NUMERO 6 | OTTOBRE 2013
Storie di eccellenza e innovazione
coccoliamo le mamme coN IL NUOVO marketing Stefano Mazzia, Ceo di Prénatal, ha scelto tecnologie software di frontiera per analizzare i dati delle loyalty card. Così gestisce la complessità del retail multicanale e fidelizza i clienti.
social business
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Moda o vantaggio competitivo? Una panoramica delle soluzioni e delle applicazioni delle reti sociali per il mondo delle imprese.
speciale analytics
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Un inserto dedicato all'evoluzione della Business Intelligence: dall'analisi dei dati alla previsione dei fenomeni.
arrivano i robot
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Gli automi che puliscono casa sono ormai una realtà. Ma non tutti sanno che la tecnologia di iRobot arriva da lontano.
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SOMMARIO Storie di eccellenza e innovazione
N° 6 - Ottobre 2013 Periodico bimestrale registrato presso il Tribunale di Milano al n° 378 del 09/10/2012. Direttore responsabile: Emilio Mango Coordinamento: Gianni Rusconi Hanno collaborato: Piero Aprile, Luca Bastia, Valentina Bernocco, Carlo Fontana, Richard Hughes, Stefano Osler, Laura Tore Progetto grafico: Inventium Srl Sales and marketing: Francesco Proietto Iniziative speciali: Salvatore Losco Business development: Anselmo Barbieri Foto e illustrazioni: Istockphoto.
4 storie di copertina La fedeltà nasce dal nuovo marketing: Prénatal
11 IN EVIDENZA L’analisi di Gianni Rusconi: il futuro di Microsoft Oracle cambia faccia ai database La visione “umano centrica” di Fujitsu TS
CA Technologies guarda al futuro
L’opinione: WebRtc e le comunicazioni
22 SCENARI
Social: evoluzione o rivoluzione?
Il dilemma della piattaforma
Cio alla prova del nove
La rivoluzione ibrida dei nuovi Pc
35 speciale
Business Analytics
Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl Via Faruffini, 13 - 20149 Milano tel: 02 36505844 info@indigocom.it www.indigocom.com Stampa: RDS Webprinting - Arcore © Copyright 2012 Indigo Communication Srl Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati. Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto. Pubblicazione ceduta gratuitamente.
43 ECCELLENZE.IT Metal Spot - Hp Mediamarket - Brocade Leroy Merlin - Colt
Impresa Pizzarotti - Riverbed
48 italia digitale
L’agenda un anno dopo
Smart working
Start up: un modello italiano per crescere
54 OBBIETTIVO SU iRobot
61 VETRINa HI TECH Stampanti da ufficio Pillole digitali
STORIA DI COPERTINA | Prénatal
la fedeltà nasce dal nuovo marketing Per una volta, un programma di loyalty è stato il punto di partenza e non quello di arrivo di un progetto di Crm e customer intelligence. Che ora supporta anche i social network e il retail multicanale.
T
utto nasce dalla volontà di valorizzare la conoscenza del proprio cliente, sfruttando uno dei programmi di loyalty di maggior successo che siano stati realizzati nel settore dell’abbigliamento specializzato. “Nonostante le ottime performance della nostra carta fedeltà”, racconta Marco Metti, group customer
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relationship manager di Prénatal, “non avevamo ancora costruito una reportistica ben strutturata, che potesse darci una visione precisa del cliente e non solo dei dati relativi agli scontrini”. Come spesso accade, quello tra la disponibilità delle informazioni di business e il loro utilizzo efficace è un passaggio delicato, che presuppone l’adozione di
PROFILO AZIENDALE Prénatal è l’azienda leader in Italia nella distribuzione di prodotti per la futura mamma, il neonato e il bambino fino a otto anni. Dal primo negozio milanese aperto nel 1963, lo storico marchio per l’infanzia Prénatal conta oggi 330 punti vendita in 18 Paesi. Con 70 megastore di oltre 1.000 metri quadrati, Prénatal si propone come “baby destination store”, un unico spazio dove poter trovare tutto ciò di cui la nuova mamma e il suo bambino hanno bisogno: un vasto assortimento di prodotti, dall’abbigliamento alla puericultura delle migliori marche specializzate e tanti servizi (come la Lista Nascita, corsi ed eventi gratuiti). Con i suoi punti vendita Prénatal offre una shopping experience unica e coinvolgente. Non solo negozi, Prénatal è anche una community digitale con un portale e-commerce continuamente aggiornato e un’attiva presenza sui social network (Facebook, YouTube, Twitter e Pinterest), per comunicare con le clienti in modo immediato e favorire l’interazione con loro e tra loro.
tecnologie adatte ma anche un salto di qualità nella cultura aziendale e nell’organizzazione. Per accorciare i tempi di realizzazione del progetto, Prénatal chiama al suo fianco Value Lab, una società di consulenza specializzata in ambito marketing e vendite. Inizia così un progetto di customer intelligence che si fonderà sull’utilizzo di Sas come piattaforma tecnologica trasversale alle diverse funzioni di analisi e di pianificazione. “La carta fedeltà funzionava molto bene”, spiega Metti, “perché aveva un’incidenza superiore al 70% sulle
vendite, e rappresentava quindi un ottimo punto di osservazione per studiare il comportamento dei clienti. Noi però volevamo un reporting multidimensionale, che superasse la logica dell’analisi delle vendite e delle categorie merceologiche e ci facesse capire, ad esempio, la relazione tra la diminuzione dello scontrino medio e l’abbandono dei clienti alto-spendenti, oppure quella tra la flessione del fatturato e la perdita di un determinato segmento di visitatori dei negozi”. Insomma, si trattava di andare ad analizzare una mole maggiore di in-
formazioni, che spiegassero meglio le performance in ambito vendite e che consentissero di toccare le giuste leve di marketing, facendo cogliere a Prénatal le opportunità che la sola carta fedeltà non permetteva di sfruttare appieno. “Un secondo obiettivo importante del progetto”, dice Metti, “era riuscire a gestire la multicanalità, un concetto a cui Prénatal ha sempre creduto, e che ha concretizzato con un sito di e-commerce. Con Value Lab abbiamo costruito uno unique customer database, che integra online e offline”. Parallelamente al progetto di estensio5
STORIA DI COPERTINA | Prénatal
ne del range di analisi e di gestione di diversi canali, Prénatal si prefiggeva anche l’obiettivo di segmentare la propria clientela non solo in base ai prodotti acquistati, ma anche al loro potenziale. Si trattava quindi di considerare, ad esempio, lo “share of wallet” del cliente (quanto spende in rapporto alle sue possibilità) piuttosto che le diverse sensibilità alle promozioni o alle categorie di prodotto. “Oggi Prénatal è a tutti gli effetti un retailer multibrand”, precisa Metti, “anche se la nostra marca ha un peso importante, e dovevamo quindi eseguire, tra le altre cose, la clusterizzazione dei clienti sulla base della fedeltà al nostro marchio”. Per fare tutto questo era necessaria un’infrastruttura tecnologica potente e innovativa, che da una parte fosse in grado di gestire ed elaborare una grande mole di dati e dall’altra avesse già “embedded” le funzionalità e il know-how necessari per un progetto di marketing intelligence così spinto. Per questo, Prénatal e Value Lab hanno scelto Sas, sfruttando in particolare i moduli pensati per la customer intelligence e per il campaign management, le due funzioni principali che consentono prima di studiare il cliente e poi di agire in modo ottimale con le campagne di marketing. “Oggi possiamo dire di aver raggiunto tutti gli obiettivi del progetto”, dice Metti, “e siamo alla fine del processo di messa a punto di una moderna ed efficace macchina di marketing. In pratica, grazie a Sas e Value Lab ora abbiamo tutti gli elementi per cambiare marcia e dobbiamo solo concretizzare, con le opportune azioni (una parte delle quali potranno essere attivate in modo automatico), lo studio condotto sui clienti. Tra l’altro, il vantaggio conferito dall’utilizzo di Sas è stato la possibilità di gestire la complessità e rendere immediato l’utilizzo delle informazioni, caratteristiche che non avevamo riscontrato negli altri prodotti di analytics”. Emilio Mango 6
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la soluzione La piattaforma tecnologica scelta da Prénatal e Value Lab si declina su quattro server dedicati. Due sono riservati alle elaborazioni degli analytics di Sas e al modulo Sas Campaign. Quest’ultimo, che fa parte della vasta suite di soluzioni dedicate alla customer intelligence, viene utilizzato per la gestione delle campagne di marketing in tutti i loro aspetti, Marco Metti, Group Customer Relationship Manager di Prénatal, ha coordinato il progetto di customer intelligence e marketing automation realizzato insieme a Value Lab.
Marco Metti
coordinando le diverse azioni sui differenti canali di vendita. Un terzo server viene destinato alla gestione del data warehouse, costruito su tecnologia Sql Server. L’ultimo, destinato alle attività di reporting, sfrutta invece la piattaforma QlikView. Il sistema è stato affidato da Prénatal in outsourcing a Value Lab, che dalla sede di Milano si occupa della gestione operativa della piattaforma tecnologica.
Investiamo nel Web per ascoltare le "mamme digitali" Prénatal impiega parecchie risorse in tecnologie It e telecomunicazioni. Per governare l'azienda, ma anche per presidiare i canali di vendita e conoscere meglio le abitudini e i gusti dei clienti.
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n marketing e un reparto It “illuminati” non sono sempre sufficienti a creare un ambiente hi-tech, ci vuole anche una guida sensibile e coraggiosa. Technopolis ha intervistato Stefano Mazzia, Ceo di Prénatal, per capire quali profili e quanti capitali siano stati necessari per costruire un’azienda tecnologicamente all’avanguardia. Come è cambiata e come cambierà Prénatal per seguire l’evoluzione dei canali e dei consumatori?
Una recessione economica così duratura e profonda ha cambiato in maniera permanente le abitudini di consumo in tutti i mercati. Le mamme non sono un’eccezione e oggi, ancora più di prima, sono alla ricerca di concretezza e facilità d’acquisto. La nuova mamma e il suo bambino sono al centro del modello di business di Prénatal, e questo richiede una costante capacità nel saper cogliere le evoluzioni dei bisogni dei consumatori. La ricerca dei nuovi trend di mercato e di consumo ha permesso a Prénatal di colmare con i suoi megastore il gap di offerta distributiva sui grandi formati specializzati nel baby market, garantendo un’offerta
merce, come la consegna a domicilio, il “prenota e ritira in negozio”, il “paga e ritira in negozio”. Quanto è importante la tecnologia nella strategia e per il successo di Prénatal?
Stefano Mazzia
di prodotti e servizi pensati in chiave mamma-bambino sempre più ampia, esaustiva e in grado di generare un valore differenziale unico nell’esperienza d’acquisto e d’uso, al momento giusto, in un unico spazio, al giusto prezzo. Sul fronte delle azioni promozionali, sviluppiamo anche un fitto calendario di iniziative dedicate ai diversi target e studiate per soddisfare le esigenze specifiche di ogni mamma durante tutto il percorso della maternità. Il consumatore è diventato negli ultimi anni ancora più attento e ha maggiori possibilità di raccogliere rapidamente e in ogni momento informazioni sui prodotti di cui ha bisogno. Prénatal è presente su tutti i canali (email, sms, Web, smartphone e app, social media, negozio) con un’ampia scelta, unica nel settore, di modalità di acquisto pensate per ogni esigenza: nel punto vendita con l’assistenza di personale qualificato, e online, comodamente da casa 24 ore su 24 e sette giorni su sette, selezionando tra diverse possibilità di ricezione della
La tecnologia è un fattore imprescindibile per Prénatal e lo dimostrano i consistenti investimenti effettuati negli ultimi anni sia sull’e-commerce, sia sui sistemi di cassa e sul Crm. La diffusione di smartphone, app e shopping online ha cambiato le scelte e le modalità di acquisto delle mamme, che sono molto presenti sul Web e attive sui social network. In questo contesto, It e telecomunicazioni sono uno strumento cruciale, per rispondere con successo ai mutamenti in atto nel mercato. La tecnologia rappresenta per noi un mezzo che si sviluppa a partire dalla profonda conoscenza del consumatore, nell’ottica di aumentarne la soddisfazione. Tutte le nostre scelte in ambito tecnologico mettono al centro le mamme e si basano sull’ascolto e sulla comprensione delle loro esigenze. Le nostre clienti hanno una notevole affinità con la tecnologia e le scelte di Prénatal si sono orientate a dare voce a questa naturale propensione. Informarsi, condividere esperienze e acquistare sono i tre ambiti in cui si concentrano i bisogni e le aspettative e la tecnologia, se ben indirizzata e gestita, consente di rispondere al meglio a queste esigenze. Quali sono i vantaggi competitivi ottenuti grazie all’hi-tech?
Gli investimenti effettuati in It e telecomunicazioni ci hanno permesso di conoscere meglio i nostri clienti, di capire più a fondo quali sono i bisogni e le abitudini di acquisto. Grazie all’hi7
STORIA DI COPERTINA | Prénatal
tech siamo più vicini alle mamme e comunichiamo con loro su diversi canali, per proporre offerte mirate e novità, in linea con le loro esigenze specifiche. Per esempio oggi possiamo offrire alle future mamme informazioni e proposte personalizzate, in base al loro mese di gravidanza, con consigli sempre aggiornati e disponibili online e direttamente sullo smartphone. Questo ha creato un rapporto di conoscenza e fiducia reciproca ancora più forte con i nostri clienti e ci permette di migliorare continuamente, facendo tesoro dei loro riscontri e delle loro esperienze. Come avete incoraggiato l’utilizzo della tecnologia in Prénatal?
La tecnologia è parte integrante di ogni nostra attività e viene utilizzata a tutti i livelli come presupposto di una comunicazione costante e interattiva con i clienti, guidata da principi di trasparenza e concretezza. I nostri canali social, come la pagina Facebook e il profilo Twitter Prénatal, sono visitati regolarmente dai dipendenti fino all’amministratore delegato, perché i commenti e i post delle mamme sono per noi il punto di partenza, al centro del nostro lavoro, così come i riscontri delle nostre clienti nei negozi. Il fattore tempo è fondamentale
in merito all’utilizzo della tecnologia e il nostro impegno è stato rivolto a creare in Prénatal una cultura dell’innovazione, per garantire l’introduzione veloce delle novità tecnologiche a partire da una prima fase di test. Un esempio è il successo della sperimentazione e del successivo lancio in tutti i negozi del servizio “Clicca & Trova”, che ha permesso la connessione dei negozi con il portale e-commerce, per migliorare l’offerta dei prodotti di puericultura anche nelle piccole superfici di vendita. In Olanda ha ottenuto ottimi riscontri l’attivazione della rete Yammer tra i negozi, che sono ora molto più interattivi e collegati tra loro, per condividere esperienze e casi di successo. Chi sono stati i facilitatori?
È stato un grande lavoro di squadra di cui siamo orgogliosi. La strategia multicanale che ha portato all’introduzione di grandi innovazioni tecnologiche è stata realizzata grazie al lavoro combinato di Marketing e It, con il continuo supporto e incoraggiamento dell’Amministratore Delegato. In questi ultimi due anni l’azienda ha affrontato una grande trasformazione, con importanti risultati resi possibili dagli sforzi di tutti i dipendenti che hanno lavorato con impegno, met-
tendo le mamme e i loro bambini sempre al centro di ogni decisione e attività e consentendoci di festeggiare quest’anno con molta soddisfazione il 50° anniversario di Prénatal, insieme a loro e alle nostre clienti. Che tipo di investimenti avete messo in campo per essere tecnologicamente all’avanguardia?
Gli investimenti in It e telecomunicazioni hanno trasformato Prénatal in uno dei retailer più innovativi nel baby market. Nel 2012 il Sole 24 Ore ha riconosciuto a Prénatal il premio per la categoria “Best multichannel player” in occasione della prima edizione dell’Innov@Retail Award, il premio nato dalla partnership tra Accenture e il Gruppo 24Ore, dedicato alle aziende operanti nel retail che hanno saputo distinguersi per progetti innovativi. Store, e-commerce e mobile sono le macro-aree chiave su cui Prénatal ha ampiamente investito dando vita a una strategia multicanale di successo guidata dalla filosofia “un nuovo noi”, che incarna l’obiettivo di condividere l’esperienza meravigliosa della nascita di un bambino offrendo prodotti e servizi specializzati e mirati alle esigenze di ciascuna mamma. E.M.
I dati di marketing arrivano da centinaia di punti vendita in 18 diversi Paesi del mondo. Ma la complessità del retail Prénatal nasce anche dalla gestione di prodotti multimarca. 8
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IN EVIDENZA
l’analisi
Windows 8, Nokia, l’era post Pc, il nuovo Ceo: il ritorno al futuro di Microsoft L’ddio anticipato di Steve Ballmer, la riorganizzazione interna, l’acquisizione dei device della casa finlandese, la rivoluzione touch del nuovo sistema operativo, la rincorsa a Apple e Google nel mobile: il gigante di Redmond è a un bivio. Pericoloso?
Steve Ballmer, dimissionario Ceo di Microsoft (lascerà la prossima estate) ha visto scendere del 20%, a 550mila dollari, il proprio bonus annuo per l’esercizio fiscale 2012. A penalizzare le entrate dell’ex braccio destro di Bill Gates, forte di una dote in azioni che vale (oggi) circa 11 miliardi di dollari, l’andamento negativo degli utili, in calo del 18%, e le finora deludenti vendite dei tablet Surface. Il fatto, per certi versi, è sintomatico della fase di passaggio, offuscata da non poche ombre, che sta vivendo la società di Redmond. Il cambio di pelle
A luglio una mail dell’attuale Ceo ai dipendenti spiegava il senso della “One Microsoft”, e cioè il nuovo assetto organizzativo della compagnia, sganciato dalla logica di divisioni separate e ispirato a una strategia operativa centralizzata. Un cambio di pelle “che non andrà ad intaccare i valori chiave”, scriveva Ballmer, e che dovrà traghettare l’azienda verso il futuro, in vista del suo 40esimo compleanno (nel 2015). Microsoft, il cui valore di capitalizzazione in Borsa è sceso in 14 anni da 600 a 300 miliardi di dollari, dovrà essere più compatta e quindi più capace di rispondere alle sollecitazioni del mercato e di una concorrenza che ha sostanzialmente i nomi e i volti di Apple e Google. L’obiettivo è chiaro: la One Microsoft dovrà velocizzare l’innovazione ed ottimizzare il time to market dei prodotti. A che punto siamo di questo processo? Il compito che graverà sulle spalle del successore di Ballmer – si fanno i nomi di Stephen Elop, Ceo di Nokia, e di Alan Mulally, Ceo di Ford)
– è complesso e non si limita certo a massimizzare i profitti legati alle licenze di Windows e di Office. Il cambiamento che sta interessando tutte le grandi firme dell’informatica sembra avere per Microsoft il sapore di una trasformazione epocale in relazione al declino dell’industria dei Pc tradizionali. Le ombre su Windows 8
Il nuovo sistema operativo a mattonelle e touch, di cui è arrivata nei giorni scorsi l’attesa versione 8.1, doveva essere l’arma per contrastare la popolarità di Apple e Android nell’era “post Pc” e delle app; al momento non è possibile parlare di scommessa vinta, nonostante le oltre 100 milioni di licenze vendute in 11 mesi. Riprendersi il titolo di “innovator”, qualità che in Ballmer non abbondava, è per Microsoft (come del resto per Hp, Ibm e la stessa Apple) un’operazione tutt’altro che facile. Windows è installato in nove Pc su dieci (tablet esclusi) ed è questa una dote importante, soprattutto in ambito aziendale. Una dote che però rischia di perdere consistenza in tempi rapidi, di pari passo con la penetrazione del fenomeno “Bring your own device” nel
tessuto delle imprese, sia grandi che medie e piccole. Capitolo smartphone. A inizio settembre, un’altra mail a firma di Ballmer ha annunciato l’acquisizione della divisione telefonini di Nokia. Operazione di fatto nell’aria da due anni (dal momento dell’alleanza sancita con la casa finlandese nel febbraio 2011) e da complessivi 7,2 miliardi di dollari. Che obiettivi si è posta Microsoft affrontando questo investimento? Non sono stati resi noti. Windows Phone cattura oggi circa il 4% del mercato smartphone e ha superato in terza posizione BlackBerry; Android, soprattutto, e iOS viaggiano però su binari ben diversi e insieme coprono oltre il 90% delle vendite. Se il software mobile di Redmond dovesse attestarsi, come prevede Gartner, su un quota del 10-15% entro il 2015, si dovrà parlare di un successo? E cambiare passo, nel dopo Ballmer, sarà più facile come sostengono alcuni analisti? Il vulcanico Steve, hanno ricordato in molti, appartiene alla Microsoft 1.0. Il suo erede dovrà parlare un’altra lingua. Per cambiare davvero. Gianni Rusconi
Steve Ballmer
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IN EVIDENZA
Ibm e UniCredit, matrimonio nel cloud con vista sui servizi It La nuova joint-venture V-TServices si occuperà dell’infrastruttura informatica della banca e, in futuro, di altre istituzioni finanziarie. Si chiama V-TServices, è una jointventure partecipata da Ibm (al 51%) e UniCredit (per il restante 49%) e nasce con lo scopo principale di gestire l’infrastruttura It del gruppo bancario. La nuova realtà, che ha rilevato le risorse hardware di UniCredit Business Integrated Solutions (Ubis), si presenta con un organico di mille dipendenti (700 dei quali provenienti dall’istituto finanziario) e si occuperà dei servizi tecnologici della banca per i prossimi dieci anni. I vantaggi per UniCredit? Risparmiare, nel prossimo decennio, qualcosa come 730 milioni di euro. “V-TService ha obiettivi ambiziosi”, ha affermato l’amministratore delegato Giovanni Linzi. “Oltre a migliorare i livelli di servizio attuali, monitorerà il mercato e la sua evoluzione in modo da poterne cogliere le opportunità ricercando nuove soluzioni. Punteremo inoltre a fornire servizi It anche ad altri istituti finanziari di medie dimensioni (300-700 sportelli, ndr) e al settore pubblico”.
Nel mirino della joint-venture c’è, in particolare, un gruppo di 15-20 istituti di credito troppo grandi per i local provider che seguono le banche minori, e troppo piccoli per “autoefficientarsi”. Secondo Linzi, la possibilità di fornire con la nuova struttura un “total cost of ownership molto interessante” faciliterà l’apertura di questo mercato. L’Ad ha sottolineato nel dettaglio come la nuova realtà opererà sull’ottimizzazione di tutta l’area mainframe, storage e network, ma soprattutto come darà vita al “più grande progetto cloud in ambiente distribuito mai realizzato”. L’obiettivo è di portare nella nuvola tra il 40 e il 50% delle istanze applicative di UniCredit. A livello di asset fisici, sei (due in Italia, due in Germania e due in Austria) sono i data center di V-TServices, con una potenza di calcolo totale di 100mila Mips garantita da oltre 12mila server, più di 40 Petabyte di storage e 20mila apparati di rete. Allo stato attuale, invece, Ubis si occupa quotidianamente di gestire
Un miliardo per innovare con Linux Quanto vale Linux per Ibm? Estremizzando il concetto, si potrebbe dire un miliardo di dollari. Questa, infatti, è la cifra che Big Blue investirà in tecnologie open source per i propri server Power Systems. Obiettivo dichiarato: aiutare le aziende a sfruttare i Big Data e i servizi cloud con sistemi costruiti per gestire la nuova ondata di applicazioni in esercizio nei data center. In diretta concorrenza con le soluzioni Windows per il mondo enterprise. Non è la prima volta che Big Blue mostra i muscoli a favore del sistema operativo del Pinguino e l’e12
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pisodio più importante (con un altro assegno da un miliardo) risale al 2000. Oggi Linux è ben più di una potenziale minaccia per Microsoft, lavora nei data center di colossi come Google e Facebook e a bordo di molti dei supercomputer più potenti del pianeta, a cominciare proprio da quello più famoso di Ibm, Watson. Windows, per contro, è la piattaforma che domina attualmente il settore server, con il 49% di market share (i dati sono di Idc e riguardano gli acquisti di nuovi server aziendali) rispetto al 23% di quota mercato detenuta da Linux.
Giovanni Linzi Ad V-TServices
1,2 milioni operazioni Atm, 1,3 milioni email e 6,5 milioni di transazioni su conti correnti. Numeri che spiegano perché Unicredit abbia bussato alla porta di IBm. “Per gestire la complessità di questo lavoro abbiamo bisogno di partner”, ha chiarito Paolo Fiorentino, vice direttore generale del gruppo bancario. “La nuova joint-venture non è stata ideata per contenere i costi, ma per condividere le responsabilità per portare avanti queste attività, guardando all’innovazione. È un’azienda votata alla gestione dell’aspetto infrastrutturale e che noi definiamo allargata: non si tratta di outsourcing, ma di co-sourcing”. Luca Bastia
Samsung sogna il trono delle reti Global executive advisor: questa la carica che assumerà Simon BeresfordWylie, ex Ceo di Nokia Siemens Networks (lasciò l’azienda nel 2009), oggi in Samsung con il compito di dare ulteriore sostanza alla strategia di crescita del chaebol coreano nel mercato delle infrastrutture di rete mobile. Nell’ufficializzare l’ingaggio del manager, la società asiatica ha ribadito come il suo obiettivo a tendere sia quello di diventare il primo fornitore al mondo di soluzioni (apparati, stazioni base, sistemi di gestione, servizi) per i network mobili.
Acer rilancia e punta all’education Portatili e convertibili dedicati al mondo delle imprese e dei professionisti, ma anche una strategia per il canale e un focus molto forte sul mondo delle scuole. Questi i cardini della riscossa della multinazionale. Una nuova lineup di prodotti per il mercato business e grandi investimenti sul canale indiretto e sul settore dell’education. Queste in sintesi le linee guida della strategia di Acer a partire dall’autunno. La multinazionale taiwanese sta cercando il rilancio dopo la flessione degli ultimi anni, e lo fa puntando su prodotti innovativi e su aggressive politiche commerciali. Sul fronte dei nuovi modelli per il settore delle imprese spiccano il top di gamma TravelMate P645, costruito interamente in carbonio e destinato a ingolosire gli It manager e non solo, e il convertibile X313, uno strumento flessibile e affidabile. Il primo, già dotato di processore Intel Core di quarta generazione, si fa notare per lo spessore e il peso ridotti, oltre che per le ottime doti di connettività (ha già incorporato il WiFi nella versione 802.11ac, la più veloce). Il secondo, che sfrutta il sistema operativo Windows 8 ma che per il momento è stato annunciato solo con processori Intel di terza generazione, viene venduto con un supporto desti-
nato all’utilizzo in ufficio. Sul fronte delle strategie, Acer non nasconde di puntare con decisione al settore dell’education (anzi, è l’unico mercato verticale a cui la multinazionale dedica uno sforzo mirato), in cui sono stati formati e certificati oltre 300 rivenditori specializzati. Alle scuole, Acer può offrire una gamma completa di soluzioni, che spaziano da tablet e computer per arrivare ai videopriettori. Per quanto riguarda le politiche commerciali, la multinazionale rinnova il “commitment” per il canale (è una delle poche società a non prevedere forme di vendita diretta) e rilancia sulla formazione e qualificazione dei rivenditori, inquadrati nel programma Synergy Partner program. L’organizzazione prevede tre diversi livelli di partner (Silver, Gold e Platinum) e tre diverse specializzazioni (Acer Point, Acer Online e Acer Education). Tutti potranno usufruire del supporto marketing e commerciale creato per aggredire in particolar modo il mondo delle Pmi, della Pubblica Amministrazione e, come già anticipato, dell’education.
BlackBerry: finisce un’era Lo spiraglio per una possibile nuova offerta di acquisto – i presunti candidati sono Cisco, Google, Intel, Lg, Samsung e Sap – rimarrà aperto fino al 4 novembre. Scaduto il termine, la cordata guidata da Fairfax Financial Holdings acquisirà tutto il pacchetto azionario di BlackBerry per 4,7 miliardi di dollari. Comunque vada, è ormai certo che la compagnia canadese passerà di mano, chiudendo di fatto un’epoca dei telefonini. Una volta riferimento assoluto per la business mobility, BlackBerry vive da tempo una realtà fatta di bilanci in rosso (965 milioni di dollari la perdita del secondo trimestre 2013), tagli al personale (la sforbiciata annunciata un mese fa interesserà 4.500 dipendenti, il 40% della forza lavoro globale) e vendite in forte flessione (causa il flop dei nuovi modelli BB10). L’azienda è scesa al quarto posto, dietro Microsoft, nei sistemi operativi per smartphone, con una quota intorno al 3%. Gli analisti di Gartner hanno invitato i clienti della piattaforma BB Enterprise Service a trovarsi presto un’alternativa. I vertici della società hanno replicato riaffermando che “BlackBerry sta perseguendo diverse alternative per incrementare il suo impegno nel settore dell’enterprise business”. L’era del telefonino con la tastiera Qwerty, però, è finita. G.R.
Il convertibile Acer X313, equipaggiato con Windows 8
Thorsten Heins Ceo BlackBerry 13
IN EVIDENZA
Oracle cambia faccia (e velocità) ai database con la tecnologia in-memory Larry Ellison ha battezzato all’ultimo Open World la soluzione che sfida direttamente la piattaforma Sap Hana. Un solo pulsante per elevare esponenzialmente la velocità di elaborazione del Database 12c. Questa la peculiarità della funzione In-Memory che Oracle ha presentato in anteprima mondiale all’Open World 2013, evento tenutosi a fine settembre a San Francisco. La società guidata da Larry Ellison spinge quindi l’acceleratore su uno dei suoi prodotti chiave (il database per l’appunto, utilizzato da realtà come Wikipedia, Yahoo e Salesforce.com) e lo fa adottando una tecnologia di computing che la grande rivale Sap ha reso propria da tempo per la piattaforma Hana. Ogni applicazione che gira sui database Oracle 12c, questa la sostanza della promessa fatta a partner e clienti dal Ceo della casa californiana, opererà in modo drammaticamente più veloce, senza nessun tipo di intervento tecnico da eseguire sulle applicazioni stesse e con capacità di scanning dei dati nell’ordine di diversi miliardi di righe di codice al secondo. Per i Cio, all’atto pratico, si materializza una sorta di interruttore con il quale poter velocizzare di cento volte le operazioni di analytics
Larry Ellison Ceo di Oracle
e di data warehousing, la reportistica e le transazione online Oltp. La nuova In-Memory Option, in altre parole, regalerà ai server una marcia in più nel momento in cui si rende necessaria (anche improvvisamente) l’interrogazione di enormi porzioni del database. Più in generale, Oracle ha inserito nel proprio pacchetto di prodotti hardware e software destinato all’utenza enterprise una nuova opzione per accelerare la gestione e il flusso dei dati nei data center aziendali. Anche in ambienti cloud di tipo privato, che non a caso sono uno dei focus sui cui sta lavorando da mesi la compagnia di Redwood Shores, e che vedono ora la disponibi-
lità di nuovi servizi as a service (Database, Java e Infrastructure) all’interno della piattaforma Oracle Cloud. Tornando al fattore velocità, e quindi a quello delle prestazioni di computing per i data center, emblematico è un altro annuncio di peso registrato all’ultimo Open World, e cioè il nuovo sistema ingegnerizzato M6-32 Big Memory Machine. Macchina (da 32 terabyte di memoria Dram e 32 processori Sparc) che Ellison ha battezzato ad arte come la “più veloce al momento disponibile per l’in-memory database”. E l’ennesimo guanto di sfida in direzione di Sap è servito. Piero Aprile
App mobili da boom. Ma nessuno le compra Sfioreranno quest’anno quota 103 miliardi, secondo Gartner, i download di applicazioni per smartphone e tablet, con un incremento di circa il 60% sul 2012. Quelle gratuite sono però il 91% del totale ed è proprio questo il rovescio della medaglia (per gli sviluppatori, in primis) di un fenomeno che non conosce appannamento e che vale, in termini di giro d’affari globale, 26 miliardi di 14
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dollari. Una cifra, di per sé già significativa, in salita del 44% anno su anno e in linea con quella stimata mesi fa da Abi Research, che a giugno quantificò in 27 miliardi di dollari i ricavi generati dalle app per il 2013, attribuendo ad Apple iOs il 65% di tale torta. Il grande neo della componente “free” delle app mobili non ne oscura comunque l’ulteriore escalation in futuro. Nel
2014, a detta di Gartner, i download saranno 139 miliardi e nel 2017 arriveranno quasi a 269 miliardi; per il 94,5% saranno destinati a scaricare programmi gratuiti, e gli app store di Apple e Google ne cattureranno insieme il 90%. Gli acquisti in-app, questa la buona nuova per gli operatori del mercato, diventeranno più redditizi, generando il 48% del fatturato totale.
LifeSize: facile videoconferenza è ormai assodato che le soluzioni di videoconferenza, se scelte e utilizzate nel modo giusto, possono aiutare le imprese a incrementare la produttività. Una delle barriere più alte, che hanno finora impedito una maggior diffusione di questi sistemi, è sicuramente l’usabilità, intesa come facilità di utilizzo da parte di qualunque utente aziendale (non necessariamente esperto). Risulta quindi particolarmente interessante la soluzione Smart Video di LifeSize, azienda acquisita da Logitech nel 2009 e padrona di diverse tecnologie all’avanguardia nel settore della videoconferenza, che grazie all’interfaccia Icon Series rende la videocomunicazione particolarmente semplice e immediata, senza bisogno di alcuna attività di formazione. “Sia che si desideri divulgare informazioni aziendali”, dice Marco Lupi, country manager di LifeSize Italia, “sia fare formazione nei confronti di personale in mobilità o dislocato presso sedi periferiche, la nostra gamma di soluzioni è stata pensata per non incidere eccessivamente sul bilancio aziendale e per essere compatibile con tutti gli strumenti di videocomunicazione”.
Marco Lupi country manager di LifeSize Italia
Addio backup frammentato, Emc getta le basi per il futuro L’azienda ha presentato quattro sistemi Data Domain e una nuova architettura di data protection, che riunisce in sé backup, archiviazione e disaster recovery. Un mondo in bilico fra passato, presente e futuro. In cui convivono tecnologie superate sulla carta ma che hanno ancora ragione di esistere, come il nastro, e spinte verso approcci innovativi come quello di Emc. Annunciata nel corso dell’estate, la vision dell’azienda sul “backup del futuro” parte da una nuova architettura in cui non si parla più di semplice salvataggio e conservazione dei dati. “La nostra nuova protection storage architecture”, ha spiegato il presidente di Emc, David Goulden, “cambia l’approccio delle aziende nei confronti dei dati perché tratta il backup, l’archiviazione e il disaster recovery insieme”. Frutto di 5 miliardi di dollari di investimenti, fra sviluppo e acquisizioni, messi in campo da Emc negli ultimi cinque anni, questa nuova architettura è costruita intorno ai sistemi Data Domain (36mila quelli venduti dal 2003 a oggi). La gamma è stata ora ampliata con modelli capaci di performance quattro volte più veloci, di scalabilità deduplicata e di un taglio del 38% nel costo dollaro/ GB. Attualmente, secondo i dati di Idc, la posizione di Emc nel mercato dell’archiviazione è in crescita e oggi attestata intorno al 30% di market share, mentre nel segmento del protection storage la compagnia è il primo fornitore globale, con una quota del 64,9%. Secondo il vendor, negli anni a venire le aziende dovranno certamente ritoccare le proprie strategie di backup, superando l’attuale frammentazione tecnologica e operativa. L’architettura basata su Data Domain intende
appunto offrire ai clienti (e dunque ai diversi team aziendali coinvolti nella protezione dei dati, come coloro che si occupano di backup ma anche di applicazioni e di virtualizzazione) un unico ambiente strutturato in cui il data protection è erogato come servizio; nella definizione rientrano tre elementi, e cioè la protezione dello storage vera e propria, l’integrazione diretta delle fonti dei dati e i servizi di gestio-
David Goulden presidente di Emc
ne dei dati. “Oggi il backup recovery sta andando verso il data protection, mentre la tappa successiva sarà il passaggio a un vero e proprio data management”, ha commentato Goulden. “La nostra strategia si focalizza su tre fattori e cioè cloud, Big Data e fiducia. L’annuncio della nuova architettura va proprio a rafforzare quest’ultimo elemento, che non ha solo a che fare con la sicurezza offerta alle aziende, ma anche con la capacità di far funzionare le applicazioni e il recovery”. Valentina Bernocco 15
IN EVIDENZA
Windows Phone corre a due cifre Microsoft è, a livello mondiale, sul terzo gradino del podio nell’ambito dei sistemi operativi per smartphone: davanti a BlackBerry, ormai in caduta libera, ma a distanza siderale da Android e Apple iOS, che insieme catturano circa il 90% del mercato. La quota di Windows Phone è nell’ordine del 4%, percentuale che nelle strategie di Redmond (dopo l’acquisizione di Nokia) deve necessariamente salire. E in tempi rapidi. In Europa l’obiettivo sembra molto vicino. Stando alle rilevazioni della società di ricerca Kantar Worldpanel ComTech, infatti, la fetta di Windows Phone nei cinque principali Paesi (Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Spagna) del Vecchio Continente è infatti prossima al 10%, grazie soprattutto al buon credito ottenuto dai dispositivi Lumia 520 e 620 nella fascia media del mercato. Più precisamente, la piattaforma mobile di Microsoft è accreditata di uno share del 9,2% per il trimestre che va da giugno ad agosto, rispetto al 4,2% dello stesso periodo dell’anno precedente. Francesi e inglesi gli utenti più affezionati a Windows Phone, considerando che la quota dell’OS con interfaccia a mattonelle in questi mercati è rispettivamente del 10,8% e del 12%. In Italia siamo poco sotto le due cifre.
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Il silicio che verrà: fra mobile, Internet delle cose e data center Intel ha delineato il futuro della tecnologia dei semiconduttori. Guardando oltre smartphone, tablet, Pc e server.
Abbigliamento intelligente, componenti a basso consumo per l’Internet delle cose e tecnologie in grado di riconoscere il contesto. Il tutto condito da una nuova generazione di Soc (system-on-a-chip) e processori a 22 e 14 nanometri per smartphone, tablet, ultrabook e data center. Il futuro dell’industria del silicio non passa solo per i device di computing e Intel, almeno sulla carta, dimostra di saperlo bene. Durante il suo intervento all’ultimo Intel Developer Forum, Genevieve Bell, antropologa e Fellow del colosso di Santa Clara, ha illustrato come i sistemi con cui avremo a che fare domani impareranno a riconoscere il contesto in cui vive e opera ogni individuo, e a offrire al consumatore/professionista esperienze personalizzate. Una tendenza che guiderà lo sviluppo di silicio, sistemi operativi, piattaforme di middleware, applicazioni e servizi. E che non potrà prescindere dall’utilizzo allargato di sensori a basso consumo, in grado di raccogliere e inviare dati, e di servizi cloud avanzati (Intel ci sta lavorando) che metteranno a disposizione degli utenti un pannello ad hoc
per comprendere il livello di sicurezza dei propri dati archiviati e scambiati online, attraverso dispositivi e social network. Il cambiamento che interesserà tutto l’orizzonte dell’industria del silicio, dalla sala macchine ai dispositivi ultramobili passando per i gadget indossabili (cui è destinata la famiglia di mini processori “Quark”), è una delle priorità sul tavolo del Ceo di Intel, Brian Krzanich, da cui è arrivata in proposito conferma che “smartphone e tablet non rappresentano un punto di arrivo” e che “la nuova generazione di dispositivi informatici è ancora in fase di definizione”. Siamo dunque solo all’inizio di una nuova era, e i vertici di Intel sono più che convinti che la tecnologia dei semiconduttori continuerà a cambiare il modo di lavorare e di gestire i dati tra i vari sistemi che controlleranno sia le smart city, sia i supercomputer in cui confluiranno i Big Data del settore pubblico. Consci che il computing di domani dovrà trasformare i dati in conoscenza. Gianni Rusconi
Tecnologia a servizio dell’uomo: la visione di Fujitsu TS Biometrica, Big Data, cloud: solo alcuni degli strumenti sviluppati da Fujitsu Technology Solutions per una società “umano-centrica”. Una società umano-centrica, basata sull’utilizzo della tecnologia al servizio della comunità. È la vision di Fujitsu Technology Solutions sui rapporti fra società e innovazioni It messe a disposizione del business, ma anche del bene pubblico. Ne ha parlato di recente durante la tappa italiana di un roadshow Satoru Hayashi, executive vice chairman of the board dell’azienda giapponese, presentando gli ultimi progetti realizzati da Fujitsu attraverso il cloud computing e l’intelligenza derivata dall’analisi dei Big Data: modelli statistici in grado di prevedere l’imminenza di uno tsunami, piattaforme basate sul cloud per la gestione del traffico stradale, sistemi di monitoraggio via satellite per lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile, città ideali all’insegna della connettività e della condivisione “smart” di informazioni e servizi, assistenza medica in telepresenza. E ancora, strumenti che migliorano la sicurezza, come l’applica-
zione biometrica Palm Vein, utilizzabile per identificare senza errori, leggendo il tracciato delle vene nel palmo di una mano, un utente che deve autenticarsi (per esempio, per riscuotere la pensione o il pagamento di un’assicurazione). Progetti fattibili, basati su tecnologie e servizi già disponibili sul mercato, e che a detta di Federico Francini, presidente e amministratore delegato di Fujitsu Technology Solutions Italia, “mostrano concretamente che il business oggi è in grado di svilupparsi solo se avanza in stretta simbiosi con l’innovazione tecnologica”. “Nel mondo in cui viviamo oggi”, dichiara Satoru Hayashi, “tutto ciò che facciamo genera un qualche tipo di dato, che può essere archiviato e analizzato diventando informazione, scienza. E oggi il costo dello storage è inferiore rispetto al passato. Credo che le nostre tecnologie possano creare soluzioni che fino a pochi anni fa sarebbero state impensabili”. Che cosa ostacola, dunque, l’approdo di progetti di questo tipo anche in Europa? Problemi di budget, talvolta, ma anche di visione. “In Italia siamo in contatto con diverse organizza-
zioni e soggetti pubblici”, spiega Francini, “e dopo aver ricevuto vari feedback positivi possiamo dire di essere entrati in una nuova fase. Oggi con il cloud possiamo portare i nostri servizi ovunque, a prescindere dalla localizzazione fisica. In Italia, però, serve un cambiamento culturale e non si può semplicemente aspettare che la crisi termini prima di ricominciare a investire in innovazione. La tecnologia può aiutarci a pensare fuori dagli schermi”. V. B.
Satoru Hayashi
Il rischio di business: se lo conosci lo eviti La gestione dei rischi, l’Enterprise Risk Management, è ormai una disciplina riconosciuta e applicata nelle organizzazioni più strutturate, tanto che esiste da qualche tempo la figura del Cro (chief
Paolo Messina
Paola Luraschi
risk officer). Una gestione organica dei vari fattori di rischio è possibile solo attraverso una corretta integrazione di conoscenze e piattaforme tecnologiche. Ecco perché Milliman, una delle più grandi società di consulenza attuariale e strategica a livello mondiale, e il Gruppo Foedus, software house specializzata in soluzioni per la gestione d‘impresa, hanno stretto una partnership strutturando un’offerta completa in ambito Erm. “I rischi da valutare e gestire sono di tipo molto diverso” spiega Paola Luraschi, principal di Milliman, “da quelli finanziari (un classico esempio sono i tassi di cambio per le imprese che im-
portano o esportano) a quelli operativi (i fenomeni atmosferici per le aziende agricole). La gestione del rischio deve essere uno dei tratti distintivi dell’azione imprenditoriale, non è più tollerabile che aziende aperte al mercato globale abbiamo sistemi di controllo inadeguati e non siano in grado di oggettivare i rischi dell’impresa”. “L’offerta integra la piattaforma MillimanGrc”, dice Paolo Messina, Ceo del Gruppo Foedus, “e la nostra soluzione Octobus, uno strumento di gestione aziendale tecnologicamente innovativo che amplia il raggio d’azione dei comuni Erp”. 17
IN EVIDENZA
Sicurezza, mobilità e app: così CA Technologies guarda al futuro L’anno fiscale 2013 ha visto grandi cambiamenti e alcune importanti acquisizioni, per presidiare i settori più promettenti dell’It. È una CA Technologies molto concentrata sul futuro quella che emerge da un periodo di grandi mutazioni, tra cui il cambio di Ceo a livello mondiale e un nuovo amministratore delegato della filiale italiana. Forte di un fatturato globale di 4.643 milioni di dollari (anno fiscale chiuso il 31 di marzo), CA si è data allo shopping (tre importanti acquisizioni solo negli ultimi dodici mesi), rafforzandosi in aree dove era già presente, come la sicurezza, ma anche entrando con prepotenza in altri settori in crescita, come quello dello sviluppo di applicazioni. Fabio Fregi, quattro anni in Oracle e dieci in Microsoft, è alla guida della filiale italiana di CA Technologies dall’inizio del 2013, e ha accettato di scambiare qualche battuta con Technopolis per inquadrare meglio lo sviluppo recente della multinazionale.
codice sorgente di un software importantissimo: Afaria di Sap. Grazie a questo investimento ci siamo posizionati in modo autorevole nel mercato della sicurezza in mobilità. Con Afaria il reparto It può gestire in modo efficiente il parco dei dispostivi mobili impiegati in azienda (anche smartphone e tablet), garantendone l’uso in sicurezza. L’altra acquisizione, sempre indirizzata ai segmenti emergenti dell’It, riguarda lo sviluppo di applicazioni, che per CA è una sorta di “green field” dove ora possiamo muoverci con efficacia e autorevolezza. Abbiamo comprato Nolio, una società specializzata nella fase di deployment delle app (l’anno scorso avevamo inglobato un’altra azienda, Itko, che si occupava invece della fase subito precedente, quella di testing). Ora siamo in grado di offrire un ecosistema di strumenti di sviluppo, un modello denominato DevOps, che permette di ridurre il time to market della produzione di app fino al 50%, con un taglio dei costi che può arrivare al 30%. La terza acquisizione?
Che tipo di acquisizioni avete portato a termine durante l’ultimo anno fiscale?
La prima riguarda il settore della mobilità e non coinvolge un’azienda bensì il
Fa sempre capo al macro-settore della sicurezza. Si tratta di Layer 7, che possiede un insieme di tool volti a garantire la difesa di dispostivi e applicazioni nel cloud.
Cloud: soddisfatti più del previsto i Cio delle medie imprese Risultati migliori, tempi di attuazione più brevi e costi inferiori al previsto. Questi i risultati emersi in merito al cloud computing nell’indagine The TechInsights report 2013: Cloud succeeds. Now what?, condotta da Luth Research per conto di CA Technologies e realizzata intervistando i Cio di 202 società statunitensi e 340 europee (delle quali 70 italiane) con un fatturato superiore 18
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ai 500 milioni di dollari. In generale, il cloud è risultato vincente: gli aspetti positivi più sottolineati dalle imprese sono stati la riduzione dei costi (soprattutto in Italia), la diminuzione del time-to-market, l’innovazione e la capacità di creare nuove fonti di reddito. “Inoltre” ha sottolineato Fabrizio Tittarelli, chief technology officer di CA Techonolgies Italia,“gli intervistati han-
Fabio Fregi Una CA molto sbilanciata sulla mobilità, quindi.
Non direi, ovviamente restano strategici per noi anche i temi che coinvolgono, ad esempio, le problematiche dei Big Data (pensiamo alla logica “open data” scelta dalla Pubblica Amministrazione) e della sicurezza nei data center. Basti dire che Visa, Mastercard ed American Express utilizzano (tra le altre) soluzioni targate CA per proteggere i dati dei clienti. In sintesi, il nuovo Ceo che sfide sta affrontando a livello globale?
Sta semplificando molto. Tagliando le aree che non sono più strategiche e spingendo su cloud e mobilità, tenendo ben saldo il timone sulla sicurezza, che è un po’ il filo conduttore della nostra offerta. Emilio Mango no mostrato un livello di soddisfazione intorno al 98% sull’aspetto sicurezza, pur con qualche contraddizione”. Infatti, tra i motivi per cui un’applicazione non viene spostata nel cloud spiccano timori per la sicurezza (46% nel mondo, 41% in Italia), per la privacy e per problemi legali (34% nel mondo, 28% in Italia). Il modello più adottato, secondo l’indagine, è il Software-as-a-Service, scelto dal 94% delle aziende statunitensi, contro il 68% di quelle europee. IaaS
l’opinione WebRtc sarà una rivoluzione nella comunicazione?
Negli Stati Uniti si parla molto di una nuova tecnologia che sarà in grado di rivoluzionare i sistemi di comunicazione avanzati, migliorando il modo di fare business delle imprese a partire dalla comunicazione con i clienti. Si tratta del WebRtc, Web Real Time Communication, un progetto open source nato a metà del 2011 con l’intenzione di creare una tecnologia che consentisse di effettuare chiamate e videochiamate in tempo reale, direttamente dal browser. Attualmente, i browser che supportano già il WebRtc sono quelli di Mozilla e Google, mentre Windows e Apple si stanno preparando per aderire al progetto. Con questo sistema i clienti possono comunicare gratuitamente con le aziende che adotteranno il servizio, at-
traverso il Pc, senza alcuna installazione di software, con un semplice click. Questo significa, oltre alla naturale minimizzazione dei costi delle chiamate, un aumento sostanziale nei servizi che un’azienda può offrire ai propri clienti, soprattutto in termini di marketing e customer care. Wildix crede fermamente in questo progetto, che ha visto anche l’impegno di un italiano. Salvatore Loreto, infatti, membro dell’Ieft (Internet Engineering Task Force) e responsabile del gruppo di lavoro di Websocket, è co-autore dello standard per la trasmissione di dati in WebRtc. “Con WebRtc”, spiega Loreto, “gli utenti possono scambiare in real time contenuti audio, video e dati direttamente da un browser a un altro, o tra piú browser, in modalità peer to peer. Pensate quali possono essere i risvolti pratici, dall’assistenza alla televendita, dalla condivisione del desktop ad applicazioni di gaming. Mi aspetto la maggior innovazione nella condivisione di dati peer to peer, dove si scatenerà la fantasia degli sviluppatori”. Google, Facebook, WhatsApp hanno conquistato il mercato grazie a immediatezza e semplicità; WebRtc farà lo stesso perché condivide i medesimi
e PaaS seguono con un ritardo di 1015 punti percentuali. In particolare in Italia il SaaS è stato scelto dal 64% delle aziende interpellate, il PaaS dal 60% e l’IaaS dal 44%. Per tutte le ziende intervistate l’adozione del cloud computing si è rivelata veloce e nel 20% dei casi è stata più rapida del previsto. La soddisfazione maggiore è stata evidenziata da coloro che hanno un’esperienza più prolungata di cloud (in Italia il 13% del campione lo ha adottato da più di tre anni, negli Usa il 55% e in
Europa il 20%) o che utilizzano contemporaneamente offerte di tipo IaaS, PaaS e SaaS. E questo vale soprattutto nel caso dello IaaS, dove il 70% sostiene di avere superato le iniziali aspettative. Gli utenti cloud più esperti sottolineano, infine, che per assicurarne il successo futuro sono determinanti una service automation a 360°, l’adozione di Service Level Management in ambienti cloud e non, e la possibilità di passare da un provider di nuvola all’altro. Luca Bastia
Stefano Osler
principi chiave. L’innovazione della tecnologia WebRtc consiste proprio nella sua facilità e velocità, elementi che andranno sicuramente a stravolgere l’architettura degli attuali call center, i quali necessitano di un’intervista approfondita al cliente per inoltrare la chiamata all’operatore competente. Si tratta di una vera e propria rivoluzione del modo di comunicare: si accorciano le distanze, si riducono i costi, si velocizzano i processi e aumenta la soddisfazione del cliente. Nell’ottica delle nuove strategie di marketing, sempre più orientate all’individuo, questo si traduce in una vasta gamma di possibilità di costruire una relazione con il cliente, che si sentirà davvero al centro della comunicazione, una comunicazione reale, tangibile, diretta, personalizzata. Wildix intende diffondere anche in Italia la conoscenza delle potenzialità di WebRtc, in cui riconosce una possibilità concreta di migliorare la comunicazione e, di conseguenza, l’intero business delle aziende. Si prospetta un panorama davvero interessante per il futuro della comunicazione.
Stefano Osler Ceo Wildix
Spesa It trilionaria Cifra iperbolica quella che Gartner stima per l’anno prossimo per gli acquisti di soluzioni informatiche da parte di aziende ed enti governativi. Si parla infatti di 3,8 trilioni di dollari, con un incremento del 4% rispetto al 2013. A trainare la spesa It, in particolare, il fenomeno dell’Internet of things. Nel 2014 ci saranno 2,5 miliardi di dispositivi connessi alla Rete (in maggioranza telefonini e Pc) e nel 2020 si conteranno, invece, 30 miliardi di device dotati di indirizzo IP. 19
IN EVIDENZA
Per Check Point l’anello debole è il dipendente Tecnologie, regole, persone. Tre componenti da considerare senza esclusioni per costruire una strategia di sicurezza davvero efficace. “La nostra visione della sicurezza è a tre dimensioni: persone, policy, tecnologie. Tutti e tre questi elementi vanno considerati”, spiega Tomer Teller, security evangelist di Check Point Software Technologies. “È innanzitutto importante creare una cultura della sicurezza, attraverso la formazione del personale. Questo, comunque, da solo non basta: quando si parla di rischio It, la componente umana è l’anello debole della catena, e per questo sono necessa-
rie delle regole. In generale, la ricetta vincente è quella che riesce a mettere i giusti ingredienti nel giusto posto, ed è una ricetta che dipende da ciascun contesto e dalle necessità di ciascuna organizzazione. Per poterla realizzare bisogna essere dinamici, consapevoli del contesto e pronti a cambiare le proprie policy frequentemente”. Dal punto di vista delle tecnologie, quali saranno i prossimi passi da compiere? “Una delle necessità più evidenziate dalle aziende, anche da quelle italiane, è l’integrazione fra la sicurezza a livello di endpoint e a livello di network. A tal proposito, stiamo at-
Tomer Teller
tualmente testando dei proof of concept, che poi introdurremo nella nostra offerta sotto forma di nuove funzionalità”.
L’appello di Hp: cambiare approccio alla sicurezza Unire le forze, collaborando giorno dopo giorno attraverso il cloud. È questo l’approccio scelto da Hp per la propria offerta di soluzioni in grado di minimizzare il rischio informatico in azienda. Minimizzare e non azzerare, come ha sottolineato Gartner intervendo alla presentazione organizzata da Hp a Londra: “Il rischio zero non esiste”, ha commentato Neil MacDonald, primary analyst su Hp in Gartner. “In molti casi l’ossessione della sicurezza è un inibitore di cambiamento, perché impedisce alle aziende di lavorare”. Inoltre, a detta della società di analisi, oggi i prodotti tradizionali di security – quali antivirus, firewall e network Ips – sono ancora necessari, ma sempre meno efficaci di fronte alle minacce più avanzate. Senza contare la perdita di potere di controllo da parte dell’It, causata da consumerizzazione e bring your own device. Come reagire? Qui si innesta la proposta di Hp. Oggi siamo in guerra”, ha dichiarato Jacob West, Cto della divisione Enterprise security products di Hp. “Negli ultimi anni il cybercrimine ha dimostrato di essere un insieme di mercati mossi da motivazioni e processi diversi, fatto di 20
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Jacob West
attori organizzati e specializzati. L’intelligenza è diventata una merce che viene venduta e acquistata, e le aziende si trovano a lottare non contro un unico tipo di avversario, ma contro un’organizzazione globale che condivide informazioni e forze”. Specularmente, dunque, l’invito di Hewlett-Packard è quello di “unire le forze” e le conoscenze per opporsi ai criminali informatici. Il primo strumento, recentemente aggiuntosi all’offerta, è Threat Central: una piattaforma collaborativa per la security intelligence, che permette di condividere allerte su minacce e vulnerabilità, dati e misure correttive, e che
fornisce insight in tempo reale su vettori di attacco, metodi, motivazioni e autori. Con 5mila professionisti e otto centri di competenza, HP oggi vanta per sé un ruolo di primo piano in materia di ricerca sulla sicurezza. La stessa Threat Central nasce da lontano, dal lavoro portato avanti dalla Zero Day Initiative (più di 2mila le vulnerabilità individuate dal 2005 a oggi) e dalle attività d’indagine sulle vulnerabilità e sui malware. Oltre all’approccio collaborativo, un elemento chiave della strategia riguarda la protezione delle applicazioni, aspetto generalmente sottovalutato dalle aziende. “L’84% degli attacchi accade nell’application layer, che è il livello a cui viene dedicato meno del 20% degli investimenti”, illustra West citando dati interni ad Hp. E a proposito di discrepanze fra percezione e realtà, è interessante notare come il 56% del rischio informatico sia legato a elementi “interni” alle aziende, cioè al fattore umano (fughe di dati per disonestà o errori commessi in buona fede), mentre gli amministratori delegati a torto considerano il cybercrimine in cima alla classifica dei pericoli. V. B.
SCENARI | Social business
SOCIAL: EVOLUZIONE O RIVOLUZIONE?
Le competenze ci sono, i metodi per il calcolo del Roi anche, le piattaforme abbondano. Non rimane che prepararsi culturalmente e osservare le best practice per diventare 2.0
I
l percorso evolutivo tipico di un’azienda che decide di adottare il paradigma 2.0 è spesso il medesimo: si comincia con la comunicazione interna (tipicamente le risorse umane), poi il “verbo” inizia a diffondersi in tutta l’organizzazione e, infine, sfocia all’esterno, nella relazione con clienti e fornitori. “Non esiste progetto di successo” dice Rosario Sica, fondatore e presidente della società di consulenza OpenKnowledge, “in cui la componente esterna non sia stata preceduta da quella interna. Il denominatore comune dei progetti che coinvolgono gli strumenti social, in tutto il loro percorso, è la prospettiva di rete, un ambiente dove le persone partecipano attivamente. Ed 22
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è particolarmente importante che siano connessi i soggetti che possiedono la conoscenza: tanto che si potrebbe dire, con un gioco di parole, che è più importante sapere chi sa che sapere”. Al di là degli azzardi verbali, l’utilizzo delle reti sociali nel mondo business non è un gioco. Ne sanno qualcosa le aziende che hanno provato a “uscire” sul Web senza avere la preparazione e le infrastrutture. “Prima i clienti inviavano una lettera di protesta”, continua Sica, “oggi mandano una mail o entrano in chat. Questo presuppone una risposta immediata. Chi interagisce con uno strumento social si aspetta che dall’altra parte ci sia qualcuno 24x7”. Il social business non è un gioco nemmeno sul fronte degli investimenti in ri-
sorse umane e denaro; le tecnologie sul mercato sono infatti piuttosto costose, anche se promettono di generare molta più efficienza rispetto ai paradigmi di comunicazione e relazione precedenti. “In compenso”, conclude Sica, “il Roi di questi progetti, che qualche anno fa non si riusciva a calcolare (come succede sempre quando il livello di innovazione è molto alto), oggi si può determinare con diversi strumenti collaudati. La cosa più importante, però, è che le aziende, anche quando procedono per passi successivi, abbiano sempre chiara la big picture”. L’azienda cambia in chiave social
Il primo passo da percorrere per entrare nel magico mondo del social business è
prendere coscienza delle proprie capacità digitali e della propensione al lavoro di gruppo. Se queste due componenti in azienda sono deboli bisognerà lavorare di più sul fronte della cultura e dell’organizzazione, prima di finire nel tritacarne della tecnologia. C’è poi una fase di studio, in cui si proietta la visione aziendale in chiave social, ci si confronta con i casi di successo e si esegue una mappa accurata di tutte le relazioni e connessioni che saranno poi comprese nella rete (partner, fornitori, competitor, clienti). In parallelo, è necessario ripensare alle strategie, anzi, al modo con cui costruire le strategie. Nelle aziende moderne e interconnesse, infatti, non è necessariamente il top management a realizzarle, ma le linee guida vengono generate in modo non lineare e cooperativo, da chiunque in rete possa dare un contributo valido. Di più, il business 2.0 implica strategie molto più dinamiche (si citano spesso gli esempi, negativi, di Enciclopedia Britannica versus Wikipedia e di Nokia contro Samsung e Apple). Due strade, una direzione
Il social business in azienda può essere introdotto con due diversi livelli di intervento: con la logica dell’attività pilota, in cui la trasformazione in organizzazione 2.0 inizia con un progetto circoscritto e poi si estende a tutto il perimetro, oppure con una logica top down, che parte dall’iniziativa del top management e si applica in un’unica soluzione. In entrambi i casi, il cambiamento va ovviamente accompagnato con opportune attività di change management e formazione, per evitare uno scollamento tra l’azienda reale e quella 2.0 con conseguente fallimento dell’intero progetto social. Le aree più collaudate
Pur se le esperienze social a livello mondiale cominciano a essere abbondanti e significative, si tratta ancora di tecnologie e di progetti innovativi. Così, di-
venta forse utile cercare di raggruppare le iniziative che sembrano incontrare di più il favore del mercato o che “incassano” i risultati più significativi. Nell’area delle risorse umane, ad esempio, sono ormai piuttosto affermati i progetti di Social Recruiting, che possono essere implementati su numerose piattaforme e che permettono di sviluppare logiche di branding associate alla ricerca di talenti. Sul fronte del marketing, la prima funzione che, talvolta con risultati scoraggianti, ha messo il naso fuori dal perimetro aziendale, sono ormai molte le
I dirigenti aprono le porte dell’azienda Un tempo il cliente era un “pubblico” da accontentare, oggi è una risorsa strategica per l’azienda. E non soltanto per il comparto marketing, che da tempo e sempre più, sull’onda del Web 2.0, sta imparando a misurare il sentiment online e a utilizzare le opinioni espresse in Rete per migliorare prodotti e comunicazione. C’è di più: gli stessi amministratori delegati stanno cominciando ad “aprire le porte” dell’azienda ai clienti per poter prendere decisioni più illuminate. Secondo uno studio condotto dall’Institute for Business Value di Ibm intervistando face-to-face 4mila dirigenti, oggi il 60% dei Ceo prevede di coinvolgere direttamente i consumatori finali e di utilizzare quanto appreso per pianificare la propria agenda di business nei prossimi tre-cinque anni; attualmente il 43% degli amministratori delegati già include i clienti nello sviluppo delle strategie gestionali. In sostanza, i decision maker rinunciano a una parte di controllo sugli affari interni dell’azienda in cambio di preziosi input da parte dei clienti in alcune aree critiche: si tratta di un approccio all’innova-
esperienze di Social Crm. In questo caso, così come in quello dell’analisi dei dati provenienti dal Web (sentiment analysis e altre attività), il problema si sposta sulle capacità di interpretazione delle informazioni raccolte, piuttosto che sul come “fare rete” e sul sapere rispondere a clienti e prospect. Infine, sono sempre più numerose e affascinanti le iniziative di “social innovation”, promosse dalla ricerca e sviluppo e volte a cercare nella Rete le competenze e le idee per migliorare e creare prodotti o servizi. Emilio Mango zione di tipo “outside-in”, cioè che parte dall’esterno dell’organizzazione per portare innovazione al suo interno. “Nell’ultimo decennio”, spiega Bridget van Kralingen, senior vice president Global Business Services di Ibm, “le nostre ricerche hanno dimostrato una costante evoluzione delle organizzazioni verso l’adozione di modelli più aperti, collaborativi e reciproci. Oggi i Ceo riconoscono l’impossibilità di fare tutto da soli. Aprono quindi le loro organizzazioni, abbattono le barriere e coinvolgono attivamente i clienti offrendo loro un ruolo nella definizione del modello e della strategia di business”. Qualche esempio dei metodi utilizzati? Strumenti di analytics che forniscono insight sui clienti (oggi usati dal 13% degli intervistati, ma pianificati dall’83% entro i prossimi tre/cinque anni), sistemi touchpoint da usare su vari canali (oggi al 16%, ma nei progetti dell’87% delle aziende), collaborazione degli utenti attraverso i social media (oggi 20%, domani 78%), ricorso a specialisti di networking capaci di intercettare opportunità (oggi 13% domani 73%) e una supply chain che possa dirsi totalmente “digitally enabled” (oggi 11%, domani 69%). 23
SCENARI | Social business
soluzioni 2.0: c'è solo l'imbarazzo della scelta Non esiste la tecnologia ideale, ma ogni piattaforma si adatta meglio a diversi contesti applicativi e aziendali. Così, quando si tratta di trovarne una, bisogna conoscere bene le proprie esigenze.
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L’
offerta non manca. In ambito social software sono molti gli attori che hanno una proposta, sia essa specializzata oppure completa. Tra chi offre delle suite spiccano Ibm, Tibco, Microsoft (con SharePoint e Yammer, acquisita lo scorso anno), ma diversi altri dispongono di soluzioni utili per un approccio di social enterprise, come Jive Software, Salesforce, Telligent, Sap. Gli ambiti in cui sfruttare il social sono tanti sia all’interno dell’impresa sia all’esterno. All’interno, creando vera collaborazione tra impiegati e manager anche di diversi segmenti aziendali, nelle risorse umane per fare recruitment o per valorizzare e trattenere i talenti, e nella formazione. Verso l’esterno, nelle vendite, nel marketing e nel Crm, sfruttando anche i social network. La sola introduzione di una Intranet in una realtà già preparata alla collaborazione risulta un’importante strumento di lavoro per aumentare l’efficienza, per ottimizzare i processi, “per costruire un’intelligenza collettiva, che diversamente si disperderebbe, creando enormi risparmi di tempo di lavoro per gli utenti”, come afferma Rosario Sica, fondatore e presidente di OpenKnowledge. “Non esiste una piattaforma migliore delle altre”, chiarisce Sica, “ma tecnologie adatte a differenti scenari applicativi. Esiste un contesto su cui basare gli scenari, sui quali fare delle valutazioni e da cui scegliere la tecnologia più adatta, sia in termini di investimenti, sia in termini di funzionalità”. A suo dire, è meglio non scegliere soluzioni che richiedono una pesante customizzazione, “perché se bisogna personalizzare un prodotto
significa che si è fatta una scelta errata per quel contesto specifico, oppure che è stato sbagliato il target del progetto. La discriminante”, spiega Sica, “è scegliere in base al contesto specifico e alle caratteristiche del progetto, identificando bene gli scenari applicativi”. Non ci sono limiti di dimensioni aziendali per approcciare il social business, neppure verso il basso, poiché esistono anche soluzioni cloud con costi ridotti. Per avvicinarsi in modo corretto a queste tematiche è consigliabile appoggiarsi a società di consulenza che, dopo aver effettuato un’analisi dell’organizzazione e identificato gli scenari applicativi e i requirement dell’impresa, può indicare il prodotto più adatto. Una volta ottenuta una visione d’insieme di ciò che si deve fare, si può partire a implementare un primo tassello, per poi, nel tempo, affrontare passo dopo passo tutti gli aspetti. Tornando alle piattaforme social software, Gartner a fine 2012 le ha classi-
ficate nel suo consueto Magic Quadrant (che distingue le categorie dei “Leader”, dei “Visionari”, dei “Challenger” e dei “Player di nicchia”), inserendovi i fornitori di prodotti software destinati principalmente alle imprese, e utilizzati soprattutto dai dipendenti, ma anche da clienti esterni, fornitori e partner, per supportare gruppi di lavoro, comunità e social networking. Ibm è nel quadrante dei Leader. Ibm Connections è stato uno dei primi prodotti creati per coprire il mercato specifico del social software. Altre soluzioni nel portfolio di Big Blue (come Sametime, Notes/Domino, FileNet Content Manager e WebSphere Portal Server) ampliano l’applicabilità delle connessioni funzionali. Jive è nel gruppo dei Leader con la sua piattaforma enterprise di community management e social networking. Tramite spazi, blog, wiki, progetti e connessione Social Business Software è un mezzo utile per mettere in contatto fra
loro i dipendenti, ma anche per interagire con clienti e partner. Microsoft è nel quadrante dei Leader per il suo ecosistema molto robusto e per l’ampia penetrazione sul mercato di SharePoint Server. Nato come piattaforma per Web e content management su Intranet, SharePoint si è evoluto negli anni come tecnologia per creare portali Internet, per il document e il file management, per la collaborazione, per lo sviluppo di social network aziendali e per attività di business intelligence. Yammer, acquisita da Microsoft nel giugno 2012, è nella categoria dei Leader. Offre un prodotto di social networking aziendale popolare per la comunicazione, la distribuzione di informazioni e la collaborazione. Salesforce.com è nel quadrante dei Leader. Chatter, il suo strumento di social networking, è utilizzato per la messa in rete dei dipendenti, la condivisione delle informazioni (in particolare per le attività di vendita e assistenza clienti), le
comunicazioni dei dirigenti, la cattura e la discussione delle idee. Telligent è nel gruppo dei Visionari. Community Telligent è utilizzato per la creazione di comunità di clienti, partner e prospect. Enterprise Telligent è destinato invece ai grupi di dipendenti, così come ai progetti e alla collaborazione in team. In più dispone del tool di Social Analytics per il monitoraggio e l’analisi dei comportamenti e dei sentiment degli utenti della comunità. Tibco è posizionata tra le fila Challenger. Il suo prodotto enterprise di social networking, Tibbr, offre una vasta gamma di funzionalità e viene utilizzato per le informazioni di distribuzione, la comunicazione e la collaborazione. Cisco è nel settore dei Visionari. Cisco WebEx social è una piattaforma modulare per la collaborazione sociale, con una forte enfasi sulla mobilità, sul video e sulle unified communication di sostegno. Acquia è anch’essa tra i Visionari. Fornisce un supporto commerciale e di servizi alle imprese in materia di distribuzione di Drupal open-source. Acquia vende prodotti e servizi per sostenere e ospitare siti Web Drupal interni ed esterni. SuccessFactors, acquisita da Sap nel febbraio 2012, è anch’essa nel quadrante dei Visionari. SuccessFactors Jam viene utilizzato per le comunicazioni tra dipendenti, collaborazione a progetto, per il monitoraggio e il reporting nell’ambito della gestione complessiva delle prestazioni. VMware, infine, entra nel Magic Quadrant come Challenger a seguito dell’acquisizione di Socialcast, un’impresa fornitrice di social networking. Socialcast può essere implementato in locale o come servizio cloud per le reti social interne. La tecnologia Socialcast è integrata anche con VMware Horizon Application Manager per l’accesso centralizzato basato su criteri per le applicazioni cloud. 25
SCENARI | Social business
Il dilemma della piattaforma rallenta l'adozione Secondo uno studio di Avanade, il 90% delle imprese italiane già utilizza qualche forma di social business. Le soluzioni enterprise iniziano a farsi strada, dopo la corsa verso i network sociali nati per l’utenza consumer.
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ecessità, aspettative, timori: sono sentimenti contrastanti quelli che ruotano intorno all’adozione degli strumenti di social business. Nel mondo aziendale le resistenze stanno cedendo il passo alla consapevolezza dei vantaggi, ma ancora non sembra essere emersa una linea d’azione prevalente e si oscilla fra l’utilizzo di opzioni dall’origine “consumer”, come Facebook e Twitter, e altre costruite a misura di business. Una ricerca di Avanade condotta in 22 Paesi, su 4mila utenti e mille fra manager e responsabili It, colloca l’Italia in pole position: nello Stivale quasi nove organizzazioni su dieci già utilizzano strumenti di social networking, a fronte di un 17% di media mondiale. Non ci differenziamo, invece, sostanzialmente dalle scelte delle aziende estere quanto alle tipologie di piattaforme adottate. Attualmente Facebook è ancora la prima, forse più immediata e “facile” scelta (lo usa il 74% delle imprese nei 22 Paesi e il 68% di quelle italiane), seguito in classifica da Twitter e da LinkedIn, mentre le soluzioni enterprise raggiungono percentuali più basse; in territorio tricolore, Microsoft SharePoint vanta una penetrazione del 32%, Salesforce Chatter del 23%, Ibm Open Connections del 18%. Uno scenario che, tuttavia, sembra destinato a cambiare: alla domanda su quali 26
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strumenti diventeranno prioritari per le aziende nel prossimo anno, il 23% addita la soluzione di Microsoft e una pari percentuale quella di Salesforce, mentre in pochi (8% in media, 4% in Italia) attribuiscono a Facebook un ruolo centrale. “Mentre l’utilizzo delle piattaforme social consumer permane anche all’interno dell’azienda”, ha commentato Alberto Casu, collaboration service line lead di Avanade Italy, “esiste un trend in crescita nell’adozione di strumenti che coniughino gli aspetti di social collaboration a quelli di condivisione e collaborazione tra i dipendenti. Vengono sempre più richiesti ambienti che siano in grado di fornire un’integrazione con la condivisione di documenti, la possibilità di mettere in comune best practices, il group editing e la ricerca della knowledge aziendale, progettati per l’enterprise e coerenti con le policy e le tematiche di sicurezza interna”. Ambienti che, spiega Casu, spesso valicano i confini dell’azienda arrivando a coinvolgere collaboratori, clienti, fornitori. Come crearli? “La scelta”, prosegue il manager, “attualmente sta ricadendo su piattaforme standard leader di mercato, che evitano importanti personalizzazioni o la logica di costruzione di una propria piattaforma social. Lo scenario tipicamente preferito per la scelta del framework rimane quello
interno all’azienda, ma si registra un deciso interesse verso scenari cloud, fortemente tenuti in considerazione quando si tratta di semplificare le interazioni con l’esterno, come con partner e fornitori”. Già in questa prima, ancora incerta fase di ingresso in azienda, il social business ha portato in dote risultati misurabili. Nel sondaggio di Avanade il 66% dei decision maker It ha dichiarato che le tecnologie social rendono il loro lavoro più divertente, il 62% ha parlato di incremento della produttività e il 57% le ha definite come un valido supporto per svolgere al meglio le loro attività. Un dato, quest’ultimo, che in Italia arriva solo al 37%. Il percorso, insomma, è tracciato, ma c’è ancora parecchia strada da fare. “Per massimizzare le opportunità offerte da questi strumenti”, ha sottolineato Casu, “è necessario avviare strategie di collaborazione di successo in linea con gli obiettivi di business, dando priorità alle esigenze degli utenti finali e fornendo strumenti, formazione e policy adeguate, volte a promuoverne l’adozione in tutta l’organizzazione. Inoltre, l’integrazione tra collaborazione e processi aziendali rivoluzionerà il modo di lavorare. Vediamo enormi opportunità per i risultati di business se le imprese sceglieranno di adottare la giusta strategia di social collaboration”.
Social network in azienda, ecco i falsi miti da sfatare L’utilizzo di Facebook e Twitter e l’adozione di piattaforme di comunicazione 2.0 nelle imprese sono un beneficio, un rischio o un grande bluff? Ecco come affrontare la questione, fra pregiudizi e false credenze.
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a uno studio pubblicato a luglio 2012 da McKinsey Global Institute risultava che le tecnologie sociali utilizzate in azienda possono migliorare del 20-25% la produttività dei cosiddetti “knowledge worker” e sono potenzialmente due volte più efficaci rispetto alle attività sui social media rivolte verso l’esterno. Al contrario, diversi articoli usciti nella prima metà del 2013 dichiaravano “morto” il social business, o quanto meno consideravano esagerati i suoi benefici. Gartner, da parte sua, descrive accuratamente questo fenomeno nel proprio modello “hype cycle”: nel ciclo di vita delle tecnologie emergenti esiste una prima fase in cui l’elemento di innovazione spinge all’adozione (“technology trigger”), in seguito si verifica un rapido picco generato da forti aspettative spesso esagerate (“peak of inflated expectations”), infine si ridiscende altrettanto bruscamente quando si realizza che i benefici promessi erano “gonfiati”, o quanto meno difficili da raggiungere (“trough of disillusionment”). Questa è la situazione attuale del social networking per le aziende: tutte le tecnologie emergenti passano infatti attraverso questa fase negativa. Dopo un periodo di disincanto, l’uso abituale della tecnologia inizia a dare veri risultati di business. L’altra faccia del social business
Esistono quattro miti spesso sfatati dalla realtà. Il primo: ogni impresa avrà dei benefici usando i social network. È vero, invece, che ogni azienda avrà dei risultati diversi. Gli strumenti social riscuo-
Richard Hughes
tono più successo dove si lavora grazie alla condivisione di informazioni e dove i collaboratori, geograficamente dislocati, desiderano più apertura e trasparenza nel modo di lavorare. Certamente è possibile che il social networking possa decollare in aziende che hanno solo una o due di queste caratteristiche, ma è molto più difficile. Il secondo: i social network per le aziende sostituiranno le email. In realtà questa affermazione è parzialmente vera, ma in modo diverso da quanto ci si aspetterebbe. Per molti sostenitori del social business, le email rappresentano il male che deve essere sconfitto. L’obiettivo è di spostare le discussioni tra collaboratori (per le quali le email sono poco adatte) e tutto ciò che riguarda la conoscenza aziendale fuori dalle inbox e verso i social network, garantendo una maggiore accessibilità. Di conseguenza, le email diventano un meccanismo di notifica e non più un archivio di conoscenze e per questo diventa irrilevante il numero di email inviate e ricevute. Il terzo: Facebook (o Twitter) serve al business. Non è così, ed è giusto che non
lo sia. L’etichetta “Facebook per l’azienda” è inappropriata e pericolosa. Richiama immediatamente alla mente la condivisione di scambi di battute spiritose tra collaboratori: è ovvio che, con queste premesse, i dirigenti di un’azienda difficilmente promuoveranno progetti social sul luogo di lavoro. Le interazioni in Facebook e in Twitter sono, in genere, più estemporanee rispetto a quelle che avvengono tra collaboratori. Il metodo con cui sono costruite le relazioni tra utenti di un social network aziendale e il modo in cui i contenuti sono trasmessi e ricercati deve essere molto diverso da quello di Facebook e Twitter. Quarto: l’adozione del social business è virale. Forse sì, ma non per molto tempo. Diversi anni fa numerosi sostenitori del social business pensavano che i collaboratori di un’azienda avrebbero adottato questo tipo di strumenti in modo virale e, come per magia, tutti sarebbero diventati utenti collaborativi e produttivi. Per la maggior parte delle aziende non è andata così. In genere, quando una rete collaborativa parte dal modello “bottom up”, dopo un iniziale periodo di entusiasmo il suo impiego diminuisce o si trasforma in un “Facebook aziendale”, irrilevante per il business. Perché la piattaforma sociale possa dare i risultati sperati e possa realmente essere utilizzata per lavorare, va implementata una strategia ben precisa, che permetta di sfruttare al meglio la piattaforma tecnologica con dei chiari obiettivi aziendali. Richard Hughes, direttore della strategia sociale di BroadVision 27
SCENARI | Chief Information Officer
saving e innovazione: Cio alla prova del nove Budget ristretti, nuovi paradigmi tecnologici: i responsabili It italiani sono chiamati a vincere una nuova sfida per rendere le aziende più agili, gestibili e competitive.
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ual è lo scenario, di business e tecnologico, in cui le figure informatiche si trovano oggi ad operare? Quali sono le priorità definite dai Cio in sede di pianificazione e quelle messe realmente in pratica cercando di conciliare esigenze di ottimizzazione dell’esistente con la necessità di innovare a più livelli? Il ruolo dei chief information officer nell’economia di un’azienda è sempre più importante non tanto perché siano aumentati i budget di spesa a loro disposizione, quanto perché questa figura è oggi, mai come in passato, centrale rispetto ai processi decisionali di tutta l’organizzazione. Ed è chiamata a conciliare l’imperativo della razionalizzazione dei costi con quello di supportare l’evoluzione di prodotti e servizi. Sul ruolo e sulle priorità dei decision maker It italiani ha indagato la Cio Survey 2013, studio promosso da Hewlett Packard, Microsoft e Telecom Italia e realizzato da NetConsulting mettendo sotto la lente di ingrandimento oltre 70 manager di aziende grandi e medie. Due le principali tendenze emerse. La prima: la razionalizzazione dei costi è ancora dominante ma crescono azioni riconducibili a innovazioni di prodotto e servizi. La seconda: oltre l’80% dei Cio (la cui età è compresa fra 46 e 55 anni) è interessato e investe nei nuovi trend tecnologici. La sintesi confezionata da Giancarlo Capitani, presidente di NetConsulting, conferma il duplice compito richiesto ai responsabili informatici, “da una parte alle prese con una spending review che coinvolge anche l’Ict e dall’altra chia28
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Le priorità ICT per il 2013
POSIZIONE 2012
CONSOLIDARE LE APPLICAZIONI STANDARDIZZARE LE ARCHITETTURE E I PROCESSI IT INTRODURRE/AMPLIARE MODELLI DI ICT GOVERNANCE CONSOLIDARE O VIRTUALIZZARE L’INFRASTRUTTURA IT REVISIONE ORGANIZZAZIONE ICT
3° 2° 4° 1° 5°
TREND
POSIZIONE 2013
1° 2° 3° 4° 5°
mati a supportare il cambiamento e ad innescare percorsi innovativi”. Compito che richiede, osserva ancora l’analista, un cambiamento del ruolo del Cio, a cui si chiede di gestire al meglio la macchina operativa e, allo stesso tempo, di “far evolvere l’ecosistema aziendale attraverso nuove competenze e un approccio più orientato alla pianificazione del business con il contributo dell’Ict”. L’approccio ai nuovi trend
Se il quadro generale è nel complesso positivo, almeno a livello di intenzioni e consapevolezza, va però evidenziato come molte organizzazioni siano ancora prudenti nel guardare concretamente al nuovo che avanza, e il discorso concerne in primis il cloud computing (dove viene privilegiato il modello private). Meno remore, invece, si registrano per l’adozione di strumenti e soluzioni di Unified Communication & Collaboration e nei confronti della nuova era della mobility, con investimenti in crescita per l’acquisto di device (smartphone e tablet) e lo sviluppo di applicazioni anche in ambito enterprise. Una rilevanza sempre maggiore la mostra anche il fattore social business, sia all’interno del contesto aziendale, con la diffusione di Intranet e community dedicate, sia nella relazione tra azienda e cliente, con l’adozione di strumenti di monitoraggio delle conversazioni online. Quanto a uno dei nuovi paradigmi dell’It, e cioè i Big Data, i Cio italiani sembrano maggiormente sensibili ad attività di revisione delle architetture di storage e all’introduzione di tool di business analytics avanzati: più dell’80% del campione ha confermato progetti in corso per il 2013 su queste aree. Il tema dell’interconnessione degli oggetti (la cosiddetta “Internet of things”), infine, vive la propria fase iniziale. Le priorità di spesa
Detto che le attività di consolidamento, tanto in ambito applicativo (per la standardizzazione delle architetture e dei processi informatici) quanto a livel-
la priorità in agenda? consolidamento
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na ricerca di Vanson Bourne, che ha coinvolto 400 chief information officer di aziende attive nell’area Emea, ha rivelato come il 70% dei decision maker It sia concentrato sulla centralizzazione delle applicazioni. L’indagine, commissionata da Riverbed Technology, ha inoltre evidenziato come la metà del campione intervistato ritenga la virtualizzazione dei server una delle priorità di investimento, seguita dal consolidamento del data center (voce citata dal 40% dei Cio) e dall’ottimizzazione delle risorse storage (34%). Rendere più efficiente l’esistente è quindi ancora oggi il compito principale dei responsabili informatici, impegnati in due casi su tre a pianificare progetti di consolidamento in cui la sicurezza dei dati è ritenuto il fattore chiave di ogni iniziativa. Riduzione dei costi di gestione dei server distribuiti a livello di filiali (attività segnalata dal 58% dei manager censiti) e maggiore controllo degli upgrade di applicazioni e server (49%) sono altre due azioni segnate in rosso nell’agen-
da dei Cio. La ricerca ha infine eletto la complessità a limite più grande per l’avvio di un’iniziativa di virtualizzazione e/o di consolidamento (parere espresso dal 53% degli intervistati) mentre meno preoccupanti sono il costo del set-up iniziale (voce citata nel 45% casi) e le performance applicative sulla rete Wan aziendale (38%). Da uno studio condotto a livello mondiale da Research In Action per conto di Compuware è emerso, invece, come ben il 79% dei 470 Cio intervistati si dica preoccupato dei costi nascosti associati al cloud. La scarsa “end user experience” dovuta a colli di bottiglia nelle prestazioni è il timore più diffuso (lo nomina il 64% del campione) quando si parla di servizi e soluzioni nella nuvola. Per contro gli stessi responsabili It hanno assicurato come il cloud sia la loro priorità in termini di investimento sia nel breve sia nel lungo periodo, indicando l’integrazione fra i modelli pubblico, ibrido e privato come principale trend per i prossimi cinque anni.
lo infrastrutturale (i progetti avviati si concentrano principalmente su virtualizzazione, disaster recovery e business continuity), sono una voce ricorrente nell’agenda dei Cio, il 2013 si chiuderà con una serie di azioni intraprese per dare vita ad applicazioni su piattaforma mobile finalizzate a un utilizzo sia interno (sales force automation in particolare) sia esterno (servizi per il consumatore). A livello di spesa, le proiezioni di investimento delle aziende intervistate sono in lievissima crescita (dell’1,7%) e il dato, fa notare NetConsulting, va letto come un’eccezione nel panorama italiano, farcito da molte Pmi che hanno ridotto le uscite alla voce “tecnologie”.
Le aziende con budget mediamente elevati e con dinamiche di sviluppo superiori al resto del mercato, come quelle del panel, si concentrano per contro sulla componente corrente e di gestione e meno sulla variabile investimenti, per quanto anch’essa in leggerissimo aumento nel 2013. Significativo, nell’ottica dei modelli perseguiti per portare innovazione in azienda, il fatto che il ricorso a soggetti esterni prevalga rispetto alla spinta dall’interno: meno del 20% delle imprese ha strutturato un team dedicato e ancora più bassa è la percentuale di aziende che hanno identificato una figura con il ruolo di “responsabile innovazione”. Piero Aprile 29
SCENARI | Personal computer
La rivoluzione ibrida dei nuovi pc in azienda La domanda di tablet presto supererà quella di notebook e desktop. Il modo di fare computing è cambiato. Nel segno del touch e dell'esperienza d'uso.
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n anno fa Microsoft e i produttori partner (praticamente tutti, fatta eccezione per Apple) celebravano l’avvento di Windows 8 e della rivoluzione touch del computer. I tablet, e l’iPad in particolare, erano già una delle cause della contrazione di domanda per i Pc tradizionali, notebook in primis. Il nuovo sistema operativo con interfaccia a mattonelle cercava consenso e spazio fra i sostenitori del paradigma “post Pc” (tendenzialmente filo Cupertino) da una parte, e dall’altra tra i paladini del computing convenzionale, quello del classico “desktop a icone” per intenderci. Gli ultrabook partoriti da Intel non avevano sfondato, per via dei costi troppo elevati, mentre nei cataloghi dei vendor (e in quello di Asus soprattutto) prendevano posto i cosiddetti prodotti “ibridi”, un po’ notebook e un po’ tablet, dotati di schermo tattile. Windows 8.1, l’atteso aggiornamento rilasciato dalla società di Redmond la scorsa settimana, si presenta in uno scenario di mercato ancora difficile per i Pc tradizionali e in una fase di prolungata attesa da parte delle aziende per ciò che concerne la migrazione al nuovo sistema operativo e il rinnovo del parco installato. Se Microsoft con Windows 8 credeva di appropriarsi dell’ennesima rivoluzione 30
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del computing, allora ha forse fatto male i calcoli: il computer è, sì, cambiato, ma soprattutto a livello di esperienza d’uso e di form factor. Fortemente influenzato dalla popolarità, anche fra professionisti e manager, dei tablet. Il mercato premia le tavolette
I dati Gartner relativi al terzo trimestre 2013 sono ancora una volta negativi: la flessione a livello mondiale è stata dell’8,6% anno su anno; 80,3 milioni le unità spedite sul mercato. Era dal 2008 che non si registravano volumi così bassi nel periodo del “back to school” ed è il sesto trimestre consecutivo che si chiude in rosso. Dagli analisti della società americana è giunto un nuovo (ma noto) grido di allarme: l’utenza consumer ha spostato dai pc ai tablet la propria preferenza per ciò che concerne il consumo giornaliero di contenuti, tanto nei mercati emergenti quanto in quelli maturi. La situazione italiana, fotografata da Sirmi, è totalmente in linea con questa
tendenza. Del milione e 745mila pezzi venduti nel secondo trimestre, oltre 935mila sono stati tablet: in altre parole, iPad e simili hanno arginato l’emorragia di domanda di desktop e notebook (in calo, rispettivamente, del 25,2% e dell’11,9%) registrando un salto in avanti del 70% a valore (poco meno di 300 milioni di euro sui 680 milioni complessivi) e del 93% a volumi. Un ultimo dato che premia i tablet a scapito dei pc tradizionali arriva infine da Idc, secondo cui il sorpasso su scala globale si concretizzerà nel quarto trimestre di quest’anno e troverà consacrazione (su base annuale) nel 2015. Nel 2017, questa la proiezione, le vendite di tavolette saliranno a quota 406,8 milioni (rispetto ai 227,3 milioni del 2013), i notebook a 196,6 milioni mentre i desktop scenderanno a 123,1 milioni. Torna di moda l’ergonomia
Il numero uno a livello Emea di Lenovo, Gianfranco Lanci, l’ha detto (in
rinascimento hi-tech Grazie alla potenza sprigionata dalla quarta generazione dei processori Core vPro e alla flessibilità dei dispositivi all-inone e due-in-uno, manager e imprenditori potranno dare sfogo alla propria creatività e rilanciare il mercato. Parola di Intel. Lenovo Yoga 2 Pro
occasione dell’ultima edizione dell’Ifa di Berlino) a chiare lettere: “Gli utenti oggi usano e vogliono utilizzare il personal computer in diversi modi, sfruttarne le diverse funzionalità e valorizzarne il form factor”. Lo Yoga 2 Pro della casa cinese (con Windows 8.1) è il prodotto emblema di questa filosofia: ultrasottile, con schermo touch da 13,3 pollici ruotabile di 360 gradi e con quattro diverse modalità d’uso. Il tutto ricorrendo alla tastiera o all’interfaccia tattile con dieci punti di contatto. Richard Fairest, country head di Sony per l’Italia, è dell’idea che “i tablet hanno cambiato le regole del gioco, solcando con alcune loro specifiche caratteristiche, vedi l’estrema mobilità, la differenza con i tradizionali computer portatili, che rimangono un prodotto sinonimo di elevate prestazioni, sia in campo business sia consumer”. Oggi più di ieri, la scelta del device di computing si rivela legata all’usabilità del device stesso, ma anche alle esigenze professionali e di intrattenimento dell’utente. Il mondo dei Pc vive, cioè, una profonda trasformazione concettuale. Il software (che sia Windows, iOs, Android o Chrome Os) e le applicazioni sono parti integranti di questa rivoluzione. Il fattore di forma, e quindi il design, sono tornati a essere un argomento importante. Anche per il marketing. Gianni Rusconi
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on è facile indovinare che aspetto avrà il Pc del futuro. Me se c’è qualcuno che può provarci è sicuramente Intel, che da sempre “firma”, tra le altre cose, il cuore di questi dispositivi. Technopolis ha intervistato Ricardo Echevarria, vice president Pc client Gìgroup di Intel, per cercare di tracciare l’identikit del personal computer che verrà, soprattutto in relazione ai modelli destinati alle imprese.
Quali sono le caratteristiche dell’ultima ondata di processori Intel?
La quarta generazione dei procesori Intel Core vPro migliora in modo consistente le prestazioni della linea precedente in termini di sicurezza, consumi e facilità di gestione. Quindi siamo solo in presenza di una “minor upgrade”?
Assolutamente no. Anzi, c’è un elemento distintivo della famiglia Haswell, ed è quello relativo alla produttività. Abbiamo lavorato per soddisfare un bisogno crescente delle aziende, quello di eseguire svariati compiti in meno tempo: condividere un documento, collegarsi in videoconferenza, localizzare i colleghi e poter usare qualsiasi soluzione con lo stesso metodo di accesso sicuro sono solo alcuni tra gli esempi di attività che, nonostante l’alta tecnologia integrata nei Pc, erano ancora troppo lente per i ritmi imposti dal mercato.
Velocizzarli era una richiesta pressante delle imprese. La produttività è un tema tipico delle grandi aziende, ma in Italia abbiamo molte Pmi. Che benefici avranno?
Non penso che i nuovi processori, e quindi i nuovi computer, siano più adatti alle grandi che alle piccole imprese. Anche professionisti e imprenditori sono sempre alla ricerca della tecnologia migliore, e le soluzioni integrate nell’architettura Core vPro consentono di evitare costosi e lunghi processi di implementazione di funzionalità quali l’accesso sicuro e la collaboration. Quali sono i form factor equipaggiati con vPro che avranno più successo?
Da quanto ci è dato di capire oggi, i formati due-in-uno riescono a unire in una sola soluzione i vantaggi di entrambe le piattaforme, Ultrabook e tablet, e quindi rappresentano la tipologia destinata ad avere maggiore sviluppo in futuro. La potenza dei nuovi Intel Core vPro e la flessibilità delle macchine due-inuno e all-in-one sono una combinazione ideale per assecondare la creatività delle imprese italiane, piccole e grandi. Non mi stupirei, ad esempio, nel vedere un massiccio utilizzo di questi nuovi modelli da parte delle aziende del mondo della moda. Emilio Mango 31
SCENARI | Personal computer
LE TANTE FACCE DEL COMPUTING MOBILE 2.0 Le aziende lavoreranno con più device, nel segno della massima convergenza. L’adozione di Windows 8 crescerà quando scenderanno i costi dei prodotti touch. Lo dice Hp, guardando anche oltre il software di Microsoft.
L’
universo It è cambiato, completamente trasformato rispetto agli anni Novanta, la stagione d’oro del modello client/server, e agli anni Duemila, quelli della rivoluzione di Internet. Oggi i paradigmi sono mobile, social, Big Data e cloud. E il personal computer è cambiato a sua volta, sull’onda della rivoluzione touch imposta da smartphone tablet. Imponendo ai vendor una “forzata” evoluzione per restare al passo con i nuovi dogmi della mobility. Ridefinendone, là dove possibile, i confini. La ricetta di Hp, in tal senso, è sulla carta chiara, anche se uniformata a quella della
Surface 2, Microsoft ci riprova Il nuovo tablet “made in Redmond” farà dimenticare la delusione per le vendite del primo modello e troverà uno spazio importante in un mercato dominato da iPad e tavolette Android, in cui cattura oggi solo una fetta del 4,5%? In Microsoft, ovviamente, ci sperano. I preordini di Surface 2 (nei negozi dal 21 ottobre in 22 Paesi, Italia compresa), sia per la versione Rt (da 64 GB) sia per quella Pro con Windows 8.1 (da 256 32
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concorrenza: una generazione di prodotti che rispondono ai nuovi dettami dell’esperienza d’uso del computer per il business, e quindi form factor innovativi, votati al verbo del due in uno (notebook/ultrabook e tablet). Che puntano, naturalmente, su Windows e Cpu Intel ma anche su piattaforme alternative: il Chromebook 11 di Hp, portatile da 279 dollari con a bordo il software Web-based di Google e processori dual core di Samsung, va per l’appunto in questa direzione.
Enrique Lores senior vp & general manager business Pc solutions di Hp
Enrique Lores, senior vp & general manager business Pc solutions della
società californiana, è dell’idea che la trasformazione del computing mobile vada gestita su tre direttrici: i dipendenti (cui è chiesta maggiore produttività), il posto di lavoro (cambiato nell’ottica di spazi che sono divenuti ubiqui, dall’ufficio a Starbucks) e i modelli operativi (vita professionale e vita personale che si mescolano). Come intende, Hp, vincere questa sfida? La ricetta, sulla carta, è semplice e si concentra in una parola: innovazione. Nel design e nell’ingegnerizzazione del prodotto, nelle opzioni touch ottimizzate per Windows 8, nella connettività broadband e nelle doti di security (a livello hardware) dei nuovi Pc mobi-
e 512 GB) sembrano essere stati più che buoni. Sul prodotto grava però il “buco” da 900 milioni di dollari iscritto nel bilancio dell’esercizio fiscale 2012 per i costi di inventario di Surface. Microsoft riparte da una serie di novità tecniche e funzionali (a cominciare da Windows 8.1) e da presupposti importanti come la commessa vinta con Delta Air Lines per 11mila Surface 2 Rt con chip Nvidia Tegra 4 e schermo da 10,6 pollici a risoluzione Full Hd. La versione Pro 2, equipaggiata con le nuove Cpu Intel Core i5 “Haswell”, si presenta
come un vero e proprio computer mobile in formato compatto, e quindi nel solco della tendenza che vede nel Pc un device ibrido, versatile e performante. Costa però, con Cover Touch e Type Cover, ben oltre i 1.000 euro.
Si complica il compito dei Cio
li. Altri (vedi Lenovo o Asus) puntano sulla versatilità d’uso, stressando forse oltre il dovuto il paradigma dei Pc ibridi e convertibili. Chi avrà ragione lo dirà il mercato. Tutti i produttori, in ogni caso, sono appesi alla velocità di adozione di Windows 8 in azienda. Adozione che, secondo Lores, “sta procedendo lentamente, in parte a causa della strategia di Microsoft, molto focalizzata in questi mesi sulla componente consumer, in parte per la politica di spesa conservativa operata dalla clientela corporate. Il valore aggiunto di Windows 8 sta nelle funzionalità dei dispositivi touch, ma il costo di questi prodotti è ancora elevato. La curva di adozione crescerà quando i prezzi degli ultrabook scenderanno ancora”. Una questione di costi, dunque, ma non solo. “Siamo di fronte a una convergenza di diversi form factor”, è in tal senso l’osservazione di Lores. “La scelta del dispositivo, tablet, notebook o convertibile che sia, dipenderà da specifiche esigenze e ci sarà di conseguenza una maggiore frammentazione dei device di computing nel mondo enterprise”. Una tendenza, quest’ultima, che complica i compiti dei Cio, chiamati a dover supportare più piattaforme operative e a gestire con attenzione i primi concreti progetti di tipo Byod assicurando integrazione, sicurezza e gestibilità dei device mobili personali dei dipendenti. E, in tema di piattaforma Windows, è e sarà sempre la prima scelta? “Per le aziende di classe enterprise”, questa la chiosa di Lores, “il Pc ideale rimane quello Windows. I Chromebook sono però un’alternativa concreta per il mercato delle piccole e medie imprese e dell’education”. Detto dall’ex regina dei Pc, che non a caso sta lavorando su quattro diversi sistemi operativi (Windows, Android, Chrome e Ubuntu) suona come un’ulteriore segno dei tempi che cambiano. Gianni Rusconi
asus la trasformista Da sempre votata ai formati ibridi, denominati Transformer, la multinazionale taiwanese si prepara a entrare di prepotenza nel mercato delle imprese dopo aver conquistato quello consumer.
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e ci fossero dubbi sul fatto che Asus punta sui formati ibridi basterebbe notare lo slogan che accompagnava la presenza della multinazionale all’ultima edizione del Computex, la fiera tecnologica più importante di Taiwan. “We Transform” era il motto, scelto sia a indicare la volontà di trasformare le aspettative degli utenti nei confronti del mondo digitale, sia a ricordare il nome di uno dei prodotti di punta del colosso asiatico, il Transformer Book Trio. Ovvero il primo portatile tre-in-uno, in grado non solo di trasformarsi da notebook a tablet, ma anche di cambiare sistema operativo: Windows 8 se computer, Android se tavoletta. Proprio in occasione del Computex, Technopolis ha intervistato Eric Chen, chief operating officer di Asus, per capire le strategie della multinazionale nel mercato delle aziende. Credete veramente nei formati ibridi?
Ci crediamo dall’inizio, insieme a Intel, sia ai Pc all-in-one sia ai device mobili due-in-uno, e ora con il Transformer siamo addirittura arrivati al tre-in-uno. Questo non vuol dire che pensiamo che il personal computer tradizionale sia morto: resterà la prima scelta di tutti coloro che devono generare contenuti e non solo visualizzarli. Asus è piuttosto nota nel mercato consumer, meno in quello aziendale.
Eric Chen, Coo di Asus Pensate di puntare anche a quest’ultimo?
Attualmente le vendite business a livello mondiale non superano il 30% del totale, ma da due anni abbiamo creato un team dedicato che sta aiutandoci a progettare macchine sempre più congeniali alle aziende e ai professionisti. In più, abbiamo obiettivi molto ambiziosi anche nel settore dell’education, vogliamo che i giovani crescano conoscendo e apprezzando il nostro brand. Avere successo nel segmento business non è facile; che tipo di strategie pensate di implementare?
Inizieremo da quattro o cinque Paesi pilota, tra cui probabilmente ci sarà l’Italia. Ovviamente le caratteristiche dei prodotti saranno differenti da quelle dei modelli attuali, perché le aziende hanno esigenze diverse dagli utenti consumer. Sarà una sfida importante ma sono molto ottimista, anche confortato dagli ottimi risultati di Asus in tutti i settori: notebook, tablet e phablet. Emilio Mango 33
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SPECIALE | Business analytics
analisi dei dati: la sfera di cristallo aziendale Come compiere le scelte migliori per un'organizzazione? Avere un quadro completo del proprio business è il primo passo, imparare a prevedere il futuro è il secondo. Sembra un'impresa titanica. Ma con gli analytics niente è impossibile.
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ornire l’informazione giusta, nel momento giusto, a chi deve prendere le decisioni che possono cambiare il destino dell’azienda: questa la missione di fondo degli analytics. Un mondo che si compone, al suo interno, di diverse sfumature. L’etichetta di Business Intelligence identifica quelle attività di raccolta, aggregazione ed elaborazione di dati provenienti da variegati database aziendali, dati che forniscono una fotografia analitica di quello che è successo. La Business Analytics rappresenta un’evoluzione di questo concetto, avendo la finalità ulteriore, accanto a quella di comprendere il passato, di aiutare a “prevedere il futuro” o, meglio, probabili scenari.
E dunque illuminare l’azienda su quali siano le decisioni migliori. La Business Analytics abbraccia quindi competenze predittive e competenze prescrittive, che permettono di indicare linee di azione per raggiungere gli obiettivi aziendali, nonché di definire modelli migliori attraverso algoritmi statistici e matematici applicabili con successo anche in situazioni di forte variabilità del mercato. Quali informazioni vengono raccolte e studiate? Sia quelle interne all’azienda, sia quelle provenienti dall’esterno. A esse possono essere abbinati diversi modelli analitici, più o meno sofisticati, a seconda dello scopo da ottenere, dell’area di business o della singola divisione aziendale coinvolta, sia essa il marke-
ting, la logistica, la produzione. A queste due “famiglie” di applicazioni si è aggiunta da qualche tempo anche la Business Discovery, che è sostanzialmente un modo nuovo di fare Business Intelligence, caratterizzato da un approccio più flessibile, diretto, mobile e adatto a diversi tipi di azienda. Alla base, a differenza di quanto accade per la BI, c’è un modello bottom-up che mette il controllo in mano all’utente. Secondo chi la propone, la BD colma il divario tra le soluzioni tradizionali di BI e le applicazioni di produttività standalone per l’ufficio, e consente ai dipendenti a ogni livello dell’organizzazione di eseguire analisi personalizzate. Con la BD ci si può porre qualsiasi domanda OTTOBRE 2013 |
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SPECIALE| | Business analytics SCENARI
ed esplorare i dati in qualsiasi direzione. Una sorta di “democratizzazione” della Business Intelligence, strada che anche i fautori dell’approccio tradizionale stanno intraprendendo. Attualmente, il mercato offre sia applicazioni specifiche di BI, BA e BD, sia funzionalità di ricerca e analisi dei dati all’interno di applicazioni Erp (in questo caso, naturalmente, meno specializzate). Come si diceva, gli ambiti di utilizzo dello studio dei dati sono i più vari. Le piattaforme di BI e analytics consentono alle aziende di misurare e migliorare le metriche che contano di più per le loro imprese, come le vendite, i profitti, i costi, i difetti di qualità, gli incidenti di sicurezza, la soddisfazione del cliente, i tempi di consegna, e così via. Facciamo degli esempi. In ambiente retail può essere prioritaria l’ottimizzazione dei prezzi, un’impresa manifatturiera può essere interessata a efficientare la supply chain o a prevedere i trend di produzione di un bene. Ancora, i carrier di telecomunicazioni possono ipotizzare il traffico dati futuro per ottimizzare gli investimenti sulla rete in base al profilo utente di una data area geografica. Uno fra gli utilizzi più consolidati della BI è quello che ne fa il mondo bancario e assicurativo, allo scopo di applicare dei profili di rischio alla clientela. Ci sono poi ambiti trasversali ai settori industriali, il principale dei quali è il marketing: al di là delle specifiche peculiarità legate al fine aziendale, il primo bisogno comune è la profilazione dei clienti, utile per impostare attività e campagne mirate. Come approcciare la BI
Per utilizzare correttamente la Business Intelligence è necessaria una base dati adeguata su cui costruire i modelli analitici e i report: senza di essa, si rischia di ottenere risultati incompleti. La questione non è banale, perché oggi sempre più spesso le aziende si trovano a dover collezionare anche informazioni provenienti dall’esterno, per esempio dati derivati 36
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dal Web o dai social media, utili al marketing per comprendere qual è l’umore del mercato relativo a un prodotto. La complessità, dunque, deriva dal dover integrare informazioni strutturate (quelle interne all’impresa, già presenti nei suoi database) con quelle cosiddette destrutturate, per esempio dati testauli e non numerici, che provengono dall’esterno e che spesso hanno una validità limitata nel tempo prima di diventare obsolete. Si tratta, perciò, di dati diversi tra loro per forma e contenuto, ma anche per valenza ai fini del business. La visione di Gartner sul mercato
Quello della Business Intelligence è oggi un mercato maturo, da anni fra le priorità dei chief information officer, eppure esiste ancora un grande domanda non soddisfatta. Secondo Gartner quello della Business Intelligence e delle piattaforme di Analytics rimarrà uno dei settori del software in più rapida ascesa nel futuro a medio termine: si prevede un tasso di crescita annuo composto del 7% fino al 2016. La spiegazione è presto detta. Molte delle aree presenti in azien-
da (come le risorse umane, la cura delle relazioni social e talvolta anche il marketing) devono ancora iniziare a sfruttare gli analytics. Le analisi descrittive sono state per lo più completate dalla maggior parte delle grandi imprese in ambiti come la finanza e le vendite, ma c’è ancora una vasta area di crescita per le implementazioni diagnostiche, predittive e prescrittive. Inoltre, molte le realtà di medie dimensioni devono ancora iniziare ad approcciare la BI e la BA. Infine, la tendenza emergente dell’as-a-service potrebbe far crescere in modo significativo il mercato delle piattaforme di BI e analytics. Oggi, il modello di adozione è in gran parte “build-driven”: le società acquisiscono in licenza i software per costruire le proprie applicazioni analitiche. In futuro, però, sempre di più, le imprese sottoscriveranno servizi dati specifici di settore con funzionalità BI e Analytics abbinate. Nel tempo, la maggior parte delle aziende, indipendentemente dal proprio modello di business, dovranno fornire un’offerta in tal senso. Luca Bastia
Diversi esempi di dashboard: dinamicità e tridimensionalità sono ormai un must.
la tecnologia c'è. le imprese meno
Alfredo Gatti
Alfredo Gatti, managing director di NextValue, fa il punto sul mercato e sulla propensione delle aziende ad acquistare le soluzioni per l’analisi dei dati e il forecasting.
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ei prossimi tre o quattro anni la BI continuerà a essere uno dei segmenti più vivaci sia delle soluzioni software, sia dei servizi. Ne è convinto Alfredo Gatti, managing director di NextValue, “perché i fornitori hanno scoperto che possono fare del buisness in questo ambito, ora anche nelle medie e piccole imprese”. “Certo”, precisa Gatti, “le grandi aziende sono più attrezzate sia in termini di processi sia di competenze e al loro interno c’è un’entità dedicata che guida l’adozione della Business Intelligence; le imprese più piccole, invece, richiedono soluzioni più commodity per risolvere problemi anche molto spiccioli, per esempio capire quanto si vende ogni giorno e dove”. Ciò che sta cambiando, un po’ sotto l’impulso delle tecnologie e un po’ sotto la spinta di nuove esigenze, è il modo di articolare la BI. Quest’ultima da tempo viene realizzata elaborando dati interni, ma ora può sfruttare anche informazioni provenienti dall’esterno dell’azienda. “Per esempio”, illustra il dirigente di NextValue, “nel retail da tutti i rivenditori della grande distribuzione, anche se in Italia si è poco propensi a rendere disponbili tali dati. Analizzando queste informazioni si può accorciare il tempo di
delivery con vantaggio sia per il produttore, sia per il rivenditore”. Un altro fattore nuovo è il modo di affrontare questi dati. “Oggi si parla sempre più di embedded, cioè di sistemi che in tempo reale raccolgono i dati, per esempio dai social media. Attualmente è impensabile che un’azienda che ha cura della propria reputazione non monitori il mondo social in real time, perché se qualcuno solleva critiche bisogna intervenire subito, saperlo il giorno dopo sarebbe un disastro. Allo stesso modo, va sostenuto chi parla bene dell’azienda”. Attualmente già esistono tecniche, denominate “search”, che fanno monitoraggio nel social, ma occorre anche sviluppare una strategia di Business Intelligence per gestire e sfruttare questi dati. Una questione di budget “Nelle grandi aziende, secondo una recente survey basata sul nostro panel” racconta Gatti, “circa il 21% del budget finisce in progetti di innovazione”. Dove sarà destinata tale quota di budget nei prossimi 12 mesi? “Nel 32% dei casi verso analytics di nuova generazione, come quelli predittivi, mobile e social, problematica che occupa il terzo posto nelle risposte. Al primo posto ci sono gli interventi in ambito mobile e al secondo le enterprise application,
cioè la possibilità di fruire le applicazioni aziendali in modo nuovo, quindi anche in mobility, e le app fornite al business su richiesta delle diverse funzioni”. Passando all’ambito delle medie e piccole imprese (i dati si riferiscono a 250 aziende di varia dimensione) la classifica è simile. Come priorità di investimento la BI scende leggermente, di due gradini, “perché il processo di adozione è iniziato dopo ed è più lento a causa di minori disponibilità di risorse”, spiega Gatti, “e ciò comporta una maggiore dipendenza dal provider. Se costui ha problemi di competenze avanzate, questo si riflette sul cliente”. L’approccio corretto Questi numeri, in ogni caso, ci dicono che non siamo indietro rispetto alla realtà internazionale. La nuova generazione di BI è considerata seriamente dalle imprese italiane e, precisa il managing director, “l’offerta di strumenti BI è adeguata, mentre mancano un po’ di skill nell’utenza”. “Dal punto di vista dell’azienda utente” conclude Gatti, “ai primi livelli di adozione la cosa migliore è avere una task force con conoscenze tecniche e di business interfunzionali, che deve operare per risovere, in corso d’opera, tutti i problemi specifici. 37
SPECIALE| | Business analytics SCENARI
In futuro l'intelligenza derivata dai dati si diffonderà sempre di più nelle imprese, coinvolgendo anche figure professionali non specializzate. Dovrà quindi diventare più comprensibile, anche a colpo d'occhio.
il software del futuro è PIù DEMOCRATICo
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emplificazione e visualizzazione. Queste le parole d’ordine comuni a tutti i vendor, pur in un panorama dell’offerta ampio e diversificato. Oggi e sempre più in futuro la Business Intelligence deve diventare accessibile anche ai non addetti ai lavori e ai ruoli aziendali meno tecnici. E, dunque, trasformare la massa dei dati in informazioni visuali (comprensibili a colpo d’occhio e spesso interattive) rappresenta una sorta di “democratizzazione” necessaria. Un altro fattore che accomuna la quasi totalità dei vendor è la modalità di fruizione che abbina la consueta formula on premise (cioè attraverso l’applicativo installato in azienda) a quella nel cloud, oltre alla possibilità di accedere a report e dashboard da tablet e smartphone.
Tipologia d’utenza
I mercati più ricettivi sono, nella maggioranza dei casi, quelli finanziari, ma nell’ultimo anno si sta muovendo nel38
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la direzione della Business Intelligence anche il retail. E tutti i fornitori stanno operando per spostare il loro target dalle grandi organizzazioni verso le Pmi. “Nel corso degli ultimi nove mesi”, ci dice, per esempio, Carlo Venturini di Oracle, “riscontriamo una crescita significativa nella media azienda, mentre vediamo un appiattimento da parte della grande impresa, anche perché la maggioranza già dispone di sistemi di BI. Abbiamo verificato anche un interesse particolare nella Pubblica Amministrazione, sia centrale sia locale”. Nel caso di Oracle ciò si spiega anche con la presenza, all’interno dell’offerta, delle BI Applications, soluzioni pre-configurate per processo e industry. Proprio la piccola e media impresa, afferma Angelo Cian di Zucchetti, “è il target principale, anche se non l’unico, di InfoBusiness. Spesso si tratta di imprese già clienti Zucchetti per le soluzioni gestionali/Erp o per la suite di gestione del personale, che hanno scoperto i vantaggi
dell’integrazione con InfoBusiness”. Le soluzioni di Jaspersoft e SpagoBi, data la loro natura open source, si distinguono invece per essere molto utilizzate dai system integrator per inserire la BI in prodotti più estesi proposti ai loro clienti. Le soluzioni sul mercato
Una panoramica dell’offerta proposta dai principali vendor non può che partire da Sas, società che per storia e focalizzazione rappresenta maggiormente la BI nello scenario mondiale. Oggi l’azienda, come spiega Giorgio Dossena, business solution leader & information management di Sas Italia, è focalizzata sulla nuova versione della soluzione Sas Visual Analytics, “che poggia sulla piattaforma Sas Business Analytics, e che unisce alla componente di forecasting e alle già esistenti funzioni descrittive e predittive la possibilità di fare analisi prescrittive. Una miglioria che porta aziende e organizzazioni a passare rapidamente e facilmente a un livello superiore nella ge-
Carlo Venturini
Giorgio Dossena
Angelo Cian
Corrado Sterpetti
Fabio Santini
stione dei dati. Gli utenti possono anche selezionare l’insieme delle variabili da utilizzare nelle previsioni per simulare i possibili scenari. La soluzione Sas Visual Analytics”, aggiunge Dossena, “rende disponibile la potenza di Sas nei Big Data a qualsiasi utente di business e alle aziende appartenenti a tutti i settori di mercato”. A proposito di grandi dati, a detta di Corrado Sterpetti, director & general manager software & solutions di Hewlett-Packard, “HP dispone di un portafoglio di soluzioni unico in ambito Big Data”. Ambito in cui HP ha recentemente annunciato HAVEn, una piattaforma specifica per processi di Business Analytics che si basa su software di analisi, hardware e servizi, per creare soluzioni e applicazioni di prossima generazione per gli ambienti Big Data. HAVEn combina tecnologie proprietarie di HP (Autonomy, Vertica, ArcSight e HP Operations Management), nonché altre di importanti realtà di settore, quali Hadoop. “L’offerta di HP si completa con HP Operations Analytics, la prima soluzione integrata per l’analisi dei Big Data basata sulla piattaforma HAVEn”, spiega Sterpetti. “La BI deve essere in real time o quanto più vicina possibile al real time”, afferma Fabio Santini, direttore della divisione server, tools & cloud di Microsoft Italia. “I nostri strumenti costruiscono un’offerta totale, che va a toccare tutti gli aspetti della Busienss Intelligence: la parte di aggregazione di dati, quella di elaborazione, consolidamento e certificazione degli stessi, e la capacità di processare tantissime informazioni a un costo ridotto con Sequel Server. C’è poi, naturalmente, la parte di distribuzione e rappresentazione delle informazioni: per queste operazioni disponiamo di tanti, specifici strumenti, ma il principale è Excel, un front end di BI che consente di aggiungere elaborazioni proprie e immetterle nel patrimonio informativo dell’azienda. C’è poi SharePoint, il luogo dove tutte le informazini di BI convergono per essere utilizzate dall’utente finale,
che può accedervi da qualsiasi dispositivo, sia esso Pc, tablet o smartphone. Infine offriamo alcuni plug-in: PowerQuery, PowerPivot, PowerView, PowerMap. PowerQuey consente di fare query a fonti esterne all’azienda, PowerPivot mette insieme i vari modelli di dati per dar loro un senso comune costruendo un cruscotto, PowerView è lo strumento che permette di navigare tra i dati da diverse prospettive, PoweMap rappresenta a livello geografico le informazioni”. Tutti questi strumenti sono disponibili anche in cloud sotto il brand PowerBI, il cui target primario sono le piccole e medie imprese. Per le realtà in cerca di uno strumento poco dispendioso, che magari si debbano occupare di Big Data per un periodo di tempo definito, Microsoft propone Windows Azure, piattaforma che, sottolinea Santini, “attraverso degli standard consente di operare sui Big Data in modalità cloud e in maniera economica”. “Per la BI infrastrutturale”, spiega Carlo Venturini di Oracle, “proponiamo tecnologie di livello middleware come Oracle Business Intelligence Foundation e Oracle Endeca Information Discovery, la piattaforma che, integrando i dati provenienti dai diversi sistemi, consente la loro esplorazione secondo modelli di analisi avanzata, e che li rende disponibili attraverso applicazioni configurabili e interattive. Sempre sul piano infrastrutturale, Oracle BI Mobile è un’app che porta uno spettro completo di funzionalità di BI direttamente sui dispositivi mobili. Di recente questa tecnologia è stata arricchita con Oracle BI Mobile App Designer, un nuovo strumento di progettazione con cui gli utenti aziendali possono creare facilmente applicazioni analitiche interattive”. Per le grandi aziende interessate alla Business Discovery all’interno dei Big Data, Oracle propone una serie di strumenti fondati su Exalytics, un hardware ottimizzato per la BI. In più, il vendor offre applicazioni di Business Analytics e di Enterprise Performance Management. 39
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QlikView si è invece focalizzata da sempre sulla Business Discovery: “QlikView Business Discovery”, sostiene Massimo San Giuseppe, Ceo di QlikView Italy, “offre un’esperienza di BI self-service che garantisce ai clienti visibilità sui dati e semplicità d’analisi per migliorare il processo decisionale e ottimizzare le performance aziendali. La tecnologia di ricerca associativa in-memory sviluppata da QlikTech consente di analizzare liberamente i dati, anziché dover rispettare un percorso obbligato di domande, e fornisce risposte alla stessa velocità con cui le domande vengono concepite”. Semplicità e rapidità sono poi le prerogative dell’offerta di MicroStrategy, sottolinea il country manager per l’Italia Jean-Pierre Giannetti: “Oggi creare app con MicroStrategy è semplice e veloce: grazie a piattaforme e architetture basate su metadati, si possono sviluppare applicazioni molto rapidamente, supportando però allo stesso tempo i requisiti di sicurezza e di affidabilità. Per quanto concerne le Business Analytics, grazie alla piattaforma di MicroStrategy ciascun utente può creare analytics anche molto sofisticate, in modo intuitivo e veloce, senza ricorrere all’It. Insomma, il risultato è di ottenere applicazioni per migliaia di utenti realizzate in settimane, anziché in anni”. InfoBusiness è invece la soluzione Zucchetti di Business Intelligence che soddisfa con strumenti mirati le esigenze di supporto decisionale, di misurazione delle performance aziendali e di distribuzione delle informazioni. “Semplice, intuitivo e scalabile, InfoBusiness è perfettamente integrato con tutte le soluzioni Zucchetti, dai gestionali/Erp ai prodotti per la gestione delle risorse umane e quindi di paghe, rilevazione presenze, note spese e trasferte”, afferma Angelo Cian, responsabile delle soluzioni di BI di Zucchetti. Jaspersoft adotta invece un modello commerciale open source per offrire quella che, a detta di Luca Zurlo, business development manager Sud Europa 40
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e country manager Italia, è “la soluzione di Business Intelligence più flessibile, conveniente e utilizzata al mondo, che permette alle aziende di migliorare i processi decisionali grazie a report, dashboard e strumenti di analisi altamente interattivi e basati sul Web”. La Suite di BI del vendor comprende reporting di classe enterprise ad alta risoluzione grafica, query ad hoc, dashboard, analisi di On-line analytical processing (Olap) e in-memory, nonché l’integrazione dei dati. Jaspersoft poggia su un’architettura moderna e leggera basata su standard internazionali e offre, rispetto ad altre soluzioni, una maggiore indipendenza grazie al codice open source. Non dispone dell’analisi predittiva, ma la può fornire grazie a una partnership con Revolution Analytics. “Oggi”, sottolinea Zurlo, “comunque in Italia l’intelligenza predittiva è l’ultimo passo dei molti che le aziende devono ancora fare. Prima di introdurre l’analisi predittiva un’azienda deve avere un’esperienza di BI di diversi anni”. Anche SpagoBI è una suite per la Business Intelligence sviluppata e distribuita secondo un modello interamente open source. “Da un punto di vista tecnologico”, spiega Stefano Scamuzzo, international manager e parte del gruppo engineering dell’azienda, “SpagoBI si caratterizza, oltre che per la completezza e ricchezza degli strumenti analitici, anche per la sua natura innovativa e per l’adozione di open standard a garanzia di interoperabilità e integrabilità”. Diversi sono i motori di nuova concezione sviluppati nel tempo da SpagoBi, e che arricchiscono l’offerta funzionale della suite: i motori di Location Intelligence, che consentono un’integrazione fra i dati di business e quelli cartografici; il motore Kpi (l’acronimo sta per key performance indicators), che permette una gestione completa degli indicatori di business, dalla definizione, al calcolo fino alla loro visualizzazione; e, infine, i motori di ricerca libera e di creazione della reportistica ad hoc.
Massimo San Giuseppe
Jean-Pierre Giannetti
Che cosa riserva il futuro Luca Zurlo
Due dashboard Oracle che integrano informazioni di diversa natura.
Stefano Scamuzzo
Come già detto, l’evoluzione delle soluzioni di BI si concentra sulla semplificazione e sugli strumenti di visualizzazione di dati e report. In quest’ottica gli aggiornamenti previsti da Sas “consentiranno una maggior integrazione di strumenti classici di Business Intelligence, quali Kpi, grafici interattivi, report strutturati, con contenuti più analitici”, spiega Giorgio Dossena. “Nella roadmap di Sas Visual Analytics”, prosegue, “è prevista l’introduzione di funzionalità di condivisione e commento, che permetteranno agli utenti di creare una community per condividere analisi e report dei prodotti”. QlikView, racconta Massimo San Giuseppe, sta sviluppando la nuova piattaforma QlikView.Next attorno a cinque temi principali: un’interfaccia utente intuitiva, divertente e altamente produttiva; la collaborazione compulsiva, per rendere i processi di condivisione delle analisi più semplici e naturali; l’accesso da qualsiasi dispositivo mobile; l’abilitazione della nuova impresa, in cui i professionisti It possano offrire la Business Discovery self-service al crescente numero di utenti che lavorano con grandi volumi e varietà di dati; infine, QlikView.Next disporrà di funzionalità di piattaforma, come la connettività dati e le interfacce di programmazione per consentire ai clienti e ai partner di offrire rapidamente e facilmente su misura applicazioni, estensioni e mash-up. “In HP”, illustra Corrado Sterpetti, “vediamo come evoluzione tecnologica la possibilità di coniugare le soluzioni di Business Analytics all’interno delle infrastrutture It, al fine di garantire maggior efficienza della gestione It grazie all’analisi in tempo reale dei dati non strutturati”. “MicroStrategy”, sottolinea Pierre Giannetti, “è riconosciuto da Gartner come il vendor con il più ampio e avanzato set di funzionalità mobili, e proseguiremo in questa direzione e verso nuovi strumenti di visualizzazione, non trascurando la
semplicità di utilizzo che già ci contraddistingue”. “Oracle si sta focalizzando su due aspetti principali”, afferma Carlo Venturini: “uno è l’ottimizzazione degli strumenti analitici al fine di utilizzare la tecnologia in-memory; l’altro ambito di forte investimento è nella possibilità di concentrare in modo denso informazioni e grafici provenienti da varie fonti su un singolo dashboard; questo permette di rappresentare una serie di fenomeni nell’ambito di una sola ‘schermata’, con vantaggio per l’utente finale e per l’It in termini di cost saving”. Microsoft si muove in due direzioni, sostiene Fabio Santini: “Aggiungere rappresentazioni, valore immediato, modi innovativi di rappresentare l’informazione e una maggiore semplificazione; una modalità che sia il più naturale possibile”. “Svilupperemo nuove modalità di interazione con le informazioni per il mobile e daremo rinnovata attenzione alla componente visuale”, racconta Angelo Cian di Zucchetti. “In più doteremo InfoBusiness di ulteriori funzionalità raggruppate sotto il nome di ‘Data Modeling’, consentendo all’utente un’interazione attiva con le informazioni per generare, a partire da dati consolidati, simulazioni, nuovi concetti di analisi, revisioni dei concetti e modifiche ai dati, anche grazie a suggerimenti forniti dall’applicativo”. “Le principali linee di evoluzione di SpagoBI”, aggiunge Stefano Scamuzzo, “riguardano il supporto alle analisi di Big Data e Open Data, l’evoluzione degli strumenti di collaborazione e di utilizzo social della BI, l’accessibilità alle funzionalità analitiche da dispositivi mobili, la possibilità di analizzare rapidamente ed efficacemente sorgenti dati personali con un approccio self-service. Infine, Luca Zurlo ci anticipa che “a fine anno Jaspersoft rilascerà la major release, la 5.5, con numerosi miglioramenti nel front end e nella interattività con l’utente finale, che potrà interagire con la BI senza conoscenze tecniche”. L.B. 41
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ECCELLENZE.IT | Metal Spot
stampanti inkjet silenziose e veloci per i maghi della luce La tecnologia PageWide Array di Hp, incorporata nelle multifunzione OfficeJet Pro X, permette a Metal Spot di tagliare i costi e di raggiungere velocità paragonabili a quelle delle periferiche laser.
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ata nel 1977, Metal Spot ha seguito un lungo percorso nel mercato dell’illuminotecnica, per arrivare oggi a realizzare soluzioni ad hoc per i settori più disparati, dal museale al residenziale. “La nostra specializzazione”, dice Luca Spada, direttore marketing e comunicazione di Metal Spot, “ci porta a usare prodotti di illuminazione innovativi. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo sfruttato molto la tecnologia Led”. Nella sede di Rozzano, in provincia di Milano, Metal Spot utilizzava un parco stampanti piuttosto obsoleto, dedicato a tutte le attività d’ufficio e di show-room. LA SOLUZIONE La tecnologia PageWide Array, incorporata nei modelli della linea Hp OfficeJet Pro X, utilizza una testina di stampa larga come tutto il foglio A4, riuscendo così a distribuire l’inchiostro con una sola passata, come avviene con le periferiche laser. Stampanti e multifunzione OfficeJet Pro X risultano quindi più veloci rispetto alle altre getto d’inchiostro (fino a 70 pagine al minuto), offrono la funzione fronte/retro standard e sono decisamente più silenziose, perché utilizzano solo il motore di trascinamento della carta e non quello che muove la testina di stampa. Grazie alla tecnologia ePrint, poi, tutte le OfficeJet Pro X sono abilitate alla stampa diretta da dispositivi mobili, come iPad e iPhone. Hp dichiara, infine, consumi e costi inferiori anche del 50% rispetto alla maggior parte delle periferiche laser in commercio.
“Le nostre vecchie stampanti erano tutte a tecnologia laser”, racconta Spada, “e quando è stato il momento di cambiarle ci è stata proposta come alternativa la soluzione Hp OfficeJet Pro X, che sfrutta invece il getto d’inchiostro. Scegliendo in base alla velocità, alla rumorosità e ai costi di gestione, abbiamo optato proprio per questo tipo di modelli, acquistando due esemplari (in versione multifunzione) da condividere per i dieci utenti della sede di Rozzano.” “L’elemento distintivo delle nuove OfficeJet Pro X”, dice Luca Motta, country director, printing systems category di Hp, “è il fatto di trovare in un solo prodotto tre caratteristiche che solitamente sono in conflitto tra loro: alta produttività, bassi costi di stampa e semplicità di gestione. Gran parte del merito di questo risultato è da attribuirsi alla tecnologia PageWide Array, che elimina la necessità di avere una testina di stampa in movimento. Il prodotto ne guadagna in termini di ve-
locità, risparmio e silenziosità. La maggiore adattabilità all’ambiente d’ufficio (nessuna vibrazione e poco rumore) e il netto taglio dei costi di gestione non sono stati, però, gli unici elementi che hanno fatto propendere per a la nuova soluzione. “Siamo rimasti sorpresi dalla velocità di stampa”, dice Spada, “addirittura superiore alle laser che usavamo in precedenza, e abbiamo scoperto con grande soddisfazione la possibilità di stampare anche da smartphone e tablet, due tipologie di dispostivi che tutti noi usiamo spesso e volentieri”. Metal Spot utilizzia le due multifunzione per tutta la produzione dei documenti dell’ufficio ma anche, ad esempio, per fotocopiare i cataloghi da lasciare ai clienti che visitano lo showroom. “Usiamo molto la funzionalità fronte/retro”, sottolinea Motta, “che ci permette di risparmiare carta soprattutto nella stampa dei documenti tecnici e in bianco e nero, mentre per il colore sfruttiamo la massima qualità possibile. OTTOBRE 2013 |
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Mediamarket porta il WiFi nei suoi negozi La catena titolare delle insegne Saturn e Media World ha scelto le soluzioni Brocade per dotare di connettività wireless tutti i suoi 115 punti vendita italiani. Obiettivi: valorizzare i prodotti e offrire un’esperienza d’acquisto più completa e al passo con i tempi.
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onnettività come valore aggiunto, come servizio e come segnale di coerenza con la tipologia di prodotto venduto. Chi, se non un gigante dell’elettronica di consumo come Mediamarket (parte di Mediamarkt Saturn Holding Gmbh, e operativo in Italia con le insegne Media World e Saturn), poteva scegliere di “mettere online” i suoi 115 punti vendita presenti nello Stivale? Smartphone, tablet, Pc e smart Tv venduti all’interno dei negozi da qualche mese possono essere valutati in tutto il loro potenziale dai clienti che visitano lo store, dal momento che la catena ha introdotto la connettività WiFi in tutti e 115 gli esercizi commerciali, corrispondenti a una media di 2.500 metri quadrati l’uno. WiFi che può essere sfruttato dai clienti per testare navigazione e app sui dispositivi in vendita, ma anche per collegarsi al Web tramite i propri device personali, per leggere recensioni, confrontare prezzi e visionare schede tecniche nell’ottica di un acquisto più consapevole. Dopo l’analisi di diverse opzioni, la scelta del retailer è ricaduta su Brocade, meritevole di offrire prestazioni elevate, sicurezza e un’ottima copertura wireless. “Il rollout è stato organizzato in due grandi fasi”, spiega Luca Luminoso, chief in-
formation officer di Mediamarket, “ la prima delle quali ha coperto una metà circa dei punti vendita, partendo dal MediaWorld di Cinisello Balsamo e dal Saturn di viale Certosa a Milano, e si è conclusa nel 2011. La seconda parte è terminata a ottobre 2012 con l’estensione della connettività a tutti i negozi. Ora il WiFi fa parte della dotazione standard prevista per la tutti punti vendita, anche per quelli che apriranno in futuro”. LA SOLUZIONE La wireless Lan realizzata da Brocade è stata progettata con due accessi logici separati che poggiano sul medesimo access point, al fine di supportare più reti WiFi distinte: una per i visitatori del negozio – che possono accedervi previa registrazione e navigare gratuitamente per 30 minuti – e altre per i dipendenti. Questo schema aiuta a massimizzare la sicurezza e a evitare intrusioni in aree protette. Le funzionalità supportate e in programma sono il browsing, l’erogazione sui terminali mobili dei clienti di promozioni sui prodotti, oltre alla possibilità di connettere al Web device esposti nei corner dimostrativi (tipicamente, smart Tv). Mediamarket, inoltre, sta studiando il lancio di ulteriori servizi.
Come è stata accolta la novità dai clienti? A detta del Cio, con entusiasmo. “Nonostante il servizio non sia stato pubblicizzato con particolari azioni di marketing, abbiamo notato con piacere che il numero dei clienti registrati è costantemente cresciuto nel tempo. E questo conferma come i punti vendita oggi si configurino come ambienti in cui la connettività è un valore aggiunto, che può aiutare a comprendere meglio le caratteristiche di un prodotto o semplicemente a reperire informazioni in tempo reale. Insomma, un valore di trasparenza”, commenta Luminoso. “La scelta di Brocade”, specifica ancora il Cio, “deriva dalla nostra necessità di implementare questo servizio con una logica estesa, scalabile e sicura, e con la possibilità di far convivere fra loro reti con profili di sicurezza diversi. Il tutto senza limitare la libertà di gestione delle reti, che in parte è amministrata attraverso componenti installate nei negozi e in parte è centralizzata”. In futuro, oltre alle funzionalità già sfruttate, la copertura WiFi potrà essere utilizzata – per ora lo è, come sperimentazione, in alcuni negozi – per erogare servizi informativi via mobile: per esempio, attraverso QRcode posti sugli articoli in vendita, che previa scansione riproducono sul device del cliente schede tecniche o filmati. OTTOBRE 2013 |
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ECCELLENZE.IT | Leroy Merlin
Clienti fai-da-te? Sì, ma con il supporto di servizi It gestiti I Colt Optimum Services hanno permesso alla catena di ipermercati del bricolage di migliorare la disponibilità e l’affidabilità del proprio sistema informativo. A tutto vantaggio del servizio clienti. LA SOLUZIONE Leroy Merlin ha adottato i Colt Optimum Services per supportare le sue applicazioni mission-critical. Il servizio cloud di classe aziendale, fornito da uno dei data center italiani di Colt, offre un ambiente scalabile per sostenere le crescenti esigenze delle linee di business. La soluzione comprende, inoltre, funzionalità di storage e backup al fine di garantire la business continuity e un ambiente di “colocation” aggiuntivo.
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suoi prodotti sono l’esaltazione del “fai-da-te”, ma nel punto vendita il cliente non può essere lasciato solo. Leroy Merlin si è affidata a Colt per migliorare il proprio sistema It e, dunque, l’accesso alle informazioni sui prodotti da parte dei dipendenti dei suoi punti vendita italiani. Con un doppio scopo: da un lato, potenziare la customer satisfaction e la fidelizzazione; dall’altro, sgravare il reparto It da compiti di routine, consentendogli di dedicarsi ad attività più strategiche come lo sviluppo di nuovi prodotti. Il punto di partenza, per Leroy Merlin, era la necessità di migliorare la disponibilità e l’affidabilità del sistema, in modo da eliminare le interruzioni di servizio e, dunque, offrire un’assistenza clienti più puntuale. Un elemento importante, quest’ultimo, specie considerando che chi si reca in uno dei 47 ipermercati del bricolage della catena, situati fuori dai centri cittadini, lo fa solitamente con l’intenzione di acquistare. In uno scenario di mercato molto competitivo,
il valore aggiunto di addetti alla vendita pronti a fornire dettagli su prodotti, materiali, procedure di montaggio e disponibilità degli articoli non era certo un dettaglio da trascurare. “La fidelizzazione dei clienti e la nostra reputazione dipendono dall’affidabilità del reparto It”, spiega Sergio Casado Castejón, technology and innovation manager di Leroy Merlin. “I clienti comprano direttamente dai nostri punti vendita. Se non possono accedere alle informazioni sui prodotti, potrebbero non rivolgersi più a noi in futuro”. Colt, dunque, è stato identificato come il fornitore che poteva garantire la migliore combinazione di diversi fattori: una solida connettività di rete, un’infrastruttura It flessibile, data center nazionali ed esperienza nei servizi gestiti. “Dopo aver condotto un’indagine interna”, prosegue il manager, “ci siamo resi conto che necessitavamo di un servizio It completamente gestito e controllato da un team dedicato e competente. In Colt abbiamo trovato un fornitore spe-
cializzato con le giuste capacità di rete e infrastruttura, in grado di assicurarne una gestione più efficiente e conveniente sul piano dei costi”. “Abbiamo creato una soluzione flessibile che Leroy Merlin può facilmente scalare in base all’evoluzione delle esigenze aziendali”, spiega Mimmo Zappi, regional general manager di Colt Enterprise Services. “Il personale può ora accedere in qualsiasi momento alle informazioni di cui ha bisogno per servire i clienti. È essenziale che il reparto It sia in grado di concentrare le proprie risorse sulle iniziative strategiche dell’azienda e sull’aumento del volume d’affari”. Il prossimo progetto è già in pista: insieme a Colt, Leroy Merlin sta creando un cloud ibrido che servirà a supportare una nuova iniziativa di e-commerce. “Credo che il futuro ci riservi l’outsourcing dei data center”, conclude Casado Castejón, “e ci spinga a concentrare l’attenzione sui dati per rispondere alle mutevoli esigenze dei clienti e per sviluppare nuove applicazioni”. OTTOBRE 2013 |
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ECCELLENZE.IT | Impresa Pizzarotti
il cantiere allarga la banda Grazie alla soluzione Steelhead di Riverbed per l’ottimizzazione delle Wide Area Network , l’impresa di costruzioni ha incrementato le prestazioni della propria rete dati senza investire in costose infrastrutture.
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mpegnata nella costruzione di grandi opere pubbliche e private, Impresa Pizzarotti muove un giro d’affari che sfiora il miliardo di euro e conta su una forza lavoro di circa 2.500 dipendenti. Il quartier generale è a Parma, ma gli uffici sono dislocati in oltre 20 Paesi tra Europa, Africa e Medio Oriente. Si tratta quindi di un’organizzazione piuttosto complessa, considerando anche il fatto che i cantieri hanno una durata limitata e che spesso sorgono in aree con infrastrutture scarse o addirittura assenti, con grossi problemi di prestazioni in termini di connettività. “Molti dei nostri dipendenti presenti nei cantieri utilizzano applicazioni ospitate nel quartier generale di Parma o applicazioni SaaS (Software-as-a-Service) presenti in cloud,” spiega Augusto Lambertino, responsabile It di Pizzarotti. “La loro attività si basa spesso su AutoCad, i cui file sono per loro natura estremamente pesanti, su posta elettronica e su applicativi documentali come Emc Documentum. La mancanza di connessioni a banda larga implicava rallentamenti nell’apertura di file e nell’esecuzione delle applicazioni, causando notevoli perdite di produttività.” Tuttavia, la soluzione più ovvia, cioè un incremento di banda, per Pizzarotti non è sempre un’opzione percorribile. “Se i cantieri sono situati in Paesi dove le linee dati a larga banda sono scarse o i collegamenti in fibra ottica non sono disponibili,” spiega Lambertino, “bisogna per forza trovare un’alternativa al potenziamento delle linee. Inoltre, i nostri cantieri sono temporanei (durano in media tre anni), e questo rende antieconomico un investimento ad hoc per portare le linee veloci nelle zone in48
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teressate.” Serviva insomma una soluzione efficace ma dal costo sostenibile, ecco perché i tecnici di Pizzarotti, coordinati da Lambertino e affiancati dal partner LongWave, un system integrator con sede a Milano, si mettono alla ricerca della migliore tecnologia di ottimizzazione delle Wan (Wide Area Network), le reti a lunga distanza. Dopo una serie di test pilota eseguiti su due location distanti (per mettere alla prova le architetture nelle condizioni più critiche è stato scelto il cantiere siciliano dell’autostrada Catania-Siracusa, connesso alla sede di Parma), Pizzarotti e LongWave selezionano la tecnologia Steelhead di Riverbed, costituita da appliance dedicate. “I file che prima rcihiedevano alcuni minuti per il trasferimento con la tecnologia Riverbed impiegano ora pochi secondi”, dice Lambertino, “con un vantaggio in termini di banda valutabile in circa l’80%”. L’ottimizzazione delle comunicazioni tra le sedi non coinvolge solo quelle dotate delle nuove appliance Riverbed, ma si ripercuote su tutta la rete, con un miglio-
ramento percepito dagli utenti in termini di velocità di risposta e produttività, soprattutto nelle sedi più grandi. LA SOLUZIONE I dispositivi Steelhead di Riverbed rappresentano una soluzione integrata per le esigenze di ottimizzazione delle reti aziendali di tipo Wan, e possono essere utilizzati dove le infrastrutture di trasmissione sono carenti, oppure dove le prestazioni sono un fattore critico per l’azienda. Steelhead consente anche di controllare in modo più efficace il traffico dati, semplificando il compito degli uomini del reparto It grazie a un’interfaccia basata su Web da cui è possibile gestire le attività di rete. Riverbed ha realizzato anche il software Virtual Steelhead, destinato ai data center dove risiedono risorse virtualizzate in ambienti VMware e Microsoft Hyper-V, e una versione mobile, in grado di accelerare le prestazioni degli utenti di computer portatili.
ITALIA ITALIA DIGITALE DIGITALE |
L’Agenda un anno dopo Sarà la volta buona? Il pacchetto di misure per digitalizzare la Pa è ancora sulla carta. La nuova ricetta preparata dal supercommissario Francesco Caio promette una revisione sostanziale dell’architettura della macchina pubblica. Lavorando sul software e le nuove tecnologie
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Agenda Digitale non è un insieme di progetti ma “un percorso verso la creazione di uno Stato più efficiente, che sia leva di competitività e di rilancio dell’occupazione e che, allo stesso tempo, offra servizi evoluti a cittadini e imprese”. Parole di Francesco Caio, il manager chiamato dal premier Enrico Letta per pilotare l’attuazione del documento divenuto legge il dicembre scorso con l’approvazione del Decreto Crescita 2.0. Ricordato “doverosamente” che la governance dell’Agenda è ora 50
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in capo alla presidenza del Consiglio, è forse buona cosa ribadire quali siano, nel piano di Caio, le priorità. E cioè anagrafe unica dei cittadini (che verterà su una logica di servizio in cloud), identità digitale e fatturazione elettronica. Per quest’ultima voce è stato emesso a giugno il decreto attuativo che ha dato il via alla sperimentazione. L’ex manager di Olivetti e Omnitel, e attuale amministratore delegato di Avio, dovrà lavorare in team con ministero degli Interni, Sogei, Istat, Comuni, Regioni e, naturalmente, con
l’Agenzia Digitale guidata da Agostina Ragosa. Se riuscirà a dare una vera accelerazione al Paese, costruendo le fondamenta digitali della Pa, lo sapremo fra 8-10 mesi (l’estate prossima, insomma), scadenza che lo stesso Caio si è dato per il suo mandato. La questione dei fondi
Una delle spine che hanno condizionato l’Agenda in tutti questi mesi sono le risorse finanziarie necessarie per rendere esecutivi i provvedimenti definiti sulla carta. Dove pescare i fondi, in un
momento ancora estremamente difficile per le casse pubbliche? Il nuovo supercommissario ha una visione aperta del problema, che va oltre le alchimie (sempre di moda) con le quali si destinano denari per coprire questa o quella voce di spesa (vedi il ricorso alla Legge di Stabilità per recuperare 20 milioni di euro sottratti alla banda larga). L’obiettivo di Caio sono i soldi di Horizon 2020, e cioè gli 80 miliardi di euro che l’Unione Europea stanzierà nei prossimi sette anni per l’innovazione dei Paesi membri. L’Italia saprà “meritarsi” parte di questi fondi, facendosi trovare pronta quando sarà il momento di assegnarli? E come ripartirà (il governo) i 30/35 miliardi di fondi strutturali comunitari da cofinanziare nel periodo 2014-2020? Quante di queste risorse saranno impiegate per migliorare lo status digitale dei processi della pubblica amministrazione? Nei progetti di Caio, l’implementazione dei servizi digitali è una condizione essenziale per favorire l’innovazione e migliorare la vita operativa delle imprese. Il sistema Italia è in grado di recepire questi dettami? Oggi i sistemi delle varie Pubbliche amministrazioni sono poco interoperabili. Non parlano tra loro e non si scambiano dati. L’identità digitale è, in tal senso, un tassello fondamentale per riorganizzare il modo in cui si accede telematicamente agli enti pubblici; la fatturazione elettronica va vista invece (secondo il Caio pensiero) come una strada obbligata per mettere in campo strategie di spending review basate su dati certi e trasparenti (lo Stato deve avere in real time i dettagli dei propri debiti) e aumentare il livello di servizio verso le imprese. Gli interventi di natura tecnologica
Mettere le mani sull’infrastruttura software della Pa può servire a razionalizzare, a cascata, anche quella hardware. La costruzione dei nuovi data center, tre o quattro di alto livello al posto delle migliaia di Ced (Centri elaborazione
Il piano operativo dell’Agenzia Un’infrastruttura pubblica – reti, data center e sistemi di sicurezza - di classe enterprise. Questo deve essere il motore della nuova Pa al digitale, così come prevede l’Agenda rivista a quattro mani da Francesco Caio e dall’Agenzia per l’Italia digitale diretta da Agostino Ragosa. Le azioni che saranno messe in campo nei prossimi mesi sono finalizzate all’attuazione dei vari provvedimenti (a cominciare da quelli battezzati come priorità, e cioè anagrafe unica, fatturazione elettronica e identità digitale) e, più strategicamente, a collegare il cosiddetto Sistema pubblico di connettività con le reti territoriali realizzate dagli enti locali. Il primo passo sarà quello di ridurre a un massimo di 30/40 le strutture di data center in attività, un progetto di consolidamento ed efficientamento previsto sia a livello regionale che centrale e che punta a dare vita a centri dati altamente interoperabili a livello fisico e logico. Gli interventi sui sistemi informativi, più in dettaglio, saranno ispirati al tema degli open data, e quindi a dati di qualità accessibili all’utenza privata (cittadini e imprese) secondo regole standard.
dati) attualmente in esercizio, sarà guidata dai servizi che dovranno erogare. Cloud e banda larga sono in quest’ottica elementi imprescindibili, fermo restando che sarà decisiva a monte l’opera di consolidamento delle infrastrutture fisiche e ancora prima l’analisi dell’architettura “logica” dei sistemi della Pa. Caio ha parlato a varie riprese di adozione di standard comuni per le strutture di dati e metadati (gli “open data”): se riuscirà a far passare questo concetto, un grande passo in avanti “culturale” sarà stato fatto. Le variabili che gravano sul nuovo corso dell’Agenda rimangono però tante.
Sul tavolo dell’Agenzia c’è quindi la questione della spesa in informatica delle pubbliche amministrazioni centrali e locali, che oggi oscilla tra gli 8 e i 10 miliardi di euro con risultati che lo stesso Ragosa ha definito “assolutamente non all’altezza delle aspettative”. Lo sforzo sarà quindi quello di rendere più efficientare l’attuale sistema e riqualificare gli investimenti, chiedendo alle Regioni piani di spesa integrati con quelli della Pa centrale e creando un catalogo dei servizi digitali di facile accesso. Sul fronte della formazione, invece, sono partiti i lavori per un piano nazionale dedicato alla cultura digitale che coinvolga scuola, cittadini e imprese: l’obiettivo ultimo è quello di sviluppare competenze professionali oggi carenti. I progetto si ricollega, infatti, a un allarme lanciato dall’Unione europea circa il possibile gap di un milione di occupati nei settori legati all’It, stimato nei prossimi anni. Quanto ai fondi necessari per finanziare la creazione della nuova infrastruttura, l’Agenzia fa affidamento sui circa 30 miliardi di euro previsti per l’Italia da Horizon 2020 e su partnership pubblico-privato.
A cominciare dal ruolo operativo delle Regioni nel percorso di attuazione dei provvedimenti, per cui si profila un dialogo più stretto fra gli enti periferici e l’Agenzia per l’Italia digitale sul tema dei fondi strutturali. Definire un’architettura di riferimento cui la Pa digitale deve tendere e i piani di medio periodo che servono per arrivarci è per Caio il punto di partenza; un beneplacito a questo modello è arrivato dal commissario Ue per l’Agenda digitale, Neelie Kroes. Peccato che a distanza di un anno si parta, come spesso capita, daccapo o quasi. Gianni Rusconi 51
ITALIA DIGITALE | Innovazione
Smart working, l’altra faccia dell’azienda digitale Telelavoro, dispositivi mobili e soluzioni cloud potrebbero far risparmiare 37 miliardi di euro alle imprese italiane.
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e aziende cercano maggiore competitività grazie alle nuove tecnologie? È un dato di fatto. L’adozione di modelli di lavoro “smart” e l’impiego di soluzioni Ict possono aumentare la produttività delle imprese per 27 miliardi di euro e ridurne i costi fissi per 10 miliardi. È una proiezione espressa dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, che evidenzia come, anche su questo fronte, l’Italia sia in ritardo rispetto ai principali Paesi europei nonostante il numero dei telelavoratori stia crescendo (dell’8% in un anno). Le aziende favorevoli all’uso dei device personali dei dipendenti per scopi lavorativi saranno una su tre, il 33%, nel 2015.
Le tecnologie abilitanti
Questo tipo di contesto potrebbe regalare nuova linfa vitale alle imprese italiane sotto forma di maggiore produttività (mediamente del 5,5%) e minori costi di gestione. L’assunto dello studio, che ha interessato circa 600 aziende e mille utenti business, è nella sostanza molto semplice, ma trova scarsi riscontri nella situazione reale. Eppure, per generare diversi miliardi di euro di saving nel sistema aziendale italiano, basterebbe allineare il ricorso al telelavoro ai livelli dei Paesi avanzati, tagliare dello 0,5% le trasferte inutili grazie a strumenti di Web e video conferenza, e rendere più efficienti i processi con i device mobili e il cloud. Proprio il computing a nuvola, secondo Mariano Corso, responsabile 52
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scientifico dell’Osservatorio Smart Working, “è uno strumento abilitante fondamentale, in quanto attraverso la Rete è possibile offrire informazioni ovunque e di conseguenza permettere al dipendente di accedere ai dati senza la necessità di essere in azienda. Oltre al cloud, sono comunque altrettanto importanti il sistema di consumerizzazione di dispositivi e strumenti digitali, comprese le applicazioni mobili personali, le soluzioni di unified communication & collaboration e tutto il social networking”. Fa specie rilevare, in ottica “bring your own device” come il 92% dei lavoratori oggetto di indagine si dichiari non completamente soddisfatto dei propri strumenti informatici, e come il 64% ritenga di possedere dispositivi personali (Pc, smartphone e tablet) migliori di quelli forniti dall’azienda. Il gap culturale e organizzativo
Allo stato attuale l’Italia è in ogni caso indietro nel processo di adozione di modelli di “smart working”. Nel 2013 la percentuale di chi lavora a distanza per oltre un quarto del tempo è pari a solo il 6,1%, per quanto siano uno su quattro gli addetti che hanno svolto (anche solo occasionalmente) mansioni professionali da casa. Un limite, a detta di Corso, causato da “una normativa pesante e restrittiva, da una visione miope e rigida nelle relazioni industriali e da una cultura del lavoro pesantemente gerarchica”. E a frenare il percorso d’innovazione a livello organizzativo c’è, inoltre, la forte presenza di imprese medio-piccole, con modelli di lavoro ancora molto tradizionali: la flessibilità dell’orario è presente nel 25% delle Pmi (rispetto al 75% delle grandi aziende, che prestano
Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working
anche maggiore attenzione alla revisione degli spazi operativi) ma viene offerta a tutti i dipendenti solo nel 10% dei casi. È solo un problema culturale o manca ancora l’infrastruttura di base (banda larga, soluzioni as a service…) per supportare tale cambiamento? Secondo Corso, “l’assenza della banda larga in molte aree geografiche del nostro Paese limita fortemente il telelavoro ed esiste, dunque, un problema di digital divide che bisogna colmare. A questo aspetto va aggiunto il fatto che, in alcune aree e in alcuni settori, si utilizzano ancora modelli organizzativi obsoleti, da rivedere”. I benefici potenziali derivanti dall’adozione di modelli di “smart working” sono, in conclusione, evidenti (oltre che tangibili) ma richiedono un intervento coordinato e coerente sotto il profilo organizzativo e tecnologico. Esempi? Mars Italia e Tetra Pak, le aziende vincitrici dell’edizione 2013 dello Smart Working Awards. Piero Aprile
ITALIA DIGITALE | Start up
A Berkeley va di moda L‘HI-TECH made in Italy Tra le finaliste della Intel Global Challenge anche Tensive, premiata per i suoi biomateriali per la rigenerazione di ossa e tessuti, e Sem+, start up pioniera nei sensori basati su interfacce tattili.
Alessandro Tocchio e Federica Destro di Tensive
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em+ e Tensive: due realtà italiane in una lista di 23 start up che si sono meritate la finale della Intel Global Challenge, iniziativa giunta alla nona edizione che il colosso di Santa Clara celebra presso la Haas School of Business dell’Università della California di Berkeley. Quest’anno in lizza c’erano oltre 18mila partecipanti provenienti da 60 Paesi e aree geografiche diverse. Le regole di ingaggio erano per tutti le stesse: tecnologie innovative in grado di risolvere le sfide del mondo reale e modelli di business trasferibili dai laboratori al mercato. Tensive, spin-off della Fondazione Filarete di Milano, è una delle realtà che ha vinto la sfida, meritandosi il primo premio nella categoria “hardware and computing” e un assegno da 10mila dollari. Oltre che il contatto diretto con i principali venture capitalist della Silicon Valley. L’innovazione tecnologica, brevettata, che la start up milanese ha portato in California sono i biomateriali: supporti porosi in grado di replicare i vasi sanguigni e rigenerare in modo naturale ossa lunghe e tessuti molli venuti a mancare a causa di osteoporosi, traumi o asportazioni dovute a tumori.
A dar vita a Tensive ci hanno pensato Alessandro Tocchio, 31 anni e Ceo (una laurea in ingegneria fisica e un’esperienza da analista finanziario in un fondo di private equity), Federica Destro (29 anni, economista e advisor di Filarete), Federico Martello, Irini Gerges e Margherita Tamplenizza. A Berkeley è arrivata anche Sensing ElectroMagnetic Plus, Sem+, realta nata in seno ai laboratori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Itt di Genova e già distintasi a giugno nella tappa europea di Dublino della Intel Business Challenge. Fondata da Silvano Furlan, Alessandro Levi e Matteo Piovanelli (tutti tra i 28 e i 31 anni), questa start up sviluppa e commercializza una nuova tecnologia (anch’essa brevettata) che introduce la terza dimensione nei sensori basati su interfacce tattili. Un sistema,
in parole povere, capace di rilevare la posizione e la pressione di contatti multipli su una superficie, anche se questa è curva o flessibile. Applicata ai dispositivi elettronici di consumo, la tecnologia di Sem+ promette un’interazione più naturale tra gli utenti e i dispositivi stessi. A vincere a casa Intel è stato invece Mobile Monitoring Station, progetto messo a punto da un team composto da studenti cileni ed esponenti della società di ricerca ingegneristica SoluNova, dell’azienda mineraria Coldeco e dell’Università del Cile. Dal loro ingegno sono nati sensori portatili che raccolgono in tempo reale i dati biomedici (come la frequenza cardiaca) degli operai e li trasmettono verso smartphone e altri device collegati a una piattaforma cloud. Piero Aprile 53
ITALIA DIGITALE | Start up
Un modello italiano per crescere Il segretario generale di Italia Startup, Federico Barilli, spiega perché il Belpaese può vincere la scommessa delle giovani imprese innovative. A patto che i diversi attori coinvolti si parlino fra loro e che il Governo faccia la sua parte.
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n un recente discorso al Senato il presidente del Consiglio Enrico Letta, annunciando il taglio del cuneo fiscale per aziende e lavoratori, ha promesso sgravi per le start up innovative. Un'importante dichiarazione di intenti in chiave di “new company” tecnologiche, subito fatta propria dall’associazione Italia Startup (a oggi forte di 380 membri tra cui 100 neoimprese, 15 incubatori e 21 aziende) e dal Ministero per lo Sviluppo economico. Dalla prima, in collaborazione con il Politecnico di Milano e Smau e con il supporto istituzionale del Ministero, nascerà il progetto “The Italian startup ecosystem: who’s who”. Di che cosa si tratta? Di un’iniziativa di carattere permanente che vuole scattare una fotografia quali-quantitativa aggiornata dei principali attori dell’ecosistema delle startup nel nostro Paese. Un progetto di mappatura che verrà tenuto a battesimo proprio in occasione del Salone delle tecnologie milanese, in programma dal 23 al 25 ottobre.
Creare un modello tutto italiano
A Federico Barilli, segretario generale di Italia Startup, abbiamo chiesto di entrare nel merito del progetto partendo da una “vision” che lo stesso ex direttore di Assinform e di Confindustria Digitale ha cercato di sostenere e portare avanti in questi ultimi mesi, e cioè quella di un’Italia “start up nation”. Un progetto fattibile? Sì. “Il nostro Paese ha un humus imprenditoriale importante – 54
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spiega il segretario a Technopolis – ma è necessario che si parlino, di più e meglio, giovani neolaureati e manager con una lunga esperienza professionale. C’è un numero significativo di professionisti che guarda a nuove iniziative e una buona metà di queste è indirizzata al settore tecnologico”. Ma quante sono le start up oggi in Italia? Quelle inserite nel registro imprese alla voce “innovative” delle camere
di commercio sono circa 1.200 (vedi il box a pag. 53); l’universo di aziende “certificate” (e cioè finanziate da fondi, venture, capitali privati o incubatori) che da subito faranno parte dell’Ecosystem dovrebbe annoverare qualche centinaio di realtà in tutta Italia. Realtà che nascono, conferma Barilli, “da contesti e settori diversi, dal turismo al mondo del food per arrivare ovviamente a quello digitale, che risulta essere fra i più
Federico Barilli segretario generale di Italia Startup
dinamici in relazione al fatto che i costi di avvio d’impresa sono fra i più bassi. Il digitale è però per contro uno dei segmenti a maggiore complessità”, perchè spesso i progetti affogano nel calderone delle app sviluppate su scala globale. L’idea di Italia Startup per ovviare alle difficoltà di “incubazione” e di crescita delle nuove iniziative d’impresa è semplice: mettere in relazione industria e giovani imprese che possono e devono poter contare sull’apporto di ultra 35enni (la cancellazione del precedente limite di età per le start up è secondo
l’associazione una sorta di atto dovuto). L’obiettivo? Valorizzare le eccellenze. Attraverso un modello che non può essere quello americano, dove la quota di fondi destinati a una start up è mediamente 10 volte superiore a quella italiana (20 milioni di dollari rispetto a due). “Va creato - spiega Barilli - un modello di tipo exit industriale, che sappia ripetere l’esperienza di successo delle nostre multinazionali tascabili. L’industria, di qualsiasi filiera, deve credere nella start up alimentandone la crescita sotto il profilo del business e rispetto a una logica di servizio. Poi, eventualmente, si può parlare di merger o acquisizione. Ma la società innovativa deve rimanere nella sostanza indipendente”. E come la mettiamo con l’elevata (eccessiva?) mortalità delle nuove imprese innovative? “Un dazio che va messo in conto”. Un “to do” che non può aspettare
Coinvolgere il mondo industriale nel sostegno alle start up con incentivi in una logica B2B; rivedere l’aspetto normativo per ciò che concerne contratti
di lavoro e agevolazioni fiscali; allargare le iniziative a Regioni e realtà locali; attivare il cosiddetto Fondo dei Fondi. Gli ingredienti per creare vera integrazione tra imprese giovani e imprese mature sono parecchi – Barilli cita fra questi anche il “visto” da rilasciare agli stranieri che lavorano per un periodo temporaneo nelle nuove imprese – e fra loro complementari. “Passera (l’ex ministro dello Sviluppo Economico, ndr) ha dato una spinta mettendo la luce dei riflettori su un fenomeno già in essere”, dice ancora il segretario generale di Italia Startup. Che non è particolarmente “tenero” nei confronti delle società Ict: “Sono soggetti che possono dare dei contributi, in termini di sponsorship (come nel caso di Sap, Ibm, Microsoft e altre, ndr) ma non credo siano gli interlocutori preferenziali. Che sono invece le medie aziende manifatturiere italiane, oltre che le Università, quali fucina di nuove competenze e risorse”. Rispetto a una parola chiave: “contaminazione”. Gianni Rusconi
Start up innovative: la carica dei mille Il primo luglio 2013 le società iscritte negli elenchi speciali delle Camere di Commercio (http://startup. registroimprese.it/) erano 937. Ad oggi le start up definite “innovative” sono poco meno di 1.200, ed è un numero destinato ad aumentare rapidamente dopo le ultime modifiche inserite nel Decreto Lavoro, che rendono meno stringenti i requisiti richiesti per accedere alle agevolazioni fiscali previste per questa categoria di imprese. Se i parametri utilizzati per certificare tali aziende suscitano ancora polemiche fra diversi addetti ai lavori (per via della loro presunta approssimatività), è inequivocabile il fatto che sia la Lombardia la regione con il più alto numero di registrazioni
(232 nell’ultimo censimento effettuato, aggiornato al 7 ottobre). Alle spalle di quella che si può considerare la locomotiva delle start up italiane ci sono, più o meno sullo stesso livello, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio e Veneto. In fondo alla graduatoria troviamo invece Molise, Valle d’Aosta e Basilicata, tutte con meno di dieci aziende registrate. Le start up che possono accedere ai benefici della legge sono come detto potenzialmente moltissime e secondo il titolare dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, potrebbero toccare quota 2mila entro la fine dell’anno. Lo stesso ministro ha varato di recente un decreto che mira ad agevolare l’accesso al Fondo centrale di garanzia per le
piccole e medie imprese anche alle startup innovative e agli incubatori certificati. Il decreto fissa in 2,5 milioni di euro l’importo massimo garantito per ogni nuova società o incubatore e copre fino alla misura dell’80% il debito assunto dalla neoimpresa. Un allargamento, in poche parole, delle garanzie sui finanziamenti erogati da banche, società di leasing o altri soggetti, allargamento che però difficilmente, secondo alcuni esperti, potrà contribuire alla nascita di iniziative. In compenso, l’Italia è il primo Paese in Europa a dotarsi di un regolamento ad hoc (previsto dal decreto Crescita 2.0) per il crowdfunding, la raccolta di capitali online per le start up. 55
OBBIETTIVO SU | iRobot
il miglior amico dell'uomo? il robot Fondata da un gruppo di studiosi del Mit, iRobot è famosa grazie ai dispositivi che puliscono i pavimenti in modo automatico. Ma gli androidi made in Usa vengono impiegati in molti altri settori.
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a vent’anni di storia, anche se non li dimostra. iRobot, società nata in Massachussetts nel 1990 grazie all’iniziativa di tre esperti di robotica, tra cui l’eclettico Colin Angle, è nota in tutto il mondo per i Roomba e gli Scooba, gli automi a forma di disco che puliscono i pavimenti di casa senza bisogno dell’intervento umano. Ma i simpatici domestici digitali sono solo la punta dell’iceberg di un’attività intensa e ad altissimo contenuto hi-tech, che vede l’azienda impegnata a fianco di organizzazioni come la Nasa e il Pentagono. Le “creature” di iRobot vengono infatti impiegate in compiti 56
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delicatissimi, in zone di conflitto o di catastrofi naturali, e spesso permettono di salvare vite umane grazie alla loro precisione e versatilità. Nel 2012 iRobot ha raggiunto un fatturato di oltre 436 milioni di dollari, realizzato con le vendite dei prodotti consumer ma anche con la fornitura di 5mila robot per la difesa e la sicurezza. La tecnologia dell’azienda statunitense è stata utilizzata con successo, ad esempio, per aiutare i soccorritori dopo gli attacchi alle Torri Gemelle, in occasione del disastro ambientale del Golfo del Messico e durante l’emergenza post-terremoto nella centrale nucleare di Fukushima in Giappone.
UN SOLDATO SEMPRE PRONTO Gli impieghi in campo militare sono quelli dove l’applicazione degli automi è più diffusa: permettono di risparmiare vite umane e possono intervenire in condizioni che sarebbero proibitive per i combattenti in carne e ossa. Il robot artificiere è l’esempio più lampante.
dalla presentazione del primo modello a oggi, irobot ha venduto oltre nove milioni di dispositivi per le pulizie di casa.
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grazie a speciali batterie al litio, il robot sottomarino seaglider può operare per dieci mesi nelle profondità degli oceani senza bisogno di essere ricaricato.
anche subacquei Alcuni modelli di automi si muovono con disinvoltura nell'ambiente acquatico. Si tratta dei robot per la pulizia delle piscine Verro e Mirra (qui a destra) e del Seaglider (sopra), che ha permesso di raccogliere dati per importanti ricerche oceanografiche. 58
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ANCHE IN AZIENDA Gli automi non devono per forza essere impiegati in zone di guerra o in ambiente domestico. Molte applicazioni sono utili per coadiuvare l’uomo sia in fabbrica sia in ufficio, come dimostra il sistema iRobot Ava, illustrato in questa pagina.
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OBBIETTIVO SU | iRobot
MAGGIORDOMO DIGITALE La gamma di automi iRobot destinati alle faccende domestiche si è ampliata nel corso degli anni, arrivando a comprendere robot per l'aspirazione e per il lavaggio dei pavimenti (Roomba, Scooba e Braava) ma anche per la pulizia delle grondaie, come il Looj (nelle due immagini in alto a destra).
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quella attuale è la settima generazione di robot per le pulizie della casa. dopo la presentazione del primo modello nel 2002 molte aziende di elettronica hanno seguito la strada di irobot, lanciando sul mercato prodotti simili.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE A fianco, un’immagine emblematica dello sviluppo della gamma iRobot. A partire da sinistra, il Genghis del 1991, progettato per l’esplorazione dei pianeti, Ariel del 1996, Packbot del 2001 (utilizzato anche dopo l’attacco alle Torri Gemelle), Roomba del 2002 e Braava, l’ultimo nato.
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IDC Big Data Conference II 2013 Big Data, Big Decisions: sbloccare gli asset informativi per costruire un vantaggio competitivo Bologna, 19 Novembre 2013 Royal Hotel Carlton Il 2013 sta confermando l’enorme interesse nei confronti dei Big Data e delle tante opportunità che una strategia mirata alla loro gestione e analisi può riservare al business e all’IT. Ora però i CIO devono trasformare questo interesse in un progetto concreto, questa grande opportunità in un reale vantaggio competitivo. E’ giunto insomma il momento di agire, e di capire come. Le decisioni e le sfide che la funzione IT deve affrontare non sono in effetti di poco conto. I CIO sono alle prese non solo con l’ormai ‘consolidata’ contrazione dei budget, ma anche con l’esigenza di bilanciare operazioni quotidiane di data management con attività più avanzate di analisi dei dati. E’ indubbio che Big Data e Analytics siano oggi due priorità in cima alle agende di un numero sempre maggiore di manager, ma molti CIO temono che la grande potenzialità dei Big Data di migliorare i processi decisionali e operativi possa essere ridimensionata da livelli di competenza e maturità non ancora adeguati sul fronte delle tecnologie, delle risorse umane, dei processi e dei requisiti del dato.
PUBBLICITA’
OBIETTIVI Nel corso della Big Data Conference II 2013 verranno forniti spunti e risposte a sfide quali: • Valutare il grado di preparazione della propria azienda per affrontare un progetto Big Data • Cogliere le best practice e le raccomandazioni di altre aziende per dimostrare il potenziale dei Big Data e giustificare allocazioni di budget su questi progetti • Identificare le opportunità per utilizzare gli esistenti dati, sistemi e strumenti analitici • Comprendere su quali componenti dello stack infrastrutturale intervenire, e a che costi • Capire come utilizzare e valorizzare le risorse umane interne • Avere una chiara visione di come evolveranno il mercato e le tecnologie Big Data
Per Informazioni Nicoletta Puglisi, Conference Manager, IDC Italia npuglisi@idc.com 02 28457317 http://www.idcitalia.com/eventi/bigdatabo
#IDCBigDataBO13
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app e wifi per diventare smart Uno dei primi passi verso la creazione di modelli definibili come “smart” è stato l’introduzione del WiFi integrato, e oggi per potersi etichettare come dispositivo “cloud-ready” le stampanti devono avere accesso a tutto un mondo di servizi di archivio e gestione nella nuvola. Fra questi, il più noto è Google Cloud Print, in grado di dialogare sia con i device che si collegano direttamente a Internet senza dover essere configurate con un Pc, sia con quelli più tradizionali (utilizzando, in questo caso, il connettore Google Cloud Print in Chrome). I singoli produttori, poi, hanno sviluppato e continuano a migliorare le proprie piattaforme proprietarie per la gestione dei documenti, cartacei e digitali: per esempio Canon con oneFlow, Hp con ePrint e Samsung con l’applicazione Mobile Print. Il passo ulteriore compiuto da alcuni modelli è la certificazione WiFi direct, tecnologia che permette di trasferire file tra due o più dispositivi, ad alta velocità e senza la necessità di un access point. A bordo delle ultime novità di Samsung, inoltre, per la prima volta è comparso l’Nfc, portando nel mondo delle stampanti la semplicità del “tap and share”, inizialmente prerogativa di smartphone e tablet.
2013: la stampa vA sulla nuvola Il dialogo diretto con il cloud e con i dispositivi mobili è ormai un requisito obbligato per i modelli più “intelligenti”. E nessun produttore vuole restare indietro in questo percorso.
L
a chiamavano periferica: un termine che, in riferimento alle stampanti, oggi è sostanzialmente sparito dalla circolazione. Perché questo strumento di lavoro, ancora immancabile in qualsiasi ufficio grande o piccolo nonostante la progressiva smaterializzazione digitale dei documenti, ha smesso di essere un “satellite” che ruota intorno a un dispositivo centrale, ovvero il Pc. Si potrebbe quasi dire che, fra i segnali di quella che è stata etichettata come “era post Pc”, rientri anche l’emancipazione delle stampanti dalla necessità di connettersi e operare soltanto in subordine a un desktop o a un notebook. Tra i modelli di oggi, monofunzione oppure all-in-one, i più avanzati dispongono di connettività WiFi per dialogare senza passaggi intermedi con il cloud e con gli archivi online di file di testo, presentazioni e foto; inoltre, in certi casi
tecnologie più specifiche consentono di inviare input di stampa direttamente dal dispositivo mobile su cui il documento è archiviato, sia esso uno smartphone o un tablet. Con tanto di specifica app installata, per rendere la stampa una questione di attimi, o di tocchi sullo schermo. Inutile sottolineare come l’esplosione della mobilità (secondo stime di Idc, entro il 2015 il 37% della forza lavoro opererà principalmente al di fuori dell’ufficio) abbia accelerato questi progressi tecnologici, rendendoli quasi un passaggio obbligato. La velocità e l’immediatezza dell’interazione touch, sperimentate nel quotidiano, diventano lo standard anche nei luoghi di lavoro, ma ancora di più è significativa la possibilità di accesso ai documenti aziendali in ottica ubiqua e multi-device. E le stampanti si sono date da fare per restare al passo, come dimostra la ricca OTTOBRE 2013 |
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e segmentata offerta proposta dai grandi nomi di questo mercato. Tra le innovazioni più recenti, Samsung ha da poco presentato i primi dispositivi laser con a bordo la tecnologia Nfc, ovvero le monofunzione Xpress C410W (a colori) ed M2022W (in bianco e nero) e le multifunzione Xpress C460FW (a colori) ed M2070FW (in bianco e nero): oltre alle modalità più classiche di produzione delle stampe, è anche possibile ottenerle avvicinando semplicemente uno smartphone o un tablet Android a un tag posizionato sulla periferica. La casa sudcoreana propone inoltre un’applicazione specifica per la stampa mobile tradizionale, Samsung Mobile Print, e ha ottenuto la certificazione WiFi direct, con l’impegno dichiarato di portarla su un sempre maggior numero di modelli destinati ai contesti di lavoro. E mentre Samsung punta con decisione sulla tecnologia laser, Canon rimane uno dei baluardi del getto d’inchiostro con la sua gamma Pixma, recentemente ampliata con le multifunzione per stampa fotografica MG2450, MG2550 ed MG3550, tutti modelli compatti adatti ai piccoli uffici e all’home office. L’ultimo dei tre, in particolare (evoluzione del precedente MG3250), oltre a funzionare come fotocopiatrice consente la stampa
e la scansione wireless da Pc, smartphone e tablet, sia tramite browser, sia attraverso l’app Pixma Printing Solutions, sia connettendosi con la tecnologia AirPrint ai device Apple. Sul fronte software, Canon ha sviluppato una piattaforma per la gestione documentale, la stampa e la scansione di documenti, accessibile anche da mobile; uniFlow, questo il nome, è particolarmente adatta ai contesti business in quanto offre supporto per gli utenti “guest” e può operare sia attraverso reti WiFi, sia reti 3G/4G. Si sale invece di livello, per dimensioni e prezzi, con alcuni dei modelli appena lanciati da Hp, azienda che vanta oggi una base installata di 40 milioni di dispositivi della serie Officejet e LaserJet, a getto d’inchiostro o laser. In quest’ultima categoria spicca la nuova LaserJet Pro M435nw, una multifunzione capace di generare fino a 30 pagine in bianco e nero al minuto e – secondo il range consigliato da HP per l’ottimizzazione del device – dai 4mila agli 8mila documenti al mese. Sui grandi volumi punta anche Lexmark con la sua MS810 Series, in questo caso un dispositivo che pensa soprattutto a produrre documenti cartacei in modo rapido ed efficiente, trattandosi di una monocromatica laser. Il focus è sulle prestazioni: la potenza di
Il GRANDE FORMATO ARRIVA IN UFFICIO Ridurre l’impatto ambientale, “allargare gli orizzonti di stampa” (come recita uno degli slogan) e migliorare l’immagine aziendale. Queste le motivazioni che dovrebbero spingere all’acquisto della Hp OfficeJet 7110, che Technopolis ha potuto provare per qualche settimana. Diciamo subito che la particolarità di questa stampante a getto d’inchiostro è il formato: stampa anche in A3+, una caratteristica che anni fa era decisamente più richiesta ma in cui Hp evidentemente crede ancora, soprattutto per determinati profili
elaborazione garantita da un processore dual-core a 800 MHz fa sì che si possa arrivare alle 70 pagine al minuto e a un volume mensile di 70mila stampe. Tra le innovazioni sottolineate da Lexmark, oltre al supporto mobile, la presenza di un toner che garantisce qualità costante dal primo all’ultimo foglio; molto utile
SAMSUNG Xpress C460FW
HP LaserJet Pro MFP M435VW
EPSON Workforce 4525
Funzioni: stampante, scanner fotocopiatrice, fax Tecnologia: laser Velocità: 4 ppm a colori, 18 ppm b/n Dimensioni: 40,6 x 36,2 x 33,35 cm
Funzioni: stampante, scanner, fotocopiatrice Tecnologia: laser Velocità: 30 ppm b/n Dimensioni: 53 x 45,5 x 41,8 cm
Funzioni: stampante, scanner, fotocopiatrice, fax Tecnologia: laser Velocità: 11 ppm a colori, 16 ppm b/n Dimensioni: 46 x 42 x 34,1 cm
Prezzo: 369 euro
Prezzo: 879 euro
Prezzo: 303 euro
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di clienti nell’ambito delle aziende piccole e medie. La seconda caratteristica notevole di questo modello è il prezzo: intorno ai 200 euro, sicuramente accessibile anche in considerazione del formato di stampa. Non velocissima (la OfficeJet 7110 stampa 15 pagine al minuto in bianco e nero e otto a colori) la periferica si è dimostrata però affidabile e decisamente parca, sia in termini di consumo di inchiostro sia di energia, grazie alle avanzate funzionalità di gestione dell’alimentazione e della stampa. Quello che però fa la differenza, e che potrebbe costituire il principale motivo di acquisto da parte delle Pmi, è la grande facilità di configurazione e di connessione. La 7110
è infatti dotata di connettività WiFi integrata (ovviamente non mancano una presa di rete e una Usb 2.0), che consente di installare e rendere disponibile la stampante a tutti gli utenti dell’ufficio in qualche secondo con pochi tocchi sul semplice pannello
di controllo. Punto di forza di questo modello è anche la stampa diretta da dispositivi mobili (ePrint), senza quindi passare da un personal computer, una caratteristica che, però, richiede un minimo di esperienza in più da parte degli utenti per essere configurata.
nei contesti aziendali è la possibilità di gestire e monitorare le attività dei diversi utenti, eventualmente bloccando l’accesso a dati riservati . Efficienza e risparmio sono anche i plus della WorkForce Pro 4525-DNF di Epson, una all-in-one che promette tagli del 50% sul costo per pagina rispetto alla
media dei dieci modelli laser più venduti, e il doppio di velocità nella stampa fronte/retro. È dotata di fax, connessione Usb ad alta velocità e interfaccia di rete per la condivisione in gruppi di lavoro, ed è compatibile con Epson Connect 7 per la stampa da mobile. Quanto a opzioni di connettività, non sono da meno
le ultime multifunzione di Brother, J6520DW e J6920DW (la seconda è poco più grande per via del doppio cassetto alimentatore di fogli), complete di connettività wireless e via Ethernet, app proprietaria per la stampa da smartphone e tablet, WiFi direct, AirPrint e supporto a Google Cloud Print.
BROTHER MFC-J6520DW
LEXMARK MS810N
Canon Pixma MG3550
Funzioni: stampante, scanner, fotocopiatrice, fax Tecnologia: inkjet Velocità: 27 ppm a colori, 35 ppm b/n Dimensioni: 55,3 x 43 x 24,6 cm
Funzioni: stampante monocromatica Tecnologia: laser Velocità: 52 ppm b/n Dimensioni: 41,9 x 42,5 x 51 cm
Funzioni: stampante (fotografica HD), scanner, fotocopiatrice Tecnologia: inkjet Velocità: 9,9 ppm a colori, 5,7 ppm b/n Dimensioni: 44,9 x 30,4 x 15,2 cm
Prezzo: 269 euro
Prezzo: 659 euro
Prezzo: 72 euro
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pillole digitali
LenovoEmc Px4-300r
Per le aziende medie e piccole e per le realtà distribuite, LenovoEmc presenta un array per lo storage di rete a elevate prestazioni con capacità di 16 TB, in grado di supportare un massimo di 150 utenti. Basato sul sistema operativo LenovoEmc LifeLine 4.0, svolge operazioni di protezione avanzata dei dati e di condivisione dei contenuti, ma anche una serie di altre attività; fra queste, la copia dei dati sul Nas, la gestione della videosorveglianza, funzioni di Active Directory e autenticazione ibrida, oltre alla sicurezza di McAfee Anti-Virus. Il software LenovoEmx System Manager Client, inoltre, permette di connettere al sistema un Pc o un Mac per effettuare il backup/copia dei file, da e verso l’archivio. Il sistema è disponibile anche con configurazioni senza disco o con quattro unità da 1 TB, da 2 TB o da 3 TB ciascuna. Prezzo 3.699 euro (in configurazione top)
PNY PowerPack
Restare senza carica mentre si è in viaggio o in trasferta di lavoro è un rischio che può essere scongiurato anche sottoponendo il proprio smartphone o tablet a utilizzi intensivi. Pny ha 66
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appena presentato una nuova linea di batterie portatili, compatibili con qualsiasi dispositivo digitale dotato di connettore Usb, sia esso basato su iOS, Android, Windows o BlackBerry. Tutti e tre i modelli di PowerPack, con batteria da 7800 mAh, 5200 mAh o 2600 mAh, sono infatti venduti con un cavo Usb da 50 cm incluso in dotazione, e sono compatibili con i cavi Apple; la variante da 2600 mAh, la più compatta ed economica, fornisce l’equivalente di una carica extra, mentre quelle da 5200mAh e da 7800 mAh forniscono, rispettivamente, due e tre cariche extra e altrettante uscite Usb. Racchiusa in un case in alluminio, la batteria è dotata di interruttore on/off e display digitale che mostra il livello di energia rimanente. Prezzo: da 39,99 euro.
Huawei Ascend P6
Questo modello del marchio cinese vanta un primato: è lo smartphone più sottile al mondo, con soli 6,18 millimetri e un peso davvero ridotto, 120 grammi, specie se si considerano le dimensioni di schermo non indifferenti (4,7 pollici) e la batteria da 2000 mAh. All’interno del case in metallo satinato batte un cuore Android, oltre a un processore quad-core da 1,5 GHz, a 2 GB di Ram e a 8 GB di spazio per lo storage, espandibili via microSD. Le funzioni multimediali sono affidate a una fotocamera frontale da 5 megapixel e a una posteriore da 8 megapixel.
Un tratto distintivo è AirSharing, uno strumento che permette di connettersi tramite WiFi a un monitor televisivo, per visualizzare immagini e condividere documenti di lavoro. Prezzo: 399 euro
Motorola Solutions Tc55
Non un semplice telefono, ma un “computer mobile di classe enterprise con l’estetica e funzionalità di uno smartphone”: così Morotola Solutions definisce il nuovo TC55, un dispositivo che serve sì a telefonare, ricevere e inviare email, ma che è soprattutto uno strumento di lavoro per chi opera “sul campo”, anche all’aperto ed esposto alle condizioni meteo, così come per gli addetti alla vendita e al contatto con i clienti. Si tratta, infatti, di un oggetto dall’estetica e dall’esperienza d’uso simili a quelle di uno smartphone, data la presenza di uno schermo touch HD da 4,3 pollici e del sistema operativo Android Jelly Bean. Il T55 è però anche caratterizzato dalla impermeabilità (secondo lo standard IP67) e da una durata della batteria doppia rispetto a dispositivi concorrenti. Il display calibra la luminosità in automatico, mentre l’audio sfrutta un doppio microfono con tecnologia di cancellazione del rumore. Il T55 è in grado di catturare una varietà di tipi di dati, quali codici a barre, firme, documenti, foto e video. Prezzo: fornito in combinazione ai servizi enterprise di Motorola Solutions.
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Disponibilità e specifiche tecniche sono soggetti a modifiche. Foto del prodotto puramente indicativa.
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