hangar navale è stato assunto dal progetto dello studio Lacaton & Vassal come preesistenza di riferimento non solo da recuperare, ma anche come simbolica e funzionale risorsa, da sfruttare nella logica del riuso del manufatto urbano. In tale vettorialità il progetto ha operato ‘per clonazione’ affiancando all’edificio storico –assunto nell’originaria dimensione interna a tutt’altezza e ora impiegato come spazio per mostre e allestimenti temporanei – il nuovo edificio che ne ricalca perfettamente sagoma e dimensioni, affiancandosi sul lato rivolto verso il mare. L’edificio gemello, rispetto all’originario su cui si addossa si offre come involucro trasparente e leggero che denuncia apertamente la sommatoria dei livelli interni pensati come sei layer sovrapposti e disassati, destinati ad accogliere i nuovi 9.000 mq. di spazi espositivi e di lavoro dedicati all’arte contemporanea con una passerella pubblica al primo livello pensata come una strada interna sospesa tra le due costruzioni.

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In senso orario, vista: dell’interno della Halle AP2 impiegata come spazio espositivo; del Belvedere all’ultimo piano della struttura interna; della caffeteria e di una sala mostre.

La sommatoria dei livelli-spazi interni, realizzati con una struttura prefabbricata, conserva nell’idea generale data dalla dinamica compositiva, la dimensione unitaria a tutt’altezza; come nell’hangar storico cui si rapporta per analogia formale e figurativa, e per memoria storica reinventata. Il senso è quello di costruire un’architettura nell’architettura che la contiene e di creare un’interazione e una sinergia di punti di vista, flussi, rapporti materici e formali tra l’edificio storico, il suo gemello contemporaneo, gli spazi sovrapposti in esso accolti. La leggerezza della nuova costruzione è sottolineata dalla struttura metallica che disegna

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il ‘telaio’ architettonico di riferimento e dalla trasparenza totale dell’involucro ottenuto tamponando le porzioni libere a tutt’altezza con teli di materiale plastico trasparente a forte tenuta, stessa soluzione impiegata per la copertura. Una scelta di solito più consona a un progetto di installazione temporanea e che tradotta, invece, nell’uso permanente sembra sottolineare il senso di edificio per l’arte contemporanea e per le sue mutevoli espressioni. I fronti verso l’esterno corrispondenti ai nuovi spazi definiti dalla struttura prefabbricata a livelli sovrapposti, come quello della scala centrale, presentano invece un sistema modulare

di vetrate che ben si accosta a livello complementare con i teli di plastica limitrofi. Nelle ore serali il nuovo edificio enfatizza la sua immagine leggera diventando una grande magica lanterna, una sorta di faro per l’arte e la cultura, nuovo riferimento simbolico per la città e ancora segnale dal mare, luce di riferimento sulla costa di Dunkerque.

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Vista serale del FRAC Dunkerque; il nuovo corpo museale completamente trasparente si trasforma in un segnale luminoso della cittĂ .

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Veduta della lobby a doppia altezza, con la scatola semitrasparente degli ascensori; colonne e pannellature sono in acciaio Cor-ten. Nella pagina a fianco, l’ingresso principale coperto da una nuova pensilina, con la partitura in granito sabbiato, pietra tipica di molti edifici importanti di New York; l’albergo è affacciato sull’ottava avenue, tra la 44th e la 45th strada, nel cuore di Midtown Manhattan, a pochi metri da Times Square.

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progetto di Gabellini Sheppard associates foto di Michael Kleinberg testo di Alessandro Rocca

Hotel in Midtown La raffinata rudezza di New York è il tema principale per la trasformazione degli spazi pubblici di un vecchio hotel a due passi da Times Square. Acciaio Cor-ten e cemento possono diventare eleganti e accoglienti come boiserie in quercia e tendaggi di velluto se, oltre il curtain wall, passa l’instancabile corteo di auto e pedoni dell’ottava avenue

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Al primo livello, pavimenti e pareti della lobby sono rifiniti in cemento a vista, come la scala di collegamento. Il vano degli ascensori è trasformato in un volume immateriale, velato e retroilluminato. Nella pagina a fianco, la lobby e il desk per il chek-in, con due schermi Led con installazioni del video artista Yorgo Alexopoulos. Una veduta del Row Bar, con lo schermo Led; sulla sinistra l’accesso al lounge bar District M.

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atturare lo spirito di New York, di Midtown Manhattan. È il distretto degli uffici, dal New York Times di Renzo Piano allo storico Rockefeller Center, ma è anche il quartiere di Times Square, del MoMA, della quarantaduesima strada, un tempo malfamata zona a luci rosse, e del bordo sud di Central Park. Ed è anche, come ricordano i progettisti, il luogo del Great White Way, quel pezzo di Broadway compreso tra la quarantaduesima e la cinquantratreesima con la più alta densità di teatri al mondo. Come recuperare una certa idea di New York quando tutto intorno, insieme al permanere dei grattacieli della grandeur

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modernista, si stringono i segni dell’America generica, MacDonald’s, Starbucks, Subway Restaurant e Famous Famiglia Pizzeria, e i segni di un turismo un po’ ingombrante, come il museo di Madame Tussauds e il Nintendo World? Lo studio guidato da Michael Gabellini e Kimberly Sheppard è basato a New York, dove è nato nel 1991, ed è ben conosciuto a Milano per aver progettato l’Armani Center di via Manzoni che è peraltro solo una tappa di una intensa attività nel campo del retail, che vede collaborazioni con Jill Sander, Ferré, Ferragamo e altri marchi dell’alta moda e del prêt-à-porter. Ma anche nell’accoglienza, cioè alberghi e

ristoranti, Gabelllini Sheppard hanno già operato con realizzazioni in diverse città degli Stati Uniti ma anche all’interno dell’intervento milanese, con il Nobu restaurant e l’Armani café. Di fronte al compito di trasformare il vecchio Milford Hotel in un nuovo e vibrante ambiente sintonizzato con l’energia e il mood della città, Gabellini e Sheppard hanno adottato come tema gli stereotipi della New York modernista e Art Déco, quella gloriosa del proibizionismo e del Cotton Club, e di riassemblarli in una composizione con molte citazioni e sottili rievocazioni storiche, ma anche decisamente contemporanea, senza alcuna caduta di stile o,

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peggio ancora, “in stile”. Il nuovo basamento è quindi irrobustito da un sistema di pilastri e travi in rilievo realizzati con il granito sabbiato, materiale che è per New York quello che il tufo giallo è per Gerusalemme, cioè la vera materia di cui è fatta la parte nobile della città, almeno fino a che non è stata sostituita, alla metà del Novecento, dall’altra materia tipica di New York, il curtain wall. E infatti il resto della facciata, al piano terra, è interamente rivestito da una bella vetrata integrale come per rappresentare, con granito e cristallo, un sintetico compendio dell’architettura newyorchese. All’interno, la lobby sviluppa fino in fondo

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questo dialogo tra la memoria di un modernismo un po’ monumentale, il Rockefeller Center è a due passi, e un’estetica contemporanea che risente dei loft in cui lavoravano i protagonisti delle avanguardie anni Sessanta, l’atmosfera e i materiali duri di certi ambienti alla Andy Warhol, come la sua Factory e la sua discoteca preferita, lo Studio 54. La lobby del Row naturalmente è perfettamente composta e pronta per un uso molto più corretto e silenzioso, con spazi bene organizzati secondo un sapiente ordine coreografico. Entrando dall’ambiente animato e talvolta iperattivo della ottava Avenue, il visitatore trova uno spazio ombreggiato e

quieto ma anche dinamico, grazie a una relazione con l’esterno che, attraverso i cristalli e i tendaggi, giunge filtrata e incorniciata dentro un riquadro che è come una didascalia. Da qui puoi godere di magnifiche istantanee della vita newyorkese da un punto di vista privilegiato, perché non sei parte del flusso che scorre sul marciapiede e nella carreggiata, ne sei fuori e lo puoi osservare da vicino senza esserne toccato, assaporando la frenesia che lambisce, da fuori, la parete e la sobria tranquillità della lobby che ti avvolge. C’è come un décor anni Trenta, nella composizione un po’ monumentale degli spazi e della scala che, girando su se stessa, rende più

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Il lounge bar District M, con proiezioni di immagini tratte dalla Broadway degli anni Settanta di Ron Galella, il più famoso paparazzo americano. Le pareti sono rifinite con texture ricavate dalla Street Art dei graffittari americani.

scenografico il passaggio da un livello all’altro. Ma, invece è tutto molto contemporaneo, più duro di quanto ci si possa aspettare. I pavimenti, infatti, e le pareti, sono in cemento a vista, le strutture e alcune parti delle pareti sono rivestite di acciaio Cor-ten. La torre degli ascensori è in materiale traslucido retroilluminato e anche la connessione tra la reception e il lounge bar è psichedelica, grazie a due Led screen con proiezioni del videoartista Yorgo Alexopoulos. Ed è proprio qui, nel bar, che ci si può abbandonare alla nostalgia grazie alla proiezione delle immagini di Ron Galella, il più famoso paparazzo della dolce vita newyorkese.

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Nella pagina a fianco, un particolare della lobby con lo scalone che scende verso l’ingresso. Dietro il velario occhieggiano le luci dell’ottava avenue.

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A Parigi, nel 16° arrondissement, la nuova dolce vita delle Piscine Molitor, complesso monumentale Art Déco: l’atmosfera degli anni d’oro restituita con i colori polifonici del XXI secolo. Nel rispetto della storia di un luogo e all’insegna di un’ospitalità pentastellata

la ‘nave’ va progetto d’interni di Jean-Philippe Nuel/Agence Nuel foto di Gilles Trillard testo di Antonella Boisi

Policromie e raffinati effetti optical, di matrice mediterranea, cementine decorate e mattonelle simil parquet, caratterizzano gli ambienti design oriented della spa. Poltroncina su ruote di LaPalma, pouf Anda di Pierre Paulin per Ligne Roset, specchio e luce a sospensione di Gubi.

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Una sala trattamenti della spa curata da Clarins: suggestioni art déco e contemporanea essenzialità. Una delle 124 camere della struttura alberghiera con vista oblò sulla piscina scoperta: toni soft e neutrali, arredi su disegno di Jean-Philippe Nuel.

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esseoesse dei cittadini, affinché fosse scongiurato il pericolo di trasformarle in un parcheggio, dopo un ventennio di chiusura e abbandono, interrotto negli anni Novanta da estemporanei interventi di street art, è stato finalmente raccolto. Del restauro delle due indimenticabili piscine disposte a T – quella invernale coperta da 33 metri e quella estiva a cielo aperto da 50 – si è occupato Marc Mimram; dell’architettura dello stabilimento balneare dedicato, che chiude la T con una forma a ferro di cavallo, il team formato da Jacques Rougerie, Alain Derbesse e Alain-Charles Perrot; dell’interior design degli spazi Jean-Philippe Nuel. Tutti architetti francesi. Eccole, dunque, nuove di zecca, dallo scorso maggio, quelle Piscine Molitor che, nel 2001, hanno dato il nome al giovane protagonista indiano del romanzo (poi film) Vita di Pi by Yann Martel. E, prima ancora, agli inizi del 1930, alle nobili ‘vasche’ di Porte Molitor, nel 16° arrondissement di Parigi, degne vicine di rango del parco Bois de Boulogne, che hanno visto ‘sfilare’ nuotatori olimpionici e il primo bikini di Louis Réard nel 1946. La municipalità ha affidato al gruppo Colony Capital-Accor-Bouygues il compito di risanare il complesso – classificato come monumento storico – progettato nel 1929 dall’architetto Lucien Pollet in stile Art Déco e impreziosito da vetrate policrome di Louis Barillet, Damon e Turlan. Così, quell’immaginaria ‘nave’ della dolce vita parigina del XX secolo ritorna, senza cambiare rotta, al futuro, ricostruita ex novo sul modello originale, che era stato ispirato a Pollet

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Nella pagina a fianco, uno spazio di circolazione al terzo piano, tappezzato di gigantografie in bianco e nero, memorie di grandi eventi sportivi e fashion del passato di Piscine Molitor. Moquette con decori, su disegno, prodotta da Ege. (foto di Christophe Dugied)

Il ristorante riscopre il fascino di uno spirito nomade e informale, tra le riproduzioni fotografiche dei graffiti sui muri e le vetrate a mosaico anni Trenta recuperate. Luci a sospensione di Flos, design fratelli Bouroullec, sedute rosse di Tacchini, design Claesson Koivisto Rune.

dal quadro di riferimento dell’epoca: l’impronta della società di corte nel campo delle arti decorative, l’opera di Robert Mallet-Stevens e del designer Jacques-Emile Ruhlmann, la predilezione per gli intrecci di forme geometriche a ventaglio, la sperimentazione di legni esotici insieme a bronzo, avorio, vetro colorato, metallo cromato. Si scrive Molitor by MGallery la rinascita della ‘perla’ che identifica oltre alle due superbe piscine, anche un albergo pentastellato e un centro benessere. “Ho immaginato il progetto degli spazi interni come un viaggio nel tempo, un Grand Tour” ha raccontato il francese Jean-Philippe Nuel “reinterpretando i riferimenti proposti dalla storia, con una vena artistica a ‘stile libero’. Il mio modo di rispettare il carattere polifonico del luogo si è tradotto in una rosa di interventi site-specific, equilibrati per giustapposizione”. La lobby, oggi come ieri, resta il cuore della spettacolare macchina scenica: collocata in prossimità della piscina esterna, riporta il focus di uno spazio ritagliato a forma irregolare sul modello di una Rolls Royce d’antan personalizzata dall’artista graffitaro JonOne “una reminiscenza del periodo street art dell’edificio e del suo ancoraggio alla vita urbana” ha spiegato. L’effetto volutamente non finito di questa provocatoria presenza all’interno del primo luogo di aggregazione per gli ospiti contrasta con gli altri dettagli dell’ambiente: i raffinati desk pensati come piccole scatole-gioiello anni Trenta per le pillole; i fluttuanti tendaggi che ‘strutturano’ con leggerezza le zone; gli specchi sospesi al soffitto che amplificano il landscape di riflessioni cangianti, i

tappeti appositamente disegnati, che scaldano l’atmosfera riprendendo le nuance di giallo ripristinate sulle facciate esterne dell’edificio, come erano agli inizi. Il ristorante, altro significativo spazio di incontro collettivo, dedicato alla nouvelle cuisine dello chef Yannick Alléno, è stato riportato alla dimensione di una galleria d’arte sperimentale, accostando una serie di gigantografie di Thomas Jorion che riproducono le pareti graffitate prima della loro demolizione al soffitto originale anni Trenta recuperato al suo

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antico splendore. “Il graffito ha assunto così” spiega Nuel “il valore di una pittura astratta contemporanea che, con il suo grafismo creativo, riesce ad alimentare un dialogo anche con le storiche vetrate di Damon e Turlan”, mentre i mobili, mix di pezzi vintage e design contemporaneo, restituiscono lo spirito nomade in chiave informale del Molitor. Anche negli spazi di circolazione, il ‘viaggio nel tempo’ enfatizza l’iconografia del luogo, attingendo, nella fattispecie, dall’archivio fotografico, memorie in bianco e nero di grandi eventi sportivi del passato, tappezzati sulle pareti e, al terzo piano, estesi sul

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soffitto. In un affresco narrativo condivisibile, grazie alla trasparenza vetrata del fronte perimetrale, dai camminamenti esterni dello stabilimento balneare. Le 124 camere della struttura alberghiera, che offrono tutte una vista panoramica sulla piscina olimpionica scoperta, sulle passerelle di distribuzione ad anello e sulla fila multipla delle cabine dalle porte blu, compongono una musicalità più soft e rilassante. Con le note dei loro colori neutri, in bianco-grigio, del letto collocato d’angolo sul tappeto di moquette, della retrostante tenda sipario che modula il livello di privacy in relazione al bagno, delle sedute in

legno curvato disegnate e realizzate in modo artigianale, come consuetudine negli anni Quaranta. Alla fine, però, è soprattutto il centro benessere, sviluppato su due livelli dell’edificio, integrando le terme e gli impianti sportivi, che contribuisce alla sintesi grammaticale più brillante. Nel calibrato accostamento di elementi vecchi e nuovi, tra le biglietterie Art Déco recuperate, i minimali screen in metallo e vetro e gli arredi di selezionato design made in Italy, racconta che, in questo eccentrico universo decorato, l’atmosfera degli anni d’oro può davvero corrispondere ai migliori colori del XXI secolo. Senza frontiere.

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Le due vasche Art Déco del complesso Piscine Molitor riportate all’antico splendore: quella estiva a cielo aperto da 50 metri, olimpionica, con gli originali camminamenti esterni e la tripla fila delle cabine con le porte blu; e quella invernale, coperta, da 33 metri (con copertura dell’epoca). (foto piscina coperta, Alexandre Soria) Colore in materiale sintetico e grafismi ‘a stile libero’ ispirati dalle suggestioni del luogo, per una zona di sosta risolta con le poltroncine, anni Cinquanta, Elettra di Arflex, design B.B.P.R.

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biennale ma non biennale di Andrea Branzi

Un ulteriore parere sulla Biennale di architettura di Venezia: i curatori archi-star, che assicurano il successo popolare dell’esposizione, fanno un lavoro che non ha nessuna relazione con la tematica proposta?

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orrei fare alcune riflessioni di carattere generale, sull’istituzione della Biennale di Architettura di Venezia; riflessioni che non riguardano l’ultima edizione, o le più recenti, ma temi più generali rispetto a questo tipo di istituzioni. La prima riflessione – e forse la più urgente – riguarda il fatto che, a differenza delle più importanti manifestazioni culturali, non viene mai nominato un ‘curatore’, cioè un teorico o uno storico che si assuma il ruolo di selezionare i materiali esposti: viene invece nominato un ‘architetto’, cioè un addetto ai lavori, un professionista del settore, il quale propone un ‘tema’ da proporre ai colleghi, i quali molto spesso sono del tutto estranei alle problematiche proposte e sono quindi costretti a improvvisare interventi che non rappresentano né il loro lavoro, né coerentemente il tema generale. L’incarico al responsabile viene generalmente assegnato pochi mesi prima dell’inaugurazione, e questa situazione si risolve, spesso, con l’ingaggio delle più ‘archi-star’, che dovrebbero almeno assicurare un “successo popolare”, anche se, molte volte, il loro lavoro non

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ha nessuna relazione con la tematica proposta, producendo uno scenario confuso e difficilmente comparativo. In ogni caso, essere nominato ‘curatore’ di tutta o almeno di un padiglione nazionale costituisce sempre un importante traguardo… La Biennale di Venezia, dai Giardini si è estesa a tutto l’Arsenale, favorendo così un afflusso poco controllabile di espositori e, spesso, una sorta di ‘lottizzazione’ interna. In luogo di una severa selezione, si produce così uno scenario spesso contraddittorio, con progetti anche molto lontani dal ‘tema generale’. Così la Biennale corre spesso il rischio di disperdere il filo logico che dovrebbe guidarla, invece di consolidarla. Ciò nonostante, essere invitati a partecipare è sempre considerato un titolo d’onore: avendo partecipato a molte edizioni, posso garantire che è sempre stato una esperienza emozionante. Ma queste riflessioni critiche derivano, a mio avviso, da un difetto che sta nel manico di questa importante manifestazione: il difetto deriva – come dice il nome stesso – dall’idea di organizzare, ogni due anni, una nuova edizione. Ma, in due anni, gli scenari della cultura del progetto non cambiano in maniera significativa. La soluzione potrebbe essere allora duplice: trasformare la Biennale in un’istituzione permanente, continua, che non chiude mai, dove si susseguano mostre e convegni, in grado di seguire in tempo reale l’evolversi dei fatti. L’altra soluzione, opposta, è quella di allungare da due a quattro anni le scadenze delle diverse edizioni (non a caso, Documenta di Kassel è organizzata ogni cinque anni, permettendo così di cogliere i reali sviluppi dell’arte avvenuti nell’ambito di un intervallo temporale più adeguato). In realtà, queste due soluzioni sono solo apparentemente contraddittorie. Il XX è stato il secolo delle biennali tradizionali, ma nel XXI secolo la cultura del progetto è cambiata molto profondamente: da una parte è diventata uno scenario in continua evoluzione, ma, dall’altra, parte essa è scandita periodicamente da mutazioni profonde e da scenari mentali e linguistici imprevedibili. Dunque, sarebbe il caso di cominciare a ripensare la ‘biennale-non-biennale’ ma un luogo in grado di registrare le diverse velocità della cultura, non solo del progetto.

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Dalla mostra Hans J. Wegner. Just one good chair in corso (fino al 2 novembre) al Design Museum Danmark di Copenhagen, il ritratto di John Fitzgerald Kennedy seduto sulla Round Chair di Hans J. Wegner durante il confronto televisivo con Richard Nixon nel 1960. (Courtesy Design Museum Danmark) A lato: il designer danese Hans J. Wegner ritratto con alcuni modelli in miniatura delle sedie da lui progettate per PP Møbler. A destra: la Peacock Chair disegnata da Hans J. Wegner nel 1947 per PP Møbler. (Foto Jens Mourits Sørensen) In basso: la sedia bestseller J39 disegnata nel 1947 da Borge Mogensen per Fredericia e ribattezzata ‘La Sedia del Popolo’.

Fra memorIa e InnovazIone Il design nordico celebra la sedia. Per ricordare due storici autori, Hans J. Wegner e Børge Mogensen, e per raccontare come i giovani talenti ne abbiano raccolto l’eredità culturale di Francesco Massoni

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Uno scorcio della mostra Morphology, organizzata e allestita dalla Scuola di Architettura e Design della Royal Danish Academy of Fine Arts di Copenhagen nell’ambito dell’iniziativa Danish Made, svoltasi durante la Design Week 2014 a Milano. La sedia Knit, con schienale imbottito, concepita da Aija Hannula & Begona Uribe Landeta nell’ambito del progetto Morphology.

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utt’altro che sedentari, i danesi coltivano nondimeno una viva passione per le sedie, che i loro creatori e produttori – designer, ebanisti, mobilieri – hanno contribuito a rendere celebri in tutto il mondo, quasi fossero un landmark. E, in effetti, esse rappresentano un tratto distintivo di quel ponderato e accogliente paesaggio d’interni del quale riconosciamo l’inconfondibile impronta nordica. Così, nella duplice ricorrenza che si celebra quest’anno – i cento anni della nascita di due figure di spicco del ‘Danish Modern’, nonché autori di memorabili sedie: Hans J. Wegner (1914-2007) e Børge Mogensen (1914-1972) – assistiamo a un grande proliferare di iniziative che ne illustrano le virtù progettuali e l’eredità raccolta dai giovani talenti formatisi in prestigiosi istituti quali la Royal Danish Academy of Fine Arts di Copenhagen, la School of Architecture di Aarhus e la Design School di Kolding. Ad entrambi, il Designmuseum Danmark di Copenhagen ha dedicato le mostre Hans J. Wegner. Just one good chair e Børge Mogensen. Furniture for the people!. Il primo, autore di 500 sedie, è stato fra i principali artefici del successo planetario del design danese quando, nel 1949, progettò la Round Chair, che gli americani hanno emblematicamente ribattezzato ‘The Chair’ dopo averla ammirata, nel 1960, durante il leggendario confronto televisivo fra John F. Kennedy e Richard Nixon. Di questa icona del design, PP Møbler ha proposto quest’anno una preziosa edizione limitata, oltre alle riedizioni della Hammock, della Peacock e della Tub Chair. Ma anche un’altra

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azienda danese con cui Wegner ebbe occasione di collaborare, Carl Hansen & Søn, lo ha commemorato in modo originale: tutti i modelli Y ordinati lo scorso 2 aprile, giorno della nascita del ‘maestro delle sedie’, recavano incise la data e la firma di Hans J. Wegner. Inoltre, Paul Smith e Maharam, in collaborazione con Carl Hansen & Søn, hanno rivisitato alcune delle sue confortevoli poltrone in una variopinta capsule collection, presentata in concomitanza del Salone del mobile di Milano 2014. Erede diretto di Kaare Klint, l’indiscusso capostipite della generazione che diede vita, nel secolo scorso, al fenomeno del ‘Danish Modern’, Børge Mogensen ha sempre cercato di conferire alle sue creazioni un’impronta autenticamente democratica. Non è un caso che la paradigmatica J39, da lui progettata nel 1947, sia stata poi affettuosamente chiamata ‘La Sedia del Popolo’ e ancor oggi figuri come una delle più vendute in Danimarca. In occasione del centenario della nascita, Fredericia ne ripropone quest’anno due pezzi degni di nota: la sedia Søborg e il sofà No. 1. Al di là delle celebrazioni di rito, il doppio anniversario ha dato l’opportunità a molti studenti delle scuole di design e architettura danesi di misurarsi con lo spirito creativo che ha animato i loro illustri predecessori. In particolare, la

Royal Danish Academy of Fine Arts di Copenhagen, presso la quale studiarono sia Mogensen che Wegner, ha organizzato e allestito nell’ambito dell’iniziativa Danish Made, svoltasi in zona Ventura-Lambrate a Milano durante la Design Week 2014, l’evento Morphology – stick and padding in cui sono state esposte le sedie realizzate da 50 giovani progettisti. “Gli esiti di questa ricerca non intendono rappresentare unicamente un tributo a Mogensen e Wegner, ma soprattutto testimoniare un approccio contemporaneo e sperimentale al tema della sedia, in grado di rimettere in discussione le idee correnti a proposito di forma, funzione e impiego dei materiali”, spiega Mathilde Aggebo, direttrice dell’istituto di architettura e design dell’Accademia. Il metodo è quello olistico, lo stesso usato dai maestri – attenta osservazione di rituali e consuetudini domestiche, accurata analisi di forme e proporzioni, appropriata selezione dei materiali, dei processi, delle tecnologie correlate – muta solo il contesto: un mondo che reclama più sostenibilità. E i progetti ne sono la tangibile testimonianza.

La Wing Chair di Hans J. Wegner (1960) rivisitata nella versione Big Stripe by Paul Smith: fa parte della capsule collection realizzata in edizione limitata a firma Paul Smith + Maharam in collaborazione con Carl Hansen & Søn.

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Trasversali tra ambiente domestico e ambiente lavorativo, tavoli e tavolini emigrano dal consueto contesto casalingo per arredare isole d’incontro, immaginarie e informali, allestite all’occorrenza

TavoLe In GaLLerIa di Nadia Lionello foto di Emanuele Zamponi location Lambretto Studios

Frame, tavolo quadrato o rettangolare con struttura in metallo verniciato opaco nero o bianco e piano in vetro fumè o bianco opalino. Design Stephen Burks per Calligaris. Klapp, sedie pieghevoli con gambe in estruso di alluminio con giunto in tecnopolimero stampato a iniezione per l’innesto dello schienale e la chiusura della seduta; sedile e schienale in plastica o legno in diversi colori ed essenze. Design Steffen Kehrle per Area Declic.

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Liuto, tavolo quadrato o rettangolare con gambe in pressofusione di alluminio cromato o verniciato e piano in cristallo fumĂŠ temperato spessore 12 mm, marmo, rovere termotrattato o MDF laccato opaco. Design Giuseppe Bavuso per Alivar. Kaleidos, sedie con seduta in tecnopolimero con imbottitura in poliuretano rivestita in tessuto Trevira e struttura in tondino di acciaio cromato. Design Michele De Lucchi e Sezgin Aksu per Caimi Brevetti. Neon art, lettere modulari luminose al neon da muro o da tavolo. Design Selab per Seletti.

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Mr Zhang, tavolino tondo con base in tondino di metallo brunito e piano in legno laccato nei colori a catalogo. Design Roberto Lazzeroni per Lema. Kelly, sedie con struttura in metallo verniciato e seduta con imbottitura in schiumato rivestita in tessuto. Design Claesson Koivisto Rune per Tacchini. Zig zag zed, quadro a tecnica mista su tela di Rae Martini.

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Farallon, tavolo rettangolare con struttura in tubolare cromato lucido e piano in multistrato impiallacciato noce canaletto Design Yves Behar per Danese. Cora, sedie con struttura in metallo e scocca in nylon opaco con seduta in frassino laccato o naturale. Design Odoardo Fioravanti per Pianca. Spring time burner, quadro a tecnica mista su tela di Rae Martini.

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USM Haller, tavolo con base in acciaio cromato e piano, nella nuova versione realizzata in collaborazione con Atelier O誰, in MDF rettangolare, quadrato o trapezoidale in diverse misure, verniciato oppure in legno, laminato, linoleum, vetro e granito in diversi colori ed essenze. Prodotto da USM. Hippy, sediecon base in massello di faggio tinto o laccato, con scocca della seduta imbottita e rivestita in tessuto. Design di Emilio Nanni per Billiani. Elle E1, lampada da tavolo in lamiera di metallo piegato verniciato giallo, bianco, nero, e azzurro opachi. Design Jannis Ellenberger per Prandina. Airbubble, vaso in cristallo di Murano trasparente soffiato a bocca e rifinito a mano. Prodotto da Carlo Moretti. 1810 e Dizzy eazy, quadri a tecnica mista su tela di Rae Martini.

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Anapo, tavolino tondo con base in acciaio verniciato nero e piano in marmo bianco calacatta di Carrara oppure in vetro temperato15 mm, in mdf con finitura in castagno o ebano makassar. Design di Gordon Guillaumier per Driade. Jujube, seduta con struttura in metallo verniciato in diverse finiture e colori, cuscini rivestiti in tessuto Design di 4P1B Design Studio per Chairs&More.

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Mexique, tavolo triangolare con gambe in metallo verniciato nero opaco, piano con angoli arrotondati, in legno massello di noce canaletto naturale oppure rovere naturale. Design Charlotte Perriand per Cassina. DU 30, sedia con gambe in metallo verniciato, seduta in lamiera d’acciaio sagomata con imbottitura in poliuretano e rivestimento in pelle in diversi colori. Progettata nel 1953 da Gastone Rinaldi e prodotta da Poltrona Frau.

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Junsei, tavolo tondo in metallo con finitura ottone bronzo, acciaio inox lucido o satinato oppure laccato. Design di Ikonen & Salovaara per Contempo Italia. Nizza, sedia impilabile con telaio in alluminio piegato e saldato con seduta formata e schienale stampato con finitura rosso metallizzato, rame anticato ruvido oppure acciaio nero ruvido. Disegnate da Diesel Creative Team e prodotte da Moroso per Diesel Living. Troncosfera, vaso cristallo di Murano soffiato a bocca e rifinito a mano libera con applicazione a caldo di fasce colorate in pasta e trasparente. Prodotto da Carlo Moretti.

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Sisal, carta da parati in vinile effetto paglia. Della collezione Texture Resource vol. 3 di Thibaut distribuita da B&B Distribuzione. Donut, sgabelli in due altezze in metallo e paglia arrotolata. Di Alessandra Baldereschi per Mogg. D.270.2, poltroncina pieghevole in frassino naturale e midollino di Molteni&C. Ăˆ la riedizione dell’omonima seduta disegnata da Gio Ponti nel 1970.

Illusioni materiali di Elisa Musso foto di Miro Zagnoli

Ceramica che riproduce il legno, carta da parati che imita il marmo, tessuti con effetti metallici. Pavimenti, rivestimenti e arredi in cui la finzione si mischia alla realtĂ

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Briton gray, mosaico tridimensionale bicolore realizzato in vetro sinterizzato. Richiama la trama di un tessuto ed è disegnato da Carlo Dal Bianco per Mosaico+. Flow Pouf, ha gambe in rovere sbiancato e seduta rivestita in tessuto William-Col.423.051. Design Jean-Marie Massaud per MDF Italia. Tria Simple Chair, sedia con scocca in multistrato curvato impiallacciato rovere naturale rivestita su un lato in tessuto grigio chiaro tartan. Il basamento è in legno massello. Design Catharina Lorenz e Steffen Kaz per Colè.

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Marble, carta da parati effetto marmo in tessuto non tessuto di Ferm Living. Brick 244, tavolino di forma triangolare con struttura in rovere laccato. Ha piano in Green Bell, materiale innovativo realizzato mischiando la resina a marmi, quarzi, vetri e cristalli frantumati. Design Paola Navone per Gervasoni. Imperial White Maximum e Agata Azzurra Precious Stones, rivestimenti in gres porcellanato di Graniti Fiandre. Marte Azul Bahia, piastrella in gres porcellanato della collezione Granitogres di Casalgrande Padana.

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Button Tables, tavolino con base cilindrica laccata che si rastrema lievemente nella parte inferiore e top tondo in marmo nero Marquinia. Disegnato da Edward Barber & Jay Osgerby per B&B Italia. Y-Tube, vaso a due aperture realizzato da sottili anelli di marmo sovrapposti, di diverse larghezze e colori. Disegnato da Patricia Urquiola per la collezione Nat|f|Use di Budri.

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Cinema Copper, tessuto in misto lana di Nya Nordiska. Su un lato è rivestito con un sottile foglio metallico effetto rame. Esiste anche in versione silver, gold, bronze e steel. T-table, tavolini in ceramica dalla forma di fungo realizzati interamente a mano. Design Jaime Hayon per Bosa Ceramiche. Water Jewels, lavabo in ceramica con finitura rame ottenuto con processo di doppia smaltatura. Design Matteo Thun per Vitra.

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Collezione Moda, carta da parati in tessuto non tessuto che riproduce l’acciaio. E’ in vendita da JVstore di Jannelli&Volpi. Bell, lampada a sospensione in alluminio verniciato con trattamento superficiale a piccoli solchi concentrici. Monta un portalampada in vetro soffiato sfaccettato ed è prodotta da Diesel with Foscarini. All Saints, specchio rotondo con cornice ad effetto plissettato realizzato in PMMA cromato argento. Design Ludovica + Roberto Palomba per Kartell by Laufen.

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Treverkchic, piastrelle in gres fine porcellanato che riproducono fedelmente l’effetto legno. Sono in color Noce Francese, ma esistono anche in Noce Italiano, Noce americano, Noce tinto, Teak, Teak Africa. Sono prodotte da Marazzi. DMF/003, sgabello della collezione I Massivi realizzato in legno massiccio trattato con olio a base naturale. Design Doriana e Massimiliano Fuksas per Itlas. Unterlinden, lampada a sospensione a led. Ăˆ in ottone, ma sembra realizzata in legno. Disegnata da Herzog & de Meuron per Artemide.

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Cilindri, pouf, comodini o tavolini, in rovere naturale. Sono pezzi unici lavorati a mano e prodotti da TEAM 7. Rio, tavolino con base in alluminio verniciato graphite opaco e piano in legno con sezione di tronco di albero di noce. Design Giorgio Cattelan per Cattelan Italia.

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Ceramica Flaminia è stata tra le aziende pioniere, nel distretto dei sanitari ceramici di Civita Castellana, nell’intraprendere la via del design negli anni 90. Oggi, a 60 anni dalla fondazione, prosegue sulla strada della sperimentazione e del made in Italy

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l distretto della ceramica sanitaria di Civita Castellana, nel Viterbese, affonda le radici in una storia antichissima che ha lasciato tracce nei reperti di arte vascolare rinvenuti nella zona di Falerii Veteres (nome latino della cittadina laziale) risalenti al IV secolo a.C. Più di duemila anni fa, questa era già terra dove si lavorava la ceramica, anche se le prime fabbriche per la lavorazione di stoviglierie e pezzi artistici risalgono alla fine del 700, mentre agli inizi del 900 nascono le prime industrie di stoviglie, piastrelle e sanitari. In questa realtà affonda le sue radici Ceramica Flaminia, azienda specializzata in idrosanitari in ceramica nata nel 1954, che ancor oggi conserva l’intera filiera produttiva (prototipazione, modellazione, colaggio, smaltatura e cottura in forno) completamente al suo interno, negli stabilimenti di Civita Castellana e di Fabrica di Roma. Processi produttivi che integrano la meccanizzazione più evoluta con interventi ancora manuali e artigianali. Tutto all’insegna del più rigoroso made in Italy. Un’azienda che ha puntato sul design per esplorare le valenze espressive della ceramica, determinare nuove

di Danilo Signorello

tendenze e inventare nuovi linguaggi. Sul finire degli anni 90 il lavabo “Acquagrande”, disegnato da Giulio Cappellini (che nel 2004 ha assunto la direzione artistica in azienda), rappresentò una vera rivoluzione, diventando protagonista dello spazio bagno grazie alla forte presenza scenica e alle importanti dimensioni architettoniche. Da allora, i prodotti caratterizzati da un design immediatamente riconoscibile si sono moltiplicati e alcuni progetti sono diventati vere e proprie icone: da “Tatami” (Ludovica+ Roberto Palomba) sottilissimo tappeto di ceramica a filo pavimento che attinge alla cultura orientale dell’abitare, a “Link” (Giulio Cappellini e Roberto Palomba) wc e bidet versatili da accostare liberamente ai tanti modelli del catalogo Flaminia, da “Twin Column” (Ludovica+ Roberto Palomba) il lavabo inteso come scultura, alle sperimentazioni materiche della linea “Mono’ ” (Patrick Norguet), dalla creatività eclettica e geniale del lavabo “Roll” (Nendo) ai pezzi unici della collezione “Como” (Rodolfo Dordoni) ispirati ai bacini naturali d’acqua. Come numerosi sono diventati i designer di fama internazionale entrati a far parte del team

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Nile (a sinistra gli schizzi preparatori) è il nuovo progetto di Patrick Norguet in cui le forme geometriche sono addolcite da dettagli morbidi in grado di interpretare la plasticità della ceramica. Nella pagina a sinistra, in basso, una foto storica che ritrae alcuni dei soci fondatori di Ceramica Flaminia, nata nel 1954 a Civita Castellana.

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Qui sotto, l’impatto fortemente architettonico contraddistingue il lavabo Acquagrande, disegnato da Giulio Cappellini nel 1997. A destra, un altro pezzo icona disegnato da Giulio Cappellini e Roberto Palomba: Link caratterizzato da un design puro e neutrale. A centro pagina, una foto panoramica dello stabilimento di Civita Castellana con i prodotti durante le varie fasi di lavorazione.

Flaminia: Paola Navone, Jasper Morrison, King&Roselli, Angeletti e Ruzza, Alessandro Mendini, Nendo, Fabio Novembre, i cui pezzi sono esposti nello showroom di via Solferino 18 a Milano, inaugurato nel 2005. Il design come sperimentazione, innovazione, emozione è andato in scena anche durante l’ultimo Salone del Mobile a Milano con nuovi progetti, tra inediti e ampliamenti di gamma, come il vaso e il bidet sospesi “Bonola” di Jasper Morrison, i lavabi d’appoggio e incasso “Nile” di Patrick Norguet, il vaso e il bidet “App” di Flaminia Design Team, e “Rocchetto Colors”, lo sgabellotavolino in ceramica disegnato da Alessandro Mendini con cui Flaminia è entrata nell’interior design. Augusto Ciarrocchi, oggi presidente di Flaminia, rappresenta la seconda generazione alla guida dell’azienda (è figlio di uno dei soci fondatori): con lui abbiamo chiacchierato sulle origini, sul presente e sul futuro di un brand che ha in catalogo anche rubinetteria, oggetti e complementi per un progetto bagno sempre più a 360 gradi. Ci racconta, innanzitutto, come nasce Ceramica Flaminia? L’azienda nacque nel 1954, durante un periodo di scioperi di rivendicazione salariale, quando 23 giovani operai di Civita Castellana decisero di dare vita a Ceramica Flaminia, che nel gennaio dell’anno successivo iniziò a produrre sanitari. La lavorazione avveniva con sistemi artigianali, tutte le fasi produttive erano svolte manualmente e la cottura veniva eseguita in una fornace a legna. Ora siamo alle seconde e terze generazioni, e l’azienda conta circa 150 dipendenti distribuiti tra gli stabilimenti di Civita e di Fabrica di Roma dotati dei più moderni impianti industriali. Qual è oggi la situazione nel distretto ceramico di Civita Castellana. Le aziende tra loro fanno sistema?

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Quali le prospettive per il futuro? Le circa 40 aziende che costituiscono il distretto risentono della crisi iniziata ormai nel 2008. Ma la crisi ha aiutato a fare sistema (esistono accordi comuni per lo smaltimento degli scarti di lavorazione, per l’organizzazione di corsi di formazione). La capacità di resistere alla crisi ha forgiato aziende coriacee e non ci sono state chiusure drammatiche di stabilimenti, anche grazie alle dimensioni medio piccole delle imprese. Da questo punto di vista, guardando al futuro non si può essere che ottimisti. I valori di Flaminia sono qualità della materia prima, produzione interamente italiana, cura delle finiture e collaborazione con i designer. Innanzitutto la materia prima: da dove arriva, come viene selezionata, quali caratteristiche deve avere e a quali risultati deve portare? Argille, caolini, feldspati e quarzi li importiamo da Francia, Germania, Spagna e Regno Unito che garantiscono una qualità che in Italia non c’è. Flaminia, in particolare, acquista impasti pronti lavorati da aziende del territorio. Per quanto riguarda gli smalti, abbiamo una divisione colore dedicata che, come tutta l’azienda del resto, lavora nel pieno rispetto dell’ambiente essendo certificata ISO 14001. Il

risultato finale deve essere un prodotto di qualità che garantisca perfezione delle superfici, resistenza e durata nel tempo. Cosa significa oggi per Flaminia made in Italy, vale a dire puntare sul saper fare italiano? La qualità italiana è unica, ai massimi livelli. Noi siamo produttori di nicchia che hanno fatto una scelta coraggiosa: puntare sulla qualità di un prodotto ottenuta “spingendo” sulle forme estreme attraverso il design. Purtroppo, a livello governativo, non esiste ancora un’etichetta che tuteli il sanitario ceramico made in Italy e anche la normativa europea latita. La nostra adesione al marchio Ceramics of Italy ha voluto colmare questa lacuna tutelando il nostro prodotto da migliaia di pezzi venduti e spacciati per italiani, ma privi di quelle caratteristiche che ne fanno veramente un prodotto made in Italy: design, qualità, stile, garanzia e serietà. Come si conciliano abilità manuali artigianali e processi industriali tecnologicamente all’avanguardia? L’abilità manuale artigiana è un valore aggiunto. Diverse fasi della lavorazione di ogni pezzo (che va dalla barbottina iniziale colata nello stampo al sanitario ultimato e dura circa sei giorni) richiedono l’intervento della mano dell’uomo oltre che della macchina. E qui, nel territorio di Civita Castellana, la ceramica è nel sangue, nel Dna di chi ci vive e lavora. La scelta del design per Flaminia è stata determinante. Quale ruolo strategico gioca il design per lo sviluppo di un’azienda? Puntare sul design alla metà degli anni 90 è stata la scelta che ci ha salvato. Senza quella scelta oggi probabilmente non saremmo sopravvissuti alla crisi. Fu, allora, una scelta forzata, per certi versi “scriteriata”, ma che ci ha aperto una strada, ci ha permesso di trovare un’alternativa. Oggi sarebbe difficile commercializzare un prodotto tradizionale che fanno tutti senza conferirgli il valore aggiunto rappresentato dal design. Il design consente di dare vita a oggetti in grado di rispondere a desideri e necessità di un pubblico sempre in cambiamento per il naturale evolversi della società, delle abitudini, dell’economia. Per Flaminia il design è apertura alla sperimentazione: insieme con Giulio Cappellini, art

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Il forno per la cottura e una fase del lavoro di finitura a mano (sopra): un equilibrato mix di moderna tecnologia industriale e manualitĂ artigianale tradizionale.

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68 / INdesign INcenter A sinistra, Monoroll (design Nendo) ricorda un foglio di carta arrotolato su stesso. Una creatività eclettica e geniale al servizio della funzionalità. Sotto, forme piene, spessori importanti e linee arrotondate per Mono’, collezione disegnata da Patrick Norguet.

App (Flaminia Design Team) è una collezione versatile, formata da vaso e bidet dal tratto tondeggiante, che risponde a diverse esigenze: da quelle residenziali al contract. La collezione Bonola è costituita da una serie di lavabi, sia a colonna sia da appoggio, che raccontano la purezza e la precisione stilistica del segno di Jasper Morrison.

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director dal 2004, l’azienda si affida a designer di fama internazionale che non si sono mai cimentati con la ceramica e a giovani talenti e nomi non affermati. Perché queste scelte? Dopo una fase di entusiasmo, un po’ pioneristica nell’approccio al design con il primo pezzo prodotto nel 1997 (“Acquagrande”, disegnato da Cappellini), è subentrato il metodo: insieme a Giulio si valuta quale sia il prodotto giusto da lanciare sul mercato in quel momento,

quali caratteristiche debba avere. Su queste basi si individuano i designer. Spesso si verifica anche il processo inverso: giovani progettisti ci presentano le loro proposte che vengono valutate ed eventualmente messe in produzione. Anche questa è sperimentazione e apertura alle novità. La stessa scelta di Cappellini come art director fu una provocazione, una sfida da vincere e poi vinta alla grande. In questa visione design oriented, quale significato assume una linea classica come Flaminia Archivio? Flaminia Archivio è un contenitore che raccoglie le tipologie storiche fondamentali nell’evoluzione aziendale e che rappresentano una parte importante della produzione. Al momento ne fanno parte le collezioni Efi e Fidia. Sono diversi i mercati che richiedono questa linea, dalla Cina alla Russia. In Italia, in particolare, è richiesta nelle ristrutturazioni di stabili d’epoca. La sostenibilità è uno dei punti fermi che determina la qualità di un’azienda e dei suoi prodotti sul mercato. Flaminia in questo senso come si muove? Lo stabilimento principale sorge in un’area di rilevante interesse naturalistico, lungo il fiume Treia. Quindi il nostro impatto ambientale è stato ridotto al minimo. Le acque di scarico vengono riciclate, depurate e rimesse in circolo; per quanto riguarda gli scarti di lavorazione, il prodotto non cotto viene riutilizzato, quello cotto viene rimacinato e riutilizzato; i fanghi di risulta vengono conferiti a produttori ceramici di minor pregio e riutilizzati; gli stampi in gesso vengono frantumati e ceduti ai cementifici della zona. Può anticiparci progetti e prodotti in rampa di lancio? A Cersaie, a settembre, abbiamo presentato l’ampliamento della collezione Nile di Patrick Norguet e Bonola di Jasper Morrison. App, collezione che nasce appositamente per il contract, si è arricchita del vaso sospeso con scarico rimless, cioè a bordo aperto, per una maggior igiene. Ricerca e sperimentazione proseguono all’insegna di un design internazionale valorizzato dal radicamento nel territorio, tradizionalmente storico per la ceramica sanitaria, vero e proprio valore aggiunto di ogni prodotto Flaminia.

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Sei domande a Giulio Cappellini (art director di Flaminia) Quando e come inizia la collaborazione con Flaminia? È stato tutto casuale. Nel 1997 mi venne chiesto di realizzare un lavabo in ceramica per una mostra organizzata dalla Regione Lazio nell’ambito di Abitare il Tempo, fiera veronese dedicata all’arredo, al design, al progetto. Io pensai a un prototipo, progettandolo come tale, come un pezzo unico che non sarebbe mai entrato in produzione e realizzai “Acquagrande” per Flaminia, azienda alla quale ero stato “associato” in occasione di quella mostra. In quella circostanza è nata la prima collaborazione con l’azienda di Civita Castellana, di cui sono diventato poi art director. Acquagrande ruppe gli schemi: il lavabo diventava oggetto di forte presenza scenica grazie alle dimensioni. Esattamente. Come ho già detto, l’idea era che “Acquagrande” rimanesse un pezzo unico. Per cui esagerai nelle dimensioni (un metro di lunghezza per 56 cm di profondità), rivoluzionando il modello di lavabo tradizionale. Pensi che inizialmente, quando la rete commerciale dell’azienda lo vide, qualcuno disse, e non fu un complimento, che assomigliava a un abbeveratoio per gli animali. Non scostandosi poi molto dall’idea di fondo, che era quella di realizzare una sorta di lavatoio. Flaminia mi ha poi seguito nel progetto e il prodotto è stato realizzato su larga scala, in diverse misure. Ed è stato un successo. Grande merito va alla bravura degli artigiani presenti in azienda che

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hanno saputo realizzare un oggetto fortemente iconico e scultureo, non semplice da trattare nelle varie fasi di lavorazione. Nella direzione artistica di Flaminia, quali sono le linee guida nella scelta dei designer e nello sviluppo di un progetto? A me piace lavorare su progetti corali, chiamando personaggi diversi per storia, cultura, tradizione a misurarsi per la prima volta con la ceramica: da Rodolfo Dordoni a Jasper Morrison, da Fabio Novembre a Patrick Norguet, ma anche designer meno noti e famosi. Con ognuno lavoro sulle forme, sulle texture, sui colori. Ma insieme dobbiamo anche fare i conti con caratteristiche tecniche e prestazionali che il sanitario in ceramica deve rispettare: e questo non è un limite ma uno stimolo, spesso diventa motivo di sfida. Qual è il suo approccio a un materiale come la ceramica? Non ho preclusioni per nessun materiale. Detto questo, preferisco lavorare con i materiali naturali e la ceramica mi interessa per le forme espressive che consente di ottenere. Inoltre, il lavoro di ricerca condotto insieme al team Flaminia ci ha permesso di lavorare sulle finiture e di raggiungere buoni risultati nella risoluzione dei problemi legati all’opacizzazione dovuta ad acqua e calcare. L’azienda è all’avanguradia in innovazione e

ricerca, e l’elevata tecnologia si coniuga con una abilità artigianale che spesso mi ricorda quella delle botteghe rinascimentali. Per fare un esempio, quando realizzammo Monowash e Miniwash gli spessori sottili richiesero l’ausilio della moderna tecnologia industriale, ma anche un lavoro manuale di precisione nel ridurre gli spessori. Quali progetti in cantiere per il futuro? I progetti sono sempre tanti. L’importante è che dietro ognuno ci sia un’idea, un contenuto. In ogni caso, al momento con Flaminia ci stiamo muovendo in due direzioni. Da un lato, concentrarci sulla giusta scala del prodotto: è una scelta importante, permette di lavorare meglio sul dettaglio e risponde alle esigenze di abitazioni che, soprattutto nei grandi centri abitati, hanno ambienti più ridotti, compreso il bagno. Dall’altro lato, affrontare nuove sfide su materiali e innovazione tecnologica. Un’ultima domanda, cosa fa di un prodotto un buon prodotto? Un buon prodotto deve rispondere a esigenze specifiche. Deve essere funzionale e bello. Questo vale soprattutto nel caso del bagno che da stanza di servizio è diventato luogo del benessere. Oggi i sanitari in ceramica devono far sognare e allo stesso tempo garantire elevati livelli prestazionali. Questo si raggiunge solo investendo in innovazione e ricerca, difendendo tutto quel patrimonio ricco di creativita e qualità rappresentato dal made in Italy.

Rocchetto è lo sgabello-tavolino in ceramica disegnato da Alessandro Mendini con cui Flaminia è entrata nell’interior design. È disponibile in tre diversi decori, nella versione nero e champagne e nelle nuove monocromie in rosso, verde, arancio, blu e giallo.

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CreativitĂ caleidoscopica Felice Limosani utilizza la tecnologia digitale per produrre sequenze visive e sonore che mixano stimoli e mondi diversi

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di Cristina Morozzi

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Una veduta e alcuni fermo immagine della videoinstallazione Final Touch, creata per il padiglione Mies Van Der Rohe a Barcellona, 2009, esposta anche alla Sketch Gallery di Londra, 2010. Nella pagina accanto: un ritratto di Felice Limosani e un fermo immagine del video Emilio Pucci Remix, commissionato dalla Maison fiorentina per i suoi sessant’anni, 2007.

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l sito di Felice Limosani si apre su una pagina bianca, al centro campeggia una frase che inizia con una domanda: “Signor Limosani, che lavoro fa?”. La risposta è una dichiarazione d’intenti che introduce un lavoro ibrido, trasversale, difficilmente classificabile: “Creo per ispirare racconti e stimolare l’immaginazione di un brand, di una idea, di un luogo. Un mix tra design thinking, metafora artistica e comunicazione non convenzionale”. Il suo percorso non è canonico. “La mia università” dichiara Limosani “è stata la discoteca. Negli anni ’80/’90 facevo il dj. Stare alla consolle significa produrre sequenze sonore, mixando

brani musicali di diverso genere. È una creatività di tipo combinatorio”. E tale può essere definita la sua multiforme produzione, dove la musica ha sempre un ruolo di primo piano. La storia di Felice inizia quando, appena sedicenne, faceva il dj sulla terrazza dell’Hotel Raya di Panarea. “Il mio maestro” dichiara “è stato Paolo Tilche, l’architetto nato ad Alessandria d’Egitto che, assieme alla compagna Myriam, aveva creato l’hotel con la discoteca sul terrazzo, affacciato sul Mediterraneo. Ci accomunava la disposizione visionaria e la capacità di captare segnali, mixandoli liberamente”. “La realtà” prosegue Felice “è il mio nutrimento.

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Osservo e lavoro. L’importanza, come sosteneva André Gide, sta nello sguardo, non in ciò che si guarda. Ci vuole perseveranza e coraggio, immaginazione e olio di gomito. Le buone idee devono essere praticabili. La ricetta è un 49% d’immaginazione e un 51% di concretezza. Bisogna saper osservare tutti i mondi possibili, conservando la capacità di stupirsi, di farsi catturare dalle emozioni (visive, tattili, uditive) e di lasciarsi trascinare dal loro flusso”. Per mantenere vivo lo stupore, che considera un sentimento fondamentale, da custodire gelosamente anche quando non è si più bambini e si è persa l’ingenuità, usa tutti i linguaggi possibili, ma mantiene, come sottolinea, “i piedi nel cemento”. Forse deriva da questa sua concretezza, dalla sua volontà di essere aderente alla realtà e coincidente con i gusti contemporanei, l’attrattiva delle sue performance. Felice conserva l’umanità dei cantastorie, anche se usa tecniche digitali. Lo si potrebbe definire un ‘digital storyteller’, un narratore che nelle sue performance inserisce sempre una componente di intrattenimento. Nel 2000 ha creato le prime applicazioni ludiche di telefonia mobile per Nokia. Collabora con importanti marchi internazionali e con istituzioni culturali, in Italia e all’estero; è membro dell’advisory board della Fondazione di Venezia per il polo culturale M9; per la Triennale di Milano ha curato la mostra Pianeta Expo 2015, Conoscere,

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In alto a sinistra: l’ installazione Sospeso realizzata con 36 km di filo di nylon, plexiglas e neon alla White Gallery di Roma, 2012. (foto Mario Guerra) Sopra, dall’alto: due vedute dell’installazione On Air a Firenze, 2013. Un raggio laser collega il campanile di Giotto, la Basilica di Santa Croce, la torre di Palazzo Vecchio e il Forte Belvedere. Felice Limosani la definisce una metafora che unisce le due rive cittadine dell’Arno. Le parole scorrono su un nastro tra le colonne del loggiato dell’Università Statale di Milano: è l’installazione Between dedicata a Expo 2015, realizzata con Fusina per la mostra Feeding new ideas for the city organizzata da Interni in occasione della design week 2014 di Milano.

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In alto: installazione Lacrime nella pioggia, ispirata al monologo finale del film Blade Runner, con effetti d’acqua, raggi laser e proiezioni su base musicale, 2013. (foto Riccardo Magherini ) Sopra: installazione Luci e Ombre creata nel cortile di palazzo Strozzi a Firenze, commissionata da Il Sole 24 Ore, 2012. (foto Alessandro Moggi)

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gustare, divertirsi. Ha creato installazioni al Louvre di Parigi, al padiglione Mies van der Rohe a Barcellona, alla White Chapel e alla Sketch Gallery di Londra, a Palazzo Strozzi a Firenze... “Cerco” aggiunge “di trasformare l’arte del convincimento nell’arte del coinvolgimento”. Compila playlist evenemenziali, capaci di catturare con immagini, suoni e movimento, l’attenzione del pubblico, attingendo agli ambiti più diversi. Il movimento è una costante dei suoi lavori, che hanno sempre una componente ‘volatile’, quasi che la loro magia, creata come per incanto, d’un tratto possa dileguarsi. La tecnologia lo affascina e ne

padroneggia con gran disinvoltura il linguaggio, senza mai farsi soverchiare. È noto per aver creato nel 2000 le prime applicazioni ludiche di telefonia mobile per Nokia. Le sue opere sono temporanee e nascono per situazioni specifiche, ma non se ne rammarica e ricorda gli apparati effimeri creati da Leonardo per gli Sforza, le tele di Rothko, originariamente destinate a decorare le pareti del Four Seasons di New York, o gli allestimenti di Bernardo Buontalenti per le onoranze pubbliche di Michelangelo. Nel 2001 incontra Andrea Panconesi, proprietario della boutique di moda Luisa Via Roma a Firenze, uno che, come lui, sa guardare avanti. Entrano in società e Luisa diventa il palcoscenico di molte sue spettacolari installazioni, come quella realizzata lo scorso giugno durante Pitti Immagine Uomo, “ll tempo vola e anche le farfalle”, con centinaia di farfalle dalle ali multicolori che volavano dentro un grande cubo di plexi, installato in via Roma di fronte all’ingresso delle boutique. Dalla sua attività giovanile di DJ conserva l’attitudine a immaginare accompagnamenti musicali per ogni stagione della sua vita. In questo momento la sua colonna sonora è un album di Ornella Vanoni del 1976 con Vinicius de Moraes e Toquinho “La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria”, un titolo che riassume un approccio alla creazione, molto personale, sempre mutevole e cangiante.

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Prodotto da Zucchetti, Closer è un soffione doccia regolabile ed estensibile che richiama l’estetica di una lampada. La struttura è provvista di tre snodi e di un contrappeso cilindrico che garantisce la stabilità a qualsiasi configurazione spaziale. Closer è oggi disponibile nelle versioni nera e cromo, ma in futuro potrebbero essere realizzate anche delle varianti colorate.

Libere abluzioni di Maddalena Padovani

Con il progetto di Closer, realizzato da Zucchetti, Diego Grandi introduce un altro modo di fare la d occia e di vivere l’ambiente bagno, dove l’acqua segue i movimenti e le esigenze delle persone e non viceversa

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uello di Diego Grandi per il movimento e il nomadismo è sempre stato un ‘pallino’ perseguito in tanti suoi progetti. Basti pensare al cuscino Monday’s ideato per Skitsch nel 2009, che all’occorrenza si apre e diventa sacco a pelo, trapunta, letto di fortuna per le situazioni più varie. Oppure alla Rimini chair per Casamania del 2011, che trasforma una semplice struttura metallica e un telo in una sorta di installazione per sedersi all’aria aperta. Entrambi oggetti pensati per uscire dai confini della casa e reinterpretare il tradizionale significato dell’elemento d’arredo in funzione di uno stile di vita dinamico e anticonformista. Dalla stessa visione nasce Closer, il soffione presentato lo scorso aprile da Zucchetti che propone una rilettura creativa e funzionale della colonna doccia. Complici anche le origini riminesi di Diego, che, avendolo portato a toccare con mano i problemi di spazio delle tipiche pensioni romagnole, lo hanno condotto a una riflessione progettuale sull’ambiente bagno. “La maggior parte di questi locali” ricorda il designer “sono così piccoli da non consentire il posizionamento di una cabina doccia. In molti casi, il soffione viene posto al centro del soffitto, così che tutto il bagno diventi la stanza umida dove le varie operazioni di cura e pulizia personale avvengano senza soluzioni di continuità. Ecco, questo è un concetto che mi è sempre piaciuto e a cui ho fatto riferimento nel progetto di Closer”. Il principio è tanto semplice quanto innovativo: perché normalmente siamo costretti ad adattarci, spostarci e piegarci in base alla posizione dei rubinetti e non è l’acqua che segue i nostri movimenti e le nostre quotidiane abluzioni? Nasce così l’idea di Diego Grandi di realizzare un dispositivo per la doccia che anziché essere fisso e rigido fosse mobile, estensibile e regolabile. Per dare forma all’idea, Diego ricorre a quelli che per lui sono degli archetipi di funzionalità, leggerezza e poesia: gli arredi in tubolare metallico di Marcel Breuer degli anni ’20, ma anche le lampade snodabili di Le Corbusier e Charlotte Perriand. Il riferimento a quest’ultime diventa così esplicito e diretto da innescare nel progetto un ulteriore elemento: quello dello spiazzamento e dell’ironia, che introdotto nell’austero mondo del bagno diventa un ulteriore argomento di innovazione di cui Zucchetti si fa partecipe con grande spirito di sperimentazione.

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“Closer” commenta Grandi “è un prodotto dal design volutamente essenziale che in realtà racchiude caratteristiche ad alto contenuto tecnologico. Si basa su un gioco di equilibri diversi e complessi regolati dal contrappeso cilindrico e da tre snodi, ciascuno dotato di un ampio raggio di movimento multidirezionale, che hanno richiesto un lungo lavoro di ingegnerizzazione. Il risultato è che il getto dell’acqua ruota, si alza, si abbassa, si sposta a destra e a sinistra. Segue la posizione e le esigenze di chi vuol fare la doccia, ma diventa funzionale anche in altre situazioni, per esempio quelle di chi si fa la barba davanti a uno specchio. Idealmente potrebbe prestarsi anche al lavaggio della testa sopra un lavabo”. Al momento Closer è previsto in più varianti cromatiche e materiche ma sempre nella versione a parete. Il sogno di Diego è quello di arrivare, un giorno, alla soluzione a soffitto “in modo che tutto l’ambiente bagno, e non solo una porzione, diventi ‘il luogo dell’acqua’”.

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Accanto: Anya Druzhinina trasporta il tipico copricapo russo Kokoshnik in un cappuccio gonfiabile antipioggia. Fa parte del progetto Izba, sulla rivisitazione della tradizione russa. Sotto: Seletti trasforma in souvenir l’opera L.O.V.E. di Maurizio Cattelan, nuovo e irriverente simbolo di Milano. L’operazione fa parte della collezione di casalinghi ‘Seletti wears Toiletpaper’. In basso: Codex Siciliae è il racconto illustrato di Edda Bracchi che cataloga l’identità visiva della Trinacria, terra di lunga storia e molteplici dominazioni.

Il souvenir da viaggio. Oggetto kitsch od opportunità per ripensare a come comunicare l’identità di un luogo? Per un Paese a grande afflusso turistico come l’Italia può costituire una sfida per il mondo del design. Tra il serio e il faceto

Tanti cari saluti di Valentina Croci

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iamo abituati a tutto. Ninnoli di vetro cinese spacciato come vetro di Murano, il David di Michelangelo ridotto a grafica per grembiuli da cucina o cartoline, le miniature del Colosseo o di altri monumenti trasformati in calamite o palle di vetro. E molto altro ancora: il genius loci è trasfigurato in oggetti-ricordo tascabili che negli anni affollano i cassetti di casa. C’è chi colleziona souvenir con atteggiamento “camp” ovvero, come spiega Gillo Dorfles nel sempre attuale saggio Kitsch,

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antologia del cattivo gusto (1969), con la consapevolezza di possedere oggetti kitsch, da celebrare con ironia proprio per la loro superfluità. Il kitsch, ci insegna Dorfles, nasce dal recupero indiscriminato di immagini del passato, epurate dalle istanze culturali che hanno generato quel patrimonio. È l’appropriazione accessibile della Cultura, privata della sua trascendenza e calata nella dimensione di massa. Tuttavia è proprio quest’aspetto che rende il kitsch divertente.

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Izba è un progetto di otto designer russi, curato da Tatiana Kudryavtseva per la Design Gallery/Bulthaup di San Pietroburgo, che investiga su archetipi e oggetti della tradizione russa. Alexander Kanygin realizza una barba di legno per evocarne l’obbligatorietĂ fino al Seicento; la designer tessile Sveta Gerasimova riprende le immagini della mito romantico Rusalka (a sinistra).

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Di Benjamin Harrison Bryant (New York City), Paul Marcus Fuog (Melbourne) e Karim Charlebois-Zariffa (Montreal) il progetto Field Experiments Indonesia presenta una serie di souvenir realizzati nei pressi di Ubud a Bali. Artigianato tipico (intaglio, intreccio, batik, tessile, terracotta) con materiali poveri da vendersi senza intermediari.

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Lo ha ben capito Seletti che ha trasformato l’opera L.O.V.E. di Maurizio Cattelan in un ironico souvenir. Il tema presenta potenzialità progettuali che, per un Paese dal grande patrimonio culturale come l’Italia, possono aprire a tipologie di prodotto tutte da investigare. Se souvenir si limita alla sola replica, senza un’interpretazione formale o funzionale che aggiunga un differente livello di esperienza al mero ricordo del luogo, è banale e poco interessante. Citazioni consapevoli debbono portare a un’invenzione. Non sono pochi i prodotti di design che hanno interpretato con intelligenza il patrimonio artistico, senza scadere nel cattivo gusto. C’è chi ha fatto leva sul tema della percezione, come i centrotavola 100 Piazze di Fabio Novembre per Driade, che celebrano alcune delle principali piazze italiane con una visione a metà tra le planimetrie rinascimentali e Google Earth. Oppure, lo spremiagrumi St. Peter Squeezer di Giulio Iacchetti per Pandora Design, in cui sulla cupola di Michelangelo si spreme

si unisce il prototipo della torre Ghirlandina di Modena, con l’idea di sviluppare una famiglia di torri tipiche del patrimonio nostrano. Meno esplicita l’interpretazione della designer tessile Giulia Ciuoli che progetta una serie di cravatte che presentano elementi del paesaggio toscano impressi sul tessuto: colline con uliveti, vigneti, campi arati o scenari boschivi, ma anche elementi grafici di grande rilievo, come la bicromia lapidea del Duomo di Siena, diventano pattern e colori che evocano senza replicare l’esperienza visiva di quel particolare paesaggio. Testimonianze di una riflessione più profonda su cosa sia il merchandising museale. Tali lavori di ricerca necessitano però dell’appoggio di enti pubblici o museali. Il mazzo di carte da gioco Wien Spielkarten dei Formafantasma nasce proprio da un concorso indetto dall’ente turistico viennese. Le carte rappresentano la città modernista con motovi e disegni ripresi dagli archivi museali per celebrare precisi simboli: dalla paglia di Vienna della Thonet n.14 all’asso di denari della seduta

l’arancio e il succo viene raccolto nella piazza del Bernini. È un esperimento che punta sulla trasposizione dell’immagine in chiave funzionale e sulla sua ironica dissacrazione. O ancora il Bisgatto, il biscotto a forma di gatto disegnato da Joe Velluto per la città di Vicenza, gioca sul poco edificante detto “Vicentini magnagati”. O infine Droog Design, attraverso la ricerca sul patrimonio d’immagini del Rijksmuseum, ne interpretano i capolavori in oggetti riproducibili con la stampa 3D. Due giovani designer italiane cercano strade possibili nel merchandising museale. Claudia Grespi trasforma la celebre e sovresposta torre pendente di Pisa in un porta cavalletto fotografico, ragionando in modo simile al suddetto spremiagrumi a partire dalla trasposizione della forma in un’altra funzione. Il porta cavalletto strizza l’occhio anche all’ossessiva pratica della fotografia da parte dei turisti. Alla torre pendente

Kubus di Josef Hoffmann. Ma c’è anche chi con il souvenir vuole trasferire una denuncia sociale o raccontare usi e costumi di una cultura che si sta perdendo. Il collettivo Field Experiments ha realizzato una serie di oggetti nella comunità rurale di Lohtunduh a Bali sul tema del batik, dell’intaglio del legno e della tessitura. L’intento è promuovere senza distruggere l’artigianato locale, sottolineando il delicato equilibrio tra comunità indigene e industria del turismo internazionale. Otto designer russi si sono riuniti nel progetto Izba per riflettere sull’identità di un Paese che sta soccombendo alla rapida urbanizzazione e occidentalizzazione dei costumi. Tra il serio e il faceto, una barba di legno o una cuffietta antipioggia ci ricordano di quando la barba fosse obbligatoria nella Russia di fine Seicento o del copricapo Kokoshnik che le donne indossavano in occasioni speciali.

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Accanto: Leaning Tower, porta cavalletto fotografico di Claudia Grespi, in vendita presso gli uffici del turismo di Pisa e Livorno e nell’Opera della Primaziale Pisana, a testimonianza delle potenzialità di un merchandising museale ad hoc. Sotto: Giulia Ciuoli (Pamphile) realizza cravatte che interpretano il paesaggio. I prototipi finora realizzati rappresentano l’interno e il pavimento del duomo di Siena, un vigneto toscano, l’acquedotto di Pitigliano, le ‘piccionaie’ di Sovana e la facciata del Palazzo Ducale a Venezia (DAB Produzioni, promosso da MiBAC).

Sopra: di Formafantasma le carte da gioco Wien Spielkarten, realizzate dalla storica azienda Piatnik & Söhne, che interpretano segni e grafiche della Vienna modernista. Il simbolo delle Spade è sostituito con la ghianda, frutto tipico delle zone rurali austriache. Foto: Federico Floriani. Accanto: la designer inglese Snowden Flood fa del souvenir buona parte del proprio lavoro. Realizza pattern e grafiche per complementi di arredo a partire da monumenti tipici o caratteristici paesaggi rurali. Tra i suoi clienti il MoMA, il British Museum, la Tate Modern, il London Transport Museum e la Città di Torino.

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Sopra: la capsule collection 2Y della fashion e pattern designer russa con base a Madrid Yulia Yadryshnikova è realizzata a partire dalla cover per il sofà Stanley di Luca Nichetto per De La Espada. Le varie combinazioni di elementi danno vita a outfit diversi. Foto: Laura Jiménez. Modella: Grace Ming. Accanto: Yuma Harada, art director di UMA design firm, con sede a Osaka in Giappone, ha realizzato il pack per il cioccolato Mme KIKI, prodotto dolciario di qualità caratterizzato dall’uso di ingredienti speciali provenienti dall’isola di Shodoshima. Foto: Yoshiro Masuda.

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Dal cortocircuito virtuoso tra la reattività digitale delle immagini e la valorizzazione sensoriale della realtà nasce un’estetica della grafica solida fatta di campiture cromatiche e visive che assumono matericità

di Stefano Caggiano Sopra: Laja, poltroncina disegnata da Alessandro Busana per Pedrali. L’armonia delle forme è esaltata dalla maestria sartoriale dei dettagli, che vestono l’imbottitura in poliuretano con superfici sinuose e colorate. Foto: Beppe Brancato. Art Direction: Leftloft. Sopra a destra: uno scatto realizzato dalla più volte premiata fotografa di moda Tingting Wang, cinese con base a Parigi, per la collezione di accessori Qi Hu. Make up & Hair: Litchi Zhang. Modella: Eunsong Yoo.

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“P

er mia figlia di un anno una rivista è un iPad che non funziona”. Così un padre commenta la reazione della figlia filmata dallo stesso mentre prova, senza successo, a far scorrere le immagini sulla pagina di una rivista strisciandoci sopra le dita. Il video, disponibile su Youtube, è diventato subito un caso tra gli studiosi di interfacce avanzate, perché mostra con vividezza come i nuovi media stiano

ricablando le strutture cognitive dei nativi digitali – oltre che quelle degli ‘adottivi’ digitali. L’abitudine a interagire con immagini reattive si sta infatti imponendo come il nuovo standard del visivo, così che dal confronto con esse le figurazioni su media tradizionali vengono sempre più percepite come qualcosa di inerte e ‘ottuso’. L’espressione di disappunto della bambina è, da questo punto di vista, eloquente. Nel suo mondo, che è già il nostro, dalle immagini non ci si aspetta niente di meno che siano sensibili al tocco, e se non reagiscono allora vuol dire che sono ‘rotte’.

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Sopra: le lampade Slope, disegnate dallo studio milanese Skrivo per Miniforms, sono ispirate alle forme delle montagne e realizzate in massello di faggio levigato con paralume in metallo. Foto: Gabriele Lemanski. Accanto: Imboh, imbottito attrezzabile con tavolino, braccioli e schienale, disegnato da JoeVelluto (JVLT) con l’assistenza di A. Fabbian per Designbottega in materiali eco-sostenibili quali legno massello, juta, lino, cotone e fibre di cocco.

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Da questa nuova concezione del visivo prende forma un’estetica fatta di blocchi ‘grafici’ posti sullo stesso piano della realtà materiale, caratterizzata dal rapporto paratattico tra componenti materici ed elementi di colore pastello definiti con nitore vettoriale, posti all’interno di rapporti compositivi da pari a pari. Emblematici, a questo proposito, i nuovi prodotti Pedrali, come la seduta Laja disegnata da Alessandro Busana. Anche nel portacandele in ceramica Beaver di Odoardo Fioravanti per Something Good e nel set da caffè in legno e ceramica Sucabaruca di Luca Nichetto per Mjölk, che unisce il rito scandinavo del caffè

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In alto: il trio parigino Numéro 111, composto da Sophie Françon, Jennifer Julien e Grégory Peyrache (due designer e un architetto), ha disegnato la collezione in serie limitata Tandem per Galerie Gosserez di Parigi. Sopra a sinistra: il set da caffè in legno e ceramica Sucabaruca progettato da Luca Nichetto in collaborazione con Lera Moiseeva per Mjölk unisce il rito scandinavo del caffè filtrato al culto italico della moca. Sopra a destra: il portacandele in ceramica Beaver, la cui forma si ispira a quella di un castoro, è un progetto di Odoardo Fioravanti per la collezione “Our Friends are Something Good too” prodotta da Something Good.

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filtrato al culto italico della moca, è rinvenibile lo stesso senso di ‘grafica solida’. Prediligono invece l’abbinamento dell’elemento grafico alla materialità dolce del legno le lampade in massello e metallo Slope di Skrivo per Miniforms e i mobili in quercia e legno laccato Tandem dei francesi Numéro 111 per Galerie Gosserez, così come l’imbottito attrezzabile in materiali eco-sostenibili Imboh pensato da JoeVelluto per Designbottega. Il linguaggio della grafica solida interessa però non solo il settore dell’arredo. Vivendo all’intersezione di bidimensionale e tridimensionale, tende infatti per sua natura a diffondersi in maniera trasversale nella cultura visuale in senso lato, fino alla moda e alla comunicazione visiva. Un interessante esempio del primo caso è quello della capsule collection 2Y della pattern e fashion designer Yulia Yadryshnikova, realizzata a partire dalla cover per il sofà Stanley di Luca Nichetto per De La Espada. Mentre nell’ambito delle arti visive la fotografa Tingting Wang ritrae gli accessori del marchio Qi Hu all’interno di un set in cui i blocchi grafici sono sovrapposti agli stessi tratti somatici di una modella. Persino il packaging si avvale dell’estetica della grafica solida, con risultati di grande raffinatezza come quelli del pack per il cioccolato Mme KIKI disegnato dal giapponese Yuma Harada, art director di UMA design firm. In generale, sono due i grandi attrattori culturali che alimentano le energie del progetto contemporaneo: la sparizione digitale delle cose, da un lato, e il ritorno alla solidità esperienziale, dall’altro. Trattandosi di due macro-trend, gli approdi formali a cui questi attrattori pervengono sono tanti e diversificati. Il caso della grafica reale è però peculiare, perché intercetta un punto di convergenza tra queste opposte tensioni accogliendo sia il senso di impalpabilità delle performance percettive digitali sia il ritorno alla tangibilità sensoriale delle cose. È anzi proprio dal loro amalgama che questo linguaggio trae la sua forza semantica e grande versatilità estetica, oltre che l’ampio apprezzamento a cui è soggetto. Ciò che rende ‘convincente’ un linguaggio del design è infatti non solo la sua risoluzione formale (che pure è necessaria, e anche in questo caso presente) quanto la pertinenza con cui riesce a farsi espressione di una sensibilità culturale viva e profonda, pertanto attuale, alimentata dalla tensione tra presente e futuro – tra quello che si è e quello che si sta diventando.

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Progettazione digitale, tecnologie di lavorazione d’avanguardia, sperimentazione e recupero creativo dello scarto proiettano nel futuro la cultura millenaria di un materiale. Il design litico elabora nuove frontiere espressive per superfici e arredi realizzati non solo con il re dei marmi italiani, il bianco di Carrara

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Solid Patterns, di Scholten & Baijings per Luce di Carrara, collezione di 5 tavoli e tavolini in marmo, arricchiti da pattern a griglia. I diversi marmi utilizzati sono: Statuario Altissimo, Lericy color tortora, rosso Portogallo, Versylis bianco-grigio, bianco Statuarietto. Foto di Scheltens & Abbenes. Primavera, di Angelo Micheli per FranchiUmbertoMarmi, vaso in marmo bianco di Carrara. Altezza 150 cm. Cimmy, di Simone Simonelli per Clique, umidificatore elettrico ad ultrasuoni in marmo di Carrara e nero Marquina.

Pagina accanto: Rabbet, di Patricia Urquiola per Budri, rivestimenti a intarsio in varie tipologie di marmo, onice e travertino, con superfici lisce, texture a pettine e matelassĂŠ. La collezione comprende anche coffee table, librerie e mensole in Azul Macaubas e Rosa del Portogallo, un lavabo in marmo e rame e tre diversi vasi.

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Comb, di Paolo Ulian e Moreno Ratti per Robot City - Italian Art Factory, sistema modulare composto da elementi in marmo di Carrara utilizzabili singolarmente come sedute o combinati a formare una libreria. Le scanalature strutturali e decorative alleggeriscono il peso di ogni modulo di circa 1/3. Arena, di Jasper Morrison per Marsotto, sistema di tavoli modulari, ovale o rotondo, in marmo Bianco di Carrara, finitura levigata.

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Luna, di Zaha Hadid per Citco, tavolo monoblocco (320x120x78 cm) in marmo bianco di Carrara, che interpreta il tema dell’astrazione e della distorsione. Fiorile, di Roberto Lazzeroni per Poltrona Frau, tavolini con piani di forme diverse in marmo calacatta, gambe in massello di frassino tinto wengÊ.

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3 Signs, di Jim Hannon Tan per Leclettico, set di tre tavolini, incastrabili l’uno nell’altro, ricavati da un unico blocco di marmo di Carrara. Profile, di Manuel Barbieri per Scandola Marmi, pavimento composto da due elementi di marmi diversi che uniti formano un esagono.

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Pagina accanto, sullo sfondo: Mikado-Collezione Opus, di Raffaello Galiotto per Lithos Design, pavimenti e rivestimenti in marmo intarsiato, a moduli di 60x60 cm, disponibile nelle tre varianti di colore zucchero, cacao, pepe. The Wedge, di Daniel Libeskind per Margraf, opera che raffigura la metafisica dello spazio, in Arancio di Selva, ricavata da un unico blocco di marmo alto 2 m e realizzata a sostegno della Fondazione Hospice SerĂ gnoli. Quadrum di Fendi Casa, coffe table in marmo Gris Pulpis.

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Plisset, di Raffaello Galiotto per Cattelan Italia, tavolo con base in marmo Palissandro e piano in cristallo. Disponibile in versione tonda o rettangolare. Sullo sfondo: Romboo di Salvatori, rivestimento in marmo di Carrara (a richiesta anche su altri materiali lapidei) con finitura tridimensionale a trama esagonale. I moduli sono larghi 6,5 cm e alti 11 cm.

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Sopra, a sinistra: dettaglio dell’installazione Here I am di Fabio Novembre per la mostra Marble Across Time (al FuoriSalone di Milano, promossa da Turkish Stones), una sequenza di sagome umane realizzate in diversi marmi di provenienza turca. In alto: Mangrove, dalla Natura Collection di Antolini. Lastra in Marmo Verde Imperiale con pattern decorativo a tema vegetale.

Sopra: Matrioska di Massimiliano Nocchi, e Andrea Giacomo Tazzini per Up Group, seduta modulare ricavata dall’assemblaggio di lastre di pietra di scarto provenienti dalla lavorazione del marmo. A destra: Origin, di Emmanuel Babled per Babled Editions, tavolino in marmo di Carrara 192 x 96 x 35 cm. Foto di Valentina Zanobelli.

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EnGLIsH TexT INtopics

INteriors&architecture

editorial pag. 1

ToTaL TransParency pag. 2

The present comes to terms with the past once again: in architecture, design, lifestyle, in keeping with different design visions that all make history and existing heritage the starting point for original solutions for the city and everyday life. In Lyon, Odile Decq grapples with the industrial memory of the docks area, designing a daring structure in iron and glass that evokes the identity and overtones of the place. In the north of France, Lacaton & Vassal Architects recycle a port facility by means of ‘cloning’; in Paris graphic and decorative wall effects permit Jean-Philippe Nuel to establish a dialogue between the Art Deco architecture of the Molitor pools and the new spaces of a five-star hotel; while in Alto Adige the school designed by Modus Architects takes linguistic experimentation as its method of grafting new models into the urban context. Shifting to the realm of design, the history and identity of places swerve into quite a different project variety: that of the travel souvenir, transformed from kitsch into opportunities for expressive and typological research. A transfer Diego Grandi manages to activate on a functional plane: the designer looks to the jointed lamps of Le Corbusier and Charlotte Perriand to find inspiration and reinvent the way we take a shower. Finally, the overview of new products in marble narrates how an age-old traditional material can make strides towards the future. The protagonists are unusual solutions for surfaces and furnishings, made with avant-garde technologies and new salvaging processes. Gilda Bojardi Aix-en-Provence, Conservatory of Music and Dance, design by Kengo Kuma. Photo by Roland Halbe.

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project STUDIO ODILE DECQ ARCHITECTES URBANISTES photos Roland Halbe - text Antonella Boisi

In Lyon, at the DOCKS of QUAI RAMBAUD, the headquarters of GL EVENTS: an architectural landmark, a daring structure in iron and glass, open to dialogue with the industrial landscape of this revitalized urban portion that lives in close symbiosis with the river Winner of the Leone d’Oro at the Venice Architecture Biennale in 1992 and the Médaille de Vermeil et d’Honneur de l’Académie d’Architecture in June, honoring a creative career ranging from architecture to interior design to contemporary art, Odile Decq, the ‘punk chic’ exponent of French design, never ceases to amaze. This time the setting is Lyon, “a true European city with a strong international character,” she says, with the new headquarters of LG Events. And very soon there will be another project in which she firmly believes: her school (she is one of the founders) Confluence, the dream that architecture can be increasingly transdisciplinary, based on interaction, to produce a new generation of Renaissance, humanist architects. But that’s another story. The dream of expressing the aerodynamic potentialities of works of architecture in steel (on a concrete base), on the other hand, has already become a reality in the 8300 square meters of the pavilion number 8, set aside for the offices and spaces for the organization of events of the group LG. Built between two rivers, the Rhône and the Saône, in the strategic, revitalized context of the Docks of Quai Rambaud, previously occupied by industrial plants and since 2003 involved in a major project of urban renewal, next to cultural facilities and structures for research and higher education, the building is a compendium of lightness, figurative poetry and technical engineering precision. In other words, a highly specialized project in terms of its constructive process, but one that has been conceived inside the framework of great cultural openness of its deux ex machina. “I have always felt a great sense of responsibility in the act of designing,” Decq explains, “which with respect to contexts and social needs means transforming, creating grafts, coming to terms with inevitable losses.” In this case, the loss would be that of the natural and artificial environment that had grown up over the course of time along the river, and of the genius loci, the memory of the industrial past of a city and a community, erased by the physical impact of the new architectural volume. The building, thanks to the almost muscular sturdiness of its rugged metal structure, presents itself in an enclosure defined by a double dynamic

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Interni ottobre 2014 ventilated facade, completely glazed and of a rarified consistency, extending like a belvedere balcony over the nearby waterway: a landmark, an architecture-landscape that marks the new geography of the urban fabric, maintaining a close relationship with the history of the site: a manifesto that combines the intentions of the clients with those of the designer. Placed on an enormous three-dimensional structure of crossed double beams, supported by three large steel columns, the new pavilion is composed of two overlaid parallelepipeds that are not completely perpendicular, for a total of six levels. The rhythmical accent with respect to the transparent and compact front is provided by an overhang with a length of 28 meters of the four upper levels, resolving the node of its longitudinal extension, asserting its image with an escamotage: a roof in transparent glass topped by the sign of a red-orange frame that makes it possible to gradually discover the volume and its contents, even when seen from below, strolling along the river. All four facades continue the game of the permeable interface between architecture and environment, nurturing a singular texture, in tension between opacity and transparency, thanks to the artistic contribution of Felice Varini. A particular technique has been used to insert four views of the city seen from above into the glass, like a black and white film that replaces the directions of the landscape blocked by the presence of the building. The flat roof terraced with photovoltaic cells becomes the stage for the excellence of the urban setting, opening to free gazes and multiple vantage points, set aside for the workers of GL Events and their guests. The mood does not change in the interiors: “The basic principle that guided the design, by precise request of the client, was total transparency,” Odile Decq explains. So an architectural promenade of flexible open spaces is organized on the various levels around a full-height atrium – conceived as the fulcrum from which to monitor movements through the entire facility – as the protagonist of the staging, together with sharp light that abundantly penetrates into every corner. Completely glazed dividers and glass boxes border the small meeting rooms placed at the transparent perimeter corners. “In essence, these are primary elements to imagine the dimension of a dynamic, fluid network, a sort of hub for the circulation and sharing of communications.” With extreme consistency on the visual plane, the matericchromatic range is oriented towards a uniformity that evokes the identity and suggestions of the context, deploying solid quartz, resin and carpeting for the interior finishes, durable Corian for the fixed furnishings, and a range of tones of dark gray. The sole dynamic counterpoint is the red-orange favored by the Breton architect, already applied outside for the frame of the overhanging volume (and, luckily, coinciding with the color of the logo of GL Events), which returns on the few opaque walls treated as backdrops, and in the carefully selected furnishings of the cafes on the first and third levels, the gourmet kitchen on the fourth, and the bar on the roof – all the spaces for socializing and informal encounters of working life. Which in this place will be anything but gray. - pag. 2 The glass roof with the red-orange frame of the overhanging volume with a length of 28 meters, offering an image of the permeability between architecture and environment, even when seen from below, strolling along the river. - pag. 5 The external architecture of the GL Events headquarters at the Docks of Quai Rambaud, defined by the composition of two overlaid but not fully perpendicular parallelepipeds, with a metal structure and double ventilated facade. In the glass of the facades, four views of the city shot from above have been inserted, in an artistic intervention by Felice Varini, forming a singular film of black and white photography with effects of opacity, representation and transparency. In the drawings: two sections and the plan of the complex. An interior meeting space. Floor in gray resin, Phantom Chairs (2011) by Poltrona Frau and Pétale (2012) and Javelot (2010) suspension lamps by Luceplan, designed by Odile Decq. - pag. 7 Fluidity, transparency and red-orange accents of the interior spaces, with the dynamic counterpoint of the majestic three-dimensional structure of crossed double beams, supported by three large steel columns, the guiding elements of the architectural composition. The sink zone in a restroom, with custom furnishings in Corian® by DuPont. The operative space of an office, with table and chairs by Vitra. On the facing page, view of the internal architectural promenade formed by flexible open spaces organized on the various levels around a full-height atrium, conceived as the fulcrum for monitoring the movements through the entire building.

The past projected into the future pag. 8 project INES LOBO ARQUITECTOS

photos Leonardo Finotti - text Laura Ragazzola

This is the slogan that sums up the project for the Department of Art and Architecture of Evora, in Portugal. Where the volumes of an impressive specimen of industrial archaeology establish a productive dialogue with the contemporary image of newly constructed buildings. In the name of history

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Observing the 17th-century walls of the beautiful city of Evora, a sort of citymuseum listed as world heritage by UNESCO, one immediately notices the architecture of the historic Leõe facility (first a mill, then a pasta factory) for its large size, looming on the level ground around the old fortifications. The municipality of Evora had often wondered what to do with the place, after the factory stopped operations towards the end of the 1970s. A cumbersome presence in the territory, but at the same time a precious remnant of the city’s history, the factory founded in 1916 finally entered a new phase of its life in 2010: after decades of abandon its workspaces have been transformed into places for education. A competition was held, won (hands down) by the studio of the Portuguese architect Ines Lobo, who recently came into the international spotlight as winner of the ArcVision Prize — Women and Architecture 2014, the important honor organized by Italcementi Group to recognize outstanding female architectural talent. In her own country, however, Ines Lobo was already well known, thanks to an illustrious career, mostly in the area of the architecture of education facilities. “I won all the competitions,” the designer told us, when we met her during the prize ceremony at the Research and Innovation Center of Italcementi Group in Bergamo in April. “Since the start of my activity — I opened my studio in Lisbon at the end of the 2000s — I have concentrated on public spaces. In just a few years our work increased (along with our staff) thanks above all to our participation in competitions held by the Portuguese government for the renovation of school buildings. We won four of those contests: our job was to reinvent the school of the future. How? By recovering spaces, history, memory, starting with what already existed. In other words, our slogan was (and is): the past projected into the future, to reuse without squandering, to add without waste.” This is what has recently happened in the project for the School of Arts and Architecture of Evora, which the designer says “adapts to the existing factory, not vice versa.” Lobo explains: “We wanted to reuse the existing spaces, a legacy full of history and beauty, because I think design means continuity, involving a process of remaking of the same elements. But inside the imposing walls of the factory life had been absent for a long time: we brought it back with new workshops, classrooms, the dining hall, the students, the professors… Because architecture is a container of life and people: this is its miracle.” The project set out to interpret, with a different gaze, the wealth and complexity of the place and the construction, working through subtraction first and then addition. To get started, the buildings added over the course of the years, volumes alien to the true nature of the original construction, were removed. “We actually moved in a direction that differed from that of the guidelines,” Lobo says, “which called for reuse of all the volumes, even the later additions (four of them), inserted when the business of the factory was growing. Instead, we decided to sacrifice them, which also led to significant savings, while completely renovating the older part of the factory: so the heart of the old factory becomes the heart of the new university.” A new volume (“we call it the TGV, because it reminds you of a train”) has replaced the four old buildings: it combines metal and concrete, because the project also ‘reuses’ the materials of the territory, those immediately available without the need for transport from a distance. The ‘TGV’ is a functional link between old and new, applying a language that is directly based on that of industrial architecture, as Lobo explains: “You learn from what exists, in order to construct the contemporary. In Evora, in fact, we identified successful strategies, ‘inherited’ from the old factory, and then adapted them to the educational functions. A concrete example? The large canopies that protected the rail platforms in the shipping and receiving areas, utilized in the new university facility to shelter students and professors, creating a gathering place, a place for life. This is another confirmation of the fact that the architecture of the past has a direct relationship with the contemporary world. Even in the most revolutionary projects.” - pag. 9 On the facing page, new and old meet in the design of the new university in Portugal. The contemporary building in metal, with an oblong form (seen in black in the sections below) connects to the volume of the former pasta factory with a second lower volume with a rounded roof, forming an L (below and to the side): the first, on three levels, contains the large sculpture classroom, the audiovisual room and the faculty offices; the second is for the cafeteria. - pag. 10 Above, the new entrance to the facility: a concrete staircase connects the three new levels; a canopy has been ‘anchored’ to the longer facade, a reminder of those used in industrial spaces to shelter shipping and receiving areas: today it creates an underground lounge for students and professors. On the facing page, above, a corridor in the new wing: all the physical plant systems are exposed to facilitate maintenance and, at the same time, to conserve the traces of the building’s industrial past. The large classroom on the ground floor of the new building is for sculpture and painting: light enters through the ribbon windows on both sides. To the far right, plans of the ground and first floors. - pag. 12 Left, the third level of the new building with the faculty rooms accessed by means of a long corridor, overlooking the audio-visual spaces on the level below. Below, one of the workshops of the Department of Architecture created in the existing volumes of the former factory. On the facing page, the dramatic reading room of the library, with modular walls made with metal panels hung from the roof, inside the spaces of the old factory. The low-cost furnishings have been custom made with recycled wood.

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- pag. 15 View of the main facade, next to the Pavillon Noir by Rudy Ricciotti on Esplanade Mozart. The aluminium cladding, crafted like an architectural origami, produces a play of shadows that follow the changes in the daylight. The cut of the corners adds a sense of lightness to the overall volume, organizing the main entrance to the right. - pag. 16 Views of the compositional treatment of the facades and the three-dimensional appearance of the architectural skin. On the facing page, interior of one of the practice rooms. - pag. 19 On the facing page: the staircase along the southern glass facade towards the garden. The design of the wooden suspended ceiling simulates the rhythm of a musical score on an architectural level. Counter-clockwise: view of the concert hall and its foyer, and the dance school.

A flower for education pag. 20

project MODUS ARCHITECTS with BERGMEISTERWOLF photos Oskar Da Riz - text Laura Ragazzola

At Ora, in Alto Adige, two new volumes are grafted like two buds of modernity in the volume of a historical school building. Memory plus new languages. Kid-size

In praise of light pag. 14

project KENGO KUMA AND ASSOCIATES photos Roland Halbe - text Matteo Vercelloni

In AIX EN PROVENCE, France, the new DARIUS MILHAUD CONSERVATORY OF MUSIC AND DANCE, also for theater, is the conclusive part of the city’s cultural forum. With a new building by Kengo Kuma featuring aluminium facades crafted to create a play of shadows that follow the pace of the day and the seasons, the urban system of the education center completes the range of all the artistic disciplines Next to the Pavillon Noir by Rudy Ricciotti, facing the complex of the Gran Théatre de Provence by Vittorio Gregotti, the new Conservatory of Music and Dance named for the French composer Darius Milhaud (1892-1974) completes the urban design of Esplanade Mozart, the central axis of this part of the city’s cultural forum. Designing the external enclosure of this building, Kengo Kuma has worked with a single material, aluminium, to produce the overall volume, a sort of parallelepiped that exploits the level shift of the terrain towards the garden. The building is sculpturally shaped in terms of its architectural skin and its perimeter, with forceful inclined cuts at the corners to create the main entrance and to produce an effect of lightness in the relationship with the ground on the opposite side. The surface of the facades, with its complex three-dimensional pattern, is a reminder of the Japanese origami technique, with protruding geometric shapes that create a fascinating play of shadows and reflections to underline the rhythm of the day and the colors of the seasons. As Kuma himself puts it: “The main elements of the facade are light and shadow, rather than aluminium. In this sense we were inspired by the work of Paul Cézanne, the great artist of Provence, together with the Japanese art of origami.” Shadow thus becomes the mutable material that designs and sculpts the image of the Conservatory in reaction to the intensity of the daylight. “In truth, no secrets, no mysteries exist: everything is the magic of shadow,” wrote Junichiro Tanizaki in his book In’ei Raisan (In Praise of Shadows, 1935). The cuts, the play of overhangs and openings, the vertical shape of the design of the main facade towards the pedestrian walkway and that of the more compact horizontal bands towards the garden, are also reminders of the rhythms of a musical score, its counterpoint, its systems, becoming a symbol and an apt architectural mirror of the content and activity of the building. In the internal spaces, arranged on an overall area of about 7.400 square meters, over 1400 students work in 62 classrooms, 15 individual practice rooms and 5 collective rehearsal spaces. The 500-seat concert hall, one of the few in France to be equipped for organ concerts, offers excellent acoustics, also thanks to the crafting of the architectural walls, the volumetric shaping of the sounding chamber, reprising the image of the facades. Other compositional solutions in the interiors reference themes linked to music, dance and theater, like the ‘pleated’ treatment of the design of the suspended ceilings and the internal facades of the foyer, with alternating protruding bands of pale wood. Kuma says: “In the Conservatory I have known the differences of the materials, the forms and shadows that symbolize the notes of a score, and the wide variety of musical instruments.”

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In September, when the students entered their new classrooms full of light (and flowers, unexpectedly sculpted on the walls), they were very happy. The parents and teachers immediately shared in their enthusiasm, because in that beautiful building, with its rather severe architecture, generations of kids from the town of Ora had studied, in this quite settlement at the gates of the Dolomites. The addition to the elementary school, in fact, has been done by ‘grafting’ two new volumes onto the solid walls of the original building, without upsetting its evocative identity, while bringing new vitality to the complex. This capacity to address both the past and the future, to speak with different voices to different persons (and cultures), is the outstanding trait of the studio MoDus Architects, based in Alto Adige, composed of Matteo Scagnol and Sandy Attia: a couple, also in life, whose summed ages are less than ninety, educated at Harvard University (where they met) but with backgrounds in culturally distant lands (he is from Trieste, she is Egyptian), since 2000 they have shared in an intense professional career, gaining many international prizes and honors. The latest is the participation in the exhibition-research of Padiglione Italia entitled “Grafts. The new as metamorphosis,” for the Venice Architecture Biennale. An absolutely familiar theme in the compositional language of the studio, as proven by the elementary school at Ora (done together with Gerd Bergmeister and Michaela Wolf, young and emerging designers from Bressanone), where precisely the graft, the addition of new volumes, resolves the expansion to meet the new needs of the community. “It is always useful to start with a strong idea, a priori, a ‘fundamental,’ a well-gauged architectural solution that has its own personality, a clear identity,” Scagnol told us when we met him at the Arsenale in Venice. “Of course the context where the project takes form and grows is important: you have to study it, to analyze it, but for us it is never the starting point. To clarify this concept, I always cite the example of a trip I made in the United States, from Los Angeles to San Francisco, along the Big Sur, a panoramic road overlooking the ocean, that passes on high cliffs and then bends inland. Beautiful trees, all of the same species, punctuate the landscape, but those facing the sea are twisted, bent by the force of the wind, while those further inland are tall and majestic, with symmetrical foliage. Nevertheless,” the architect continues, “the seed that gave life to those trees was always the same: in other words, in the project having a strong idea means finding the ‘seed’ of the architecture, when then, when it falls, is deformed, transformed, displaying changes.” But it is also true that the strong sign, that of an autonomous, living and above all ‘different’ object, can be replaced by a work of architecture that decides to conceal itself, to ‘erase’ its presence in the landscape and the edification. “The humility to take a step back is always an excellent solution, but we are young and we like to work on counterpoint. Maybe because we still have a certain amount of freshness and courage,” the designer concludes with a smile. - pag. 21 Left, view of the elementary school designed by MoDus Architects with bergmeisterwolf, both design studios based in Alto Adige. The two new wings, added on the sides of the building without windows, contain the Italian-language school (first floor) and the German-language school (second and third). Below, plan of the ground floor: in black, the walls of the two ‘grafts.’ The pale added volumes contrast with the materic texture of the old school building. The visual effect is emphasized by the presence of large white flowers punctuating the facades. - pag. 22 Top, the atrium with the wardrobe for the children, for a ‘school without shoes,’ a very widespread practice in German-speaking countries (the choice makes it possible to use oak for the floors of the entire building). Below, the corridor on the first floor for the connection to the old building (right). - pag. 23 The staircase of the east wing, for access to the classrooms of the first level of the German school. The decorative motif of the flowers returns, ‘sculpted’ on the concrete walls. - pag. 24 To the side, one of the classrooms on the third floor. It is possible to

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glimpse the wooden stairwell leading to the ‘dome,’ an mansard space used by the children as a sort of ‘secret attic’ (lower left). Above, the corridor/passage to the new wing (counterview of the photo to the right), revealed by the new concrete vault seen in the background (see first floor plan, left). On the facing page, the elegant intrados of the old wing of the school: the bright colors emphasize the thick surfaces of the doors, breaking up the pale tones of the environment and introducing a modern sign (photo René Riller).

facing page, view of the full-height zone corresponding to the internal walkway that runs along the Halle AP2. The upper level of the prefabricated structure contains a belvedere. - pag. 30 Clockwise: view of the interior of the Halle AP2 used as an exhibition space; view of the belvedere on the upper level of the internal structure; the cafeteria and an exhibition space. - pag. 31 Evening view of the FRAC Dunkerque; the new completely transparent museum facility becomes a luminous landmark for the city.

TwIn ArcHITecTure pag. 26

HoTeL In MIDTown pag. 32

with Florian de Pous, Camile Gravellier, Yuko Ohashi photos Philippe Ruault - text Matteo Vercelloni

photos Michael Kleinberg - text Alessandro Rocca

project LACATON & VASSAL ARCHITECTS

In northern France, in the port city of DUNKERQUE, the headquarters of the FRAC (Fond Règional d’Art Contemporain) of the Nord-Pas-de-Calais region, conceived with the outlook of renovation of a large building in the shipyard, doubled by cloning in a contemporary key, for an intense face-off between history and modernity The new facility of the FRAC of this region in northern France opened its spaces, ‘old’ and new, in November 2013. The project, winner of a competition held by the Urban Community of Dunkerque in 2009, is essentially based on the idea of the assumption as a ‘monument’ of comparison and scale of the large industrial structure known as the AP2, built in 1945 at the port of the city as a shipyard, which for about 40 years spewed out all kinds of vessels: yachts, battleships and postal cargo ships, tankers and sailboats, until its definitive closure in 1988. The AP2, known as the “cathedral” in the town, is a bulky edifice with an essential geometric design, a parallelepiped 75 meters in length, in reinforced concrete with a regular rhythm of glazed openings, and a double pitched roof that forms two solid tympana at the ends. A relic of the industrial past and the shipyards of the city and the region, the AP2 has been part of the urban skyline for decades, directly facing the ocean. Not only a geographical landmark, the big hangar has been approached in the project by the studio Lacaton & Vassal as an existing feature of reference, not only to be renovated, but also to be used as a symbolic and functional resource, to exploit in the logic of reutilization of urban artifacts. The project operates ‘by cloning’ to combine the historic building – with its original full-height interior, now used as a space for exhibitions and temporary installations – with a new building that perfectly replicates its profile and proportions, on the side facing the sea. The twin building is like a transparent, light enclosure that openly reveals the sum of its internal levels, conceived as six overlaid and off-axis layers, to contain 9000 square meters of new exhibition and work spaces for contemporary art, with a public walkway on the first level designed like an internal street suspended between the two constructions. The sum of the internal levels and spaces, done with a prefabricated structure, conserves the general idea of a single full-height space in its compositional dynamic; like the historic hangar to which it is connected in formal and figurative terms, it becomes a reinvented historical memory. The sense of the operation is to construct an architecture in the architecture, which contains it and creates an interaction, a synergy of vantage points, flows, material and formal relationships between the historic building and its contemporary twin. The lightness of the new construction is underlined by the metal structure that forms the architectural ‘framework’ of reference, and by the total transparency of the enclosure, obtained by cladding the full-height open portions with strong transparent plastic, the same solution used for the roof. A choice that would seem more suitable for a temporary installation, but instead is used permanently to underscore the meaning of a building for contemporary art and its changing expressions. Towards the outside the facades corresponding to the new spaces defined by the prefabricated structure on stacked levels, like that of the central staircase, have a modular glazing system that combines aptly with the plastic sheets. In the evening the new building emphasizes its light image, becoming a great magic lantern, a sort of beacon for art and culture, a new symbolic reference point for the city and a signal seen from the sea, a guiding light on the coast of Dunkerque. - pag. 27 Above, view of the lateral facade of the new museum facility. The facades combine thick PVC sheets (in the ‘free’ part of the metal architectural enclosure), glazed segments corresponding to the levels, and the profile of the prefabricated structure. On the facing page, the overall facade that underscores the architectural symbiosis between the large AP2 naval hangar (left) and the new transparent building that replicates its profile. - pag. 28 Exploded and functional axonometric of the new museum structure. Cross-section showing the juxtaposition between the Halle AP2, conserved as a full-height space, and the new museum building with stacked levels, contained in the architectural enclosure that duplicates the figure of the original shipyard building. On the

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project GABELLINI SHEPPARD ASSOCIATES

The refined roughness of NEW YORK is the main theme for the transformation of the public spaces of an old hotel near TIMES SQUARE. COR-TEN STEEL AND CONCRETE can become elegant and welcoming, like oak paneling and velvet curtains, while beyond the curtain wall the tireless parade of automobiles and pedestrians of 8th Avenue passes by

To catch the spirit of New York, of Midtown Manhattan. The office district, from the New York Times building by Renzo Piano to the historic Rockefeller Center, but also Times Square, the MoMA, 42nd Street, once a sleazy red light district, and the southern border of Central Park. As the designers point out, this is also the area of the Great White Way, that piece of Broadway between 42nd and 53rd Streets with the world’s highest density of theaters. How can you recoup a certain idea of New York, when all around, together with the ongoing presence of grand modernist skyscrapers, lurk the signs of generic America, the MacDonalds, Starbucks, Subways and Famous Famiglia Pizzerias, and of rather invasive tourism, like Madame Tussauds and Nintendo World? The studio guided by Michael Gabellini and Kimberly Sheppard is based in New York, where it was founded in 1991, and is well known in Milan for having designed the Armani Center on Via Manzoni, just one project from the studio’s intense activity in the field of retail design, including collaborations with Jill Sander, Ferré, Ferragamo, and other brands of high fashion and prêt-à-porter. In the field of hospitality, i.e. hotels and restaurants, Gabellini Sheppard have also worked in many cities in the United States, as well as in the complex in Milan, which contains the Nobu restaurant and the Armani café. Faced with the task of transforming the old Milford Hotel into a new, vibrant environment in tune with the energy and mood of the city, Gabellini and Sheppard have turned to the stereotypes of modernist and Deco New York, the years of Prohibition and the Cotton Club, reassembling them in a composition packed with citations and subtle historical references, but also clearly contemporary, without any stylistic or imitative pitfalls. The new base has been reinforced by a system of pillars and beams made with sand-blasted granite, a material that for New York is like the yellow tuff of Jerusalem, the true substance of which the noble part of the city was made, at least until it was replaced, in the middle of the 20th century, by the other typical material of New York, the curtain wall. And in fact the rest of the facade, at the ground level, is entirely faced with handsome glazing, as if to represent, with granite and glass, a synthetic compendium of New York architecture. Inside, the lobby fully explores this dialogue between the memory of a rather monumental modernism – Rockefeller Center is nearby – and a contemporary aesthetic that reminds us of the lofts in which the protagonists of the avant-gardes of the Sixties did their thing, the atmosphere and the hard materials of certain spaces like the Factory of Andy Warhol, and his favorite disco, Studio 54. The lobby of Row NYC, of course, is perfectly composed and ready for the most correct and quiet use, with well-organized spaces in skillful choreographic order. Entering from the lively and at times hyperactive situa-

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tion of 8th Avenue, visitors find a shady, quiet but also dynamic zone, thanks to a relationship with the outside world that is filtered and framed by glass and drapes, in a setting that is like a caption. From this vantage point, you can enjoy fantastic snapshots of New York life, separated from the flow of passers-by and traffic, observing without being in the midst of its all, savoring the frenzy from the sober tranquility of the lobby. There are overtones of 1930s decor in the rather monumental composition of the spaces and the staircase that makes the passage from one level to the next striking and theatrical. Yet the overall effect is very contemporary, harder than what one might expect. The floors, in fact, are in exposed concrete, while the structures and certain parts of the walls are covered with Corten steel. The elevator shaft is in backlit translucent material, and the connection between the reception area and the lounge bar is psychedelic, thanks to two LED screens featuring images by the video artist Yorgo Alexopoulos. Here, in the bar, you can indulge in a bit of nostalgia thanks to projections of the images of Ron Galella, the most famous paparazzo of the Dolce Vita of New York. - pag. 33 On the facing page, the main entrance, covered by a new canopy, with the composition in sand-blasted granite, the typical stone of many important buildings in New York; the hotel faces 8th Avenue, between 44th and 45th, in the heart of Midtown Manhattan, close to Times Square. On the facing page, view of the two-story lobby, with the semitransparent box of the elevator shaft; columns and panels in Cor-ten steel. - pag. 34 On the first floor, the floors and walls of the lobby are finished in exposed concrete, like the staircase. The elevator shaft is transformed into an immaterial, veiled and backlit volume. On the facing page, the lobby and the check-in desk, with two LED screens featuring works by the video artist Yorgo Alexopoulos. View of the Row Bar, with the LED screen; left, the entrance to the District M lounge bar. - pag. 36 The District M lounge bar with projections of images from Seventies Broadway by Ron Galella, the most famous American paparazzo. The walls are finished with textures taken from the street heart of American graffiti writers. On the facing page, detail of the lobby with the staircase descending towards the entrance, with glimpses of the lights of 8th Avenue.

The ‘ship’ goes on its way pag. 38

project JEAN-PHILIPPE NUEL/AGENCE NUEL photos Gilles Trillard - text Antonella Boisi

In Paris, in the 16th arrondissement, the new Dolce Vita of Piscine Molitor, in a monumental Art Deco complex: the atmosphere of the golden age brought back with polyphonic colors of the 21st century. Respecting the history of a place to provide five-star hospitality Citizens’ cries of distress, even after the threat was removed of transformation into a parking area, after twenty years of closure and abandon interrupted in the 1990s by the forays of street artists, have finally gotten a response. The restoration of the two unforgettable swimming pools arranged in a T shape – the indoor pool with a length of 33 meters, and the outdoor summer pool, 50 meters long – has been done by Marc Mimram; the architecture of the complex that closes the T with a horseshoe form was handled by the team formed by Jacques Rougerie, Alain Derbesse and Alain-Charles Perrot; and the interior design of the spaces was assigned to Jean-Philippe Nuel. These are all French architects. So here they

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ottobre 2014 Interni are, since May, the Molitor swimming pools that in 2001 gave the name to the young Indian protagonist of the novel (and film) Life of Pi by Yann Martel. And, even before, at the start of the 1930s, the noble ‘vats’ of Porte Molitor, in the 16th arrondissement of Paris, worthy neighbors for the park of Bois de Boulogne, witnessed the parade of Olympic swimming champions and the first bikini by Louis Réard in 1946. The municipality called in the Colony Capital-Accor-Bouygues group to revive the complex – classified as a historical monument – designed in 1929 by the architect Lucien Pollet in Art Deco style and enhanced by the multicolored windows of Louis Barillet, Damon and Turlan. So that imaginary ‘ship’ of the Parisian Dolce Vita of the 20th century goes on its way, without changing its course, into the future, reconstructed based on the original model, inspired by the framework of reference of the period: the imprint of court society in the field of the decorative arts, the work of Robert Mallet-Stevens and the designer JacquesEmile Ruhlmann, the taste for patterns of fan-like geometric forms, experimentation with exotic types of wood together with bronze, ivory, colored glass, chromium-plated metal. Molitor by MGallery is the name for the rebirth of this pearl, indicating not just the two superb pools, but also a five-star hotel and a wellness center. “I have imagined the design of the interiors as a voyage in time, a Grand Tour,” says the French architect Jean-Philippe Nuel, “reinterpreting the references offered by history, with a ‘freestyle’ artistic approach. My way of respecting the polyphonic character of the place has translated into a range of site-specific interventions, balanced by juxtaposition.” The lobby, today as in the past, is the heart of the spectacular setting: located near the outdoor pool it puts the accent, in a space with an irregular form, on a vintage Rolls Royce customized by the graffiti artist JonOne, “a reminder of the street art period of the building and its roots in urban life,” the artist explains. The intentionally unfinished effect of this provocative presence inside the first gathering place for guests forms a contrast with the other details of the environment: the refined desks resembling elegant 1930s pillboxes; the floating drapes that lightly ‘structure’ the zones; the mirrors hung from the ceiling that amplify the landscape of changing reflections; the custom carpets that warm the atmosphere, picking up the yellow nuances seen again on the outer facades of the building, as at its origins. The restaurant, another important area of collective use, featuring the nouvelle cuisine of the chef Yannick Alléno, has been organized like an experimental art gallery, combining a series of large photos by Thomas Jorion that reproduce the graffiti-covered walls prior to their demolition with the original 1930s ceiling, restored to its original splendor. “Graffiti thus takes on the value of an abstract contemporary painting,” says Nuel, “which with its creative signs is able to establish a dialogue, even with the historic glazings by Damon and Turlan,” while the furnishings, a mixture of vintage pieces and contemporary design, convey the nomadic spirit of the Molitor in an informal way. Also in the circulation spaces, the ‘voyage in time’ emphasizes the iconography of the place, making use of the photographic archives, memories in black and white of major sporting events of the past, covering the walls, and extended over the ceiling on the third floor. A narrative fresco that can be shared, thanks to the glass transparency of the perimeter, from the external walkways of the swimming facility. The 124 hotel rooms, all with panoramic views of the outdoor Olympic pool, the ring walkways and the multiple rows of cabins with blue doors, have a softer, more relaxing musical tone. With the notes of neutral colors, in white and gray, of the beds positioned in the corners on carpeting, the curtain behind it to adjust privacy levels in relation to the bath, the custom-crafted seats in curved wood, like those produced in the 1940s. In the end, however, it is above all the wellness center, on two levels of the building, integrating spa and sports, that reflects the most brilliant grammatical synthesis. In the balanced juxtaposition of old and new elements, recycled Art Deco ticket desks, minimal screens in metal and glass, and selected design furnishings made in Italy tell us that in this eccentric decorated universe the atmosphere of the golden age can truly live on, corresponding to the finest tones of the 21st century. Without boundaries. - pag. 39 Refined optical and multicolored effects, with a Mediterranean tone, decorated tiles and parquet-effect bricks enhance the design-oriented spaces of the spa. Armchair on wheels by LaPalma, Anda hassock by Pierre Paulin for Ligne Roset, hanging lamp and mirror by Gubi. - pag. 40 Treatment room in the spa, run by Clarins: Art Deco suggestions and essential contemporary design. One of the 124 hotel rooms with view of the outdoor pool: soft, neutral tones, with custom furnishings by Jean-Philippe Nuel. The restaurant rediscovers the charm of a nomadic and informal spirit, with photographic reproductions of graffiti on the walls and restored 1930s mosaic glazing. Suspension lamps by Flos, designed by the Bouroullec brothers, red seats from Tacchini, design Claesson Koivisto Rune. On the facing page, a circulation space on the third floor, lined with large black and white photographs, memories of important sporting and fashion events of the past at Piscine Molitor. Custom carpets produced by Ege. (photo Christophe Dugied). - pag. 43 The two Art Deco pools of the Piscine Molitor complex, restored to their original splendor: the outdoor summer pool, 50 meters, Olympic-size, with the original external walkways and the triple row of cabins with blue doors; and the indoor winter pool, 33 meters (with original roof). (photo of indoor pool by Alexandre Soria). Color in synthetic material and ‘freestyle’ graphic effects inspired by the place, for the lounge area featuring the 1950s Elettra armchairs by Arflex, designed by BBPR.

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Between memory and innovation pag. 46 by Francesco Massoni

Nordic design celebrates the chair. To commemorate two historic masters, Hans J. Wegner and Børge Mogensen, and to narrate how young talents have continued their cultural legacy

INsight/ INscape

Biennale, but not Biennial pag. 44 by Andrea Branzi

Another viewpoint on the Venice Architecture Biennale: do starchitect curators who ensure success at the box office do work that has no relationship with the proposed theme? I would like to make some considerations of a general character regarding the institution of the Venice Architecture Biennale; considerations that do not address the latest exhibition, or the most recent ones, but more general themes regarding this type of institution. The first and perhaps the most urgent reflection has to do with the fact that unlike the most important cultural events, a ‘curator’ is never appointed, namely a theorist or historian who has the job of selecting the materials on display: instead, an ‘architect’ is chosen, a sector professional, to propose a ‘theme’ for the work of colleagues, who are often completely detached from the issues involved and are therefore forced to improvise, coming up with exhibits that neither represent their work nor address the general theme. The director is usually appointed a few months before the opening, and this situation is often resolved by the hiring of ‘starchitects’ who should at least ensure box office success, though in many cases their work has no relation to the proposed theme, producing a confused scenario and making comparisons difficult. In any case, being appointed ‘curator’ of the whole show, or at least of a national pavilion, remains an important career step… The Venice Biennale has spread from the Giardini to the entire Arsenale, leading to a flood of exhibitors that is hard to control, and often to a sort of internal situation of ‘allotments.’ Instead of a rigorous selection, what emerges is an often contradictory scenario, with projects that may even be very extraneous to the ‘overall theme.’ Thus the Biennale often runs the risk of losing its logical thread instead of reinforcing it. Nevertheless, being invited to take part is always considered an honor: having participated at many editions, I can assure you that it is always a thrilling experience. But these critical reflections are the result, in my view, of a defect that is an integral part of this important event: the defect comes – as the name itself implies – from the idea of organizing a new edition every two years. In two years, the scenarios of design culture do not change in such a significant way. There could be a dual solution: to transform the Biennale into a permanent, continuous institution that never closes, where exhibitions and conferences continue, following the evolution of the field in real time. Or to extend the pace of the various editions from two to four years (it is no coincidence that Documenta in Kassel takes place every five years, making it possible to grasp the true developments of art that have happened inside an adequate time span). Actually these two solutions only appear to be contradictory. The 20th century was that of traditional biennials, but in the 21st century design culture has changed profoundly: on the one hand it has become a scenario in continuous evolution, but on the other part of it is periodically paced by profound mutations and unpredictable mental and linguistic scenarios. So it might be worth starting to rethink the ‘non-biennial biennale’ as a place capable of recording the different speeds of the culture, not just that of design.

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Far from resting on their laurels, the Danes cultivate a lively passion for chairs, which their creators and producers – designers, cabinet makers, furniture companies – have contributed to make famous around the world, almost like true landmarks. In effect, chairs represent a distinctive feature of that well-gauged, welcoming interior landscape in which we can clearly recognize the Nordic spirit. This year there are two pertinent celebrations – the centennial of the birth of two outstanding figures of ‘Danish Modern’ and creators of memorable chairs: Hans J. Wegner (1914-2007) and Børge Mogensen (1914-1972) – so we are seeing the spread of initiatives that illustrate the design virtues and the legacy of these masters, as absorbed by the young talents trained in prestigious institutes like the Royal Danish Academy of Fine Arts in Copenhagen, the School of Architecture of Aarhus and the Design School of Kolding. The Designmuseum Danmark in Copenhagen is holding two exhibitions, “Hans J. Wegner. Just one good chair” and “Børge Mogensen. Furniture for the people!” Wegner designed 500 chairs, and was one of the main forces behind the worldwide success of Danish design, when in 1949 he created the Round Chair, which the Americans emblematically christened ‘The Chair’ after having admired it, in 1960, during the legendary televised debate between John F. Kennedy and Richard Nixon. PP Møbler, this year, has come up with a precious limited edition, as well as reissues of the Hammock, Peacock and Tub chairs. Another Danish company with which Wegner worked, Carl Hansen & Søn, has commemorated him in an original way: all the Y models ordered on 2 April, the birthday of the ‘master of chairs,’ bore the date and signature of Hans J. Wegner. Paul Smith and Maharam, in collaboration with Carl Hansen & Søn, have reworked some of his comfortable creations in a multicolored capsule collection, presented during the Salone del Mobile in Milan in 2014. A direct heir of Kaare Klint, the clear forerunner of the generation that gave rise, in the 20th century, to the phenomenon of ‘Danish Modern,’ Børge Mogensen always attempted to give his creations an authentically democratic character. It is not by chance that his paradigmatic J39, designed in 1947, was later affectionately known as the ‘people’s chair’ and is still one of the best selling models in Denmark. For the centennial, Fredericia has reissued two outstanding pieces: the Søborg chair and the No. 1 sofa. Apart from these celebrations, the double centennial has been an opportunity for many students of design and architecture schools to approach the creative spirit of their illustrious predecessors. In particular, the Royal Danish Academy of Fine Arts of Copenhagen, where both Mogensen and Wegner studied, has organized and set up, in the context of the initiative Danish Made, held in the Ventura-Lambrate zone in Milan during Design Week 2014, the event “Morphology – Stick and Cushion,” exhibiting chairs by 50 young designers. “The results of this research do not represent only a tribute to Mogensen and Wegner; above all, they bear witness to a contemporary and experimental approach to the theme of the chair, capable of challenging current ideas about form, function and the use of materials,” says Mathilde Aggebo, director of the Academy’s institute of architecture and design. The method is holistic, the same one used by the masters – careful observation of domestic rituals and habits, accurate analysis of forms and proportions, appropriate selection of materials, processes and technologies – but the context changes: a world that demands greater sustainability. And the projects respond in a tangible way. - pag. 46 From the exhibition Hans J. Wegner. Just one good chair in progress (until 2 November) at the Designmuseum Danmark in Copenhagen, portrait of John Fitzgerald Kennedy sitting on the Round Chair by Hans J. Wegner during the televised debate with Richard Nixon in 1960. (Courtesy Designmuseum Danmark). To the side: the Danish designer Hans J. Wegner shown with miniature models of chairs he designed for PP Møbler. Right: the Peacock Chair designed by Hans J. Wegner in 1947 for PP Møbler. (Photo Jens Mourits Sørensen). Below: the bestselling J39 chair designed in 1947 by Borge Mogensen for Fredericia and nicknamed the ‘people’s chair.’ - pag. 47 View of the exhibition Morphology organized by the School of Architecture and Design of the Royal Danish Academy of Fine

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98 / INservice translations Arts of Copenhagen, in the context of the initiative Danish Made, during Design Week 2014 in Milan. The Knit chair, with padded back, created by Aija Hannula & Begona Uribe Landeta for the project Morphology. The Wing Chair by Hans J. Wegner (1960) reissued in the Big Stripe version by Paul Smith: part of the capsule collection of limited editions by Paul Smith + Maharam in collaboration with Carl Hansen & Søn.

INdesign/INcenter

Tables in the gallery pag. 48

by Nadia Lionello - photos Emanuele Zamponi - location Lambretto Studios

Crossovers for the home and the work environment, large and small tables migrate from their usual domestic context to furnish imaginary and informal meeting islands that can be set up when needed - pag. 48 Frame square or rectangular table with structure in matte black or white painted metal, top in smoked or white opaline glass. Design Stephen Burks per Calligaris. Klapp folding chairs with extruded aluminium legs, joint in injection-molded technopolymer for the connection of the back and the closure; seat and back in plastic or wood in a range of colors and wood types. Design Steffen Kehrle for per Area Declic. - pag. 49 Liuto square or rectangular table with legs in chromium-plated or painted die-cast aluminium, top in tempered smoked glass, 12 mm thick, marble, heat-treated oak or matte painted MDF. Design Giuseppe Bavuso for Alivar. Kaleidos chairs with technopolymer seat and polyurethane padding, covered in Trevira fabric, structure in chromium-plated steel rod. Design Michele De Lucchi and Sezgin Aksu for Caimi Brevetti. Neon Art, luminous modular neon letters for the wall or on the table. Design Selab for Seletti. - pag. 50 Mr Zhang round table with base in burnished metal rod, top in wood painted in the catalogue colors. Design Roberto Lazzeroni for Lema. Kelly chairs with structure in painted metal, seat with foam padding, covered in fabric. Design Claesson Koivisto Rune for Tacchini. Zig Zag Zed, mixed media painting on canvas by Rae Martini. - pag. 51 Farallon rectangular table with structure in shiny chromium-plated tubing, top in plywood with Canaletto walnut veneer. Design Yves Behar for Danese. Cora chairs with metal structure and chassis in matte nylon, seat in lacquered or natural ash. Design Odoardo Fioravanti for Pianca. Spring Time Burner, mixed media painting on canvas by Rae Martini. - pag. 52 USM Haller table with chromium-plated steel base and top – in the new version made in collaboration with Atelier Oï – in rectangular, square or trapezoidal MDF in different sizes, painted or in wood, laminate, linoleum, glass and granite, in different colors and wood types. Produced by USM. Hippy chairs with base in solid stained or lacquered beech, padded seat chassis covered in fabric. Design Emilio Nanni for Billiani. Elle E1 table lamp in bent sheet metal, matte painted yellow, white, black or blue. Design Jannis Ellenberger for Prandina. Airbubble vase in transparent blown Murano glass, finished by hand. Produced by Carlo Moretti. 1810 and Dizzy Eazy, mixed media paintings on canvas by Rae Martini. - pag. 53 Anapo round table with black painted steel base, top in white Carrara Calacatta marble or tempered 15 mm glass, MDF with chestnut finish or Macassar ebony. Design Gordon Guillaumier for Driade. Jujube seat with metal structure painted in different finishes and colors, cushions covered in Design fabric, by 4P1B Design Studio for Chairs&More. - pag. 54 Mexique triangular table with legs in matte black painted metal, top with rounded corners in solid natural Canaletto walnut or natural oak. Design Charlotte Perriand for Cassina. DU 30 chair with painted metal legs, seat in shaped sheet steel with polyurethane padding and leather cover in a range of colors. Designed in 1953 by Gastone Rinaldi and produced by Poltrona Frau. - pag. 55 Junsei round table in metal with bronze-brass, polished or brushed stainless steel finish, or in lacquer. Design Ikonen & Salovaara for Contempo Italia. Nizza stackable chair with bent and welded aluminium frame, shaped seat and molded back with metallized red, rugged aged copper or rough black steel finish. Designed by the Diesel Creative Team and produced by Moroso for Diesel Living. Troncosfera vase in blown Murano glass, finished by hand with hot application of bands of colored and transparent paste. Produced by Carlo Moretti.

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Material illusions pag. 56 by Elisa Musso - photos Miro Zagnoli

Ceramic that reproduces wood, wallpaper that imitates marble, fabrics with metallic effects. Floors, facings and furnishings in which fiction blends with reality - pag. 56 Sisal wallpaper in vinyl with straw effect. From the collection Texture Resource vol. 3 by Thibaut, distributed by B&B Distribuzione. Donut stools in two heights, in metal and rolled straw. By Alessandra Baldereschi for Mogg. D.270.2 folding chair in natural ash and wicker by Molteni&C. The reissue of the seat of the same name designed by Gio Ponti in 1970. - pag. 57 Briton Gray three-dimensional two-tone mosaic in sintered glass. Similar to the weave of a fabric, designed by Carlo Dal Bianco for Mosaico+. Flow Pouf with legs in blanched oak, seat covered in William-Col.423.051 fabric. Design Jean-Marie Massaud for MDF Italia. Tria Simple Chair with chassis in curved plywood with natural oak veneer, covered on one side in light gray plaid fabric. Base in solid wood. Design Catharina Lorenz and Steffen Kaz for Colè. - pag. 58 Marble, wallpaper with marble effect in non-woven fabric by Ferm Living. Brick 244 table with triangular form, structure in painted oak. The top is in Green Bell, an innovative material made by mixing resin with crushed marble, quartz, glass and crystal. Design Paola Navone for Gervasoni. Imperial White Maximum and Agata Azzurra Precious Stones, facings in porcelain stoneware by Graniti Fiandre. Marte Azul Bahia, porcelain stoneware tile from the Granitogres by Casalgrande Padana. - pag. 59 Button Tables with cylindrical painted base that tapers slightly in the lower part, round top in black Marquina marble. Designed by Edward Barber & Jay Osgerby for B&B Italia. Y-Tube base with two openings, made with thin stacked marble rings of different widths and colors. Designed by Patricia Urquiola for the Nat|f|Use collection by Budri. - pag. 60 Cinema Copper, wool blend fabric by Nya Nordiska. Covered on one side by a thin copper-effect metal sheet. Also in the silver, gold, bronze and steel versions. T-table in ceramic in the form of a mushroom, entirely made by hand. Design by Jaime Hayon for Bosa Ceramiche. Water Jewels ceramic washstand with copper finish, obtained through double glazing. Design Matteo Thun for Vitra. - pag. 61 Moda collection, wall covering in non-woven fabric for a steel effect. On sale at the JVstore of Jannelli&Volpi. Bell suspension lamp in painted aluminium with surface treatment featuring small concentric grooves. Bulb housing in faceted blown glass, produced by Diesel with Foscarini. All Saints round mirror with pleated effect for the frame in silver-chrome PMMA. Design Ludovica + Roberto Palomba for Kartell by Laufen. - pag. 62 Treverkchic tiles in fine porcelain stoneware, faithfully reproducing the image of wood. In French Walnut color, or Italian, American and Stained Walnut, Teak and Teak Africa. Produced by Marazzi. DMF/003 stool from the I Massivi collection, in solid wood treated with natural oil. Design Doriana & Massimiliano Fuksas for Itlas. Unterlinden suspension lamp with LEDs. In brass, but with the appearance of wood. Designed by Herzog & de Meuron for Artemide. - pag. 63 Cylinders, poufs, bedside tables or end tables in natural oak. Handmade one-offs, produced by TEAM 7. Rio table with matte graphite painted aluminium base, top made with a slice of the trunk of a walnut tree. Design Giorgio Cattelan for Cattelan Italia.

cErAmIc sTYLe pag. 64 by Danilo Signorello

Ceramica Flaminia has been one of the pioneering companies of the bath fixtures district of Civita Castellana, taking the path of DESIGN back in the 1990s. Today, 60 years after its founding, the company continues to focus on experimentation and MADE IN ITALY

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Interni ottobre 2014 The bath fixtures district of Civita Castellana, near Viterbo, has its roots in history, as seen in the pottery relics found in the zone of Falerii Veteres (the Latin name of this city in Latium) dating back to the 4th century BC. More than two thousand years ago this was the land of ceramics, though the first workshops for the production of tableware and artistic pottery date back to the end of the 1700s, and the industrial production of dishes, tiles and bath fixtures began in the early 1900s. These are the roots of Ceramica Flaminia, a company specializing in ceramic bath fixtures founded in 1954, which still keeps the entire chain of production (prototyping, model-making, pouring, glazing and firing) completely in-house, in its plants at Civita Castellana and Fabrica di Roma. Production processes that combine the most evolved mechanization with the skills of fine craftsmanship. All rigorously Made in Italy. A company that has focused on design to explore the expressive virtues of ceramics, triggering new trends and inventing new languages. Towards the end of the 1990s the Acquagrande washstand designed by Giulio Cappellini (who became the art director of the company in 2004) represented a true revolution, becoming the protagonist of the bath space thanks to its strong presence and large size. Since then the design landmarks have multiplied, with certain projects becoming true icons: from Tatami (Ludovica+ Roberto Palomba), the very thin ceramic carpet influenced by the culture of the oriental home, to Link (Giulio Cappellini and Roberto Palomba), the versatile toilet and bidet to combine freely with the many models in the Flaminia catalogue; from Twin Column (Ludovica+ Roberto Palomba), the washstand as sculpture, to the materic experimentation of the Mono’ line (Patrick Norguet); from the eclectic, brilliant creativity of the Roll washstand (Nendo) to the unique pieces of the Como collection (Rodolfo Dordoni) inspired by natural pools of water. Many internationally acclaimed designers have joined the Flaminia team: Paola Navone, Jasper Morrison, King&Roselli, Angeletti & Ruzza, Alessandro Mendini, Nendo, Fabio Novembre. Their creations can be seen in the showroom at Via Solferino 18 in Milan, opened in 2005. Design as experimentation, innovation and emotion was also in the spotlight during the latest Salone del Mobile in Milan, with new projects, including expansions of certain lines, like the Bonola wall-mounted toilet and bidet by Jasper Morrison, the Nile countertop and built-in washstands by Patrick Norguet, the App toilet and bidet by Flaminia Design Team, and Rocchetto Colors, the ceramic stooltable designed by Alessandro Mendini, Flaminia’s first foray into interior design. Augusto Ciarrocchi, now president of Flaminia, represents the second generation at the helm of the firm (he is the son of one of the founding partners): we chatted with him about the origins, the present and the future of a brand that also features faucets, objects and complements for the bath in its catalogue. First of all, how did Ceramica Flaminia get started? The company was founded in 1954, during a period of strikes for higher salaries, when 23 young workers from Civita Castellana decided to create Ceramica Flaminia, which in January of the following year began to produce bath fixtures. The work was done by hand, in all its phases, and the firing was done in a wood-burning kiln. Now we are up to the second and third generations, and the company has about 150 employees, working in the plants at Civita and Fabrica di Roma, with the most modern industrial methods. What is the situation in the Civita Castellana ceramics district today? Do the companies work together as a system? What about future prospects? There are about 40 companies in the district, and they have felt the impact of the crisis that began back in 2008. But this situation has also prompted greater cooperation (agreements for disposal of waste, organization of training courses). The capacity to stand up to the crisis makes companies stronger, and there have not been any dramatic closings of plants, also thanks to the small-medium size of the companies. So we feel optimistic about the future. The values of Flaminia are quality of raw materials, entirely Italian production, fine finishing and collaboration with designers. First comes the question of materials: where do they come from, how are they selected, what characteristics should they have, and what results should they achieve? We import clays, kaolins, feldspars and quartzes from France, Germany, Spain and the UK, to guarantee a level of quality that cannot be found in Italy. Flaminia, in particular, purchases blends already prepared by companies in the territory. Where the glazes are concerned, we have a color division that like the rest of the firm operates with complete respect for the environment, with ISO 14001 certification. The final result has to be a high-quality product with perfect surfaces, strength and durability. What does Made in Italy mean for Flaminia today? Italian quality is unique, at the highest levels. We are niche manufacturers, and we have made a courageous choice: to focus on quality by wagering on extreme forms, through design. Unfortunately, at a government level, no label yet exists to

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protect bath fixtures Made in Italy, and European regulations are also lagging behind. Our association with the Ceramics of Italy trademark is an attempt to fill this void, protecting our products from the thousands of pieces that are passed off as Italian, but do not have the characteristics of a true Made in Italy product: design, quality, style, reliability. How can skilled craftsmanship and avant-garde technology work together? Manual skill is an added value. Different phases of the making of every piece (from the initial slip casting to the finished product the process lasts about six days) require manual intervention. In the territory of Civita Castellana this kind of craftsmanship is in our blood, in the DNA of those who live and work here. For Flaminia, design has been a decisive factor. What is its strategic role for the growth of a company? Wagering on design in the mid-1990s was a choice that saved us. Without that choice we would probably never have survived the present crisis. It was a rather daring decision, at the time, but it opened up a path that has helped us to find alternatives. Today it would be hard to market a traditional product made by everyone, without the added value of design. Design lets you create objects that respond to the desires and needs of a society that is always evolving, in terms of habits and economics. For Flaminia, design also means being open to experimentation: together with Giulio Cappellini, art director since 2004, the company calls on internationally acclaimed designers who have never worked with ceramics before, as well as young, up and coming talents. What lies behind these choices? After a phase of enthusiasm, with a rather pioneering design approach, as seen in the first piece produced in 1997 (Acquagrande, designed by Cappellini), we began to work more methodically: together with Giulio, we decide what product should be launched on the market in that moment, and the characteristics it should have. Then we find the designer on the basis of these decisions. Though the process often happens inversely: young designers show us ideas that are evaluated and possibly put into production. This too is experimentation and openness to novelty. The choice of Cappellini as art director was also innovative, a true challenge that has really paid off. In this design-oriented perspective what is the importance of a classic line like Flaminia Archivio? Flaminia Archivio is a container for the fundamental historical typologies in the company’s evolution, representing a large segment of production. At the moment it includes the Efi and Fidia collections. Various markets demand this line, from China to Russia. In Italy it is used for renovations of historical buildings. Sustainability is one of the points that determines the quality of a company and its products on the market. How does Flaminia operate in this sense? The main plant is in a precious natural setting, along the Treia River. Our environmental impact has been reduced to a minimum. Discharged water is recycled, purified and put back into circulation; excess unfired material is reutilized, while fired scrap is ground up and recycled; leftover slip is sold to manufacturers of lower-quality ceramics; the plaster molds are crushed and sold to cement factories in the zone. Can you tell us about projects and products on the launching pad? At Cersaie, in September, we presented the expansion of the Nile collection by Patrick Norguet, and the Bonola collection by Jasper Morrison. App, a collection created for the contract market, now has a wall-mounted toilet with a rimless drain, for better hygiene. Research and experimentation continue, in the perspective of international design enhanced by our roots in the territory, with its tradition of work with ceramics, a true added value for every Flaminia product. - pag. 65 Nile (left, preparatory sketches) is the new project by Patrick Norguet in which geometric forms are tempered by soft details that exploit the sculptural qualities of ceramics. Lower left page: a period photo showing some of the founding partners of Ceramica Flaminia, created in 1954 in Civita Castellana. - pag. 66 Below, the forceful architectural impact of the Acquagrande washstand designed by Giulio Cappellini in 1997. Right, another iconic piece designed by Giulio Cappellini and Roberto Palomba: Link, with a pure, neutral design. Center: panoramic view of the Civita Castellana plant, with products in various work phases. - pag. 67 The kiln and a phase of hand finishing (above): a balanced mixture of modern industrial technology and fine crafts. - pag. 68 App (Flaminia Design Team) is a versatile collection formed by a toilet and a bidet with rounded lines, to respond to a range of different needs, from residential to contract. The Bonola collection is composed of a series of column and countertop washstands featuring the stylistic precision and purity of the design of Jasper Morrison. Left, Monoroll (design Nendo) is like a rolled up sheet of paper. Eclectic, brilliant creativity at the service of functional quality. Below, full forms, thickness and rounded lines for Mono’, the collection designed by Patrick Norguet. - pag. 69 Rocchetto is the stool-table in ceramic designed by Alessandro Mendini, Flaminia’s first foray into interior design. Available with three different decorative solutions, in the black and champagne version and the new monochromatic red, green, orange, blue or yellow models.

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isa Via Roma fashion boutique in Florence, another person who looks to the future. They formed a company and Luisa became the stage for many of his spectacular installations, like the one made in June during Pitti Immagine Uomo, “Time flies and so do butterflies,” with hundreds of multicolored butterflies swirling inside a large plexiglas cube, installed on Via Roma in front of the entrance to the store. From his youthful activity as a DJ he conserves the talent for imagining musical accompaniments for every period of his life. In this moment his soundtrack is an album by Ornella Vanoni from 1976 with Vinicius de Moraes and Toquinho, “La voglia, la pazzia, l’incoscienza e l’allegria,” a title that sums up a very personal, always changing approach to creativity.

INdesign/INprofile

Kaleidoscopic creaTIvITY pag. 70 by Cristina Morozzi

FELICE LIMOSANI uses DIGITAL TECHNOLOGY to produce visual and audio sequences that mix different stimuli and worlds Felice Limosani’s website starts with a white page, with a phrase at the center that starts with a question: “Signor Limosani, what kind of work do you do?” The answer is a declaration of intent, an introduction to his hybrid, transverse, hard-toclassify activity: “I create stories to inspire and stimulate the imagination of a brand, of an area or place. A mix between design thinking, artistic metaphors and unconventional communication.”He also has an unconventional background. “My university,” Limosani says, “was the disco. In the 1980s and 1990s I was a DJ. Working at the console means producing sound sequences, mixing musical pieces of different genres. It is a combinatory type of creativity.” The same could be said of his versatile output, where music always plays an important role. The story of Felice starts when he was just sixteen, and worked as a DJ on the terrace of Hotel Raya in Panarea. “My mentor,” he says, “was Paolo Tilche, the architect born in Alexandria, who together with his partner Myriam had created the hotel with the disco on the terrace, facing the Mediterranean. We shared a visionary outlook and the capacity to pick up signals and mix them. Reality is my nourishment. I observe and I work. What is important, as André Gide said, is the gaze, not what you look at. It takes perseverance and courage, imagination and elbow grease. Good ideas have to be feasible. The recipe is 49% imagination and 51% concrete practicality. You have to know how to observe all possible worlds, conserving the ability to be amazed, to be carried away by emotions (visual, tactile, sonic) and to go along with their flow.” To keep the sense of amazement alive, which he sees as a fundamental factor to protect even when we are no longer kids and have lost our innocence, he uses all possible languages, while keeping – as he emphases - “both feet on the ground.” Maybe this is why he is so concrete, sticking close to reality, in tune with contemporary tastes. Felice conserves the humanity of the bard, though he uses digital techniques. He could be called a ‘digital storyteller’ who always inserts an entertainment component in his performances. In 2000 he created the first play apps for mobile phones, for Nokia. He works with leading international brands and cultural institutions, in Italy and abroad; he is a member of the advisory board of the Fondazione di Venezia for the cultural pole M9; for the Milan Triennale he curated the exhibition Pianeta Expo 2015, to know, to taste, to have fun. He has created installations for the Louvre in Paris, the Mies van der Rohe Pavilion in Barcelona, the Whitechapel and Sketch galleries in London, Palazzo Strozzi in Florence...“I try to transform the art of persuasion into the art of engagement,” he adds. He compiles eventful playlists capable of captivating with images, sounds and movement, drawing on a wide range of fields. Movement is a constant in his works, which always have a ‘volatile’ component, as if their magic, created like the casting of a spell, could suddenly vanish. He is fascinated by technology and uses it with great nonchalance, without ever letting it get the upper hand. He is famous for have created the first games for mobile phones in 2000, for Nokia. His works are temporary and created for specific situations, but he does not regret this, and reminds us of the temporary creations of Leonardo for the Sforza, or the paintings of Rothko originally made to decorate the walls of the Four Seasons in New York, or the installations of Bernardo Buontalenti to commemorate Michelangelo. In 2001 he met Andrea Panconesi, owner of the Lu-

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- pag. 71 View and freeze-frames of the video installation Final Touch, created for the Mies van der Rohe Pavilion in Barcelona, 2009, also shown at the Sketch Gallery in London, 2010. On the facing page: portrait of Felice Limosani and frame from the video Emilio Pucci Remix, commissioned by the Florentine maison for its 60th anniversary, 2007. - pag. 72 Upper left: the installation Sospeso made with 36 km of nylon thread, plexiglas and neon at the White Gallery in Rome, 2012. (photo Mario Guerra). Above, from top: two views of the installation On Air in Florence, 2013. A laser beam connects the steeple of Giotto, the Basilica of Santa Croce, the tower of Palazzo Vecchio and Forte Belvedere. Felice Limosani calls it a metaphor that unites the two banks of the Arno. Words run on a ribbon between the columns of the loggia of the State University of Milan: this is the installation ‘Between’ dedicated to Expo 2015, made with Fusina for the exhibition Feeding new ideas for the city organized by Interni during Design Week 2014 in Milan. - pag. 73 Top: the installation Lacrime nella pioggia, inspired by the final monologue in the film Blade Runner, with water effects, lasers and projections, with musical soundtrack, 2013. (photo Riccardo Magherini). Above: the installation Luci e Ombre created in the courtyard of Palazzo Strozzi in Florence, commissioned by Il Sole 24 Ore, 2012. (photo Alessandro Moggi).

Free ablutions pag. 74 by Maddalena Padovani

With the CLOSER project produced by Zucchetti DIEGO GRANDI introduces a different way of taking a shower and experiencing the bath environment, where water follows the movements and needs of people, not vice versa

Diego Grandi has always had a taste for movement and nomadism, pursued in many of his projects. Just consider the Monday’s cushion created for Skitsch in 2009, which can open to become a sleeping bag, a quilt, a makeshift bed for all kinds of situations. Or the Rimini chair for Casamania in 2011, which transforms a simple metal structure and a canvas into a sort of installation for sitting outdoors. Both of them are objects conceived to get out of the house, to reinterpret the traditional meaning of furnishing elements in keeping with a dynamic, non-conformist lifestyle. The same vision is behind Closer, the shower head presented in April by Zucchetti that offers a creative and functional reinterpretation of the shower column. Diego comes from Rimini, so he knows about the space problems of the typical local boarding houses, leading to design reflections on the bath environment. “Most of these spaces,” the designer recalls, “are so small that you cannot insert a shower stall. In many cases the shower head is placed in the center of the ceiling, so the whole bathroom gets wet, and the various operations of cleaning and personal care happen in a seamless continuum. I have always liked this concept, so I incorporated it in the design of Closer.” The princi-

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Interni ottobre 2014 ple is as simple as it is innovative: why are we normally forced to adapt, to move or bend, based on the position of faucets, instead of having the water follow our movements, our everyday ablutions? So Diego Grandi creates a device for the shower that instead of being fixed and rigid becomes mobile, extensible, adjustable. To give form to the idea, Diego uses what for him are the archetypes of functionality, lightness and poetry: the tubular metal furnishings of Marcel Breuer from the 1920s, but also the jointed lamps of Le Corbusier and Charlotte Perriand. The reference to the latter becomes so explicit and direct that it triggers another element of the project: that of disorientation and humor, which in the austere world of the bath becomes another aspect of innovation, which Zucchetti has approached with a truly experimental spirit. “Closer,” Grandi comments, “is a product with an intentionally essential design that actually contains characteristics of high technology. It is based on a game of different balances and complexes regulated by a cylindrical counterweight and three joints, each with a wide radius of multidirectional movement, which required lengthy engineering. The result is that the spray of water rotates, rises, lowers, shifts to the right or the left. It follows the position and needs of the person who wants to take a shower, but it also becomes functional in other situations, such as shaving in front of a mirror. Ideally, it could also adapt to a shampoo over the washstand.” At the moment Closer comes in several chromatic and materic variants, but only in the wall version. Diego’s dream is to also make a ceiling version, “so the entire bath space, not just one portion, can become the place of water.” - pag. 74 Produced by Zucchetti, Closer is an adjustable shower that looks like a lamp. The structure has three joints and a cylindrical counterweight to guarantee stability in any spatial configuration. Closer is now available in black and chrome, but in the future other colors may be added to the range.

INdesign/INview

Cherished memories pag. 76 by Valentina Croci

The travel SOUVENIR. A kitsch object or an opportunity to rethink the communication of the identity of a place? For a country like Italy that thrives on tourism, souvenirs can represent a challenge for the world of DESIGN. Part serious, part ironic We’ve seen it all by now. Chinese glass doo-dads passed off as Murano gems, Michelangelo’s David on aprons or postcards, miniature Colosseums and other monuments transformed into magnets or souvenir snow domes. And much more: the genius loci is transfigured into pocket-size objects that fill up junk drawers in homes all over the world. Some people collect souvenirs with a ‘camp’ attitude, as Gillo Dorfles explains in his always timely essay “Kitsch, anthology of bad taste” (1969), in a kind of celebration of the superfluous. Dorfles tells us that kitsch comes from the indiscriminate recycling of images of the past, stripped of their cultural impact. It is the affordable appropriation of Culture, deprived of its transcendence and shoved into the mass dimension. But it is precisely this aspect that makes kitsch fun as well. This is the background for the operation of Seletti, which has transformed the work L.O.V.E. by Maurizio Cattelan into an ironic souvenir. But the theme has even more design potential, in a country with a great cultural heritage like Italy, to open up product typologies that might be worth investigating. If the souvenir is simply a replica, without a formal or functional interpretation to add a different level of experience to the mere memory of a place, it is banal and not very interesting. Conscious citations should also include some invention. And many design products have intelligently interpreted artistic heritage, avoiding the pitfalls of bad taste. Some rely on the theme of perception, like the 100 Piazze centerpiece by Fabio Novembre for Driade, honoring some of Italian greatest squares in a version halfway between Renaissance plans and Google Earth. Or the St. Peter Squeezer by Giulio Iacchetti for Pandora Design, which lets you squeeze an orange on the dome of Michelangelo, with the juice collected on Bernini’s piazza. An experiment that transposes the image in a functional, ironic and

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irreverent way. Another example is the Bisgatto, the biscuit in the form of a cat designed by Joe Velluto for the city of Vicenza, playing with the not so edifying stereotype of “cat-eaters from Vicenza.” And Droog Design, conducting research on the heritage of images of the Rijksmuseum, interpret masterpieces into objects that can be made with 3D printing. Two young Italian designers are looking for possible paths for museum merchandise. Claudia Grespi transforms the famous and overexposed leaning tower of Pisa into a tripod bag, applying reasoning similar to that of the above-mentioned squeezer, shifting a form to another function. The tote is a wry take on obsessive picture taking on the part of tourists. The leaning tower is joined by the prototype of the Ghirlandina tower of Modena, with the idea of developing a family of typical towers of Italian heritage. A less explicit interpretation comes from the textile designer Giulia Ciuoli, who creates a series of neckties with elements of the Tuscan landscape imprinted on the fabric: hills with olive groves, vineyards, plowed fields or woodlands, but also graphic elements like the two-tone stone of the cathedral of Siena, making patterns and colors that evoke visual experience of a landscape without its duplication. This is a deeper way of thinking about museum merchandising. But this kind of research needs the support of public agencies or museums. The Wien Spielkarten playing cards by Formafantasma are the result of a competition held by the Viennese tourism authorities. The cards represent the modernist city with motifs and designs taken from the museum archives, to celebrate precise symbols: from the Vienna straw of the Thonet no.14 to the ace featuring the Kubus seat by Josef Hoffmann. Others want to put some social protest into souvenirs, or try to narrate the habits and customs of a culture that is being lost. The group Field Experiments has created a series of objects in the rural community of Lohtunduh in Bali on the theme of batik, wood carving and weaving. The aim is to promote local crafts without destroying them, underlining the delicate balance between the native community and the international tourism industry. Eight Russian designers have joined forces in the Izba project to reflect on the identity of a country that is succumbing to rapid urbanization and westernizing of its customs. Somewhere between serious and playful, a wooden beard or a rain bonnet remind us that beards were obligatory in Russia at the end of the 1600s, and reference the Kokoshnik headgear women used to wear on special occasions. - pag. 76 To the side: Anya Druzhinina shifts the typical Russian Kokoshnik bonnet into an inflatable in piece of rain gear. Part of the Izba project for a new look at the Russian tradition. Below: Seletti transforms the sculpture L.O.V.E. by Maurizio Cattelan, the new, irreverent symbol of Milan, into a souvenir. The operation is part of the ‘Seletti wears Toiletpaper’ collection. Below: Codex Siciliae is the illustrated story by Edda Bracchi that catalogues the visual identity of Trinacria, a land with a long history of multiple dominations. - pag. 77 Izba is a project of eight Russian designers, curated by Tatiana Kudryavtseva for Design Gallery/Bulthaup of St. Petersburg, which investigates archetypes and objects of the Russian tradition. Alexander Kanygin creates a wooden beard to reference the obligation of facial hair until the 1600s; the textile designer Sveta Gerasimova evokes images of the romantic Rusalka myth (left). - pag. 78 By Benjamin Harrison Bryant (New York City), Paul Marcus Fuog (Melbourne) and Karim CharleboisZariffa (Montreal), the project Field Experiments Indonesia features a series of souvenirs made at Ubud in Bali. Typical crafts (carving, braiding, batik, weaving, terracotta) with humble materials, sold without middlemen. - pag. 79 To the side: Leaning Tower, the tripod tote by Claudia Grespi, sold at the tourism offices of Pisa and Livorno and in the Opera della Primaziale Pisana, bears witness to the potential of intelligent museum merchandising. Below: Giulia Ciuoli (Pamphile) makes neckties that interpret the landscape. The prototypes produced thus far represent the interior and the floor of the cathedral of Siena, a Tuscan vineyard, the aqueduct of Pitigliano, the ‘piccionaie’ of Sovana and the facade of Palazzo Ducale in Venice (DAB Produzioni, promoted by MiBAC). Above: by Formafantasma, the Wien Spielkarten playing cards, produced by the historic company Piatnik & Söhne, interpret the signs and graphics of modernist Vienna. The symbol of the spades is an acorn, typical of the rural zones of Austria. Photo: Federico Floriani. To the side: the English designer Snowden Flood often works on the theme of the souvenir. She makes patterns and graphics for furnishing complements starting with typical monuments or characteristic rural landscapes. Her clients include MoMA, the British Museum, the Tate Modern, the London Transport Museum and the City of Turin.

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TanGIBLe GraPHIcs pag. 80 by Stefano Caggiano

From the virtuous short circuit between digital reactivity of images and sensorial enhancement of reality, an aesthetic of tangible graphics made of chromatic and visual fields that take on materic quality

“My one-year-old daughter thinks a magazine is an iPad that doesn’t work.” So says a father who filmed his daughter as she was trying, without success, to scroll through images on the page of a magazine as if it were a touchscreen. The video, seen on Youtube, was an immediate hit among experts on advanced interfaces, because it clearly shows how new media are rewiring the cognitive structures of digital natives, along with the rest of us. The habit of interacting with images is become the new visual standard, and the figurative efforts of traditional media are increasingly perceived as something inert and ‘obtuse.’ The little girl’s disappointment is eloquent. In her world, which is already ours, we expect images to be sensitive to the touch, and if they do not react it means they are ‘broken.’ This new visual conception leads to an aesthetic made of ‘graphic’ blocks placed on the same plane as material reality, characterized by a paratactic relationship between materic components and elements of pastel color defined with vectorial clarity, placed inside compositional peer relationships. An emblematic case is that of the new Pedrali products, like the Laja seat designed by Alessandro Busana. In the Beaver ceramic candle holder by Odoardo Fioravanti for Something Good and the Sucabaruca coffee set in wood and ceramic by Luca Nichetto for Mjölk, which combines the Scandinavian ritual of filtered coffee with the Italian cult of the ‘moca’ coffeepot, we can glimpse the same sense of ‘solid graphics.’ Graphic features are combined, on the other hand, with the gentle materic nature of wood in the Slope lamps in solid wood and metal by Skrivo for Miniforms, and the Tandem furnishings in oak and painted wood by the French studio Numéro 111 for Galerie Gosserez, as well as the Imboh accessorized upholstered furnishings in ecosustainable materials created by JoeVelluto for Designbottega. The language of the graphic solid extends beyond the furnishings sector. Living at the crossroads of the two-dimensional and the three-dimensional, by nature it tends to spread across visual culture, all the way to fashion and visual communication. An interesting example from the first field is that of the capsule collection 2Y by the pattern and fashion designer Yulia Yadryshnikova, made by starting with the cover for the Stanley sofa by Luca Nichetto for De La Espada. While in the field of the visual arts the photographer Tingting Wang shows the accessories of the brand Qi Hu inside a set in which graphic blocks are superimposed on the features of a model. Even packaging makes use of the tangible graphic aesthetic, with results of great refinement like the Mme KIKI chocolate package by the Japanese designer Yuma Harada, art director of UMA design firm. In general, two major cultural magnets feed energy to contemporary design: the digital disappearance of things, on the one hand, and a return to experiential solidity on the other. Since these are two macro-trends, the formal results of these attractors are numerous and diversified. The case of real graphics is a particular one, however, because it intercepts a point of convergence between these opposing tensions, grasping both the sense of impalpability of digital perceptive performance and the return to sensorial tangibility of things. It is precisely in this amalgam that the language finds its semantic force and its great aesthetic versatility, as well as its popularity. What makes a design language ‘convincing’ is not just its formal resolution (which is nevertheless necessary, and present in this case as well) but also the pertinence with which it manages to become the expression of a living, deep and timely cultural sensibility, nourished by the tension between present and future – between what we are and what we are becoming.

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- pag. 80 Above: the capsule collection 2Y by the Russian fashion and pattern designer based in Madrid, Yulia Yadryshnikova, made starting with the cover for the Stanley sofa by Luca Nichetto for De La Espada. The various combinations of parts give rise to different outfits. Photo: Laura Jiménez. Model: Grace Ming. To the side: Yuma Harada, art director of the UMA design firm, based in Osaka, Japan, has done the pack for Mme KIKI chocolate, a quality product made with special ingredients from the island of Shodoshima. Photo: Yoshiro Masuda. - pag. 81 Above: Laja chair designed by Alessandro Busana for Pedrali. The harmony of the forms is enhanced by the tailored details, cladding the polyurethane upholstery with sinuous, colorful surfaces. Photo: Beppe Brancato. Art Direction: Leftloft. Upper right: a shot by the prize-winning fashion photographer Tingting Wang, from China, based in Paris, for the Qi Hu accessories collection. Makeup & Hair: Litchi Zhang. Model: Eunsong Yoo. - pag. 82 Above: the Slope lamps designed by the Milanese studio Skrivo for Miniforms, based on the forms of mountains and made with solid polished beech, with metal lampshade. Photo: Gabriele Lemanski. To the side: Imboh, upholstered furniture accessorized with a table, armrests and back, designed by JoeVelluto (JVLT) with A. Fabbian for Designbottega in ecosustainable materials like solid wood, jute, linen, cotton and coconut fiber. - pag. 83 Top: the Parisian trio Numéro 111, composed of Sophie Françon, Jennifer Julien and Grégory Peyrache (two designers and an architect), has designed the limited-edition Tandem collection for Galerie Gosserez of Paris. Above, left: the Sucabaruca coffee set in wood and ceramic designed by Luca Nichetto in collaboration with Lera Moiseeva for Mjölk combines the Scandinavian ritual of filter coffee with the Italian cult of the ‘moca.’ Above, right: the Beaver ceramic candle holder with a form like that of the animal, a project by Odoardo Fioravanti for the collection “Our Friends are Something Good too” produced by Something Good.

INdesign/INproduction

Living with marble pag. 84 by Katrin Cosseta

Digital design, avant-garde production technologies, experimentation and creative recycling of scrap are taking the age-old culture of a material into the future. Stone design takes on new expressive frontiers for surfaces and furnishings made not only with the king of Italian marbles, white Carrara - pag. 85 Solid Patterns by Scholten & Baijings for Luce di Carrara, collection of 5 tables in marble, enhanced by grid patterns. The different types of marble used are: Statuario Altissimo, dove-gray Lericy, Portugal Red, white-gray Versylis, white Statuarietto. Photo by Scheltens & Abbenes. Primavera by Angelo Micheli for FranchiUmbertoMarmi, vase in white Carrara marble. Height 150 cm. Cimmy by Simone Simonelli for Clique, electric ultrasonic humidifier in white Carrara and black Marquina marble. Facing page: Rabbet by Patricia Urquiola for Budri, inlaid facing in different types of marble, onyx and Travertine, with smooth surfaces, combed and matelassé textures. The collection also includes a coffee table, bookcases and shelves in Azul Macaubas and Portugal Pink, a washstand in marble and copper, and three different vases. - pag. 86 Comb by Paolo Ulian and Moreno Ratti for Robot City - Italian Art Factory, modular system composed of elements in Carrara marble, for individual use as seats, or combined to form a bookcase. The structural and decorative grooves lighten the weight of each module by about one third. Arena by Jasper Morrison for Marsotto, a system of modular oval or round tables in white Carrara marble with polished finish. - pag. 87 Luna by Zaha Hadid for Citco, a monoblock table (320x120x78 cm) in white Carrara marble that interprets the theme of abstraction and distortion. Fiorile by Roberto Lazzeroni for Poltrona Frau, tables with tops in different forms in Calacatta marble, legs in wenge-stained solid ash. - pag. 88 3 Signs by Jim Hannon Tan for Leclettico, set of three interlocking tables made from a single block of Carrara marble. Profile by Manuel Barbieri for Scandola Marmi, floor composed of two parts in different types of marble that combine to form a hexagon. On the facing page, background: Mikado-Collezione Opus by Raffaello Galiotto for Lithos Design, floors and facings in inlaid marble, in 60x60 cm modules, available in three colors: sugar, cacao, pepper. The Wedge by Daniel Libeskind for Margraf, a work that portrays the metaphysics of space, in Arancio di Selva, made from a single block of marble 2 meters high, to support the Fondazione Hospice Seràgnoli. Quadrum by Fendi Casa, a coffee table in Gris Pulpis marble. - pag. 90 Plisset by Raffaello Galiotto for Cattelan Italia, table with base in Palissandro marble and glass top. Available in round or rectangular versions. In the background: Romboo by Salvatori, Carrara marble facing (also in other types of stone, upon request) with three-dimensional hexagonal finish. Modules are 6.5 cm wide and 11 cm high. - pag. 91 Above: Matrioska by Massimiliano Nocchi and Andrea Giacomo Tazzini for Up Group, modular seat made by assembling discarded sheets of marble. Right: Origin by Emmanuel Babled for Babled Editions, table in Carrara marble, 192 x 96 x 35 cm. Photo Valentina Zanobelli. Upper left: detail of the installation “Here I am” by Fabio Novembre for the exhibition Marble Across Time (at the FuoriSalone in Milan, promoted by Turkish Stones), a sequence of human silhouettes made with different types of marble from Turkey. Top: Mangrove, from the Natura Collection by Antolini. Sheet of Verde Imperiale marble with decorative plant pattern.

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Interni ottobre 2014 ALFREDO SALVATORI srl Via Aurelia 395/E, 55047 QUERCETA DI SERAVEZZA LU Tel. 0584769200, Fax 0584768393, www.salvatori.it, info@salvatori.it ALIVAR srl Via Leonardo da Vinci 118/14, 50028 TAVARNELLE VAL DI PESA FI Tel. 0558070115, Fax 0558070127, www.alivar.com ANTOLINI LUIGI & C. spa Via Marconi 101, 37010 SEGA DI CAVAION VR Tel. 0456836611, Fax 0456836666, www.antolini.com, al.spa@antolini.it AREA DECLIC Via Volta 8, 33044 MANZANO UD Tel. 0432937065/6/7 , Fax 0432740102, www.areadeclic.com, mail@arrmet.it ARFLEX SEVEN SALOTTI spa Via Pizzo Scalino 1, 20833 GIUSSANO MB Tel. 0362853043, Fax 0362354010, www.arflex.com, info@arflex.it ARTEMIDE spa Via Bergamo 18, 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181, Fax 0293590254, www.artemide.com, info@artemide.com BABLED EMMANUEL STUDIO www.babled.net, info@babled.net BILLIANI srl Via della Roggia 28, 33044 MANZANO UD Tel. 0432740180, Fax 0432740853, www.billiani.it, info@billiani.it BOSA DI ITALO BOSA srl Via Molini 44, 31030 BORSO DEL GRAPPA TV Tel. 0423561483, Fax 0423542200, www.bosatrade.com, info@bosatrade.com BUDRI srl Via di Mezzo 65, 41037 MIRANDOLA MO Tel. 053521967, Fax 053526713, www.budri.com, info@budri.com CAIMI BREVETTI Spa Via Brodolini 25/27, 20834 NOVA MILANESE MB Tel. 0362491001, Fax 0362491060, www.caimi.com, info@caimi.com CALLIGARIS spa Via Trieste 12, 33044 MANZANO UD Tel. 0432748211, Fax 0432750104, www.calligaris.it, calligaris@calligaris.it CARL HANSEN & SON A/S Holmevænget 8, DK 5560 AARUP Tel. + 45 66121404, Fax +45 65916004, www.carlhansen.com, info@carlhansen.dk Distr. in Italia: CANOVA, Via Tortona 31, 20144 MILANO, Tel. 0283249690 www.canovamilano.com, info@canovamilano.com CARLO MORETTI srl Fondamenta Manin 3, 30141 MURANO VE Tel. - Fax 041736588, www.carlomoretti.com, info@carlomoretti.com CASALGRANDE PADANA spa Strada Statale 467 73, 42013 CASALGRANDE RE Tel. 05229901, Fax 0522841010, www.casalgrandepadana.it, info@casalgrandepadana.it CASSINA spa POLTRONA FRAU GROUP Via Busnelli 1, 20821 MEDA MB Tel. 03623721, Fax 0362340758, www.cassina.com, info@cassina.it CATTELAN ITALIA spa Via Pilastri 15, 36010 CARRÈ VI Tel. 0445318711, Fax 0445314289, www.cattelanitalia.com, info@cattelanitalia.com CERAMICA FLAMINIA spa S. Statale Flaminia km 54,630, 01033 CIVITA CASTELLANA VT Tel. 0761542030, Fax 0761540069, www.ceramicaflaminia.it ceramicaflaminia@ceramicaflaminia.it CHAIRS & MORE srl Via Palmarina 113/2, 33048 SAN GIOVANNI AL NATIDSONE UD Tel. 0432743271, Fax 0432743287, www.chairsandmore.it, info@chiarsandmore.it CITCO srl Via del Lavoro 2 - Z.I Camporengo, 37010 CAVAION VERONESE VR Tel. 0456269118, Fax 0456260649, www.citco.it, info@citco.it CLARINS www.clarins.it, www.clarinsusa.com CLIQUE EDITIONS Via Ventura 5, 20134 MILANO www.clique-editions.com, info@clique-editions.com COLÉ Via Cesare Da Sesto 11 ang. Via San calocero, 20123 MILANO Fax 0222227702, www.coleitalia.com, info@coleitalia.com CONTEMPO N.E.W.S. srl S.S. 96 Km. 96+800 - Z.I. Mellitto , 70025 GRUMO APPULA BA Tel. 0806180101, Fax 080603620, www.contempo.it, info@contempo.it DANESE srl Via A. Canova 34, 20145 MILANO Tel. 02349611, Fax 0258433350, www.danesemilano.com, info@danesemilano.com DE LA ESPADA www.delaespada.com DESIGNBOTTEGA SAVIO - JVLT Strada Ponti di Debba 5, 36100 VICENZA Tel. -Fax 0444248234, www.joevelluto.it, www.designbottega.com, press@joevelluto.it DIESEL with FOSCARINI srl Via delle Industrie 27, 30020 MARCON VE Tel. 0415953811, Fax 0415953820, www.diesel.foscarini.com, foscarini@foscarini.com DRIADE spa Via Padana Inferiore 12, 29012 FOSSADELLO DI CAORSO PC Tel. 0523818618, Fax 0523822628, www.driade.com, pressoffice@driade.com DUPONT™ CORIAN® Via Piero Gobetti 2/c, 20063 CERNUSCO SUL NAVIGLIO MI Tel. 800876750, Fax 0292107755, www.corian.it FENDI CASA CLUB HOUSE ITALIA spa Via Balzella 56, 47122 FORLÌ Tel. 0543791911, Fax 0543725244, www.clubhouseitalia.com, info@fendicasa.it clubhouse@clubhouseitalia.com FERM LIVING Sturlasgade 10, 1., DK 2300 Copenhagen S Tel. +45 7022 7523, Fax +45 8675 9358, www.ferm-living.com, info@ferm-living.com Distr. in Italia: TRENDHOUSE, Via S.Carlo 2/A, 37016 GARDA VR, Tel. 0457235995 www.trend-house.it, info@trend-house.it FIANDRE GRANITIFIANDRE spa Via Radici Nord 112, 42014 CASTELLARANO RE Tel. 0536819611, Fax 0536858082, www.granitifiandre.com, info@granitifiandre.it FLOS spa Via Angelo Faini 2, 25073 BOVEZZO BS Tel. 03024381, Fax 0302438250, www.flos.com, info@flos.com FRANCHI UMBERTO MARMI srl Via del Bravo 14-16, 54031 NAZZANO CARRARA MS Tel. 058570057, Fax 058571574, www.franchigroup.it, fragroup@tin.it FREDERICIA FURNITURE A/S Treldevej 183, DK 7000 FREDERICIA Tel. +45 7592 3344, Fax +45 7592 3876, www.fredericia.com, sales@fredericia.com Distr. in Italia: MC SELVINI srl, Via C. Poerio 3, 20129 MILANO Tel. 0276006118, Fax 02781325, www.mcselvini.it, info@mcselvini.it GALERIE GOSSEREZ 3, rue Debelleyme, F 75003 PARIS Tel. +33612299040, www.galeriegosserez.com, contact@galeriegosserez.com GERVASONI spa V.le del Lavoro 88 - Z.I.U., 33050 PAVIA DI UDINE UD Tel. 0432656611, Fax 0432656612, www.gervasoni1882.com, info@gervasoni1882.com GUBI INTERNATIONAL A/S Frihavnen, Klubiensvej 7-9, Pakhus 53 DK 2100 Copenhagen, Tel. +45 3332 6368, Fax +45 3332 6069, www.gubi.dk, gubi@gubi.dk ITLAS spa Via del Lavoro 35, 31016 CORDIGNANO TV Tel. 0438368040, Fax 0438998331, www.itlas.it, info@itlas.it JANNELLI & VOLPI srl Via Melzo 7, 20129 MILANO Tel. 02205231, Fax 0229408547, www.jannellievolpi.it, www.jv-italiandesign.com showroom@jannellievolpi.it, store@jannellievolpi.it

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Moneta 40, 20161 MILANO, Tel. 02662421 nr verde 800800169, Fax 0266203400, www.luceplan.com, info@luceplan.com MAHARAM - KVADRAT A/S Lungbergsvej 10, DK 8400 EBELTOFT Tel. +4589531866, Fax +4589531800, www.maharam.com, www.kvadrat.dk kvadrat@kvadrat.dk, Distr. in Italia: KVADRAT spa, C.so Monforte 15, 20122 MILANO Tel. 0276280946, Fax 0276317637, www.kvadrat.dk, italy@kvadrat.org MARAZZI GROUP SRL V.le Virgilio 30, 41123 MODENA Tel. 059384111, Fax 059384303, www.marazzi.it, info@marazzi.it MARGRAF SPA DIVISIONE MARMI VICENTINI Via Marmi 3, 36072 CHIAMPO VI Tel. 0444475900, Fax 0444475947, www.margraf.it, info@margraf.it MARSOTTO EDIZIONI srl Via dell’Industria 22 - Z.I., 37051 BOVOLONE VR Tel. 0456901001, Fax 0456900366, www.marsotto-edizioni.com, info@marsotto-edizioni.com MDF ITALIA spa Via Morimondo 5/7, 20143 MILANO Tel. 0281804100, Fax 0281804108, www.mdfitalia.it, infomdf@mdfitalia.it MINIFORMS srl Via Ca’ Corner 4, 30020 MEOLO VE Tel. 0421618255, Fax 0421618524, www.miniforms.com, miniforms@miniforms.com MOGG srl Via U. Foscolo 6, 22060 AROSIO CO Tel. 0314141125, www.mogg.it, info@mogg.it MOLTENI & C spa Via Rossini 50, 20833 GIUSSANO MB Tel. 03623591, Fax 0362355170, www.molteni.it, customer.service@molteni.it MOROSO per DIESEL LIVING Via Nazionale 60, 33010 CAVALICCO DI TAVAGNACCO UD Tel. 0432577111, nr. verde 800016811, Fax 0432570761, www.moroso.it www.moroso.it/diesel-collection/info@moroso.it MOSAICO+ srl via San Lorenzo 58/59, 42013 CASALGRANDE RE Tel. 0522990011, Fax 0522990099, www.mosaicopiu.it, info@mosaicopiu.it NYA NORDISKA ITALIA srl V.le F.lli Rosselli 16, 22100 COMO Tel. 031576157, Fax 031576906, www.nya.com, nyanordiska@tiscalinet.it PAUL SMITH LTD V.le Umbria 95, 20135 MILANO Tel. 02546721, Fax 0254672400, www.paulsmith.it, sabrina@paulsmith.it PEDRALI SPA Strada Provinciale 122, 24050 MORNICO AL SERIO BG Tel. 03583588, Fax 0358558888, www.pedrali.it, info@pedrali.it PIANCA spa Via dei Cappellari 20, 31018 GAIARINE TV Tel. 0434756911, Fax 043475330, www.pianca.com, info@pianca.com PIATNIK & Söhne Hütteldorfer Straße 229, A 1140 WIEN Tel. +43191441510 , Fax +4319111445, www.piatnikcardgames.co.uk, info@piatnik.com POLTRONA FRAU spa Via Sandro Pertini 22, 62029 TOLENTINO MC Tel. 07339091, Fax 0733909246, www.poltronafrau.it, info@poltronafrau.it PP MØBLER Toftevej 30, DK 3450 ALLERØD Tel. +45 48172106, Fax +45 48170863, www.pp.dk, info@pp.dk PRANDINA Srl Via Rambolina 29, 36061 BASSANO DEL GRAPPA VI Tel. 0424566338, Fax 0424566106, www.prandina.it, info@prandina.it ROBOT CITY Via Ilice, 54033 CARRARA MS, www.robot-city.com, info@robot-city.com SCANDOLA MARMI Via Nicolò Copernico 19, 37023 Stallavena di Grezzana VR Tel. 045907245, Fax 0458669539, www.scandolamarmi.it, info@scandolamarmi.it SELETTI spa Via Codebruni Levante 32, 46019 CICOGNARA DI VIADANA MN Tel. 037588564, Fax 037588843, www.seletti.it, info@seletti.it TACCHINI ITALIA FORNITURE srl Via Domodossola 19, 20822 BARUCCANA DI SEVESO MB Tel. 0362504182, Fax 0362552402, www.tacchini.it, support@tacchini.it TEAM 7 Braunauer Str. 26, A 4910 Ried im Innkreis Tel. +4377529770, www.team7.at, info@team7.at THIBAUT www.thibautdesign.com, Distr. in Italia: B & B DISTRIBUZIONE srl Via Bernardino Verro 90, 20141 MILANO, Tel. 0257302069- 57308898 Fax 0257303510, www.bbdistribuzione.it, info@bbdistribuzione.it TURKISH STONES ISTANBUL TURKEY www.turkishstones.org, info@turkishstones.org UP GROUP srl Via Acquale 3, 54100 MASSA Tel. 0585831132 - 0585832310, Fax 0585832038, www.upgroup.it, info@upgroup.it USM U. Schärer Söhne AG Thunstrasse 55, CH 3110 MÜNSINGEN Tel. +41317207272, Fax +41317207333, www.usm.com, Distr. in Italia: JOINT srl V.le Sabotino 19/2, 20135 MILANO, Tel. 0258311518, Fax 0292887982 www.jointmilano.com, info@jointsrl.it VITRA INTERNATIONAL AG www.vitra.com, info@vitra.com Distr. in Italia: Unifor & Molteni & C., infovitra@molteni.it, Nr. Verde 800 505191 ZUCCHETTI RUBINETTERIA Spa Via Molini di Resiga 29, 28024 GOZZANO NO Tel. 0322954700, Fax 0322954823, www.zucchettidesign.it, marketing@zucchettidesign.it

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N. 645 ottobre 2014 October 2014 rivista fondata nel 1954 review founded in 1954

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direttore responsabile/editor GILDA BOJARDI bojardi@mondadori.it art director CHRISTOPH RADL caporedattore centrale central editor-in-chief SIMONETTA FIORIO simonetta.fiorio@mondadori.it consulenti editoriali/editorial consultants ANDREA BRANZI ANTONIO CITTERIO MICHELE DE LUCCHI MATTEO VERCELLONI

Nell’immagine: villa nella campagna tra Treviso e Venezia, progetto di ristrutturazione di Studio di Architettura Massimo Benetton. In the image: country villa between Treviso and Venice, renovation project by Studio di Architettura Massimo Benetton. (foto di/photo by Marco Zanta)

Nel prossimo numero 646 in the next issue

Interiors&architecture ristrutturazioni d’autore signature renovations

INtoday progetto e neuroscienze design and neuroscience

INcenter i colori dell’abitare the colors of living

INproject i cinque sensi del design the five design senses digital zen

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redazione/editorial staff MADDALENA PADOVANI mpadovan@mondadori.it (vice caporedattore/vice-editor-in-chief) OLIVIA CREMASCOLI cremasc@mondadori.it (caposervizio/senior editor) LAURA RAGAZZOLA laura.ragazzola@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) DANILO SIGNORELLO signorel@mondadori.it (caposervizio/senior editor ad personam) ANTONELLA BOISI boisi@mondadori.it (vice caposervizio architetture/ architectural vice-editor) KATRIN COSSETA internik@mondadori.it produzione e news/production and news NADIA LIONELLO internin@mondadori.it produzione e sala posa production and photo studio rubriche/features VIRGINIO BRIATORE giovani designer/young designers GERMANO CELANT arte/art CRISTINA MOROZZI fashion ANDREA PIRRUCCIO produzione e/production and news DANILO PREMOLI hi-tech e/and contract MATTEO VERCELLONI in libreria/in bookstores TRANSITING@MAC.COM traduzioni/translations grafica/layout MAURA SOLIMAN soliman@mondadori.it SIMONE CASTAGNINI simonec@mondadori.it STEFANIA MONTECCHI stefania.montecchi@consulenti.mondadori.it segreteria di redazione editorial secretariat ALESSANDRA FOSSATI alessandra.fossati@mondadori.it responsabile/head ADALISA UBOLDI adalisa.uboldi@mondadori.it assistente del direttore assistant to the editor FEDERICA BERETTA internir@mondadori.it contributi di/contributors STEFANO CAGGIANO VALENTINA CROCI FRANCESCO MASSONI ALESSANDRO ROCCA fotografi/photographs LEONARDO FINOTTI ROLAND HALBE MICHAEL KLEINBERG PHILIPPE RUAULT OSKAR DA RIZ MANUELE ZAMPONI MIRO ZAGNOLI progetti speciali ed eventi special projects and events CRISTINA BONINI MICHELANGELO GIOMBINI

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ARNOLDO MONDADORI EDITORE 20090 SEGRATE - MILANO INTERNI The magazine of interiors and contemporary design via Mondadori 1 - Cascina Tregarezzo 20090 Segrate MI Tel. +39 02 75421 - Fax +39 02 75423900 interni@mondadori.it Pubblicazione mensile/monthly review. Registrata al Tribunale di Milano al n° 5 del 10 gennaio1967. PREZZO DI COPERTINA/COVER PRICE INTERNI + annual BAGNO € 10,00 in Italy

PUBBLICITÀ/ADVERTISING MEDIAMOND S.P.A. via Mondadori 1 - 20090 Segrate Divisione Living Vice Direttore Generale: Flora Ribera Responsabile commerciale: Alessandro Mari Coordinamento: Silvia Bianchi Agenti: Margherita Bottazzi, Alessandra Capponi, Ornella Forte, Mauro Zanella Tel. 02/75422675 - Fax 02/75423641 e-mail: direzione.living@mondadori.it www.mondadoripubblicita.com Sedi Esterne/External Offices: LAZIO/CAMPANIA CD-Media - Carla Dall’Oglio Corso Francia, 165 - 00191 Roma Tel. 06/3340615 - Fax 06/3336383 mprm01@mondadori.it LIGURIA Alessandro Coari Piazza San Giovanni Bono, 33 int. 11 16036 - Recco (GE) - Tel. 0185/739011 alessandro.coari@mondadori.it PIEMONTE/VALLE D’AOSTA Luigi D’Angelo Via Bruno Buozzi, 10 - 10123 Torino Cell. 346/2400037 luigi.dangelo@mondadori.it EMILIA ROMAGNA/SAN MARINO/TOSCANA Irene Mase’ Dari / Gianni Pierattoni Via Pasquale Muratori, 7 - 40134 Bologna Tel. 051/4391201 - Fax 051/4399156 irene.masedari@mondadori.it TRIVENETO (tutti i settori, escluso settore living) Full Time srl Via Dogana 3 - 37121 Verona Tel. 045/915399 - Fax 045/8352612 info@fulltimesrl.com TRIVENETO (solo settore Living) Paola Zuin - Cell. 335/6218012 paola.zuin@mondadori.it; Daniela Boscaro - Cell. 335/8415857 daniela.boscaro@mondadori.it ABRUZZO/MOLISE Luigi Gorgoglione Via Ignazio Rozzi, 8 - 64100 Teramo Tel. 0861/243234 - Fax 0861/254938 monpubte@mondadori.it PUGLIA/BASILICATA Media Time - Carlo Martino Via Diomede Fresa, 2 - 70125 Bari Tel. 080/5461169 - Fax 080/5461122 monpubba@mondadori.it CALABRIA/SICILIA/SARDEGNA GAP Srl - Giuseppe Amato Via Riccardo Wagner, 5 - 90139 Palermo Tel. 091/6121416 - Fax 091/584688 email: monpubpa@mondadori.it MARCHE Annalisa Masi, Valeriano Sudati Via Virgilio, 27 - 61100 Pesaro Cell. 348/8747452 - Fax 0721/638990 amasi@mondadori.it valeriano.sudati@mondadori.it

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