INdice/contents luglio-agosto/JULY-AUGUST 2011
INterNIews INitaly
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produzione production folding chairs OUTDOOR TRAFORATO ED ECO/Outdoor, perforated, eco Utili e belli/Useful and beautiful forme di sughero/Forms of cork in factory
3M: il senso comune non esiste! Good common sense does not exist! 32
showroom
society a roma/in Rome effeti headquarter INternational IN copertina: la poltrona Ventura Lounge disegnata da Jean-Marie Massaud per Poliform. Caratterizzata da linee morbide e avvolgenti, ha una struttura sottile in legno massello; la scocca è in poliuretano integrale o poliuretano flessibile stampato con prerivestimento in fibra di poliestere e rivestimento finale in pelle o tessuto. on the cover: On the cover: the Ventura Lounge chair designed by Jean-Marie Massaud for Poliform. With soft, enveloping lines, it has a slender structure in solid wood; the chassis is in 100% polyurethane or flexible polyurethane moulded with precovering in polyester fiber and final covering in leather or fabric. (sullo sfondo foto di/background photo by Sami Sarkis/Getty Images)
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showroom
antoniolupi a monaco di baviera/in Munich cesar a parigi/in Paris elica a/in mumbai produzione production la natura in tavola/Nature on the table
project
sedie e sculture/Chairs and sculptures giovani designer young designers mingei design premi prizes red dot award allo chef/for the chef INtertwined mostre Exhibitions a roma L’unicità d’italia/In Rome, the Uniqueness of Italy una storia di design/A history of design Lussureggianti verzure/Lush greenery sostenibile sustainability Ma cos’è questa crisi?/What is this crisis, anyway? dalla risaia alla città/from the rice field to the city
food design
Terrazze e giardini estivi /Terraces and roof gardens
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INdice/CONTENTS II INtertwined paesaggio landscapes h2o scenari per la sopravvivenza/H2O survival scenarios 73 progetto città CITY PROJECT La grazia della panchina/The grace of the bench Livable? Lovable 76 in libreria in bookstores 78 cinema malick: il cinema difficile/Malick: difficult cinema 80 fashion file le borse con le bolle/Bags with bubbles 84 info&tech da 0 a 11 in meno di 40/From 0 to 11 in less than 40 86 contract&office il teatro dell’immaginazione/The theater of imagination 68
INservice
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traduzioni translations indirizzi firms directorY
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INtopics 1
editoriale editorial di/by gilda bojardi
INteriors&architecture
spazi della cultura e case d’eccellenza nel mondo
Cultural spaces and excellent homes in the world a cura di/edited by antonella boisi 2
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seoul, ewha university, un campus alla francese
a campus in French style progetto di/design by dominique perrault architecture foto di/photos by andré morin/dpa architecture testo di/text by alessandro rocca
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siviglia, metropol parasol progetto di/design by jÜrgen mayer H.Architects Foto di/photos by fernando alda testo di/text by matteo vercelloni
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anversa, mas, il museo sull’acqua
Antwerp, MAS, the museum on the water progetto di/design by willem jan neutelings & michiel riedijk foto di/courtesy photos by mas museum testo di/text by antonella boisi 24
isla chiloé, casa en punta chilen progetto di/design by drn architects/max nÚÑez e/and nicolÁs del rio foto e testo di/photos and text by sergio pirrone
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sri lanka, due case ai tropici d’oriente two houses in the oriental tropics progetto di/design by Tadao ando architect & associates foto di/photos by edmund sumner progetto di/design by shigeru ban architects foto di/photos by hiroyuki hirai testo di/text by antonella boisi
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INdice/CONTENTS III
INsight INscape 42
un nuovo secolo, all’improvviso The new century, suddenly… di/by andrea branzi INarts
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nebulous tuymans di/by germano celant
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INdesign INcenter
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zone d’ombra/Shadow Zones di/by Nadia Lionello image processing Enrico Suà Ummarino
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esterni luminosi/Luminous exteriors di/by andrea pirruccio foto di/photos by maurizio marcato INprofile
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jean-marie massaud: design come evoluzione dolce Design as gentle evolution di/by cristina morozzi
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INproject
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ispirazione mondo/World inspiration di/by Valentina Croci
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matrice tre/Matrix three testo di/text by Antonella Galli foto di/photos by ORCH Orsenigo_Chemollo
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writing, travelling, reading di/by Maddalena Padovani foto di/photos by Max Rommel
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bien vivre alla francese/Bien Vivre, French style di/by antonella boisi foto di/photos by Marie flores, simon thiébaut/courtesy via INview
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oggetti rarefatti/Rarefied objects di/by Stefano Caggiano INproduction
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tutti in riga/Get in line di/by katrin cosseta
INservice
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indirizzi firms directorY di/by adalisa uboldi
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traduzioni translations
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EDiToriaLe
A
rrivata finalmente l’estate, non potevamo fare a meno di parlare di architettura, design e arredamento in rapporto alla natura e al vivere all’aperto. Ecco quindi la proposta di case ed edifici di uso pubblico concepiti per dialogare con l’ambiente circostante, sia esso un paesaggio incontaminato piuttosto che un ambiente costruito. Anche la scelta di Jean-Marie Massaud come protagonista della copertina non è casuale: tutti i suoi progetti hanno un preciso riferimento alle relazioni tra uomo e natura, che il designer francese cerca di attivare con visioni utopiche ma anche con oggetti quotidiani che possano generare piaceri sensoriali e atmosfere di benessere. Parlando di arredamento, l’attenzione si focalizza su due tipologie di prodotti per l’outdoor che in questi ultimi anni hanno registrato un’interessante evoluzione progettuale: le strutture che un tempo venivano chiamate gazebo, pergolati e bersò, oggi diventate spettacolari architetture che proiettano in giardino o in terrazzo gli spazi della casa, e le lampade da esterno, sempre più diversificate, funzionali, leggere, ironiche e poetiche. Arriva dunque l’estate e con essa la voglia di aprire e ravvivare l’habitat domestico. Ma il ‘pensiero’ del progetto non va in vacanza, attento come sempre ad indagare la complessità contemporanea. Lo ricorda Andrea Branzi, che in questo numero sottolinea le inderogabili responsabilità che a suo parere il designer deve assumere oggi difronte a logiche politiche, sociali ed economiche profondamente mutate. Come sta cambiando il mondo del design? I nostri focus di approfondimento fanno alcuni esempi: nascono nuove realtà produttive del mobile volte a valorizzare la cultura e il saper fare di Paesi lontani, e nello stesso tempo si afferma un nuovo atteggiamento estetico, influenzato dall’era digitale, che smaterializza le forme degli oggetti. Tutto si evolve sempre più velocemente, con un ritmo che in realtà non conosce stagioni. Gilda Bojardi anversa, mas, Il museo sull’acqua, progetto dI wIllem jan neutelIngs & mIchIel rIedIjk
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INteriors&architecture
Il Campus dell’unIversItà femmInIle dI ewha è ConCepIto Come una valle urbana defInIta da una profonda InCIsIone nel terreno, due faCCIate In vetro e aCCIaIo e un tetto trasformato In parCo CIttadIno.
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A SeouL, un camPus aLLa Francese testo di Alessandro Rocca foto André Morin/Dominique Perrault Architecture
LA NUOVA SEDE DELL’Università femminile DI Ewha SI RACCOGLIE LUNGO UNA promenade CHE sprofonda nella terra DI SEOUL, UN solco STRETTO TRA due pareti trasparenti E sormontato DA UN muschioso giardino METROPOLITANO progetto di Dominique Perrault Architecture
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Uno scorcio della scalinata monUmentale, Un anfiteatro per gli incontri informali degli stUdenti; le sezioni lUngo il lato maggiore evidenziano il rapporto tra il livello della città e il livello ribassato del campUs. il progetto si trova nel qUartiere Universitario di seoUl e contiene Una serie di attrezzatUre per lo stUdio ma anche per gli Uffici dell’amministrazione, spazi commerciali e per lo spettacolo.
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N
ell’ambito degli edifici per la cultura il campus universitario rappresenta un caso di particolare interesse perché oltrepassa la dimensione del monumento, tipica del teatro o del museo, per raggiungere quella di un vero e proprio sistema urbano. Nel campus universitario, però, rispetto alla città, le regole e le abitudini sono un po’ diverse. È una città meno impersonale e meno concitata, più giovane ma anche più tranquilla, con una popolazione omogenea e, di solito, una rasserenante ambientazione paesaggistica. Il modello nasce nei college inglesi e si consolida negli States con i prestigiosi campus della Ivy League, come Harvard e Yale, dove la città e il parco si compenetrano in diverse combinazioni urbane.
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Le ampie vetrate e Le superfici rifLettenti rafforzano L’iLLuminazione naturaLe degLi spazi che affacciano suLLa vaLLe, artificiaLe, deL campus.
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in queste pagine, i percorsi e gli spazi comuni di un edificio ibrido, in cui si mescolano funzioni diverse. gli interni e gli esterni collaborano, in eguale misura, alla vita sociale del campus.
Dominique Perrault ha costruito la nuova sede dell’università femminile di Ewha, a Seoul, portando all’estremo limite l’antico rapporto tra campus e natura e, ovviamente, lo ha fatto nel modo che più gli appartiene. Cinquantotto anni, di Clermont-Ferrand ma con studio, dal 1981, a Parigi, Perrault si è imposto al grande pubblico con la Très Grande Bibliothèque di Parigi, un enorme edificio pubblico stilizzato nell’immagine delle quattro torri angolari che simboleggiano quattro libri aperti. La ricetta di Perrault è trasformare l’edificio in elemento scultoreo a grande scala attraverso un’estrema semplificazione della forma. Nella biblioteca vince l’allusione figurativa al libro mentre, in un altro progetto molto interessante, il centro sportivo di Berlino, gli edifici sono ridotti a grandi sculture geometriche,
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un disco e un parallelepipedo coperti di griglia metallica e incassati nel terreno verde. Nel campus coreano l’idea è più paesaggistica e meno astratta: l’edificio è cancellato, o perlomeno è tradotto in un vuoto, un taglio alla maniera di Lucio Fontana che incide il terreno della città e vi sprofonda per poi risalire e riallinearsi con la quota urbana. Un gesto semplice, emozionale e concettuale insieme, che diventa il tema attorno a cui ruota tutta l’organizzazione del campus. Collocato all’interno del quartiere universitario di Seoul, il progetto realizza un insediamento complesso con spazi per lo studio e per le attività sportive, biblioteche e posti di ristoro per ventimila studenti, ma anche un centro amministrativo e commerciale con cinema, teatro, altre attrezzature per lo sport e un parcheggio di 20.000 metri quadri.
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Il centro di tutto, naturalmente, è il solco, che sembra ispirato da un capolavoro della Land Art americana, il Double Negative scavato da Michael Heizer nel deserto del Nevada. Ma, guardando da vicino, si scopre che l’incisione genera uno spazio ad alta intensità urbana che forse è anche tipicamente europeo, una specie di Rue de Rivoli, una rue corridor, come diceva Le Corbusier, ridotta all’osso, cioè un canyon tra due courtain wall che si specchiano uno nell’altro. I tetti giardino, opera dello studio coreano CnK, portano in mezzo alla città una natura ricca di biodiversità ben intonata al segno forte e radicale dell’architettura di Perrault. In questo modo, l’intervento trova il proprio equilibro all’interno della città con una risposta che riesce a eguagliare, per semplicità ed energia, la durezza del paesaggio urbano circostante e, nello stesso tempo, si pone come un grande atrio di accesso all’edificio esistente, costruito nel 1935. L’università di Ewha è infatti un pezzo importante della storia culturale del Paese: fondata da una comunità metodista americana che, nel 1886, aprì la scuola con una sola studentessa iscritta, oggi rappresenta il top dell’educazione femminile ed è qui che si forma buona parte della classe dirigente coreana.
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La vita universitaria richiede spazi d’uso coLLettivi animati e fLessibiLi; sLarghi e percorsi che, a causa dei Limiti imposti daL contesto urbano, sono ricavati aLL’interno deLL’edificio.
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Verso la città, il percorso ribassato emerge con una lunga rampa in pendenza; Verso l’edificio dell’uniVersità il rapporto è più stretto, grazie all’ampia gradinata che diVenta un luogo di aggregazione spontanea per gli studenti.
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L’IMPONENTE STRUTTURA DEL METROPOL PARASOL HA TRASFORMATO IN MODO RADICALE LA PLAZA ENCARNACÍON USATA PER ANNI COME UN PARCHEGGIO. LA STRUTTURA DI LEGNO LAMELLARE E ACCIAIO CON COLLANTI EXTRA STRONG È SOSTENUTA DA UNA SERIE DI COLOSSALI ELEMENTI CILINDRICI.
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A Siviglia, in SpAgn A, nell A centr Ali SSiMA plaza encarnacíon, è St Ato co Mplet Ato il Metropol parasol, unA Sort A di gigantesca struttura organica c hi AMAt A A definire il nuovo spazio pubblico multifunzionale che rilegge, Allo Ste SSo te Mpo, l A tr Adizione delle piazze coperte e dei mercati spagnoli reinvent Andone figur A e tipologi A progetto di Jürgen Mayer H. Architects
Met ropol parasol progetto del Museum Antiquarium di Felipe Palomino foto di Fernando Alda testo di Matteo Vercelloni
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e si può leggere il progetto vincitore del concorso internazionale bandito dall’Amministrazione del capoluogo andaluso nel 1994, e vinto dal tedesco Jürgen Mayer H., come il riuscito tentativo di produrre quell’aspettativa data dal gesto architettonico di sicuro successo di pubblico – in grado di sedurre i visitatori come nuova ‘attrazione urbana’ , secondo quel filone ‘iconico’ che va dal Guggenheim di Bilbao al MAXXI di Roma – in realtà l’intervento in questo spazio pubblico nevralgico per la città contiene indicazioni di grande interesse, al di là della
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riuscita autorefenzialità d’insieme. L’idea di fare ombra sugli spazi pubblici delle città del mediterraneo è stata tradotta in vari modi e a Barcellona nel 1883, all’interno del Parc de la Ciutadella, l’architetto Josep Fontserè i Mestre costruì un edificio che nel nome ben sintetizzava questo concetto: umbracle. Un padiglione monumentale contenuto da due facciate di mattone riccamente lavorate e con una copertura a volta composta da listellli metallici tra loro paralleli, chiamati appunto a ‘fare ombra’ e a rendere gradevole e ventilato lo spazio interno.
Sopra una viSta aerea dell’inSerimento del Metropol parasol nel teSSuto Storico della città. pagina a fianco, viSta al tramonto della Struttura SoSpeSa e dei pilaStri lamellari illuminati.
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Il progetto di Mayer amplifica di scala tale concetto, diventando una struttura urbana emergente che restituisce lo spazio alla città e ridisegna la piazza – occupata sino a poco tempo fa da un parcheggio a raso – offrendo nuove funzioni collettive all’ombra di una grande struttura di legno lamellare e acciaio, ingegnerizzata dallo studio Arup, che scandisce percorsi e nuove attività. Sei grandi elementi a fungo si ergono dalla piazza tramite dei fusti cilindrici caratterizzati da una prima fascia di cemento raccordata alla pavimentazione che contiene i ‘tronchi’ lamellari di sostegno. Crescendo verso l’alto e allargandosi ad ombrello
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rovesciato i grandi funghi si collegano tra loro ad un’altezza di circa trenta metri dal livello stradale. Qui, in copertura, si offre un ristorante sospeso e una sinuosa passeggiata panoramica che ricorda quella pensata da Gaudì tra i camini-guerrieri sul tetto della Pedrera barcellonese. L’imponente struttura porosa pensata da Mayer, sorta di allusiva cattedrale laica per la città, se da un lato offre un largo riparo dal sole estivo, dall’altro rilancia la dimensione dello spazio pubblico dove la piazza storica si offre come possibile nuovo centro urbano, in un serrato e voluto confronto tra gesto contemporaneo e tessuto storico.
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Il MuseuM AntiquAriuM, rIcavato nel sottosuolo della pIazza è stato progettato da FelIpe palomIno. l’ambIente è stato mantenuto unItarIo In modo da permettere Il colpo d’occhIo sull’Intero scavo archeologIco. vetrate a tutt’altezza contengono lo scavo e Il percorso sospeso dI vIsIta, creando uno ‘spazIo nello spazIo’ separato daglI elementI strutturalI del Metropol pArAsol soprastante.
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Alcune viste del MuseuM AntiquAriuM. l’illuminAzione dello scAvo vAlorizzA le rovine e si contrAppone in sintesi unitAriA AllA luce colorAtA che dipinge le vetrAte perimetrAli.
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Un dialogo che si radica anche nel sottosuolo dove i colossali pilastri circolari, forniti all’interno di servizi e impianti ascensore per la salita, non interferiscono con le rovine romane venute alla luce durante scavi precedenti e oggi visitabili nell’interrato. Qui la formazione del nuovo Museum Antiquarium permette di osservare le antiche tracce romane. Il Museo è stato progettato dall’architetto Felipe Palomino che ha evidenziato, in uno spazio unitario scandito da setti vetrati, la sequenza degli episodi archeologici tra loro legati in un percorso continuo. L’area di scavo è contenuta dallo schermo continuo di vetro a tutt’altezza, attivato
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da fasci di luci colorate provenienti dal corrispondente taglio nel soffitto, che sottolineano lo stacco tra la parte museale e le zone occupate dagli elementi strutturali della costruzione soprastante. Il Metropol Parasol si riconduce così da un lato alla memoria della cattedrale della città e alle sue slanciate volte interne, ma anche agli alberi secolari della vicina plaza de Cristo de Burgos; stimoli uniti nella sintesi volumetrica e compositiva di una sorta di grande architettura estroversa, priva di chiusure verticali, aperta in modo totale all’uso di cittadini e turisti. Oltre al Museo archeologico sotterraneo nella
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zona rialzata della piazza è stato ricavato un mercato comunale coperto e una galleria commerciale. Sulla loro copertura piana, parte della piazza sottostante e ad essa collegata con una grande gradinata, è previsto un podio per concerti all’aperto e uno spazio per mostre culturali ed eventi en plen air.
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MAS
AD Anversa, IN BELGIO, IL NUOVO museo sull’acqua, DINAMICA TORRE DI PIETRA ROSSA E VETRO, SI IMPONE CON LA FORZA progetto architettonico di DI UN landmark Willem Jan Neutelings & Michiel Riedijk architettonico NEL CONTESTO DEL porto RECENTEMENTE recuperato, PROPONENDOSI COME NUOVO crocevia DI itinerari culturali-artistici E DI ROTTE URBANE foto courtesy MAS museum testo di Antonella Boisi
UNA SUGGESTIVA VISTA DELL’ARCHITETTURA ESTERNA DEL MAS, IL MUSEO SULL’ACQUA DI ANVERSA. PAGINA ACCANTO: IL VOLUME CHE ACCOGLIE LO SPAZIO D’INGRESSO DA CUI SI SVILUPPA IL SISTEMA DELLE SCALE-MOBILI CHE COLLEGA I NOVE LIVELLI DELL’EDIFICIO. DENTRO E FUORI, IL RIVESTIMENTO È REALIZZATO CON UN UNICO MATERIALE: UNA PIETRA SABBIATA ROSSA DI ORIGINE INDIANA COMPOSTA SECONDO UN PATTERN DI QUATTRO TONALITÀ ELABORATO AL COMPUTER. INTERROTTO SOLTANTO DAL RITMO DELLE SINUOSE VETRATE A TUTTA ALTEZZA, REALIZZATE CON SPECIALI PRODOTTI DELL’ITALIANA SUNGLASS. CORONANO LE PARETI, LE STILIZZATE MANI DI ALLUMINIO CHE REINTERPRETANO UN POPOLARE SIMBOLO DI ANVERSA IN CHIAVE DECORATIVA.
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H
anno vinto nel 2000 il concorso internazionale per la realizzazione del MAS (acronimo di Museum aan de Stroom), il museo sull’acqua di Anversa. E al loro primo progetto museale (un secondo, in fieri, è a Cincinnati), Willem Jan Neutelings e Michiel Riedijk, partner dal 1992 dello studio di Rotterdam Neutelings Riedijk Architects, hanno dimostrato che si può affrontare la sfida in modo convincente, ottimizzando le proprie
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peculiarità. Quali il modo di trattare le superfici in architettura, all’interno di un modello di riferimento ideale che resta “Vitruvio e i suoi paradigmi di firmitas, fruitas, venustas” ha spiegato Willem Jan Neutelings. L’abbecedario, dunque, di una stabilità costruttiva che regge tutto, di una fruibilità pragmatica e di una bellezza possibile. Così l’impegnativo compito di immaginare il nuovo ‘deposito’ delle principali collezioni fiamminghe di arte (in primis, i capolavori pittorici dei grandi, da Rubens a van Dyck) e poi archeologia, folclore, etnografia, costume e marineria (per un totale di 470.000 pezzi), nell’area a nord del porto fresca di
bonifica, è diventato l’ulteriore banco di prova per sperimentare le potenzialità espressive dei materiali. Applicate alla composizione architettonica di una scultorea torre di 65 metri di altezza, formata da 10 scatole sovrapposte su nove livelli, ciascuna ruotata di 90° rispetto all’altra “per catturare la luce e le viste migliori, in una relazione dinamica con il contesto”. Un materiale in particolare è stato eletto fonte di ispirazione: una pietra rossa indiana, proveniente dal Rajasthan, dall’effetto corrugato, declinata in quattro tonalità composte in percentuale secondo uno schema elaborato al computer, una mélange dai toni chiari e scuri priva di monotonia percettiva.
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anver sa, museo sull’acqua
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nella composizione architettonica, ciascun livello risulta caratterizzato da una spazialità aperta e ininterrotta e dalla continuità delle pareti vetrate a tutta altezza su tre lati, un belvedere straordinario sul paesaggio esterno. il vuoto del cavedio centrale definisce un ulteriore cannocchiale visivo interno sviluppato in sezione. si notano i medaglioni della città ideale Waar Water Waakt, opera in metallo di tom hautekiet e tom lanoye, che punteggiano pavimenti, pareti e soffitti dell’involucro in pietra. le pareti illuminate lungo il mas boulevard sono oggetto di un progetto di arte contemporanea firmato da anne-mie van kerckhoven. in basso, veduta dall’alto della piazza quadrata antistante il museo e ad esso raccordata, con l’opera DeaD Skull di luc tuymans realizzata in mosaico.
Dentro e fuori, tutto è stato realizzato con questa pietra monolitica: fronti, pavimenti, muri e soffitti. E se “la pietra diventa il segno di una continuità con la storia: ricorda i mattoni che formano le disomogenee cortine edilizie delle antiche case di Anversa ed enfatizza la monumentalità del luogo che, come una preziosa necropoli, accoglie reperti di un glorioso passato”, il contraltare, l’apertura alla vita e alle luci della città contemporeanea, è rappresentato dalla pelle vetrata che tampona i volumi di ogni piano su tre lati, definendo dei veri e propri ‘spaziacquario’ trasparenti.
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Equipaggiati con essenziali panche in granito nero pensate per i momenti di sosta-belvedere verso il paesaggio esterno e verso la piazza antistante l’ingresso del museo (segnata dall’artistica pavimentazione in tessere di granito di Luc Tuymans), che si raccorda e si integra al padiglione indipendente del bookshop, nonché ad altre tre strutture ricettive disegnate da Crepain Binst Architecture. Le cortine vetrate a tutta altezza e forma ondulata, realizzate con speciali prodotti dell’italiana Sunglass, partecipano alla sontuosità del risultato. Fuori, la figura complessiva dell’edificio richiama infatti l’immagine di una costruzione-lego sfalsata tra pieni e vuoti, trasparenze e opacità: “una casa che evoca la dimensione del porto e la sua accoglienza, nella proposta di un nuovo landmark-lovemark di incontri e scambi simbolici-reali tra Anversa e il
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mondo”. Dentro, invece, tutto sostanzia e dà valore all’asse di riferimento visivo e funzionale centrato sulla promenade verticale strutturata con una sequenza di scale mobili affiancate in salita/ discesa a partire dall’ampio spazio reception del piano terra. “Il MAS boulevard, quasi una sorta di spirale labirintica su nove livelli, accompagna il visitatore” spiega Neutelings “alla scoperta delle varie sale, come nel racconto di Alice nel Paese delle meraviglie”. In compagnia di pochi elementi ornamentali, dall’accento ironico. Come le 3185 mani di alluminio stilizzate che punteggiano le pareti esterne, reinterpretando un noto simbolo di Anversa (la mano del gigante tagliata e gettata nella Schelda dal legionario romano Brabo); o ancora i medaglioni in metallo che portano incisi, su pavimenti, muri e soffitti, versi di Tom Lanoye “una poesia circolare senza inizio e fine, un ode al
porto, al fiume e al mondo, sulla planimetria di Palmanova, città ideale del Rinascimento italiano, ridisegnata da Tom Hautekiet; e infine le interpretazioni grafiche site-specific delle quinte luminose di Anne-Mie Van Kerckhoven. La scenografia degli interni porta la firma dello studio locale B-architecten: ogni piano presenta un layout che si ispira al tema espositivo proposto con un approccio narrativo cinematografico e teatrale nella sequenza delle zone wake-up, introduzione, focus, wow, concentrazione, conoscenza e feedback dei visitatori. Fino all’ultimo livello, dove si trova il ristorante ‘t Zilte, progetto d’interni di Vittorio Simoni e cucina dello chef Viki Geunes, (stella Michelin), che apre su una straordinaria terrazza belvedere: dà li, Anversa, il suo porto e il fiume Scheldt restano davvero i protagonisti assoluti.
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ANVERSA, MUSEO SULL’ACQUA / 23
ALCUNE SALE ESPOSITIVE ALLESTITE A TEMA SECONDO IL PROGETTO DELLO STUDIO B-ARCHITECTEN DI ANVERSA. OGNI SCENOGRAFIA PRESENTA UN LAYOUT SPECIFICO, MA RICORRENTE NELLA SEQUENZA DELLE ZONE: WAKE-UP, INTRODUZIONE, FOCUS, WOW, CONCENTRAZIONE, CONOSCENZA E FEEDBACK DEI VISITATORI. IL MAS ACCOGLIE 470.000 PEZZI TRA ARTE, ARCHEOLOGIA, FOLCLORE, ETNOGRAFIA, COSTUME E MARINA, PROVENIENTI DALLE PRINCIPALI COLLEZIONI DELLA CITTÀ DELLE FIANDRE.
LO SPAZIO-CAFFÈ DEL MAS PROGETTATO DALL’ARCHITETTO KURT HEREYGERS, CON UN’ATTENTA CURA ALL’ ACCOSTAMENTO DEI MATERIALI.
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Le aLi deLLa Legg enda
foto e testo di Sergio Pirrone
in Cile, ne LL’isla Chiloé, La Regione d ei Lag h i, Casa en Punta Chilen, un oggetto a RCh itettoni Co di gRande impatto espressivo e sensoriale in un Paesaggio invio Lato progetto di dRN Architects / Max Núñez e Nicolás del Rio
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l’ architettura messa a punto dai giovani cileni di drn arquitectos si impone nel paesaggio locale con la forza di due grandi ali rosse d’acciaio corten che coprono con lunghi spioventi la complessa geometria dei volumi sottostanti (con pianta decagonale al primo livello e pentagonale al secondo).
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campo e controcampo dell’area living al secondo livello, uno spazio aperto in pianta e compresso in alzato che riunisce in un unico ambiente cucina-pranzo-salone.
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enten Vilu e Caicai Vilu crearono l’arcipelago di Chiloé, mentre Millalobo e la regina Huenchula, il principe Pincoy e la sirena chilota, si prendevano cura dei mari e dei loro pericoli. Quella della Grande Isola di Chiloé è una storia di miti e di leggende nati dalla fusione della cultura indigena dei Mapuche con quella dei conquistatori spagnoli. Magia e superstizione hanno da sempre avvolto questa terra separata dal continente, immersa costantemente nella nebbia fitta. Situata nella Regione dei Laghi, la quinta isola più grande del continente sudamericano si estende su colline ondulate inverdite dalla pioggia persistente, circondata dal passaggio delle balene, oltre un orizzonte variabile. L’oceano spesso in tempesta, il vento che tira forte, la marea che varia di otto metri, modificano ciclicamente la costa dura e frastagliata.
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campo e controcampo dell’area living segnata da pareti vetrate a tutta altezza che abbracciano il panorama esterno.
Sbarcati nel porto settentrionale di Ancud, la strada si fa presto sterrata, le abitazioni si diradano, le poche case di villeggiatura delimitate da staccionate di legno, alcuni cavalli liberi. Lungo la costa, verso nord-est, s’incontra la salmoniera, dalla penisola, una lingua di terra chiamata Punta Chilen, la vista è un girotondo. Dalla spiaggia di ciottoli grigi, nei pochi giorni limpidi, si distingue l’imponenza Andina e i suoi vulcani ancora attivi. Socchiuse, sotto il planare dei gabbiani capobruno, due grandi ali rosse d’acciaio corten, riposano su un trampolino nero. Pronte a prendere il volo sotto il forte vento, colorano un oggetto architettonico estraneo a un paesaggio così inviolato. Ultima arrivata in un
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sito con case lignee panoramiche, Casa en Punta Chilen è opera di Max Núñez e Nicolás del Rio, giovani cileni di dRN Arquitectos. In bilico nel dilemma tra integrazione e affermazione di sé, i due architetti ingabbiano una nuova relazione tra spazio architettonico e ambiente naturale dentro una geometria decagonale irregolare scandita da una densa ripetizione ritmica di verticali nere. Poggiata su un tavolato ligneo, a volersi distanziare da ciò che la circonda, la piattaforma del primo livello, modulata da 91 colonne rettangolari, alloggia la zona notte con le tre stanze da letto ed i servizi. Il frazionamento della facciata libera la pianta e frammenta la percezione di sé e di ciò che sta
oltre. Il paesaggio diventa un rullo di diapositive verticali in sequenza progressiva, mentre il giorno scorre tre le ombre allungate sul parquet. Al secondo livello, la planimetria rimane irregolare ma il decagono diventa un pentagono delineato da una rete strutturale di acciaio. La contrapposizione è netta, lo spazio si apre in pianta, si comprime in alzato, fugge verso la linea del tramonto. L’ambiente unico cucina-pranzosalone si oppone al piano orizzontale tipico dell’isola e, sotto la copertura tettonica dai quattro spioventi allungati in acciaio corrugato, osserva i lunghi giorni di pioggia oltre la terrazza. Nella nebbia e nel vento i gabbiani spiegano le ali, indifferenti.
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la zona notte ospitata al primo livello, modulata da 91 pilastri a sezione rettangolare e formata da tre stanze da letto con relativi servizi. la contrapposizione tra la rete strutturale di corten nero e l’involucro ligneo che uniforma pavimenti-pareti-soffitti valorizza le linee dell’arredo realizzato su disegno dei progettisti. ricorrente in tutta la casa, è enfatizzata su questo livello dall’irregolare planimetria decagonale.
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Portan o le firme di t adao ando e Shigeru Ban, le due case d’eccellenza affacciate Sulle spiagge dell’oceano indiano, nell’i Sola dello Sri l anka, eletta a buen retiro di una famiglia belga attiva nei mondi dell’ imprenditoria, del design e dell’ arte. una Storia dai tanti fil rouge, come ci ha raccontato Jacob Pringiers, uno dei Suoi protagonisti testo di Antonella Boisi
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la spiaggia nella baia di welligama sull’oceano indiano, ai piedi del promontorio roccioso dominato dalla casa-cannocchiale progettata da tadao ando. in questa località si trova anche un’altra celebre casa firmata negli anni novanta dall’ architetto geoffrey bawa.
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ppaiono straordinarie queste case sul mare, immerse nella vegetazione tropicale e costruite su un promontorio roccioso. Entrambe si trovano nella zona a sud dell’isola. Dominano dall’alto l’Oceano Indiano e la baia di Weligama con le sue spiagge, sia quella progettata da Tadao Ando che quella firmata da Shigeru Ban. In un paesaggio di palme e di verde selvaggio, si impongono come possenti monoliti alleggeriti dalle geometrie elementari, lunghe e strette, dei volumi che vivono un rapporto dinamico tra dentro e fuori, inondati di una luce che ne incide, scolpisce, ridisegna gli spazi. Siamo nel contesto più autentico dell’architettura cingalese. Proprio a Mirissa si trova la Pradeep Jayewardene house realizzata nel 1997 da Geoffrey Bawa (1919-2003), architetto locale di fama internazionale (esemplare il suo Kandalama Hotel a Dambulla,1991-94). E Bawa docet. Se pochi come lui hanno interpretato il genius loci delle case urbane tropicali e raggiunto un’armoniosa fusione tra tradizioni costruttive locali e aggiornato vocabolario (sintesi di stili vernacolari-forme della modernità-risposte adeguate al clima), di fatto, le matrici fondative delle architetture contemporanee locali restano quelle da lui indicate: il tetto (protettivo ed enfatico), il pavimento, lo schema dei portici protetti, gli spazi intermedi tra interno ed esterno, le corti aperte e semiaperte. Non fanno eccezione le due case ai tropici d’oriente progettate dai maestri dell’architettura giapponese, Tadao Ando e Shigeru Ban chiamati a contenere con rigore nipponico l’esuberanza della natura del luogo.
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Qualcuno riesce a realizzare il sogno: conquistare un pezzo di terra e costruirvi la casa ideale. “La mia famiglia ha lasciato l’Italia per l’isola dello Sri Lanka cinque anni fa” racconta Jacob Pringiers, nato a Gant nel 1970, designer e imprenditore per passione. Un autentico globetrotter trasversale, che, dopo un denso percorso formativo tra l’Italia, la Svizzera e la California, nel 1996 apre uno studio di design a Milano insieme a Luca Casini, collaborando con aziende quali Luxottica, Colgate Palmolive, Wmf, Nike, Riva, Asa-Selection, Sessa Marine, e dal 2002, con un proprio studio in città, coltiva nuovi clienti e progetti (da BRF a Desalto, da Durlet a Elica e DePadova, www.jacobpringiers.com). “Ma il mare resta la mia grande passione, così non ho dimenticato l’isola dello Sri Lanka, dove ho vissuto nove anni da bambino e dove nel frattempo si era stabilita la mia famiglia d’origine. Nel 1981 mio padre apre la sua azienda di produzione di pneumatici industriali vicino alla baia di Weligama, dove acquista anche un terreno con l’idea di costruirvi la sua nuova casa. Mio fratello che lavora con lui, fa lo stesso. A Bruxelles resta mia sorella che lavora con DNA Lab. Il catastrofico evento dello tsunami,
provocato dal terremoto di Sumatra, nel 2004, sconvolge tutto e porta una brusca interruzione ai loro progetti. Ma alle ceneri segue una rinascita. Dopo lo tsunami, con spirito filantropico, mio padre fonda il BAFF (Building a Future Foundation) che si rivela un aiuto concreto per tante famiglie: costruisce 750 abitazioni, apre centri di formazione per imparare nuovi mestieri (come riparare barche da pesca), disegna la possibilità di ripensare molte vite. Tre anni fa, con un socio, si fa coinvolgere in un progetto di sviluppo e realizzazione di imbarcazioni d’avanguardia. Nasce la Barramundi Boatyard che utiizza le più avanzate tecnologie produttive per varare catamarani di oltre 14 metri in grado di affrontare gli oceani e il giro del mondo”. In parallelo, nel 2006 inizia il progetto di Tadao Ando per la casa-atelier dei genitori di Jacob, l’imprenditore Pierre Pringiers e la moglie artista Saskia Pintelon, e l’anno dopo la casa di Koenraad Pringiers, il fratello, che sceglie Shigeru Ban come architetto di riferimento. Il nostro dà il suo contributo: per seguire i progetti d’arredo di Ando e Ban, trasferisce in Sri Lanka figli e moglie, Eveline Patteeuw, un nome noto nello star system della moda milanese, che lo segue in
questa avventura. Inaugura a Colombo, nella capitale, un nuovo studio e insieme a Nick Top (proprietario di Top Mouton in Belgio) fonda la Stem Lanka. “I miei genitori” continua “avevano già avuto modo di apprezzare lo stile essenziale, l’alta precisione, la ricerca di materiali e finiture della Top Mouton, che aveva arredato le loro case in Belgio e a Port-Grimaud in Francia e che commercializza in Europa gli arredi disegnati dal compianto Maarten van Severen (Anversa, 1956 – Gand, 2005)”. Gli interni dell’architettura di Ando sono disegnati da Top Mouton e realizzati in Sri Lanka proprio dalla Stem Lanka. Jacob, insieme a una trentina di operai specializzati, segue lo sviluppo, la produzione e la messa in opera dei mobili, caratterizzati da un’alta qualità realizzativa. Poi nel 2007 studia la definizione dei mobili progettati da Shigeru Ban per la casa del fratello e disegna personalmente dei pezzi prodotti sempre dalla Stem Lanka. L’anno dopo, ancora in società con Nick Top, nasce il nuovo brand della Aiki “con la volontà di offrire al mercato” spiega “arredi connotati da un buon design, ma a prezzi più accessibili, che vengono fabbricati con gli stessi impianti della Stem Lanka”.
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Lo specchio d’acqua deLLa piscina, contenuta a fiLo deL piano di copertura, sembra protendersi verso La Linea deLL’orizzonte. La casa immersa neLLa vegetazione tropicaLe vista da sud est. pagina a fianco, La scaLinata d’accesso agLi spazi di soggiorno semi aperti deL terzo e uLtimo LiveLLo, concepiti come beLvedere suL paesaggio. neL disegno: iL pLanivoLumetrico deLLa casa costruita su un grande promontorio roccioso.
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ella casa progettata da Tadao Ando, gli arredi disegnati da Top Mouton e realizzati da Stem Lanka in Sri Lanka si rivelano azzeccati. La texture nuda e cruda dell’involucro architettonico ne valorizza l’essenzialità, enfatizza anche la coerenza e lo spirito autentico di certi pezzi pensati da Maarten van Severen. “Abbiamo lavorato in simbiosi” dice Jacob Pringiers “in particolare curando il trattamento dei materiali con cui sono realizzati i mobili destinati a un clima umido e soggetto a pesanti monsoni. È stato scelto l’alluminio che, trattato in modo opportuno, ha una certa resistenza. Anche le porte sono in alluminio. Pochi altri pezzi, disegnati e realizzati appositamente in teak, formano il corollario dell’architettura dove anche il cemento armato risulta finito in chiave anticorrosiva”.
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progetto di Tadao Ando Architect & Associates
architetti locali PWA Architects, Kiyoshi Aoki, Yukio Tanaka interior designer Top Mouton/Nick Top, Jacob Pringiers foto di Edmund Sumner
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leggere feritoie verticali interrompono l’involucro di cemento orientato a nord-est che introduce agli ambienti di soggiorno a doppia altezza. la texture nuda e cruda dell’architettura valorizza l’essenzialità degli arredi realizzati da stem lanka in sri lanka. una stanza da letto per gli ospiti di austerità monacale con bagno dedicato.
pagina a fianco, il volume dell’atelier di saskia pintelon, pittrice figurativa di notorietà internazionale, visto dalla piscina all’ultimo livello dell’abitazione. lo spazio a doppia altezza è segnato dalla parete vetrata oversize che incornicia il paesaggio come un quadro mutevole.
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Ando, che, di recente, in qualità di designer, si è confrontato con il vetro in una serie limitata di vasi per Venini, ha lavorato alla casa cingalese con la sua materia d’elezione: il cemento, plasmato con la sapienza di un gioco compositivo che lascia agli incastri dei setti verticali e orizzontali modulati sulla misura dei casseri il compito di realizzare l’alchimia: definire volumi in linea (introversi a nord e a est, interrotti solo da chirurgiche feritoie, estroversi a sud e a ovest), sviluppati su piani sfalsati che, seguendo l’orografia del terreno, introducono spazi ibridi tra i vari livelli delle coperture e restituiscono allo
spazio centrale il ruolo di fulcro visivo e distributivo, filtro di accoglienza degli ambienti domestici. Nel seminterrato i servizi, al piano terra la residenza principale, e ancora sopra le stanze per gli ospiti. Tre piani per un grande guscio che media il modo di vivere orientale e occidentale, proiettando gli spazi di soggiornobelvedere all’aperto verso il mare; gli ambienti interni a doppia altezza come il suggestivo atelier di Saskia Pintelon, pittrice figurativa di notorietà internazionale (www.saskiapintelon.com), verso la vegetazione tropicale; e la piscina in copertura verso l’incontro con la linea dell’orizzonte.
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la seconda
casa raccontata da Jacob pringiers, che ha curato la realizzazione del progetto d’arredo, lavorando in stretta simbiosi con l’arch itetto giapponese s higeru ban
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progetto di Shigeru Ban Architects foto di Hiroyuki Hirai
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Lo spazio semiaperto che accogLie gLi ospiti con iL Lungo tavoLo conviviaLe daL piano in teak e La base in paper tubes su disegno di shigeru ban. si notano i soffitti reaLizzati in teak intrecciato e inchiodato e Le partizioni verticaLi Lignee che integrano arredi fissi, infissi e persiane concepite come fiLtro di contenimento deLLa Luce diurna. pagina a fianco: La casa costruita suL promontorio e immersa neLLa vegetazione tropicaLe, tra La scogLiera rocciosa e La baia di WeLigama.
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el 2007, Jacob Pringiers si occupa del progetto d’arredo della casa firmata da Shigeru Ban, che, tutto su disegno, risulta caratterizzato da pezzi in teak prodotti in Sri Lanka sempre dalla Stem Lanka. È il preludio di un altro racconto a tema. Tra catastrofi naturali, nuove speranze di vita e di futuro, progetti privati e sociali, lo introduce la riflessione di un indiscusso maestro inglese dell’architettura minimale: “Costruiamo per proteggere noi stessi dalla natura: gli edifici ci aiutano a rimanere all’asciutto, al freddo e al caldo. Avendo raggiunto questa condizione protetta, cerchiamo di reintrodurre in modo controllato gli elementi da cui cerchiamo riparo, perché sono questi stessi elementi che danno significato alla nostra esistenza: un caldo raggio di sole, la brezza dell’alba, una vista sull’oceano”. (David Chipperfield, Theoretical Practice, Londra, 1994). La villa nella baia di Weligama pensata da Shigeru Ban, con una diversa grammatica linguistica e una palette materico-cromatica più naturale e romantica (il cemento a vista è accostato a una pietra chiara locale e al legno di teak) rispetto a quella di Tadao Ando, segue però lo stesso schema compositivo. Essenziale e funzionale alla mission: “la casa si trova sul promontorio della collina che guarda l’oceano e tutto – pavimenti, muri e soffitti – è stato costruito per mettere a fuoco tre precise viste” spiega Shigeru Ban.
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Il tetto protettIvo ed archetIpo deglI huts, Il pavImento protagonIsta, lo schema del portIco protetto, glI spazI IntermedI tra Interno ed esterno, la corte aperta: la composIzIone archItettonIca dI shIgeru Ban Interpreta Il genius loci delle case urBane tropIcalI dIsegnate da geoffrey Bawa (1919-2003), raggIungendo un’armonIosa fusIone con le tradIzIonI costruttIve e formalI localI. In prImo pIano, Il brise soleil In cemento a vIsta trattato In chIave antIcorrosIva.
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Il gIoco delle scale Interne Introduce la scoperta della pIscIna-belvedere al lIvello superIore. I volumI abItabIlI sono svIluppatI su tre pIanI sfalsatI con una spazIalItà aperta e contInua nelle zone collettIve. dal gIardIno, veduta d’InsIeme deI volumI archItettonIcI. In prImo pIano l’Involucro lIgneo quadrato che accoglIe lo spazIo della camera da letto prIncIpale. Il dIsegno dell’esploso assonometrIco spIega l’artIcolazIone della casa: una grande scatola rettangolare, con I latI maggIorI fronte e retro apertI verso Il mare e la vegetazIone tropIcale e I due latI cortI chIusI da settI murarI su cuI sI Innestano I volumI destInatI aglI spazI prIvatI, dI servIzIo e deglI ospItI. una vIsta laterale dello spazIo semIaperto dell’ ultImo lIvello con la terrazza coperta che sI prolunga senza soluzIone dI contInuItà nella pIscIna vIsta oceano. glI arredI In teak su dIsegno dI shIgeru ban sono svIluppatI e prodottI da Stem lanka.
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La prima è la vista dell’oceano tra la vegetazione tropicale a valle, restituita attraverso il percorso esterno che disegna un asse perpendicolare rispetto al corpo di fabbrica principale e che, movimentato da giochi di quota e di scale lineari, si eleva fino a raggiungere il livello di copertura dell’edificio. La seconda è la vista dell’oceano in cima alla collina, inquadrata attraverso l’ampio taglio orizzontale del piano di copertura. La terza è la vista della scogliera infiammata di rosso durante i tramonti, incorniciata attraverso la scatola interamente foderata di legno massello, che accoglie lo spazio della camera da letto principale, innestandosi sul corpo di fabbrica principale attraverso un volume-ponte. La composizione d’insieme si integra con discrezione nel contesto naturale. Un percorso d’acqua a filo del pavimento, carico di un significato simbolico orientale di purificazione, circonda e rinfresca naturalmente, su tre lati, l’ingresso all’edificio principale, segnato dal tetto a capanna, che articola sotto l’area lounge-pranzo e sopra quella del living room. Alla sua sinistra si sviluppa il volume che accoglie le camere per gli ospiti, sulla destra si trova invece il volume della master bedroom. Le coperture, reticolati di travi metalliche a forma triangolare
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che sostengono pannelli di cemento che proteggono dall’acqua e dall’umidità, sono state poi rivestite con foglie di palma intrecciate, un sistema abitualmente adottato per gli steccati di confine delle proprietà e per i tradizionali tetti delle case dei pescatori (gli Huts). Le partizioni verticali e gli infissi con chiusure a persiana in legno di teak definiscono un efficace filtro di contenimento alla forte luce del giorno per gli ambienti interni, dove i soffitti realizzati sempre in teak intrecciato e inchiodato armonizzano con gli arredi perlopiù integrati nella struttura architettonica. Fatta eccezione per il lungo tavolo con piano in teak e base in paper tubes (un classico di Shigeru Ban) che accoglie gli ospiti.
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nella pagina accanto: giuseppe arcimboldo, testa delle quattro stagioni dell’anno, 1588-1591, olio su tavola (60,4 x 44,7 cm), washington, national gallery of art, paul mellon fund.
Il Nuovo secol o, all ’ImProvvIso…
Guarda Ndo la v Ice Nda del design attraver so I cent’anni della sua storia, co Nstat Iamo che la cultura del progetto è l’u NIca che ha attraver sato due Guerre moNdIal I, sterm INI dI massa, rIvoluz IoNI, dIttat ure, bombe atom Iche, se Nza che NIeNte abbIa t urbato la Pro PrIa autoreferenzialità: semPre sof Ist Icato, INtell IGeNte, PoI tec Nolo GIco, Il des IGN è arr Ivato a uN l Ivello dI impermeabilizzazione, lo Nta No daI t urbame Nt I dell’arte, della musIca, della letterat ura del XX secolo testo di Andrea Branzi
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entre eravamo serenamente impegnati a preparare il Salone internazionale del mobile, sicuri di essere ancora all’interno di quell’intervallo della storia dove stavamo galleggiando dai tempi della caduta del Muro di Berlino (1989), improvvisamente il mondo si è ribaltato su se stesso e il nuovo secolo è esploso senza preavviso, rivelando un volto mostruoso… Qualcuno di noi (pochi in realtà) aveva intuito che il ‘lieto fine’, che il mondo del progetto ha promesso per un secolo, improvvisamente non era più garantito. Tempi duri, violenti, guerre religiose, conflitti raziali, rivolte popolari, terremoti, maremoti, inquinamento nucleare, migrazioni di massa: in poche settimane sono emerse dai bassifondi del mare della tranquillità (increspato soltanto dalle rinfrescanti brezze delle crisi economiche) le nere scogliere di una nuova storia.
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Quando abbiamo organizzato in Triennale Bovisa Independent Design Secession (o Nature morte) sentivamo l’inquietudine di eventi minacciosi prima ancora che questi si manifestassero; questo, del resto, è il ruolo dei creativi, degli intellettuali: precedere istintivamente i sondaggi e le previsioni politiche, gettando segnali di inquietudine là dove tutto sembra dormire. Se guardiamo la lunga vicenda del design attraverso i cent’anni della sua storia, dobbiamo constatare che la cultura del progetto è l’unica tra tutte le attività creative che ha attraversato due guerre mondiali, gli stermini di massa, rivoluzioni, dittature, bombe atomiche, sconvolgimenti antropologici, senza che niente abbia turbato la propria quieta autoreferenzialità. Sempre elegante, sofisticato, intelligente e aggiornato sulle nuove tecnologie, il design è arrivato a un livello estremo di impermeabilizzazione, lontano, lontanissimo, dai turbamenti dell’arte, della musica, della letteratura del XX secolo, ha finito con assumere i processi di industrializzazione di se stesso non come uno strumento, ma piuttosto come un fine, anzi, il fine stesso ‘del progresso’. La modernità assiste sbigottita alla disintegrazione della propria severità ammonitrice, accorgendosi di aver lasciato fuori tutto ciò che non è di natura euro-centrica. L’Asia, l’Africa, le religioni, le foreste, le verdure, gli animali, la morte, la vita, la mediocrità, l’amore, la poesia, la penombra; realtà che oggi richiedono al progetto una nuova ‘drammaturgia’ e una nuova ‘felicità di vivere’ più universale. L’Europa, baluardo sicuro dell’intelligenza, del progetto e della democrazia (?), sembra essere oggi l’anello debole dell’intero ‘sistema mondo’; ma il suo pigro equilibrio, anche mentale, sta per finire. Quando la politica, l’economia e la geologia si scatenano all’unisono, producendo insieme rivoluzioni e terremoti, l’Europa perde il filo della sua logica razionale: che rapporto esiste tra la simultaneità dello tzunami, del terremoto, del pericolo nucleare, della crisi economica, della rivolta araba, delle guerre religiose e del
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nella pagina accanto: giuseppe arcimboldo, l’inverno, 1563, olio su legno (66,6 x 50,5 cm), vienna, kunsthistorische museum, gamÄldgalerie.
terrorismo mondiale? Apparentemente nessuno, ma invece – evidentemente – esistono logiche cosmiche, planetari, che non coincidono più con la nostra prudente logica antropomorfa. Lunghe stagioni di critica e di auto-critica ci attendono dunque: quando tutto è perduto, niente è perduto. Chi credesse però che il design possa ancora una volta andare avanti a colpi di divani e poltrone s’illude. Le nostre responsabilità di progettisti sono enormemente cresciute dentro ai mercati globalizzati, alle economie creative post-fordiste, dentro alle città rigide e incapaci di auto-rifunzionalizzarsi, dentro a società riformiste perennemente prive di modelli certi. Architetti, progettisti, designer, creativi, artisti, innovatori, ricercatori, sperimentatori: sveglia! Un nuovo secolo è cominciato!
in questa pagina: anonimo maestro lombardo, girifalco in tre pose, 1540-1560, olio su tela (75,8 x 100,8 cm), collezione privata.
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luc tuymans, Demolition, 2005.
La nebuLosa Tuymans di Germano Celant
Le immagini dipinTe da Luc Tuymans non si Lascian o confinare in un discor so o in un messaggio defini To, perchĂŠ i contorni si confondono e son o vag h i. La sovrapposizione d ei co Lori crea figure o paesaggi sfuocati, senza peso, quasi vo Lessero sottrarsi ad ogni determinazione
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luc tuymans, the heritage ii, 1995.
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luc tuymans, lungs, 1998.
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luc tuymans, mirror, 2005.
luc tuymans, Ballroom Dancing, 2005.
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uelle di Luc Tuymans sono pitture dove i contenuti sembrano dissolversi, senza caratterizzazione né identità. Un ritrarre misterico che sembra sfuggire ad ogni verifica che ne stabilizzi il profilo e l’esistenza. Tuymans sembra infatti far emergere le sue rappresentazioni da una regione sotterranea e nascosta del guardare e dell’osservare, scaturite quasi da un limbo che rende invisibili i contorni, quanto frammentarie le immagini. Al tempo stesso la tonalità dei colori è orientata verso una dissolvenza che ne mantiene eccitato l’occhio dell’osservatore, ma non è orientata all’evidenziazione di particolari così da lasciare molto vago il tutto. Quasi un’appropriazione di immagine che sembra derivare dall’attenzione all’universo filmico e televisivo, quello dove le figure o i dati transitano, ma non si fermano. Vivono di una dinamica che rifiuta di prendere in considerazione il “fermo immagine”, tipico della pittura e della fotografia. Sullo schermo tutto si parifica, per cui in Tuymans sparisce ogni
differenza cromatica dei dettagli e il dipinto appare come un frammento filmico o televisivo, quasi “ritagliato” dalla sequenza comunicativa. Tale taglio è ulteriormente sottolineato dal fatto che tutte le tele dell’artista presentano un formato uno diverso dall’altro, tanto che non esiste una sua pittura di dimensioni uguali ad un’altra, quasi Tuymans volesse sottolineare il suo intervento incisivo e la sua attenzione a recidere un fotogramma, secondo formati sempre diversificati, dalla sequenza filmica. Una pittura come estensione filmica, dove le immagini acquistano una dimensione onirica che ha caratteri da sogno, nebuolosi e transitori, qualcosa che oscilla tra realtà ed irrealtà. Per questo in Tuymans la rappresentazione si derealizza, si offre quasi come una messa in scena di uno spettacolo che si avvicina all’allucinazione. Acquista la provvisorietà e l’artificiosità di un sogno. Di fatto lo stesso impasto cromatico sembra tendere ad una condensazione e ad un’elaborazione che si avvicina alla visione cinematografica. Vive di dissolvenze e di zoomate su dettagli di paesaggio e di corpi, di ambienti e di volti, quasi la pittura volesse avvicinarsi ad una circolazione di notizie, senza definizione. A volte riconoscibili, come Lumumba, 2000, e The Secretary of State, 2008 e altre indefinibili, quasi fossero riprese da un riquadro di una polaroid sfuocata, come Investigation, 1998 e W, 2008. Le pitture di Tuymans nel riflettere questo universo telematico si presentano come testimonianza di un vuoto che, offrendo qualche dettaglio figurale, da Body, 1990 a Lamp, 1994, sollecita però un’interrogazione sull’enigma dell’immagine sfuggente. Ecco allora che l’insieme dell’opera dell’artista si può assumere come un mosaico, dove i tasselli sono tutti diversi e tratteggiano particolari di una sequenza che è a portata di mano, ma continuamente sfugge. Un esperire il dissolvimento della realtà, Demolition 2005, attuata dai media, ma ordinato secondo la tradizione della pittura. Un altro effetto visivo, registrato nei dipinti dell’artista, è l’eliminazione della lontananza dal soggetto raffigurato, senza tuttavia aprire una vicinanza. È il risultato di un’uniformazione informativa che rende le cose distaccate, ma le consegna avvicinate, per cui si capisce l’uniformità cromatica di Tuymans.
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luc tuymans, superstition, 1994.
Questa vive anche di una dialettica tra tecnica ed assenza di tecnica, che crea, rispetto ad un dettaglio di Domenico Gnoli e di Chuck Close, un’inquadratura non analitica, ma accennata ed onirica. La realtà è infatti sepolta e nascosta, non in senso metafisico, né mistico, ma comunicativo, tanto che la mente e lo sguardo dell’osservatore devono ricercare nella memoria una dimensione riconoscitiva, così da ricavare qualche apprendimento dalla contemplazione del soggetto del dipinto. Si evidenzia non tanto il narrato pittorico, quanto il momento interrelazionale con l’immagine, in cui lo sforzo va portato ad identificare un campo di significati della “cosa” rappresentata: lo sforzo è trovare qualcosa sotto l’oggetto desiderabile e seducente che transita dinnanzi allo sguardo. Assicurarsi un risultato ottimale da quanto viene trasmesso, più che dalla cosa dipinta, prezioso artefatto. La pittura di Tuymans è un tentativo per connettere le immagini che scorrono dinanzi a noi, senza
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luc tuymans, Body, 1990.
proporre una risposta o una definizione: non si pone come una critica del vedere, ma quale territorio dove la pittura, come gli altri media, comunica. In un mondo oscuro e nascosto, dove la trasparenza dei dati è sempre più manipolata e impenetrabile, la novità non è il trionfalismo dell’analisi e delle risposte sia sul sociale che sulla storia, ma il riconoscimento dell’insufficienza dei propri strumenti visuali che non possono risultare altro che confusi e nebulosi, incapaci di evidenziare soluzioni e quindi dare solo indicazioni perpetuamente variabili, dove la materia pittorica dà massimo rilievo alla fluidità delle immagini. Una presa diretta con la realtà che non può essere mai compiuta, ma che si muove in perpetuo, in una nebulosa indefinita, che non è il nulla, ma è un vuoto carico di passato e di futuro. È in tale prospettiva che la pittura di Tuymans non spiega e non intende risolvere i problemi, rimossi e segreti, della società, piuttosto aspira a
mantenere una tensione che spinge ad interrogarsi sul rappresentato, così da mantenere il suo discorso su un piano enigmatico. Guardando a Superstition, 1994, si capisce come il transito tra il contorno umano e la massa oscura, nella loro diversità, creano una tensione. Sono differenti, ma al tempo stesso si mescolano. Le domande che si possono sollevare su questo rapporto, sia visivo che figurale sono infinite perché vivono su un punto di coincidenza tra un’entità definita e un’indefinita, tra luminoso e oscuro, tra razionale ed irrazionale, quindi una figurazione “delirante” dove i significati si sfuocano. Le risposte sono quindi aperte, perché tali opposti possono combattersi o amarsi, formano un insieme dove l’uno transita nell’altro, o uno sopra /sotto l’altro. Un transito continuo dove la lettura può nutrirsi di aspetti razionali e logici, oppure abbandonarsi a proiezioni emozionali, così da far saltare ogni atteggiamento unilaterale nei confronti di ciò che appare e si vede.
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Un’altra attenzione al transito, non più virtuale delle immagini, ma fisico del corpo, è presente in Lungs, 1998, dove è sottesa la circolazione della linfa vitale che sostiene l’essere umano. Un ulteriore accenno, all’interno dei quali gli opposti, positivo e negativo (l’ossigeno e l’anidride carbonica che scorrono nei polmoni) si combattono e coesistono, così da esserci e non esserci, come l’immagine telematica. In questo dipinto la formulazione del transito ritorna ad essere raffigurazione di un’entità sconosciuta allo sguardo normale. Qualcosa che è dormiente nel nostro immaginario e che si avvicina ad un labirinto in cui perdersi. Anche qui una singola immagine ritagliata, sia all’interno del sistema anatomico, sia risultato di un taglio nella carne, quindi un’ulteriore evidenziazione di un’estraniazione che viene dall’estrarre una parte dal tutto, come un fotogramma carnale. Una pittura che è specchio, perché riflette l’esistente, soltanto che questo scaturisce da una riproduzione via polaroid o via film. Qualcosa che l’essere umano non può vedere dentro sé stesso, perché parte della sua registrazione mentale (recuperabile solo mnemonicamente) o perché parte del suo interno anatomico, qualcosa di inspiegabile che può essere solo evidenziato dall’incontro dello sguardo dell’osservatore con l’oggetto dipinto. La dissolvenza pittorica di Tuymans è legata anche da una volontà di non definire il valore visuale del soggetto, ma spinge piuttosto alla convivenza tra riconoscimento e negazione. È spesso una necessità a negare e a mettere in discussione le prove di un’effettiva “affermazione” dell’arte, nei confronti di una società dei consumi. L’ambiguità che si trova spesso anche nei soggetti, come la rappresentazione di un edificio religioso, retto dai Gesuiti, Church, 2006, è utilizzata per evidenziare come l’arte si sia trasformata in feticcio”, entità indefinita, ma a cui si attribuisce un valore sconosciuto. Questo non significa che Tuymans assuma un atteggiamento antiarte, dove la creazione è diretta al contro-oggetto, dal dada alla pop art, al contrario la usa come veicolo di messaggi, dove conta il transito dinanzi allo
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luc tuymans, Orchid, 1998.
sguardo, fuori dal possesso e dall’appropriazione. Apre un piano di immagini Turtle, 2007, tratta dall’iconografia disneyana, dove si possono proiettare, come nel cinema e nella televisione elementi psicologici ed emotivi. O ancora in Demolition, 2005, la perdita di identità della costruzione diventa un’ identificazione dissolta, una metafora dell’immagine che si consuma e viene spossessata della sua identità, perché affidata all’investimento lipidico del consumatore. Una scissione della pittore dove l’immagine viene negata come valore d’uso e diventa aggeggio di comunicazione, dove il soggetto perde la sua riconoscibilità, si fa surrogato di un’identificazione che non rimanda ad alcun criterio che quello di essere presente dinanzi al nostro sguardo: un feticcio su cui è solo possibile investire qualcosa che si decompone e scompare subito dopo.
luc tuymans, lamp, 1994.
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LUC TUYmans / 51 luc tuymans, Wandeling (Walking), 1989.
luc tuymans, lumumba, 2000.
luc tuymans, the secretary of state, 2005.
luc tuymans, the Parc, 2005.
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Zone d’ombra
Con Cepiti in origine Come punti pan orami Ci o sos tegni per rampi Canti, diventan o spazi open air Che permetton o di vivere l’esterno Come un’es tensione d ella Casa. o asi ar Ch itettoni Che progettate Con atten Zione a materiali, praticità e sicurezza. piCColi pal Cos CeniCi per vivere la natura images processing Enrico Suà Ummarino di Nadia Lionello
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Wave, pergola autoportante di UnoPiù, costituita da centine in tubolare di ferro zincato verniciato colore grafite e da listelli in pino nordico spessore mm 15 con trattamento contro gli agenti atmosferici e provvista di staffe per il fissaggio a terra; la struttura necessita di un pavimento d’appoggio piano.
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move, pergotenda di Corradi, è realizzata in alluminio e caratterizzata da snodi nei pilastri che ne permettono diverse inclinazioni e con possibilità di chiusura frontale brise soleil. è ancorabile a parete, attrezzata di illuminazione led nei pilastri e disponibile nella nuova finitura titanio.
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disegnato da ChiCCo Bestetti assoCiati per Paola lenti, gazeBo della Collezione CaBanne Composto da moduli Quadro, Con struttura portante in aCCiaio trattato e pannelli laterali, apriBili o fissi, e tetto in tessuto shade o listelli di legno su telaio di alluminio; è prevista anChe la variante del tetto in alluminio. si può installare su superfiCi dure o direttamente su prato Con apposita Base.
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Gazebo Square di Ethimo, caratterizzato dalla Struttura compoSta di pilaStri e travi in i-teak, maSSello di teak accoppiato ad alluminio. la robuStezza, leGGerezza e facilitĂ di montaGGio deGli elementi, permettono di realizzare Gazebi e perGole di importanti dimenSioni.
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Oasi, gazebO disegnatO da ROdOlfO dORdOni peR Roda, cOn stRuttuRa in teak, nella nuOva veRsiOne cOn tende in tessutO tecnicO che, tRamite un meccanismO, si pOssO tendeRe indipendentemente l’una dall’altRa. È dispOnibile in tRe dimensiOni peRsOnalizzabili cOn pROlunghe e cOn pOssibilità di un pianO seduta cOn schienale e cuscini.
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dall’ alto verso il basso, dalla collezione black&white della linea tempotest home di parà: tessuti jacquard con disegno fiorato, geometrico e rigato in 100% acrilico teflon tinto in massa, rapporto disegno di cm 38x33 e 38x41, in due varianti colore. altezza cm150. dalla collezione outdoor vogalonga di rubelli, bissona, damasco floreale tessuto jacquard, in 100% poliestere, rapporto di disegno di cm 100, in quattro varianti colore nell’altezza di cm 135 e carolina, tessuto finto unito in 100% poliestere, rapporto disegno cm 0,9, in sei varianti colore. altezza di cm140.
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Cristal box, disegnato da gandia blasCo JosĂŠ a. per GandĂa Blasco, sistema di pergolato in alluminio anodizzato o laCCato (bianCo, bronzo e sabbia) Con pavimento in legno teCnologiCo in fibre vegetali e plastiCa, vetri trasparenti e tetto in laminato fenoliCo e rivestito di lamiera galvanizzata. disponibile in quattro dimensioni.
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Isola Fly, della lInea MedIterranea dI Gibus, copertura con struttura autoportante In alluMInIo vernIcIato e accIaIo Inox e telo oscurante In pvc, antI uv, acqua e vento, estensIbIle traMIte sIsteMa brevettato a pantograFI In accIaIo Inox, con sIsteMa MotorIzzato Fast couplIng o Manuale ad argano; è sagoMato ad arco per Il drenaggIo dell’acqua ed è IntegrabIle anche su supportI esIstentI.
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GODERE A PIENO DEGLI SPAZI outdoor GRAZIE A UN’illuminazione DISCRETA E PUNTUALE, OFFERTA DA UNA SERIE DI prodotti DIVERSIFICATI formalmente: SONO LAMPADE solide, FUNZIONALI, LEGGERE, ironiche, COLORATE, TALVOLTA poetiche foto di Maurizio Marcato testo di Andrea Pirruccio
DI MARIO NANNI PER VIABIZZUNO, CAMPANILE DI LUCE, LANTERNA LUMINOSA RICARICABILE DA TAVOLO E SOSPENSIONE, REALIZZATA IN CARTA MARINA SINTETICA SU BASE E STRUTTURA IN ACCIAIO CROMATO.
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est erni l uminosi
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1. Disegnata Da enzo Berti per TorremaTo by Il Fanale Group, Bitta è una lampaDa leD DisponiBile in legno e ghisa o interamente in ghisa. 2. lamegaDina Di ares, apparecchio moBile in polietilene con corpo in colore Bianco Diffusivo satinato e ‘tappo’ superiore montaBile a vite. 3. elementi Della linea parco, Design luca scacchetti per de majo. la collezione è realizzata in hpl placcato esterno teak naturale, metallo verniciato Bronzo e acciaio luciDo con Diffusori in plexiglas Bianco luciDo.
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1. ‘O sOle miO, design silvia suardi e sezgin aksu per AntonAngeli, lampada cOn diffusOre in pOlicarbOnatO trasparente e OpacizzatO, facilmente traspOrtabile e Orientabile. può essere alimentata anche da un pannellO sOlare di ultima generaziOne. 2. disegnata da alessandra pasetti per Axo light, ent (expOrtable natural tree) è una lampada traspOrtabile (grazie a un cavO di alimentaziOne lungO 12 metri) ispirata alle fOrme di un alberO. il metallO del fustO e il tessutO del paralume sOnO riciclabili al 100%. 3. prOdOtta da VibiA e disegnata da JOrdi vilardell, Wind è una lampada parasOle in fibra di vetrO dispOnibile, Oltre che in biancO, anche in verde, aranciOne e nerO. 4. di DAViDe groppi, blumen è un ‘fiOre di luce’ per terrazzi e giardini che crea un’estetica cOmune tra indOOr e OutdOOr. 2.
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Disegnata Da emiliana martinelli per Martinelli luce, la collezione pistillo outDoor comprenDe lampaDe a luce Diffusa con struttura in metacrilato antiurto e schermo in alluminio nero.
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Brezza, di denis santachiara per Bysteel, è una lampada a stelo nata da un foglio di alluminio tagliato a fiore che, piegandosi, da vita a una serie di ‘petali’. la Base è in acciaio inox.
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1. Disegnata Da Umberto asnago con carola minotti per Penta, Filo-Filo è Una lampaDa con strUttUra in metallo verniciata antracite rivestita con proFilo in pvc in tre colori. 2. Da Panzeri, ralph, lampaDa con paralUme in materiale sintetico intrecciato a mano e strUttUra metallica verniciata in marrone metallizzato. 3. pill – low, Design Francesco rota per Oluce, lampaDa a lUce DiFFUsa in polietilene bianco con rivestimento in tessUto lavabile, Utilizzabile anche come seDUta. 4. Divertenti, colorate, Facili Da trasportare, sono le lampaDe Della collezione ecomooDs oUtDoor, Di PhiliPs.
3. 4.
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GLI oggetti come tramite PER RISCOPRIRE I VALORI DELL’uomo E DELLA natura E PER RIATTIVARNE LA LORO vitale comunione. QUESTO L’APPROCCIO DI Jean-Marie Massaud AL DESIGN, UNA DISCIPLINA CHE, A SUO PARERE, IMPONE PRECISE responsabilità sociali ED ecologiche testo di Cristina Morozzi
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Manned Cloud, progetto di un resort aereo, sviluppato Con la Collaborazione sCientifiCa di onera. nella pagina aCCanto, Jean-Marie Massaud ritratto Con la sedia della Collezione folding da lui disegnata per DeDon, 2011
evol uzione Dol ce
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Dall’alto: Poltrona Wallace, una nuvola morbiDa Poggiata su una esile struttura metallica, Poliform, 2010. schizzo Della valigia global luggage. Disegno Della maniglia zelDa ProDotta Da Colombo design.
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el 1999 Jean-Marie Massaud assieme a Thierry Gaugain e Patrick Jouin partecipò al Salone Satellite di Milano con un’installazione denominata Luxlab: un prato verde in declivio, uno specchio d’acqua e un caminetto con il fuoco acceso. Era l’eloquente metafora di un nuovo concetto di lusso, inteso come benessere, legato a piaceri immateriali, come la contemplazione dell’acqua e del fuoco e come il contatto diretto con la natura. Considerando a ritroso il lavoro di Jean-Marie Massaud appare evidente come quella installazione sia da considerarsi il punto di partenza di un percorso progettuale basato sulla ridefinizione del concetto di vita, sulla proposizione di valori, quali il tempo, quello da dedicare al sé, lo spazio, la relazione con la natura, l’espansione della propria singolarità mediante i piaceri sensoriali e l’interazione con gli altri. Massaud considera materia e oggetti essenzialmente come stimolatori di relazioni. “Gli oggetti” dichiara “sono ‘parole’. Vanno utilizzati per comporre delle frasi. Un fraseggio che dia senso alla nostra vita”. In ogni suo discorso l’accento cade sulla necessità di educare, sulla volontà di creare dei modelli di vita alternativi a quelli preconfezionati dal marketing, sull’intenzione di modificare il sistema.
Non manca una vena moralista. Ma le sue affermazioni non hanno gli accenti dell’arringa da tribuno, piuttosto i toni soft di chi alle logiche del modello produttivo ha deciso di starci, cercando di modificare il sistema dall’interno. Le marche che hanno il potere economico e che influenzano i consumatori non le avversa. Anzi, si allea con loro per fare, come sostiene, “non solo la direzione artistica, ma anche quella delle coscienze”. E di alleanze si rivela buon alfiere. Ha collaborato con i grandi della cosmetica, disegnando la brand identity di Lancôme, store e spa (2003/2005) di Parigi, New York. Shangai, Seoul e Hong Kong; le bottiglie per le fragranze di Paloma Picasso e la confezione del profumo maschile Nemo di Cacharel. Portano la sua firma i Sephora White (2000), non solo un’architettura per i punti vendita del colosso della profumeria francese dedicati ai prodotti naturali, ma un nuovo concept di bellezza, intesa come armonia interiore e come percorso attraverso i rituali della cura del corpo nelle varie culture, che si materializza in spazi candidi circolari, modulati dalla luce, simili a delle bolle prive di gravità dove viaggiare leggeri come su una nuvola. Ha ridisegnato gli showroom di Poltrona Frau, traducendo i valori del marchio, eleganza, cultura, qualità e atemporalità, in una scenografia calda che combina armoniosamente i rimandi alla tradizione (marmi, lampadari in vetro di Murano, tappeti, pannelli in pelle traforata) con elementi naturalistici, come la grande boule di muschio disidratato sospesa al soffitto o la foresta immaginaria costituita da elementi verticali di legno, simili a tronchi di un bosco autunnale, racchiusi in una teca di cristallo fumé con fondo di cristallo a specchio. Come su un palcoscenico, quinte arabescate modulano lo spazio, esaltando i prodotti della collezione e creando zone d’intimo comfort. Quell’incontro tra natura e cultura che insegue nei progetti più utopici, nelle architetture ancora sulla carta, s’impegna a favorirlo anche nei progetti più commerciali, creando atmosfere di benessere che prefigurano “quella nuova era di conoscenza sensitiva” di cui auspica la nascita.
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Dall’alto: tavolo alister, in cristallo fumè temperato con piano bisellato e gambe molate e bisellate, fissate al piano meDiante piastre in acciaio inox sagomate. Glas ItalIa, 2011. seDute Della collezione ventura con supporto in legno e scocca in plastica. PolIform, 2011. pianoforte in corso Di sviluppo, basato sul concetto Dell’alleggerimento formale. imbottito John John, Dotato Di ampi cuscini agganciati alla struttura in massello Di faggio. Poltrona frau, 2011.
Nel libro Human nature (Time&Style, Tokyo, 2005) pubblicato in occasione della sua personale a Tokyo durante la design week (novembre 2005), i suoi progetti sono scanditi da titoli riferiti alle relazioni tra uomo e natura. Quelle che Massaud si ingegna di attivare, non solo con opere spettacolari, ma anche con gli oggetti quotidiani, semplificando le forme a favore delle sensazioni, quasi volesse operare una sottile magia per rendere naturale quanto avviene in ambiente artificiale: l’acqua esce ma il rubinetto non si vede perché è nascosto sotto un piano che funziona d’appoggio e pare di bagnarsi ad una sorgente, come avveniva nell’installazione realizzata per Axor/Hansgrohe nel 2005, dove il rituale del bagno era proposto come immersione in una polla che scaturiva spontanea dal terreno. Il sofà Aukland, disegnato per Cassina nel 2004, o il day bed Outline, creato per Cappellini nel 2001, sono dei dolci declivi; mentre il tavolino basso Pebble (Porro 2005), simile a un ciottolo levigato dal tempo che rimanda a quelli degli antichi sentieri del Tibet, vuole essere un invito alla meditazione. La seduta Truffle (Porro 2005) con i suoi alveoli s’ispira a una spugna marina (la versione originaria era in poliuretano morbido).
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Sopra: InSIeme ad Axor Jean-marIe maSSaud ha rIdefInIto la fIloSofIa della Stanza da bagno. Il progetto Waterdream è caratterIzzato da forme SlancIate e dalla dISceSa fluIda dell’acqua che rImanda allo Sgorgare dI una Sorgente. In alto a deStra: due ImmagInI dello StadIo Volcano a guadalaJara In meSSIco, attualmente In coStruzIone. non Solo uno StadIo dI 42250 poStI, ma un muSeo, uno SpazIo gIochI per 450 bambInI, un cInema, una pISta dI Skateboard, un parcheggIo per 750 Vetture. accanto: un renderIng del progetto dello ShoWroom B&B ItAlIA dI parIgI.
La sedia a dondolo Don’do (Poltrona Frau 2005), con le sue volute reminiscenze, suggerisce una diversa ritmica del tempo. Gli oggetti depurati e alleggeriti diventano un tramite per riscoprire i valori dell’uomo e della natura, riattivando la loro vitale comunione. Hanno valori morali, educativi, psicologici, persino terapeutici. La loro complessità o ricchezza non deve mai essere inutile ridondanza, ma vale come puntuale testimonianza dell’eccellenza della mano d’opera che va rispettata e preservata. Le sue architetture sono porzioni di landscape, sovente mimetizzate nel paesaggio, come la casa Tanabé nella campagna di Fukuoka in Giappone (1999). Un rifugio interrato coperto da un manto verde, isolato dalla strada e aperto verso il giardino dal quale riceve luce. Quasi una tana, attraversata, però, da squarci di luce naturale e da visioni di verde. Lo stadio Volcano a Guadalajara in Messico è simile alla bocca di un vulcano scavato in un collina e la sua copertura appare come una nuvola sospesa sulla città. Quella per l’architettura è una passione legata al suo desiderio infantile di essere inventore: inventare per dare consistenza ai pensieri, costruire per dare sostanza alla vita (proteggere e far star
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bene). Il design discende dalla sua visione dell’architettura: gli oggetti vivono come parte di un contesto, come elementi per creare un clima propizio all’autorealizzazione e al benessere, soprattutto interiore. Certe loro analogie formali con gli elementi naturali non derivano dalla pratica stilistica del metamorfismo, quanto piuttosto dalla volontà di annullare le differenze tra natura ed artificio, costruendo un’integrazione olistica percepibile sensitivamente. Jean-Marie Massaud appartiene alla categoria dei designer ‘demiurgo’, anche se non si presenta in modo plateale alla Starck, dal quale dichiara d’essere rimasto folgorato. La sua è una incruenta guerriglia quotidiana per promuovere un progresso sostenibile. Per far questo si dispone all’ascolto dell’uomo e cerca di ‘inventare’ dei modelli che possano essere anche redditizi. In questa sua pacifica crociata cerca la complicità delle aziende, convinto che il designer abbia un ruolo, non solo nell’abbellire le forme, ma anche nell’orientare le politiche produttive. Al suo atteggiamento morale calza a pennello quanto i Frog Design scrivono negli opuscoli dedicati ai clienti: “Farla finita con l’era della ricerca e sviluppo che non rispetta la natura, con l’era della finanza che non rispetta la gente e con
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SOPRA: SEDUTA ARKYS CON SUPPORTO IN METALLO E SCOCCA IN RETE METALLICA VERNICIATA MEDIANTE UNA SOFISTICATE TECNICA SPRAY, DISPONIBILE IN CINQUE COLORI. EUMENES, 2011 ACCANTO: SEDUTE FLOW CON SCOCCA IN POLIESTERE SOFT TOUCH E BASAMENTI A STELO O A QUATTRO GAMBE IN LEGNO DI ROVERE. MDF ITALIA, 2010.
l’era del marketing che non rispetta il prodotto”. Le sue idee e la sua metodologia denunziano la sua precisa intenzione di assumersi delle responsabilità sociali ed ecologiche. Confessa “d’essere naïf, ma anche arrogante. Pensare di fare del nuovo presuppone il possesso di ambedue le attitudini. Per fare il designer” conclude “bisogna chiedersi cosa significhi oggi il progresso. La nuova economia si basa sulla crescita qualitativa. Gli oggetti sono destinati a scomparire per lasciare il posto alle emozioni. Bisogna quindi riuscire a fare di più con meno”. “Il design” aggiunge “equivale a una lente d’ingrandimento utile a mettere a fuoco dei micro-fenomeni. Può migliorare il presente, ma non ho formule pronte all’uso da indicare. Ciascuno deve seguire la propria sensibilità e porsi all’ascolto per trovare l’armonia con le persone e la natura, sfruttando il potenziale offerto dal contesto”. Da questa disposizione relativista deriva un’idea di design eclettico e duttile, capace di produrre un’evoluzione dolce.
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Due proDotti Del marchio taiwanese Yii: la lampaDa con tubo fluorescente explosion, realizzata in bambù Dall’artigiano chi-hsiangYeh su Disegno Di camo lin; la seDia loop ispirata agli antichi registri cinesi, realizzata anch’essa in bambù su Disegno Di iDee liu e grazie alla maestria artigianale Di Kao-ming chen. nella pagina accanto: il marchio irlanDese Superfolk proDuce una collezione Di arreDi in legno naturale, Di provenienza regionale, costruiti Da artigiani Del luogo. gli sgabelli e il tavolo, i primi sviluppati con Jo anne butler, sono in quercia e frassino con incastri a cuneo in noce. la lampaDa è in cortecce Di salici irlanDesi intrecciate Da Joe hogan.
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Si afferman o innovative modalità produttive dell’arredo, più sostenibili e attente al Saper fare di paesi lontani. da Bot Swana, indone Sia, irlanda, Stati Uniti e t aiwan, le n Uove geografie del design di Valentina Croci
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Alcuni elementi dellA nuovA collezione di Mabeo: il mobile contenitore merAdi, disegnAto dA gArth roberts e reAlizzAto con impiAllAcciAturA di legni diversi; i tAvolini bAssi pulA, progettAti dA lucA nichetto, Al suo secondo prodotto per l’AziendA; lA sedutA seriti, creAtA dA pAtriciA urquiolA su ispirAzione di unA sediA trAdizionAle AfricAnA, con gAmbe in mAssello e schienAle con corde in pelle intrecciAte A mAno.
S
i può produrre oggetti di grande qualità anche in Paesi in cui l’industria non è avanzata. E fabbricare generando prosperità nel territorio. Non si tratta di iniziative no-profit ma di business che partono da presupposti diversi rispetto alla più comune delocalizzazione della produzione in nazioni dove questa costa di meno. Scorgiamo segnali da luoghi finora con poca visibilità nel design, che puntano sulle specificità dei materiali locali, sulla sostenibilità e l’artigianato, organizzato in piccole imprese. Sono strutture a carattere industriale per l’organizzazione del lavoro e del ciclo produttivo, la programmazione della logistica e lo standard di prodotto. Tali realtà creano economie che rimangono nel luogo perché promuovono la formazione professionale, incentivano la nascita di distretti produttivi e reti di scambio, così come l’efficace influenza tra creatività e saper-fare manuale. Mabeo, l’azienda di Gaborone (Botswana), è diventata un modello di sviluppo per le comunità artigianali del continente africano e una fonte d’ispirazione per i progettisti del vecchio mondo come Claesson Koivisto Rune, Luca Nichetto e Patricia Urquiola. Il fondatore Peter Mabeo crede
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in prodotti in massello, realizzati a mano con tecniche tradizionali e con legni africani provenienti da foreste certificate. Ogni prodotto nasce in conseguenza delle abilità manuali delle persone che vi lavorano. Per questo è importante la continua attività di formazione professionale. Mabeo punta su un’identità riconoscibile e non omologata, espressa da arredi dalla semplicità apparente che raccontano storie. Paradigmatica la nuova sedia Seriti di Patricia Urquiola: letteralmente ‘grande forza’ per la presenza scultorea, rilegge una seduta del folclore africano senza essere esotica, né imitare l’artigianato etnico. Mabeo evidenzia una strategia a lungo termine, che vede anche la formazione nelle tecniche tessili, al fine di introdurre tali modalità nei prossimi
prodotti d’arredo. Il tessile insieme alle lavorazioni dei metalli saranno le future tendenze dell’azienda. Semplicità formale che nasconde difficoltà di realizzazione è la caratteristica di INCHfurniture, azienda nata nel 2004 a Basilea. I fondatori Thomas Wüthrich e Yves Raschle hanno prestato servizio civile a Semerang, un porto nella costa nord di Java (Indonesia), dove sono venuti a contatto con la scuola di apprendistato PIKA (Pendidikan Industri Kayu Atas). L’intera collezione è prodotta lì creando l’occasione sia di sostenere finanziariamente la scuola sia, per gli studenti, di far pratica. I prodotti di INCHfurniture, pensati per durare nel tempo, sono in legno massello di tek, scelto non solo per la disponibilità locale ma anche per le proprietà di durevolezza,
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scarso ritiro e imbarcamento. Le parti in metallo sono invece realizzate dall’ATMI (Akademi Tehnik Mesin Industri), un’altra scuola locale di formazione. Bambù in un’estetica inedita è l’idea sottesa al marchio Yii, patrocinato dal Taiwan Craft Research Institute al fine di sviluppare l’artigianato locale attraverso il design. La sfida è affidata all’art direction di Gijs Bakker che ha sovrinteso a una collezione di quattordici oggetti realizzati da progettisti di Taiwan, a eccezione di una sedia di Nendo e un’altra di Konstantin Grcic. Si parte dalle caratteristiche del materiale – il bambù è molto resistente a trazione – e dal know-how del territorio affinché l’artigianato superi l’etnico e sia, come il significato di Yii, “cambiamento e trasformazione”.
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Dettaglio Del tavolo in multistrato Flex proDotto Da Pirwi. il marchio messicano FonDato Da alejanDro castro eD emiliano goDoy nel 2007 si contraDDistingue per la Fabbricazione con macchine a controllo numerico e la collezione Di arreDi assemblati a incastri.
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dalla collezione 2011 di INCHfurNIture: il tavolo PaPat in massello di tek, disegnato da Frédéric dedelley; la sedia satu e il tavolino loro, entrambi realizzati a mano in legno massello di tek trattato a olio, con struttura in acciaio laccato. il manico del tavolino è rivestito in rattan.
Non così lontana la realtà irlandese Superfolk. Se l’industria del mobile non è il punto di forza dell’Irlanda ma lo sono le tradizioni culturali, è lì che si può fare di necessità virtù. Il brand fondato da Gearoid Muldowney nel 2008 ha nel ‘chilometro zero’ la sua caratteristica: materie provenienti dalla regione e richiami all’arte povera irlandese. Gli arredi monomaterici, con giunti ai incastro e legni quasi grezzi, sono contraddistinti da una forza estetica che proviene dall’essere rustico, elementare. Anche questi prodotti nascono insieme all’artigiano che li realizza, come Joe Hogan che intreccia la lampada con le cortecce dei salici irlandesi, per la precisione quelli del lago Na Fooey. Più che vernacolare: superfolk, appunto. Sostenibilità è generare prosperità nel territorio e ridurre l’impatto ambientale. E il tema può essere interpretato in modo diverso. La statunitense Environment, nata nel 2002 con Davide Berruto e Giovanni Gallizio, scommette sulla produzione in Indonesia e su una rete internazionale di fornitori per l’approvvigionamento di materiali di recupero, dai paglioli delle navi in disarmo alle tende militari d’epoca. Tra gli oggetti in collezione, gli arredi in legno brasiliano peroba, proveniente da costruzioni agricole dismesse, e le sedute che riscattano l’arredo abbandonato dell’università di Washington. Dunque, è il materiale che indirizza progetto e produzione, non viceversa, evidenziando una nuova modalità d’impresa.
Per contro, la messicana Pirwi fabbrica arredi in legno multistrato disassemblabili, senza viti né chiodi, che possono viaggiare in packaging piatti. I prodotti sono lavorati industrialmente con macchine a controllo numerico e poi rifiniti a mano. La tecnologia digitale è usata non solo per creare le particolari trame materiche che distinguono il marchio, ma anche per ridurre gli sprechi. Pirwi è il nome indigeno del Schinus Molle, un albero sempreverde capace di crescere velocemente su terreni impervi. Una metafora per i Paesi in via di sviluppo, proiettati verso la modernità senza dimenticare la propria cultura.
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La sedia Captain di EnvironmEnt nasCe daL riuso di uno stoCk di sedute deLL’università di Washington; presenta La forma deLLa seduta tradizionaLe ameriCana. L’azienda produCe soLo Con materiaLi di reCupero.
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Mat rice t re
ispirandosi al nuMero perfetto, t adao ando fir Ma l’o pera con cui Venini celebra novant’anni di atti Vità : un gruppo di tre vasi-scultura co Mple Mentari, generati dalla for Ma priMaria del triangolo. realizzati in colori rari e molature preziose foto di ORCH Orsenigo_Chemollo testo di Antonella Galli
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Ando è l’operA disegnAtA dA tAdAo Ando per Venini impostAtA sullA formA del triAngolo isoscele; è compostA dA vAsi-sculturA che presentAno vArie tonAlità e tipi di molAturA.
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Il rosso è uno deI tre colorI con cuI sono realIzzatI trenta deI novanta esemplarI prevIstI per ando; glI altrI sono Il crIstallo e l’acquamare. colorI specIalI, Invece, caratterIzzano le nove prove d’autore, che verranno messe all’asta.
L’
architetto e l’artigiano; il pensiero e la materia; il Giappone e l’Italia. I contrasti si compongono e gli opposti si avvicinano in un’opera come quella ideata da Tadao Ando per Venini: un oggetto-scultura-architettura composto da tre vasi monumentali (dieci chili ciascuno) realizzato per celebrare i novant’anni del prestigioso marchio muranese. L’opera – che si chiama Ando, come il suo autore – è stata presentata a fine maggio a Venezia, alla Punta della Dogana, spazio espositivo progettato dall’architetto giapponese, premio Pritzker nel ’95 (suo anche il progetto di Palazzo Grassi). Venini ha voluto, con questa scelta, sublimare la storia delle relazioni con i grandi creativi che ha sempre contraddistinto il suo percorso. E questo grazie al patrimonio di abilità artigianali e di varianti tecniche sul vetro messo al
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servizio di architetti, artisti e designer per restituire attualità (e futuro) all’arte muranese per eccellenza. Tadao Ando, maestro della geometria pura, fenomeno autodidatta e icona dell’architettura contemporanea, con Venini si è cimentato per la prima volta in una produzione seriale, ideando un trittico di vasi identici fondati sulla forma del triangolo isoscele: il triangolo alla base e quello alla bocca del vaso hanno dimensioni uguali, ma sono in posizione speculare, generando una sorta di torsione delle pareti laterali. Un’opera ardita, in cui la forma triangolare crea l’oggetto in un susseguirsi di proiezioni. Una sfida anche operativa, raccolta e vinta dai maestri vetrai di Venini: portarla a compimento ha richiesto un’elevata perizia, a partire dalle dimensioni (i vasi sono alti 56,5 cm) e dal peso; quindi per la forma, i colori e le molature, varianti provenienti dall’inesauribile patrimonio della casa muranese. Il tre, numero perfetto per antonomasia, ricorre in continuazione nel concept, dalla forma progettuale alla composizione dell’oggetto, ai numeri di realizzazione del prodotto: Ando, opera in edizione limitata, è stato realizzato in novanta esemplari e in tre varianti; trenta esemplari sono in color cristallo, trenta in acquamare, trenta in rosso. I tre vasi che compongono ciascuna delle novanta opere presentano tre diverse varianti di molatura: la Rosetta (geometrie superficiali che modulano con morbidezza l’effetto della luce), la Ghiaccio (sfaccettature più scandite, a richiamare la superficie del ghiaccio) e la Velata (una satinatura ottenuta con nastri abrasivi). Nove, invece, sono le prove d’artista in colori e tecniche uniche, scelte personalmente da Tadao Ando: i trittici delle prove d’artista associano il verde al color cristallo, il talpa trasparente al color tè, il verde allo zaffiro. Saranno messi all’asta entro fine anno, e il ricavato devoluto per aiutare la ricostruzione di una struttura per l’infanzia in Giappone (il maestro non è nuovo a queste iniziative: i 100.000 dollari del Pritzker Price furono donati agli orfani del terremoto di Kobe).
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Un maestro vetraio della fornace venini a mUrano, segUito da qUattro assistenti, lavora diverse ore per portare a termine il vaso ando, prima soffiato, qUindi modellato a temperatUra elevata (almeno 800°) e lasciato raffreddare per ventiqUattro ore in Un forno speciale detto ‘mUffola’. infine interviene il maestro molatore per rifinire la sUperficie. qUi sotto, tadao ando assiste alla lavorazione.
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w riti ng t ravelli ng reading PiÚ di 15 prodotti Per tre collezioni che d eclinan o in migliaia di Pezzi l’ universo moleskine. Un Progetto di PUro industrial design che giulio iacchetti inter Preta isPirandosi alla perfetta essenzialità del n oto tacc Uino nero foto di Max Rommel testo di Maddalena Padovani
Giulio iacchetti ha diseGnato per Moleskine tre collezioni di prodotti dedicati alla scrittura, al viaGGio e alla lettura. Questi comprendono diversi modelli di borse e zaini attrezzabili con accessori vari, matite e penne dotate di refill ricaricabile, occhiali da lettura e un supporto per e-reader.
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Sono i numeri che caratterizzan o la tv più grande del mondo, che emerge dal terreno e Si apre in uno schermo di undici metri quadrati (cioè con diagonale di 201 pollici) in men o di un minuto. il progetto è di porsche design St udio per global Bright group
il design innovAtivo di porsche design studio e lA competenzA di Global briGht Group, leader mondiAle nellA produzione di schermi led, hAnno permesso di reAlizzAre, insieme, c seed il televisore led 201 pollici A scompArsA totAle.
AltezzA regolAbile fino A 460 cm; schermo ruotAbile fino A 270 grAdi, mediA server integrAto, sistemA Audio con 15 AltopArlAnti, video in AltA definizione e luminosità compAtibile con lA luce del sole: sono le principAli cArAtteristiche del televisore più grAnde del mondo. lo schermo, Anche se diviso in sette pAnnelli, così dA consentirne l’impAcchettAmento e il movimento A scompArsA, gArAntisce immAgini nitide e continue, non interrotte dA linee verticAli.
da 0 a 11 in meno di 40
Che cosa hanno in comune i festival cinematografici di Cannes e di Venezia? O il Motorshow di Ginevra e le gare di Formula 1? Semplice: la necessità di installare schermi di
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grandi dimensioni perché tutti possano vedere star e campioni al meglio della loro performance. Global Bright, leader nella produzione di schermi led, è tra i fornitori di eventi per un pubblico planetario, pur essendo relativamente giovane: è nata infatti nel 2004 per volontà di Alexander Swatek ed Eduardo Saint-Julien che, dopo una ricerca durata quattro anni, e affiancati da Porsche Design, hanno presentato un televisore che semplicemente premendo un bottone rivela lo schermo più grande del mondo. È il C Seed, oggi nella versione 201 (la misura, in pollici, della sua diagonale), capace di emergere dal terreno in 15 secondi, quasi fosse una scultura cinetica, e mostrare, in cima a un sostegno alto oltre 4 metri e mezzo, uno schermo composto da sette pannelli che in 25
secondi si aprono silenziosamente, creando una superficie uniforme sulla quale vengono visualizzate le immagini più luminose anche se alla luce diretta del giorno. “CSeed 201 – racconta Alexander Swatek – è il risultato che unisce la nostra conoscenza specifica, una lavorazione accuratissima e l’eccellenza del design. Un nuovo brand che intende proporsi come il non plus ultra tra i sistemi di intrattenimento”. Prodotto artigianalmente in un numero limitato di esemplari, ha design essenziale con finiture in metallo nero, schermo ruotabile fino a 270 gradi e sistema audio hi-fi con 15 altoparlanti. Ovviamente waterproof, è dotato di sensore impronte digitali integrato ed è garantito da un servizio di assistenza completo. www.cseed.tv (Danilo Premoli)
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iulio Iacchetti il ‘designer democratico’, il capitano della nuova generazione di designer italiani, il simbolo di un modo silenzioso di progettare la quotidianità, meno concentrato sul segno degli oggetti e più attento ai significati antropologici delle cose. Lo abbiamo visto conquistare la notorietà nel 2005 con l’operazione Design alla Coop, volta a portare nei supermercati una serie di prodotti di uso quotidiano ‘disegnati’ ma di costo contenuto. È diventato poi protagonista, nel 2008, di Oggetti disobbedienti, mostra-manifesto dei suoi progetti di ricerca, “quelli che resistono alle logiche del consumo e che si ribellano alla definizione di prodotti di design e ambiscono ad essere qualcos’altro” (Silvana Annicchiarico): la traccia di un percorso culminato quest’anno nella mostra Cruciale, indagine sulla forma della croce intesa come simbolo portatore di significati religiosi
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e umani, dimostrazione di come “il progetto possa essere non solo una soluzione a necessità funzionali o a richieste commerciali, ma possa diventare un modo per parlare della propria maniera di vedere e di stare nelle ‘cose’ del mondo” (Beppe Finessi). Oggi, arrivato a 45 anni, dopo avere firmato numerosi pezzi per le aziende leader dell’arredo italiane e aver messo su famiglia, oltre che casa e studio nuovi, Giulio Iacchetti sembra avere trovato il modo di conciliare la sua doppia anima: da una parte quella più pubblica, attivista e operativa di designer che ancora crede nella capacità del progetto di rendere accessibili a tutti la qualità degli oggetti quotidiani; dall’altra quella più intimista e riflessiva di intellettuale che si interroga sulla capacità degli oggetti di generare un senso, mettendone in discussione la forma, indagandone i segni, i simboli e le relazioni più profonde. A dimostrarlo è uno dei suoi ultimissimi progetti, le tre nuove collezioni disegnate per Moleskine dedicate alla scrittura, al viaggio e alla lettura. Più di 15 pezzi che vanno dalla penna agli occhiali, dalla borsa porta computer al supporto per e-reader, nati, concepiti e disegnati tutti attorno al mitico taccuino dalla copertina nera che Giulio usa quotidianamente per i suoi schizzi e apprezza da sempre come oggetto: un semplice rettangolo nero, gli angoli arrotondati, i risguardi trattenuti da un elastico, la tasca interna; un oggetto anonimo e perfetto nella sua essenzialità. L’incontro tra designer e azienda non avviene per caso, ma grazie all’affinità tra la visione progettuale del primo e la vocazione produttiva della seconda. L’idea iniziale di Iacchetti è quella di disegnare oggetti per scrivere sul block notes preferito da intellettuali e artisti che nel secolo scorso veniva realizzato da una piccola manifattura francese; i titolari del marchio, diventato tale solo nel 1997 per opera di imprenditori italiani, decidono di allargare ulteriormente il mondo Moleskine e indicono un concorso a inviti, che Giulio si aggiudica perché così stava comunque scritto nelle stelle. Il suo obiettivo è fugare l’immagine del gadget, dotare ogni oggetto di una propria idea in modo che non viva solo d’immagine riflessa Moleskine. È comunque il taccuino a suggerire i principi base che formalmente riconducono ogni pezzo all’identità del marchio: la rettangolarità, il colore nero e l’estrema semplicità. La penna è il fulcro del progetto: squadrata come il quadernetto di cui diventa la naturale compagna di viaggio, si aggancia sia orizzontalmente che verticalmente alla sua copertina grazie a un taglio laterale della clip. A rappresentare la categoria Reading sono invece gli
occhiali da lettura, perfettamente simmetrici in modo che possano essere indossati in qualunque verso li si prenda (grazie anche alle lenti con medesima graduazione). Infine, la collezione Travelling composta da vari modelli di borse, che in comune hanno la rettangolarità e l’estrema pulizia formale ottenuta riportando all’interno tutti i sistemi di regolazione. Realizzate in morbido materiale sintetico, sono tutte dotate di un fondo rigido che permette e facilita l’appoggio a terra senza perdere i vantaggi di un accessorio comodo e avvolgente da indossare. L’impiego di un particolare tessuto chiaro per il rivestimento interno delle borse è un diretto richiamo alle pagine bianche del taccuino Moleskine; succede così che la patella della borsa Messenger, al centro della collezione, una volta aperta diventi proprio una grande pagina bianca su cui scrivere liberamente, consentendo la personalizzazione dell’oggetto da parte dell’utilizzatore. Altrettanto libera e versatile è l’integrazione degli accessori che si agganciano facilmente all’interno tramite velcro; queste comprendono tasche multiuso di varie dimensioni e lo storage panel Moleskine, una sorta di scheletro in materiale resistente disegnato per essere inserito anche nelle borse Utility, Tote e Zaino. Con il progetto Moleskine Giulio Iacchetti esprime la vocazione che gli è più consona, quella di industrial designer, di progettista di oggetti di grande tiratura (decine di migliaia di pezzi per ogni tipologia), che proprio perché destinati alla grande distribuzione e a un uso allargato (tutti utilizzano penne e borse da lavoro) risultano per loro stessa natura democratici. “Non c’è differenza” spiega il designer “tra gli ‘oggetti disobbedienti’ nati dai miei lavori di ricerca e quelli apparentemente più ‘ubbidienti’ che progetto per l’industria. Come per la Coop anche con Moleskine si realizza un percorso di disubbidienza al canone che vorrebbe che tutto ciò che viene definito tragicamente ‘di design’ sia per pochi in termini di prezzo al pubblico e di comprensione del progetto.
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Protagonista della collezione da viaggio, la borsa Messenger è realizzata in Morbido Materiale sintetico ed è dotata di una base rigida che ne facilita l’aPPoggio. Può essere organizzata a PiaciMento con vari add-on. la Patelletta Morbida si srotola e si regola ad altezza diverse, consentendo di agganciare alla borsa vari tiPi di oggetti. rivestita in tessuto chiaro all’interno, diventa una Pagina bianca su cui scrivere liberaMente.
Moleskine è da sempre un brand popolare e diffuso in tutto il mondo; il valore del design non si può esaurire con una griffe, ma solo attraverso un attento processo di definizione dell’idea nel percorso verso il prodotto definitivo con un’attenzione spasmodica ai costi, alla funzionalità, alla piacevolezza della forma”. E se gli si chiede di fare il punto su un percorso che quest’anno sembra avere esaudito pienamente le sue aspettative, sia professionali che personali, risponde: “Sono sempre un po’ più in là rispetto alle cose che succedono e che sono avvenute. Il mondo del progetto è un fiume che scorre e non ci sono approdi; sento di essere immerso totalmente in questo fluido e mi piace pensare di non poter decidere la direzione della corrente e il punto del prossimo approdo. Vedo scorrere con me tante cose, suggestioni, idee che generano altre idee, e tutto si mescola senza soluzione di continuità. Si comincia a discutere di progetti e si finisce sempre a parlare della vita e del valore incommensurabile di essere qui e ora, con il desiderio sempre più incontenibile di poter raccontare un giorno al mio bambino la favola del mondo”.
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1.
IL TeaTro DeLL’ImmaGInAZIone INAUGURATA LA NUOVA SEDE MILANESE DELL’AGENZIA DI PUBBLICITÀ Leo Burnett, DENOMINATA Theater of Imagination. NASCE DAL VECCHIO Teatro delle Erbe, COMPLETAMENTE RISTRUTTURATO E RICONVERTITO MA LASCIANDO INTATTE LE ORIGINARIE, E spettacolari, ATMOSFERE 1.2. SITUATO NEL CENTRALISSIMO FORO BUONAPARTE A MILANO, IL TEATRO DELLE ERBE È DIVENTATO LA NUOVA SEDE DELL’AGENZIA LEO BURNETT, CHE SVILUPPA I SUOI 1000 MQ SU DUE PIANI, DOMINATI DAL VECCHIO PALCOSCENICO, CON TANTO DI SIPARIO ROSSO FUOCO, E DA UN PATIO CENTRALE, CHE GARANTISCE LUCE E PROFONDITÀ A TUTTI GLI INTERNI. 3. IL PROGETTO DI D2U DESIGN TO USERS, SOCIETÀ DI PROGETTAZIONE CON SEDI A MILANO E ROMA, HA VOLUTO FAR DIALOGARE ELEMENTI ARCHITETTONICI ESISTENTI (PAVIMENTI IN MARMO, PORTE IN LEGNO, SOFFITTI DECORATI) CON ARREDI IN PRODUZIONE E SU MISURA DI FORTE IMPRONTA CONTEMPORANEA.
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2.
Lo spazio, i cui interni sono firmati dallo studio di progettazione D2U Design to Users, abbina elementi moderni, come il banco reception situato all’ingresso, alle caratteristiche di pregio del palazzo storico, come i pavimenti in graniglia di marmo, le porte in legno massiccio di rovere e i soffitti déco. Tutte le zone di passaggio hanno pavimento in resina, mentre le aree di lavoro sono realizzate in parquet di rovere (proveniente da foreste disboscate secondo principi di ecocompatibilità), realizzando così un contrasto netto tra storico e contemporaneo da un lato e tra lucido e opaco dall’altro. “Nella ristrutturazione dell’edificio – illustra l’architetto Jacopo della Fontana, responsabile del progetto per D2U – , il committente ha voluto mantenere la vocazione storica del teatro, con il palcoscenico che può essere utilizzato per presentazioni ai clienti in contesti non formali. Colori caldi e tendaggi rossi, che richiamano una “messa in scena”, permettono di separare il palco in aree di sviluppo dinamico, dando un senso di relax e comfort all’intero ambiente”. La profondità dei volumi e il vasto palcoscenico sono stati ulteriormente valorizzati dal perimetro della sala, grazie ad alcuni corridoi che rimangono “in quota” rispetto alla platea sottostante. L’intervento si articola su due piani e comprende una parte
3.
centrale, organizzata per team di lavoro, in cui è stato ricavato un patio vetrato a tutta altezza, per dare maggiore profondità e luminosità agli interni: pavimentato in legno ricomposto, il patio fornisce una ventilazione naturale e si propone come spazio di aggregazione open air. La sala lounge è dotata di apparecchiature per video chat: uno schermo con videocamera e audio on demand consente di collegare le due sedi Leo Burnett di Milano e in un prossimo futuro sarà connessa anche con le sedi di Roma e Torino. Arricchiscono gli interni i quadri e le sculture di artisti internazionali, selezionati dalla Galleria Ciardi, messi in risalto anche dall’illuminazione realizzata con sistemi Flos e Siteco. (Danilo Premoli)
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a centro tavola, lo scaldavivande integrato con vari accessori, che fa parte della proposta di un tableware formato da varie tipologie di oggetti realizzati in materiali differenti. (foto simon thiÊbaut Š via 2011)
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che il V iA, Valorisation de l’innovation dans l’Ameublement, siA All’ avanguardia Nell ’iNdiViduAre e premi Are i lavori che Affr ONTANO, iN modo innovativo, i Gr ANdi temi de l progetto contemporaneo (ambiente, ottimizzazione delle risorse, responsabilità sociale), è c ONferm ATO dAl progetto Objet trou noir (OGGeTTO Buc O Ner O) di GAëlle G ABille T e sTéph ANe Vill Ard, premiATO c ON l A c arte Blanche 2011
Bien Vivre all a f rancese
testo di Antonella Boisi
A
l recente FuoriSalone milanese, è stata una delle mostre più interessanti dell’area Tortona, quella del VIA, istituzione francese legata al Ministero dell’Industria, che aiuta i giovani talenti a promuovere i loro progetti con la realizzazione di prototipi e le aziende ad avvicinarsi alla cultura del design. Lo è stata per le dimensioni dell’esposizione (400 mq dell’ex showroom Emporio appena ristrutturato e ribattezzato Opificio 13) e lo è stata per i contenuti: 22 pezzi davvero propositivi in termini di ricerca-sperimentazione di materiali e tecniche produttive, premiati con i vari riconoscimenti consueti targati VIA. L’appuntamento era piuttosto atteso, anche perché lo scorso anno il VIA, che ha festeggiato i primi 30 anni con un’importante mostra al Centre Pompidou di Parigi, è stato grande assente a Milano. E le aspettative non sono state disattese.
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non solo oggetti di riciclo in cofalit. la sperimentazione di gabillet & villard si è focalizzata anche sullo studio della reversibilità di un oggetto, secondo il principio che ogni cosa può essere scomponibile in parti compiute e avere più di una funzione. (foto marie flores © via 2011)
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col cofalit, materiale vetrificato dopo l’incenerimento di rifiuti e detriti costruttivi contaminati di amianto, resistente a shock termici ed eccellente conduttore di calore, gabillet & villard hanno progettato ‘mattoni’ forati adatti alla realizzazione di stufe e partizioni divisorie, ‘piastrelle’, copricaloriferi e lampade. (foto marie flores © via 2011) sotto, l’oggetto aspirapolvere. destrutturato genera una famiglia allargata di oggetti d’uso quotidiano (secchio, sgabello, spazzolone), realizzati in vari materiali. pagina a fianco, le piastrelle di cofalit applicate al rivestimento di un pavimento. facili da posare, sono disponibili in varie forme e configurazioni geometriche.(foto simon thiébaut © via 2011)
Sul palcoscenico del fertile laboratorio-osservatorio di tendenze, un articolato progetto in particolare ha catalizzato l’attenzione: l’Objet trou noir (oggetto buco nero) di Gaëlle Gabillet e Stéphane Villard, premiato con La Carte blanche VIA 2011, che ha affrontato, in uno scenario popolato di oggetti total black di varie tipologie, tre temi chiari, trasparenti ed ecologically correct: il riciclo dei materiali e l’ottimizzazione delle risorse, rigenerate con l’eliminazione di scorie tossiche; la scomposizione di ogni oggetto in elementi ‘indipendenti’ che possono poi generarne altri; la reversibilità di un manufatto, secondo il principio che ogni cosa può avere più di una funzione, essere ibrida e multifunzionale. Nella fattispecie, il bien vivre alla francese disegnato dai giovani Gabillet (classe 1976) e Villard (classe 1973), che hanno scoperto di avere le medesime affinità elettive frequentando i corsi dell’ENSCI /Les Ateliers dove si sono incontrati, ha riletto la filosofia astronomica del buco nero (lo stadio finale dell’evoluzione di alcune stelle che risucchiano materia dentro il campo gravitazionale, trasformandola in altro), restituendola con una suggestiva ‘rivoluzione verde’ focalizzata sulle potenzialità estetiche e funzionali dei materiali di scarto. “La metafora del buco nero nello spazio e del confine ideale attraverso il quale la luce può entrare ma non uscire” hanno spiegato i designer “è stata funzionale alla nostra ricerca sui rifiuti, il vero buco nero della società contemporanea. Siamo infatti stra-convinti che sostenibilità e ridotto impatto ambientale degli artefatti già materializzati nel nostro
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paesaggio terrestre, equivalgano a un miglioramento della vita quotidiana”. Gli scarti sono stati rigenerati, con una sperimentazione progettuale concentrata in primis sull’uso innovativo del Cofalit, un materiale che nasce dalla vitrificazione dei rifiuti contenenti amianto o dai materiali inerti provenienti da scarti edilizi. Il Cofalit è stato adottato per realizzare mattoni, piastrelle e tegole adatti alla realizzazione di stufe, radiatori, partizioni verticali e rivestimenti a pavimento in una grande varietà di forme e figure. Ma non solo. Anche concreti oggetti e complementi d’arredo dalla spiccata multifunzionalità. Il tutto con una precisa consapevolezza: “se possiamo utilizzare un unico artefatto per fare più cose” hanno chiarito “avremo meno oggetti da dismettere sul medio-lungo termine. A vantaggio di una gestione ottimizzata dei rifiuti e di una maggiore sostenibilità”. Una prospettiva ineccepibile considerato che sovrapopolazione, sciupio di risorse e dell’habitat naturale hanno già causato disastri da non incrementare; e tenuto presente che il compito del designer è di immaginare un nuovo che possa contribuire a un maggiore benessere collettivo e individuale. Dunque per assorbire come in un buco nero alcuni dei rifiuti che vengono prodotti quotidianamente, i nostri li hanno trasformati in positivo, impiegandoli in nuovi processi produttivi ed eliminandoli al contempo idealmente, come rami secchi , dall’albero genealogico degli oggetti iper-specializzati, per renderli, di contro, collocabili in una dimensione di reversibilità. Emblematico in
questo senso il progetto focalizzato sull’oggetto aspirapolvere di riciclo poi riconvertito in più parti funzionalmente indipendenti. O quello del tableware declinato in una composizione sintattica di forme compiute. Anche l’idea di destrutturare un oggetto, generando da esso altri oggetti più piccoli, nasce dall’esigenza di contenere l’uso dei materiali. E soprattutto il Cofalit, eccellente conduttore di calore, resistente a pesanti shock termici, in questo senso può essere una valida proposta, nonostante il suo colore nero renda gli oggetti realizzati con esso simili a delle pietre. Ma si tratta pur sempre di pietre sensibili, prodotte dall’incenerimento di detriti costruttivi contaminati. E pronte a una nuova vita eco-democratica.
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INitaly production
Fold INg cha Irs p. 19 They’ve always been practical and functional. Today folding chairs are still efficient, but they also have an outstanding design dimension. Objects to ‘dig up’ only when there are more guests than usual, and then to put away in the basement? Not a chance. Today’s folding chairs have the kind of design quality that makes you want to keep them on stage even after the main event. They’ve been created by outstanding designers (like the Beverly developed by Antonio Citterio for B&B Italia, starting with a folding structure in cast aluminium), made with high-quality materials (fine wood combined with leather for the Pippa collection by Hermès, solid teak and Canatex screen for the Orson line by Roda), or they feature aesthetic solutions borrowed from the world of fashion (like the Regista chair by Missoni Home, with seat and back in Jacquard PVC, or the Sistina model by Fendi Casa, covered with the fabrics or leathers of the Fendi collections). Some recent entries also share another characteristic: the idea of making a contemporary reinterpretation of the classic director’s chair. A formal reference, an iconic element explicitly conveyed by the names of the chairs proposed by Roda (Orson, as in Welles) and by Missoni Home (Regista). o utdoor, per Forated, eco p. 23 To lighten up material without compromising its strength, to drain off raindrops while adding a creative decorative touch. Putting nature first. This is the slogan of the new route taken by many companies in this sector; ecosustainable production plants that use recycled materials with low environmental impact, skillfully transformed into new objects and furnishings. A stimulating future in which everyone has a part to play: designers, manufacturers and users. As for the home, outdoor furnishings are paying attention to controlled production processes, which will become an important factor of competitive advantage, while creating objects with particularly vivid appeal. use Ful aNd beaut IFul p. 24 Laden with coats, jackets and hats, they become ‘presences’ we don’t really notice; but ‘stripped’ of their function they turn out to be decorative, sculptural objects. Easy to dismantle, or to close away when not in use, accessorized perhaps, in a delicate concentrate of functions, ease of use and style. Forms o F cork p. 27 Natural and ecological, cork is a versatile material with which to make playfully pop furnishings. It has been ‘redeemed’ from a tradition that associated it mostly with wine, and is now strutting its stuff in a series of products that bring out its strong points. Today this noble botanical material is being used to cover hassocks in the form of wine corks by Doimo Decor, whose label – positioned on the side of the seat – looks like that of a fine vintage bottle. Or cork is reassembled as a composite to get thin sheets in the five lamps of the Coupoles collection by Carlo Trevisani for Seletti. Finally, it becomes the main feature of Degree, a multifunctional piece developed for Kristalia by Patrick Norguet.
INfactory
good commo N se Nse does Not ex Ist! p. 28 The first Design Lab 3M was held in Milan in 2002. Its founder, Mauro Porcini, is now the strategic global design director of the company at its headquarters in St. Paul, Minnesota. Since 2010, at the helm of Design Lab Europe in Milan there is a young woman: Monica Dalla Riva. At 3M innovation feels right at home, and you get this impression immediately from the people and the building. The new 3M Italia facility opened one year ago at Pioltello, near the Linate airport, is one of the most innovative workplaces in Italy today. The building
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INservice / 89 designed by Mario Cucinella is a manifesto of the expressive and design potential of a leading company, built in keeping with four priorities: energy efficiency, ecocompatible materials, use of renewable resources, comfort. A building where the same technologies 3M offers to the market have been used through deployment of 29 products, from wiring channels to fire barriers, digital projectors to films placed on glass to reduce solar radiation. A work of architecture that communicates a single message in many ways and directions: “You are in the house of 3M and everything is innovation!”. The entrance staircase, for example, seems to be painted red, but if you touch it you realize it is made with Di-Noc™, the adhesive covering for interiors, easy to maintain and replace. Most of the 75,000 products 3M generates are not visible to the untrained eye, but only to the many experts of sectors like health care, industry, electronics, security and graphics, who use them every day in their work. On the other hand, the products for consumers, like the legendary Post-it® or the orthopedic anklets, the pocket projectors or the air purifiers designed by Pininfarina, can be purchased in the store at the entrance, where the variety of merchandise categories and brands under the 3M umbrella is truly amazing. The rooms set aside for the Design Lab, instead, are simple, orderly, luminous, pleasantly bare, with chairs of different types, as in the bar at the Milan Triennale, and with just one special piece: a glass table with a base made by stacking plastic sheets covered with 3M technologies. The difference is made by the people and the projects they undertake, as Monica Dalla Riva and Matthieu Aquino, the young design manager of the Display and Graphics division, explain: “3M makes innovation by operating on as many as 45 technological platforms, and then comes the design phase. Most companies, on the other hand, use design to make innovation. Here the innovation is widespread and design translates the complexity of innovative technologies into objects that are useful for the world. Design contributes to create new product categories. For example, they have shown us a new water filter that acts very quickly, around which we were supposed to construct a sort of cup. Instead, we designed questions! We asked about the benefits and beauty of water, the desire and the real need to have a bottle of it with you in your everyday movements, and in this way an original filtering system with extractable bottles was created. To simplify the use of Post-it® Z-Notes and get away from the usual plastic or metal dispensers with springs, we have opted for a simple object, and thus one that was very hard to design, in glass and cork, pleasant to look at and to touch, more ecological and easy to dispose of. A new typology that is becoming a big success”. Besides the Design Labs in the USA and Europe, the company has opened two more in China and Japan, and it is interesting to know that a number of young people educated in Milan now play important roles in the States and at the Design Lab in Shanghai. The four centers employ a total of about 45 persons, with growing teams and ongoing connections with local cultures and global technologies. The Milan Lab stands out for special expertise on the themes of aesthetics, the socio-cultural components of products, the choice of colors and finishes. Matthieu Aquino: “At 3M we have a fantastic rule: everyone can devote 15% of their work time to experimenting on anything they like. The Post-it® was born like that: someone made it for his own personal use!” Monica Dalla Riva concludes: “After 13 years of working in multinational corporations I have understood that good common sense does not exist. Seated at a table with an Asian or a Scandinavian I realize we have different ways of sensing things. I believe that the challenge today is to transfer values and characteristics of uniqueness to universal products”.
showroom
soc Iety IN r ome p. 32 The new Society shop in Rome is inserted in the spaces of a former manufacturer of wall coverings. Its original spirit has been preserved in the restoration project by Rodolfo Dordoni. It is one of those cases when fate plays a leading role: the new Society store in Rome (a few meters from Piazza Navona) is located in spaces that were
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90 / inservice originally those of an old wall coverings company. An apt coincidence that could only be underlined in the renovation (a complex job due to the state of almost total abandon) of what is effectively an appendix of the church of Sant’Agnese in Agone at Piazza Pasquino. The project by Ferruccio Laviani – creator of the concept for all the Society spaces in Italy and abroad – conserves the original architecture and spirit of a decidedly unusual place: a result achieved by restoring the stucco work of the vaulted ceilings, and revealing the magnificent multicolored marble floors. The final result produces a sequence of spaces that converge on a courtyard that contains visible traces of an old loggia. The furnishings, done with benches and shelving in oak, maintain the firm’s tone of sober understatement, ideal to bring out the vivid, colorful tones of the Society collections. The new shop in Rome offers a selected range of products of great aesthetic impact: an explicit tribute to a city that has always set world records when it comes to beauty. Ef f Eti h Eadquart Ers p. 34 A large industrial space immersed in the breathtaking landscape of the hills of Tuscany: this is the new home of one of the leading brands on the international kitchen scene. Very high ceilings, exposed physical plant, original finishes: the renovated Effeti showroom at Tavarnelle, Florence, proudly conserves its industrial look, but is also gently ‘besieged’ by marvelous grapevines, those of the vineyards of the surrounding hills of Chianti. As an integral part of the space, the kitchens on display share the stage with a homogeneous interior design in which the gray base of the volume, the concrete dividers and large luminous walls establish a dialogue with the materials and volumes of the various compositions. The updated headquarters of the brand is the result of an overall project, a single identity in tune with the values of Effeti, where each kitchen model is presented to correspond to a precise decor need, in keeping with the ‘tailor-made’ approach of the Tuscan firm. The technical space below the ribbon windows on the east side of the building offers an area for display of materials, details, sections, exploded cutaways, making it possible to see and touch the quality and technology behind all Effeti production.
international showroom
antoniolupi in Munich p. 37 The flagship store on one of the most elegant streets in this Bavarian city is the first exclusive Antoniolupi outlet in Germany. A luminous space of 150 square meters in a corner building on Frauenstasse, a central shopping street in high-profile Munich. The Tuscan brand has opened its first German flagship store in partnership with Dasbadstudio, a local reference point for the design of the bath environment with an eye on the latest lifestyles. In keeping with the corporate image, the displays and layout (by the art director of the company, Andrea Lupi, and the in-house design staff) express values of clean form, fine materials and neutral hues. The contrast between technological materials and essential design in the collections is very effective, like the worn look of the floor, made with extralarge wood planks from very old trees. A detail that is an apt interpretation of the stylistic signatures of Antoniolupi: intertwining atmospheres, crossing tastes, focusing on linear design that goes beyond passing fashions. A sequence of arched windows, a retro touch in a new building, flood the space with light, accentuating the sensation of open space triggered by the lack of internal partitions. cE sar in paris p. 38 One year after the opening of the first showroom in Milan, Cesar hits Paris with a flagship store in the oldest neighborhood of the French capital. A shop with an area of 60 sq meters on Rue de Richelieu, the elegant street that runs through the area between the Opéra, the Louvre
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and the Bourse. The store displays the latest, most representative kitchens of the company. The new space in Paris reflects Cesar’s desire to be visible with an exclusive shop in a market like that of France that is one of the most important for the exportation of the firm’s products. The opening (like that of the store in Milan) is part of a wider strategy that calls for outlets of the brand in places of great visibility and prestige. The partner in this new adventure is Casa & Cucine, a company that has brought avant-garde design and kitchen technology to Paris for 25 years, to satisfy demanding private and professional customers. Elica in MuMbai p. 40 In one of Asia’s most important markets, the new Elica showroom relies on a taste for cultural exchange, starting with the design done by Riccardo Diotallevi and Santosh Baheti. A few months after inking a joint venture with Indian entrepreneur Pralhad Bhutada, Elica has opened its first store in the center of Mumbai: a space of 120 sq meters on two levels, designed to encourage exchange of knowledge and culture between Orient and Occident. So it is no coincidence that the design of the store is by Riccardo Diotallevi (Communications Manager Elica) and the Indian designer Santosh Baheti, and that the construction was done using only local labor and materials. Inside, the space features wood panels (made from old packing crates) on which to display the various offerings of the company. The tiles are Indian sand-color composite, selected for the floors, to blend with the orange of the display panels. The exterior, clad in gray aluminium, communicates the advanced technological evolution of the products of this brand.
production
nat ur E on th E tabl E p. 42 The purists of ikebana, the Japanese art of arranging cut flowers, might look askance at a ‘bouquet maker’. But Koziol, with Bloomi, has its eye on the practical and decorative side of things, instead of philosophy. This is a creative plastic clip, with a stylized floral image, to put on the edge of vases in order to make original arrangements. The German company developed the project in collaboration with the Munich Polytechnic, in particular with the young designer Chamila Perera, who based the idea on climbing plants and exotic flowers. Seasons, designed by Nao Tamura for Covo, is a functional kitchen interpretation and a different idea of a serving dish, based on nature and technology, seen from the cultural perspective of Japan. Like a leaf, each plate is flexible and lends itself to different uses. When stacked, the units create a sculptural composition. The silicon material is both expressive (it reproduces the flexibility of a real leaf) and practical (it can go in the oven, the microwave or the dishwasher). Soft and very striking are the terms of the Beauty in one drop silicon fruit holder designed by Niels Römer for Menu: an explosion, a image frozen in time, of a drop of color that becomes a container. Another object that cuts a nice figure on the table is Whisk, by LucidiPevere for Normann Copenhagen, a whisk-sculpture that reminds us of a cypress tree, with a bamboo trunk and plastic foliage. This ideal stylized natural landscape is completed by flexible blades of grass moved by the wind: they are the ABS sticks that form a finger food set from the Small Entities line by Marco Maggioni for Mebel.
project
c hair s and sculpt ur Es p. 44 Two chairs stretch up: one is a symbol of freedom, the other explores multiple functions. Two conceptually different objects, original examples of semantic processing of an archetypal form. Invited by Amnesty International, now celebrating its 50th year of existence, Maarten Baas has designed the Empty Chair, a symbolic object dedicated to the Chinese intellectual Liu Xiaobo, winner of the Nobel Peace Prize in 2010. The sculptural chair whose back reaches to the sky for a height of five meters is a symbolic image (a metaphor of
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due sedute della serie di mobili da giardino icons di Jan Plechác. il giovane designer Praghese asPorta la fisicità di oggetti iconici, come la louis chair (a sinistra) e la red blue chair di gerrit rietveld (sotto), ricavandone forme definite dal solo tubino in metallo. l’oggetto è ambiguamente riconoscibile nella sua assenza, ma Perfettamente funzionale (foto di Kristina hrabetova). nella Pagina accanto: Jan Plechác, modello della serie icons isPirato a Kubus di JosePh hoffmann. il limite fra arredo indoor e outdoor viene cancellato con una mossa Progettuale colta e allo stesso temPo leggera e ironica (foto di Jaroslav moravec).
L
a massiccia digitalizzazione della realtà sta portando nel mondo del progetto una generale tendenza alla rarefazione che investe non solo i prodotti digitali ma anche quelli materiali, che dai primi mutuano l’orientamento estetico alla sparizione del ‘case’. Ne nascono sperimentazioni bio-digitali come Cellular di Mathias Bengtsson, in cui l’applicazione di nuove tecnologie mediche a una resina epossidica ha reso possibile foggiare la seduta con lo stesso principio che disegna il tessuto osseo. O come Mother Nature dell’olandese Dave Hakkens, che riproduce la struttura di un microrganismo tra i più robusti in natura. O come, ancora, la spettacolare Batoidea di Peter Donders, che sembra disegnata dalle linee di tensione superficiale lungo le quali si ritirano le sostanze liquide mentre asciugano. Progetti come questi seguono una direzione del ‘ritiro’ che riporta l’oggetto a uno stato organico, pre-progettuale della materia. Altre esperienze rispondono invece allo stesso bisogno di rarefazione tramite l’azzeramento della dimensione materiale a favore della pura presenza segnica, arrivando a negare il passaggio del progetto dallo stato di ‘segno’ allo stato di ‘cosa’ e proporre al posto del corpo dell’oggetto il suo tracciato grafico. È quanto accade, per esempio, in progetti recenti per l’outdoor come FildeFer di Alessandra Baldereschi per Skitsch, che porta in giardino il fantasma di fisionomie domestiche, o Clubland di Peter Emrys-Roberts per Driade, lavoro precisissimo, di scuola, che prosciuga il divano da ogni ingombro anatomico lasciando alla percezione il minimo indispensabile.
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t Ranslations Liu Xiaobo’s inability to personally accept the prize, since he is in prison) to support the campaign against the censorship and growing repression of intellectuals, writers, journalists and activists all over the world. Another vertical rise does not embody universal values, but starts with clearly functional considerations – observation of the different ways chairs are used. The Extension Chair by Sjoerd Vroonland for Moooi is made of black painted birch, and features a curious, decorative extension of the back, a sort of branch that becomes a coat rack. Not an accessory, but an organic extension of the structure, that then branches into two other variations: a placemarker knob and a handbag hook.
young designers
mingei design p. 46 Little everyday things hatched by Japanese artisans or English flea markets, reconsidered with charm and intelligence by an oriental little big man. Hidden in the midst of the 700 other fledgling designers of the Salone Satellite 2011, he was not easy to find. But as compared to the throng, Yota Kakuda knows the basic rules of communication: in a sea of products it’s better to show just a few things, perfectly displayed. In other words: in the midst of fullness, emphasize emptiness. In relation to his Japanese colleagues, he has another major advantage: he speaks good English, so we were able to discuss things better. We discovered that at the age of 24, in 2003, he moved to London to work in a range of different studios, including those of Shin and Tomoko Azumi and Ross Lovegrove. In 2005-07 he took a masters degree at the Royal College of Art, in Product Design, under the guidance of Ron Arad and Kenneth Grange, winning a study grant from the Japanese government. Today, back in Japan, he works with a number of companies, including Muji. At the Salone Satellite Yota Kakuda had already participated, in 2002, but eight years later his maturity is evident, as was proven by his careful presentation: a series of light, graceful furnishings for easy dismantling, and a handle with forks at the ends, useful to insert a memo or to hang that key you can never find when you need it. Both these works reveal his procedure of little shifts of updated thinking, to perfect things that already exist. His design mantra is based on the tradition of Mingei, a Japanese word that means “arts of the people”, about which he writes: “I really appreciate the aesthetics of these crafted everyday useful objects. I grew up with them, because my mother had lots. Their value is that they are made by hand, in large quantities, they are inexpensive, they function day after day and represent a particular cultural origin, the region in which they are produced. Don’t they have a marvelous existence?” Another source of inspiration comes from car boot sales, those English flea markets where everyone arrives with a car and sells whatever he wants. All this shines through in his works: objects that are neither banal nor complicated, to use often, reminders of the past, but with the flavor and aesthetic of our time.
prizes
Red dot fo R the che f p. 49 Eye-catching for its totemic hypertech look. But minimal-chic design was not the only factor that earned Chef Touch by KitchenAid the Red Dot Award in the Product Design category for 2011. Behind this sturdy stainless steel column lies a revolutionary technology that brings the vacuum cooking system used for decades in restaurants into the home for the first time. A method that permits low-temperature cooking, conserving vitamins, minerals and natural moisture. The result: tender, tasty foods. Vacuum packing also helps conserve foods three times longer than normal refrigeration. There are three built-in appliances in the Chef Touch line that make this innovative process possible. The vacuum machine seals food in a packet with all its ingredients; it is then placed in the compact steam oven with 10 exclusive cooking functions for all types of dishes, from simple steamed vegetables to the most elaborate paté. The packets prevent
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inservice / 91 evaporation and keep flavors intense. After cooking the food is ready to serve, or it can be chilled to 3°C or frozen at -18°C, for two different types of storage. Together with other Red Dot winners, Chef Touch by KitchenAid will be shown from 5 July to 1 August at the Red Dot Design Museum in the Zeche Zollverein Coal Mine Industrial Complex of Essen.
intertwined exhibitions
in Rome, the Uniq Ueness of italy p. 50 In Rome, from 31 May to 25 September, the Uniqueness of Italy. Made in Italy and national identity. 1961–2011. Fifty years of Italian knowhow seen through the ADI Compasso d’Oro prize. An exhibition produced by Fondazione Valore Italia and curated by Enrico Morteo, in two locations (Palazzo delle Esposizioni and Macro Testaccio La Pelanda), included in the official program of celebrations for the 150th anniversary of Italian Unification. The show presents the Made in Italy phenomenon as an element of social cohesion that has contributed to reinforce a sense of national identity. The itinerary runs through the products of the historic collection of the Compasso d’Oro, seen here for the first time in a complete exhibition. At Palazzo delle Esposizioni six thematic itineraries (the design of work; from research to everyday life; new Italians new things; free time; the rigor of less; the liberation of languages) show the evolution of Italian know-how over the last fifty years, and how our design and production quality has modified lifestyles and behavior patterns, while contributing to reinforce a shared sense of national character, precisely in a period when that sense has been threatened by various reconsiderations. The voyage takes visitors through about 300 objects of the historic ADI Compasso d’Oro collection, winners since 1954 of this award for Italian excellence. This is the world’s most extensive design collection, including simple useful objects and complex industrial machinery, instruments, toys, automobiles, decorative fabrics, construction and publishing systems, theoretical research and graphics, as well as many other categories. At Macro Testaccio La Pelanda the show focuses on the present and opens a debate on the future: what are the challenges Made in Italy has to face in order to remain unique? What path should the national productive system take to stay competitive in the global economy? This part displays about 400 products selected over the last three years by the Permanent Design Observatory of ADI as nominees for the 22nd Compasso d’Oro (www.adi-design.org). Winners will be announced in July, in the context of this exhibition. a h isto Ry of d esign p. 53 Every two years, an exhibition on the protagonists of Italian design. This is the project the Istituto Superiore di Architettura Pier Giacomo Castiglioni of Schio has decided to launch to celebrate its 30th birthday. In Schio (Vicenza), at Lanificio Conte, a woolen mill converted for use as a multifunctional space, a retrospective exhibition was opened in May on the work of the studio De Pas D’Urbino Lomazzi, “a chorus of three voices” who have been outstanding figures on the Italian design scene over the last forty years. The event was organized by ISAI under the guidance of the architect Giorgio Giuliari and the teachers of the Institute, and supported by the city of Schio and the Architects Associations of Milan and Vicenza, as well as ADI, the Association for Industrial Design. The show was laid out with islands and peninsulas ‘populated’ with multiple objects and icons by the studio – many of which are still in production – and display cases showing original architectural models, objects, drawings, publications, photographs and projects. A fine collection that documents an important path of design research, summed up in a precious little catalogue published by ISAI. The list of the companies that have worked with the studio is a long one, including: Alessi, Artemide, Driade, Heller, Naos, MDF, Ligne Roset, Tonelli, Vitra, Zanotta and many others.
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Dalle forme che si attraversano c On le Dita ai Pr ODOtti evanescenti c Ome Ol Ogrammi: l a digitalizzazione Della realtà ren De semPre Più immateriale l’es tetica Delle c Ose di Stefano Caggiano
Ogg etti raref atti
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92 / inservice Lush greenery p. 54 The ‘sign’ visible in almost all international collections of fashion, and to some extent also of design, is undoubtedly that of flowers and nature, in all possible guises. There are also strong contaminations of art. So it is no coincidence that LiliRoze (alias Nathalie Rozé, www. liliroze.com), the renowned photographer of fashion in particular (she immortalized the latest collection by Maurizio Galante, but also gets involved with design, with Baleri-Cerrutti), is now the protagonist of a solo show that Galerie 127 in Marrakech (www.galerienathalielocatelli. com), specialized in contemporary photography, has been invited to organize inside the famous La Mamounia (www.mamounia.com), the historic luxury hotel in that city, recently renovated thanks to a project by Jacques Garcia. In the territory of art we also find Rachel Lévy, a cosmopolitan photographer (born in Casablanca, educated in San Francisco, living in Paris), specialized in nature portraits (flowers, legumes, et al), shown not in a state of full perfection, but with evident signs of decay, ante-mortem as it were. At the Stephanie Hoppen Gallery of London (www.stephaniehoppen.com) she recently showed moving portraits of flowers, which were a big hit at the latest London Art Fair in Islington. Paris is also home to Joy de Rohan-Chabot (www. joyderohanchabot.com), an aristocratic Frenchwoman who has two passions: nature and the decorative arts, applied to metals, wood and glass. She works in her atelier in the heart of Paris, producing poetic pieces that are often explosions of color. Her talent was noticed by Doris Bryner, director of the Home division of Dior, for whom she has created a collection of light plates and glasses, painted by hand, and by the Musée des Impressionnismes of Giverny in Normandy, which commissioned some floral pieces, while the Musée Jacquemart André of Paris has already featured her work in a solo show.
sustainability
What is th is crisis, any Way? p. 57 On the world map there are a few countries that are in good economic shape, while many others are still struggling with the economic situation. But just what is the situation, anyway? Especially in the West (Europe and the USA) and the advanced East (Japan)? Because, as we know, a number of other countries in the world (China, India, Brazil) are not tossing and turning in the shadows of economic nightmares and consumer reluctance: in fact, they’ve never had it so good, as they say. The looming fear of degrowth (something that for an increasingly number of observers might, instead, be ‘happy’) of the Old Continent was the recent focus, at the Teatro Quisisana of Capri, of the annual observatory of contemporary trends organized by Elena Marinoni for the eclectic Fondazione Capri (www.fondazionecapri.it), created by a group of entrepreneurs of Capri and Anacapri to safeguard the historic-artistic heritage of the island while producing and spreading culture in the territory. The event made use of data supplied by Tomorrow Now and the GPF research institute (polls conducted with the Trendwatching method, hence the name of the island festivalgathering, i.e. observation of lifestyles and social behaviors by so-called urban watchers in key European cities). Through trendwatching it is possible to make hypotheses about the evolution of society and, as a result, of consumer attitudes and purchases. One of the ‘behaviors’ recorded in the operation was that of Recycling, meaning re-qualification, re-generation, repair, reinterpretation of meaning of waste and refuse – in short, the transformation of waste into something ‘precious’, to produce ‘resurrected’ things. In substance, sustainability as innovative and intelligent ‘luxury’, meeting with the approval of Italians (64.2 % have purchased recycled products), indicating that this type of consumption should increase in the near future. Looking at the trendiest European cities, we see that in Barcelona, for example, they have created Reparat milor que nou, an academy of fix-it-yourself education, from wall coverings to bicycles; in Berlin they have transformed a former municipal swimming pool into a multiuse space to organize lunches and receptions, but also independently organized art exhibitions; in Antwerp they have invented Life Cycle,
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trans Lations a NGO that repairs utensils, furnishings and clothing, with the help of handicapped and unemployed people; in Utrecht the initiative is ARM, a chain of repair shops that sells objects donated to the association at very low prices, after they have been cleaned, fixed and tested; while the Hergebruik studio in Rotterdam is an atelier that sells furnishings, objects and costume jewelry re-designed by young designers with scrap materials; at Cafe Phil in Vienna, on the other hand, you can lounge on repaired vintage furnishings, that are also for sale, together with second-hand records, DVDs, books and mixed up tableware; Melbourne, finally, is the home of Lonely Planet, the publisher of travel guides fill of low-cost suggestions and tips. In Naples they’ve gone one step further: Bidonville, the “association of those who want to reutilize, conserve and regenerate everything”, organizes on 26 and 27 November the annual Fair of Barter and Used Items, while the Masaniello association has created, in 2007, for its members, the initiative SCEC (acronym of Solidarietà ChE Cammina), a locally used ‘check’ that does not function as a complementary currency, but is used as a percentage, together with euros; in substance, it constitutes a discount the members offer each other, envisioning a preferential circuit of the local economy, making it possible to keep the largest possible portion of the wealth produced by the members in the territory. In short, ‘other’ economies, like ZeroRelativo, a community of exchange, reuse and barter on line; the Swap Club Italia, a community in which to swap and barter clothing and accessories; the A veglia festival, or “at the theater with barter”, held in mid-September for the last five years now in Manciano, Marsiliana and Montemerano (Grosseto). From the rice FieLd to the city p. 62 Southwest of Milan, in the suburban zone between the two canals –Grande and Pavese– lies an agricultural area where you are suddenly in the midst of the rural tradition: it’s called the Parco delle Risaie, and for the first time this “rice fields park” will be presented to the public through the photographic exhibition “Parco delle risaie. The agricultural heart of Milan” (until 30 July), organized by Associazione Parco delle Risaie (www. parcodellerisaie.it) and Connecting Cultures (www.connecting cultures. info), the social promotion agency founded by Anna Detheridge. The show is hosted by Galleria Previtali in Milan (via Lombardini 14, tel. 0258113090, www.galleriaprevitali.it). In substance, it is a narration through images of what an urban agricultural park should be, seen through the eyes of those who live, work and visit there, offering stimuli for reflection on the relationships and potential of this particular area with respect to the metropolis. “The story of the Park is quite unique. It is both new and unpredictable, but also ancient, the result of that relationship between city and territory that is the secret, the foundation on which the plot of the history of Milan unfolds. (…) The idea is to understand and transmit the sense of the history that has given rise to the Park. Not history per se, because things are born and then die: I mean the sense of this story, its cultural force, which impacts the future of Milan and the world” (Luca Doninelli). The exhibition, in three sections (Landscape of earth, water and sky; The crossed landscape; The rice fields for the city), is part of a series of actions included in the Parco delle Risaie project, in the context of the Spazi Aperti 2010 program supported by Fondazione Cariplo (www. fondazionecariplo.it). “As in any big city in the world, Milan is now at a crossroads. It can continue to grow, devouring agricultural land, forests and portions of nature, continuing to reduce botanical biodiversity and the territories available to other animal species. Or it can choose to become a metropolis of biodiversity, starting with a new pact between nature, city and agriculture”. With this statement, Stefano Boeri (Milan, 1956) introduces his BioMilano, recently published by Corraini Editore, a “glossary of ideas for a metropolis of biodiversity”, which illustrates the six projects of BioMilano (including the planetary botanical gardens for Expo 2015).
food design
t erraces and roo F gard ens p. 64 For decades Rome ran the show as far as terraces were concerned. But when the Dolce Vita came to Milan thanks to the three F-words
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Sopra a SiniStra: FildeFer, Sedia, poltrona, tavolo e tavolino per eSterni diSegnati da aleSSandra BaldereSchi per SkitSch, 2011. il tondino di Ferro viene uSato come la graFite di una matita per diSegnare l’eFFetto d’imBottitura capitonnÈ. in quattro colori: verde, Bianco, grigio e azzurro. Sopra: il divano cluBland di peter emryS-roBertS per DriaDe, 2011, realizzato in acciaio inox con cuScino di Seduta e quattro cuScini volanti con imBottitura e riveStimento. per uSo interno ed eSterno. Sotto: Batoidea di Peter DonDerS, un progetto che prende il nome da peSci cartilaginei dal corpo piatto. la Seduta, diSegnata con un SoFtware 3d, È realizzata in preSSoFuSione di alluminio.
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(furniture, fashion, food) even the local workaholics began to catch on. For years the Milanese thought summer terraces – with plants and flowers, trendy furnishings, good food and wine – were simply an enviable option of Roman flaneurs, but now they are changing their tune and discovering the joys of self-indulgent outdoor lounging. So when spring arrives even in Milan you can see greenery sprout on terraces and roof gardens, for private but also public use, in luxury hotels, in the heart of the city or out in the suburbs. From Rome to Milan the landscape may change but not the substance, based on enticing aperitifs and dinners created by outstanding chefs, as the temptation to outfit a terrace becomes more and more irresistible. In Rome, for example, we can look at the restructuring (done by Lorenzo Felici) of the terrace on the seventh floor of the Sofitel Rome Villa Borghese (www.sofitel.com), which for the occasion has also recruited a new astro-chef, Giuseppe D’Alessio, who offers excellent repasts. At the end of May, the First Hotel, close to Piazza del Popolo in Rome (www. thefirsthotel.com), opened an interesting exhibition involving 40 Roman artists, with creations for common areas, rooms and suites (29 in all), as well as the roof garden reached from the ground floor, at the OverHall restaurant that also offers tasty Kosher meals.
of water. Salento (Otranto, Gallipoli, Lecce) is one Italian area that is threatened with drought or even desertification: UN Water (www. unwater.org) reports that in Puglia only 7% of the territory is not at risk. So planning is needed in multiple sectors: protection of the soil, sustainable management of hydric resources, reduction of impact of productive activities, rebalancing of the territory, crossover measures that all require funding and energy. There are some small towns that are taking positive ecosustainable steps in this direction. The town of Zollino is now restoring wells dug into the clay, with an efficient system of filtering and conservation of water. In Maglie, on the other hand, the old Lamarque tannery has been intelligently transformed into a luxury relais and an eco-museum on vegetable tanning. We should also mention the oasis of Le Cesine di Vernole, a nature reserve managed, protected and kept clean by the WWF; starting this fall the facility will also have rooms for 40 guests. Finally, Corigliano d’Otranto, which has a superb castle. The City has ceded the facility to a local social cooperative for use as a cafe-restaurant and hotel. Another interesting place is the nearby farmhouse converted for tourism at Sant’Angelo (rooms and bungalows with verandahs, independent and renovated, using salvaged stone wherever possible).
landscape
city project
H2O survival scenari Os p. 68 In Italy drought is an increasing problem in Sardinia, Sicily, Basilicata, Calabria and Puglia, and we can only imagine the situation in Africa. Water, blue gold, is a factor of economic dispute: not to be wasted, which is what happens today in our country. For 2011 the Institute of Mediterranean Cultures (www.culturemediterranee.org) has decided to focus on “H20 New survival scenarios”, a constantly evolving project in the form of a traveling exhibition and workshops, organized by Roberto Marcatti and Cintya Concari, founders of the non-profit organization of the same name (www.h2omilano.org). So until 30 September the castle of Acaya (Lecce) will welcome the exhibition, supported by the Puglia Region, the Province and City of Lecce, and Acquedotto Pugliese. The goal is to compare notes with other Mediterranean countries, towards a shared process of integrated action regarding this precious and increasingly scarce resource. The show features 160 projects by designers, architects (from Alessandro Mendini to Patricia Urquiola) and graphic artists, approaching the theme of potable water with solutions linked to ecosustainability. Visitors can also see the three winning projects of Water = Life, a workshop held in Milan during Design Week. The H2O association also held, in May, at the castle of Cornigliano d’Otranto, another Water=Life workshop (and exhibition) for graduate students, young professionals and environmental experts, with a particular focus on drinking water. Ways to save water are also on the mind of Guy Laliberté, the Canadian founder of Cirque du Soleil, with his very active foundation One Drop (www.onedrop.org). Prince Albert II of Monaco has also started a foundation to address these issues (www.fpa2.com). Both are often in contact with the Milan-based association H2O. As the French newspaper Libération writes, “an African woman walks an average of six km per day to get water for her family (...) 1.5 billion human beings do not have access to potable water. The number will rise to 2 billion by 2025”. As the Italian Forum of Movements for Water (www.acquabenecomune.org) indicates, “Water is a shared resource, not just for man but for all life forms on earth. Pollution and waste threaten the possibility of guaranteeing the entire world population adequate supplies to live, a level already not ensured all over Italy, and a dramatic problem in certain parts of the world (...)”. Over the last 25 years consumption of water has increased in Europe by 60%, but with great differentiation from nation to nation. Who knows how, given the fact that 15% of the population does not have continuous access to drinking water, but Italy leads the pack (negatively) with average consumption of 250 liters per person per day (as opposed to 150 in France), and during World Water Day (22 March) the newspapers struggled to get their readers to pay attention to domestic wasting
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THe grace Of THe benc H p. 73 Urban furniture with a gentle spirit, the classic seat was the focus of experimentation during the FuoriSalone 2011. In Staron® or wood, straight or round, it is evolving to embellish the cities of the future. Senior citizens and kids, lovers and dreamers all like benches. Though the frenzy of metropolitan life seems to ignore them completely. Benches are a rather retro symbol of a city built on a human scale. As Beppe Sebaste writes in a book on benches (Panchine. Come uscire dal mondo senza uscirne, Laterza 2008): “The bench is a place to stop, an achieved utopia. A vacation within easy reach”. Architects – at least some of them – also love benches, and they proved it during the latest FuoriSalone, presenting a number of prototypes based on research, with a provocative message intended to reawaken the slumbering field of urban furnishings. The studio Corvino+Multari proposed, at its offices on Via Cosimo del Fante, Dejeuner sur l’herbe, a show on the historical use of benches and two prototypes based on the use of Staron®, the solid surface material by Samsung: the first, Milano 2.0, apes the classic model, with the horizontal slats in this new material, while the second, Sur l’herbe, is a single block of Staron with green stripes, reinterpreting the tradition. The Esterni group, in its Public Design Festival, showed its first urban furnishing product at Cascina Cuccagna, the Circular Bench, while RWA_Ruffo Wolf Architetti positioned its “Permesso di sosta” on Via Hoepli, a long, welcoming bench made with wooden planks, as a metaphor of quality of life. l ivable? lO vable! p. 74 How can we make our cities more livable? Philips asked designers from all over the world, who answered with simple, brilliant ideas. They were rewarded for their efforts in Amsterdam, at the Philips Livable Cities Award. Ban Ki-moon, secretary general of the United Nations, has defined our time as the “urban century”: it is estimated that 70% of the world population will live in cities by 2050. Transforming the chaotic metropolis into a better place for people to live is the main challenge of the 21st century. Philips addresses this theme with the Livable Cities Award, to stimulate designers and creative talents to come up with concrete, feasible ideas to improve living conditions in big cities all over the world. The winners got their prizes on 27 April in Amsterdam, at the prestigious Rijksmuseum: three projects selected from 450 entries from 29 countries, for a total of 125,000 euros in prize money and a chance to work with Philips to transform the ideas into realities. First prize went to Sabrina Faber of Yemen, who presented a system to gather rain water in the dwellings of Sana’a; second prize was for Manuel Rapoport of Buenos Aires, for his idea of transforming squares into temporary recreation
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Sopra: parte della collezione di arredi per eSterni progettati da Kilian Schindler per la KarlSruhe univerSity of artS and deSign, Wire chair Si è aggiudicata il BeSt architectural concept della d³ SchoolS competition.
Sopra a deStra: la lampada vita, diSegnata da Brian raSmuSSen per lucente, 2011, è coStituita da 19 elementi in metallo di forma elicoidale. la Struttura appare caSuale o ordinata a Seconda dei punti di viSta. diSponiBile in Bianco o roSSo.
colaBrodo di andrea magnani per reSign, 2008, naSce traforando con un trapano la claSSica Seduta in plaStica monoBlocco, che rimane riconoSciBile Solo nei ‘reSti’ che ne rimangono.
accanto: mother nature è una Sperimentazione plaStica pre-oggettuale realizzata da dave haKKenS tramite la riproduzione ingrandita della Struttura di un microrganiSmo.
Anche la seduta Charles Wire del tedesco Kilian Schindler si colloca su questa linea, condividendo con la serie Icons del giovane praghese Jan Plechác l’idea di riprodurre alcune icone del design svuotandole della loro ‘aniconica’ fisicità. Colabrodo di Andrea Magnani, poi, un atto di violenza sottrattiva che si accanisce sull’archetipo della sedia in plastica monoblocco traforandola con un trapano, oltre ad esibire lo stesso senso di diradamento segnala il rigetto generazionale di chi, cresciuto a pane e comunicazione, rifiuta oggi il modello del mondo-mercato e dell’antropologia merceologica. Ma al di là delle diverse ‘etiche’ che le presiedono, dal punto di vista linguistico queste operazioni mostrano tutte di aver contratto il metabolismo digitale, i cui prodotti sono per loro natura votati a un’esistenza ‘friabile’ fatta di repentine aggregazioni di informazioni (è quel che succede quando ‘apriamo’ un file, o ‘entriamo’ in un sito web) che tornano presto a sciogliersi (‘chiudere’ il file, ‘uscire’ dal sito) per rientrare nel circuito diffuso della disponibilità in remoto. Nel design ciò si traduce con l’allentamento del patto d’acciaio tra materia e forma, a favore di addensamenti e rarefazioni che agiscono come variazioni interne di un flusso globale fatto di oggetti evanescenti e segni persistenti. Perché ad essere in gioco non è la
sostituzione dell’immagine alla realtà (che non c’è mai stata, nonostante il manicheismo critico di tanta demagogia apocalittica), ma l’integrazione emotiva di atomi e bit, metallo e silice, e la conseguente ricollocazione ‘assiologica’ dei valori materiali e formali del progetto. Ecco perché l’anatomia rarefatta di oggetti come la lampada a sospensione Luce, disegnata da Brian Rasmussen per Lucente (un cuore luminoso trapiantato in un corpo-che-non-c’è), ancorché costituire un limite rappresenta piuttosto l’aggancio a una nuova potenzialità espressiva che vede le cose sublimarsi a favore della loro astratta immanenza funzionale, come ologrammi che si possono attraversare con le dita. Per il design si tratta di accogliere, e non già respingere, questo bisogno di liberazione dalla compattezza, all’interno di uno scenario in cui la coesione è vissuta come un disvalore perché comporta il congelamento della processualità trasformazionale caratteristica del design contemporaneo, i cui progetti, guizzanti e scivolosi, piuttosto che permettere a una Forma di scontornarli preferiscono rimanere sospesi tra ciò che sono e ciò che non sono.
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Sotto: grazie a un programma 3d in grado di Simulare la rigenerazione del teSSuto oSSeo, la Seduta cellular di MathiaS BengtSSon aSSume una Struttura cellulare, reSiStente e leggera.
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94 / inservice spaces (Plaza Movil Street Park). Third prize was awarded to James Kityo of Kampala for a canopy project. Philips works in this direction on several fronts: the city.people.light prize goes each year to the city that has made best use of lighting in public spaces (Lucerne, in 2010), and the Philips Design research center constantly works on sustainable prototypes to improve artificial lighting in cities; like the come Glowing Places interactive seating that reacts to the presence of people, lighting up, and the LED Light Blossom street light, which requires no connection to the main electrical system.
in bookstores
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Blue Sky Project by Emmanuele Panzarini, Grafica Veneta 2010. A self-produced book that gathers the photographic notes of its author during a stay in Spain as an Erasmus student in the course on audiovisual communications at the University of Bilbao. Panzarini, born in 1984, with a degree from DAMS Bologna, chose the camera in his cell phone as the working tool for this voyage that ‘looks to the sky’, making it into a sort of digital notepad to capture sensations, spaces, architecture. The author has selected images from over 8000 shots, picking the ones with ample portions of blue sky and then stretching them with Photoshop for a panoramic effect. The Blue Sky Project is not a book of architectural photography, it is more like an artwork that tries to represent reality looking upward into the azure heavens of the Mediterranean. Instead of captions there are geographical coordinates so readers can follow in the photographer’s footsteps using Google Earth. Abitare la città by Ugo La Pietra, Allemandi & C. Editore 2011, p. 280, € 28.00. A cross-media pioneer, architect, artist and designer, Ugo La Pietra gathers in this volume a series of conceptual and operative experiences (decoding, intervention, exploration of the territory, meta-projects and projects) in which the city, its livability and reappropriation are the main focus. Evoking the 1950s slogan of the Situationist International “to inhabit is to be at home everywhere”, La Pietra orients his radical and aesthetic, provocative and positive research towards an attempt to “take possession of the urban territory in which I lived, getting beyond the concept of a ‘space to use’ in favor of a ‘space to live in’”. In this humanist outlook on urban themes La Pietra acts in a transverse way, applying the concept of “synesthesia of the arts”, where interdisciplinary connections disrupt the traditional hierarchy of scales of intervention. His critique of ‘urban furnishings’ is particularly timely and profound. La Pietra sees them not just as a catalogue of objects to position in public spaces, but also as a “problem that exists: too much city has been designed forgetting about the spaces between buildings that represent our collective places. [...] Urban spaces are awaiting improvement! But be careful. To offer a series of equipment redesigned according to the ‘good taste’ of the designer, or a few monuments, will not suffice to make the spaces of the city livable. [...] Precisely in our historic cities, where each street has a character, each square has an identity, we should be able to intervene not by using a ‘catalogue’ of tools, but by bringing out the character of places”. Enzo Mari – 25 modi per piantare un chiodo by Enzo Mari, Mondadori Editore 2011, p. 174, € 17.50. Included in the Strade Blu series, usually set aside for fiction, this autobiography of one of the most famous Italian designers of the postwar generation is a ‘tale’ that starts with his childhood and youth, in the 1930s and 1940s, then retraces his training at the Fine Arts Academy of Brera in Milan, and the phase of interface between art and design, a balance that has continued throughout his career. “If someone says I am a good designer today, it is because I was trained as an artist, instead of memorizing the miserable manuals taught in specialized schools. I have never separated my two paths of research, they have intertwined and overlapped for my whole life”. Mari combines this artistic dimension of design activity with the culture of the humanities: “When I enter a workshop, if I learn something in terms of technique, I feel the duty to transmit something else on the level of formal and
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humanistic culture: that is where the soul of things is hidden”. Far from the logic of marketing, Mari is convinced that the reasons behind design are tested by real functional requirements: “I believe it is fundamental for the maker of a project to take himself and his needs as his point of reference: if he is able to find a correct solution to his own needs, it will probably be correct for others as well”. Piero Lissoni Recent Architecture with photographs by Giovanni Gastel, Hatje Cantz Editore 2010, p. 224, € 100,00. Piero Lissoni is perhaps better known as a designer, though his background fully belongs to the world of architecture, especially its Italian regions, in which the famous motto of Walter Gropius “from the spoon to the city”, taken by the Modern Movement as a total formula for a ‘tabula rasa’ program of ‘refoundation of the visual universe’ is combined by Lissoni in a humanistic take on Italian architectural culture, in the sense of a relationship with history and culture, as urged by Ernesto Nathan Rogers in his theory and practice. This book presents Lissoni’s works of architecture, interpreted by the gaze of Giovanni Gastel, who is not an architectural photographer and perhaps precisely for this reason conveys a more complete, pure sense of the works, accompanied by sketches and drawings, as well a descriptions in English, German and Italian. Like his design work, the buildings of Lissoni seek the ‘limit’ in experimentation that combines compositional results with a way of listening to function, technique and appropriate use of materials, taken to extremes of high performance. As Stefano Casciani writes in his introduction: “Lissoni has an inner, intuitive, almost primitive ability to fabricate objects with a minimum of materials and tools. [...] This leaves him with the great responsibility, but also the refined pleasure, of being able to extend his measured experimentation to larger and larger scales, without ever losing that wry smile, that very personal irony that conceals the depth and difficulty of his trade, inside the elegant surfaces of his object/buildings”. Aris Konstantinidis 1913-1993 by Paola Cofano with Dimitri Konstantinidis, Electa Editore 2010, p. 356, € 100.00. Born in Athens in 1913, Aris Konstantinidis is one of those ‘unwieldy’ figures for official history, and has thus been somewhat neglected in critical coverage. After taking a degree in Munich in the first half of the 1930s, he built works in Greece, establishing “a delicate balance between the pre-war rationalism of Nikos Mitsakis and the vernacular and topographical modernism of Dimitri Pikionis”, as Kenneth Frampton explains in his opening essay, followed by historical-critical contributions by Paola Cofano, Giovanni Leoni, Helen Fessas Emmanouil and Dimitri Konstantinidis, prior to the complete presentation of the works, richly illustrated with photographs and drawings. For Konstantinidis “architecture cannot exist without landscape, climate, soil, uses and customs. This is why ancient buildings sometimes seem contemporary, and why we build contemporary buildings that could have been constructed in the past”. Listening to every landscape; interpreting anonymous and classical architecture; insisting on contemporary character as a recognizable language (as Paola Cofano points out) “the novelty of the thinking of Konstantinidis consists in having glimpsed ‘a line of continuity between ancient and anonymous architecture’, passing through the art and sensibility of the Byzantine era, and in having proposed, without reserve, a recognition of the value of folk and anonymous influences for the construction of new architecture”. As a Mediterranean architect, Konstantinidis searched for the original idea of habitation in the construction-nature relationship, creating buildings that become a phenomenon connected to the territory. (Matteo Vercelloni)
cinema
Malick: difficult cine Ma p. 78 A trip through the work of the most mysterious of American contemporary directors: from the debut to The Tree of Life, winner of the Golden Palm at Cannes. As everyone knows (by now), Terrence
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1. LEPARK DI GAN, TAPPETO DALLA COLLEZIONE HAND TUFTED, IN 100% LANA VERGINE. DESIGN ENBLANC. 2. MUFFIN, DI PIERO LISSONI PER PIERANTONIO BONACINA, POLTRONA E DIVANI MODULARI INDOOR CON STRUTTURA IN LEGNO MASSELLO, RIVESTIMENTO IN TESSUTO A RIGHE SFODERABILE. 3. NW1 TABLE, DI NICHOLAI WIIG HANSEN PER NORMANN COPENHAGEN, TAVOLINI IN GRÈS DECORATI A MANO, ADATTI ANCHE PER AMBIENTI ESTERNI.
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translations Malick has a degree in philosophy, has taught at MIT and translated (in 1969) a text by Martin Heidegger: The Essence of Reason. In an interview on cinema, some time ago, Malick said: “Making a film is not telling a story: I would like a film to be able to transmit the sense of things to the viewer”, where “sense” indicates “meaning, thought, the universal side of things”. So this is ‘difficult cinema’, that often triggers (in critics) a ‘philosophical’ approach, certainly pertinent enough, but one that winds up overshadowing the linguistic-formal structure of his films, apart from some marginal impressions. Malick himself says: “I don’t believe you can film philosophy”: so we are justified in wondering about the procedures through which he configures his own ‘philosophical thought’ (?) in ‘cinema form’: the conception of the world and that of cinema cannot be separated. The Tree of Life lends itself to a reading of several features of the expressive device Malick deploys, in keeping with his own idea of cinema (and the world). a) Cinema as a vision of the world (sense and meaning) Tracing back through his terse filmography (5 films from’73 to today), we can see how Malick, from the outset, has set out to shift cinema from ‘storytelling’ to ‘search for the sense of things’, moving inside a complicated fabric composed of multiple threads: the spirits of occidental philosophy (from Heraclitus to the Greek philosophers to Heidegger) and, in particular (see precisely The Tree of Life) within a vision of the world connected with the culture of American Transcendentalism: Emerson, Thoreau, but also Whitman and Melville, between a biblical background and pantheist, rebellious overtones, for which every being, every form of reality belongs to a universal soul: the Over-Soul, according to Emerson. This is a fabric on which the cinema of Malick continuously feeds according to ‘technical’ modes that refer precisely to the period of his apprenticeship, in 1969-73 (when he made his debut with Badlands). Malick’s training can be positioned in the wave of the New Hollywood, which in the early Seventies crossed American cinema, amidst rereadings of classic cinema (genre films, the icons of American mythology) and new experiments (his contemporaries like Scorsese, Coppola, Lucas, Cimino). Precisely this particular relationship with ‘genres’ can be seen in the filmography of Malick: the road movie and the gangster movie, the myth of the West (Days of Heaven), the war movie (The Thin Red Line), the family drama (The Tree of Life). But this is not a matter of citations or rewrites: Malick looks at traditional (classic) genres to grasp plots that are pretexts for an interpretation of the world: not woven plots (to rewrite, manipulate, etc.) but ‘tracks of things’ to unfold in an image-thought that reveals their deeper sense... b) The structure of the film Taking the plot as a ‘pretext’ for a process of interpretation-unveiling of the ‘transcendental’ meaning of things (and not as a narrative canon) implies a particular film structure: no longer image-story but image-thought. In The Tree of Life (and in The Thin Red Line) the film structure replaces the figure of a ‘protagonist’ with a ‘polyphony of characters’: Father-Mother-Son of an American family in Waco, 1950s: very typical characters, like cinema archetypes: as Roberto Silvestri writes, “the Father, authoritarian and violent, seems like a patriarch worthy of John Wayne or Lionel Barrymore, while the Mother, affectionate and gentle, has the red hair and angel face of Maureen O’Hara”. The focus is multiple, and does not pivot on one protagonist; the polyphonic structure of the film takes multiple vantage points into account, the sensations and thoughts of many characters, as reality appears in innumerable, discrete forms, and the monologic structure dissolves in multiple voices and images, demonstrating the impossibility of univocal perspectives. The structure is a thread the ties everything together: a free, fluid unfolding in which the voices gradually become a single voice that takes distant, opposing positions, but is also the sum of all the voices: ‘a voice made of many voices’ that is the voice of that single soul, that single Logos the finds the questions to answer but, in the end, is well aware of the fact that they cannot be resolved.
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inservice / 95 c) Style In Malick style has to be seen as a (personal) way of looking at things: Francesco Cattaneo calls it “an artifice deployed to construct a world (the world-work) equipped with its own inner identity, hermeneutically connected to the reality that is interpreted and portrayed”. Thus the structure in which the narrator is dissolved in multiple character-voices, so that the image becomes a stream of thought, etc., is composed through shots and camera movements free of any narrative order: precisely an ‘inner monologue’ through sequences without punctuation, a continuous reflection on the sense of things. The editing also proceeds by associations of meaning and not through narrative connections: on the rhythmical base of 34 pieces of music five editors organize a single, continuous flow of shots and sequences of the family microcosm, and chromatic-visual fragments of the universal macrocosm (special effects by Douglas Trumbull), beyond any time-space dimension. In this formal strategy, Malick applies one of his typical devices: the off-screen voiceover that accompanies direct dialogue, as if to capture aspects of reality that cannot be represented, as if to association with the unfolding of the actions the ‘sense of things’ the film wants to transmit: according to the intentions of the ‘philosopher’ Terrence Malick.
fashion file
Bags with BuBBles p. 80 The invention of pluriball with giant bubbles triggers a special collection of ecocompatible fashion accessories, produced in Campania. Behind the Big Bubble Bags we find Tecnopack, a company that makes packing materials in Arzano, near Naples. The idea is almost the result of a challenge: to make a mundane material into a fashion product. Challenges are a big part of the technical research and years of experience that led, in 2008, to the creation of Laplam, a material made of plastic and air, practically a kind of pluriball with giant bubbles. With Laplam, 3B, a company formed by Tecnopack for fashion ventures, has made a collection called Big Bubble Bags. Finished by hand by expert craftsmen, inspired by the latest fashion trends, the giant bubble handbags have quickly become an international hit, also seen in the MoMA boutiques in New York. With two seasonal collections in a range of colors and forms, from a big shopping bag to a pochette for evening wear, the Big Bubble Bags are made with recycled plastic based on an in-house production process. To certify their ecocompatibility and origin, every Big Bubble comes with a passport, similar to that of the Republic of Italy, stating place and date of birth, with a short story of this unusual transformation.
info & tech
From 0 to 11 in less than 40 p. 84 These are the stats of the world’s biggest TV, which emerges from the ground and opens to make an 11-square-meter screen (a diagonal of 201 inches) in less than one minute. The project is by Porsche Design Studio for Global Bright Group. What do the film festivals of Cannes and Venice have in common? Or the Motorshow of Geneva and Formula 1 races? It’s simple: the need to install huge screens so that everyone can ogle stars and champions. Global Bright, a leader in the production of LED screens, is a supplier of events for a planetary audience, though the firm is quite young: it was founded in 2004 by Alexander Swatek and Eduardo Saint-Julien, who after conducting research for four years, in collaboration with Porsche Design, have presented a television that becomes the world’s biggest screen at the touch of a button. It’s the C Seed, now in the 201 version (the diagonal measurement in inches), capable of emerging from the ground in 15 seconds, almost like a kinetic sculpture, and displaying, on top of a support over 4.5 meters in height, a screen composed of seven panels that open silently in just 25 seconds, creating a uniform surface on which to show bright images even in direct daylight. “CSeed 201 – says Alexander Swatek – is the result that combines our specific
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indesign inproduction / 95
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t utti in riga
di Katrin Cosseta
2.
Un’ordinata esplosione di colore. l a riga è il trend grafico del momento: sdrammatizza anche le forme più severe e infond e ritmo alle s Uperfici. dal mobile alla sed Uta, dalla lampada al tappeto
1. Colour Chandelier, di Willem matthijs sChilder per Design inDustry AmsterDAm, lampadario Composto da tre anelli ConCentriCi di led e da lamelle realizzabili in diversi materiali e Con varie grafiChe. Questo modello è stato disegnato per sikkens e rappresenta un Campionario Colori in 3d. 2. lastika, di veliChko velikov - lagostudio, per LAgo, sedia impilabile Con struttura in metallo e seduta Composta da elastiCi Colorati.
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Tran SLaTion S
96 / inservice know-how, very careful workmanship and design excellence. A new brand that aims to offer the ultimate in entertainment systems”. Produced by hand in a limited number of units, the screen has an essential design with black metal finish. The screen can rotate by 270 degrees, and features a sound system with 15 speakers. Obviously it is waterproof, equipped with a built-in fingerprint sensor and comes with a complete service guarantee. www.cseed.tv
erra Ta corrige
Nel numero di Interni n° 611 di Maggio 2011 è stato pubblicato a pagina 64 il tavolo Gher, disegnato da Lievore Altherr e Molina per Arper, ancora nella versione prototipo. La versione definitiva è quella che pubblichiamo ora. In Interni issue no. 611, May 2011, the Gher table published on page 64 is the prototype version designed by Lievore Altherr and Molina for Arper. The definitive version is shown here.
contract & office
The Thea Ter of imagina Tion p. 86 The new Milan headquarters of the advertising agency Leo Burnett is called the Theater of Imagination. It is located in the former Teatro delle Erbe, now completely restructured, but without losing its original atmosphere. The space, with interiors by the studio D2U Design to Users, combines modern elements like the reception counter at the entrance with the elegant characteristics of this historic building, like marble composite floors, solid oak doors and Art Deco ceilings. All the zones of passage have resin flooring, while the work areas have oak floors (from ecocompatible forestry), for a clear contrast between historical and contemporary, and shiny and matte finishes. “In the restructuring of the building – says architect Jacopo della Fontana, director of the project for D2U – the client wanted to maintain the historic vocation of the theater, with the stage that can be used for client presentations in an informal context. Warm colors and red drapes make it possible to separate the stage into dynamic areas, for a sense of relaxation and comfort”. The depth of the volumes and the vast stage have been further enhanced by the perimeter of the room, thanks to corridors left higher than the former seating area below. The project has two levels and includes a central part, organized for work teams, that contains a full-height glazed patio, to add greater depth and luminosity to the interiors: paved in wood composite, the patio supplies natural ventilation and an open air gathering place. The lounge features equipment for video chats: a screen with a video camera and audio on demand makes it possible to connect the two Leo Burnett facilities in Milan, with plans for future connections to the offices in Rome and Turin. The interiors are decorated with paintings and sculptures by international artists, selected by Galleria Ciardi, enhanced by lighting that relies on systems by Flos and Siteco.
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1. Human Duality i, Di Daniele lora per CC-Tapis, collezione Signature, tappeto realizzato a mano con la tecnica Del noDo tibetano, con vello in lana e trama in cotone. 2. Stripe Storage, DiSegnato e proDotto Da a2 designers, caSSettiera in mDf e legno laccato con meccaniSmo Di apertura puSH pull. 3. Di Missoni HoMe, Divano nap con riveStimento teSSile a rigHe in maglia Di trevira manDa.
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INDIRIZZI
InDIrIzzI 3M ITALIA spa Via N. Bobbio 21 20096 PIOLTELLO MI Tel. 0270351 Fax 0270353076-70353090 www.3m.com/it www.3m.com/meetings innovation.it@mmm.com AD MAIORA Via Fauché 37 20154 MILANO Fax 02315301 www.admaioramilano.com admaiora@admaioramilano.com ALESSI spa Via Privata Alessi 6 28887 CRUSINALLO DI OMEGNA VB Tel. 0323868611 Fax 0323868804 www.alessi.com info@alessi.com ALIAS spa Via delle Marine 5 24064 GRUMELLO DEL MONTE BG Tel. 0354422511 Fax 0354422590 www.aliasdesign.it info@aliasdesign.it ANTONIO LUPI Frauenstrasse 30 D 98000 MONACO www.antonilupimuenchen.de www.antoniolupi.it ARTEMIDE spa Via Bergamo 18 20010 PREGNANA MILANESE MI Tel. 02935181 nr verde 800 834093 Fax 0293590254 www.artemide.com info@artemide.com B&B ITALIA spa S. Provinciale 32, 15 22060 NOVEDRATE CO Tel. 031795111 Fax 031791592 www.bebitalia.com info@bebitalia.com BBB EMMEBONACINA srl V.le Brianza 20036 MEDA MB Tel. 0394669955 www.bbbemmebonacina.com info@bbbemmebonacina.com BIG BUBBLE BAGS TECKNOPAK srl Corso S. D’Amato 2 80022 ARZANO NA Tel. 0810608393 Fax 0810608393 www.bigbubblebags.net info@bigbubblebags.net CESAR FLAGSHIP STORE Via Larga 23 20122 MILANO Tel. 0239446249 www.cesar.it storemilano@cesar.it
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COVO srl Via degli Olmetti 3/b 00060 FORMELLO RM Tel. 0690400311 Fax 0690409175 www.covo.it mail@covo.it DOIMO DECOR www.doimodecor.it DRIADE spa Via Padana Inferiore 12 29012 FOSSADELLO DI CAORSO PC Tel. 0523818618 Fax 0523822628 www.driade.com info@driade.com EFFETI INDUSTRIE spa Via Leonardo da Vinci 108 50028 TAVARNELLE VAL DI PESA FI Tel. 055807091 Fax 0558070085 www.effeti.com effeti@effeti.com ELICA MUMBAI www.elica.com - info@elica.com EMU GROUP spa Z.I. Marsciano 06055 MARSCIANO PG Tel. 075874021 Fax 0758743903 www.emu.it - info@emu.it FENDI CASA CLUB HOUSE ITALIA spa Via Balzella 56 47122 FORLÌ Tel. 0543791911 Fax 0543725244 www.clubhouseitalia.com info@fendicasa.it clubhouse@clubhouseitalia.com FIAT GROUP AUTOMOBILES spa C.so G. Agnelli 200 10135 TORINO Tel. 01100621 www.fiat.it www.fiatgroupautomobilespress.com GRUPPO CONFALONIERI spa Via Prealpi 11 20030 GIUSSANO MB Tel. 036235351 Fax 0362851656 www.gruppoconfalonieri.it info@gruppoconfalonieri.it HAUTE MATERIAL - BDM srl ITALIA Via Milano 131 23033 GROSIO SO Tel. 0342847262 Fax 0342847331 www.hautematerial.com info@hautematerial.com HERMÈS ITALIE spa Via Serbelloni 1 20122 MILANO Tel. 02890871 Fax 0276398525 www.hermes.com reception@hermes.it
INterNIews INservice / 97 KITCHENAID - Gruppo Whirlpool Europe V.le G. Borghi 27 21025 COMERIO VA Tel. 0332759111 servizio clienti 199580480 Fax 0332759344 www.kitchenaid.it KOZIOL GESCHENKARTIKEL EURO MERITO srl Via Laurin 111 39012 MERANO BZ Tel. 0473440230 Fax 0473440398 www.merito.it - info@merito.it KRISTALIA srl Via Calderano 5 33070 BRUGNERA PN Tel. 0434623678 Fax 0434624901 www.kristalia.it info@kristalia.it LAURENT PERRIER US www.laurentperrierus.com marketing@laurentperrierus.com LEO BURNETT CO. srl Foro Buonaparte 22 20121 MILANO Tel. 0263541 Fax 02632819320 www.leoburnett.it leoburnett.mi@leoburnett.it LIGNE ROSET ROSET ITALIA srl C.so Magenta 56 20123 MILANO Tel. 0248514007 Fax 0248022388 www.ligne-roset.it info@ligne-roset.it MALIPARMI Via Leonino da Zara 39 35020 ALBIGNASEGO PD www.maliparmi.it MEBEL - COLOMBO spa Via Sulbiate 26 20040 BELLUSCO MB Tel. 0396208621 Fax 0396208650 www.mebel.it - mebel@tin.it MELISSA Rua Oscar Freire 827 BR SAO PAULO Tel. +551130833612 www.melissa.com.br MENU Kongevejen 2 DK 3480 FREDENSBORG Tel. +45 4840 6100 Fax +45 4840 6101 www.menu.as info@menu.as Distr. in Italia: KLEPPECK DESIGN Via dei Mirissa 7 34149 TRIESTE Tel. 0400640217 Fax 0400640554 www.kleppeckdesign.it info@kleppeckdesign.it MINIFORMS spa Via Ca’ Corner Nord 4 30020 MEOLO VE Tel. 0421618255 Fax 0421618524 www.miniforms.com miniforms@miniforms.com MISSONI HOME /T&J VESTOR spa Via Roma 71/b 21010 GOLASECCA VA Tel. 0331950311 Fax 0331959011 www.missonihome.it info@tjvestor.it MOËT&CHANDON MOËT HENNESSY ITALIA spa Via Tonale 26 20125 MILANO Tel. 026714111 www.moet.com
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1.
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1. parquet, di ora-Ă?to per stepevi, collezione di tappeti composti da righe e rilievi, autotaftati in 100% lana, scolpiti e rifiniti a mano, in 5 varianti di colore e 3 dimensioni. 2. rainbow, di roberto lazzeroni per Lema, madia con base in metallo, struttura e ante laccate a fasce verticali.
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1. cabrio, di piero lissoni per living divani, poltrona con struttura della seduta in multistrato marino e dello schienale in lastra di acciaio, imbottitura in polietilene espanso, rivestimento sfoderabile in tessuto multicolor gallo. 2. tavolino con lampada incorporata dalla hybrid collection di JosĂŠ marton per allĂŠ, realizzato in metacrilato riutilizzando anche materiali di scarto. 3. zig zag, di sebastian Wrong per EstablishEd&sons, tappeto in lana annodato a mano.
4. colour carpet di scholten & baiJings per hay, tappeti in 100% lana neozelandese in 6 varianti di disegno e colore. 5. trip chair, di selab per sElEtti, sedia in metallo e legno di faggio, serigrafata e rifinita a mano con diversi pattern grafici. 6. last supper table, di bart eiJking and patrick de louWere/studio lawrEncE, tavolo in mdf laccato o impiallacciato legno, con piano formato da diversi segmenti componibili secondo la sequenza di fibonacci. disponibile con tre tipologie di gambe. 7. plaid bench, di raW edges per dilmos, panca in legno composta da diversi moduli che, intersecati, creano vari patteern multicolor.
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1.
1. pxl, di Fredrik Mattson per zero, laMpada a sospensione con diFFusore in alluMinio verniciato. 2. elle e soFt di twils, poltrona e pouF con iMbottitura in poliuretano espanso e rivestiMento in tessuto oppure pelle o ecopelle. 3. twee, di kariM rashid per Valdichienti, portariviste con struttura in acciaio e appoggio e rivestiMento in pelle pieno Fiore. 4. stella Filante, di agatha ruiz de la prada per spazioquadro, porta a battente per interni con decoro a righe su pannello lucido o opaco.
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1. cintas, di patricia urquiola per chevalier editions, tappeto in 60% lana e 40% seta. 2. the fool on the hill, seduta per esterni in ceramica disegnata luca nichetto per moroso e realizzata da bosa, nella nuova limited edition a righe. 3. raita bench, di eeva lithovius per durat, panca con struttura in acciaio verniciato e piano in durat (solid surface con contenuto di plastica riciclata) multicolor. 4. claire, di stefano sandonĂ per gaber, sedia con scocca in tecnopolimero a righe multicolor e gambe in metallo verniciato o cromato.
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indirizzi A2 DESIGNERS Junex-Huset, Grännavägen 24 SW 561 34 Huskvarna Tel. +4636387154 Fax +4636145859 www.a2designers.se info@a2designers.se ALLÊ DESIGN Rua Arlindo Baccin 601, BR Bento Gonçalves Tel. +5421055929 www.alledesign.com.br alle@alledesign.com.br ANTONANGELI ILLUMINAZIONE srl Via Como 74 20030 PADERNO DUGNANO MI Tel. 0291082795 Fax 0291084364 www.antonangeli.it info@antonangeli.it ARES srl V.le dell’Artigianato 24 20044 BERNAREGGIO MI Tel. 0396900892 Fax 0396901855 www.aresill.net aresill@tin.it AXO LIGHT srl Via Moglianese 44 30037 SCORZÈ VE Tel. 0415845193 Fax 0415845060 www.axolight.it axolight@axolight.it AXOR BY HANS GROHE Auestrasse 5-9 D 77761 SCHILTACH Tel. +49 7836 510 Fax +49 7836 511300 www.axor-design.com info@axor-design.com Distr. in Italia: HANSGROHE srl S. Statale 10 km 24,400 14019 VILLANOVA D’ASTI AT Tel. 0141931111 Fax 0141946594 www.hansgrohe.it info@hansgrohe.it
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INTERNI luglio-agosto 2011
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INtopics
ed Itor Ial
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Now that summer is finally here we can’t help thinking about architecture, design and decor in relation to nature and outdoor life. So here’s a selection of houses and public buildings conceived to establish a dialogue with the surrounding environment, whether it is an uncontaminated landscape or a constructed situation. The choice of Jean-Marie Massaud for our cover is no coincidence: all his projects make direct reference to the man-nature relationship, which the French designer tries to activate with utopian visions, but also with everyday objects that can generate sensory pleasures and an atmosphere of wellbeing. Speaking of decor, the focus is on two typologies of products for outdoor use, which in recent years have gone through an interesting design evolution: the structures that used to be called gazeboes or pergolas have now become spectacular architectures that project the spaces of the home into the garden or terrace; and outdoor lamps, increasingly diversified, functional, light, ironic and poetic. Summer is here, and with it comes the desire to open up and enliven the domestic habitat. But the ‘thought’ of design never goes on vacation, and is always ready to investigate contemporary complexity. As Andrea Branzi reminds us, underlining the pressing responsibilities he believes designers must assume today with respect to profoundly altered political, social and economic parameters. How is the world of design changing? Our in-depth coverage offers several examples: new production systems that bring out the culture and know-how of faraway lands, while a new aesthetic attitude also emerges, influenced by the digital age, in the dematerialization of the forms of objects. Everything evolves faster and faster, at a pace that truly goes beyond the rhythm of the seasons. Gilda Bojardi - Caption Antwerp, MAS, the museum on the water, project by Willem Jan Neutelings & Michiel Riedijk.
INteriors&architecture
Fre Nch style For a campus IN seoul
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project Dominique Perrault Architecture text Alessandro Rocca photos André Morin/Dominique Perrault Architecture
The new headquarters of the women’s university of Ewha is organized along a promenade recessed into the ground of Seoul, a narrow passage between two transparent walls, topped by a mossy metropolitan garden. In the field of cultural structures, the university campus is a particularly interesting category because it goes beyond the dimension of the monument typical of theaters or museums, achieving the status of a true urban system. But with respect to the city the campus has rather different rules and habits. It is a less impersonal, less frenetic situation, younger but also calmer, with a homogeneous population and – usually – a good dose of reassuring landscape. The model is that of the English college, then consolidated in the States at the prestigious grounds of the Ivy League, like Harvard and Yale, where the city and the park interact in different urban combinations. Dominique Perrault has built the new campus of the women’s university of Ewha, in Seoul, taking the traditional campus-nature relationship to an extreme, obviously in his own particular way. Fifty-eight years old, from Clermont-Ferrand but with a studio in Paris since 1981, Perrault reached international attention with the Très Grande Bibliothèque in Paris, an enormous public building, stylized in the image of four corner towers that represent four open books. Perrault’s approach involves transforming buildings into sculptural elements on a grand scale, through extreme simplification of form. In the library the figurative reference to the book prevails, while in another very interesting project, the sports complex in Berlin, the buildings become large geometric sculptures, a disk and a parallelepiped, covered with a metal grille and recessed in the green terrain. On the Korean campus the idea is closer to landscape, less abstract: the building is erased, or at least translated into a void, a cut like those of Lucio Fontana in the terrain of the city, burrowing down and then rising back up to street level. A simple emotional and conceptual gesture that becomes the theme around which the organization of the complex rotates. Positioned in the education district of Seoul, the project creates a complex settlement with spaces for study and sports, libraries and refreshment facilities for 20,000 students, as well as an office and shopping complex with a cinema, a theater, other sporting facilities and a parking area of 20,000 square meters. The center of it all is the groove, which seems to be based on a masterpiece of American Land Art, the Double Negative dug by Michael Heizer in the Nevada desert. But from up close we see that the incision generates a space of high urban intensity that is perhaps typically European as well, a sort of Rue de Rivoli, a “rue corridor”, as Le Corbusier would have said, a canyon between two curtain walls reflecting each other. The roof gardens by the Korean studio CnK bring nature rich in biodiversity into the city, in tune with the radical approach of Perrault’s architecture. In this way, the project creates its own equilibrium inside the city, with a response that manages to stand up, thanks to its simplicity and energy, to the harshness of the surrounding cityscape, while at the same time offering a large access atrium to the existing building constructed in 1935. Ewha University, in fact, is an important piece of the country’s cultural history: founded by an American Methodist community in 1886, the school opened with just one student. Today it represents the best in women’s education in Korea. - Caption pag. 2 The campus of the women’s university of Ewha is conceived as an urban valley formed by a deep incision in the ground, two facades in glass and steel, and a roof transformed into
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an urban park. - Caption pag. 4 View of the monumental steps, an amphitheater for informal encounters; the sections along the larger side show the relationship between the level of the city and the recessed level of the campus. The project is located in the education district of Seoul and contains a series of facilities for study, as well as administrative offices and spaces for shops and entertainment. - Caption pag. 5 The large glazings and reflecting surfaces reinforce the natural lighting of the spaces facing the artificial valley of the campus. - Caption pag. 7 On these pages, the routes and common spaces of a hybrid building that mixes different functions. The interiors and outdoor zones collaborate to generate the social life of the campus. - Caption pag. 8 University life calls for lively, flexible community spaces, openings and routes that due to the limitations imposed by the urban context have been shifted inside the edifice. - Caption pag. 9 Towards the city the recessed groove rises and emerges with a long sloping ramp; towards the university building the relationship is closer, thanks to the large steps that become a spontaneous gathering place for students.
metro pol parasol p. 10 project Jürgen Mayer H. Architects project Museum Antiquarium by Felipe Palomino photos Fernando Alda text Matteo Vercelloni In Seville, Spain, on the very central Plaza Encarnacíon, the Metropol Parasol is a gigantic organic structure, a new multifunctional public space that reinterprets the tradition of Spanish sheltered plazas and markets, reinventing their figure and typology. While it is possible to see the winning project in the international competition held by the administration of the Andalusian capital in 1994, by the German architect Jürgen Mayer H., as a successful attempt to make a striking architectural gesture for sure-fire success with its audience, capable of seducing visitors like a new urban attraction, along the lines of the Bilbao Guggenheim and the MAXXI in Rome, actually the intervention in this crucial spot in the city contains indications of great interest that move in different directions. The idea of creating shade in the public spaces of Mediterranean cities has been interpreted in different ways. In Barcelona, in 1883, at the Parc de la Ciutadella, the architect Josep Fontseré i Mestre constructed a building that summed this idea up perfectly with its name: the Umbracle. A monumental pavilion contained by two richly crafted brick facades, with a vaulted roof composed of parallel metal strips to create shade and ventilation for the space below. Mayer’s project shifts the concept to a larger scale, generating an urban landmark that restores the space to the city and redesigns the plaza – occupied until a short time ago by a parking lot – while offering new public functions in the shade of a large structure in wood and steel, engineered by the Arup studio, that marks the various paths and new activities. Six large mushroom-shaped elements rise on the square with cylindrical trunks, featuring an initial band of concrete connected to the pavement, which contains the lamellar supports. Growing upward and expanding like overturned umbrellas, the big mushrooms are connected at a height of about thirty meters from street level. Here, on the roof, a restaurant and a sinuous panoramic walkway remind us of the work of Gaudí on the warrior-chimneys of the roof of La Pedrera in Barcelona. The imposing porous structure created by Mayer, like a secular cathedral, offers protection from bright summer sunlight while reviving the dimension of public space of the historic plaza, which new becomes a possible new urban center, in an intense relationship between contemporary gesture and historical fabric. A dialogue also rooted in the ground, where the colossal circular pillars, equipped with rest rooms and elevators inside, do not interfere with the Roman ruins discovered in earlier excavation work. The formation of the new Museum Antiquarium allows visitors to observe the vestiges of Roman times. The Museum has been designed by the architect Felipe Palomino to bring out the sequence, in a unified space with seven windows, of the archaeological episodes, connected in a single itinerary. The area of the dig is contained by the continuous full-height glass screen, enlivened by beams of colored light from a corresponding cut in the ceiling, to underscore the separation between the museum and the zones occupied by the structural parts of the construction above it. The Metropol Parasol thus links back to the memory of the cathedral of the city and its internal vaults, but also to that of the age-old trees of the nearby Plaza de Cristo de Burgos; stimuli joined in a volumetric and compositional synthesis, a large extroverted work of architecture, without vertical closure, totally open to the use of citizens and tourists. Besides the underground archaeological museum, in the raised zone of the plaza a covered municipal market has been made, together with a shopping mall. On their flat roofing a platform will be made for outdoor concerts, as well as a space for cultural exhibitions and events. - Caption pag. 10 The impressive structure of the Metropol Parasol has radically transformed Plaza Encarnacíon, which had been used for many years as a parking lot. The structure in lamellar wood and steel with extra-strong glue is supported by a series of colossal cylindrical members. - Caption pag. 12 Above: aerial view of the insertion of the Metropol Parasol in the historical fabric of the city. Facing page: view at dusk of the suspended structure and the illuminated lamellar pillars. - Caption pag. 15 The Museum Antiquarium, inserted under the plaza, was designed by Felipe Palomino. The space is unified to allow visitors to take in the entire archaeological dig at a single glance. Full-height windows enclose the excavation and the raised walkway, creating a ‘space in the space’ separated by the structural elements of the Metropol Parasol above it. - Caption pag. 16 Views of the Museum Antiquarium. The lighting of the dig enhances the ruins and forms a contrast with the colored light on the perimeter glazings.
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MAS p. 18 architectural project Willem Jan Neutelings & Michiel Riedijk photos courtesy MAS museum text Antonella Boisi In Antwerp, Belgium, the new museum on the water, a dynamic tower of red stone and glass, becomes a forceful architectural landmark in the context of the recently renovated port, a new crossroads of cultural-artistic itineraries and urban routes. They were the winners, in 2000, of the international competition for the MAS (acronym of Museum aan de Stroom), the museum on the water at Antwerp. For their first museum design (another is now underway in Cincinnati), Willem Jan Neutelings and Michiel Riedijk, partners since 1992 of the Rotterdam-based Neutelings Riedijk Architects, have shown that the challenge could be met in a convincing way, optimizing specificities of the site and of their approach based on ways of treating surfaces in architecture, using the ideal model of reference that remains “Vitruvius and his paradigms of firmitas, utilitas, venustas”, as Willem Jan Neutelings explains. The ABC of constructive stability, pragmatic functional efficiency and possible beauty. The difficult task of designing a new ‘container’ for the main Flemish art collections (including masterpieces by the likes of Rubens and Van Dyck), as well as displays on archaeology, folklore, ethnography, lifestyles and the seagoing tradition (for a total of 470,000 pieces), in the area to the north of the port, has become another proving ground in which to explore the expressive potential of materials. Applied to the architectural composition of a sculptural tower, 65 meters in height, formed by 10 stacked boxes on nine levels, each rotated by 90° with respect to the next “to capture light and the best views, in a dynamic relationship with the context”. One material, in particular, was chosen as a source of inspiration: a red Indian stone from Rajasthan, with a corrugated look, used in four tones organized in percentages by a software application, a mélange of light and dark hues to prevent monotony. Inside and out, everything is made with this monolithic stone: facades, floors, walls, ceilings. And while “the stone becomes the sign of a continuity with history: a reminder of the bricks of the variegated fronts of the old houses of Antwerp, underlining the monumental character of the place that like a precious necropolis gathers relics of a glorious past”, the opposite approach, one of opening to the life and lights of the contemporary city, gains ground in the glass skin that clads the volumes of every level on three sides, determining veritable transparent ‘aquarium spaces’. Equipped with essential benches in black granite conceived for moments of relaxed viewing of the landscape outside and the entrance plaza of the museum (with its artistic paving in granite by Luc Tuymans), connected and integrated with the independent structure of the bookshop, and with three other reception structures designed by Crepain Binst Architecture. The full-height glazing with an undulated form, made with special products by the Italian company Sunglass, adds to the sumptuous quality of the results. Outside, the overall figure of the building reminds us of a Lego-type construction of gaps and solids, transparency and opacity: “a house that evokes the dimension of the port and its welcome, in the proposal of a new landmark-lovemark of symbolic-real exchanges and encounters between Antwerp and the world”. Inside, on the other hand, everything works to enhance the axis of visual and functional reference of the vertical promenade, organized with a sequence of escalators, starting at the large ground-floor reception area. “The MAS boulevard, almost a sort of labyrinthine spiral on nine levels, accompanies the visitor” – Neutelings explains – “to discover the various rooms, as in the story of Alice in Wonderland”. With just a few ironic ornamental features. Like the 3185 stylized aluminium hands that punctuate the outer walls, reinterpreting a well-known symbol of Antwerp (the hand of the giant cut off and tossed into the Scheldt River by the Roman soldier Brabo); or the metal medallions that display verses by Tom Lanoye on floors, walls and ceilings, a circular poem, without a beginning or an end, an ode to the port, the river and the world, based on the plan of Palmanova, the ideal city of the Italian Renaissance, redesigned by Tom Hautekiet; and, finally, the graphic site-specific interpretations of the luminous panels of Anne-Mie van Kerckhoven. The interiors are by the local studio B-architecten: each floor has a layout based on the exhibition theme, with a narrative, theatrical approach in a sequence of zones: wake up, introduction, focus, wow, concentration, knowledge and visitor feedback. Up to the top level, containing the ‘t Zilte restaurant, with interior design by Vittorio Simoni and food by the chef Viki Geunes (one Michelin star), opening to an extraordinary terrace for great views of Antwerp, its port and the Scheldt River. - Caption pag. 19 An evocative view of the exterior architecture of the MAS, the museum on the water in Antwerp. Facing page: the volume that contains the entrance area, starting point for the system of escalators connecting the nine levels of the building. Inside and out, the surfaces are made with a single material: sand-blasted red Indian stone, organized in a pattern of four tones developed with software. Interrupted only by the rhythm of the sinuous full-height glazings created with special products by the Italian company Sunglass. The walls are adorned with stylized aluminium hands, a reference to the popular symbol of Antwerp. - Caption pag. 21 In the architectural composition every level is marked by open continuous spaces and full-height glazings on three sides, for extraordinary views of the landscape outside. The void of the central cavedium creates another visual perspective through the building. Note the medallions of the ideal city Waar Water Waakt, a work in metal by Tom Hautekiet and Tom Lanoye, punctuating floors, walls and ceilings of the stone enclosure. The illuminated walls along the MAS boulevard feature a contemporary art project by Anne-Mie van Kerckhoven. Below, view of the square plaza, from above, in front of the museum, with the work Dead Skull by Luc Tuymans, a granite mosaic. - Caption pag. 23 Exhibition spaces organized by theme, in the project by the studio B-architecten of Antwerp. Each set has its own specific layout that recurs in the sequence of the zones: wake up, introduction, focus, wow, concentration, knowledge, visitor feedback. The MAS contains 470,000 pieces of art, archaeology, folklore, ethnography, lifestyle and seamanship, from the main
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collections of the city. The cafe of the MAS, by the architect Kurt Hereygers, features carefully juxtaposed materials.
The wing S of legend
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In Chile, in the Isla Chiloé, the Lake Region, Casa en Punta Chilen, an architectural object of great expressive and sensorial impact, in a pristine landscape. Tenten Vilu and Caicai Vilu created the archipelago of Chiloé, while Millalobo and Queen Huenchula, Prince Pincoy and the siren Chilota took care of the seas and their dangers. The history of the Grand Isle of Chiloé is one of myth and legend, based on the fusion of local Mapuche culture with that of the Spanish conquistadores. Magic and superstition have always wrapped this land separated from the continent, constantly wreathed with dense fog. Located in the Lake Region, the fifth largest island in South America extends with rolling green hills in the persistent rain, surrounded by the passage of whales beyond a variable horizon. The ocean is often stormy, the wind blows hard, the tide rises by eight meters, cyclically altering the rugged coastline. After landing at the northern port of Ancud, the road soon loses its pavement, the dwellings thin out, just a few vacation homes with wooden fences, a few horses roaming freely. Along the coast, to the northeast, you come to Punta Chilen. From the beach of gray pebbles on rare clear days you can see the majestic Andes, with still active volcanoes. As seagulls glide overhead, you see two big red wings of Cor-ten steel, on a black platform. Ready to take flight in the strong wind, they color an architectural object alien to the uncontaminated landscape. The latest arrival on a site with panoramic wooden houses, Casa en Punta Chilen is a work by Max Núñez and Nicolás del Rio, young Chileans of the firm dRN Arquitectos. Balanced between integration and selfassertion, the two architects generate a new relationship between architectural space and the natural environment, inside a decagonal geometric figure marked by dense rhythmical repetition of black uprights. Resting on a wooden deck, as if to take its distance from the surroundings, the platform of the first level, with its 91 rectangular columns, contains the nighttime area with three bedrooms and baths. The subdivision of the facade frees up the plan and fragments perception of the self and what lies beyond. The landscape becomes a roll of vertical slides in a progressive sequence, while the daylight flows between shadows that lengthen on the wooden floors. On the second level the plan remains irregular, but the decagon becomes a pentagon outlined by a structural grid in steel. The contrast is clear, the space opens horizontally and is compressed vertically, fleeing toward the line of the sunset. The unified kitchendining-living area opposes the typical horizontal plane of the island, and under the tectonic covering with four long pitches in corrugated steel, it is possible to observe the long days of rain beyond the terrace. In the fog and the wind the seagulls spread their wings, indifferent to it all. - Caption pag. 25 The architecture developed by the young Chileans of dRN Arquitectos takes its place in the local landscape with the force of two large red wings in Cor-ten steel that cover the complex geometry of the volumes below (with a decagonal layout on the first level and a pentagonal plan on the second). - Caption pag. 27 View and reverse view of the living area on the second level, a space with an open plan and lower ceilings, with a unified kitchen-dining-living layout. - Caption pag. 28 View and reverse view of the living area, with full-height glass walls to embrace the external panorama. - Caption pag. 29 The bedroom zone on the first level, paced by 91 rectangular pillars and formed by three bedrooms with bathrooms. The contrast between the structural grid in black Cor-ten and the wooden enclosure that lends uniformity to the walls-floors-ceilings enhances the lines of the custom furnishings created by the architects. Recurring throughout the house, it is emphasized on this level by the irregular decagonal layout.
PrivATe eden
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text Antonella Boisi
Tadao Ando and Shigeru Ban have designed two excellent houses facing the beaches of the Indian Ocean, on the island of Sri Lanka, chosen as a buen retiro by a Belgian family active in the worlds of business, design and art. A story with lots of red threads, narrated by Jacob Pringiers, one of its protagonists. These houses look extraordinary, immersed in tropical vegetation, built on a rocky promontory. Both are in the southern part of the island. They overlook the Indian Ocean and the bay of Weligama with its beaches. In a landscape of palm trees and wild foliage, they are like powerful monoliths, made lighter by basic, long, narrow geometric design. They have a dynamic indoor-outdoor relationship, and are flooded with light that seems to sculpt the spaces. We are in the most authentic context of local architecture. Here in Mirissa stands the Pradeep Jayewardene house built in 1997 by Geoffrey Bawa (1919-2003), an internationally acclaimed local architect (author of the exemplary Kandalama Hotel in Dambulla,1991-94). Few people have managed to interpret the genius loci of tropical urbane houses as well as Bawa, achieving a harmonious fusion between local constructive traditions and updated vocabulary (synthesis of vernacular styles, forms of modernity, suitable responses to the climate), and he has effectively indicated the basic matrices of local contemporary architecture: the roof (protective, emphatic), the floor, the scheme of sheltered porches, the intermediate indoor-outdoor spaces, open and semi-open courtyards. The two houses by the masters of Japanese architecture Tadao Ando and Shigeru Ban are not exceptions to these rules, though they tend to restrain the exuberant nature of the place with Japanese rigor. Some people manage to make their dreams come true: to buy a piece of land and build their ideal house on it. “My family left Italy and moved to the island of Sri Lanka five years ago”, says Jacob Pringiers, a designer and entrepreneur born in Gant in 1970. A true globetrotter,
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InternI luglio-agosto 2011 after training in Italy, Switzerland and California, in 1996 he opened a design studio in Milan together with Luca Casini, working with companies like Luxottica, Colgate Palmolive, Wmf, Nike, Riva, Asa-Selection, Sessa Marine. Since 2002, with his own studio in the city, he took on new clients and projects (from BRF to Desalto, Durlet to Elica and DePadova, www.jacobpringiers.com). “But the sea remains my main passion, so I never forgot the island of Sri Lanka where I lived for nine years as a child. In 1981 my father opened an industrial tire manufacturer here, near the bay of Weligama, where he also purchased some land with the idea of building a new house. My brother works with him and followed suit. My sister is still in Brussels, where she works with DNA Lab. The catastrophic event of the tsunami, caused by the earthquake in Sumatra in 2004, disrupted everything and put an end to their projects. But from the ashes something is reborn. After the tsunami, with a philanthropic spirit my father founded BAFF (Building a Future Foundation), providing concrete help for many families: by building 750 houses, opening training centers for new jobs (like the repair of fishing boats), offering people a chance to rethink their lives. Three years ago, with a partner, he got involved in a project of development and construction of avant-garde boats. The result was Barramundi Boatyard, which uses the most advanced production technologies to launch catamarans of over 14 meters, capable of sailing oceans and going around the world”. In parallel, in 2006 the project of Tadao Ando began for the home-atelier of Jacob’s parents, the businessman Pierre Pringiers and his artist wife Saskia Pintelon. One year later came the work on the brother’s house, Koenraad Pringiers who chose Shigeru Ban to design it. Jacob did his share: to work on the interior design of the houses by Ando and Ban, he moved to Sri Lanka with his children and wife, Eveline Patteeuw, a familiar name on the Milan fashion scene. In the capital city of Colombo he opened a new studio and together with Nick Top (owner of Top Mouton in Belgium) he founded Stem Lanka. “My family”, he continues, “had already had a chance to appreciate the essential style, high precision, refined materials and finishes of Top Mouton, which had furnished their homes in Belgium and at Port-Grimaud in France, and marketed the furnishings designed by the late Maarten van Severen (Antwerp, 1956 – Gand, 2005) in Europe”. The interiors of the architecture by Ando were designed by Top Mouton and made in Sri Lanka by Stem Lanka. Jacob, together with about 30 specialized workers, supervised the development and production of the high-quality furnishings. Then, in 2007, he worked on the production of the furnishings designed by Shigeru Ban for his brother’s house, and personally designed pieces produced by Stem Lanka. The next year, still in partnership with Nick Top, the new Aiki brand was formed “with the objective of offering the market furnishings of good design, but at more affordable prices, made in the facilities of Stem Lanka”. - Caption pag. 31 The beach on the bay of Weligama, on the Indian Ocean, at the foot of a rocky promontory overlooked by the house designed by Tadao Ando. This is also the location of another famous house, designed in the 1990s by the architect Geoffrey Bawa.
Villa at Mirissa project Tadao Ando Architect & Associates local architects PWA Architects, Kiyoshi Aoki, Yukio Tanaka interior design Top Mouton/Nick Top, Jacob Pringiers photos Edmund Sumner
In the house designed by Tadao Ando, the furnishings designed by Top Mouton and made by Stem Lanka in Sri Lanka are perfectly apt. The nude, crude texture of the architectural enclosure brings out their essential character, underlining their consistency and the authentic spirit of certain pieces created by Maarten van Severen. “We worked in symbiosis”, says Jacob Pringiers, “especially on the treatment of the materials to stand up to the humid climate with its heavy monsoons. The choice went to aluminium, which can be treated for the purpose. The doors are also in aluminium. A few other pieces, designed and made in teak, accompany the architecture, where even the reinforced concrete has been treated to prevent corrosion”. Ando, who in the role of designer recently created a limited series of glass vases for Venini, worked on the house in Sri Lanka with his favorite material: concrete, shaped with the skill of a compositional game that allows vertical and horizontal pieces to interlock, using the measurement of the formwork to trigger the alchemy: to determine linear volumes (introverted to the north and east, where they are interrupted only by surgical openings, extroverted to the south and west) developed on staggered planes that follow the terrain to generate hybrid spaces between the various levels of the roof, giving the central space the role of a visual and organizational fulcrum. The basement contains service spaces, the ground floor the main residence, while the guestrooms are placed above. Three levels for a large shell that mixes oriental and occidental ways of living, projecting the spaces of the living room-belvedere outdoors toward the sea; the two-storey internal spaces, like the striking atelier of Saskia Pintelon, an internationally renowned figurative painter (www. saskiapintelon.com) toward the tropical vegetation; and the swimming pool on the roof toward the encounter with the line of the horizon. - Caption pag. 32 The swimming pool on the roof seems to stretch out toward the horizon line. The house immersed in tropical vegetation, seen from the southeast. Facing page: the steps leading to the semi-open living areas of the third and last level, conceived for viewing the landscape. In the drawing: the planivolumetric design of the house, built on a large rocky promontory. - Caption pag. 35 Light vertical openings interrupt the concrete enclosure facing northeast, leading to the two-storey living areas. The nude, crude texture of the architecture brings out the essential character of the furnishings made by Stem Lanka in Sri Lanka. A monastically austere guest room with its own bath. Facing page: the volume of the atelier of Saskia Pintelon, an internationally renowned figurative painter, seen from the swimming pool on the upper level of the house. The two-storey space has an oversized glass wall that frames the landscape.
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Villa Vis ta project Shigeru Ban Architects photos Hiroyuki Hirai
The second house narrated by Jacob Pringiers, who worked on the production of the furnishings, in close collaboration with the Japanese architect Shigeru Ban, in 2007. Some of the custom pieces are in teak, produced in Sri Lanka by Stem Lanka. This is the prelude of another tale on the same theme. Amidst natural disasters, new hopes for life and the future, private and social projects. The theme is introduced by the reflections of a great English master of minimal architecture: “We build to protect ourselves from nature: buildings help us to stay dry, to keep cool or keep warm. Having achieved this protected condition, we try to reinsert the elements from which we seek shelter in a controlled way, because they are the very elements that give meaning to our existence: a warm sunbeam, the breeze at dawn, a view of the ocean”. (David Chipperfield, Theoretical Practice, London, 1994). The villa on the bay of Weligama designed by Shigeru Ban, with a different linguistic approach and a more natural, romantic materic-chromatic palette (the exposed concrete is joined by pale local stone and teak) with respect to Tadao Ando, nevertheless follows the same essential, functional compositional scheme: “the house is on the promontory of a hill that overlooks the ocean, and everything – floors, walls and ceilings – has been constructed to put three precise views into focus”, Shigeru Ban explains. The first is the view of the ocean, through the tropical vegetation downhill, seen from the external route that forms a perpendicular axis with respect to the main volume, and shifts levels with linear steps to reach the roof level. The second is the view of the ocean at the top of the hill, framed by a large horizontal opening on the roof level. The third is the view of the rocky coast, bathed in red light at sunset, framed by means of a box entirely lined with solid wood, which contains the main bedroom, grafted onto the main house by a bridge-volume. The overall composition discreetly blends into the natural context. A waterway at ground level, laden with symbolic oriental meanings of purification, surrounds and naturally cools, on three sides, the entrance to the main building that contains the lounge-dining area below, and the living area above. To the left extends the volume of the guest rooms, while the master bedroom is to the right. The roofing, made with concrete slabs for protection from water and humidity, is covered with woven palm leaves, a system usually used for the fences between properties, and for the traditional roofs of the huts of fishermen. The vertical partitions and the casements with teak shutters form an efficient filter to screen the bright daylight in the interior spaces, where the ceilings, also in teak, blend nicely with the furnishings, most of which are integrated with the architectural structure. With the exception of a long table with a teak top and cardboard tube base (a Shigeru Ban classic). - Caption pag. 37 The semi-open space for welcoming guests, with a long, convivial table with teak top and cardboard tube base, designed by Shigeru Ban. Note the ceilings in woven and nailed teak, and the wooden vertical partitions that combine with fixed furnishings, casements and shutters designed as filters to control the bright daylight. Facing page: the house on the promontory, immersed in tropical vegetation, between the rocky coast and the bay of Weligama. - Caption pag. 39 The protective, archetypal hut roofing, the flooring, the scheme of the sheltered porch, the indoor-outdoor buffer spaces, the open courtyard: the architectural composition by Shigeru Ban interprets the local spirit of the urbane tropical dwellings designed by Geoffrey Bawa (1919-2003), achieving a harmonious fusion with local constructive traditions and forms. In the foreground, the exposed concrete brise-soleil treated to prevent corrosion. - Caption pag. 40 The internal steps lead to the discovery of the swimming pool-belvedere on the upper level. The inhabited volumes are organized on three staggered levels, with an open, continuous sense of space in the collective zones. From the garden, overall view of the architectural volumes. In the foreground, the square wooden enclosure that contains the master bedroom. The exploded axonometric illustrates the layout: a large rectangular box, with the long sides open to the sea and the tropical vegetation, and the short sides closed by walls on which to graft the volumes of the private, service and guest spaces. Lateral view of the semi-open space of the upper level, with the sheltered terrace that seamlessly extends toward the ocean-view pool. The teak furnishings designed by Shigeru Ban were developed and produced by Stem Lanka.
iNsight iNscape
t he New ce Nt ury, sudd eNly…
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text Andrea Branzi
Looking at the history of design over the last 100 years we can see that its culture is the only one that has crossed two world wars, massacres, revolutions, dictatorships, atom bombs without any apparent disturbance of its self-referential absorption: always sophisticated, intelligent, then technological, design has achieved a level of waterproofing far from the concerns of art, music and literature in the 20th century. While we were serenely busy preparing the Salone del Mobile, certain of still being inside that interval of history where we’ve been floating since the days of the fall of the Berlin Wall (1989), suddenly the world got turned upside-down and the new century exploded without warning, revealing a monstrous visage… Some of us (few, actually) guessed that the ‘happy ending’ the design world had been promising for a century was suddenly not such a sure thing. Hard, violent times, religious wars, racial conflict, popular uprisings, earthquakes, tidal waves, nuclear pollution, mass migrations: in a few weeks, from the depths of the sea of tranquility (rippled only by the chilly breezes of economic crisis) arose the black rocky cliffs of a new history. When we organized,
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at Triennale Bovisa, the Independent Design Secession (or Still Life), we sensed the troubling menace of events, even before they appeared; this, after all, is the job of creative people, of intellectuals: to instinctively be one step ahead of opinion polls and political predictions, emitting signals of restlessness where everything seems to slumber. Instead of reacting to changes in the world, over the past 100 years design has wound up absorbing processes of industrialization not as a tool, but as an end in itself, the very goal of ‘progress’. Modernity has watched, aghast, the disintegration of its lofty warnings, and realized that it had excluded everything that was not of a Eurocentric nature. Asia, Africa, religions, forests, plants, animals, death, life, mediocrity, love, poetry, shadow; realities that are now demanding a new ‘dramaturgy’ of design, a new, more universal ‘happiness of living’. Europe, the safe bastion of intelligence, design and democracy (?), now looks like the weak link of the entire ‘world system’; but its lazy equilibrium, also in mental terms, is coming to an end. When politics, economics and geology unleash their forces all at once, producing revolutions and earthquakes, Europe loses track of its rational logic: what relationship exists in the simultaneity of tsunami, earthquake, nuclear danger, economic crisis, Arab revolt, religious wars and world terrorism? None, apparently, and yet – clearly – cosmic, planetary logics do exist, that no longer coincide with our prudent anthropomorphic logic. Long periods of critique and self-critique await us, then: when all is lost, nothing is lost. But those who think design can still keep going with sofas and armchairs are kidding themselves. Our responsibilities as designers have increased enormously inside globalized markets, creative post-Fordist economies, inside rigid cities that are incapable of refunctionalizing themselves, inside reformist societies eternally lacking in certain models. Architects, designers, creative talents, artists, innovators, researchers, experimenters: wake up! A new century has begun! - Caption pag. 42 On the facing page: Giuseppe Arcimboldo, Four Seasons in One Head, 1588-1591, oil on board (60.4 x 44.7 cm), Washington, National Gallery of Art, Paul Mellon Fund. Caption pag. 45 On the facing page: Giuseppe Arcimboldo, Winter, 1563, oil on wood (66.6 x 50.5 cm), Vienna, Kunsthistorische Museum, Gemäldegalerie. On this page: anonymous Lombard master, Gyrfalcon in Three Positions, 1540-1560, oil on canvas (75.8 x 100.8 cm), private collection.
INarts
Nebulous T uymaNs
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by Germano Celant
The images painted by Luc Tuymans cannot be confined in a single discourse or message, because the contours blur. The overlapping of colors creates blurry figures or landscapes, weightless, seeming bent on avoiding determination. The paintings of Luc Tuymans have contents that seem to dissolve, without character or identity. A mysteric depiction that eludes verification of its profile and existence. Tuymans, in fact, seems to conjure up his pictures from some underground, hidden region of looking and observing, a limbo that makes contours invisible and images fragmented. At the same time the color tone veers toward dissolving to keep the eye of the observer excited, though it is not oriented toward clarification of details. Almost an appropriation of image that seems to come from attention to the universe of film and television, where figures or facts are in transit, though they never stop. They thrive on a dynamic that refuses to take “stop action” into consideration, though it is typical of painting and photography. On the screen everything is on a par, so in Tuymans every chromatic difference of details vanishes, and the painting looks like a film or TV fragment, almost “cut out” of the communicative sequence. This cutting is further underscored by the fact that all the artist’s canvases have a different format, so no painting has the same measurements as another, as if Tuymans wanted to underline his incisive intervention, his concentration on cutting out a photo frame from the sequence. Painting as filmic extension, where images take on a dream dimension, wavering between reality and its opposite. This is why, in Tuymans, representation is de-realized, almost like the staging of a show that approaches hallucination. With the provisional, artificial quality of a dream. The chromatic blend seems to move toward condensation and processing, like the vision of cinema. It thrives on dissolves and zooms on details of landscapes and bodies, environments and faces, as if the painting were trying to approach a circulation of news, without definition. At times recognizable, like Lumumba, 2000, and The Secretary of State, 2008, at times hard to define, as if lifted from a blurry Polaroid, like Investigation, 1998 and W, 2008. Tuymans’ paintings, reflecting on this televised universe, bear witness to a void that – offering some figural details, as in Body, 1990 and Lamp, 1994 – stimulates questioning of the enigma of the elusive image. Thus the overall oeuvre of the artist can be seen as a mosaic, where the tiles are all different and reveal details of a sequence that is within reach yet continues to escape us. The experience of the dissolving of reality, Demolition 2005, effected by the media, but ordered by means of the tradition of painting. Another visual effect is the elimination of the distance from the depicted subject, yet without triggering vicinity. This is the result of informative uniformity that makes things detached yet portrays them up close – thus the chromatic uniformity. This effect also relies on a dialectic between technique and its lack, to create – with respect to a detail of Domenico Gnoli and Chuck Close – a non-analytic frame, simply hinted at, dreamy. Reality, in fact, is buried and hidden, not in the metaphysical or mystical sense, but in the sense of communication, so much so that the mind and gaze of the observer have to look back in memory to find some dimension of recognition, to be apprised of something when examining the subject of the painting. What comes out is not so much the painted narrative as the moment of inter-relation with the image, in which the effort is to identify a field of meanings of the represented “thing”: to find something beneath the desirable and seductive
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object that transits before our gaze. To ensure an optimum result from what is transmitted, more than from the painted thing, the precious artifact. Tuymans’ painting is an attempt to connect the images that flow in front of us, without offering an answer or a definition: not a critique of seeing, but a territory where painting, like other media, communicates. In a dark, hidden world where the transparency of data is increasingly manipulated and impenetrable, what is new is not the triumphant tone of analysis and responses on society or history, but recognition of the insufficiency of our visual tools that cannot help but be confused and nebulous, incapable of bring out solutions and therefore capable of giving only eternally variable indications, where the painted matter puts the accent on the fluid quality of images. A live look at reality that can never be completed, yet moves continuously, in an indefinite nebula that is not the void but an emptiness laden with past and future. In this perspective, Tuymans’ painting does not explain or try to solve problems, repressed and secret, of society; instead, it wants to maintain a tension that urges us to question what is represented, keeping the discourse on an enigmatic plane. Looking at Superstition, 1994, we realize how the transition between the human contour and the dark mass creates a tension due to their diversity. They are different, but at the same time they mix. The questions we can raise about this visual and figurative relationship are infinite, because they rely on a point of coincidence between a definite entity and an indefinite one, between luminous and dark, rational and irrational, in a “delirious” figuration where meanings are blurred. The answers remain open so these opposites can fight or love each other, forming a whole where one transits in the other, or one is above or below the other. An ongoing passage in which interpretation can feed on rational and logical aspects, or let itself go in emotional projections, frustrating any unilateral attitude regarding what appears and what is seen. Another focus on transit, no longer virtual transit of images but physical, of the body, can be seen in Lungs, 1998, suggesting the circulation of vital fluid that keeps human beings alive. Another hint inside which opposites, positive and negative (oxygen and CO2) combat and coexist, being there and not being there, like the telematic image. In this painting the formulation of the transit returns to being the depiction of an entity unknown to normal vision. Something that slumbers in our imaginary and approaches a labyrinth in which to get lost. Here too a single cut-out image, both inside the anatomical system and as a result of a cut of the flesh, a further underscoring of an estrangement that comes from extracting a part of the whole, like a carnal photo frame. A painting that is a mirror because it reflects what exists, only it surges forth from a reproduction, via Polaroid or via film. Something the human being cannot see inside himself, because it is part of his mental recording (recovered only by memory) or because it is part of his anatomical interior, something inexplicable that can only be made evident by the encounter of the gaze of the observer and the painted object. The pictorial dissolve of Tuymans is also tied by a desire not to define the visual value of the subject, urging coexistence between recognition and denial instead. It is often a need to negate and challenge the proofs of an effective “assertion” of art, with respect to a society of consumption. The ambiguity often also found in the subjects, like the representation of a religious building erected by the Jesuits, Church, 2006, is used to show how art is transformed into fetish, an indefinite entity but one to which an unknown value is attributed. This does not mean that Tuymans takes a position against art, where creation is aimed at the counter-object, from Dada to Pop Art; instead, he uses art as a vehicle of messages, where what counts is the transit before the gaze, outside of possession and appropriation. Turtle, 2007, opens a plane of images from Disney iconography where it is possible to project, as in cinema and television, psychological and emotional elements. In Demolition, 2005, the loss of identity of the construction becomes a dissolved identification, a metaphor of the image that is consumed and dispossessed of its identity. A splitting of the painter where the image is denied as a value of use and becomes a device of communication, where the subject loses its recognizability, becoming a surrogate of an identification that does not refer to any criterion except that of being there before our eyes: a fetish in which it is only possible to invest something that decomposes and vanishes immediately thereafter. - Caption pag. 46 Luc Tuymans, Demolition, 2005. Luc Tuymans, The Heritage II, 1995. - Caption pag. 47 Luc Tuymans, Lungs, 1998. - Caption pag. 48 Luc Tuymans, Ballroom Dancing, 2005. Luc Tuymans, Leopard, 2000. Luc Tuymans, Mirror, 2005. - Caption pag. 49 Luc Tuymans, Superstition, 1994. Luc Tuymans, Body, 1990. - Caption pag. 50 Luc Tuymans, Orchid, 1998. Luc Tuymans, Lamp, 1994. - Caption pag. 51 Luc Tuymans, Wandeling (Walking), 1989. Luc Tuymans, Lumumba, 2000. Luc Tuymans, The Secretary of State, 2005. Luc Tuymans, The Parc, 2005.
INdesign INcenter
shadow Zo Nes p. 52 image processing Enrico Suà Ummarino by Nadia Lionello Originally conceived as viewing points or supports for climbing plants, they become outdoor spaces that make it possible to live in the open air, as an extension of the home. Architectural oases designed with an eye on materials, practicality and security. Little stages for the spectacle of nature. - Caption pag. 53 Wave, self-supporting pergola by UnoPiù, composed of galvanized iron tubing, painted graphite color, and strips of Nordic pine with a thickness of 15 mm, treated for
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weathering and provided with brackets for attachment to the ground; the structure requires a flat paved surface. Move Pergotenda by Corradi in aluminium, with pillar joints that permit different angles, and the possibility of frontal brise-soleil enclosure. It can be anchored to the wall, equipped with LED lighting in the pillars, and comes in a new titanium finish. - Caption pag. 54 Designed by Chicco Bestetti Associati for Paola Lenti, gazebo from the Cabanne collection, composed of Quadro modules, with support structure in treated steel and lateral opening or fixed panels; roof in Shade fabric or wood slats on aluminium frame; also available in a variant with an aluminium roof. For installation on hard surfaces or directly on the lawn with a special base. - Caption pag. 55 Square gazebo by Ethimo, with structure made of pillars and beams in i-Teak, solid teak bonded with aluminium. The sturdiness, lightness and ease of assembly of the parts make it possible to create large gazebos and pergolas. - Caption pag. 56 Oasi gazebo designed by Rodolfo Dordoni for Roda, with teak structure, in the new version with curtains in technical fabric and a mechanism to extend them independently of one another. Available in three sizes, customized with extensions, with optional seating with back and cushions. - Caption pag. 57 From top to bottom, from the Black&White collection of the Tempotest Home line by Parà: jacquard fabrics with floral, geometric or striped design in 100% Teflon acrylic, batch dyed, pattern sizes 38x33 and 38x41 cm, in two color variations. Height 150 cm. From the Vogalonga outdoor collection by Rubelli, Bissona, floral jacquard damask fabric in 100% polyester, pattern size 100 cm, in four color variations, height 135 cm, and Carolina, solid color fabric in 100% polyester, pattern size 0.9 cm, in six colors. Height 140 cm. - Caption pag. 58 Cristal Box, designed by José A. Gandía-Blasco for Gandia Blasco, pergola system in anodized or painted aluminium (white, bronze and sand) with deck in technological wood made with vegetable fiber and plastic, transparent glass and phenolic laminate roof, covered with galvanized sheet metal. Available in four sizes. - Caption pag. 59 Isola Fly, from the Linea Mediterranea by Gibus, cover with self-supporting structure in painted aluminium and stainless steel, dimming sheet in PVC, resistant to UV rays, water and sunlight, extensible thanks to a patented stainless steel system with Fast Coupling motor or manual operation; arch profile for drainage, also for use with existing supports.
Luminous exterior s p. 60 photos Maurizio Marcato text Andrea Pirruccio Full enjoyment of outdoor spaces, thanks to discreet, precise lighting offered by a series of products with different forms: solid, functional, light, ironic, colorful, even poetic lamps. - Caption pag. 60 By Mario Nanni for Viabizzuno, Campanile di luce, a rechargeable lantern, for use on a table or hanging from the ceiling, in synthetic marine paper on base and structure in chromium-plated steel. - Caption pag. 61 1. Designed by Enzo Berti for Torremato by Il Fanale Group, Bitta is an LED lamp offered in wood and cast iron, or entirely in cast iron. 2. LaMegaDina by Ares, mobile fixture in polyethylene with body in matte white and upper ‘plug’ with bolts for easy removal. 3. Pieces from the Parco line designed by Luca Scacchetti for De Majo. The collection is made in HPL with finish in natural teak, bronze-painted metal and shiny steel, with diffusers in glossy white plexiglas. - Caption pag. 62 1. O sole mio, designed by Silvia Suardi and Sezgin Aksu for Antonangeli, lamp with diffuser in transparent or frosted polycarbonate, easy to move and adjust. Also powered by a solar panel of the latest generation. 2. Designed by Alessandra Pasetti for Axo Light, ENT (Exportable Natural Tree) is a mobile lamp (thanks to a 12-meter power cord) based on the forms of a tree. The metal of the body and the fabric of the shade are 100% recyclable. 3. Produced by Vibia and designed by Jordi Vilardell, Wind is a parasol lamp in fiberglass, available in white, green, orange and black. 4. By Davide Groppi, Blumen is a ‘flower of light’ for terraces and gardens, to create a shared indoor-outdoor aesthetic. - Caption pag. 63 Designed by Emiliana Martinelli for Martinelli Luce, the Pistillo Outdoor collection includes diffused light lamps with structure in impact-proof methacrylate, with black aluminium screen. - Caption pag. 64 Brezza by Denis Santachiara for Bysteel is a stem lamp created with a sheet of aluminium cut like a flower that bends to give rise to a series of ‘petals’. Base in stainless steel. - Caption pag. 65 1. Designed by Umberto Asnago with Carola Minotti for Penta, Filo-Filo is a lamp with structure in anthracite painted metal, covered with a PVC section in three colors. 2. From Panzeri, the Ralph lamp with shade in hand-woven synthetic material, metal structure with metallized brown paint finish. 3. Pill – Low, designed by Francesco Rota for Oluce, hanging lamp in white polyethylene with washable fabric cover, also useful as a seat. 4. Amusing, colorful, easy to transport, the lamps of the Ecomoods Outdoor collection by Philips.
inprofile
Design as gent Le evo Lution
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text Cristina Morozzi
Objects as go-betweens to rediscover the values of man and nature and to reactivate their vital interaction. This is the approach of Jean-Marie Massaud to design, a discipline that in his view imposes precise social and ecological responsibilities. In 1999 Jean-Marie Massaud, together with Thierry Gaugain and Patrick Jouin, took part at the Salone Satellite in Milan with an installation called Luxlab: a green sloping lawn, a reflecting pool and a fireplace with a fire. An eloquent metaphor of a new concept of luxury, seen as wellbeing, connected with immaterial pleasures,
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like the contemplation of water and fire, in direct contact with nature. Looking back on the work of Jean-Marie Massaud it seems clear that the installation was a starting point for a design path based on redefinition of the concept of life, the proposition of values like time for oneself, space, relationship with nature, expansion of individuality through sensory pleasure and interaction with others. Massaud thinks of materials and objects essentially as stimuli for relations. “Objects”, he says, “are ‘words’. They are used to compose sentences. Phrasing that gives meaning to life”. When he talks the accent is always on the need to educate, the desire to create alternative models of living with respect to the packaged ideas of marketing, the intention to modify the system. There’s is undoubtedly a bit of moralism. But his statements don’t sound like tirades. They are spoken with the quiet tones of someone who has decided to comply with the logic of the productive model, working from inside the system. He is not against brands that have economic power and influence consumers. He makes alliances with them to accomplish, as he claims, “not just artistic direction but also direction of consciences”. The approach seems to work. He has collaborated with major cosmetics firms, designing the brand identity of Lancôme, with stores and spas (2003/2005) in Paris, New York, Shanghai, Seoul and Hong Kong. He has done the perfume bottles for Paloma Picasso and the men’s perfume packaging for Nemo by Cacharel. For Sephora (2000) he has designed not just the retail outlets of the French fragrance giant and its natural products, but also a new concept of beauty, seen as inner harmony and a path through the rituals of care of the body in different cultures, generating bright circular spaces like weightless bubbles. He has redesigned the Poltrona Frau showrooms, translating the values of the brand, elegance, culture, quality and timelessness, into a warm setting that harmoniously combines reminders of tradition (marble, Murano glass, carpets, leather panels) with natural elements, like the big ball of dehydrated moss suspended from the ceiling, or the imaginary forest composed of vertical wooden parts, like trunks in autumn, enclosed in a case of smoked glass with a mirrored base. Like a state, arabesqued wings shape the space, enhancing the products of the collection and creating zones of cozy comfort. The encounter between nature and culture continues in more utopian projects, in works of architecture still on the drawing board, and in the more commercial projects, where he creates atmospheres of wellbeing that point to “that new era of sensitive awareness” he hopes will happen. In the book Human Nature (Time&Style, Tokyo, 2005) published for his solo show in Tokyo during Design Week (November 2005), his projects are presented with titles that refer to man-nature relations. Massaud works to trigger those relations, not just with spectacular works, but also with everyday objects, simplifying forms in favor of sensations, like a subtle magic to make what happens in an artificial context more natural: the water that emerges from a faucet is hidden, conveying the idea of a spring, as in the installation done for Axor/Hansgrohe in 2005, where the bath ritual was proposed as immersion in water that bubbles up directly from the ground. The Aukland sofa designed for Cassina in 2004, or the Outline daybed created for Cappellini in 2001, are gentle slopes; while the Pebble table (Porro 2005), like a stone worn by time, seems to invite meditation. The Truffle seat (Porro 2005) with its openings is like a natural sponge (the original version was in soft polyurethane). The Don’do rocking chair (Poltrona Frau 2005) suggests a different rhythm for time. Purified, lightened objects become a means of rediscovering human and natural values. Moral, educational, psychological, even therapeutic values. Their complexity or richness is never uselessly redundant, but clear evidence of the excellence of the craftsmanship that should be respected and conserved. His works of architecture are landscape portions, camouflaged at times, like the Tanabé house at Fukuoka, Japan (1999). An underground refuge covered with a green cloak, isolated from the street, open to a garden that provides light. Almost a den, but one that is crossed by natural light and visions of greenery. The Volcano stadium at Guadalajara, Mexico, like the mouth of a volcano dig into a hill, has a roof that seems like a cloud floating over the city. His passion for architecture is connected to the childhood dream of becoming an inventor: to give concrete form to thoughts, to give substance to life. Design comes from his vision of architecture: the objects exist as part of a context, elements to create an atmosphere that promotes self-realization and inner wellbeing. Certain formal similarities to natural things do not reflect a stylistic practice of metamorphism, but the desire to erase the differences between nature and artifice, constructing a holistic integration that can be perceived with the senses. Jean-Marie Massaud belongs to the category of ‘demiurge’ designers, but without the grandstanding of someone like Starck, though he admits having been very struck by the latter’s work. He is conducting a blood-free daily battle to promote sustainable progress. To do so, he listens to man and tries to ‘invent’ models that can also be profitable. In this pacific crusade he seeks the complicity of companies, convinced that the designer has a role, not only in the embellishment of forms, but also in the orientation of production policies. His ideas and methods reveal the precise aim of assuming social and ecological responsibilities. He confesses to being “naïve, but also arrogant. Thinking about doing something new means having both attitudes. To be a designer”, he concludes, “you have to ask yourself about the meaning of progress today. The new economy is based on qualitative growth. Objects are destined to vanish, making more room for emotions. So we need to be able to do more with less”. Towards a gentle evolution. - Caption pag. 67 Manned Cloud, project for an aerial resort, developed with the scientific collaboration of Onera. On the facing page, Jean-Marie Massaud with the chair from the Folding collection he has designed for Dedon, 2011. - Caption pag. 68 From the top: Wallace chair, a soft cloud resting on a slender metal structure, Poliform, 2010. Sketch of the Global Luggage. Drawing of the Zelda handle produced by Colombo Design. - Caption pag. 69 From the top: Alister table in tempered smoked glass with
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chamfered top and ground chamfered legs, attached to the top with shaped stainless steel plates. Glas Italia, 2011. Seat from the Ventura collection with wooden support and plastic chassis. Poliform, 2011. Pianoforte now being developed, based on the concept of formal lightening. John John upholstered furniture with large cushions attached to the solid beech structure. Poltrona Frau, 2011. - Caption pag. 70 Above: together with Axor, Jean-Marie Massaud has redefined the philosophy of the bathroom. The Waterdream project stands out for sleek forms and the fluid descent of water, like the bubbling of a spring. Upper right: two images of the Volcano stadium in Guadalajara, Mexico, now under construction. Not just a stadium with 42,250 seats, but also a museum, a play area for 450 children, a cinema, a skateboard zone, and a parking lot for 750 cars. To the side: rendering of the project for the B&B Italia showroom in Paris. - Caption pag. 71 Above: the Arkys seat with metal support and chassis in metal screen, painted with a sophisticated spray technique, available in five colors. Eumenes, 2011. To the side: Flow seats with soft touch polyester chassis, stem or four-leg base in oak. MDF Italia, 2010.
INproject
World INspIrat Io N
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by Valentina Croci
Innovative production modes for furnishings are emerging, that are more sustainable, with an eye on the skills of distant lands. From Botswana, Indonesia, Ireland, the United States and Taiwan, the new geographies of design. Objects of great quality can also be made in countries where industry is not advanced. Their fabrication can bring prosperity in its wake. This is not a matter of non-profit initiatives, but of business that starts with different premises with respect to the usual outsourcing of production in nations with low labor costs. We can see signals from places previously positioned under the design radar, focusing on the specificities of local materials, on sustainability and craftsmanship, organized in small businesses. Structures with an industrial character in terms of work organization and production cycles, logistics and standards. These situations create economies that last, because they promote professional training, encourage the birth of production districts and networks, under the effective influence of creativity and manual skills. Mabeo, a company from Gaborone (Botswana), has become a model of development for the crafts communities of Africa, a source of inspiration for designers from Europe like Claesson Koivisto Rune, Luca Nichetto and Patricia Urquiola. Its founder Peter Mabeo believes in the use of solid wood, crafted by hand with traditional techniques, using African woods from certified forests. Every product is the result of the manual skills of local craftsmen. This implies ongoing professional training. Mabeo looks for a recognizable, not standardized identity, expressed in apparently simple furnishings that tell stories. A good example is the new Seriti chair by Patricia Urquiola: literally ‘great force’ due to its sculptural presence, reinterpreting a traditional African seat, but without being exotic or imitating ethnic crafts. Mabeo has a long-term strategy that also includes training in textile techniques, to introduce them in upcoming furnishing products. Weaving and metalwork will be the company’s future trends. Formal simplicity that conceals arduous manufacture is the main characteristic of INCHfurniture, a company founded in 2004 in Basel. Its founders Thomas Wüthrich and Yves Raschle did community service in Semerang, a port on the north coast of Java (Indonesia), where they came into contact with the apprenticeship school PIKA (Pendidikan Industri Kayu Atas). The whole collection is produced there, creating an opportunity for financial support of the school, and a chance for the students to get hands-on training. The products of INCHfurniture, made to last, are in solid teak, a material chosen not only because it is locally available, but also because it is durable and not subject to excessive shrinkage or warping. The metal parts are made by ATMI (Akademi Tehnik Mesin Industri), another local training school. Bamboo in an unusual guise is the idea behind the brand Yii, supported by the Taiwan Craft Research Institute to develop local crafts through design. The challenge is met by the art direction of Gijs Bakker, who has supervised a collection of fourteen objects created by Taiwan-based designers, with the exception of a chair by Nendo, and another by Konstantin Grcic. The starting points are the characteristics of the material – bamboo has great tensile strength – and the know-how of the territory, to help crafts get beyond the ethnic phase and into one of “change and transformation”. Which is not too far from the concept between the Irish company Superfolk. While the furniture industry is not Ireland’s strong point, its cultural traditions are a forte. The brand founded by Gearoid Muldowney in 2008 focuses on ‘zerokilometer’ production: materials from the region, references to Irish crafts. The monomateric furnishings using interlocking joints and almost unfinished wood stand out for their aesthetic impact based on a rustic essence. These products too are the result of the skills of craftsmen, like Joe Hogan who weaves a lamp from the bark of Irish willows, specifically those of Loch Na Fooey. More than just vernacular: Superfolk. Sustainability means generating prosperity while reducing environmental impact. And the theme can be interpreted in different ways. The US-based company Environment, founded in 2002 by Davide Berruto and Giovanni Gallizio, wagers on production in Indonesia and an international network of suppliers of salvaged materials, from the dunnage of scrapped ships to old military tents. The collection includes furnishings made with Brazilian Peroba wood from demolished rural constructions, and seats that recycle discarded furnishings from the University of Washington. So it is the material that guides the design and the production, not vice versa, shedding
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light on new ways of doing business. On the other hand, the Mexican firm Pirwi produces furnishings in plywood that can be taken apart, without bolts or nails, to travel in flat packaging. The products are made industrially with numerically controlled machines and then finished by hand. Digital technology is used not only to create the particular materic patterns of the brand, but also to reduce waste. Pirwi is the local name for the Schinus Molle, an evergreen tree that grows quickly even on rugged ground. A metaphor for developing countries, projected toward modernity, but without forgetting their cultural heritage. - Caption pag. 73 Two products from the Taiwan-based brand Yii: the Explosion fluorescent tube lamp made in bamboo by the craftsman Chi-Hsiang Yeh and designed by Camo Lin; the Loop chair, inspired by antique Chinese registers, also in bamboo, designed by Idee Liu and crafted by Kao-Ming Chen. Facing page: the Irish brand Superfolk produces a collection of furnishings in natural wood of regional origin, built by local artisans. The stools and the table, the first developed with Jo Anne Butler, are in oak and ash, with interlocking walnut parts. The lamp is made with Irish willow bark woven by Joe Hogan. - Caption pag. 74 Pieces from the new Mabeo collection: the Meradi cabinet designed by Garth Roberts and made with different wood veneers; the Pula low tables designed by Luca Nichetto, his second product for the company; the Seriti seat created by Patricia Urquiola, based on a traditional African chair with solid wood legs and back in handwoven leather. - Caption pag. 75 Detail of the Flex plywood table produced by Pirwi. The Mexican brand founded by Alejandro Castro and Emiliano Godoy in 2007 stands out for manufacturing with numerically controlled machines and a collection of furnishings assembled with interlocking joints. - Caption pag. 76 From the 2011 collection of INCHfurniture: the Papat table in solid teak designed by Frédéric Dedelley; the Satu chair and Loro table, both made in solid oil-treated teak, with painted steel structure. The handle of the table is covered with rattan. - Caption pag. 77 The Captain chair by Environment is based on reutilization of seating discarded by the University of Washington; it has the form of a traditional American chair. The company produces only with recycled and salvaged materials.
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Inspired by the perfect number, Tadao Ando creates the work with which Venini celebrates 90 years of activity: a group of three complementary vase-sculptures generated by the basic form of the triangle. Made in rare colors with precious effects. The architect and the craftsman; thought and material; Japan and Italy. Contrasts meet and opposites attract in a work like the one created by Tadao Ando for Venini: an object-sculpture-architecture composed of three monumental vases (ten kilos each) made to celebrate the 90th anniversary of the prestigious Murano-based brand. The work – called Ando, like its author – was presented at the end of May in Venice, at Punta della Dogana, the exhibition space designed by the Japanese architect, winner of the Pritzker Prize in 1995 (he also designed the exhibition facilities at Palazzo Grassi). Venini, with this choice, underlines its history of relations with great creative talents. Thanks to a legacy of fine craftsmanship and technical variations using glass at the service of architects, artists and designers, to give timeliness (and a future) to the art of glassmaking in Murano. Tadao Ando, the master of pure geometry, a self-taught phenomenon and icon of contemporary architecture, has approached Venini for the first time with a series, a triptych of identical vases based on the form of the isosceles triangle: the triangle at the base and that at the mouth of the vase have equal measurements, but in a specular position, generating a torsion of the lateral walls. A daring work in which the triangular form creates the object in a succession of projections. Also an operative challenge, met by the master craftsmen of Venini, requiring great expertise, starting with the size (the vases have a height of 56.5 cm) and the weight; then for the form, the colors and grinding, all variants of the endless store of techniques of the Murano-based firm. Three, the perfect number, recurs constantly in the concept, from the form to the composition of the object, to the numbers of its production: Ando is a limited edition of 90 pieces, with three variants; 30 pieces in crystal tone, 30 in aquamarine, 30 in red. The three vases have three different grinding variations: Rosetta (surface geometries that softly shape the effect of the light), Ghiaccio (clearer facets, like ice) and Velata (a satin finish obtained with abrasive belts). There are nine artist’s trials in individual colors and techniques, personally selected by Tadao Ando: the triptychs of the artist’s trials associate green with crystal, transparent gray with tea color, green with sapphire. They will be auctioned by the end of the year, and the proceeds will contribute to the reconstruction of a facility for children in Japan (Ando is no stranger to this type of initiative: the 100,000 dollars of the Pritzker Price were donated to orphans of the Kobe earthquake). - Caption pag. 79 Ando is the work designed by Tadao Ando for Venini, based on the form of the isosceles triangle; it is composed of vase-sculptures with different hues and types of grinding. - Caption pag. 80 Red is one of the three colors, used in 30 of the 90 pieces; the other colors are crystal and aquamarine. Special tones are applied in the nine artist’s trials that will be auctioned. - Caption pag. 81 A master craftsman in the Venini glassworks in Murano, with four assistants, works for many hours to complete one Ando vase; the piece is blown, then shaped at high temperature (at least 800°), and cooled for 24 hours in a special oven known as the ‘muffola’. Finally, the master grinder works on the surface. Below, Tadao Ando watches the procedure.
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Writing, travel, reading
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photos Max Rommel text Maddalena Padovani
Over 15 products for three collections that organize the Moleskine universe in thousands of pieces. A project of pure industrial design interpreted by Giulio Iacchetti by looking at the perfect, essential character of the black notebook. Giulio Iacchetti is the ‘democratic designer’, captain of the new generation of Italian talents, symbol of a quiet way of designing everyday life, less concentrated on the sign of objects, more focused on anthropological meanings. We saw him rise to fame in 2005 with the Design at the Coop operation, which brought a series of everyday products of good design, but at low prices, into supermarkets. He then became the protagonist, in 2008, of Disobedient Objects, an exhibition-manifesto of his experimental projects, “that resist the logic of consumption and rebel against the definition of design products, aiming to be something else” (Silvana Annicchiarico): a path that has culminated this year in the exhibition “Cruciale”, an investigation of the form of the cross, seen as a symbol of religious and human meanings, a demonstration of how “design can be not just a solution to functional necessities or commercial demands, but can become a way to talk about one’s own way of seeing and abiding in the ‘things’ of the world” (Beppe Finessi). Today, at the age of 45, after having created many pieces for leading Italian furniture companies and having put together a family, as well as a new home and studio, Giulio Iacchetti seems to have found a way to reconcile the two sides of his spirit: the more public, activist and operative side of the designer who still believes in the potential of design to make the quality of everyday objects accessible to all; and the other, more intimate side of the intellectual who questions the capacity of objects to generate meaning, rethinking form, investigating signs, symbols, deeper relationships. This can be seen in his very latest projects, the three new collections designed for Moleskine, on writing, travel and reading. Over 15 pieces, from pens to eyeglasses, computer bags to e-reader stands, all designed around the legendary black notebook Giulio uses every day for his sketches, and has always admired as an object: a simple black rectangle with rounded corners, with the cover held in place by an elastic band, and an internal pocket; an anonymous object, perfect, essential. The encounter between the designer and the company did not happen by chance, but thanks to the affinity of the design vision of the former and the productive approach of the latter. The initial idea was to design objects for writing in the favorite notebooks of intellectuals and artists, who during the last century created a small French factory; the owners of the brand, which became a trademark on in 1997 thanks to Italian entrepreneurs, decided to further expand the Moleskine world and held an invitational competition, which Giulio won. His goal is to get away from the image of the gadget, to give each object its own idea so that it does not exist only as a reflection of the Moleskine image. In any case, the notebook suggests the basic principles that keep each piece tied to the brand’s identity: the rectangular shape, the black color, the extreme simplicity. The pen is the fulcrum of the project: squared like the notebook, for which it becomes a natural traveling companion, attached horizontally or vertically to the cover with a clip. The reading category includes reading glasses, perfectly symmetrical so they can be worn no matter how you pick them up. Finally, the travel collection includes different bags, still rectangular, still with very clean forms. In soft synthetic material, they all have a rigid base to rest on the ground, without losing the advantages of a comfortable, easy-to-wear accessory. The use of a particular pale fabric for the internal lining of the bags is a direct reference to the white pages of the Moleskine notebooks; the Messenger bag, the focal point of the collection, opens to become a big white page on which to write, permitting personalization of the object by the user. Accessories can be freely attached inside, using velcro; they include multipurpose cases and pockets, and the Moleskine storage panel, a sort of skeleton in strong material designed to also be inserted in the Utility, Tote and Backpack bags. With this project for Moleskine Giulio Iacchetti operates on his most familiar ground, that of the industrial designer, creating objects for mass production (tens of thousands of units for each type), which are democratic by nature, precisely because they are made for widespread distribution and use (everyone uses pens and work bags). “There is no difference”, the designer explains, “between ‘disobedient objects’ of my experimental work and the apparently more ‘obedient’ objects I design for industry. As for Coop, with Moleskine too we have taken a path of disobedience to conventions, which insist that everything tragically defined as ‘design’ be for the few in terms of price and comprehension. Moleskine has always been a popular brand around the world; the value of design cannot stop short at a signature or a brand. There has to be a careful process of definition of the idea, moving toward the definitive product with great attention to costs, functional quality and appeal of the form”. - Caption pag. 82 Giulio Iacchetti has created three collections for Moleskine, devoted to writing, travel and reading. They include different models of bags and packs with a range of accessories, pencils and pens, reading glasses and e-reader stands. - Caption pag. 85 The protagonist of the travel collection is the Messenger bag made with soft synthetic material and equipped with a rigid base to make the bag stand up when placed on the ground. Its interior can be organized freely with a range of add-ons. The soft flap rolls back and adjusts to permit attachment of different types of objects. The pale fabric inside becomes a white page on which to write.
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Gaëlle Gabillet and Stéphane Villard, winners of the Carte Blanche 2011. At the recent FuoriSalone in Milan the VIA exhibition was one of the most interesting events in the Tortona zone. VIA is a French institution connected with the Ministry of Industry, which helps young talents to promote their projects, making prototypes, and helps companies to get better connected with design culture. The show was big (400 sq meters, in the former Emporio showroom that has just been renovated and renamed Opificio 13), and the content was also of great quality: 22 pieces that offered real ideas in terms of research-experimentation on materials and production techniques, rewarded with different honors doled out by VIA. There were great expectations, also because VIA, which celebrated its first 30 years of existence with a major show at Centre Pompidou of Paris, was missing from the action last year in Milan. On the stage of this fertile laboratory-observatory of trends, one project stood out in particular: the Objet trou noir by Gaëlle Gabillet and Stéphane Villard, winner of the VIA Carte Blanche for 2011, which approached three clear, transparent and ecologically correct themes with total black objects: recycling of materials, optimization of resources, regenerated through elimination of toxic substances; the breakdown of every object into ‘independent’ elements that can generate other objects; the reversibility of objects, according to the principle that everything can have more than one function. Specifically, the French bien vivre indicated by the young Gabillet (born in 1976) and Villard (1973), who discovered their elective affinities while studying at ENSCI /Les Ateliers, where they met, reinterprets the astronomical notion of the black hole (the final stage of evolution of certain stars that implode their matter inside a gravitational field, transforming it), to come up with an evocative ‘green revolution’ focused on the aesthetic and functional potential of scrap materials. “The metaphor of the black hole in space and the ideal boundary through which light can enter but not exit”, the designers explain, “was useful for our research on refuse, the true black hole of contemporary society. We are very convinced that sustainability and reduced environmental impact of objects that have already materialized in our terrestrial landscape can lead to improvement of everyday life”. The refuse is regenerated through design experimentation that focuses first of all on innovative use of Cofalit, a material that comes from the vitrification of refuse containing asbestos or inert materials from construction scrap. Cofalit has been used to make bricks and tiles suitable for the production of stoves, radiators, vertical partitions, floor coverings, with a great variety of forms and figures, as well as concrete objects and furnishing complements of great multifunctional character. All with a precise awareness: “if we can use a single object to do more than one thing”, the designers say, “we will have fewer objects to discard over the medium-long term. An advantage for optimization of refuse and greater sustainability”. A perspective that stands up to scrutiny, especially because population growth and destruction of resources and the natural environment have already caused disasters that must not be increased. The job of the designer, then, is to imagine something new that can contribute to greater collective and individual wellbeing. To absorb, as in a black hole, some of the waste we produce every day, transforming it into a positive factor, using it in new production processes, ideally eliminating it from the genealogical tree of hyper-specialized objects while positioning the whole approach in the realm of reversibility. One emblematic example: the recycled vacuum cleaner that can then be converted into multiple independent functional parts. Another: the tableware organized in a syntactic composition of complete forms. The idea of destructuring the object to generate other smaller objects comes from the need to limit the use of materials. Cofalit, above all, an excellent heat conductor, resistant to thermal shock, can be a valid alternative, even though its black color makes the objects produced with it look something like stones. Sensitive stones, then, produced by incineration of contaminated construction debris. Ready for a new eco-democratic life. - Caption pag. 86 At the center of the table, the grill with accessories, part of a tableware proposal formed by different types of objects made with different materials (photo Simon Thiébaut © VIA 2011). - Caption pag. 87 Not just recycled objects in Cofalit. The experimentation of Gabillet & Villard also focuses on the reversibility of objects, according to the principle that everything can be broken down into independent parts and have more than one function (photo Marie Flores © VIA 2011) - Caption pag. 88 With Cofalit, a vitrified material made by incinerating construction debris contaminated with asbestos, resistant to thermal shock and an excellent heat conductor, Gabillet & Villard have designed perforated ‘bricks’ suitable for the production of stoves and dividers, ‘tiles’, radiator covers and lamps (photo Marie Flores © VIA 2011). Below, the vacuum cleaner object, when broken down into pieces, generates a family of everyday useful things (pail, stool, brush) made with different materials. Facing page: the Cofalit tiles, used for flooring. Easy to install, they come in different forms and geometric configurations (photo Simon Thiébaut © VIA 2011).
inview
r are Fied o Bjects
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text Stefano Caggiano
Bien vivre, French s tyle
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text Antonella Boisi
The fact that VIA, Valorisation de l’Innovation dans l’Ameublement, is in the vanguard of identification of works that approach the major themes of contemporary design in an innovative way (environment, optimization of resources, social responsibility) is confirmed by the project Objet trou noir (black hole object) by
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From forms crossed by fingers to evanescent products like holograms: the digitalization of reality makes the aesthetics of things more and more immaterial. Leading to a general trend in the world of design toward rarefaction, even in material objects that borrow the aesthetic of the elimination of the ‘case’ from their digital counterparts. Bio-digital experiments emerge, like Cellular by Mathias Bengtsson, where the application of new medical technologies with an epoxy resin makes it possible to shape a seat according to the same principle that lies
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behind bone structure. Or like Mother Nature by the Dutch design Dave Hakkens, who reproduces the structure of one of nature’s sturdiest micro-organisms. Or the spectacular Batoidea by Peter Donders, which seems to be designed by the surface tension lines of drying liquids. Projects like these follow a direction of ‘shrinkage’ that takes the object back to an organic, pre-project state of matter. Other experiences, instead, respond to the same need for rarefaction through the zeroing of the material dimension, in search of pure semantic presence, even denying the passage of the project from the state of ‘sign’ to that of ‘thing’, proposing a graphic tracing in place of the body of the object. This is what happens, for example, in recent outdoor designs like FildeFer by Alessandra Baldereschi for Skitsch, bringing the phantoms of domestic physiognomies into the garden, or Clubland by Peter Emrys-Roberts for Driade, a very precise work that removes any anatomical encumbrance from the sofa, leaving an indispensable minimum for perception. The Charles Wire seat by German designer Kilian Schindler also moves along these lines, sharing with the Icons series by the young Prague-based Jan Plechác the idea of reproducing certain design icons, gutting them of their ‘aniconic’ physical essence. Colabrodo by Andrea Magnani, on the other hand, is an act of subtractive violence that lashes out at the archetype of the monoblock plastic chair, perforating it with a drill, displaying the same sense of dispersal while indicating a generational rejection of the model of the world-market and merchandise-based anthropology. Beyond the various ‘ethics’, in linguistic terms these operations all seem to have a digital metabolism, where products by nature have a ‘brittle’ existence composed of sudden groupings of data (that’s what happens when we ‘open’ a file, or ‘enter’ a website) and then dissolve again (‘closing’ the file, ‘leaving’ the site) to shift back into the distributed circuit of remote availability. In design this translates into a loosening of the iron-clad pact between matter and form, in favor of clustering and dispersal that act as variations inside a global flow composed of evanescent objects and persistent signs. What is at stake is not the replacement of reality with image, but the emotional integration of atoms and bits, metal and silicon, and the subsequent ‘axial’ repositioning of material and formal values. This is why the rarified anatomy of objects like the Luce hanging lamp designed by Brian Rasmussen for Lucente (a luminous heart transplanted into a body-that-isn’t-there) is not a limit but a connection to a new expressive potential in which things are sublimated in favor of their abstract functional immanence, like holograms that can be crossed with the fingers. For design, the challenge is to embrace and not to reject this need for liberation from compactness, in a scenario where cohesion is experienced as a negative because it implies stopping transformation processes characteristic of contemporary design, whose darting, slippery projects elude form and tend to remain suspended between what they are and what they are not. - Caption pag. 90 Two seats from the Icons series of garden furnishings by Jan Plechác. The young Prague-based designer removes the physical bulk of iconic objects like the Louis Chair (left) and the Red Blue Chair by Gerrit Rietveld (below), making definite forms with slender metal tubing. The object is ambiguously recognizable in its absence, but perfectly functional (photo Kristina Hrabetova). Facing page: Jan Plechác, model from the Icons series inspired by the Kubus by Joseph Hoffmann. The indoor-outdoor boundary is erased with an erudite, light, ironic design move (photo Jaroslav Moravec). - Caption pag. 92 Upper left: FildeFer chair, armchair, table and small table for outdoor use designed by Alessandra Baldereschi for Skitsch, 2011. Iron rod is used like the graphite of a pencil to create the effect of capitonné upholstery. In four colors: green, white, gray and blue. Above: the Clubland sofa by Peter Emrys-Roberts for Driade, 2011, in stainless steel, with seat cushion and four throw cushions. For indoor and outdoor use. Below: Batoidea by Peter Donders, a project whose name comes from cartilaginous flat-bodied fish. The seat, designed with 3D software, is made with die-cast aluminium. - Caption pag. 93 Above: part of the outdoor furniture collection designed by Kilian Schindler for the Karlsruhe University of Arts and Design, Wire Chair was chosen as the Best Architectural Concept of the d3 Schools Competition. Colabrodo by Andrea Magnani for Resign, 2008, made by perforating a classic monoblock plastic chair with a drill; the chair remains recognizable only thanks to its ‘remains’. Upper right: the Vita lamp designed by Brian Rasmussen for Lucente, 2011, is composed of 19 helicoidal metal pieces. The structure seems random or orderly, depending on the vantage point. Available in white or red. To the side: Mother Nature is a sculptural preobject experiment by Dave Hakkens, based on the enlarged reproduction of the structure of a micro-organism. Below: thanks to a 3D program that simulates regeneration of bone tissue, the Cellular seat by Mathias Bengtsson takes on a cellular, strong, light structure.
luglio-agosto 2011 InternI by Willem Matthijs Schilder for Design Industry Amsterdam, composed of three concentric rings of LEDs and blades made in different materials and graphic designs. This model was designed for Sikkens and represents a color chart in 3D. 2. Lastika by Velichko Velikov - Lagostudio for Lago, stackable chair with metal structure, seat in colored elastic belting. - Caption pag. 96 1. Human Duality I by Daniele Lora for CC-Tapis, Signature collection, carpet made by hand with the Tibetan knotting technique, with wool fleece and cotton base. 2. Stripe Storage, designed and produced by A2 Designers, drawer unit in MDF and painted wood, with push-pull opening mechanism. 3. From Missoni Home, Nap sofa with striped Manda knit fabric cover in Trevira. - Caption pag. 97 1. Parquet by Ora-Ïto for Stepevi, collection of carpets with stripes and reliefs, auto-tufted in 100% wool, sculpted and finished by hand, in 5 color variants and 3 sizes. 2. Rainbow by Roberto Lazzeroni for Lema, cupboard with metal base, structure and doors painted with vertical stripes. - Caption pag. 98 1. Cabrio by Piero Lissoni for Living Divani, chair with seat structure in marine plywood, back in steel sheet, expanded polyurethane filler, removable Gallo multicolor fabric cover. 2. Table with built-in lamp from the Hybrid Collection by José Marton for Allê, in methacrylate, made by recycling scrap materials. 3. Zig Zag by Sebastian Wrong for Established&Sons, hand-knotted wool carpet. 4. Colour Carpet by Scholten&Baijings for Hay, carpets in 100% New Zealand wool, in 6 design and color variations. 5. Trip Chair by Selab for Seletti, chair in metal and beech, silkscreened and finished by hand with different graphic patterns. 6. Last Supper Table by Bart Eijking and Patrick de Louwere/Studio Lawrence, table in MDF, painted or with wood veneer, with top formed by different segments organized in a Fibonacci series. Available with three types of legs. 7. Plaid Bench by Raw Edges for Dilmos, wooden bench composed of different modules that intersect to create varied multicolor patterns. - Caption pag. 100 1. Pxl by Fredrik Mattson for Zero, hanging lamp with painted aluminium shade. 2. Elle and Soft by Twils, chair and hassock with expanded polyurethane filler, fabric, leather or eco-leather cover. 3. Twee by Karim Rashid for Valdichienti, magazine rack with steel structure, covered in full-grain cowhide. 4. Stella Filante by Agatha Ruiz de la Prada for Spazioquadro, door for interiors with striped decoration on glossy or matte panel. - Caption pag. 101 1. Cintas by Patricia Urquiola for Chevalier Editions, carpet in 60% wool and 40% silk. 2. The Fool on the Hill, outdoor seating in ceramic, designed by Luca Nichetto for Moroso and made by Bosa, in the new striped limited edition. 3. Raita Bench by Eeva Lithovius for Durat, bench with painted steel structure and multicolor Durat seat (solid surface made with recycled plastic). 4. Claire by Stefano Sandonà for Gaber, chair with chassis in multicolor striped technopolymer, legs in painted or chromium-plated metal.
INproduction
Get IN l INe p. 94 text Katrin Cosseta
An orderly color explosion. Lines, stripes, the graphic trend of the moment: a way to lighten up even the most severe forms, a way to give rhythm to surfaces. From cabinets to chairs, lamps to carpets. - Caption pag. 94 1. Lepark by Gan, carpet from the Hand Tufted collection in 100% virgin wool. Design Enblanc. 2. Muffin by Piero Lissoni for Pierantonio Bonacina, modular indoor armchair and divans with solid wood structure, removable striped fabric cover. 3. NW1 table by Nicholai Wiig Hansen for Normann Copenhagen, tables in hand-decorated stoneware, also suitable for outdoor use. - Caption pag. 95 1. Colour Chandelier
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