Interni 605 - Ottobre 2010

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THe MaGazInE OF INTeRIors AND coNTeMPoraRY DesIGN N° 10 oTToBre/OCTOBER 2010 MensILe/monTHLY ITaLIa € 10 A € 24 – B € 23 – CH Chf 29 – E € 18 F € 15 – GR € 18 – P cont. € 18 – UK £ 15

Poste Italiane SpA - Sped. in A.P.D.L. 353/03 art.1, comma1, DCB Verona

INteriors&architecture CLS, Colombo, Djurovic, Kuma, orY-Pillet, Undurraga, Rangr-Karlsen-Weiselberg INsight Cantine d’autore INdesign I nuovi chandelier Trasparenze progettI raccontati Tendenze bagno e ceramica

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wITH comPLeTe EnGLisH TexTs

DesIGNVeGGIe Ronan Erwan BourouLLec

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INdice/c ont ent s OTT oBre/october 2010

INterNIews INitaly

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60 IN copertina: una divertente interpretazione del servizio da tavola Ovale prodotto da Alessi su disegno di Ronan & Erwan Bouroullec. Si tratta di una serie molto ricca di prodotti, che comprende anche bicchieri, piatti da portata e accessori vari, realizzata con l’impiego di tre materiali (stoneware, vetro e acciaio inossidabile) scelti sulla base delle caratteristiche funzionali degli oggetti. Per quanto regolari, le forme presentano una leggera e ricercata asimmetria che rende caratteristico il servizio. on the cover: an amusing composition of the Ovale table service produced by Alessi and designed by Ronan & Erwan Bouroullec. This is a very rich series of products, including glasses, serving dishes and various accessories, made by using three materials (stoneware, glass and stainless steel) selected to match the functional characteristics of the objects. Though regular, the forms have a slight, refined asymmetry that adds character. Foto di/Photos by studio Bouroullec

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nds ceramic tales i nuovi traguardi della ceramica/The new objectives of ceramics sottile leggerezza/Slender lightness giovani idee a confronto/Young ideas compared superminimal sapore vintage/Vintage flavor un bagno di natura/A bath of nature tutto in uno/All in one bianco e nero/Black and white a colori/In color produzione product io n Vitrum the glass revolution la cucina libera/The free kitchen mimetismi/Mimetisms Progetto vetro/Glass project le forme del contenere/Forms of containment benessere modulare/Modular wellbeing

project

estetica polyedro/Polyedro aesthetic 85

showroom

la casa de la rinascente INternational showroom a/in Barcellona roca gallery boffi open space 101 fiere fa ir s 10 anni di designer’s days a parigi/10 years of Designer’s Days ICFF 2010 Editors Awards new york design week 2010 137 showroom a/in New York City flos minotti 91

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tendenze cersaie cer sa ie tre

INtertwined mostre Exh ibit io ns il terzo paradiso a scolacium/The third paradise at Scolacium Miraggi nei castelli di Puglia/Mirages in the castles of Puglia

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INdice/CONTENTS 156

paesaggio landscape

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sostenibile sus tainability

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progetto cittĂ city project

II

Capoliveri: Tenuta delle Ripalte/Capoliveri: the Ripalte estate

designer e artigiani/Designers and artisans

le verdi colline di gwang gyo/The green hills of Gwang Gyo 166

fashion file

stilisti entomologi/Fashion designers as entomologists 169

cinema

gli stati dell’anima/States of mind INservice 178 190

traduzioni translations indirizzi firms director

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INtopics 1

editoriale editorial di/by gilda bojardi

INteriors&architecture

orizzonti belvedere Belved ere horizons a cura di/edited by antonella boisi 2

repubblica dominicana, la casa sulla scogliera

Dominican R epublic, a house on the rocks progetto di/design by jasmit singh rangr, eivind karlsen, josh weiselberg foto di/photos by paul warchol testo di/text by matteo vercelloni

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amman, giordania, oasi urbana ur ban oasis progetto di/design by vladimir djurovic landscape architecture foto di/photos by matteo piazza testo di/text by matteo vercelloni

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svizzera, grandeur ginevrina sul lago

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Switzerland, Geneva, grand eur on the lake progetto di/design by antonie bertherat-kioes foto di/photos by francesca giovanelli testo di/text by kay von westersheimb 18

francia, saint tropez, sezz hotel progetto architettonico di/architecture by jean-jacques ory interior design di/by christophe pillet / cccp foto di/photos by patricia parinejad testo di/text by alessandro rocca

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roma, un attico su misura a cus tom penthouse progetto di/design by carlo colombo foto di/photos by walter gumiero testo di/text by antonella boisi

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londra, il magazzino del cotone

L ondon, cotton warehouse progetto di/design by dylan baker-rice foto di/photos by luke hayes testo di/text by davide giordano 30

pechino, the opposite house progetto di/design by kengo kuma & associates interni di /interiors by kengo kuma, lyndon neri & rossana hu foto di/photos by michael weber/swire hotels testo di/text by matteo vercelloni

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santiago del cile, memorial de la solidaridad san alberto hurtado progetto di/design by cristiĂ n undurraga foto e testo di/photos and text by sergio pirrone

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INdice/CONTENTS

III 38

ho chi minh city, vietnam, la grotta di ghiaccio

ho ch i minh city, vietnam, T he ice grotto progetto di/design by massimiliano locatelli / Cls architetti foto di/photos by hellos / cukhoai testo di/text by cristina morozzi

INsight INscape 44

independent design di/by andrea branzi INtoday

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botte piena e... architetto ubriaco Inebriating arch itect ure di/by olivia cremascoli

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INdesign INcenter

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cascate di luce C ascad es of lig ht di/by LAURA TRALDI foto di/photos by GIACOMO GIANNINI

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non sprecate! nuovi diktat quotidiani

Don’t was te th ings! New everyday rules di/by olivia cremascoli foto di/photos by sergio anelli INprofile 66

ronan & erwan bouroullec: progetti poco zuccherati ronan & erwan bouroullec: Projects, n di/by Cristina Morozzi

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ot too sweet

INproject 72

lovegrove bath experience di/by Antonella Galli

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la vita sognata degli oggetti Dreaming the life of objects di/by Stefano Caggiano

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perché un bravo architetto deve saper fare il formaggio

W h y a good ar c hit ec t sh oul d know h ow t o make c h eese di/by Riccardo Blumer foto di/photos by Paolo Mazzo – F38F INfactory 80

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controcorrente, dalla toscana

Agains t the trend, from T uscany di/by Rosa Tessa foto di/photos by Giacomo Giannini

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INview 88

il design si fa racconto

Design becomes narrative di/by Laura Traldi INproduction 94

pensieri trasparenti T rans parent thoug

hts di/by NADIA LIONELLO elaborazione immagini/image processing by enrico sua’ ummarino

INservice 102

indirizzi firms director

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di/by adalisa uboldi 74

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traduzioni translations

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Interni ottobre 2010

INtopics / 1

EDiToriaLe

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nche in omaggio all’appuntamento internazionale di Bologna (28 settembre–2 ottobre), il fil rouge di questo numero è costituito dai materiali: ceramici lapidei, vitrei, metallici, plastici, lignei, tessili, di sintesi. Organica o tecnologica, la materia, nelle sue textures e colorazioni diametralmente opposte, è andata a plasmarsi in architetture d’interni a livello internazionale – Cile, Repubblica Domenicana, Cina, Vietnam, Giordania, Inghilterra, Francia, Svizzera, nonché Italia – che vanno dai boutique hotel alle case di vacanza, a quelle residenziali. Ma la materia, candida e fragile, si estende anche alla soave collezione di Epigrammi, i “folletti domestici” progettati da Andrea Branzi, e a quella – pastosa, dato che è in caseina – disegnata da Riccardo Blumer e costituita da nano-strutture gastonomiche, perché – come afferma lo stesso Blumer – “un bravo architetto deve saper fare anche il formaggio”. D’altronde, si parla del “sapore della pasticceria che non stucca, da gustare senza rischio d’indigestioni” a proposito della collezione ceramica Axor dei fratelli Bouroullec. Ma un bravo progettista è quello in grado anche di riutilizzare, rigenerandoli, materiali di scarto allo scopo di realizzare arredi e complementi nuovi fiammanti, come abbiamo verificato durante l’ultimo FuoriSalone di Milano, e come anche ci suggerisce, quasi come undicesimo comandamento, Antonio Galdo con il suo libro Non sprecare. La declinazione dei materiali prosegue con il così battezzato progetto-trasparenza, che annovera arredi domestici la cui limpidezza è adamantina. Mentre l’esteso dossier (Tendenze, Architettura, Progetti, Sostenibilità e Ricerca) sulla ceramica evidenzia come il settore dei rivestimenti e del bagno sia ad alto grado d’innovazione tecnologia e di ricerca ecosostenibile. E sia capace di attrarre le energie creative di designer, che, nella ceramica, trovano un materiale particolarmente espressivo. Gilda Bojardi

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Dal gruppo asiatico swire hotel, il suo primo hotel di design, the opposite house di pechino, progettato dallo studio kengo kuma & ASSOCIAted.

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A str apiombo su un a scogliera, nell a costa Nord della R epubblica Dominicana, una casa sc andit a da precise geometrie e dall’us o press och É unit ario dell a pietra l oc ale C orallina. Co rpi ad andament o orizzontale, segu ono una dinamica c ompositiv a tesa ver so l’ infinito.

Orizzont e At l ant ico progetto di Jasmit Singh Rangr, Eivind Karlsen, Josh Weiselberg foto di Paul Warchol testo di Matteo Vercelloni

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la grande piscina centrale che si pone in continuità visiva con l’oceano prospiciente. La pietra impiegata per la pavimentazione delle zone all’aperto è la stessa adottata negli interni a sottolineare una densa continuità di spazi e percorsi. Lettini prendisole di DEDON.

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I

solata sullo sperone di roccia che come una prua navale sembra in procinto di prendere il largo, questa lussuosa ed esclusiva casa per vacanze si basa su un approccio lucido e preciso, legato ad un programma di funzionalità interna a cui, alla generosità degli ambienti e all’idea di un lusso proposto secondo una monumentalità contemporanea, si affianca la necessità di garantire una privacy adeguata per gli ospiti che, nonostante la condizione di vivere in un’unica grande casa,

possono avere momenti indipendenti e autonomi. La disposizione in pianta segue tale programma, organizzando l’imponente struttura domestica secondo un percorso di spazi tra loro scomposti, ma allo stesso tempo aggregati, uniti in un percorso comune che forma a livello volumetrico la figura complessiva della costruzione. Così la casa si presenta come sommatoria di elementi compiuti tra loro affini per linguaggio comune e soprattutto per l’aspetto monomaterico sottolineato dall’impiego di una pietra chiara e porosa chiamata Coralina (utilizzata secondo diverse lavorazioni ruvida, quasi a spacco di cava per gli esterni, levigata e più ‘morbida’ negli interni).

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Sopra, vista notturna della casa dal bordo della piscina. A fianco un’immagine aerea del complesso, in cui si coglie l’ attenzione paesaggistica a seguire la conformazione della costa e ad assumere lo sperone roccioso quale vertice di riferimento dell’intero impianto. Sotto pianta del piano terreno. Nella pagina accanto, uno scorcio della zona porticata centrale di raccordo tra i due corpi della casa; lo schermo di lastre di pietra incrociate diventa un efficace muro poroso che permette la circolazione della brezza marina senza creare zone chiuse.

La pietra copre ogni superficie ad eccezione dei soffitti in doghe di legno scuro: dalle pavimentazioni esterne alle facciate, dai pavimenti alle pareti degli spazi interni, sino alle essenziali scale a sbalzo, e ai riusciti brise-soleil, pensati come velari di lastre incrociate che diventano un elemento-chiave da ripetersi lungo i fronti e come setti che schermano le zone dei portici, senza interrompere la brezza marina e i profumi del giardino al piano terreno. L’esteso impiego della pietra locale si rapporta direttamente al carattere geologico dell’isola dominicana, composta essenzialmente dalla coral rock, diventando in un certo senso un’estensione architettonica del sito che l’accoglie. Così, suddivisa in due corpi distinti, tra loro uniti da una zona porticata centrale, la casa organizza una serie di geometrie essenziali, a forte andamento orizzontale che ricordano in chiave contemporanea la felice stagione delle prairie houses wrigthiane.

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REPUBBLICA DOMINICANA / 5

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Sopra, vista di una zona porticata; al primo piano si nota l’arretramento della vetrata di una camera da letto che permette di creare delle ampie terrazze coperte, diretta estensione degli spazi interni.

Le camere da letto, collocate al primo livello e rientranti rispetto al filo di facciata per ottenere ampie balconate in ombra, e le zone living del piano terreno, aperte in modo totale verso l’esterno quasi a confondere i confini tra spazio della casa e ambienti porticati, si dispongono attorno ad una lunga piscina che, proiettandosi verso l’oceano, vuole a livello visivo farne parte, portarlo direttamente nella casa scavalcando il precipizio della scogliera. La grande vasca natatoria, il cui bordo verso il mare è a sfioro per sottolineare la continuità tra naturale e artificiale, è circondata dalla stessa pavimentazione di pietra che si trova nella casa in modo da non cogliere alcuna discontinuità di percorso. Una piccola isola geometrica galleggiante, in cui cullarsi prendendo il sole, rompe il rettangolo regolare dello specchio d’acqua che ad una quota inferiore, verso il bordo della scogliera, è concluso da un belvedere panoramico da cui dominare il mare.

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Nella pagina a fianco, una scala interna a sbalzo costruita con la stessa pietra impiegata per i rivestimenti di pareti e pavimenti. Vista di un bagno affacciato sulla terrazza. Particolare del brise-soleil di lastre di pietra incrociate.

È tutta la casa, l’intero progetto, che in realtà assume l’orizzonte atlantico quale indiscusso e primario elemento paesaggistico; quasi ogni camera da letto possiede la vista dell’oceano, ‘filtrato’ dalle terrazze coperte, pensate come naturali estensioni delle zone interne. Lo stesso avviene in modo ancora più diretto per l’intero piano terreno dove le camere da pranzo e i soggiorni si affacciano su spazi porticati in cui organizzare zone living en plein air, miscelando in modo continuo interno ed esterno, rincorrendo sempre e in ogni stagione il profilo del mare.

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Ad Amman in Giordania, uno spazio condominiale nel dis trett o di Jabal, s u una delle colline che circ ondano il centro storico, è st at o tr asf ormat o in uno spazio polivalente che, all a dimensione del giardino, unisce quell a del belvedere per l a definizi one di una modern a oasi, complementare agli spazi privati e aff acci at a sull a città .

Oasi Urbana progetto di Vladimir Djurovic Landscape Architecture foto di Matteo Piazza testo di Matteo Vercelloni

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il volume porticato che sul tetto ospita una terrazza attrezzata per occasioni conviviali. si notano il tavolo-pedana di basalto con braciere incorporato e il gradone organizzato a seduta collettiva da cui osservare la scena della città. la lunga vasca rettangolare che segna l’andamento liineare complessivo e la scansione tra la piattaforma lignea e la pavimentazione di pietra che raggiunge l’edificio residenziale.

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n progetto di paesaggio raccolto nelle dimensioni di uno spazio condominiale, in grado di reinventarne la figura complessiva e di miscelare le funzioni comuni, mascherando anche la presenza obbligata del parcheggio auto. Una sorta di ‘nuova tipologia’, quella dell’oasi urbana, al servizio dei complessi residenziali, in grado di offrire uno spazio comune all’aperto attentamente calibrato e pensato come un giardino geometrico, in stretta relazione con le unità immobiliari cui si rivolge. Il programma di questo interessante progetto di urbanscape appare ambizioso e innovativo, capace di sfruttare le potenzialità del luogo, la sommità collinare da cui

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la lunga vasca centrale e la piattaforma lignea verso valle con i lettini prendisole; l’ulivo presenza scultorea nel cortile di pietra; la pergola lignea attrezzata per pranzi e cene e congiunta, tramite una zona gradonata, al deck prendisole. planimetria complessiva dell’intervento. scorcio del volume porticato bianco con la scala lignea che raggiunge la terrazza panoramica sovrastante. in primo piano dettaglio della pietra adottata per la vasca d’acqua, lo stesso materiale è stato utilizzato per la pavimentazione della corte d’ingresso.

osservare lo spettacolo della città storica, e allo stesso tempo creare uno spazio da vivere, come se si fosse in un raffinato resort alberghiero. Dalle scelte compositive dell’impianto generale alla cura dei dettagli, dalla selezione dei materiali a quella delle essenze arboree, lo sforzo progettuale è teso verso la configurazione di uno spazio rigoroso e accogliente, in cui potere passeggiare, rilassarsi, abbandonarsi alla lettura o stendersi al sole, bagnandosi nella lunga vasca rettangolare che segna in modo centrale l’andamento lineare complessivo. Non mancano pergole, zone per buffet o per eventi più raccolti, aree di servizio perfettamente attrezzate con docce e spogliatoi, nonché una zona per il parcheggio auto che, una volta liberata dell’ingombrante presenza degli automezzi, si trasforma in un piccolo portico ombroso chiamato a disegnare la geometria d’insieme. Questa si organizza secondo linee ortogonali lungo cui si dispongono i diversi episodi tra loro strettamente collegati, ma allo stesso tempo compiuti e definiti in modo autonomo. Dall’ingresso carrabile, lungo cui muove un portone scorrevole, si ha subito la percezione della piccola corte di pietra che anticipa la lunga vasca centrale assunta come elemento di scansione tra la piattaforma lignea verso valle (in cui sono collocati i lettini prendisole all’ombra di tre alte palme allineate) e la pavimentazione di pietra che raggiunge l’edificio residenziale. Un ulivo preesistente diventa la cerniera naturale tra costruzione e specchio d’acqua; albero scultoreo sottolineato dall’aiuola ricavata alla sua base che

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interrompe la superficie lapidea di calpestio, disegnando linee d’erba che si spingono sul fondo, per raggiungere la pergola lignea che ospita una zona attrezzata per pranzi e cene con arredi fissi su disegno, in parte composti con la stessa pietra della pavimentazione che li accoglie. Affiancata da un piccolo ‘giardino nel giardino’ la pergola si congiunge, tramite una zona gradonata al deck prendisole con balaustra continua pensata come un lungo bancone-bar panoramico. Sul fondo, affacciato sulla corte d’ingresso e connesso al percorso ligneo, si sviluppa il volume porticato; un essenziale parallelepipedo bianco che sul tetto ospita una terrazza attrezzata per altre occasioni conviviali. Qui un tavolo-pedana di basalto, con braciere incorporato, emerge dalla pavimentazione dello stesso materiale, mentre il gradone continuo ricavato su due lati del parapetto organizza una lunga seduta collettiva da cui osservare la scena della città sottostante.

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AMMAN / 11

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veduta esterna in notturno della villa, un monolite di cemento, acciaio e vetro dal segno modernista e lineare, piegato nella figura di una lunga T in cui si innesta lo specchio d’acqua della piscina e la promenade che conduce all’ingresso.

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Grandeur ginevrina architettura e cultura si fondon o in una villa sul l ago di ginevra, complessa e semplice al tempo s tesso, che vive di trasparenze, dimensioni outdoor e viste mozzafiato sul paesa ggio. progetto di Antonie Bertherat-Kioes foto di Francesca Giovanelli testo e produzione di Kay von Westersheimb

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lo specchio d’acqua della piscina fronte lago. la planimetria complessiva dell’insediamento. scorcio dell’area living arredata con classici del design internazionale. sedia a dondolo di Charles & Ray Eames nel catalogo vitra; poltrone in pelle di mies van der rohe per knoll international. in primo piano, sedute di poul kjaerholm prodotte da fritz hansen.

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ercavamo un terreno con un affaccio sul lago” raccontano i committenti dell’opera firmata dall’architetto ginevrino Antonie Bertherat-Kioes. Inoltre, “sognavamo una casa flessibile e aperta, dove ciascuno di noi potesse trovare un proprio rifugio indipendente”. Trovato il posto ideale, non hanno più avuto indugi: “un’area di

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circa 10.000 mq, con dolce declivio verso il lago, porticciolo privato, rimessa per le barche e una vecchia villa. La vetusta dimora è diventata una nuova costruzione in cemento e vetro, con sviluppo lineare a forma di T. Il progetto si è delineato in buona parte da solo”, afferma Bertherat-Kioes. L’orientamento est-ovest dell’edificio, parallelamente al lago, dove si inanellano le viste panoramiche più suggestive, ha stimolato anche la collocazione, alla base della grande T, dell’ampia piscina con le zone di vita outdoor, insieme alla promenade in pietra grezza

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la zona living si prolunga all’esterno, sottolineando la completa fusione tra dentro e fuori. mobili di cappellini. l’ area pranzo risolta con due icone del design anni cinquanta: il tavolo e le sedute tulip chair, di eero saarinen per knoll international.

di colore verde dorato, proveniente dalla Val d’Aosta, che disegna il percorso d’ingresso. Lo specchio d’acqua e le lastre rettangolari a filo del prato all’inglese sottolineano il passaggio fino alla porta d’ entrata collocata al centro del fronte-lago ad una quota sopraelevata. E quello che dall’esterno viene percepito soltanto come un accesso elegante, all’interno propone l’effetto-sorpresa. Una rampa collega garage, spazi di servizio e la cucina. La testa della lunga T ospita invece la zona notte. Il progettista ha articolato il piano superiore in tre zone: l’entrata al centro, la zona bambini a destra e quella dei genitori sulla sinistra. Con la medesima corrispondenza è stato organizzato, al livello sottostante, un atrio centrale, sulla destra la zona per gli ospiti e a sinistra la zona giorno con sala da pranzo, biblioteca e soggiorno. Tre elementi verticali interrompono e dinamizzano in modo deciso il tracciato prevalentemente orizzontale dei piani: la sinuosa scala che sembra oscillare nel vuoto dell’area living, il volume del luminoso soggiorno a due livelli aperto sul lato sud e la tromba delle scale integrata di corpi illuminanti nella zona bambini.

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16 / INteriors&architecture la sinuosa scala che sembra fluttuare nel vuoto del volume a doppia altezza vetrato dello spazio living. in primo piano, la scultorea chaise longue disegnata da charles & ray eames nel 1948, oggi prodotta da vitra. scultura di laurent de pury.

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uno dei bagni dell’abitazione, una composizione simmetrica tutta su disegno. Rubinetti di boffi. una camera da letto. seduta di tadel, lampada da terra di luceplan, box-comodino di kartell.

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Particolare attenzione è stata dedicata anche al progetto degli spazi esterni che riconferma il medesimo schema planimetrico: al centro, la terrazza vista lago; sulla sinistra, defilata, la piscina e a destra, la rimessa per le barche provvista di un nuovo portone d’acciaio. C’è poi una terrazza più piccola, protetta dal vento, sul lato sud, dove lo sguardo si può spingere in lontananza fino alla vista della città di Ginevra. Anche la cucina si prolunga in due estensioni esterne: quella soleggiata al servizio della sala da pranzo all’aperto e quella in ombra per l’attività domestica.

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Trasparenza e flessibilità sono stati i parametri di riferimento del progetto per tutti gli ambienti della casa. Così le camere, apparentemente senza un confine preciso, si fondono nel giardino e nel paesaggio circostante. E i passaggi prendono forma in modo fluido. Porte scorrevoli in palissandro indiano disegnano infatti la successione open delle stanze nella zona privata dei bambini e dei genitori occultandosi silenziosamente; come le vetrate, queste ultime a scomparsa nel pavimento della zona giorno e della sala da pranzo collegata con il grande atrio. Il tutto è

élévation lac-ouest

valorizzato dall’ involucro fatto di pochi materiali essenziali: legno, terrazzo e cemento per i pavimenti delle zone comuni e private; pietra, policarbonato, vetro colorato per i bagni; acciaio inox e vetro smaltato per la cucina. Pochi arredi di selezionato product design, che convivono con pezzi di segno essenziale e modernista, su disegno del progettista, in palissandro indiano, completano la scena. E mettono in risalto la sofisticata collezione d’arte dei proprietari che comprende opere di Carl André e Thomas Flechtner, Balthasar Burkhard e Lucien Wercollier.

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progetto architettonico di Jean-Jacques Ory/studio Ory progetto interior design di Christophe Pillet/CCCP landscape design di Christophe Ponceau foto di Patricia Parinejad testo di Alessandro Rocca

DesIGn HoTeL neLLa rIvIera CHamPaGne IL design È IL valore aggiunto DEL Sezz Hotel: BENESSERE MEDITERRANEO, A Saint-Tropez, E PALETTE DI COLORI NEOMODERNI PER UN resort A STRETTO CONTATTO CON LA natura provenzale. CON IL desk di accoglienza sostituito DA UNA piazza con piscina. UNA DELLE 37 GUESTROOM AL LIVELLO DEL GIARDINO RAGGRUPPATE INTORNO ALLA PISCINA. CIASCUNA GODE DI DOCCIA ESTERNA, TERRAZZA E GIARDINO PRIVATI. SOPRATTUTTO SI CARATTERIZZA PER UN DESIGN PERSONALIZZATO STUDIATO NEL DETTAGLIO. LE POLTRONCINE JADE E IL TAVOLINO SHAHAN SU DISEGNO DI CHRISTOPHE PILLET SONO PRODOTTE DA PORRO. DEFILATA, SEDIA DI EMECO.

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usso, quiete e sensualità sono, secondo l’architetto Jean-Jacques Ory, i caratteri dominanti di questo magnifico angolo di riviera francese, e sono anche i temi dominanti di questo progetto molto particolare in cui la cura dell’architettura e del design si uniscono a una concezione di qualità del servizio alberghiero. Le dotazioni e gli spazi collettivi sono ridotti all’essenziale, mentre si punta molto sulla personalizzazione del servizio che è svolto, in gran parte, dall’assistente personale, una specie di attendente dedicato che, dall’arrivo alla partenza, si occupa di esaudire ogni richiesta dell’ospite. Di conseguenza, l’albergo si organizza in modo diverso, rispetto agli standard abituali, e acquista la fisionomia di un villaggio informale. Dopo aver aperto, nel 2005, il Sezz Parigi, l’imprenditore di origine libanese Shahé Kalaidjian ha elaborato, per Saint-Tropez, una nuova visione che deriva da una riflessione sui mutamenti dell’ospitalità e sulle peculiarità del luogo: “Rispetto agli anni Ottanta e Novanta il lusso è cambiato. Oggi, l’idea del lusso

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qui sopra, un angolo della lounge, con il sofà su disegno di Christophe pillet prodotto da STyle & confort. in alto, il centro dell’insediamento, un’unica piazza con piscina, il cuore della vita comune e anche la porta di ingresso e di accoglienza. chaise longue di pillet per samoa. il progetto del giardino alla mediterranea è stato curato dal paesaggista christophe ponceau. a sinistra, scorcio dello champagne bar dom pérignon, su disegno di Pillet. Tavoli e sedie con struttura a rete metallica di varaschin.

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dettaglio di un bagno. lavabo, rubinetterie e accessori di boffi. dentro e fuori di una guestroom segnata da un fronte vetrato a doppia altezza schermato da louvres regolabili. letto e bedside sono stati appositamente realizzati da porro su disegno di pillet. in esterno, sedie di varaschin. la lampada applique di colore rosso è di oluce. nel resto dell’ambiente luci di AV MazzegA.

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SAINT-TROPEZ / 21

si condensa in due parole: spazio e servizi. E per Saint-Tropez avevo in mente un albergo che avesse certi caratteri che avevo visto in Asia; volevo un luogo di pace e serenità dove l’eleganza e la raffinatezza fossero la regola e gli spazi, e i servizi, incomparabili”. L’ispirazione di Kalaidjian, che forse rimanda al giardino islamico, tradizionalmente concepito come una lussuriosa trasfigurazione del paradiso terrestre, si materializza in un progetto di grande cura in cui le sue idee si traducono in un modello, piuttosto inconsueto, che mescola l’albergo, il villaggio turistico e la gate community esclusiva in una nuova combinazione. Per esempio, i luoghi di incontro e di socializzazione sono raccolti al centro dell’insediamento, in un’unica piazza, con piscina, che diventa il cuore della vita comune e anche la porta di ingresso e di accoglienza. Le stanze sono trasformate in edifici parzialmente o completamente autonomi, cinque bungalow da 30 metri quadri, trenta “bozzoli” da 40 metri quadri e due ville, di 90 metri quadri, con piscina riservata.

L’altro punto fondamentale della filosofia di Kalaidjian, i servizi, diventano una serie di attrezzature fondate su personaggi e marchi di eccellenza. Il ristorante Colette, intitolato alla scrittrice che fu, insieme a molti altri intellettuali francesi, un’assidua frequentatrice di Saint-Tropez, è affidato al maestro della cucina fusion Pierre Gagnaire; la spa è dotata di due ambienti interni, una sala massaggi esterna, Jacuzzi e hammam affacciati sul giardino giapponese, ed è realizzata in partnership con Payot, celebre maison di cosmetica parigina, mentre un altro partner significativo è quello coinvolto nel progetto dello champagne bar Dom Pérignon. Negli interni, l’opera dell’architetto si arricchisce dell’intervento del designer, Christophe Pillet, che attraverso la gestione di tutti gli arredi e i complementi fornisce un contributo essenziale scegliendo, per esempio, una palette di colori ispirata agli anni Cinquanta: bianco, grigio chiaro, marrone scuro, azzurro e zafferano, ravvivata dal color mostarda di tappeti e biancherie e dal rosso brillante delle coperte. Un altro contributo fondamentale, per la qualità degli spazi esterni dell’albergo, si deve al paesaggista Christophe Ponceau che ha disegnato i giardini, utilizzando le piante tipiche della vegetazione mediterranea: ulivi, pini marittimi, palme ed eucalipti, arbusti di mimosa e alberi di fico e limone e il prato rasato, utilizzato soprattutto nei giardini individuali di ciascuna stanza.

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Un vesTITo su mIsura C_In605_R_22_23_colombo.indd 22

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LA CUCINA RACCHIUSA DENTRO UN VOLUME VETRATO COMUNICANTE CON IL PRANZO CON PARETI SCORREVOLI A TUTTA ALTEZZA. IL BLOCCO-COTTURA DI PIETRA AL CENTRO DELLO SPAZIO, SU DISEGNO DI CARLO COLOMBO, È DI VARENNA. IL TAVOLO EXTRA-LARGE CON BASE D’ACCIAIO E PIANO DI WENGÈ È UN PEZZO SPECIALE, SEMPRE SU DISEGNO. SEDIE MOOD DI FLEXFORM, LAMPADARI ARTICHOKE DI POUL HENNINGSEN PER LOUIS POULSEN.

GIOCHI DI trasparenze E compenetrazione TRA materiali, CHE CONVIVONO TRA DI LORO IN MODO armonico, CARATTERIZZANO QUESTO interno romano RADICALMENTE ridisegnato DA CARLO COLOMBO. progetto di Carlo Colombo - foto di Walter Gumiero - testo di Antonella Boisi

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IL VOLUME DELLA MASTER BEDROOM APERTA ALLA CONDIVISIONE DELLA SALA DA BAGNO. LETTO PARK DI CARLO COLOMBO PER POLIFORM, TAPPETO DI KASTHALL. NEL BAGNO, PARQUET DI ROVERE, MARMO BOTTICINO, VASCA E LAVABO DI CARLO COLOMBO PER ANTONIO LUPI.

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iamo in un attico, a coronamento di una casa romana anni Trenta. Ma, potremmo essere ovunque, da Los Angeles a Miami, perché i suoi orizzonti sono internazionali, come attendevano i committenti, cittadini del mondo. La lettura proposta nega il dialogo con il paesaggio esterno per restituire soprattutto un nuovo valore dell’interno reinventato dall’architetto Carlo

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Colombo, che si dichiara come un macro-oggetto di design compiuto e definito nelle sue componenti, fortemente integrate all’insieme. Dentro e fuori si ridefiniscono lungo i percorsi che piegano una planimetria dall’impianto a L – in cui ogni apertura risultava vincolata dalla Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici – con movimenti spaziali dinamici, aperti e chiusi nello stesso tempo. Il vincolo trasformato in opportunità. “Effettivamente rispetto all’esterno” riconosce Colombo “quando sei all’interno dell’appartamento, l’effetto è di straniamento. Il taglio degli ambienti risulta distonico alla storicità dell’edificio. Dalla

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cucina, una scatola di vetro all’interno della zona giorno con il massiccio blocco-cottura di pietra al centro ai bagni, grandi acquari di vetro in fondali di pietra Botticino da cui fuoriescono o rientrano segni dedicati alle funzioni, sembra proprio di stare in più case nella casa. Dentro luoghi conclusi, sottolineati dal ribassamento dei controsoffitti che integrano i tagli di luce, però al tempo stesso comunicanti e condivisibili attraverso il gioco degli scorrevoli vetrati a tutta altezza e delle tende-sipario in lino chiaro”. Ma, perché tutto questo? Coerenza all’obiettivo: fare di quelle che erano in origine ventidue piccole stanze alveolari e passanti degli spazi generosi e aperti che vivono di trasparenze e

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di rimandi visivi, frammenti di una dimensione abitativa in divenire, flessibile e mutevole. “Ho ricomposto tutto il layout” spiega Colombo “strutturandolo in due grandi isole, padronale e di servizio, indipendenti ma amalgamate da percorsi fluidi”. La reimpaginazione degli ambienti ha dunque seguito una rigorosa articolazione di piani ortogonali che rivendicano la propria natura di costruzione artificiale, curatissima nei dettagli, fino al disegno degli scuretti a filo tra pareti e pavimenti; o delle fasce in pietra serena che riquadrano, come motivo ricorrente, porte-finestre e finestre originarie; senza dimenticare gli arredi realizzati perlopiù su

disegno. La ricerca di un rapporto di equilibrio tra pieni e vuoti, chiaroscuri e vibrazioni luminose, ha prodotto un vero e proprio vestito su misura che, nella texture dei materiali adottati, esprime appieno il savoir faire tecnico-artigianale del progettista e la sua passione per la riduzione del segno all’essenziale. Così come la scelta del medesimo legno di rovere, trattato in modo differente, dentro e fuori casa, sottolinea una complanarietà che, nella parte conclusiva della zona living con la criticità di un restringimento spaziale, si è rivelata un ottimo escamotage per simulare una dilatazione ottica dell’ambiente diventato un tutt’uno con il patio e terrazzo esterni.

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A L ondra, nell a zon a di Shoreditch, un vecch io magazzino del cotone, re invent ato, d ivent a l a casa di Dylan Baker-R ice, arch itetto, già coll abor atore d i Zah a Ha did e fondatore, nel 2007, d i AFFECT _T , st udio mult idisc ipl inare di design volto all a ricerca sensoriale con strument i digit al i e tecniche costruttive d’avanguardia.

Il pot ere del l e sf umat ure

È

un prodotto della Rivoluzione Industriale, Shoreditch. Zona Est di Londra, è il quartiere übercool dei bar e dei club, delle gallerie d’arte e dei design store, che hanno trovato la loro location ideale nei magazzini e nelle fabbriche costruite in era vittoriana. L’architetto Dylan Baker-Rice, socio fondatore di AFFECT_T, si è cimentato nella riconversione di un vecchio magazzino di cotone, in una townhouse di quattro piani con terrazza panoramica e giardino pensile. A tutti gli effetti un open space. La gerarchia spaziale viene invertita, flipped a dirla come Dylan: il piano terra è adibito a zona ufficio/studio; sopra, l’arrivo della scala alla zona notte. salendo le scale, si passa attraverso la zona notte – al primo piano – che comprende la master pagina a fianco, la scala in acciaio con sculturabalaustra in legno e rame, vera e propria ‘pelle’ bedroom, un vasto spazio guardaroba in cedro sensoriale che collega i quattro livelli della old laccato e il bagno padronale in cui la muratura cotton warehouse. originale viene esaltata dal vetro su di essa progetto di Dylan Baker-Rice foto di Luke Hayes testo di Davide Giordano

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applicato, mentre gli accessori di design contemporaneo dialogano alla perfezione come contrappunti dinamici. La zona notte prosegue al secondo piano con una guest room ed un ulteriore bagno in cui i mosaici Bisazza convivono con altri mosaici fatti a mano di provenienza spagnola. Lo spazio nella camera da letto è ottimizzato dall’ottima configurazione dei mobili e delle pareti attrezzate, che seguono il motivo angolare della facciata. Nonostante la scelta inusuale di integrare la zona notte piuttosto che isolarla, la privacy è comunque garantita da pareti scorrevoli in vetro e louvers che si aprono e chiudono a seconda delle esigenze. Piu su, il terzo piano, è il cuore della Old Cotton Warehouse: qui il teak grezzo del pavimento della lounge si estende fino al bancone in Corian®DuPont e all’acciaio del piano cottura della cucina, mentre grandi finestre incorniciano lo skyline

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scorcio della zona pranzo, al terzo piano, il cuore dell’ ex magazzino di cotone, dove il contrasto vecchio-nuovo è sottolineato dalla presenza dello chandelier di rody graumans (1993) per droog design.

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qui sotto, l’area cucina-living che forma un tutt’uno unitario con lo spazio pranzo. il pavimento in teak grezzo ‘sale’ in altezza fino al bancone in corian® dupont della cucina, con rubinetterie boffi della serie viking. Luci a sospensione golden bell lamp disegnate da alvar aalto e prodotte da artek.

dettaglio di un bagno della casa, sapiente mix di antico-moderno. mobile con lavabo e rubinetteria di boffi. il pavimento è in mosaico di vetro prodotto da bisazza. la roof-terrace con il piccolo giardino pensile come sospeso tra i mattoni e il ferro delle warehouses circostanti.

di Londra. Per finire, la roof-terrace, con il cedro del pavimento e delle sedute che ricorda il ponte di una barca a vela e il piccolo giardino pensile che sembra come sospeso tra i mattoni e il ferro delle warehouses circostanti, il vetro e l’acciaio dei grattacieli della City in lontananza. Interessante è il sistema di irrigazione basato sulla raccolta e il re-utilizzo delle acque piovane: una scelta ecologica che aiuta a ridurre di molto, non solo i costi, ma anche il tempo da dedicare alla gestione del giardino. L’ elemento forte sul piano compositivo è però rappresentato dalla scala in acciaio: questo elemento architettonico non soltanto connette i diversi spazi della casa ma, in perfetto connubio con la scultura-balaustra in legno e rame, diventa ‘scheletro’ della Old Cotton Warehouse e assicura la continuità tra le diverse zone dislocate su quattro piani. Una menzione particolare merita la scultura-balaustra costruita seguendo criteri parametrici: una vera e propria ‘pelle’ del vano scale nella quale le forme complesse

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del legno e dei patterns perforati sulle superfici di rame non stridono affatto con la solida semplicità della muratura originale ma, al contrario, si completano reciprocamente. Un open space, dicevamo. E ‘open’ lo è veramente, la Old Cotton Warehouse: si mostra, non nasconde e non si nasconde, ti rende partecipe delle zone ‘private’ prima ancora di accoglierti in quelle ‘comuni’. L’intento di Dylan Baker-Rice era di riconvertire un edificio industriale fatiscente in un spazio abitativo di respiro contemporaneo. È andato oltre: ha combinato con successo il ‘vecchio’ con il ‘nuovo’ e la solidità delle strutture alla flessibilità degli arrangiamenti spaziali, la cui estetica è rafforzata dalla delicatezza con cui i materiali sono stati scelti e impiegati. Tutto questo senza mai perseguire meri esercizi di stile, ma focalizzandosi sul mantenimento del carattere originale del building. Potere della sfumatura: e non tutti ce l’hanno.

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la hall d’ingresso su cui affacciano i ballatoi che distribuiscono alle camere e alle suites. un allestimento tessile in organza fluttuante stempera la luce che si effonde dalla copertura vetrata. decentrata, la torre degli ascensori rivestita in vetro rosso. essenziali le sedute e il lungo tavolo di legno naturale su disegno di kengo kuma prodottI da shanghai cheng meng interiors. sui lati emergono in modo scenografico le opere d’arte di giovani promesse cinesi.

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LA PISCINA DELL’HOTEL CON PORTICI LATERALI SI SPECCHIA SUL SOFFITTO CON UN SUGGESTIVO EFFETTO DI DILAZIONE SPAZIALE.

progetto di Kengo Kuma & Associates interni di Kengo Kuma, Lyndon Neri & Rossana Hu foto courtesy Michael Weber/Swire Hotels testo di Matteo Vercelloni

THe OPPosITe House UN boutique hotel, NEL DISTRETTO COMMERCIALE DI Sanlitun A Pechino, PENSATO COME UN PROGETTO CORALE CON interni DECLINATI IN DIVERSE ATMOSFERE TUTTE RAPPORTATE ALLA cultura orientale. AI RISTORANTI E ALLA GRANDE HALL MONUMENTALE, SI AFFIANCA LA PRESENZA DELL’arte DISTRIBUITA NEGLI AMBIENTI COME filo conduttore.

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la zona lounge articolata con rigorosi arredi su disegno di kengo kuma si rivolge allo spazio en plein air, oltre le vetrate. la parete di resina arancione realizzata con porzioni di bottiglie è il lavoro di un giovane gruppo artistico di hong kong.

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rimo hotel di design del gruppo asiatico Swire Hotel, promotore anche del mall The Village che lo incornicia, The Opposite House emerge nel paesaggio urbano per l’immagine innovativa e colorata che volutamente abbandona la figura degli hotel orientali di ultima generazione in bilico tra riprese di forme del passato, volgarizzate in revival infantili e grotteschi, e modernismo globalizzato con torri rivestite di anonimi e angoscianti courtain wall. Qui la facciata di vetro è occasione per lavorare su un volume elementare a sei livelli sia a livello volumetrico, sia di pelle architettonica. Il parallelepido di riferimento è assunto come monolito da incidere e scolpire, scavando tagli e

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la facciata di vetro giocata come un mosaico sulle sfumature del verde con l’innesto di tessere gialle che ne sottolineano il ritmo di sviluppo verticale. sul fianco, il boschetto di bambù che delimita lo spazio lounge outdoor.

rientranze che ne movimentano il contorno, mentre la facciata di vetro diventa uno squillante mosaico giocato sulle sfumature del verde in cui si inseriscono delle tessere gialle che ne valorizzano il ritmo incalzante. Un boschetto di bambù sul fianco della costruzione scherma un grande spazio all’aperto direttamente collegato all’hotel e ricavato a quota inferiore rispetto a quella stradale. Sorta di giardino geometrico direttamente accessibile dalla strada, lo spazio en plein air si caratterizza per la piattaforma di pietra scura centrale che fa da basamento alla scala, ospitando tavolini e sedute che portano all’esterno gli spazi dei ristoranti cui la sistemazione paesaggistica si rivolge. Nell’interno la hall

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una camera. legno naturale, tonalità chiare e luminose rimarcano le geometrie rigorose degli arredi su disegno. segno di memoria cinese, il tradizionale baule di legno colorato di rosso. al desk, Poltrona tecnica di vitra. una zona lounge con gli arredi su disegno di kuma e gli imbottiti in pelle prodotti da bals tokyo, scenografia in bilico tra chinese décor e gusti contemporanei. Il bei restaurant realizzato su disegno dello studio Lyndon Neri & Rossana hu. sul fondo lampade nuvola di frank o. gehry prodotte da vitra.

d’ingresso, lunga e rettangolare, si propone come spazio monumentale a tutt’altezza, su cui si affacciano i ballatoi con parapetti di cristallo che distribuiscono alle camere e alle suites. I sei livelli dell’edificio si percepiscono in modo diretto, sino a raggiungere la copertura che nella hall è completamente trasparente con lastre di cristallo sostenute da un’essenziale struttura metallica. A schermare la luce zenitale e a stemperarla in modo più morbido e intenso Kengo Kuma ha collocato una sorta di allestimento tessile dove un’organza fluttuante, fissata alle travi di copertura è lasciata cadere creando delle grandi sacche per poi raccordarsi in basso al lato destro del fronte interno. In questo riuscito gioco di

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ombre e trasparenze si aggiunge la torre degli ascensori, rivestita in vetro rosso, che emerge decentrata nello spazio d’ingresso segnando la soglia e definendo l’ampio ambiente di attesa. Qui due piattaforme laccate di nero segnano lo spazio e i percorsi ritagliando sul pavimento di parquet una sorta di isola astratta, posata su un grande tappeto bianco dove trovano spazio delle essenziali sedute di legno naturale che si allineano lungo un tavolo collettivo. Opere d’arte di giovani promesse cinesi si alternano negli spazi mentre la collezione permanente legata al tema della moda e dei vestiti cinesi tradizionali, realizzati in svariati materiali dalla terracotta al pvc, emerge in modo puntuale e scenografico

nella hall. La piscina dell’hotel segue lo stesso impianto dello spazio d’ingresso; di forma rettangolare regolare con portici laterali il bacino d’acqua si specchia sul soffitto creando un suggestivo effetto virtuale di amplificazione. Ogni ristorante è pensato come ambiente a sé, compiuto e da scoprire, mentre le camere dalle tonalità chiare e luminose, si caratterizzano per il generoso impiego di legno naturale e per le geometrie rigorose di arredi su disegno cui si affianca in ogni camera, quale ‘segno di memoria’ cinese, un tradizionale baule di legno colorato di rosso, da cui emerge l’antica tipologia della serratura di bronzo contenuta in un disco circolare riccamente decorato.

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Uomini e Sant i sot t o l e Ande

progetto di Cristián Undurraga team design Undurraga Devés Arquitectos foto e testo di Sergio Pirrone

Cristi án Und urr aga re alizz a il n uovo Memorial de la Solidaridad San Alberto Hurtado nel centro stori co di Santiago del Cile. Dedicato all’ insegnamento caritatevole del Padre, è un’oper a austera nell’ aspetto e nei materiali, ma fluida e dinamica nei suoi int er ni.

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pagina a fianco, dettaglio della facciata principale con i blocchi di vetro retroilluminati. sotto. Scorcio diurno della facciata nord-orientale; Vista notturna della facciata principale a sud; la facciata occidentale.

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l centro storico di Santiago di notte è buio, gli ultimi rimasti per strada camminano veloci verso l’ultimo treno della metro o il portone di casa. La notte racconta sempre la verità, la città vuota incontra gli scarti, nascosti dal frastuono del giorno. Si vedono uomini vestiti di stracci, donne con le mani incallite dal lavoro duro, l’odore acre di un giorno interminabile. Una ragazza alta e snella suona il campanello del centro religioso San Alberto Hurtado. Sono le 23 e ‘corre’ dal suo giaciglio, ce ne sono altre ospitate nel centro d’accoglienza. Il piccolo parco situato nella zona occidentale della capitale è circondato da abitazioni in serie di due-tre piani segnate da un secolo di vita e dalla povertà.

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pagina a lato. Dettaglio di una vetrina contenente indumenti religiosi del santo. Sala espositiva al secondo livello con scritti e oggetti di Padre Hurtado. scorcio, dall’entrata principale, del volume che definisce il percorso nei tre livelli di sviluppo dell’edificio. al primo livello, la famosa camionetta verde appartenuta al Padre.

sopra: la Sala espositiva a doppia altezza adiacente alla facciata principale. Prospettiva d’insieme lungo l’asse longitudinale rappresentato dalle rampe di collegamento interne.

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C’è un piccolo ospedale, una chiesa, gli uffici del Hogar de Cristo, ente caritatevole fondato nel 1944 da Padre Hurtado. Diceva:“per diventare santi, prima bisogna essere uomini”. Lo divenne poi, quando la sua vita dedicata a quelle anime vagabonde nella notte si fece nota e divenne esempio per chi avrebbe seguito. Nello stesso complesso, nel 1995, l’architetto Cristián Undurraga aveva progettato il Santuario per lo stesso santo, realizzando un polmone verde sezionato da un percorso principale longitudinale il cui capolinea, sprofondato di cinque metri sotto il livello del giardino, prevedeva una piccola cappella e la tomba. Nei giorni chiari, chi alzava lo sguardo incontrava solo le guglie ondulate delle Ande, mentre oggetti e reliquie del santo erano custoditi in una piccola sala secondaria. “Non vogliamo che sia solo uno spazio dedicato al passato, ma soprattutto uno sguardo verso il futuro; una proiezione della sua memoria nel sociale, nel lavoro per la giustizia e per i più poveri”. Questi furono i primi passi dello stesso

Cristián Undurraga verso il concepimento del nuovo Memorial de la Solidaridad San Alberto Hurtado. La passeggiata era cominciata tre lustri prima, tra quelle case basse, nei tramonti silenziosi, sereni. Cristián voleva che quella stessa pace dell’anima diventasse materia, architettura. Il volto del nuovo edificio doveva mantenere un leggero senso d’austerità ed anche riflettere i movimenti del giorno, della gente a passeggio sul verde, trasmettere la luce d’una speranza irrinunciabile. La facciata massiccia di cemento bianco faccia a vista inspira ed espira dai tanti blocchi di vetro con sequenza aritmica ma fluida. Senza segni di continuità, i cubi traslucidi di vetro cemento sembrano cuori illuminati di uomini e donne che camminano nella città. Il rigido volume esterno comprime spazi interni che si liberano ruotando il passo, per poi, sempre rientrare sulla retta via. Le rampe s’inclinano, costeggiano sale aperte a doppia altezza e ambienti più riservati in cui scoprire ricordi scritti, oggetti di vita vissuta, la stessa tunica del santo. La direzione diagonale ha un vantaggio che si scopre sempre al ritorno, è qui arricchita dai bagliori orizzontali che bucano il cemento. La luce scivola sui muri bianchi, sui controsoffitti in listelli di pino. Sotto di essi, la mostra permanente si sviluppa secondo quattro distinte identità del Padre: quella umana, quella cristiana, quella sociale e quella universale. Le sei sale espositive distribuite su tre livelli mostrano l’uomo e il santo, un letto ed una scrivania, e la sua camionetta verde, i suoi manoscritti e la tunica nera. E un’eredità importante: una vita non condivisa non è vita.

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A Ho C hi Minh city in Vietnam, nel Vin co m Shopping center, un progetto visionario di CL S ar chitetti tr asfor ma uno spazio di vendita in una fiaba da vivere, do ve l a tradizione si contr appone all a contemporaneità , l’ artigianalità all a tecnologia e l a fiction costruttiva reg al a ai sen si l a per cezione, qu asi fi sica, del calore e del gelo.

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La grot t a di ghiaccio

progetto di Massimiliano Locatelli/ CLS architetti - foto di Hellos/Cukhoai - testo di Cristina Morozzi

Uno dei tre ingressi della boutique. Le porte sono in cristallo con maniglie in vetro di Murano lattimo sfaccettate, simili a stelle di neve. A destra il divano Montanara di Gaetano Pesce di Meritalia, uno dei pezzi selezionati da CLS architetti. Sullo sfondo s’intravede il luccicare delle lamelle del Cocoon.

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La parte più interna della Grotta di ghiaccio. In primo piano il grando tavolo in MDF ebanizzato, disegnato da CLS architetti. Sullo sfondo le appenderie in ferro godronato, sempre su disegno di CLS architetti, sospese a sottili cavi in acciaio. vista complessiva dello spazio della boutique. pagina a fianco. Nella Grotta del ghiaccio i tavoli in ferro cerato accolgono una selezione di accessori di design occidentale. Si distinguono, lampade di Fontana Arte, porcellane di Nymphenbourg, cristalli di Lobmeyr. Incastrate tra le lamelle in MDF le mensole in vetro, che paiono sospese nello spazio, con una serie di porcellane di Nymphenbourg.

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al pentagramma di CLS architetti nasce una incredibile varietà di accordi che spazia dal compatto cubo in cemento bianco della nuova Galleria di Lia Rumma di Milano, inaugurata nel mese di maggio 2010, alla grotta di ghiaccio della boutique del lusso Runway a Ho Chi Minh city in Vietnam, aperta al pubblico nel giugno 2010. Dal minimalismo ascetico si passa con naturalezza alle fantasmagorie degne della follia estetica di Ludwig di Baviera. Pare impossibile che progetti così diversi scaturiscano dalla stessa matita e, a prima vista, manca il bandolo della matassa. Ma se ci si addentra, anche

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idealmente, nei percorsi architettonici di questo versatile studio milanese, ci si rende conto che il filo non è ingarbugliato, anzi ben teso nella ricerca di una spazialità fatta di emozioni, provocate da una cura, quasi ossessiva, delle proporzioni e dei dettagli. E prima ancora da una intenzione narrativa trasferita con efficacia nella struttura architettonica. La grande boutique di moda e design di Tran Thi Hoai Anh, situata nel Vincom Shopping center, un anonimo palazzo moderno della Ho Chi Minh city internazionale, è diventata una fiaba, inventata per dare ai clienti il massimo del lusso in un Paese tropicale, avviluppato in una bolla di caldo umido: cioè una immediata sensazione di fresco. È nata così l’idea di Massimiliano Locatelli, uno dei tre partner dello studio, che in questo progetto ha profuso tutta la sua inventiva, di riprodurre una grotta di ghiaccio, simile a quella del castello di Narnia. La grotta di ghiaccio è il risultato della costruzione di un modello digitale, in cui lo spazio è generato per sottrazione e le pareti sono costituite da 298 sezioni successive, ognuna di diversa morfologia, realizzate manualmente in loco in lamelle di MDF laccate di bianco. Alla tecnologia del modello si contrappone l’artigianalità della realizzazione che umanizza l’astrazione geometrica. Nella grotta tempo e vita appaiono sospesi: un vuoto siderale dove l’unica traccia vivente è rappresentata da piccoli insetti in vetro di Murano, recuperati da un virtuoso artigiano in Campo San Polo a Venezia, o essiccati, trovati nei mercati di Ho Chi Minh city. Posati qua è là sulle sezioni lamellari, paiono miracolosamente sopravvissuti alla glaciazione.

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l’interno del cocoon con la cupola rivestita da 8948 rose di gesso, i tappeti di pelliccia e la luce dorata destinato alla vip room. vista esterna del cocoon, volume organico rivestito da 12899 scaglie in acciaio lucidato a specchio realizzate da artigiani vietnamiti, simili alle squame della coda di una sirena.

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Il percorso che traversa da un lato all’altro i mille metri quadri della boutique ospita sull’asse mediana il Cocoon, metafora del luogo di rinascita, dove all’interno pulsa la vita. Il volume organico è rivestito all’esterno da 12899 scaglie in acciaio lucidato a specchio, realizzate da artigiani vietnamiti, simili alle squame della coda di una sirena, che riflettono e moltiplicano le sezioni della grotta e gli oggetti che l’abitano. L’interno riscaldato da un luce dorata, che contrasta con quella fredda della grotta, e da tappeti di pelliccia, con la cupola rivestita da 8948 rose di gesso, ospita la VIP room, che nella fiaba rappresenta la casa della Regina dei Ghiacci. Tradizione e contemporaneità dialogano attraverso la selezione degli arredi e dei complementi, per lo più su disegno di CLS architetti. Tavoli e panche in ruvida pietra vietnamita fan da contrappunto al grande diamante in acciaio e cristallo (un display su disegno di CLS architetti). Il linguaggio degli opposti è il comune denominatore di tutti gli arredi: pesanti tavoli in ferro si interfacciano con volumi leggeri laccati di bianco, con mensole in vetro che volano nello spazio e con

esili appenderie, simili a dei mobil di Calder. Raffinata la cura delle finiture, cifra distintiva di CLS architetti. I lineari espositori per i gioielli sono in ferro nero cerato; le barre delle appenderie sono in ferro godronato, un trattamento industriale antiscivolo che regala una texture sfaccettata; il grande tavolo disegnato da CLS è in MDF ebanizzato; le porte in vetro hanno maniglie in vetro di Murano lattimo sfaccettato, simili a cristalli di neve. In questo scenario magico le collezioni di abbigliamento scelte con sensibilità e competenza da Tran Thi Hoai Anh, alla guida di Globallink con boutique monomarca ad Hanoi e con un forte progetto di sviluppo a Ho Chi Minh city e la selezione di straordinari arredi e oggetti di design occidentale, curata da CLS architetti, configurano una vera e propria Wunderkammer (camera delle meraviglie) dove abiti e accessori di tendenza si mescolano ai cristalli di antica tradizione di Lobmeyr, al surrealismo di Fornasetti, alle figurazioni pop di Gaetano Pesce, al nitore delle porcellane di Nymphenburg per disegnare un percorso di raffinate sorprese.

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Independent Design di Andrea Branzi

UN lavoro d’arte-design della collezione epigrammi, progettata da andrea branzi per il fuorisalone 2010 e presentata presso la galleria milanese clio calvi & rudy volpi. come scrive lo stesso Branzi, “[…] gli oggetti ci accompagnano e ci proteggono come folletti domestici, come fedeli e silenziosi servitori. Gli oggetti portano fortuna, allontanano i dardi del fato e recitano la loro parte nella commedia della vita”.

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L’

independent design è una categoria operativa sempre esistita, soprattutto nel design italiano, dove la ricerca e la sperimentazione indipendente hanno avuto un’antica e nobile tradizione; in questo caso, però, non si tratta né di ricerca, né di sperimentazione – che, in ogni caso, rimandano a una finalità anche remota – ma, piuttosto, a una affermazione tautologica del progetto, che viene chiamato a confrontarsi, in profondità, con i temi della cultura militante. Il progetto come narrazione, come evento che si confronta con i temi reali della morte, della vita, della magia, della storia, e non soltanto con quelli della propria producibilità.

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col termine independent design si indica una nuova, particolare categoria che n on fa riferimento nÊ a una tecn ologia, nÊ a una committenza. rispond e, piuttos to, all’ urgenza soggettiva di un progettista che o pera al di fuori d elle n ormali pratiche professionali, per dare forma a una auton oma elaborazione cult urale, sperimentando su se s tesso una rifondazione radicale dei contenuti e delle ragioni del suo lavoro.

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in queste pagine: tre lavori che fanno parte della collezione epigrammi, progettata da andrea branzi per la galleria milanese clio calvi & rudy volpi. Una collezione di piccoli oggetti onirici, anche d’uso comune (vasi, porta-candele, vassoi), dove il monologo auto-referenziale del design è interrotto da minuscole figurine in ceramica, poggiate su sottili telai in ferro, che accolgono anche fiori o frutta. Brevi racconti sospesi nel vuoto, frutto non della memoria ma dell’amnesia, di ricordi discontinui e di personaggi dei quali si è persa l’identità.

L’independent design di cui stiamo parlando ha origine in un quadro storico, nuovo e complesso, che niente ha a che vedere con la definizione – estremamente limitativa – di industrial, che corrisponde a un’antica funzione di supporto estetico alla produzione di serie. Il quadro storico a cui mi riferisco è costituito dall’attuale universo globalizzato e della mondializzazione del capitalismo post-fordista, che diffonde, in ogni territorio, la sua crisi come unica possibile condizione di crescita: un mondo – come dicono i filosofi – che “non ha più un esterno”, sia geografico che politico. Dunque, in questo sistema infinito ma non definitivo, illimitato ma con limiti di sviluppo, monologico ma non autosufficiente, il concetto di sviluppo trova grande difficoltà a individuare una direzione che non sia quella della semplice espansione e della pura sopravvivenza. Il progresso (e, con esso, il progetto) come cammino lineare verso un orizzonte di

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emancipazione umana, in questa dimensione infinita ha perduto la sua stella polare dentro una galassia congiante e avvolgente: le antiche categorie politiche, basate sui conflitti di classe, non sono più utilizzabili; lo scontro tra ricchi e poveri è sostituito dalle guerre di religione. La rifondazione della politica parte dunque da una rifondazione culturale, individuale, soggettiva; una rifondazione che non propone certezze generali ma nuovi spessori del progetto che si confrontano con le dimensioni di un sistema che dalla Cina arriva al Sud America; non più euro-centrico dunque ma disperso in un perimetro irraggiungibile, cosmico, multi-razziale, disconnesso. Privo di un modello di riferimento e privo di un’immagine riassuntiva. Il tempo della storia non segue più una linea diritta, che ordina gli eventi secondo successioni riconoscibili che la memoria può gestire come archivio di una morale universale. Il tempo torna ad essere ‘circolare’, non come fatale ripetersi di eventi ma

come libero repertorio di forme e di frammenti liberamente disponibili, di anagrammi di una narrazione continuamente interrotta; non ordinati da una lucida memoria, ma dispersi da un’amnesia liberatoria, che non distingue il passato dal presente, l’antico dal contemporaneo. L’attuale inadeguatezza della cultura del progetto deriva a mio avviso, da questa incapacità di uscire dai limiti della pura pratica professionale, del caso per caso, del lieto fine assicurato, per immergersi negli spessori più profondi, che non appartengono a una fantasia esaltata ma al duro realismo di un’epoca che per troppo tempo abbiamo considerato ‘un intervallo della storia’ e che, forse, sta per giungere al termine.

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bot t e piena e... archit et t o ubriaco

di Olivia Cremascoli

la cantina n on è più solo luogo di produzione, anzi, oggi più che mai, la progettazione delle cantine è al centro della cultura architettonica internazionale, n onché superprotagonis ta, a livello d’immagine, per il rafforzamento del marchio e dei suoi prodotti.

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Nella pagina accanto: a campagnatico (gr), la cantina pieve vecchia, inaugurata in settembre su progetto di cini boeri, che ha precedentemente recuperato per la famiglia monaci la vicina locanda del glicine. oggi la pieve vecchia è costituita da una parte Interrata e una fuori terra, il cui cuore è un wine bar multi-uso, aperto al pubblico, dalle vitree pareti trasparenti, così da non interrompere l’incanto con il paesaggio circostante.

A

ll’inizio (1996-98) furono gli svizzeri Herzog & De Meuron che si trasferirono tecnigrafi e bagagli a Napa Valley, per progettare la Dominus Winery, facendo peraltro innervosire Howard J. Backen, che in California è il più famoso. In seguito, è successo che il canadese Frank O. Gehry, grazie al suo progetto al titanio, lanciasse internazionalmente la spagnola Marqués de Riscal; che l’americano Steven Holl progettasse l’invitante compound del Losium a Langenlois (Austria); che lo svizzero italiano Mario Botta si dividesse equamente tra Italia (Petra) e Svizzera (Château Faugère). Mentre gli esimi colleghi Alvaro Siza Viera e Santiago Calatrava Valls sono rimasti a casa, rispettivamente in Portogallo per progettare l’Adega Mayor Winery di Campo Maior, e in Spagna per progettare la Bodega Ysios di Laguardia. Che, a un certo punto, i più grandi architetti del mondo si dessero al vino, non è sfuggito a nessuno. Ecco, allora, che i produttori vitivinicoli di un certo stampo hanno cominciato a meditare sulle loro cantine, che, da semplici immobili operativamente adusi alla bisogna, potevano in effetti tramutarsi in qualcosa che sta in bilico tra la rappresentanza finalizzata al marketing e lo status symbol. Oggi, soprattutto in Italia, e soprattutto fra signori colti e abbienti che praticano – anche da debuttanti o anche part time – la vita da gentiluomini di vigna, il binomio

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cantina-architetto non sfugge, anzi è un fiore all’occhiello che oltretutto va a finire sui giornali. D’altronde, ai giorni nostri, produrre vino viene considerata un’attività più elegante e rilassante della Borsa, come hanno sottolineato i film Un’ottima annata (2006) e Sideways (2004), che narrano appunto di deliziose vite alco-bucoliche tra i vigneti di Napa Valley e quelli della Provenza. Non è ancora apparso il cantore cinematografico della Toscana in fermentazione, d’altronde, in loco, c’è talmente un’alta concentrazione di personaggi famosi con l’hobby di vino e/o olio (la rock star Sting, l’artista Sandro Chia, il fotografo Oliviero Toscani, l’editore Paolo Panerai, l’attrice Stefania Sandrelli,

l’albese famiglia ceretto è da anni avvezza sia all’arte che all’architettura: infatti, non c’è una delle loro proprietà che non ne sia stata contaminata. l’ultimo progetto è quello di Monsordo Bernardina, dal 1987 sede dell’azienda vitivinicola, il cui casolare ottocentesco ha da maggio, quale tecnologica appendice, l’acino, trasparente bolla ovale sospesa tra le vigne, progettata, in rovere ed EFTE (ETHYLENE, TETRA, FLUORO), da Luca e Marina Deabate. a completare il progetto, Giuseppe Blengini (STUDIO LIBESKIND) si è poi ispirato all’andamento irregolare dei filari per un ulteriore spazio antistante (500 mq) dedicato all’accoglienza, alla degustazione e alla conoscenza dei vini.

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In alto: inaugurata lo scorso giugno, la cantina cooperativa tramin (290 soci) di termeno (BZ), sulla bolzanina strada del vino, è stata progettata da werner tscholl (tra il resto, progettista di cascina mondadori), che ha voluto una struttura-scultura verde, in pratica una vite stilizzata che ben si armonizza con il territorio circostante. (foto di rickard Kust). qui sopra: un rendering della futura (2012) sede di bargino (san casciano val di pesa) dove marchesi antinori si trasferirà dopo 26 generazioni. su un terreno di 14 ettari, un volume ipogeo di 52.000 mq progettato da marco casamonti (studio archea), che rappresenta “l’unione ideale tra opificio, azienda agreste, luogo di sacralità applicata ai riti della trasformazione del vino”, peraltro dotato di auditorium, ristorante, frantoio, forno per il pane, vinsanteria. accanto, la preziosa penna solaia, realizzata da omas con i legni di barriques del solaia, il più prestigioso vino degli Antinori.

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la cantante Gianna Nannini, il conduttore Marco Columbro, ultimamente pure Celentano-Mori a Radda in Chianti), che sono più che sufficienti le calate in Etruria delle televisioni di tutto il mondo. D’altronde, il resto del Belpaese non è da meno: Gad Lerner e Ornella Muti producono vino in Monferrato; Massimo D’alema in Umbria; Lucio Dalla e Carole Bouquet in Sicilia e a Pantelleria; Renzo Rosso e Milo Manara nel Veneto; Lina Wertmüller in Franciacorta. Palesemente, la sindrome enologica ammorba in modo trasversale e dilagante: per alcuni, è una tensione ideale verso un ritorno alle origini, a uno stile di vita più verace e salubre; per altri, lo stare in vigna risulta oggi più chic che troneggiare al timone di una super-barca o al volante di un bolide sportivo. Volete mettere il glamour di una cantina a Bolgheri contro quello di uno yacht a Porto Cervo? Volete mettere lo charme di Piero Antinori con quello di Flavio Briatore?

Indipendentemente da fautori e motivazioni, diciamo che le cantine d’autore sono un bene: in primis, per l’ambiente (non più deturpato da cantine-capannoni), poi per il territorio (turismo eno-gastronomico), infine per i proprietari stessi, i loro dipendenti e tutto l’indotto. Nonché per gli architetti, che astemi o bevitori, dopo essersi progettualmente cimentati in tutte le tipologie dello scibile architettonico, oggi si dilettano con le cantine. Limitandoci al territorio vitato toscano, possiamo appunto citare Mario Botta che, a Suvereto (Gr), ha progettato Petra per Vittorio Moretti da Franciacorta; Renzo Piano che a Giuncarico Zavorrano (Gr) ha progettato la Rocca di Frassinello per il patron di Class Editori; Cini Boeri che a Campagnatico (Gr) ha appena ultimato la Pieve Vecchia di Vincenzo e Marco Monaci, che va a completare l’offerta della vicina Locanda del Glicine con chef stellato Michelin e cave scavata

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sopra: progettata in pietra lapidea locale da tobia scarpa, la cantina delle ripalte, appena inaugurata a capoliveri (lI), di cui vediamo la spianata dove va ad essicare l’uva appena raccolta. (foto di sergio anelli). a sinistra: in Val d’Orcia, nei pressi di montepulciano, si staglia la sede dell’azienda agricola icario (3.390 mq), progettata – su tre livelli e in materiale lapideo – dallo studio valle di roma.

a destra: rendering delle cantine di tenute costa, le prime classificate Classe ‘A Nature’ dall’agenzia casa Klima Wein: la due corti, a Monforte d’Alba (pronta a fine 2010), progettata da emilio faroldi associati, e la terre di fiori (pronta a fine 2011), in maremma, progettata da tecnofaber di parma. lahnhof, la terza cantina-Wine Resort, a san michele appiano (bz), si aggiungerà in un prossimo futuro alle due già citate di tenute costa di parma. all’atto pratico, nel complesso si tratta di viticoltura sostenibile, cantine eco-friendly, micro-eventi per comunicare al posto di rete di vendita, Integrazione fra vino & ospitalità.

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nella roccia; Piero Sartogo e Nathalie Grenon che hanno progettato a Badia Coltibuono (Si) per gli Stucchi–Prinetti e, a Magliano (Gr), l’Ammiraglia dei marchesi Frescobaldi; Marco Casamonti dello studio Archea che ha in corso di realizzazione, a San Casciano Val di Pesa (Fi), 52.000 mq di cantina ipogea (pronta nel 2012) per i marchesi Antinori; lo studio Valle che a Montepulciano (Si) ha progettato la cantina Icario per Alessandra e Andrea Becchetti; Benedetta Tagliabue Miralles che a Montalcino ha riprogettato per suo padre, Pierluigi Tagliabue, Villa Poggio Salvi a Montalcino (Si); Tobia Scarpa che ha progettato la cantina delle Ripalte, nell’omonima tenuta elbana (Li); Jean-Michel Wilmotte chiamato a Bolgheri (Li) dai Folonari per la loro Campo al Mare. Esaurita – forse – la prolifica Toscana, ci sono poi Langhe e Monferrato, Valpolicella e Friuli, Sud Tirolo, Sicilia: vino quale poesia del territorio.

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CascaTe DI Luce CHE ABBIANO UN CUORE high-tech O CHE TENGANO D’OCCHIO I consumi energetici. CHE VENGANO REALIZZATI CON materiali preziosi o inconsueti, MAGARI NEMMENO CHIC, GLI chandelier, QUANDO ENTRANO IN UNO SPAZIO, LO FANNO per stupire.

a cura di Laura Traldi

SI CHIAMA OVVIAMENTE BUBBLES QUESTO CHANDELIER, IDEATO E PRODOTTO DAI POLACCHI PUFF BUFF: È COMPOSTO DA BOLLE GONFIABILI IN PVC UNITE TRA LORO DA CLICK IN PLASTICA, SU STRUTTURA PORTANTE IN ACCIAIO INOX. FUNZIONA A LED. NELLA PAGINA ACCANTO, UNA CASCATA DI SFERE DECORATE IN VETRO SOFFIATO TRASPARENTE, IMPIANTATE SU UNA STRUTTURA IN OTTONE NATURALE E ACCIAIO CROMATO. È APOLLONIO, IL NUOVO NATO DI BOREK SIPEK PER DRIADE KOSMO. FOTO DI GIACOMO GIANNINI.

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La scultura luminosa a lampadario Arnolfini di Studio Job per venini, in lattimo con decoro a gocce colorate su struttura in metallo dorato, illuminato con un sistema a LED. nella pagina accanto, Sono soffiate a intermittenza, prima espirando e poi inspirando, le palle che compongono lo chandelier 28 Series del designer canadese Omer Arbel per bocci. La motivazione? CosĂŹ facendo si ottengono forme sferiche distorte e sempre diverse. Pensato anche per un utilizzo a LED. foto di giacomo giannini.

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Ball Lamp, chandelier ideato e realizzato da piet hein eek assemblando vecchi paralumi in vetro recuperati su una struttura in metallo. da Rossana Orlandi. nella pagina accanto, L’evergreen di barovier & Toso, il lampadario Taif, in cristallo veneziano. Qui nella versione a 66 luci realizzata in occasione dell’allestimento Blu di Paola Navone al Superstudio PiÚ durante lo scorso FuoriSalone. foto di giacomo giannini.

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Starbrick, lampadario modulare a LED dell’artista danese Olafur Eliasson per zumtobel, in policarbonato: alla forma geometrica che funge da cuore funzionale del lampadario possono venire applicati a piacere altri cubi. foto di jens ziehe. nella pagina accanto, Tre fasce in Swarovski, con il caratteristico design a onda, disegnano un cono di trasparenze, dando vita ad una cascata di luce. Non a caso di chiama Lightfall questo chandelier di Renzo Del Ventisette.

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dall’esposizione Surprising Ingenuity – Austrian Design, organizzata da advantage austria presso la Galvanotecnica Bugatti di milano, Let them Sit Cake!, paesaggio di sedute costituito da due tonnellate di farina integrale (scaduta) e glassa di cioccolata (schiuma poliuretanica riciclabile), progettato da Dejana Cabilijo. di ctrlzak, ceramiX, progetto che recupera, intersecandole e unendole, ceramiche e porcellane, orientali e occidentali, frantumate.

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non sprecat e! nuovI dikt at QuoTIDIanI

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lo spreco è all’indice: irresponsabile, incivile, insensibile, da nouveau riches. oggi la virtù glam è la parsimonia, quella delle n os tre n onne, così altamente chic e sostenibile. in tempi di neo-frugalità, viva dunque le tre r: riuso, riciclo, recupero. il t ut t o, nat ural ment e, cum grano salis. di Olivia Cremascoli foto di Sergio Anelli

di Marcello Pirovano, waste.not, ossia nuova vita alle risorse materico-intellettuali già impiegate da danese e dai suoi designer. una ri-combinazione programmata di geni, formali e funzionali, che genera nuovi oggetti ibridi e chimere (il marchio). per la salvaguardia delle spiagge, la birra corona ha aperto a roma, 10 giorni in giugno, il primo hotel spazzatura il SAVE THE BEACH dELL’artista HA Schult.

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conversation, divano patchwork che cuce insieme vari tessuti antichi di Uzbekistan, Afghanistan, cina, Olanda, Russia, grazie al duo libanese Bokja (Hoda Baroudi e Maria Hibri) per rossana orlandi. saved by droog è il manifesto 2010 dei droog desigN, che hanno salvato 5.135 articoli di svariate aziende olandesi in bancarotta, recuperandoli alle aste del banco dei pegni e poi reinventandoli. dall’alto: manicured chairs di Marian Bantjes e centrotavola glass arrangement di Atelier Remy & Veenhuizen.

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from this day forward, habitat costituito da arredi di recupero, lavorati a mano. pezzi unici ri-progettati da jamesplumb, alias gli inglesi james russel e hannah plumb, coppia che pare uscita da bright star, l’ultimo film di jane campion. dai francesi 5.5 designers presso luisa delle piane, CUIsine d’objects, ‘ricette’ per la realizzazione di mix d’oggetti recuperati da fare anche da sé, a casa.

non si butta niente, bijoux di francesca villa con elementi recuperati: pezzi di stoffa e di cartoline vintage, madreperla, argento e nastri.

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hi l’avrebbe mai detto che, dopo il paganesimo del consumismo sfrenato degli ultimi decenni, oggi, a causa del credit crunch globale e grazie a una sensibilizzazione sui danni che sta subendo il Pianeta (e noi), si sarebbe arrivati ad aborrire lo spreco in nome di un mondo in tutti i sensi migliore? Ma così è: infatti, basta buttare un occhio nelle librerie per scorgere libri quali Occhio allo spreco di Cristina Gabetti (Rizzoli), Non sprecare di Antonio Galdo (Einaudi), Come risparmiare su tutto (e vivere bene lo stesso) di Vittorio Collini (Mondadori), Il ‘verde’ va con tutto di Tamsin Blanchard (Tea) o The way we are working isn’t working di Tony Schwartz/The Energy Project (Kindle Edition) sul lavoro sostenibile e su ‘risparmio e rinnovamento’ della energia umana psico-fisica. Ma gli statunitensi hanno anche creato il ReBuilding Center di Portland, che all’anno raccoglie 3.500 tonnellate di materiale edile, usato e buttato, che viene poi rigenerato e reimmesso sul mercato a

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dal milano green festival 2010, una luce e due sedie di antonio Salviani, realizzati con materiali recuperati (vetro, cartone, metalli), reperiti in cantine o abbandonati sui marciapiedi.

spring chair, seduta realizzata interamente con molle di recupero, decorate con fili di lana colorata, di Frank Winnubst per rossana orlandi. White Armchair, tubo di gomma lavorato a maglia dal coreano Kwangho Lee per commissioned, collezione voluta da Paul Johnson (Johnson Trading Gallery, NYC) e Paolo Maistri, già special projects manager di Design Miami e ora curatore presso la Sala Vinçon di Barcellona.

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prezzi vantaggiosi. Una sorta di baratto, altra modalità socio-economica tornata in grande auge, non a caso lo scorso aprile a Ravenna è stata organizzata la 1ª Fiera del baratto e del riuso, mentre a Napoli c’è da tempo la Fiera del baratto e dell’usato; per non parlare degli swap-shop, dove si barattano oggetti e vestiti, e gli swap-party, incontri finalizzati al baratto. Insomma, pare d’un colpo chiaro che lo spreco sia incivile e malsano, e per quanto l’Italia non sia avanzata come altri Paesi del nord Europa, che hanno varato una politica edilizia di abitazioni cosiddette ‘passive’, anche qui qualcosa si sta muovendo. Nell’arredo ci sono ormai diversi designer consacrati esclusivamente a progetti realizzati con soli materiali di recupero e scarti di lavorazione (da Costanza Algranti che ha di recente arredato le Case sparse di Planeta a Noto al gruppo Controprogetto, agli inglesi di Re-worked alla coppia JamesPlumb, che ha fatto faville all’ultimo FuoriSalone). Ma il progetto più intellettuale l’ha concepito Danese con Waste.not: dare nuova vita alle risorse – di materiale, energia, pensiero – già prodotte e da conservare ‘vive’. Una nuova grammatica industriale, basata sugli investimenti tecnologici già capitalizzati nel corso del tempo, e sul materiale di seconda scelta e fuori catalogo. Non ‘riciclaggio’, ma ‘ricombinazione’ del già esistente: posa-cenere riconvertiti in micro-giardini, appendiabiti che diventano trofei anti-caccia, librerie che si trasformano in orti domestici.

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di renzi reale per il marchio renzi vivian estese armadiature multi-funzionali, cioè arredi pezzi unici, creati grazie a un puzzle d’elementi di recupero, re-interpretati in stile contemporaneo.

harry thaler per il royal college of arts: Twist and Lock, speciali cassette modulari di legno, che, grazie a un particolare sistema d’avvitaggio, possono essere assemblate nelle più diverse configurazioni.

essent’ial, un marchio di AGC, presenta la poltrona straccio, interamente costituita da stracci recuperati in fabbrica, tra scarti e giacenze.

dalla collezione Recupero, assemblaggio e re-invenzione di tallulah studio, Book stack Totem di dario vecchi, porta-tutto realizzato con cassette di zinco anni cinquanta, recuperate da vecchi ferramenta.

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Il lavoro d ei fratelli R onan ed Erwan Bouroullec pro pone il raro equili brio tra il rigore d ella riflessione e la delicatezza delle forme. H a il sa pore d ella pasticceria che n on s t ucca, da gus tare senza risch io d’indiges tioni.

Proget t i poco zucch erat i

di Cristina Morozzi

“C

i sono voluti sei anni per mettere a punto il progetto Axor”, dichiarano i fratelli Bouroullec. Spiegarlo in poche parole è quindi difficile, anche perché la novità di questo sistema modulare, costituito da 85 pezzi, variamente personalizzabile, adatto ad attrezzare tutti i tipi di bagno, consiste, prima di tutto, in una sorta di delicata sensualità, più da esperire che da descrivere. Le forme dei sanitari, definite dai progettisti “facili e morbide”, la ricca dotazione di mensole, ideale cerniera del progetto, pensate per rendere servizievole l’ambiente bagno, la modularità che consente di utilizzare gli elementi anche in situazioni preesistenti, rivelano un’approfondita riflessione sulle consuetudini e sulle gestualità espletate nella stanza da bagno. Pare che ogni gesto, anche il più insignificante, sia

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Sopra: alcune composizioni offerte dalla collezione Axor Bouroullec, un sistema modulare per l’ambiente bagno che permette soluzioni su misura di ogni AMBIENTE, nuovo o preesistente. I classici lavabi lasciano spazio a delle piattaforme dove miscelatori e rubinetti possono essere posizionati liberamente. Integrate alla rubinetteria, le mensole permettono di ridefinire la consueta dispoSIzione del punto acqua. Accanto, uno schizzo di studio dei fratelli Bouroullec. Sotto, una soluzione a muro del lavabo, disponibile anche nella versione da appoggio (pagina accanto), con miscelatori monocomando oppure con rubinetti a due o tre fori. Nella pagina a lato: un ritratto di Ronan e Erwan Bouroullec e alcuni schizzi preparatori per il progetto Axor.

stato filmato al rallentatore per individuare l’oggetto ideale da porvi in relazione. Il segreto di questo progetto, come degli altri sviluppati dai fratelli bretoni, pallidi e schivi, è l’intervallo meditativo che accompagna ogni loro lavoro, rendendo i loro pezzi decantati. Nel progetto per Axor, che debutta ufficialmente al Cersaie di Bologna 2010, come nel complesso del loro lavoro, si coglie una rara serenità espressiva. La semplicità delle loro forme, che non ha niente a che vedere con il minimalismo, riguarda questa invidiabile serenità, raggiunta attraverso una pratica di vita e di lavoro morigerata, derivata, forse, anche dall’aspirazione a modulare il ritmo di vita non sulla concitazione cittadina, ma sulla quiete campestre. La natura, magari artificiale, è una costante nei loro progetti che, sempre,

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suggeriscono il distacco meditativo prodotto da una contemplazione, quasi romantica, del mondo naturale. Le istanze funzionali, ergonomiche ed ecologiche sono fuse in una perfetta armonia d’insieme: sono sotto traccia, mai accentuate, quasi appartengano al corso naturale delle cose. Il disegno del rubinetto, ad esempio, non è arbitrario, ma è il risultato di una riflessione sul risparmio nell’erogazione dell’acqua. Le istanze etiche non sono aspirazionali, ma appartengono alla pratica quotidiana. La fluidità delle forme, che ricorda lo stato liquido, è pudica e sommessa, lontana dalle spigolosità o dalle esasperazioni streamline, ricorrenti nel repertorio dei sanitari. A proposito del progetto per Axor i fratelli Bouroullec parlano apertamente di ‘delicatezza’. “Volevamo”, dichiarano, “ricreare nel bagno un ambiente calmo

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Ovale, Il servizio completo da tavola in porcellana che sancisce l’entrata dei fratelli Bouroullec nel catalogo Alessi. Frutto di una ricerca quasi ossessiva sul tema dell’ovale, Ăˆ composto da elementi dai profili smussati impercettibilmente irregolari, quasi fossero consumati dalla patina del tempo.

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Sopra: Baguette, tavolo rettangolare in alluminio per Magis, 2010. Alla base del progetto l’intenzione di ridurre la quantità di materiale per produrre un effetto di estrema leggerezza. Composto di un piano opaco e da quattro esili gambe in alluminio lucido, il tavolo suggerisce un’immagine di tipo grafico.

Sotto: la Lampada da tavolo Lighthouse realizzata da Venini per la collezione illuminazione di Established&Sons, 2010. Composta di tre elementi – una base in marmo, un supporto in alluminio e un diffusore in vetro soffiato di Murano – è disponibile in un’ampia gamma di colori.

e tranquillo, evitando i troppi dettagli di design che avrebbero reso l’insieme caotico. Tutti gli elementi sono iper semplici, il che non significa che siano minimal. È dalla combinazione dei vari elementi che nascono le soluzioni più interessanti”. È la delicatezza che, addolcendo il rigore della loro pratica progettuale, rende speciali i loro oggetti, sia quelli di serie, sia le edizioni limitate per le gallerie di design. Parlano di Ovale di Alessi (2010), “che vuole essere al contempo una collezione originale e rustica”, come di un progetto “poco zuccherato, delicato, adatto a una fabbrica di canditi” (così definiscono, ispirandosi a Willy Wonka, l’azienda di Crusinallo). Nella ibridazione tra una matrice rustica, ereditata dalle loro origini bretoni e coltivata durante i soggiorni estivi nella casa di famiglia, dove ancora si parla in dialetto, e l’impronta originale del loro stile, risiede l’esemplare estetica dei loro

progetti: oggetti inediti che appaiono immediatamente familiari e consueti; nuovi, ma già addomesticati da una patina temporale prodotta dal quieto, quasi solitario, riflettere su ogni dettaglio. Hanno, dallo scorso anno, volutamente ridotto il personale dello studio per meglio concentrarsi su ogni progetto e per non essere tentati dalle soluzioni frettolose. I loro prodotti più riusciti non sono arbitrari, ma hanno origine da una riflessione approfondita sulle modalità d’uso e sui comportamenti e appaiono un chiaro invito a modificare le abitudini consolidate per trovare nuovi modi, più sociali e riflessivi di vivere la quotidianità. Insegnano la condivisione, mediante il sistema per ufficio disegnato per Vitra o la Tavola Festiva, un progetto realizzato con gli studenti dell’Ecal (Scuola d’arte cantonale di Losanna) in collaborazione con la B&B Italia. Consigliano la

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Sopra, la Serie di lampade a sospensione Lianes create dai Bouroullec per la galleria Kreo di Parigi. le lampade sono connesse tra loro attraverso fili e diffusori rivestiti in cuoio.

meditazione, per esempio con The Lit Clos, un habitat su palafitte, riservato ma in relazione con l’esterno mediante griglie metalliche, dove rifugiarsi a dormire; o con la Capanna, una struttura intrecciata che protegge senza escludere, attrezzata con due chaise longue e un tappeto componibile, simile a un manto di muschio, dove, metaforicamente, isolarsi a riflettere. Regalano il sogno di un cielo di nuvole dentro casa (Clouds, diaframma tessile componibile per Kvadrat), o di una parete di rampicanti perenne (Les Algues, sistema componibile di ramoscelli in plastica, per Vitra). Preservano la magia della bolla del vetro soffiato che oscilla precaria sulla canna del soffiatore, come in Light House, la lampada da tavolo con stelo in marmo e alluminio realizzata da Venini per Established&Sons (2010). Impegnati a produrre oggetti d’uso seriale per aziende

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Sotto, le Lampade da tavolo Lampalumina realizzate in collaborazione con Bitossi. Il progetto nasce da una ricerca dei Bouroullec sulla Ceramica Alumina, normalmente impiegata per usi industriali in virtù della sua elevata resistenza. Utilizzata per la prima volta in ambiti domestici, rivela qui la sua speciale patina vellutata.

industriali, non vedono contraddizione nella loro collaborazione con le gallerie, principalmente con la parigina Kreo, che edita loro pezzi in serie limitata da ormai dieci anni. “Lavorare a pezzi unici”, affermano, “assomiglia a un respiro ossigenante utile a corroborare anche il design industriale. Permette sperimentazioni non consentite dall’industria ed esplorazioni in terreni ancora vergini”. I Bouroullec hanno già sulle spalle un grosso carico di progetti importanti per aziende prestigiose, ma sono ancora giovani. Dei giovani hanno gli ideali, ma non l’intemperanza. Sono giovani, ma hanno la saggezza dei profeti e possiedono già il perfezionismo dei professionisti consumati. Sono giovani, ma hanno la delicatezza di chi ha imparato a rispettare le persone e le cose, nella speranza di produrre mondi migliori a portata di mano.

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Lo schizzo di Ross Lovegrove illustra le fasi del quick water filling concept della vasca Allos: un meccanismo che consente alla vasca di caricare ed espellere rapidamente la massa d’acqua precedentemente accumulata nel monoblocco alla temperatura desiderata. Il progetto, in fase di concept avanzato, è stato presentato da Glass Idromassaggio nell’ambito della linea Livin’.

Siglando una c ollabor azione c on Glass, il c elebr e designer gallese h a rilet t o l’esper ienza domest ic a del bagno in vasca, ideando un contenitore innovativo in vet r o e c ement o, c apac e di riempirsi e svuot arsi r apidament e.

di Antonella Galli

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Lovegrove bat h experience

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uando Ross Lovegrove racconta dei suoi progetti, lo si starebbe ad ascoltare per ore. Assai generoso e loquace, il progettista non lesina spiegazioni e riflessioni sulla natura del suo lavoro, sempre di grande interesse. Presentando la sua collaborazione con l’azienda Glass Idromassaggio di Oderzo, ha raccontato come nel suo ruolo di industrial designer “entra prima di tutto l’osservazione attenta della realtà, per poter intervenire in ogni cosa di cui si ha esperienza”. Chiamato a concepire un nuovo disegno di vasca da bagno, racconta: “Ho ripensato a come i miei genitori, piuttosto anziani, che ancora vivono in Galles, avessero difficoltà ad entrare nella vasca da bagno e come il fluire lento dell’acqua si trasformasse in una lunga tortura”. Un punto di partenza esperienziale, quindi, per creare un nuovo concept, concretizzatosi nel progetto Allos: si tratta

di una vasca composta da due elementi, un monoblocco in cemento e una vasca in vetro che fuoriesce sospesa di pochi centimetri dal suolo. La parete terminale, costituita da un poggiaschiena bianco, è in realtà uno sportello apribile, che si blocca una volta che l’acqua entra nella vasca. All’interno del monoblocco in cemento si accumula l’intera quantità di acqua richiesta per il bagno, alla temperatura desiderata, che viene poi immessa con un rapido getto, in pochi secondi, nella vasca, grazie a un meccanismo a pompa, che con la stessa rapidità la svuota (quick water filling concept). Affinché il bagno si trasformi in esperienza piacevole e rilassante, è stato inserito un monitor nel monoblocco e, per chi preferisce la lettura, un leggio poggiato sul bordo della vasca e un elemento tubolare con luce puntuale che parte dallo schienale. La struttura della vasca consente di

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Sopra: la vasca in vetro di Allos, leggermente sospesa da suolo, con il poggiaschiena e il leggio, corredati da un punto luce. A destra: la parete della vasca fa da schienale ed è apribile per favorire un comodo accesso. Sul monoblocco in cemento è inserito uno schermo video e, a fianco, un portasalviette.

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posizionarla sia a centro stanza, sia di integrarla nella parete del bagno, sia di poggiarla contro di essa, rispondendo così a quelle esigenze di flessibilità e adattabilità verso cui tende l’azienda Glass con le collezioni della dimensione progettuale Livin’. In questo nuovo spazio di prodotto (e pensiero) l’elemento vasca assume forme e collocazioni innovative, come nella proposta Allos di Lovegrove, ma anche in Beyond di Claudia Danelon e nella collezione Concrete di vasche in cemento. Uscire dai limiti fisici e mentali della stanza da bagno sembra essere la mission di Glass, a cui Lovegrove ha risposto con la vasca Allos, sorta di lounge-bath integrato, che si inserisce senza stonature in spazi differenti da quello tradizionale. La vasca, in fase di concept avanzato, sarà in catalogo dall’inizio del 2011, assieme ad altri elementi della collezione ora in preparazione.

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La vit a sognat a degli ogget t i

Si afferma sempre più la tend enza a rimescolare le categorie tipologiche deg li oggetti. Da que ste e sperienze, che sembrano negare le tradiziona li forme di contenimento, na scon o nuovi archetipi onirici che spiazzan o i pensieri e a limentan o i sogni, d efinendo un sen so e stetico mobi le e raffinato. di Stefano Caggiano

In alto: sedia in paglia, legno e acciaio di Francesca Fiammenghi, 2009. L’abbinamento di passati estetici distanti crea un effetto volutamente squilibrante. Nella pagina accanto: Stuhlhockerbank, un progetto di Yvonne Fehling e Jennie Peiz che combina tre tipologie di seduta. è stato disegnato per l’Arp Museum di Remagen-Rolandseck, in Germania, progettato da Richard Meier.

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a creatività, oggi, è spietata. Posta al di là del bene e del male (e del bello e del brutto), l’azione caustica del progetto contemporaneo non persegue più la ‘buona forma’ o la ‘buona funzione’ ma va in cerca piuttosto dell’altra forma, dell’altra funzione – della fioritura delle diversità che impedisce alle cose di essere solamente se stesse. È in questa ‘spietata’ messa in discussione dell’identità archetipica degli oggetti che risiede il senso di operazioni come le ‘Sedie in libertà’ di Lorenzo Damiani per Plusdesign, o come l’agglomerato si sedie e sgabelli Stuhlhockerbank di Yvonne Fehling e Jennie Peiz per l’Arp Museum di Remagen-Rolandseck in Germania. Per Damiani, l’ibridazione rappresenta una cifra progettuale da lungo tempo frequentata, che qui raggiunge il suo risultato poetico forse più alto unendo i tipi della sedia e del tavolo tramite la sovrapposizione di un piano di vetro trasparente a un gruppo di sedie di cui alcune ne costituiscono i sostegni mentre le altre mantengono la loro funzione. In Stuhlhockerbank, ad essere sciolti e rifusi insieme sono invece la sedia, lo sgabello, la panca in legno. Gli esiti di interventi come questi hanno qualcosa di onirico, e invero i loro ideatori sembrano aver adottato inconsapevolmente i

meccanismi di formazione dei sogni rilevati da Freud, quali lo spostamento, la condensazione e la sovradeterminazione: di persone e fatti nel sogno; di ‘segni’ e componenti negli oggetti. Questo bisogno di testare il possibile è strettamente legato alla precarietà stilistica della nostra epoca, nella quale il fatto che una sedia sia proprio una sedia, i capelli abbiano proprio quel colore, una lampada abbia proprio quella forma, sono vissuti come altrettanti fatti contingenti che come tali possono essere anche in un altro modo. Ecco allora che Andrea Magnani, con il progetto TTTLLLSSS, rivolta come un guanto un vecchio mobile in legno, mettendone in evidenza le parti nascoste e celandone i lati solitamente in primo piano. Magnani è anche uno degli animatori dei workshop itineranti Resign Academy, vere e proprie ‘comuni’ del progetto che – grazie anche agli interventi estemporanei di Paolo Ulian, JoeVelluto, Odoardo Fioravanti e altri – coinvolgono i partecipanti nella filosofia del riutilizzo magico degli oggetti, portandoli verso la realizzazione di pezzi che entrano a far parte del catalogo del gruppo. Nascono così progetti come Binomio di Enrico Salis, in cui il motivo del cassetto diventa tema linguistico per lo schienale della sedia abbinata al tavolino; o come i vasi

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In alto: a sinistra, Il progetto Sedie in libertà realizzato da Lorenzo Damiani per le Edizioni Plusdesign 2010 in serie limitata, formato da 16 sedie in legno e paglia e un piano in vetro; a destra, TTTLLLSSS di Andrea Magnani per atelier Resign, realizzato invertendo le parti di primo piano e quelle nascoste di un vecchio mobile in legno (Foto di Marco Piffari). Sopra: Il progetto Tina L. di Florian Kallus, il cui sottotitolo magrittiano recita “Questa non è lampada”, è uno sgabello o un tavolino che si presenta come una lampada.

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Rabdicanti di Francesco Maestri, dove l’idea del vaso come contenitore viene eliminata attraverso il fissaggio a colla di uno strato di terra e alcuni rami all’esterno di comuni vasi da giardino; oppure, ancora, come la serie di grucce Abitudini di Antonello Fusè, il quale – facendo scorrere il flusso creativo sugli stessi binari lungo i quali viaggia il traffico psichico secondo la psicanalisi, che disseppellisce i contenuti inconsci tramite la libera associazione di idee – ottiene i suoi attaccapanni dagli schienali di sedie in legno sulle quali impropriamente, ma frequentemente, si usa appoggiare giacche e cappotti. Contro questa progettazione fuori controllo Enzo Mari tenta da anni di riportare la questione del progetto alla sua ‘essenza’, facendo notare come nel mostro mondo sovraccarico di cose non ci sia più bisogno di progettare ancora tavoli, sedie, lampade. Mari ha ragione: gli oggetti non hanno più alcun bisogno di essere progettati – siamo noi che abbiamo bisogno di progettare altri tavoli, altre sedie, altre lampade. Solo così si spiegano azioni funzionalmente discutibili ma esteticamente stimolanti come la seduta ibrida della giovane Francesca Fiammenghi, in cui all’icona della sedia

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Sopra: a sinistra, Gli attaccapanni Abitudini di Antonello Fusè, realizzati nel corso dei workshop Resign Academy 2010 tramite l’asportazione degli schienali di comuni sedie in legno (Foto di Andrea Piffari); a destra, La libreria Kast van Eik di Davy Grosemans per Das Ding, in massello di rovere, il cui angolo aperto esprime l’idea del ritiro del materiale. A sinistra, La serie di vasi Rabdicanti di Francesco Maestri, realizzati nel corso della seconda edizione dei workshop Resign Academy, tenutasi nel marzo 2010 presso il centro culturale DO di Faenza. Ottenuti fissando uno strato di terra e alcuni rami all’esterno di comuni vasi di giardino,scompaiono visivamente per lasciar apparire sola la terra e la pianta (Foto di Andrea Piffari).

A destra, La lampada Son of Eddy disegnata da Davy Grosemans e prodotta da Dark, realizzata in gomma siliconica e vetro Pyrex. Si caratterizza per la presenza di due attacchi a vite fissati al bulbo, di cui uno lasciato a vista. Il supporto è disponibile in bianco e nero.

in legno e paglia viene giustapposto un tubo d’acciaio di matrice funzionalista, o come lo sgabello/tavolino in frassino a forma di lampada Tina L., del designer tedesco Florian Kallus. Il fatto è che la critica di Mari coglie l’aspetto etico del progetto, ma dimentica il senso umano delle cose. A differenza degli animali, infatti, l’uomo nasce privo sia di istinti specifici che gli permettano di percepire solo gli stimoli utili alla sua sopravvivenza, sia di schemi motori innati che gli consentano di compiere unicamente determinati movimenti. Plastico e indeterminato, l’uomo può fare e sentire tutto, perché, data questa sua particolarità, da un lato è la sola specie il cui apparato cognitivo risulti esposto alla dimensione estetico-significativa delle cose (gli animali non vedono la ‘bellezza’), e dall’altro, non avendo preclusioni istintive, è il solo in grado di imparare

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a fare qualsiasi cosa: a parlare, a saltare, a correre, a usare e realizzare ogni genere di oggetti. Può persino imparare a camminare su un filo. Era il 7 agosto del 1974 quando il funambolo autodidatta Philippe Petit procedeva su un filo sospeso tra le torri gemelle del World Trade Center. Sulla vetta della massima tecnologia architettonica del tempo, l’azione assurda e ‘inutile’ di un uomo che passeggiava a 415 metri d’altezza ha liberato quei due grattacieli dal destino unico della funzione perfetta alla quale erano votati, aprendoli all’ulteriorità dell’alternativa non prevista. Allo stesso modo il senso profondo di esperimenti estetici come il mobile Kast van Eik, con scaffali e telaio ad angolo aperto, o la lampada ad ancoraggio spostato Son of Eddy, entrambi di Davy Grosemans, non va cercato lungo i sentieri prescritti dalla grammatica del progetto, ma nell’urgenza diffusa di liberare l’altra faccia delle cose – che di altre facce ne hanno tante quanti sono i modi che ha la forma per disubbidire alla funzione. È un’urgenza nuova, caratteristica di questi anni, che non punta a ‘progettare’ le cose ma, per usare le parole di Neruda, a fare con gli oggetti “ciò che la primavera fa con i ciliegi”.

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Perch é un bravo archit et t o deve saper f are il f ormaggio At t raverso una sper iment azione sul l e nanostrutture della caseina Ric c ar do Bl umer insegna c ome forma e materia f ac c iano par t e di un processo unico e insc indibil e. di Riccardo Blumer foto di Paolo Mazzo – F38F Alcuni degli elaborati partecipanti al concorso “Progettare il formaggio”, atto conclusivo del corso di design tenuto da Riccardo Blumer assieme a Claudia Raisi presso l’Accademia di architettura di Mendrisio, AA 2009-10. Escludendo ogni tipo di rappresentazione grafica tridimensionale, gli studenti sono stati invitati a produrre direttamente stampi e formaggi secondo un loro personale progetto. In alto a sinistra, il progetto di Marianna Trapani. Sopra, un divertente ritratto di Riccardo Blumer. Accanto, l’elaborato di Sofia Miccichè. Nella pagina accanto, i lavori di altri studenti. In alto, da sinistra: Dario Cadoni; Francesco Nozzi; Andrea Sestan; Filippo Santoni; Ricardo Conde. In basso, il progetto di Amalie Bleibach.

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insegnamento non è un travaso di conoscenze professionali. Anche in questo campo, io ho fatto mia la frase “la mano forma la mente”. C’è un modo di ‘imparare’ che passa direttamente dal fare concreto. Spiegare una cosa o studiarla è importante, ma farne esperienza diretta significa, per ciascun individuo, formare la propria statura. Anche se siamo in un’epoca virtuale, in cui tutto sembra possibile con strumenti elettronici, ogni percorso formativo si compie e si conclude con un ‘lavoro’ attuato mediante il fare, quindi attraverso il nostro corpo e la nostra mano. Si potrebbe quindi anche dire: “la mano forma l’uomo”. Alla ricerca di esercizi didattici che operano in questa linea e volendo affrontare il tema della plastica, ho scoperto che una delle prime forme di questo materiale era ottenuta dalla caseina, ovvero dal latte. Mi risulta che con la caseina venissero realizzati bottoni e manici d’ombrello prima che la pratica venisse vietata per impedire il riutilizzo di tali manufatti per la produzione di nuovi formaggi. L’ipotesi del latte, inteso come materia organica che diventa un oggetto di design, mi ha portato direttamente sulla strada del formaggio. Non è la prima volta che traggo spunto dal mondo alimentare per i miei corsi didattici. Dominato da complessi e interessanti processi chimici, fisici e termici di trasformazione della materia, questo ambito può suggerire divertenti temi di sperimentazione, come quelli sviluppati in passato dai miei studenti dell’Università di San Marino con sedute strutturali di pane, zucchero, alghe e colla di pesce. In particolare, fare il formaggio significa saper dominare un processo che attraverso modificazioni chimico-organiche (l’uso del caglio, ovvero di un enzima), termiche (temperature esatte e costanti attorno ai 30-35°C), formali (stampi adatti alla giusta misura), temporali (tempi precisi di cagliatura, messa in forma, stagionatura), igrometriche (percentuali di umidità adatte alla stagionatura) e infine luminose (il buio, necessario al processo di stagionatura) permettono la conservazione nel tempo di quelle particolari macromolecole che il caglio produce nelle condizioni sopra indicate.

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Arrivare alla produzione di formaggio, partendo dalla mungitura e tenendo a bada tutti questi processi, significa saper operare un processo di trasformazione della materia più che complesso. È stata questa la sfida da me proposta agli studenti del quarto anno dell’Accademia di architettura di Mendrisio (Università della Svizzera Italiana), che, dopo una lezione introduttiva di Luigi Zanzi, docente di Metodologia delle scienze storiche all’Università di Pavia, e una visita all’Istituto agrario cantonale di Mezzana, hanno dovuto cimentarsi in aula con latte, fornelli, pentole e il materiale necessario per produrre stampi. La stagionatura si è svolta nelle cantine – riaperte per l’occasione – di Villa Argentina, sede dell’amministrazione dell’Accademia. L’apparente semplicità delle esercitazioni era legata al fatto che non erano richiesti disegni o render di alcun tipo; una volta ottenuta la giusta cagliata, si trattava di studiare la configurazione ottimale dello stampo in relazione a più fattori: la riduzione del volume del formaggio dovuta alla perdita di acqua, la necessità di ribaltamento simmetrico dello stampo stesso, l’estrazione a stagionatura ultimata con il rituale rovesciamento e la pulizia della forma. Ottenuto il formaggio, il vero esercizio è stato quello di mettere a punto delle forme eccezionali che, nel rispetto di tutte le fasi del processo e delle caratteristiche del prodotto, esprimessero al massimo il valore e l’identità dell’alimento. La mano ha insegnato alla mente che non esiste possibile separazione tra forma e processo di trasformazione della materia. Per questo motivo il sottotitolo del corso “Nanostrutture della caseina” era “perché un bravo architetto deve saper fare il formaggio”. Un aspetto particolarmente interessante del lavoro si è rivelato essere lo studio del rapporto tra la forma ottenuta e le progressive ‘mutilazioni’ legate al consumo del formaggio. Da questa riflessione sono nate due

diverse tipologie morfologiche: quelle pensate per risultare sempre intere anche dopo successivi ‘assaggi’ e quelle che, al contrario, progressivamente assumono un aspetto diverso ma sempre completo. Una giuria composta da professori dell’Accademia (arch. Mario Botta, arch. Michele Arnaboldi), professori invitati (arch. Raffaella Mangiarotti), specialisti (ing. Aldo D’Alessandri, docente all’Istituto Agrario cantonale di Mezzana, Toni Perla di Winkler AG e il presidente della STEA-Società Ticinese Economia Alpestre), insieme a una consulente di risorse umane (Samantha Rudin), ha assegnato una serie di premi che hanno valorizzato in particolare la capacità di controllo tra forma, processo e consumo. Il primo premio, conferito a Francesco Nozzi, consisteva ovviamente in una forma di stagionato d’alpe ticinese offerto dalla STEA. Il premio Winkler in denaro è stato invece assegnato a Margherita Corbetta.

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Sessant’anni DI STORIA. L’AZIENDA Antonio Lupi, DAL GUIZZO INTUITIVO DEL FONDATORE ALLE SCELTE DELLA nuova generazione. foto di Giacomo Giannini - testo di Rosa Tessa

ConTrocorrenTe, DaLLa Toscana

A STABBIA, CERRETO GUIDI, IN PROVINCIA DI FIRENZE, NEL QUARTIER GENERALE DI ANTONIO LUPI, AZIENDA NOTA PER L’ARREDO BAGNO ‘SARTORIALE’, È APPENA NATA ‘LA PIETRA E IL FUOCO’ GALLERIA E LABORATORIO DI RICERCA DI 1100 MQ, DEDICATA AI PEZZI UNICI, ALLE EDIZIONI LIMITATE E ALLE ARCHITETTURE PER IL FUOCO.

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AnTonIo LuPI In cIFre Fatturato 2009 24 milioni di euro

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Pagina a lato, Babele, camino-totem ad etanolo del 2010 progettato da Mario Ferrarini. Privo di canna fumaria può essere posizionato ovunque, a fianco del divano o al tavolo da pranzo, sul terrazzo, in giardino, nei locali pubblici a delimitare un ingresso o a evidenziare un percorso.

Sopra, Skema – Camini Modulari, disegnato da Mario Ferrarini. È un camino a legna, modulare, che si sviluppa da una dimensione minima, la bocca del camino, all’infinito, a seconda delle esigenze degli spazi in cui viene inserito. Le funzioni sono state frammentate e rese indipendenti: braciere, porta legna e vani giorno possono essere combinati a piacimento con soluzioni personalizzabili. Un progetto pensato come un programma di mobili che si può sviluppare in orizzontale o verticale con varie finiture.

Il padre, le intuizioni Negli anni Cinquanta Antonio Lupi, un diciottenne di Vinci, decise di non seguire il mestiere dei genitori che erano contadini, ma di lavorare per conto suo. Aprì una piccola vetreria. Faceva il terzista e produceva ripiani in cristallo che vendeva ai mobilieri. Dopo qualche anno di lavoro, ebbe l’intuizione di fare, in proprio, accessori in cristallo e specchi colorati per arredare i bagni. “Una strada assolutamente inedita, allora, e considerata anche un po’ folle” racconta Andrea Lupi uno dei quattro figli di Antonio “In quegli anni era già fortunato chi aveva un lavandino in ceramica con sopra un pezzo di cristallo, appeso con un filo alla parete. La maggior parte delle persone che vivevano nello stesso stabile avevano il bagno in comune”. “Tanto l’idea fu folle, quanto straordinaria la crescita” riferisce Andrea. Il giovane Antonio cominciò a girare il mondo portando i suoi prodotti nelle fiere internazionali. Quando, negli anni Settanta, Antonio fece il primo

lotto di fabbricati a Stabbia, vicino Cerreto Guidi, tra Fucecchio e Montecatini Terme, comprensorio tradizionalmente vocato alle pelle e disseminato di industrie conciarie, non c’era assolutamente niente, eccetto paludi dappertutto. Aveva 24 anni e mise in piedi una filiera produttiva a ciclo completo per vetri e specchi. Cominciò a farsi fare dagli artigiani mobili da bagno che vendeva anche in Oriente e in America attraverso showroom e filiali distributive.

Numero di dipendenti 65 persone Export 70% del fatturato

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ende sanitari, ma è un’azienda di mobili; si occupa della stanza da bagno e produce arredi per i soggiorni; realizza accessori per l’acqua e crea nuove forme per esprimere il fuoco; viene considerata un’azienda fashion, ma apre anche una galleria con pezzi unici in pietra; fa vasche da bagno ma anche lampade da illuminazione; lavora con una schiera di giovani designer, molti dei quali italiani. Andrea Lupi, uno dei quattro fratelli che lavorano nell’azienda di famiglia racconta come siano state le scelte apparentemente paradossali, a portare l’azienda sulla strada giusta. Una lezione che arriva da chi l’azienda l’ha fondata.

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Materie primordiali e ambienti glamour Ed è proprio in quel primo padiglione industriale, vuoto ormai da anni, che Andrea Lupi, direttore creativo dell’azienda, responsabile dei prodotti e dell’immagine, ha appena aperto “La pietra ed il fuoco”, un’esposizione di 1100 metri quadrati. “È una galleria di pezzi speciali” spiega “una mostra permanente delle collezioni scultoree e diventerà anche uno spazio di ricerca”. All’interno di quella che fu la prima fabbrica di Antonio Lupi, rimasta nell’aspetto così come era allora, sono stati collocati

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LAVABO BULL, DESIGN CARLO COLOMBO, REALIZZATO IN PIETRA DI SINAI. È UN PEZZO UNICO E SI TROVA NELL’ESPOSIZIONE PERMANENTE DELLA GALLERIA-SPAZIO RICERCA ‘LA PIETRA E IL FUOCO’, APPENA APERTA A STABBIA, NEL QUARTIER GENERALE DI ANTONIO LUPI. IMPONENTI E MAESTOSI BLOCCHI DI MARMO BIANCO NELLA CAVA DI GIOIA, A CARRARA. ANTONIO LUPI DÀ MOLTO SPAZIO, NELLE SUE COLLEZIONI PIÙ MATERICHE E SCULTOREE, A ELEMENTI NATURALI COSÌ PRIMORDIALI COME LA PIETRA E IL MARMO.

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La lavorazione del vetro e dei cristalli è un’area produttiva importante negli stabilimenti di Antonio lupi. In alto, da sinistra incollaggio a 45° di 2 lastre di vetro tramite colla a raggi UV; trasferimento di una lastra di specchio sul banco da taglio tramite il carro-ponte. pagina a lato, in senso orario, lastre di vetro, uscite dal banco da taglio; Collezione Brillante, lavabo design Studio Carlesi, dove il cristallo è l’unico protagonista, senza profili di fissaggio o cerniere di istallazione, a sottolineare un design estremamente lineare e minimale; macchinario per rifilatura, molatura e bisellatura delle lastre in vetro.

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oggetti-scultura, pezzi iconici degli ultimi dieci anni dell’azienda, come i lavabi dall’aspetto totemico in pietra, onice bianco o ambra, marmo bianco e nero o come la vasca da bagno a forma di barca di 16 quintali in stone grey proveniente dalla Tunisia. Nello stesso spazio, insieme agli oggetti per l’acqua convivono gli oggetti per il fuoco: camini al bioetanolo che non hanno bisogno di canna fumaria, e camini a legna assolutamente minimali, con solo un taglio nel cartongesso. Si tratta di elementi che per essere inseriti in case private, hotel e luoghi pubblici hanno bisogno di progettazioni ad hoc. Per questo Andrea Lupi in un altro stabile dell’azienda che apparteneva al primo nucleo di capannoni industriali edificati da suo padre, sta realizzando uno studio di progettazione architettonica per sviluppare l’area del ‘su misura’ e ‘chiavi in mano’. Se un’anima dell’azienda è primordiale e artistica e si confronta con la materia, l’altra è decisamente fashion. Varcata la soglia dello showroom aziendale, sembra di entrare in un loft superchic, con set curati in ogni dettaglio, pronti per essere fotografati dalle riviste più glamour. Ambienti sofisticati, atmosfere new age, all’interno delle quali le vasche, in cristalplant, un materiale dalla mano morbida e setosa, sembrano sensuali chaise longue, i sanitari somigliano a sedute da salotto e le cabine doccia segnano il confine tra la

parte pubblica della casa e quella più privata. I tappeti in cuoio stampato convivono con divani bianchi dall’aspetto vintage e con mensole e ripiani leggerissimi, quasi senza spessore che sembrano sospesi per aria più che fissati al muro. “Lo spazio espositivo dello showroom – racconta Lupi – rispecchia molto la qualità, l’essenzialità, il lato fashion dell’azienda. Interpretiamo il bagno, ma insieme a lui proponiamo differenti lifestyle abitativi che vanno oltre il concetto dei sanitari, visto che noi siamo soprattutto dei mobilieri”. “Ma – ci tiene a ribadire – lavorerò molto anche sul concetto della galleria “La pietra ed il Fuoco”, dove a parlare sono solo gli oggetti che, senza bisogno di alcuna ambientazione, esprimono la purezza e la forza di due elementi così primordiali della natura”. Andrea Lupi e il design Le scelte di Andrea Lupi, cinquant’anni all’anagrafe, qualcuno di meno nell’aspetto, vanno, come andavano quelle di suo padre, controcorrente. Racconta i cambiamenti fondamentali attraversati nei sessant’anni di storia che l’azienda compie quest’anno: dai cristalli al mobile, dall’arredo bagno ai sanitari, dal bagno al design, dal cristallo al legno, dal corian® alla pietra, dal marmo al cristalplant, dall’acqua al fuoco. “Non aver mai seguito il mercato e le tendenze ci ha fatto crescere” spiega “anche se a volte ci ha penalizzati nelle vendite”.

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oggetti e architetture per portare il fuoco in bagno e fuori dal bagno, con e senza canna fumaria, al bioetanolo e a legna”.

“Sto lavorando sopratt utto con giovani creativi, molti d ei quali sono italiani. hann o talento e grand e energia”.

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Il design è stato la chiave di volta per affermare il marchio. “Verso la fine degli anni Ottanta – racconta – ho fatto i lavandini minimali a sezione quadrata, con pareti dritte, mentre tutte le aziende li facevano rotondi. Fui considerato un folle. Invece fu un grande successo”. “Fondamentale – prosegue – il mio incontro con Carlo Colombo quando ancora era un designer emergente. Con lui ho realizzato ‘Materia’, il primo progetto artigianale, interamente scultoreo”. “ Col cristalplant, invece, materiale meno costoso e difficile rispetto alla pietra, feci un design alla portata di tutti. E così siamo cresciuti, completando il bagno con gli arredi, i tappeti e gli accessori, progettando con Domenico De Palo, e l’aiuto di Massimo Pistolesi. maestro fumista,

Alla ricerca di nuovi talenti Altra intuizione controcorrente di Andrea Lupi rispetto alla media delle aziende italiane: lo scouting tra i nuovi nomi del design. “Lavoro molto con i giovani che hanno energia e nuova linfa. Sono tutti molto bravi, ma mi sono accorto che gli italiani hanno qualcosa in più” dice. Tutto è cominciato lo scorso anno, con un concorso che Lupi ha lanciato per il Salone del Mobile milanese, che ha visto vincere Mario Ferrarini, Gabriele Rosa e Jorge Biblioni, tutti ventenni e, due su tre, italiani. “La sorpresa è stata – commenta Lupi – che a distanza di qualche mese Ferrarini e Rosa hanno disegnato l’80 per cento della collezione di quest’anno di Antonio Lupi, insieme ad altri giovani come Paolo Cappello e Federico Sandri”. Nel concorso lanciato quest’anno hanno vinto Claudia Danelon, Michael Abegg, Marco Di Paolo e Victor Vasilev. Quest’ultimo, di stanza a Milano, ha già fatto dei lavori per l’azienda presentati al Cersaie 2010. “Tutti i giorni” ribadisce Lupi “mi arrivano progetti realizzati da giovani creativi. Li guardo tutti, personalmente. Sono così numerosi e interessanti che mi creano imbarazzo nella scelta su quale portare avanti”.

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si afferma il d esiderio da parte di aziend e e d esigner di narrare il progetto. L ’obiettivo è ridare fiducia al pubblico, farlo diventare partecipe del processo, fornirgli gli s trumenti per capire in cosa consis te il vero valore di un oggetto. di Laura Traldi

Il design

La sedia Autoprodotta di Enzo Mari per Artek e alcuni frames del video mostrato alla Triennale di Milano in occasione del lancio del prodotto lo scorso aprile.

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U

n signore di 78 anni è chino su dei pezzi di legno, intento ad armeggiare con viti e martello. In pochi minuti, costruisce una sedia su cui si accomoda, soddisfatto. Ha certo di che sorridere Enzo Mari, che nel 1973 concepì un’icona del design democratico, la sedia Autoprogettata, da produrre in pezzi e far assemblare a chi la compra. La finlandese Artek ha infatti deciso di metterla in produzione, presentandola al FuoriSalone lo scorso aprile in Triennale con un filmato-performance interpretato da Mari stesso. È innegabile che la proposta di Mari (che in origine prevedeva indicazioni per realizzare un’intera serie di arredi utilizzando solo legno

grezzo, viti e galletti, di fatto promuovendo il concetto “dal designer al consumatore”), dopo la diffusione globale del concetto di flat-pack a opera di Ikea in primis, abbia una valenza meno rivoluzionaria di quanto l’avesse un tempo. Eppure la scelta di Artek colpisce, poiché è carica di significati. L’azienda ha deciso infatti di mettersi dalla parte del consumatore, di spiegare la nascita e lo sviluppo di un prodotto, e di farlo utilizzando un’icona del design come Enzo Mari. È questo un segnale forte, da leggere come una meta tendenza (in opposto a tanti trend estetici che lasciano il tempo che trovano) che può potenzialmente trasformarsi in

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si f a raccont o

spartiacque tra tanta recente cultura del progetto e l’immediato futuro. Quello di Artek non è infatti un caso isolato. Da qualche tempo si respira nell’aria un crescente desiderio da parte delle aziende e dei designer di spiegare i propri progetti: non i soliti bla bla su folgoranti fonti di ispirazione ma veri e propri racconti del design in cui i personaggi principali si sporcano le mani e si lambiccano il cervello per risolvere i problemi reali della produzione. Comunicare l’expertise che sta dietro un prodotto e il knowhow che ha contribuito a realizzarlo, è un’iniezione di realismo contro il potere mediatico del design glitterato e stagionale, una risposta che dà

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fiducia al pubblico, cui finalmente si forniscono gli strumenti per giudicare il valore di un oggetto. È un modo per combattere (pur senza dirlo apertamente) l’annoso problema delle copie e della manifattura low cost e di ribadire, con i fatti e non con le parole, il primato della qualità. Ci sono aziende che, per necessità, lo fanno da sempre, come la svedese Hästens. Spiegare che per realizzare il letto Vividus sono stati necessari due anni di test sulle varie combinazioni di crine, cotone, lino e lana; che le tecniche di falegnameria impiegate sono quelle tradizionali svedesi riprese paro paro dal 1850; e che ogni prodotto è realizzato in

La creazione della seduta NETwork 3D di Werner Aisslinger, realizzata live durante la mostra Open Process al FuoriSalone di Made in Berlin. È fatta in tessuto ed è priva di struttura. Il designer tedesco l’ha creata impregnando di resina una rete progettata a computer e trasformata in 3D da una particolare macchina da cucire.

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140-160 ore: tutto questo serve a Hästens per dimostrare perché Vividus è un letto di lusso, con un prezzo di conseguenza. Ma oggi lo stesso approccio è seguito anche da altri brand più alla portata di tutti. Come Borella Design, un marchio che nasce nel cuore del distretto automotive a Torino, e che fa della competenza tecnica nella lavorazione di materiali come l’acciaio, l’alluminio o il carbonio il proprio cavallo di battaglia. Al Salone si è presentato con una collezione realizzata da un team di designer (tra cui Xavier Lust) capitanati dal direttore artistico Luisa Bocchietto. È lei stessa a raccontare come, per realizzare il suo contenitore Il Mago di Oz che funge da porta-vasi per esterni o da braciere, siano stati necessari due stampi in ghisa di oltre 100 quintali per formare le lastre di alluminio poi rifinite a mano. Come dire che il valore dell’oggetto sta in quello che si vede ma anche nella qualità della tecnologia che gli ha permesso di esistere. Stesso approccio per Riflessivo, il nuovo marchio di Arte Veneziana, la storica azienda che dal 1970 propone riproduzioni di specchi veneziani del ’600 e ’700. Per lanciarlo, la casa madre ha arruolato il giovanissimo Leo De Carlo, reduce da un’esperienza con Philippe Starck, che ha progettato una serie di mobili dal look neo-rétro, realizzati facendo leva sull’expertise dei

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maestri vetrai di Arte Veneziana. E sono loro i veri ‘eroi’ delle collezioni Age of Gold, GoodMood e Wise: non a caso le immagini delle loro mani all’opera sui pezzi (durante i processi di argentatura o carteggiatura su bolo) fanno parte del patrimonio comunicativo di Riflessivo. Nel 1999, in The Experience Economy, Joseph Pine e James Gilmore hanno spiegato al mondo che il successo, nel futuro, non si sarebbe più costruito solo sui beni primari, né sui prodotti o sui servizi, ma sulle esperienze create dai brand per i consumatori. Quello che sta accadendo nel mondo del progetto, però, sembra indicare l’esatto opposto,

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Gli artigiani veneziani durante la lavorazione degli arredi in vetro e legno progettati da Leo De Carlo per il nuovo brand Riflessivo. Nell’ultima immagine, il tavolo The Age of Gold, in legno d’acero con inserti in specchio bronzo inciso a mano. Nella pagina accanto, in alto, Il processo che porta alla creazione degli Original Stool degli austriaci Breaded Escalope: lo sgabello in acciaio viene inserito in una palla sigillata in cui viene iniettato il colore. Quando la palla viene manovrata (tramite performance pubbliche) nell’acqua o sul terreno, la vernice decora la superficie della seduta in modo assolutamente casuale. Nella pagina accanto, a lato, I designer FormaFantasma all’opera nella creazione delle loro ciotole Moulding Tradition. i due italiani hanno fatto del processo creativo inteso nella sua totalità e dell’artigianalità il marchio di fabbrica delle loro produzioni.

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Dettagli della lavorazione de ‘Il Mago di Oz’ di Luisa Bocchietto per Borella: gli stampi della produzione e, qui sopra, il prodotto finito ancora in fabbrica. Per realizzare questi porta-vasi per esterni (anche fruibili come bracieri) sono stati necessari due stampi in ghisa di oltre 100 quintali per formare le lastre di alluminio poi rifinite a mano.

ossia un ritorno ai valori tradizionali del design industriale e non, che si trasformano in una base su cui costruire marchi che non promettono esperienze glamour ma prodotti solidi, di qualità, nati per durare. Sono tanti i casi di realtà industriale che per decenni hanno prodotto per conto terzi e che oggi, facendo leva su questo nuovo sentire, scendono in campo. Succede ad esempio nel distretto di Udine, dove Mattiazzi, che in 30 anni da ghost-producer si è costruito una reputazione DOC nella lavorazione del legno, dall’anno scorso ha deciso di fare anche da sé. E di farlo con l’intelligenza di chi è tanto esperto in un settore da capire di non esserlo in un altro: cioè reclutando talenti esterni per la direzione creativa (Florian Lambl) e per il design (Studio Nitzan Cohen e il duo Sam Hecht/Kim Colin di Industrial Facility). Potrebbe essere la nascita di un nuovo paradigma della cultura del progetto: mentre tramonta (anche per mancanza di iniezione di ‘sangue giovane’) la realtà del piccolo artigianato locale che funge da supporto alle aziende permettendo loro la produzione di piccole serie altamente diversificate, ne nasce in parallelo un’altra. Ne parla Marco Bettiol, ricercatore all’Università di Padova e alla Venice International University, in occasione del lancio dell’iniziativa AAA Cercasi Nuovo Artigiano, iniziata con un workshop lo scorso luglio (a cui hanno preso parte vari artigiani del vicentino e designer capitanati da Martino Gamper) e culminata l’11 e il 12 settembre

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scorsi in una mostra al Festival dell’Artigianato di Vicenza: “abbiamo bisogno di un nuovo artigiano, che non si sostituisca più all’industria nell’attività di produzione, ma che diventi parte attiva nelle fasi di creazione e di innovazione del prodotto, capace di dialogare con il mondo della creatività e con le richieste e della produzione industriale”. L’auspicio è dunque quello del ritorno in azienda della capacità del fare, in contrapposizione al fenomeno della globalizzazione che molto spesso attribuisce il ruolo di protagonista a chi ha solamente appiccicato un logo su un prodotto già finito da un altro.

Nella pagina accanto: Un dettaglio e alcune fasi della realizzazione della sedia Branca di Sam Hecht e Kim Colin di Industrial Facility per Mattiazzi. Una struttura apparentemente semplice in cui è la gamba posteriore (realizzata in un singolo pezzo di legno prodotto da un robot) a sostenere i giunti di seduta, schienale e bracciolo.

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La lavorazione del letto Vividus di Hästens: dopo due anni di test sulle varie combinazioni di crine, cotone, lino e lana, gli artigiani dell’azienda svedese hanno finalmente realizzato il prodotto, utilizzando tecniche di falegnameria tradizionali pre-industriali e impiegando, per ogni letto, un periodo di lavoro compreso tra le 140 e le 160 ore.

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PensIerI er erI TrasParenTI elaborazione immagini di Enrico Suà Ummarino a cura di Nadia Lionello

LA LEGGEREZZA DELLA trasparenza CONIUGATA ALLA solidità DEI MATERIALI. V Vetro , plastica E metallo TRASFORMATI IN forme QUASI impercettibili, PER ALTRO solide, NELLE SPECIFICHE CARATTERISTICHE FUNZIONALI. LA QUALITÀ DELLA trasparenza ispiratrice DI nuovi progetti D’ARREDO CHE SEGUITANO A SORPRENDERE ED AFFASCINARE PER sobrietà E linearità formali.

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Fili matè, dettaglio della porta scorrevole in vetro float serigrafato di Vitrealspecchi. Dea, sedia con scocca in policarbonato trasparente con lavorazione antigraffio su struttura a slitta in tondino di acciaio, ideata e prodotta da Scab. Miss you, sedia impilabile in policarbonato trasparente oppure con profilo nero, bianco, fumè o ambra oppure con seduta fumè e profilo nero, di Marco Piva per Pedrali. Edge, tavolo in cristallo trasparente extra-light mm 15 con piano temperato appoggiato su basi prismatiche incollate e bisellate con diverse angolazioni, di Patrick Norguet per Glas. Kleer, seduta monolitica in vetro trasparente (mm 15) curvato, in grado di supportare due casse acustiche piatte posizionate nelle alette dello schienale, di Karim Rashid per Domodinamica.

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Track, tavolino con base in tubolare di acciaio cromato lucido e piano in cristallo trasparente mm 15 in diverse dimensioni, di Ricardo Bello Dias per Gallotti & Radice. Invisibile, divanetto della collezione di pezzi unici in policarbonato trasparente a forte spessore, di Tokujin Yoshioka per Kartell. Mogador, tavolo con base pentagonale in tubolare d’acciaio cromato e piano tondo in cristallo trasparente, di Philippe Bestenheider per Frag. X-sight, lampada a sospensione o da terra in diversi diametri, con telaio in metallo e fettuccia ignifuga intrecciata, di Manuel Vivian per Axo light.

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Abarth chair, seduta in policarbonato trasparente, fumè, rosso o giallo con gambe, anche a slitta, in alluminio presso fuso spazzolato o laccato, di Fabio Novembre per Casamania. Tribeca, tavolo allungabile con piano e prolunghe in vetro temperato trasparente o extra-light con base in vetro curvato mm 20, di Setsu e Shinobu Ito per Fiam.

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Sparkling, sedia in plastica realizzata con tecnologia blow moulding, di Marcel Wanders per Magis. Bloomingbless, vasi in vetro soffiato, di Benjamin Graindorge per Ligne Roset. Unity, tavolo con piano tondo in cristallo trasparente o fumè e base con gambe coniche in acciaio naturale o laccato, di Karim Rashid per Tonelli.

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Aria, lampada a sospensione in vetro soffiato con illuminazione a Led integrata nella calotta in metallo, di Massimo Iosa Ghini per Murano Due. Drop, tavolo-scultura con piano in lastra di Plexiglass速 GS trasparente colato, lavorato con macchina a controllo numerico con effetto lente e gambe cilindriche innestate nel piano, di Junya Ishigami per Living. Net chair, prototipo di seduta in rete metallica di acciaio inox, di Jun Hashimoto.

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Ego day, vetrina con ante in cristallo attrezzata con cassetti sospesi e ripiani dotati di sistema di illuminazione, di Giuseppe Bavuso per Poliform. Aka, sedia con scocca in metacrilato trasparente in diversi colori oppure decorata e gambe in rovere naturale, di Jean Marie Massaud per Skitsch.

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Interiors&architecture

Vivere all’italiana

L iving It al ian st yl e

INsight

12a Mostra Internazionale di Architettura, Venezia

12t h Int er nat ional Ar c hit ec t ur e Exhibit ion of Venic e

INdesign

I colori del progetto

T h e c ol ors of design

Living kitchen Pierluigi Cerri, Cul de Sac, Odoardo Fioravanti INprofile

Yves Béhar

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Also in honor of the international appointment in Bologna (28 September – 2 October), the fil rouge of this issue is materials: ceramics, stone, glass, metals, plastics, woods, fabrics, synthetics. Organic or technological, material – with its diametrically opposite textures and colorings – gets shaped into interior architecture on an international level – in Chile, the Dominican Republic, China, Vietnam, Jordan, England, France, Switzerland and Italy – in works ranging from boutique hotels to vacation homes to full-time residences. But material, pale and fragile, also extends into the genteel Epigrammi collection, the “domestic imps” designed by Andrea Branzi, and the casein-based works organized by Riccardo Blumer, composed of gastronomic nanostructures, because (as Blumer put it), “a good architect should also know how to make cheese”. After all, the idea of “a taste of pastry that doesn’t cloy, to enjoy without running the risk of indigestion” also applies to the Axor ceramics collection by the Bouroullec brothers. But a good designer should also know how to reutilize and regenerate scrap materials to create brand new furnishings and complements, as we observed during the latest FuoriSalone in Milan, as suggested – like an eleventh commandment – by Antonio Galdo in his book “Non sprecare” (Waste Not). The focus on materials continues with “transparency design”, including home furnishings of crystal clarity. The extensive dossier (Trends, Architecture, Projects, Sustainability and Research) on ceramics proves that the sector of ceramic facings and bath furnishings is full of technological innovation and ecosustainable research. Capable of attracting the creative energies of designers, who see ceramic as a particularly expressive material. Gilda Bojardi - Caption From the Asian Swire Hotel group, its first design hotel, the Opposite House in Beijing, designed by the studio Kengo Kuma & Associates.

INteriors&architecture Atla nt ic hor izo n

p. 2 project Jasmit Singh Rangr, Eivind Karlsen, Josh Weiselberg photos Paul Warchol text Matteo Vercelloni

On a seaside cliff of the north coast of the Dominican Republic, a vacation home featuring precise geometry and nearly overall use of local Coralina stone. The long volumes seem to stretch toward the horizon in a dynamic composition. Isolated on a rocky spur, like the prow of a ship about to set sail, this luxurious vacation home is based on a lucid, precise approach, connected to a range of internal functions organized in ample spaces, combining an idea of contemporary monumental luxury with the need to guarantee privacy for guests. The plan follows the program, organizing the impressive domestic structure in an itinerary of separated yet grouped spaces, combined in shared path that forms the overall figure of the construction in volumetric terms. The house is the sum of complete parts that share a common language and, above all, a common material, the light, porous stone known as Coralina (used in different finishes, with rugged hewn stone on the exteriors, and a softer, smoother finish inside). The stone covers every surface with the exception of the ceilings, made with planks of dark wood: from the external paving to the facades, the internal floors and walls, all the way to the essential cantilevered staircases and the effective brises-soleil, conceived as curtains of crossed slabs that become a key feature to repeat along the facades, and as partitions that screen the porticos without blocking the sea breeze and the aromas of the garden at ground level. The widespread use of local stone has a direct relationship with the geological character of the island, composed essentially of coral rock. In a way, the house is an architectural extension of its site. Subdivided into two distinct volumes, joined by a central portico zone, the house has a series of essential geometric forms, with a predominant horizontal shape that becomes a contemporary take on the Prairie Houses of Wright. The bedrooms, on the first floor, set back from the facade to create large, shady balconies, and the living areas on the ground floor, open completely to the outside, almost blurring the borderlines between the space of the house and that of the porticos, are arranged around a long swimming pool that projects toward the ocean, as if in an attempt to be part of it, bringing it directly into the house over the cliff. The large pool, whose level matches the ground surface on the side towards the sea, to underline the continuity between nature and artifice, is surrounded by the same stone paving found in the floors of the house, in another sign of continuity. A small geometric island for sunbathing interrupts the regular rectangle of the pool, which at a lower level, toward the cliff’s edge, concludes with a panoramic viewing point. The entire house, the entire project, takes the Atlantic horizon as its main landscape element; almost every bedroom has a view of the ocean, ‘filtered’ by the sheltered terraces conceived as natural extension of the indoor zones. The same thing happens in an even more direct way for the whole ground floor, where the dining and living rooms face porticoed spaces in which to organize outdoor life, constantly mixing inside and outside, always with an eye on the sea, in every season of the year. - Caption pag. 3 The large central swimming pool forms a visual continuum with the ocean. The stone used for the paving of the outdoor zones is the same found in the interiors, underscoring the fluid continuity of spaces and routes. Sun cots by Dedon. - Caption pag. 4 Above, nocturnal view of the house from the edge of the pool. To the side, an aerial view of the complex, showing the careful landscaping that follows the form of the coast, making the rocky spur a point of reference for the entire layout. Below, ground floor plan. On the facing page, view of the porticoed central zone connecting the two volumes of the house; the screen of crossed stone slabs becomes an efficient, permeable wall, to allow the sea breeze to circulate, without creating closed areas. - Caption pag. 6 Above, view of a porticoed zone; on the first floor, the window of a bedroom is set back to create a large sheltered terrace, as a direct extension of the interior spaces. On the facing page, an internal cantilevered staircase, made with the same stone used for the facings of walls and floors. View of a bathroom facing the terrace. Detail of the brise-soleil of crossed stone slabs.

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Urba n oas is p. 8 project Vladimir Djurovic Landscape Architecture photos Matteo Piazza text Matteo Vercelloni In Amman, Jordan, a residential space in the district of Jabal, on one of the hills that surround the historical center, has been transformed into a multifunctional facility that combines the dimension of the garden with that of the belvedere to create a modern oasis, complementary to the private spaces, facing the city. An intimate landscape project capable of reinventing the overall figure of the place, mixing shared functions while disguising the obligatory presence of a parking area. A sort of ‘new typology’, that of the urban oasis at the service of a residential complex, capable of offering a shared outdoor space, carefully balanced and conceived as a geometric garden, in close relation to the residential units. The program of this interesting urbanscape project seems ambitious and innovative, capable of exploiting the potential of the site, the top of a hill from which to observe the spectacle of the historical city, while creating a space for living, like a refined hotel resort. From the compositional choices of the overall layout to the design of the details, from the selection of materials to that of the trees and plants, the design effort focuses on configuration of a rigorous yet welcoming space in which to stroll, relax, read or sunbathe, or enjoy the long rectangular pool at the center of the linear design. There are also pergolas, buffet zones or areas for smaller events, facilities with showers and dressing rooms, and a parking area that – when freed of the cumbersome presence of vehicles – can be transformed into a small shady portico that contributes to form the overall geometric organization, based on orthogonal lines along which to position the various closely interconnected episodes, each of which is also complete and well-defined in its own right. From the entrance drive, with a sliding door, one immediately perceives the small stone courtyard that leads to the long central pool, taken as the element of separation between the wooden deck facing the valley (with cots in the shade of three high palm trees) and the stone paving that reaches the residential building. An existing olive tree becomes the natural connection between the construction and the pool; a sculptural tree, underlined by the lawn created at its base that interrupts the stone pavement, forming stripes of grass that extend into the background to reach the wooden pergola that hosts a zone equipped for lunches and dinners, with custom fixed furnishings, partially made with the same stone as the paving. Flanked by a small ‘garden in the garden’, the pergola is connected, by means of a stepped zone, to the sundeck with a continuous balustrade, conceived as a long panoramic bar. In the back, facing the entrance court and connected to the wooden path, stands a porticoed volume; an essential white parallelepiped whose roof contains a terrace organized for other convivial situations. Here a basalt table-platform, with built-in brazier, emerges from the pavement in the same material, while the continuous step on the two sides of the parapet generates a long collective seat from which to observe the city below. - Caption pag. 9 The porticoed volume on the roof hosts a terrace set up for convivial situations. Note the table-platform in basalt with built-in brazier, and the step that forms a collective seat from which to observe the city. The long rectangular pool echoes the overall linear design, separating the wooden deck from the stone pavement that reaches the residential building. - Caption pag. 10 The long central pool and the wooden deck facing the valley, with sun cots; the sculptural presence of the olive tree in the stone courtyard; the wooden pergola organized for lunches and dinners and joined, by a stepped zone, to the sundeck. Overall planimetric of the project. View of the white porticoed volume with the wooden staircase that leads to the panoramic terrace above. In the foreground, detail of the stone used for the pool, the same material deployed in the pavement of the entrance court.

Gra ndeur in Geneva

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project Antonie Bertherat-Kioes photos Francesca Giovanelli text Kay von Westersheimb Architecture and culture meet in a villa on Lake Geneva that is both complex and simple, thriving on transparency, outdoor settings and breathtaking landscape views. “We were looking for lakeview property”, explain the clients for the work created by Geneva-based architect Antonie Bertherat-Kioes, and “we dreamt of a flexible, open house where each of us could have an independent refuge”. Once the idea site was found, the program moved forward: “an area of about 10,000 sq meters, gently sloping to the lake, with a private dock, a place to store boats and an old villa. The venerable dwelling has become a new glass and concrete construction, with a linear T shape. The project, for the most part, took form on its own”, says Bertherat-Kioes. The east-west orientation of the building, parallel to the lake, the side of the most evocative views, also prompted the positioning – at the base of the big T – of a large pool with zones for outdoor living, together with a promenade in raw stone with a gilded green color, from Val d’Aosta, forming the path of entry. The pool and the rectangular slabs, flush with the lawn, underline the passage to the entrance located at the center of the lakefront, at a higher level. From the outside it is seen only as an elegant access, but inside it reveals a surprising effect. A ramp connects the garage, service spaces and kitchen. The end of the long T contains the bedroom area. The designer has organized the upper level in three zones: the entrance at the center, a children’s area to the right, the parents’ area to the left. The same layout is applied to the level below, with a central atrium, a guest area to the right and the living area with dining room, library and living room to the left. Three vertical elements interrupt the prevalently horizontal design of the floors: the sinuous staircase that seems to float in the void of the living area, the volume of the luminous two-storey living room open to the south, and the stairwell with lighting fixtures for the children’s zone. Particular care has also gone into the design of the outdoor spaces, matching the same planimetric scheme: at the center, the terrace facing the lake; to the left, the swimming pool, and to the right the garage for the boats, with a new steel door. Then there is a smaller terrace, sheltered from the wind, on the south side, where the view extends to the city of Geneva in the distance. The kitchen is also prolonged with two external extensions: a sunny area for outdoor dining, and a shady area for other

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domestic activities. Transparency and flexibility were the key parameters for all the spaces. The bedrooms, apparently without a precise borderline, blend with the garden and the surrounding landscape. The passages take form in a fluid way. Sliding doors in Indian rosewood create an open sequence of rooms in the private zones of the children and parents, silently sliding into a hidden position; like the glazings, which vanish into the floor of the living area and the dining room, connected with the large atrium. Everything is enhanced by the enclosure made of a few essential materials: wood, terrazzo and concrete for the floors; stone, polycarbonate and colored glass for the baths; stainless steel and enameled glass for the kitchen. A few selected design furnishings coexist with essential, modernist pieces by the architect, in Indian rosewood, to complete the setting. Which features a fine art collection, including works by Carl André and Thomas Flechtner, Balthasar Burkhard and Lucien Wercollier. - Caption pag. 12 Exterior nocturnal view of the villa, a monolith of concrete, steel and glass with a linear modernist look, bent into the figure of a long T, in relation to the swimming pool and the promenade leading to the entrance. - Caption pag. 14 The swimming pool facing the lake. The overall planimetric. View of the living area furnished with international design classics. Rocking chair by Charles & Ray Eames, from the Vitra catalogue; leather chairs by Mies van der Rohe for Knoll International. In the foreground, seats by Poul Kjaerholm, produced by Fritz Hansen. - Caption pag. 15 The living area extends outside, underscoring the complete fusion of indoor and outdoor environments. Furniture by Cappellini. The dining area, featuring two icons of 1950s design: the table and Tulip chairs by Eero Saarinen for Knoll International. - Caption pag. 16 The sinuous staircase that seems to float in the two-storey space of the living area. In the foreground, the sculptural chaise longue designed by Charles & Ray Eames in 1948, now produced by Vitra. Sculpture by Laurent de Pury. - Caption pag. 17 One of the bathrooms, a symmetrical composition, all custom made. Faucets by Boffi. A bedroom. Seat by Tadel, floor lamp by Luceplan, box-bedside table by Kartell.

Design Hotel on t

he Champagne Rivie ra

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architectural design Jean-Jacques Ory/studio Ory interior design Christophe Pillet/CCCP landscape design Christophe Ponceau photos Patricia Parinejad text Alessandro Rocca Design is the added value of the Sezz Hotel: Mediterranean wellbeing in Saint-Tropez and a palette of neomodern colors for a resort in close contact with the nature of Provence. Where the welcome desk has been replaced by a plaza with pool. Luxury, peace and quiet, sensuality. According to the architect Jean-Jacques Ory these are the main characteristics of this magnificent corner of the French Riviera, and the dominant themes of this very special project in which fine design and architecture are combined with an advanced concept of hotel service. The extras and collective spaces are reduced to the essential, in favor of highly customized service done mostly by a personal assistant, a sort of dedicated helper who responds to every need of the guest, from arrival to departure. As a result, the hotel is organized in a different way with respect to normal standards, taking on the appearance of an informal village. After opening the Sezz Paris in 2005, the entrepreneur of Lebanese origin Shahé Kalaidjian has developed, for Saint-Tropez, a new vision based on reflections on the changes in hospitality and the special character of the place: “With respect to the 1980s and 1990s, luxury has changed. Today the idea of luxury can be summed up in two words: space and services. And for Saint-Tropez I was thinking about a hotel that would have certain characteristics I had seen in Asia; I wanted a place of peace and serenity, where elegance and refinement are the rule, and the spaces and services are incomparable”. The inspiration of Kalaidjian, perhaps with ties to the Islamic garden, traditionally conceived as a luxurious transfiguration of the earthly paradise, takes material form in a very careful project in which his ideas are translated into a rather unusual model that mixes the hotel, the tourism village and the gated community in a new, exclusive combination. For example, the places for meeting and socializing are gathered at the center of the settlement, in a single plaza with a swimming pool that becomes the heart of the life of the complex, as well as its gate of entry and welcome. The rooms have been transformed into partially or completely autonomous buildings, five bungalows of 30 sq meters, thirty “cocoons” of 40 sq meters and two villas, 90 sq meters each, with their own pool. The other fundamental point of Kalaidjian’s philosophy is a series of facilities based on outstanding personalities and brands. The Colette restaurant, named for the writer who together with many other French intellectuals often spent time in Saint-Tropez, is run by the master of fusion cuisine Pierre Gagnaire; the spa has two internal zones, an outdoor massage space, Jacuzzi tubs and a hammam facing a Japanese garden, and is organized in partnership with Payot, the famous Parisian cosmetics firm, while another important partner is Dom Pérignon, for the champagne bar. In the interiors, the work of the architect is enhanced by the intervention of the Christophe Pillet, who makes an essential contribution with the design of all the furnishings and complements, using a palette of colors inspired by the 1950s: white, light gray, dark brown, light blue and saffron yellow, enlivened by the mustard tones of the carpets and linens, and the bright red of the blankets. Another fundamental contribution for the quality of the outdoor spaces is that of the landscape designer Christophe Ponceau, who has designed gardens using the typical plants of the Mediterranean: olive trees, pines, palms and eucalyptus, mimosa and fig trees, lemon trees and trimmed lawns, especially in the individual gardens provided for each room. - Caption pag. 19 One of the 37 guestrooms at the garden level, grouped around the pool. Each room has its own outdoor shower, terrace and private garden. The rooms stand out for their personalized design with great attention to detail. The Jade chairs and Shahan table, designed by Christophe Pillet, are produced by Porro. To the side, a chair by Emeco. - Caption pag. 20 Above, a corner of the lounge, with the sofa designed by Christophe Pillet and produced by Style & Comfort. Above, the center of the complex, a single plaza with a pool, the heart of the life of the hotel and also the gate of entry and welcome. Chaise longue by Pillet for Samoa. The design of the Mediterranean garden is by the landscape architect Christophe Ponceau. Left, view of

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the Dom Perignon champagne bar, designed by Pillet. Tables and chairs with metal screen structure by Varaschin. - Caption pag. 21 Detail of a bathroom. Washstand, faucets and accessories by Boffi. Inside and outside of a guestroom, with a two-storey glass facade screened by adjustable louvres. Bed and bedside table custom made by Porro based on designs by Pillet. Outside, chairs by Varaschin. The red applique is by Oluce. In the rest of the space, lights by AV Mazzega.

T ailo r made p. 22 project Carlo Colombo photos Walter Gumiero text Antonella Boisi Games of transparency, interpenetration of materials that coexist in harmony, for a Roman interior radically redesigned by Carlo Colombo. We are in an attic, at the top of a building from the 1930s. But we could be anywhere, from Los Angeles to Miami, because the horizons are international, to meet the expectations of the clients, true world citizens. The interpretation of this theme avoids dialogue with the external landscape, concentrating above all on a new value of the interior, reinvented by the architect Carlo Colombo, who thinks of it as a design macro-object, complete in itself and its components. Inside and outside are redefined by paths that bend the L-shaped layout – where all openings are protected by the local heritage authorities – with dynamic spatial movements, in a simultaneous sensation of opening and closing. Constraints transformed into opportunities. “Effectively, with respect to the outside – Colombo admits – when you are inside the apartment you are removed from the urban environment. The proportions of the spaces seem to clash with the historic character of the building. From the kitchen, a glass box inside the living area, with a massive stone cooking block at the center, to the baths, big aquariums of glass with bases in Botticino stone, it is like living in multiple houses inside the house. Inside conclusive places, underlined by the lowering of the suspended ceilings that feature openings for light. At the same time, the spaces communicate and can be opened with sliding full-height glazings and pale linen curtains”. But why do all this? For a precise objective: to make what were originally 22 small rooms into ample, open spaces that thrive on transparency and visual connections, fragments of a residential dimension in a state of becoming, flexible, mutable. “I have reorganized the whole layout – Colombo explains – structuring it in two large islands, for living and services, independent yet combined by fluid paths”. The reorganization of the spaces follows a rigorous plot of orthogonal planes that openly declare their artificial character, with great attention to detail, including the shutters, seamlessly inserted between the walls and floors; or the strips of ‘pietra serena’ that frame, in a recurring motif, glass doors and original windows; without overlooking the furnishings, most of them custom made. The pursuit of a balance of empty and full zones, chiaroscuro effects and luminous vibrations, produces a true tailor-made home whose textures and materials fully express the technical and crafted savoir faire of the designer and his passion for the reduction of signs to their bare essence. The choice of oak, treated in different ways, used inside and outside the house, underlines an approach of matching planes that in the final part of the living area, where the space tapers, becomes an excellent ploy to simulate an optical dilation of the space, fusing it with the outdoor patio and terrace. - Caption pag. 23 The kitchen closed inside a glass volume communicates with the dining room thanks to full-height sliding partitions. The stone cooking block at the center of the space, designed by Carlo Colombo, is produced by Varenna. The extra-large table with steel base and wenge top is a special custom piece. Mood chairs by Flexform, Artichoke lamps by Poul Henningsen for Louis Poulsen. - Caption pag. 24 The volume of the master bedroom, with an open connection to the bath. Park bed by Carlo Colombo for Poliform, carpet by Kasthall. In the bath, oak floors, Botticino marble, tub and washstand by Carlo Colombo for Antonio Lupi.

Th e powe r of nuan ce

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project Dylan Baker-Rice photos Luke Hayes text Davide Giordano In London, in the Shoreditch zone, an old cotton warehouse reinvented to become the home of Dylan Baker-Rice, architect, formerly with the studio of Zaha Hadid and now the founder, since 2007, of AFFECT_T, the multidisciplinary design studio that focuses on sensorial research with digital tools and advanced construction techniques. Shoreditch, in the eastern part of London, is a product of the industrial revolution, now an übercool neighborhood of clubs, galleries and design stores located in warehouses and factories from the Victorian era. Architect Dylan Baker-Rice has worked on the conversion of an old cotton warehouse to make a four-storey townhouse with a panoramic terrace and roof garden. The house is effectively an open space. The spatial hierarchy is inverted, or flipped as Dylan puts it: the ground floor is for the office/studio zone; climbing the stairs, one crosses the bedroom area on the first floor, which includes the master bedroom, a vast closet space in lacquered cedar, and a master bath where the original masonry is enhanced by glass placed over it, while contemporary design accessories establish a perfect dialogue, as dynamic counterpoint. The bedroom zone continues on the second floor with a guestroom and another bathroom, where Bisazza mosaics coexist with other handmade mosaics from Spain. Bedroom space is optimized by the excellent configuration of the furnishings and the partitions, following the angular motif of the facade. In spite of the unusual choice of integrating the nighttime zone instead of isolating it, privacy is guaranteed by sliding partitions of glass and louvers that can open and close to respond to changing needs. Farther up, on the third floor, comes the heart of the old cotton warehouse: here raw teak flooring in the lounge extends all the way to the counter in DuPont Corian® and the steel rangetop in the kitchen, while large windows frame the London skyline. Finally, the roof terrace, with cedar decks and seating like that of a sailboat, and a small roof garden that seems to be suspended amidst the bricks and iron of the nearby

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Interni ottobre 2010 warehouses, and the glass and steel of the towers of the City in the distance. The irrigation system is interesting, based on gathering and recycling of rain water: an ecological choice that reduces the cost and time required to tend the garden. The strongest feature on a compositional level is the steel staircase: this architectural element not only connects the various spaces of the house, but also – in perfect tune with the sculpture-balustrade in wood and copper – becomes the ‘skeleton’ of the warehouse and guarantees continuity among the different zones positioned on the four levels. Special mention should be made of the sculpture-balustrade constructed with parametric criteria: a veritable ‘skin’ of the stairwell in which the complex forms of the wood and the perforated patterns on the copper surfaces do not clash with the solid simplicity of the original masonry. In this open design, nothing is hidden; visitors are offered a glimpse of the ‘private’ zones even before they reach the more ‘public’ areas. The goal of Dylan Baker-Rice was to convert a ruined industrial building into a living space with a contemporary feel. And he has gone even further: he has successfully combined the old with the new, the solidity of structures with the flexibility of spatial arrangements, whose aesthetic is reinforced by the delicacy with which the materials have been selected and deployed. All this without ever conducted mere stylistic exercises, focusing on maintaining the original character of the building. The power of nuance: an uncommon gift. - Caption pag. 26 Above, the landing of the staircase in the bedroom area. Facing page, the steel staircase with the sculpture-balustrade in wood and copper, a true sensorial ‘skin’ that connects the four levels of the old cotton warehouse. - Caption pag. 28 View of the dining area on the third floor, the heart of the former cotton warehouse, where the old-new contrast is underscored by the presence of a chandelier by Rody Graumans (1993) for Droog Design. - Caption pag. 29 Below, the kitchen-living area that forms a seamless whole with the dining zone. The raw teak floor ‘rises’ as far as the DuPont Corian® kitchen counter, with Boffi faucets from the Viking series. Hanging Golden Bell lamps designed by Alvar Aalto and produced by Artek. Detail of a bathroom, a skillful mixture of antique and modern. Cabinet with washstand and faucet by Boffi. Glass mosaic flooring produced by Bisazza. The roof terrace with the small garden that seems to be suspended amidst the bricks and iron of the nearby warehouses.

The O pposite Ho use p. 30 project Kengo Kuma & Associates interiors Kengo Kuma, Lyndon Neri & Rossana Hu photos courtesy Michael Weber/Swire Hotels text Matteo Vercelloni A boutique hotel in the Sanlitun commercial district in Beijing, conceived as a choral project with interiors featuring different atmospheres, all in relation to oriental culture. The restaurants and the big hall are joined by the presence of art, scattered throughout the spaces like a leitmotiv. The first design hotel of the Asian Swire Hotel group, also the force behind the Village Mall that forms its setting, the Opposite House stands out in the cityscape due to its innovative, colorful image that intentionally gets away from the figure of the oriental hotels of the latest generation, balanced between reprises of forms of the past twisted into childish, grotesque caricatures, and the globalized modernism of anonymous glass towers. Here the glass facade becomes an opportunity to work on an elementary six-level volume, both in terms of shape and of architectural skin. The parallelepiped of reference is taken as a monolith to engrave and sculpt, making cuts and recesses that enliven the perimeter, while the glass facade becomes a bright mosaic based on shades of green in which to insert yellow segments that bring out the intense rhythm. A bamboo grove beside the construction screens off a large outdoor space directly connected to the hotel, below street level. A sort of geometric garden, directly accessed from the street, this outdoor space features a central platform in dark stone that forms the base of the staircase, and contains tables and chairs that bring the spaces of the restaurant outside. Inside, the long, rectangular entrance hall appears as a monumental full-height space faced by balconies with glass parapets leading to the rooms and suites. The six levels of the building are perceived in a direct way, all the way up to the roof, which is completely transparent in the hall, with panes of glass supported by an essential metal structure. To screen and soften zenithal light in an intense way, Kengo Kuma has positioned a sort of textile installation where floating organza, attached to the roof beams, descends to create large sacks, connecting at the bottom to the right side of the internal facade. This skillful game of shadows and transparency leads to the elevator bank, clad in red glass, that emerges, off-center, in the entrance space, marking the threshold and defining a large waiting area. Here two black lacquered platforms mark the space and routes, cutting out a sort of abstract island in the wooden flooring, set on a large white carpet with room for essential seats in natural wood, lined up along a large table. Artworks by promising young Chinese talents are shown in the spaces, while the permanent collection connected to the theme of fashion and traditional Chinese dress, in a wide range of materials from terracotta to PVC, is theatrically displayed in the hall. The swimming pool of the hotel has the same layout as the entrance space; a regular rectangular form with lateral porticoes, the pool reflects in the ceiling, creating an evocative virtual effect of amplification. Each restaurant is conceived as a space in itself to be discovered, while the guestrooms, with pale, luminous tones, have plenty of natural wood and the rigorous geometry of custom furnishings, joined in each room, as a Chinese ‘sign of memory’, by a traditional red wooden trunk with an antique bronze latch on a richly decorated disk. - Caption pag. 31 The swimming pool of the hotel with the lateral porticoes reflects on the ceiling for an evocative effect of spatial expansion. The entrance hall, faced by the balconies that lead to the rooms and suites. The zenithal light entering from the glass room is tempered by a sort of textile installation in floating organza. Set off center, the elevator shaft clad in red glass. Two black lacquer platforms form the waiting area, with essential seats and a long natural wood table designed by Kengo Kuma and produced by Shanghai Cheng Meng Interiors. To the sides, works of art by promising young Chinese talents. - Caption pag. 32 The lounge zone, organized with rigorous custom furnishings designed by Kengo Kuma, faces the outdoor space beyond the windows. The orange resin wall made with portions of bottles is by a young art group based in Hong Kong. The glass facade, like a mosaic of green tones, has yellow segments

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that emphasize the vertical rhythm. To the side, the bamboo grove borders the outdoor lounge space. - Caption pag. 33 A guestroom. Natural wood and pale, luminous colors underscore the rigorous geometry of the custom furnishings. A Chinese recollection, the traditional red wooden trunk. At the desk, technical armchair by Vitra. A lounge zone with custom furnishings by Kuma and leather upholstered furniture produced by Bals Tokyo, in a setting balanced between Chinese decor and contemporary taste. The Bei Restaurant designed by the studio Lyndon Neri & Rossana Hu. In the background, Nuvola lamps by Frank O. Gehry, produced by Vitra.

Of men and sain ts und er the Andes

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project Cristián Undurraga design team Undurraga Devés Arquitectos photos and text Sergio Pirrone Cristián Undurraga creates the new Memorial de la Solidaridad San Alberto Hurtado in the historical center of Santiago, Chile. To honor the teachings of the Padre, it is a work with an austere image and austere materials, but with fluid, dynamic interiors. The historical center of Santiago is dark at night. The late passers-by rush to catch the last subway train or to reach their homes on foot. The night tells the truth, the empty city encounters things and people cast away, concealed by the din of the day. Men wearing rags, women with hands hardened by labor, the bitter smell of an endless day. A tall, slender girl rings the doorbell at the San Alberto Hurtado religious center. It’s 11 PM and she runs to her cot. Other girls are already sleeping in the shelter. The small park located in the western zone of the capital is surrounded by two and three-storey houses in rows, marked by a century of life and hardship. There’s a small hospital, a church, the offices of the Hogar de Cristo, the charitable organization founded in 1944 by Padre Hurtado. He said: “to become saints, we must first be men”. He became a saint when his life, devoted to those souls wandering in the night, became known, and an example for those to follow. In this same complex, in 1995, the architect Cristián Undurraga designed the Sanctuary for the saint, a green zone crossed by a main longitudinal path that would arrive, five meters below garden level, at a small chapel and the tomb. On sunny days an upward gaze would encounter the peaks of the Andes, while the objects and remains of the saint were protected in a small, secondary space. “We do not want it only to be a place dedicated to the past, but above all also a look toward the future; a projection of his memory in society, in the work for justice and the poor”. These were the first steps of Cristián Undurraga toward the creation of the new Memorial de la Solidaridad San Alberto Hurtado. The path began fifteen years earlier, amidst those low houses, those silent sunsets. Cristián wanted that same peace of the soul to become matter, architecture. The image of the new building had to maintain a slight sense of austerity, while also reflecting the movements of the day, the people walking in the greenery, transmitting the light of an indispensable hope. The solid visible white concrete facade features glass blocks in an arithmetic but fluid sequence. Seamlessly, the translucent cubes seem like the lit-up hearts of the men and women who walk the city. The rigid outer volume compresses inner spaces that free themselves and then return to the straight and narrow path. The ramps are sloped, running along open two-storey spaces and more intimate rooms in which to discover written memories, objects of everyday life, even the saint’s tunic. The diagonal direction has an advantage that is discovered when returning, enriched here by the horizontal glow of the openings in the concrete. The light slides over white walls, and suspended ceilings made with slats of pine. Below them, the permanent exhibition covers the four distinct identities of the Padre: human, Christian, social, universal. The six exhibition rooms on three levels show the man and the saint, a bed and a desk, his green van, his manuscripts, his black tunic. An important legacy: a life not shared is not a life. - Caption pag. 35 On the facing page: detail of the main facade with the backlit glass blocks. Below: daytime view of the northeastern facade; nocturnal view of the main facade, to the south; the western facade. - Caption pag. 36 Above: the two-storey exhibition space adjacent to the main facade. Overall perspective along the longitudinal axis represented by the internal connection ramps. On the facing page: detail of a display case containing the religious vestments of the saint. Exhibition space on the second level, with writings and objects of Padre Hurtado. View from the main entrance of the volume that defines the itinerary through the three levels of the building. On the first level, the saint’s famous green van.

The ice gr otto

p. 38 project Massimiliano Locatelli / CLS Architetti photos Hellos/Cukhoai text Cristina Morozzi

In Ho Chi Minh City, Vietnam, at the Vincom Shopping Center, a visionary project by CLS Architetti transforms a retail space into a fairy tale to experience, where tradition meets the contemporary, craftsmanship meets technology, constructive fiction offers the senses the almost physical perception of warmth and chill. From the pentagram of CLS Architetti, an incredible variety of chords, ranging from the compact white concrete cube of the new Lia Rumma gallery in Milan opened in May 2010 to the ice grotto of the Runway luxury boutique in Ho Chi Minh City in Vietnam, opened in June 2010. From aseptic minimalism, a natural move toward phantasmagoria worthy of the aesthetic folly of Ludwig of Bavaria. Can two such different projects come from the same studio? Where’s the connection? A closer look at the career of this versatile Milan-based studio shows that the connection is there, and involves pursuit of spatial quality to generate emotions, thanks to an almost obsessive focus on proportions and details. And to a narrative intent effectively transferred into architectural structure. The large fashion and design boutique of Tran Thi Hoai Anh, located in the Vincom Shopping Center, an anonymous modern building in Ho Chi Minh City, has become a fable invented to bring customers maximum luxury in a tropical country wrapped in a bubble of warm humidity: i.e. an immediate sensation of coolness. This was the stimulus for the idea of Massimiliano Locatelli, one of the studio’s

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three partners; to create an ice grotto like the one in the castle of Narnia. It is the result of the construction of a digital model in which the space is generated by subtraction, and the walls are composed of 298 successive sections, each with its own shape, made by hand on site with sheets of white painted MDF. The technology of the model contrasts with the manual skill of the construction, humanizing geometric abstraction. In the grotto time and life seem to stand still: a starry void where the only trace of life is represented by small insects in Murano glass, made by a skilled artisan at Campo San Polo in Venice, or dried insects found in the markets of Ho Chi Minh City. Set here and there on the lamellar sections, they seem to have miraculously survived an Ice Age. The path that crosses the 1000 sq meters of the boutique contains, at the center, the Cocoon, a metaphor for a place of rebirth, where life pulsates inside. The organic volume is covered on the outside by 12,899 scales of mirror-polished steel, made by Vietnamese artisans, similar to the scales of the tail of a mermaid, that reflect and multiply the sections of the grotto and the objects inside it. The interior, warmed by golden light and fur carpets, contrasts with the cold cavern, and has a cupola clad with 8948 plaster roses, to contain the VIP room, which in fable would be the home of the Ice Queen. Tradition and contemporary style establish a dialogue through the selection of furnishings and complements, mostly designed as custom pieces by CLS Architetti. Tables and benches in rugged Vietnamese stone are the counterparts of a large steel and crystal diamond (a display fixtures designed by CLS). The language of opposites is the common denominator of all the furnishings: heavy iron tables interface with light white lacquered volumes, glass shelves that seem to fly in space, with slender racks resembling the mobiles of Calder. The refined finishes are a sort of signature of CLS Architetti. The linear display fixtures for jewelry are in waxed black iron; the rods for hanging garments in knurled iron, using a non-slip industrial treatment that produces a texture of many facets; the large table designed by CLS is in ebony-finish MDF; the glass doors have Murano milk-glass handles, like snowflakes. In this magical scenario, the clothing collections selected with sensitivity and expertise by Tran Thi Hoai Anh, at the helm of Globallink, with exclusive boutiques in Hanoi and a major development project in Ho Chi Minh City, and the range of extraordinary occidental design furnishings and objects, chosen by CLS Architetti, combine to make a true Wunderkammer where garments and accessories mingle with traditional Lobmeyr crystal, the surrealism of Fornasetti, the Pop figures of Gaetano Pesce, the clarity of Nymphenburg porcelain, in an itinerary of refined surprises. - Caption pag. 39 One of the three entrances to the boutique. The doors are in glass with faceted Murano milk-glass handles, like snowflakes. Right, the Montanara divan by Gaetano Pesce for Meritalia, one of the pieces selected by CLS Architetti. In the background, the shiny blades of the Cocoon. - Caption pag. 40 The innermost part of the Ice Grotto. In the foreground, the large ebony-finish MDF table, designed by CLS Architetti. In the background, display rods in knurled iron, also by CLS Architetti, hung with slender steel cables. Overall view of the boutique. Facing page: in the Ice Grotto, waxed iron tables display a selection of occidental design accessories, including lamps by Fontana Arte, Nymphenburg, porcelain, Lobmeyr crystal. Wedged between the MDF blades, the glass shelves seem suspended in space to display a Nymphenburg china set. - Caption pag. 42 The interior of the Cocoon with the dome clad with 8948 plaster roses, the fur carpets and the golden light of the VIP room. Exterior view of the Cocoon, an organic volume covered with 12,899 mirror-polished steel scales made by Vietnamese craftsmen, like the scales on the tail of a mermaid.

INsight INscape

Indepe ndent Des ign

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by Andrea Branzi The term ‘independent design’ is used to indicate a new, particular category that is not connected with one technology or a particular clientele. Instead, it reflects the subjective, urgent need of some designers to operate outside the norm of professional practice, to give form to an independent cultural expression, experimenting with a radical rethinking of content and the reasons behind design. Independent design is an operative category that has always existed, especially in Italian design, where autonomous research and experimentation have a long, noble tradition; but in this case, however, we are not looking at either research or experimentation – which are done for particular ends, however remote they may seem – but at a tautological assertion of design, called on to come to grips, in depth, with the themes of current culture. Design as narration, as an event that approaches the real themes of death, life, history, not just those of productive feasibility. The independent design we’re talking about has its roots in a new, complex historical framework that has nothing to do with the extremely limiting definition of industrial design, which corresponds to a venerable function of aesthetic support for mass production. The historical framework is constituted by the present globalized universe and the worldwide spread of post-Fordist capitalism, that propagates its crisis in every territory as the sole possible condition of growth: a world – as the philosophers say – that “no longer has an outside”, in geographical or political terms. So in this infinite but not definitive system, enlightened but with limits of growth, based on a single logic yet not self-sufficient, the concept of development encounters great difficulty in identifying a direction that is not one of mere expansion and pure survival. Progress (and, with it, design) as a linear path toward a horizon of human emancipation, has lost sight of its North Star in this infinite dimension, inside a mutable, enveloping galaxy: the old political categories based on class conflict can no longer be used; the clash between the rich and the poor is replaced by religious wars. The reformulation of politics, then, starts with a cultural, individual, subjective reformulation that does not propose general certainties, but new depths of design that come to terms with the dimensions of a system that extends from China to South America; no longer Eurocentric, then, but scattered in an unreachable, cosmic, multiracial, disconnected perimeter. Without a model of reference and without an image that can sum it up. The time of history no longer follows a straight line that orders events

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in recognizable sequences memory can manage as an archive with a universal moral. Time returns to being ‘circular’, not as a fatal repetition of events, but as a free repertoire of freely available forms and fragments, anagrams of a continuously interrupted narrative; not ordered by lucid memory, but scattered by a liberating amnesia that does not distinguish the past from the present, the antique from the contemporary. The present inadequacy of design culture is a result, in my view, of this incapacity to get away from the limitations of pure professional practice, of the case by case, the guaranteed happy ending, to plunge into deeper depths that do not pertain to exalted fantasy, but to the hard realism of an era we have seen for all too long as an ‘intermission of history’, one that perhaps is about to come to an end. - Caption pag. 44 A work of art-design from the Epigrammi collection designed by Andrea Branzi for the FuoriSalone 2010 and shown at the Milanese gallery Clio Calvi & Rudy Volpi. As Branzi writes, “[…]objects that accompany us and protect us like domestic elves, like faithful and silent servants. Objects bring luck, they repel the barbs of fate and play their part in the comedy of life”. - Caption pag. 46 On these pages: three works from the Epigrammi collection designed by Andrea Branzi for the Milanese gallery Clio Calvi & Rudy Volpi. A collection of small, dreamy objects, also for everyday use (vases, candle holders, trays), where the self-referential monologue of design is interrupted by tiny ceramic figurines placed on slender iron frames, to contain flowers or fruit. Short stories suspended in space, told not from memory but from amnesia, fragmented recollections of characters that have lost their identity.

INtoday

Arch itect ure improves w ith age

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by Olivia Cremascoli The winery is not just a place of production. Its design is also important for the image of a brand and its products. At the start (1996-98), the Swiss architects Herzog & de Meuron headed for Napa Valley to design the Dominus Winery. Later Frank O. Gehry, with his titanium, brought international renown to the Spanish Marqués de Riscal. The Steven Holl designed the inviting compound of Losium at Langenlois (Austria), and Mario Botta did wineries in Italy (Petra) and Switzerland (Château Faugère). Esteemed colleagues Alvaro Siza Viera and Santiago Calatrava Valls stayed home, respectively in Portugal to design the Adega Mayor Winery of Campo Maior, and in Spain to create the Bodega Ysios of Laguardia. The moral of the story is that the world’s greatest architects seem to have taken the way of the grape. And vintners have begun to meditate on their facilities, with the aim of transforming them from simple utilitarian places to striking status symbols. Nowadays making wine, even among wealthy neophytes and amateurs, is considered a more elegant and relaxing activity that playing the stock market, from Napa Valley to Provence. Tuscany is a hotbed of celebrities with the hobby of making wine and/or olive oil (the rock star Sting, the artist Sandro Chia, the photographer Oliviero Toscani, the publisher Paolo Panerai, the actress Stefania Sandrelli, the singer Gianna Nannini, TV personality Marco Columbro and many others). Other parts of Italy are also full of dabblers in the vintner’s art: Gad Lerner and Ornella Muti produce wine in Monferrato; Massimo D’Alema in Umbria; Lucio Dalla and Carole Bouquet in Sicily and Pantelleria; Renzo Rosso and Milo Manara in the Veneto; Lina Wertmüller in Franciacorta. The syndrome seems to strike indiscriminately, and is spreading fast: for some it represents an ideal situation of a return to the roots, to a more genuine, healthier lifestyle; for others, hanging out in the vineyards is simply the latest trend, far more chic than showing off a yacht or an expensive sports car. Isn’t it cooler to have a winery in Bolgheri than a yacht at Porto Cervo? Who has more charisma, Piero Antinori or Flavio Briatore? No matter what the reasoning, signature wineries are a blessing: first of all for the environment (and the landscape), and also for the territory (they attract wine-culinary tourism). Architects are also beneficiaries, and seem to really enjoy themselves in this context that is undoubtedly more intriguing than doing another glass office building. In Tuscany alone we can mention Mario Botta at Suvereto (Gr), with the design of Petra for Vittorio Moretti from Franciacorta; Renzo Piano, who at Giuncarico Zavorrano (Gr) has created the Rocca di Frassinello winery for the owner of Class Editori; Cini Boeri, who in Campagnatico (Gr) has just completed the Pieve Vecchia of Vincenzo and Marco Monaci, which rounds out the offerings of the nearby Locanda del Glicine, with a Michelin chef and cellars cut into the rock; Piero Sartogo and Nathalie Grenon, who have worked at Badia Coltibuono (Si) for the Stucchi–Prinetti and, in Magliano (Gr), the main facility of Frescobaldi; Marco Casamonti of Studio Archea who is now completing, at San Casciano Val di Pesa (Fi), 52,000 sq meters of underground winery facilities (ready in 2012) for the Marchesi Antinori; Studio Valle, in Montepulciano (Si), has designed the Icario winery for Alessandra and Andrea Becchetti; Benedetta Tagliabue Miralles, in Montalcino, has redesigned (for her father, Pierluigi Tagliabue) Villa Poggio Salvi (Si); Tobia Scarpa has created the Ripalte winery on the estate of the same name on the island of Elba (Li); Jean-Michel Wilmotte has been invited to Bolgheri (Li) by the Folonari family for their Campo al Mare winery. After Tuscany, the campaign will move onto other regions: Langhe and Monferrato, Valpolicella and Friuli, South Tyrol, Sicily: wine as the poetry of the territory. - Caption pag. 49 On the facing page: at Campagnatico (GR), the Pieve Vecchia winery, opened in September and designed by Cini Boeri, who previously renovated, for the Monaci family, the nearby Locanda del Glicine. Today Pieve Vecchia is composed of an underground part and an upper section, whose heart is a multiuse wine bar open to the public with transparent glass walls for fine views of the surrounding landscape. The Ceretto family from Alba has been accustomed to living with fine art and architecture for many years: every one of their properties has been ‘contaminated’. The latest project is that of Monsordo Bernardina, headquarters of the vintners since 1987, whose 19th-century structure has had a technological annex since May, a transparent oval bubble suspended amidst the vineyards, designed in oak and ETFE (Ethylene tetrafluoroethylene) by Luca and Marina Deabate. To complete the project, Giuseppe Blengini (Studio Libeskind) has imitated the irregular shapes of the vineyard rows for another space (500 sq meters) for wine tasting and hospitality. - Caption pag. 50 Above: opened in June, the Cooperativa Tramin winery (290 members) of Termeno (BZ) was designed by Werner Tscholl (also the

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designer of Cascina Mondadori), as a green structure-sculpture, a stylized vine, in practice, that blends into the surrounding territory (photos Rickard Kust). Above: rendering of the future (2012) headquarters of Bargino (San Casciano Val di Pesa) where Marchesi Antinori will move after 26 generations. On an estate of 14 hectares, an underground volume of 52,000 sq meters designed by Marco Casamonti (Studio Archea) represents “the ideal union between the factory, the farm, the sacred place of the rituals of transformation of wine”, also with an auditorium, restaurant, oil press and an oven for bread. To the side, the precious Solaia pen, created by Omas with the wood of the barriques of Solaia, the most prestigious Antinori wine. - Caption pag. 51 Right: rendering of the wineries of Tenute Costa, the first qualified as Class A for Nature by the agency CasaClima Wein: with two courtyards, at Monforte d’Alba (ready at the end of 2010), designed by Emilio Faroldi Associati, and the Terre di Fiori (ready at the end of 2011), in Maremma, designed by Tecnofaber of Parma. Lahnhof, the third winery-wine resort at San Michele Appiano (BZ), will soon join the two facilities of Tenute Costa of Parma. In practice, the complex operates with sustainable vineyards, eco-friendly production facilities, microevents for communication instead of a sales network, integration of wine and hospitality. Above: designed in local stone by Tobia Scarpa, the Ripalte winery was just opened at Capoliveri (LI); here we see the zone for drying the harvested grapes (photo Sergio Anelli). Left: in Val d’Orcia, near Montepulciano, the headquarters of the Icario company (3390 sq meters), designed on three levels, in stone, by Studio Valle of Rome.

INdesign INcenter

Cas cades of l ight

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edited by Laura Traldi They may have a high-tech heart, or pay attention to energy consumption. They may be made of precious or unusual materials, even ones that are not so chic. Chandeliers, when they enter a room, want to heads to turn. - Caption pag. 52 Bubbles, obviously, is the name of this chandelier designed and produced by the Polish group Puff Buff: it is composed of inflatable PVC bubbles joined by plastic snaps on a stainless steel support structure. The lamp functions with LEDs. On the facing page, a cascade of decorated transparent blown glass spheres, grafted onto a structure in natural brass and chromiumplated steel. It’s Apollonio, the new creation of Borek Sipek for Driade Kosmo. - Caption pag. 54 The luminous Arnolfini chandelier sculpture by Studio Job for Venini, in milk glass with colored drop decoration on a gilded metal structure, functioning with LEDs. On the facing page, the balls that make up the 28 Series chandelier by the Canadian designer Omer Arbel for Bocci are blown with the intermittent technique (in-out), to obtain distorted spherical forms that are always different. Also ready for use with LEDs. - Caption pag. 56 Ball Lamp, chandelier designed and made by Piet Hein Eek by assembling old glass lampshades on a metal structure. From Rossana Orlandi. On the facing page, the evergreen of Barovier & Toso, the Taif chandelier, in Venetian crystal. Seen here in the 66-light version made for the Blu installation by Paola Navone at Superstudio Più during the latest FuoriSalone in Milan. - Caption pag. 58 Starbrick modular LED chandelier by the Danish artist Olafur Eliasson for Zumtobel, in polycarbonate: on the geometric form that is the functional heart of the chandelier, it is possible to attach other cubes. On the facing page, three bands of Swarovski crystals, with the characteristic wave design, form a transparent cone to create a cascade of light. And in fact Lightfall is the name of this chandelier by Renzo Del Ventisette.

Do n’t was te th ings! New everyday rules

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photos Sergio Anelli by Olivia Cremascoli Down with waste! It is irresponsible, uncivilized, insensitive, crass. Today the glam virtue is thrift, the thrift of our grandparents, who were amazingly chic and sustainable. In these neo-frugal times, then, long live the three Rs: reuse, recycle, recover. All, of course, with a grain of salt. Who would have imagined that after the paganism of consumer frenzy of the last decades, today – due to the global credit crunch and increasing awareness of the damage being done to the planet (and to us) – people would suddenly hate waste, in the name of a better world, in all senses of that term? But that’s what’s happening: just drop by your local bookstore to notice volumes like “Occhio allo spreco” (Watch out for Waste) by Cristina Gabetti (Rizzoli), “Non sprecare” (Don’t Waste) by Antonio Galdo (Einaudi), “Come risparmiare su tutto (e vivere bene lo stesso)” (How to save on everything and live better anyway) Vittorio Collini (Mondadori), “Il ‘verde’ va con tutto” (‘Green’ goes with everything) by Tamsin Blanchard (Tea) or “The way we are working isn’t working” by Tony Schwartz/The Energy Project (Kindle Editions), on sustainable work and ‘savings and renewal’ of human psycho-physical energy. In the States, they’ve already created the ReBuilding Center of Portland, which gathers 3500 tons of used and discarded building materials each year, for regeneration and reinsertion on the market at affordable prices. A sort of barter, another socio-economic model that is very much back in vogue. It is no coincidence that in April, in Ravenna, the first Fair of Barter and Reuse was organized, while in Naples a Fair of Barter and Used Articles has been happening for some time now; there are also the swap-shops where you can trade objects and clothing, and swap-parties too. In short, suddenly it seems obvious that waste is uncivilized and unhealthy, and though Italy lags behind other countries like those of northern Europe that have launched a building policy for the creation of so-called ‘passive’ housing, something is happening on our home front as well. In the area of furnishings there are many designers who work exclusively on projects done with salvaged materials and scrap (from Costanza Algranti, who recently furnished the Case sparse of Planeta in Noto, to the Controprogetto group, to the English of Re-worked and the duo JamesPlumb, a hit at the latest FuoriSalone). The

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most intellectual project has been invented by Danese with Waste.not: to give new life to resources –material, energy, thought – already produced, to be conserved ‘alive’. A new industrial grammar based on technological investment already capitalized over time, and on material with slight defects, or things no longer in the catalogue. Not ‘recycling’, exactly, but ‘recombination’ of what already exists: ashtrays made into micro-gardens, coat racks that become anti-hunting trophies, bookcases transformed into domestic vegetable plots. - Caption pag. 60 From the exhibition Surprising Ingenuity – Austrian Design, organized by Advantage Austria at the Galvanotecnica Bugatti in Milan, Let Them Sit Cake!, a landscape of seating made with two tons of whole grain flour (past its consume-by date) and chocolate frosting (recyclable polyurethane foam), designed by Dejana Cabilijo. From Ctrlzak, CeramiX is a project that salvages, intersects and joins broken oriental and occidental ceramics and porcelain. - Caption pag. 61 By Marcello Pirovano, waste.not, or new life for material-intellectual resources already used by Danese and its designers. A programmed recombination of formal and functional genes to create new hybrid objects and chimeras (the brand). To protect beaches, Corona beer has opened, in Rome for 10 days in June, the first trash hotel, Save the Beach, by the artist HA Schult. - Caption pag. 62 Conversation, patchwork divan that combines different antique fabrics from Uzbekistan, Afghanistan, China, Holland and Russia, thanks to the Lebanese duo Bokja (Hoda Baroudi and Maria Hibri) for Rossana Orlandi. Saved by Droog is the manifesto for 2010 of Droog Design, who have saved 5135 articles from different bankrupt Dutch companies, purchasing them at auction and then reinventing them. From the top: Manicured Chairs by Marian Bantjes and Glass Arrangement centerpiece by Atelier Remy & Veenhuizen. - Caption pag. 63 From this Day Forward, a habitat constructed with salvaged furnishings, worked by hand. Redesigned one-offs by JamesPlumb, the alias of the English designers James Russel and Hannah Plumb, the couple that seems to have come right out of Bright Star, the latest film by Jane Campion. Non si butta niente, costume jewelry by Francesca Villa made with recycled parts: vintage postcards and pieces of fabric, mother of pearl, silver and ribbons. From the French group 5.5 designers, at Luisa Delle Piane, Cuisine d’objects, ‘recipes’ for the creation of a mixture of do-it-yourself recycled objects. - Caption pag. 64 From the Milano Green Festival 2010, a light and two chairs by Antonio Salviani, made with recovered materials (glass, cardboard, metals) found in cellars or left on the sidewalk. Spring Chair made entirely with recycled springs, decorated with colored wool yarn, by Frank Winnubst for Rossana Orlandi. White Armchair, rubber tubing knitted by the Korean designer Kwangho Lee for Commissioned, the collection of Paul Johnson (Johnson Trading Gallery, NYC) and Paolo Maistri, previously special projects manager of Design Miami and now curator at Sala Vinçon, Barcelona. - Caption pag. 65 By Renzi Reale for the brand Renzi Vivian, multifunctional wardrobes, one-offs created with a puzzle of recycled parts, reinterpreted in contemporary style. Essent’ial, a brand of AGC, presents the Straccio chair, entirely made with rags salvaged from factories. Harry Thaler for the Royal College of Art: Twist and Lock, special modular wooden drawers that thanks to a particular system can be assembled in a wide range of configurations. From the “Recovery, assembly and reinvention” collection of Tallulah Studio, Totem Bookstack by Dario Vecchi, made with zinc boxes from the 1950s salvaged from old hardware stores.

INprofile

Proje cts, not too sweet

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by Cristina Morozzi The work of the brothers Ronan and Erwan Bouroullec demonstrates a rare balance between rigorous thinking and delicate forms. Like fine pastries, but never too sweet. “It took six years to develop the Axor project”, the Bouroullecs say. So it is hard to sum up in a few words, also because the novelty of this modular system composed of 85 pieces, ready for personalized solutions, to furnish all types of bathrooms, lies first of all in a sort of delicate sensuality, something you have to experience firsthand to really understand it. The forms of the fixtures, called “easy and soft” by the designers, the fine range of shelves, as the ideal hinge of the project, to make the bath space truly functional, the modular design that permits use of elements even in existing situations, all reveal in-depth thinking about habits and gestures. Even the most insignificant movement seems to have been filmed and watched in slow motion to create the ideal object to match it. The secret of this project, like the others created by the pale, understated brothers, is the interval of meditation that accompanies every job. In the project for Axor, which makes its official debut at Cersaie in Bologna in 2010, we can sense a rare expressive serenity. The simplicity of their forms, which has nothing to do with minimalism, is achieved through thrifty practice in work and life, perhaps based on the desire to shape the rhythm of life not around urban frenzy, but around the quiet of the countryside. Nature, even when it’s artificial, is a constant in their projects, which always suggest the meditative detachment of an almost romantic contemplation of the natural world. Functional, ergonomic and ecological reasonings are blended in perfect harmony: under the surface, never accentuated, almost as if they belonged to the natural course of things. The design of the faucet, for example, is not arbitrary, but the result of reflection on how to save water. Ethical efforts are not just aspirations, but concrete ideas for everyday practice. The fluidity of the forms, evoking a liquid state, is modest and understated, far from the sharp angles or streamlined showing off of many bath fixtures. Describing the project for Axor, the Bouroullecs talk openly about ‘delicacy’. “We wanted to re-create, in the bath, a calm, tranquil setting, avoiding too many design details that would make the overall effect chaotic. All the parts are hyper-simple, which doesn’t mean that they are minimal. The most interesting solutions come from the combination of the various elements”. Delicacy, sweetening the rigor of their design practice, makes their objects special, whether they are mass produced or limited editions for design galleries. They speak of Ovale by Alessi (2010), “which wants to be simultaneously an original and a rustic collection”, as a project “only slightly sweetened, delicate, suitable for a candy factory” (which is how they define the company from Crusinallo, with an eye on Willy Wonka). In the hybridizing of a rustic matrix inherited from the Breton origins and

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cultivated during summer sojourns at the family home, where dialect is still spoken, and in the originality of their style, we can see the exemplary aesthetic of their projects: new objects that immediately look familiar, innovative yet tamed by a temporal patina produced by quiet, almost solitary reflection on every detail. Since last year they have intentionally reduced the size of the studio staff in order to concentrate more closely on each project, banishing any temptation to do things in a hurry. Their best products are not arbitrary, but stem from in-depth reflection on usage modes and behaviors, offering clear encouragement to change our habits and find new, more social and pondered ways of everyday living. They teach sharing, through a system for the office designed for Vitra, or the Festiva table, a project done with the students of Ecal (the Cantonal School of Art of Lausanne) in collaboration with B&B Italia. The recommend meditation, with the Lit Clos, for example, a habitat on stilts, reserved but also related to the outside thanks to metal grilles, a place to seek refuge and to sleep; or with the Cabin, a woven structure that protects without excluding, equipped with two chaises longues and a component carpet similar to a layer of moss, a place for isolation and reflection. They grant the dream of a cloudy sky inside the home (Clouds, textile diaphragm for Kvadrat), or a wall of climbing plants (Les Algues, system of plastic branches, for Vitra). They preserve the magic of a bubble of blown glass that wavers precariously on the tube of the glassblower, as in Light House, the table lamp with a marble and aluminium stem produced by Venini for Established&Sons (2010). Though they work on the production of industrially produced objects, they see no contradiction in their collaboration with galleries, mainly with the Parisian gallery Kreo, which has issued limited editions of their pieces for ten years now. “Working on one-offs”, they say, “is like a breath of oxygen, and is a useful accompaniment to industrial design. It permits experimentation that would not be possible in an industrial context, letting you explore new territories”. The Bouroullecs have already done many important projects for prestigious companies, but they are still young. That youth is reflected in their ideals, but not in any juvenile recklessness. They are young, but they have the wisdom of prophets and are perfectionists, like consummate professionals. They are young, but they have the delicacy of those who have learned to respect people and things, in the hope of producing better, more accessible worlds. - Caption pag. 67 Above: some of the compositions offered by the Axor Bouroullec collection, a modular system for the bath environment that permits custom solutions for an new or existing situation. Classic washstands are replaced by platforms where faucets can be freely positioned. Integrated with the faucets, the counters make it possible to reorganize the usual arrangement of the water source. To the side, a working sketch by the Bouroullec brothers. Below, a wall solution for the washstand, also available in a countertop version (facing page), with single-control mixer faucets or faucet groupings for two or three holes. On the facing page: portrait of Ronan and Erwan Bouroullec, and preparatory sketches for the Axor project. - Caption pag. 68 Ovale, the complete porcelain table service that marked the entry of the Bouroullec brothers in the Alessi catalogue. The result of almost obsessive research on the form of the oval, it is composed of pieces with imperceptibly irregular rounded profiles, as if they had been eroded by time and use. - Caption pag. 70 Above: Baguette, rectangular aluminium table for Magis, 2010. The project is based on the intention of reducing the quantity of material to produce an effect of extreme lightness. Composed of a matte top and four slender legs in shiny aluminium, the table has a graphic image. Below: the Lighthouse table lamp produced by Venini for the lighting collection of Established&Sons, 2010. Composed of three elements – a marble base, an aluminium support and a shade in blown Murano glass – available in a wide range of colors. - Caption pag. 71 Above, the Lianes series of hanging lamps created by the Bouroullecs for the Kreo gallery of Paris. The lamps are connected to each other by wires and shades covered with cowhide. Below, the Lampalumina table lamps made in collaboration with Bitossi. The project comes from research conducted by the Bouroullecs on alumina ceramic, normally used in industrial applications, due to its great strength. Employed for the first time in the domestic sphere, it reveals its special velvety patina.

INproject

Lovegrove bath exper

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by Antonella Galli Signing on to work for Glass, the famous Welsh designer has reinterpreted the domestic experience of the bathtub, creating an innovative container in glass and cement for quick filling and emptying. When Ross Lovegrove talks about his projects you could listen to him for hours. The loquacious designer offers exhaustive explanations and reflections on the nature of his work. On his collaboration with the company Glass Idromassaggio of Oderzo, he says that in his role as an industrial designer “what comes first is observation of reality, to then intervene in everything I have experienced”. He was asked to create a new bathtub: “I thought back on how my parents, who are rather elderly now and still live in Wales, have trouble entering and leaving the tub, and about how the slow act of filling it with water can become prolonged torture”. A starting point in experience, then, to create a new concept that takes concrete form in the Allos project: a tub composed of two parts, a cement block and a glass vessel that emerges, suspended a few centimeters above the floor. The end wall composed of a white backrest is actually a hatch that is blocked when the water enters the tub. Inside the cement block, the entire quantity of water required for a bath is accumulated, at the desired temperature, and then pumped into the tub quickly. The water is drained out just as fast. To make the bath a pleasant, relaxing experience, a monitor has been inserted in the block. For those who prefer reading, a stand is placed on the edge of the tub and a tubular lamp emerges from the backrest. The structure of the tub permits positioning at the center of the room, built into the wall or placed up against it, responding to the needs of flexibility and adaptability that are a major focus of Glass, with the design collections of Livin’. In this new space of products and thoughts the tub takes on innovative forms and positions, as in Lovegrove’s Allos, but also the Beyond model by Claudia Danelon and the Concrete collection of tubs made with that material. Getting away from the physical and mental limitations of the bathroom seems to be the mission of Glass,

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and Lovegrove is right in tune with the Allos, a sort of integrated lounge-bath that can be easily inserted in spaces different from the traditional bathroom. The tub, now in the advanced concept phase, will enter the catalogue at the start of 2011, together with other pieces in the collection now being prepared. - Caption pag. 73 Above: the glass Allos tub, slightly suspended off the ground, with the backrest and reading stand equipped with a lamp. Right: the wall of the tub forms the backrest and can be opened for easy access. The cement block also features a video screen and, on the side, a towel rack.

Dream ing the life of objects

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by Stefano Caggiano There is a growing trend toward mixing of typological categories of objects. From these experiences that seem to reject the traditional forms of storage come new, dreamy archetypes that derail thoughts and nourish dreams, outlining a mobile, refined aesthetic sense. Creativity today knows no mercy. Beyond good and evil (or beautiful and ugly), the caustic action of contemporary design no longer pursues ‘good form’ or ‘good functioning’, but searches for other form, other function – a flourishing of diversities that prevents things from merely being themselves. It is in this ‘merciless’ challenging of the archetypal identity of objects that we can find the sense of operations like ‘Sedie in libertà’ by Lorenzo Damiani for Plusdesign, or the Stuhlhockerbank grouping of chairs and stools by Yvonne Fehling and Jennie Peiz for the Arp Museum of RemagenRolandseck in Germany. For Damiani, the hybrid represents a design signature with a history, reaching its poetic apex here, perhaps, by joining the types of the chair and the table by placing a transparent glass top on a group of chairs. Some of the chairs have supports for the top, while others maintain their original function. In Stuhlhockerbank, the things that are separated and bonded back together are a chair, a stool, a wooden bench. The results of such projects have something dreamy about them, and their makers seem to be unconsciously applying the mechanisms of the formation of dreams revealed by Freud, like displacement, condensation, over-determination: of people and facts, of ‘signs’ and components of objects. This need to test the possible is closely linked to the stylistic uncertainty of our era, in which the fact that a chair is precisely a chair, that hair has its own real color, that a lamp has precisely its own form, is experienced as something contingent, because the things can also be otherwise. So Andrea Magnani, with the TTTLLLSSS project, turns an old wooden cabinet inside-out, like a glove, revealing the hidden parts and disguising the sides that are usually in the foreground. Magnani is also one of the participants in the traveling Resign Academy workshops, veritable design ‘communes’ that – also thanks to the contributions of Paolo Ulian, JoeVelluto, Odoardo Fioravanti and others – involve people in the philosophy of magical reuse of objects, leading to the creation of pieces that then become part of the group’s catalogue. Projects like Binomio by Enrico Salis, in which the motif of the drawer becomes a linguistic theme for the back of the chair combined with a table; or the Rabdicanti vases by Francesco Maestri, where the idea of the vase as a container is eliminated by gluing a layer of earth and branches onto common garden pots; or the Abitudini series of coathangers by Antonello Fusè, who makes them – letting creativity flow along the same path as psychic traffic, according to psychoanalysis, unearthing unconscious content through free association of ideas – by using the wooden backs of chairs on which we frequently, though somewhat abusively, put our jackets and coats. Against this out-of-control design, for years Enzo Mari has tried to bring the question back to its ‘essence’, pointing out that our world overloaded with things has no need any longer of more tables, chairs and lamps. Mari’s right: objects have no need, any longer, to be designed – we are the ones who feel a need to design more tables, chairs and lamps. This is the only way to explain functionally questionable but aesthetically stimulating actions like the hybrid seat by the young Francesca Fiammenghi, in which the icon of the wood and straw chair is combined with a steel tube with a functionalist look, or like the stool/table in ash, in the form of a lamp, called Tina L., by the German designer Florian Kallus. The fact of the matter is that Mari’s critique captures the ethical side of design, but forgets the human sense of things. Unlike animals, in fact, man is born without the specific instincts that permit him to perceive only stimuli useful for his survival. He is not programmed to make only certain movements. Supple, indeterminate, man can do and feel everything. Due to this particular nature, on the one hand he is the only species whose cognitive apparatus is exposed to the aesthetic-signifying dimension of things (animals don’t seen ‘beauty’), while on the other, as he has no instinctive exclusions, he is the only creature capable of learning anything: to talk, jump, run, to use and make objects of all kinds. The human being can even learn to walk on a tightrope. On 7 August 1974 the self-taught tightrope walker Philippe Petit advanced across a wire stretched between the twin towers of the World Trade Center in New York. At the top of the most advanced architectural technology of the day, the absurd, ‘useless’ action of a man who walked at a height of 415 meters over the void liberated those two skyscrapers from the sole fate of perfect functioning, opening the possibility of an alternative, unexpected use. In the same way, the deeper sense of aesthetic experiments like the Kast van Eik bookcase, with shelves and a frame open at the corner, or the Son of Eddy lamp with its shifted socket, both by Davy Grosemans, cannot be found along the normal paths of design grammar, but instead in the widespread urge to free up another side of things – and things do have other sides, as many as the form has ways to disobey the function. It’s a new urge, characteristic of our time, not driven to ‘project’ things but, to use the words of Neruda, to do with objects “what the spring does with cherry trees”. - Caption pag. 74 Above: chair in straw, wood and steel by Francesca Fiammenghi, 2009. The combination of aesthetic pasts creates an intentionally disorienting effect. On the facing page: Stuhlhockerbank, a project by Yvonne Fehling and Jennie Peiz that combines three types of seating. It was designed for the Arp Museum of Remagen-Rolandseck, in Germany, designed by Richard Meier. - Caption pag. 76 Above left: the “Sedie in libertà” project by Lorenzo Damiani for Edizioni Plusdesign 2010, in a limited edition, formed by 16 wood and straw chairs and a glass top; right, TTTLLLSSS by Andrea Magnani for Atelier Resign, made by inverting the visible and hidden parts of an old wooden cabinet

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(photos Marco Piffari). Top: the Tina L. project by Florian Kallus, whose Magritte-like subtitle says “This is not a lamp”, is a stool or a table that looks like a lamp. - Caption pag. 77 Upper left: the Abitudini coat hangers by Antonello Fusè, made during the Resign Academy 2010 workshops by removing the backs from normal wooden chairs (photo Andrea Piffari); right, the Kast van Eik bookcase by Davy Grosemans for Das Ding, in solid oak, whose open corner expresses the idea of the warping of the material. Left, the Rabdicanti series of vases by Francesco Maestri, made during the second Resign Academy workshop, held in March 2010 at the DO cultural center of Faenza. Made by attaching a layer of earth and branches to the outer surface of common flower pots, they visually vanish, leaving only the earth and the plant visible (photo Andrea Piffari). Right, the Son of Eddy lamp designed by Davy Grosemans and produced by Dark, in silicon rubber and Pyrex. Two threaded bases are attached to the bulb, so that one remains visible. The housing is in black or white.

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photos Paolo Mazzo – F38F by Riccardo Blumer Through experimentation on nanostructures of casein, Riccardo Blumer shows that form and matter are parts of a single, inseparable process. Teaching is not a transfer of professional knowledge. Even in this field, I have adopted the motto “the hand forms the mind”. There is a way of ‘learning’ that comes directly from concrete doing. Explaining something or studying it is important, but direct experience, for each individual, means forming his or her own stature. Even if we live in a virtual era, in which everything seems possible with electronic tools, each path of training is completed and concludes with a ‘work’ activated by doing, through the body and the hands. So we could also say: “the hand forms the man”. In pursuit of educational exercises that operate on this level, and with the idea of approaching the theme of plastic, I discovered that one of the first forms of this material was obtained from casein, or milk. It seems that casein was used to make buttons and umbrella handles, before the practice was banned to prevent the recycling of such articles to make cheese. The hypothesis of milk, seen as an organic material that becomes a design object, brought me directly to the path of cheese. This is not the first time I have gotten an idea for my courses from the world of nutrition. Filled with complex, interesting chemical, physical and thermal processes of transformation of matter, this field can suggest intriguing themes for experimentation, like those investigated in the past by my students at the University of San Marino, with structural seating made of bread, sugar, seaweed and fish glue. In particular, making cheese means knowing how to control a process that, through chemical-organic (the use of rennet, an enzyme), thermal (exact and constant temperatures, around 30-35°C), formal (moulds for the right sizes and shapes), temporal (precise timing, shaping and ageing), hygrometric (humidity percentages) and luminous (darkness, required for ageing) modifications, permits the conservation over time of those particular macromolecules the rennet produces under the proper conditions. To produce cheese, starting with milking and paying attention to all these processes, means knowing how to accompany a very complex transformation of the material. This was the challenge I proposed to the students of the fourth-year course at the Architecture Academy of Mendrisio (University of Italian Switzerland), who after an introductory lecture by Luigi Zanzi, professor of Methodology of Historical Sciences at the University of Pavia, and a visit to the Istituto agrario cantonale of Mezzana, had to roll up their sleeves and work, in the classroom, with milk, burners, pots and the material needed to produce moulds. The ageing was done in the cellars – reopened for the occasion – of Villa Argentina, the administration building of the Academy. The apparent simplicity of the exercise was connected to the fact that no drawings or renderings of any kind were required; when the right mixture had been obtained, the job was to study the optimum configuration for the mould based on multiple factors: reduction of the volume of the cheese, due to loss of water, the need for symmetrical turning of the form itself, removal of the cheese when ready, and finally the aesthetic appeal of the form. Once the cheese had been made, the true exercise was to develop exceptional forms that while respecting all the phases of the process and characteristics of the product, would express the value and identity of the food to the utmost. The hand taught the mind that no possible separation exists between form and process of transformation of the material. For this reason, the subtitle of the course “Nanostructures of casein” was “why a good architect should know how to make cheese”. A particularly interesting aspect of the work turned out to be the study of the relationship between the form and the progressive ‘mutilations’ that happen when the cheese is consumed. These reflections led to two different morphological types: those conceived to always seem whole even after successive ‘sampling’, and those that take on a different yet always complete appearance as the cheese is consumed. A jury composed of professors at the Academy (Arch. Mario Botta, Arch. Michele Arnaboldi), invited professors (Arch. Raffaella Mangiarotti), specialists (Eng. Aldo D’Alessandri, on the faculty of the Istituto Agrario cantonale of Mezzana, Toni Perla of Winkler AG and the president of STEA-Società Ticinese Economia Alpestre), together with a human resources consultant (Samantha Rudin), assigned a series of prizes for the capacity to control form, process and consumption. The first prize went to Francesco Nozzi, and was obviously a complete form of Alpe Ticinese cheese, supplied by STEA. The Winkler prize, a cash award, went to Margherita Corbetta. - Caption pag. 78 Some of the projects from the competition “Progettare il formaggio”, the final phase of the design course conducted by Riccardo Blumer together with Claudia Raisi at the Architecture Academy of Mendrisio, 2009-10. Excluding any type of three-dimensional graphic representation, the students were asked to directly produce moulds and cheeses. Upper left, the project by Marianna Trapani. Above, an amusing portrait of Riccardo Blumer. To the side, the project by Sofia Miccichè. On the facing page, the works of other students. From the upper left: Dario Cadoni; Francesco Nozzi; Andrea Sestan; Filippo Santoni; Ricardo Conde. Below, the project by Amalie Bleibach.

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photos Giacomo Giannini text Rosa Tessa Sixty years of history. The Antonio Lupi company, from the intuition of its founder to the choices of the new generation. Bath fixtures, but also furniture; accessories for water and new forms of expression for fire; a fashionable firm, but also one that opens a gallery featuring one-offs in stone; it makes bathtubs but also lamps; it works with a group of young designers, many of them Italian. Andrea Lupi, one of the four siblings at work in the family firm tells us how these apparently paradoxical choices were made, to put the company on the right path. A lesson that comes from its founder. The father, the intuitions. In the 1950s Antonio Lupi, at the age of 18, from Vinci, decided not to follow in the footsteps of his farmer parents, but to set out on his own. He opened a small glassworks, producing glass tops for furniture companies. After a few years of work he had the idea of making his own glass accessories and colored mirrors as bath furnishings. “An absolutely original direction, at the time, and people thought he was a bit mad”, says Andrea Lupi, one of the four children of Antonio. “In those years people who had a ceramic sink with a piece of glass hanging from a string on the wall could consider themselves lucky. Most people lived in buildings where they had to share a bathroom with other tenants”. “The idea was so crazy that it was a great success”, Andrea adds. Young Antonio began to travel, taking his products to international fairs. In the 1970s Antonio completed the first lot of buildings at Stabbia, near Cerreto Guidi, between Fucecchio and Montecatini Terme, a zone traditionally occupied by the tanning industry. There was absolutely nothing there, just swamps. He was 24, and he assembled a complete production cycle for glass and mirrors. He began to ask craftsmen to make bath furnishings, which he also sold in the Orient and America, through affiliated showrooms and distributors. Primordial materials and glamorous settings. In that first industrial pavilion, which had been empty for years, Andrea Lupi, creative director of the company, has just opened “Stone and Fire”, a display area of 1100 sq meters. “It is a gallery of special pieces”, he explains, “a permanent exhibition of the sculptural collections, and it will also become a research space”. Inside what was the first Antonio Lupi factory, whose image has remained identical, visitors can see sculptural objects, iconic pieces from the last ten years of activity of the company, like the washstands with a totemic look in stone, white or amber onyx, white and black marble, or like the bathtub in the form of a boat, made with 1600 kg of gray stone from Tunisia. In the same space, together with the objects for water, there are others for fire: bioethanol fireplaces that require no chimney, absolutely minimal fireplaces for wood. These are pieces that can be inserted in private homes, hotels and public places, but require custom design. This is why Andrea Lupi, in another facility of the company that was part of the first nucleus of industrial sheds built by his father, is creating an architectural design studio for custom projects. While the soul of the company is primordial and artistic, closely linked to materials, the firm also has a decidedly fashionable side. The showroom is like an ultrachic loft, with carefully detailed sets ready to be photographed for the most glamorous magazines. Sophisticated environments, new age atmospheres, where Cristalplant bathtubs, with their soft, silky surfaces, look like sensual chaises longues, bath fixtures resemble living room chairs, shower stalls mark the borderline between the public and private parts of the home. Printed leather carpets coexist with white divans with a vintage look, very light shelves and counters, almost without thickness, that seem to be suspended in the air instead of attached to the wall. “The showroom space – Lupi says – reflects the quality, essence and fashion side of the company. We interpret the bath, but we also propose different residential lifestyles that go beyond the concept of bath fixtures, given the fact that we are above all makers of furniture. But I also work intensively on the concept of the gallery, where only the objects speak, without the need for any setting, and express the purity and force of two primordial elements of nature”. Andrea Lupi and design. The choices of Andrea Lupi, who is fifty but looks younger, go against the trend, like those of his father. He narrates the fundamental changes over sixty years of history: from glass to furniture, from bath furnishings to fixtures, from the bath to design, from glass to wood, from Corian® to stone, from marble to Cristalplant, from water to fire. “The fact that we have never followed the market and trends has made us grow”, he explains, “though at times it has penalized us in terms of sales”. Design was the key for the renewed success of the brand. “Towards the end of the 1980s I made minimal, squared washstands, with straight sides, while all the other companies were doing round ones. I was considered nuts. Instead, it was a big success. My encounter with Carlo Colombo was very important, though he was still an emerging designer. With him I made ‘Materia’, the first entirely sculptural crafted project. With Cristalplant, on the other hand, a material that is less costly and difficult than stone, I made design affordable for everyone. So we grew, completing the bath with furnishings, carpets and accessories, designing with Domenico De Palo, and the help of Massimo Pistolesi, objects and architectures to bring fire into the bath and elsewhere, without a chimney, using bioethanol and wood”. Looking for new talents. Another trend-bucking intuition of Andrea Lupi with respect to most Italian companies: his scouting among new names in the field of design. “I work a lot with young people, who have energy and new ideas. They are all very talented, but I have realized that the Italians have something more”, he says. Everything started last year, with a competition Lupi launched for the Salone del Mobile in Milan, won by Mario Ferrarini, Gabriele Rosa and Jorge Biblioni, all in their twenties, two out of three from Italy. “The surprise – Lupi comments – was that a few months later Ferrarini and Rosa have designed 80% of this year’s collection of Antonio Lupi, together with other young talents like Paolo Cappello and Federico Sandri”. The competition this year was won by Claudia Danelon, Michael Abegg, Marco Di Paolo and Victor Vasilev. The latter, who lives in Milan, has already done works for the company, presented at Cersaie 2010. “Every day I receive projects by young designers”, Lupi remarks, “and I examine them all, personally. There are so many, and they are so interesting, that it is hard to choose which ones to take forward”. - Caption pag. 80 At Stabbia, Cerreto Guidi, province of Florence, at the head-

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quarters of Antonio Lupi, the company known for ‘tailored’ bath furnishings, ‘La pietra e il fuoco’, a gallery and research lab of 1100 sq meters, has just been opened to display one-offs, limited editions and architectures for fire. - Caption pag. 83 Antonio Lupi in numbers: sales 2009 24 million euros, employees 65, exports 70% of sales. Facing page, Babele, ethanol fireplace-totem, 2010, designed by Mario Ferrarini. Because it does not require a chimney it can be positioned anywhere, next to a divan or a dining table, on the terrace, in the garden, in public spaces, by an entrance or to indicate a path. Above, Skema –Modular Fireplaces, designed by Mario Ferrarini. A modular wood-burning fireplace that develops from a minimum size to infinity, depending on the needs of the space in which it is inserted. The functions have been broken down into independent units for varied combinations in personalized solutions. A project organized like a furnishings program, for horizontal or vertical growth, with a range of different finishes. - Caption pag. 84 Bull washstand, design Carlo Colombo, made with Sinai stone, a one-off on permanent display in the gallery-research space ‘La pietra e il fuoco’ recently opened at Stabbia, in the headquarters of Antonio Lupi. Majestic blocks of white marble from the Gioia quarry in Carrara. Antonio Lupi makes ample use of primordial, natural materials like stone and marble in its more sculptural collections. - Caption pag. 86 The working of glass and crystal is done in important production area of the Antonio Lupi facilities. Above, from left, 45° gluing of two panes of glass using UV rays; movement of a mirror sheet to the cutting bench with a bridge crane. Facing page, clockwise, sheets of glass emerging from the cutting bench; Brillante collection, washstand, designed by Studio Carlesi, where glass is the sole protagonist, without attachment sections or hinges, to emphasize the extremely linear, minimal design; machinery for trimming, grinding and chamfering glass.

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by Laura Traldi Companies and designers seem to have a desire to narrate. The objective is to win back the trust of the audience, to make it feel like part of a process, to supply tools to help people understand the true value of an object. A gentleman, 78 years old, works on a piece of wood, with screws and a hammer. In a few minutes, he builds a chair and sits on it, satisfied. His smiles are justified. He is Enzo Mari, who in 1973 created an icon of democratic design, the Autoprogettata (self-designed) chair, to produce in pieces, relying on the purchaser for assembly. The Finnish company Artek has decided to put it into production, presenting it at the FuoriSalone in April in Milan, at the Triennale, with a film-performance by Mari himself. Of course Mari’s idea (which originally contained instructions with which to make a whole series of furnishings), after the global spread of the flat-pack concept by the likes of Ikea, is less revolutionary than it was at the time of its invention. Nevertheless, Artek’s decision is interesting, because it is laden with meanings. The company has put itself in the shoes of the consumer, and explains the birth and development of a product. To do so, it has turned to a design great like Enzo Mari. That’s a strong signal, to interpret as a metatrend (as opposed to the many aesthetic trends that fail to truly leave their mark) that has the potential to become a watershed between recent design culture and that of the near future. Artek, in any case, is not alone. For some time now there has been a growing desire, on the part of companies and designers, to explain projects: not the usual empty words about inspiration, but true design narratives in which the characters get their hands dirty and wrack their brains to resolve real production problems. Communicating the expertise behind a product, the know-how that has gone into its making, is an injection of realism, to counter the media punch of glittery, seasonal design. A response that shows faith in the audience, finally supplied with the tools to judge the true value of an object. It is also a way of fighting (without actually saying so) the ongoing problem of copies and low-cost manufacturing, while reinforcing the emphasis on quality. There are companies that have always done it, by necessity, like Sweden’s Hästens. Explaining that to make the Vividus bed it took two years of testing on various combinations of horsehair, cotton and wool; that the carpentry techniques utilized are traditional Swedish techniques that have remained exactly the same since 1850; and that every product is made in 140-160 hours: all this is useful for Hästens, to explain why Vividus is a luxury bed with a luxury price tag. But today the same approach is being used by other, more widely affordable brands as well. Like Borella Design, a brand that comes from the automotive district of Turin, and relies on its technical expertise in working with materials like steel, aluminium and carbon. At the Salone del Mobile the company showed a collection created by a team of designers (including Xavier Lust) guided by the artistic director Luisa Bocchietto. She narrates how, to make her Mago di Oz container that functions as a flowerpot stand for outdoor use or a brazier, two cast-iron moulds were required, of great weight, to form the aluminium sheets that were then finished by hand. As if to say that the value of the object lies in what you see, but also in the technology that has allowed it to come into being. Another company that narrates is Riflessivo, the new brand of Arte Veneziana, the historic firm that has been offering reproductions of Venetian mirrors of the 1600s and 1700s since 1970. To launch the new brand, the mother company has called on the very young Leo De Carlo, fresh from an experience with Philippe Starck. De Carlo has designed a series of furnishings with a neo-retro look, relying on the expertise of the master glassmakers of Arte Veneziana. They are the true ‘heroes’ of the collections Age of Gold, GoodMood and Wise: it is no coincidence that images of their hands working on the pieces are featured in the communications of Riflessivo. In 1999, in The Experience Economy, Joseph Pine and James Gilmore explained that success, in the future, would no longer be based on primary goods, products or services, but on the experiences brands create for consumers. But what is happening in the world of design seems to indicate the exact opposite, namely a return to the traditional values of industrial design and crafts, transformed into the groundwork on which to build brands that do not promise glamorous experiences, but solid, high-quality products, built to last. There are many cases of industrial companies that have produced for other brands for years and now, based on the new situation, are attempting to make a name for themselves on the market. This is happening in the district of Udine, for example, with Mattiazzi, a

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company that over 30 years of ghost-production has built a great reputation for working with wood. Its debut as a brand has been done with the intelligence of the true expert, namely an awareness of limits: therefore they have recruited external talents for the creative direction (Florian Lambl) and the design (Studio Nitzan Cohen and the duo Sam Hecht/ Kim Colin of Industrial Facility). This might just be the birth of a new design culture paradigm: while small local craftsmen that allow companies to diversify production are vanishing due to a lack of new blood, in parallel a new kind of craftsmanship is emerging. This has been observed by Marco Bettiol, a researcher at the University of Padua and Venice International University, who spoke at the launch of the initiative AAA Cercasi Nuovo Artigiano, which began in July with a workshop and culminated on 11-12 September with an exhibition at the Festival dell’Artigianato of Vicenza: “we need a new craftsman who no longer takes the place of industry in the activity of production, but becomes an active part in the phases of creation and innovation of the product, capable of dialogue with the world of creativity and with the demands of industrial production”. So the hope is for a return, in companies, of the ability to make things, in contrast with the phenomenon of globalization that often focuses far too much on the names of those who have simply stuck their logo on a product already completed by someone else. - Caption pag. 88 The Autoprodotta chair by Enzo Mari for Artek and some frames from the video shown at the Milan Triennale for the launch of the product, in April. - Caption pag. 89 The creation of the NETwork 3D seat by Werner Aisslinger, done live during the exhibition Open Process at the FuoriSalone event Made in Berlin. The seat is made with fabric, without a support structure. The German designer impregnated a net designed by computer and transformed into 3D by a special sewing machine. - Caption pag. 91 The Venetian craftsmen during the making of furnishings in glass and wood designed by Leo De Carlo for the new brand Riflessivo. In the last image, the Age of Gold table, in maple with hand-engraved bronze mirror inserts. On the facing page, from top, the process that leads to the creation of the Original Stools by the Austrians Breaded Escalope: the steel stool is inserted in a sealed ball into which paint is injected. When the ball is moved (in a public performance) in the water or on land, the paint decorates the surface of the seat in an absolutely random way. On the facing page, to the side, the designers of FormaFantasma at work on the creation of their Moulding Tradition bowls. The two Italians have made the creative process, seen as a whole, and craftsmanship into the main characteristics of their output. - Caption pag. 92 Details of the working of ‘Il Mago di Oz’ by Luisa Bocchietto for Borella: the moulds and, above, the finished product at the factory. To make this flowerpot stand for outdoor use (which can also be used as a brazier), two cast-iron moulds weighing over 10,000 kg are required to form the aluminium sheets, which are then finished by hand. On the facing page: a detail and some phases of the making of the Branca chair by Sam Hecht and Kim Colin of Industrial Facility for Mattiazzi. An apparently simple structure in which the back leg (made with a single piece of wood by a robot) supports the joints of the seat, armrest and back. - Caption pag. 93 The making of the Vividus bed by Hästens: after two years of testing on various combinations of horsehair, cotton and wool, the craftsmen of the Swedish company have finally made the product, using traditional pre-industrial carpentry techniques and devoting a period of 140-160 hours to the making of each bed.

INproduction

T ra nspare nt thoug hts

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Image processing Enrico Suà Ummarino Editing Nadia Lionello Lightness and transparency combined with solid materials: glass, plastic and metal transformed into almost imperceptible things, but with solid functional characteristics. The quality of transparency as a protagonist, in new furnishings that constantly surprise and fascinate, thanks to their sober, linear forms. - Caption pag. 95 Fili matè, detail of the sliding door in silkscreened float glass by Vitrealspecchi. Dea chair with transparent scratch-proofed polycarbonate frame, on steel rod runners, created and produced by Scab. Miss You stackable chair in transparent polycarbonate, or with border in black, white, fumé or amber, or with fumé seat and black border, by Marco Piva for Pedrali. Edge table in extralight transparent 15 mm glass, tempered top on prismatic bases glued and chamfered at different angles, by Patrick Norguet for Glas. Kleer monolithic seat in transparent 15 mm curved glass, capable of supporting two flat speakers positioned in the wings of the back, by Karim Rashid for Domodinamica. - Caption pag. 96 Track table with base in shiny chromium-plated steel tubing, top in transparent 15 mm glass in different sizes, by Ricardo Bello Dias for Gallotti & Radice. Invisibile sofa from the collection of one-of-a-kind pieces in thick transparent polycarbonate, by Tokujin Yoshioka for Kartell. Mogador table with pentagonal base in chromium-plated steel tubing and round top in transparent glass, by Philippe Bestenheider for Frag. X-sight hanging or floor lamp in different diameters, with metal frame and woven flameproof ribbon, by Manuel Vivian for Axo light. - Caption pag. 98 Abarth chair, seat in transparent, fumé, red or yellow polycarbonate, on legs or runners in brushed or painted die-cast aluminium, by Fabio Novembre for Casamania. Tribeca extensible table with top and extensions in transparent or extralight tempered glass, base in curved 20 mm glass, by Setsu & Shinobu Ito for Fiam. - Caption pag. 99 Sparkling chair in plastic made with blow moulding, by Marcel Wanders for Magis. Bloomingbless vases in blown glass by Benjamin Graindorge for Ligne Roset. Unity table with round top in transparent or fumé glass, on conical legs in natural or painted steel, by Karim Rashid for Tonelli. - Caption pag. 100 Aria hanging lamp in blown glass with LEDs built into the metal housing, by Massimo Iosa Ghini for Murano Due. Drop table-sculpture with top in transparent poured Plexiglass® GS sheet, worked with numerically controlled machinery for a lens effect, on cylindrical legs grafted into the top, by Junya Ishigami for Living. Net chair, seat prototype in stainless steel mesh, by Jun Hashimoto. - Caption pag. 101 Ego day, display case with glass doors, equipped with hanging drawers and shelves with lighting system, by Giuseppe Bavuso for Poliform. Aka chair with transparent methacrylate chassis in different colors, or decorated, and legs in natural oak, by Jean Marie Massaud for Skitsch.

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