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REGISTRAZIONE: Tribunale di Torino n. 40/2011 del 27/6/11
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SPECIAL CHRISTMAS: Un Natale da fine del mondo Luxury Tree | L’eleganza è servita | If you seek style - by Nadia Afragola
THE BEST OF INVESTOMAGAZINE Special collection 2011-2012
by Patrizia Caridi
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Dear Reader... C L
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n attesa del fatidico 21 dicembre vi scrivo un ultimo “Caro Lettore” per questo 2012, nel caso in cui i Maya avessero avuto ragione perlomeno vi avrò salutati come si conviene. Scherzi e Maya a parte, con questo SPECIAL NUMBER vogliamo riproporvi una carrellata di quello che è stato il 2012, offrendovi il “The Best” di ciò che i nostri giornalisti hanno scritto per voi e offrirvi uno speciale su usi e costumi natalizi italiani. Per scelta editoriale, al posto delle classiche pubblicità delle più note aziende e/o prodotti, abbiamo inserito a titolo del tutto gratuito la comunicazione di ONLUS e di società a scopo benefico, questo vuole essere il nostro modo per aiutare chi aiuta per mestiere. Crediamo fortemente che “fare bene fa bene” e se solo ognuno di noi lo facesse quotidianamente, riusciremmo forse ad ottenere la pace nel mondo…d’accordo, forse questo pensiero fa troppo “Miss qualche cosa”, forse ho esagerato… ma sicuramente aiutare gli altri per come si può, fa stare bene chi l’aiuto lo da e chi lo riceve. Non mi rimane a questo punto che augurarvi una buona lettura e in modo molto banale e scontato ma del tutto sincero, vi auguro uno splendido Natale insieme ai vostri affetti più cari, certa che sarà da fine del mondo!
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INVESTOWOMAN
SOMMARIO
Special Christmas Contents
Un Natale da Fine del Mondo •
•
Luxury Tree
L’insostenibile leggerezza del bon ton: tutta una questione di etichetta
•
If you seek style.
by Nadia Afragola
The BestOf a pag. 13
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a pag. 28
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DIRETTORE DI TESTATA Andrea Costa
MANAGER DIRECTOR Patrizia Caridi
SEGRETARIA DI REDAZIONE Maria Maldarizzi
ART DIRECTOR Ilaria Chiesa
PUBLIC RELATION MANAGER Francesca Leone
TEXT TRANSLATOR Fiorella Vacirca
COORDINAMENTO EDITORIALE E PUBBLICITARIO Skarabocchi
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REDAZIONE INVESTO MAGAZINE Via Principi D’Acaia, 59 10138 Torino Tel 0115790282 info@investomagazine.com REGISTRAZIONE Tribunale di Torino n. 40/2011 del 27/6/11
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1. Patrizia Caridi
2. Andrea Costa
3. Maria Maldarizzi
4. Micaela Barisone
34enne calabrese, sposata e madre di due figli. Da grande vuole diventare Miranda Priestly de “Il diavolo veste Prada”, per ora veste Prada, e inseguendo questo sogno firma le nostre interviste!
E’ il Capo dei Capi. Non ha mezze misure e pare che la diplomazia non sia il suo forte, ma quando ce vo’ ce vo’. Pare sia Nordico, ma alla fine predilige i luoghi caldi e con il mare, gli unici che riescono a fargli trovare quella pace interiore che non riesce ad avere in riunioni redazionali! Cura per noi tutto InvesTO Magazine.
Laureata in Lettere e Filosofia, Pugliese nel cuore ma residente nell’alta Savoia con Billy (quello dell’Ikea non Costacurta) e i loro due figli . Si è avvicinata all’ utilizzo del Mac con molta diffidenza. È molto più veloce nell’utilizzare un eloquio aulico che nello scriverlo su una tastiera, ma si sa che ognuno ha i suoi tempi e lei ha sicuramente e per fortuna quelli delle sue origini! Cura per noi la rubrica Mi VesTO!
Giornalista professionista. Ha la giusta dose di dolcezza e di rigore, ama definirsi “Una sportiva da salotto”, parla quattro lingue e per questo motivo ha sempre la valigia in mano, pronta per andare ovunque… Non importa dove, non importa quando, l’importante è andare. Ma da dovunque cura per noi rubriche di costume come InvesTO Wedding!
Writers Staff
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5. Alessandro Meluzzi Nato a Napoli, noto Psichiatra laureato cum Laude.Per InvesTOmagazine firma una delle rubriche più interessanti, legata alla sua esperienza di docente di genetica del comportamento umano, nella quale ci spiega i comportamenti umani in relazione agli investimenti: Psico InvesTO!
7. Massimiliano Sciullo 6. Pietro Genuardi Preso in prestito alle Soap Opera si è rivelato oltre che un appassionato di Arte Contemporanea un Pubblicista molto amato, viene definito in redazione “Il Maliardo” e oltre a far sognare le donne della nostra redazione fa vivere percorsi sensoriali agli amanti dell’arte contemporanea nella rubrica InvesTO Art!
33 anni e radici che affondano più o meno in tutta la Penisola. Piacevolmente stupito dal fatto che, nonostante due figli compresi tra i due e i 24 mesi d’età, ci sia ancora tempo per fare il giornalista. Ex giocatore di pallacanestro e juventino, molto irrimediabilmente dipendente dal fantacalcio, non fa nulla per curarsi. Scrive per noi la rubrica InvesTO Building!
8. Marco Sodano
9. Andrea Scarpetta
10.Valentina Polidori
11. Nadia Afragola
Giornalista, caporedattore Economia de “La Stampa”. Pare che faccia colazione con Pane e Spread. Cura per noi la rubrica InvesTO Banking!
Piero Chiambretti docet: Scarpetta potrebbe essere una ballerina, un’usanza tribale per il recupero del sugo, invece è uno stimato professionista del muscolo dai modi gentili. E’ il punto di riferimento di uomini e donne di tutte le età, è molto bravo ad ammaliarti facendoti sembrare un colosso quando sei un tappo e una super sventola quando si fatica a capire il sesso. Atletico e psicologico, Scarpetta rischia di diventare un numero uno. Firma per noi InvesTO Fitness.
Laureata in Scienze della Comunicazione, specializzata come addetto stampa, padroneggia correttamente tre lingue: l’inglese, il sarcasmo e l’ironia. Nata a Roma, capisce ancor prima di camminare che il suo primo amore è la scrittura. Il secondo la moda. Li coniuga per voi nella rubrica Style TO Woman.
Classe (non è dato saperlo), pubblicista professionista, ex arbitro F.I.G.C. , orientamento politico: nè di qua nè di la e neppure in mezzo. E’ diventata allergica ai consigli e refrattaria ai giudizi. Convinta che nessuna causa è persa finchè ci sarà un folle a combatterla.
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12. Francesca Leone Leone di Nome, astrologicamente Capricorno.. e ne rappresenta in tutto e per tutto le caratteristiche! E’ colei che si occupa del rapporto con le varie direzioni Marketing. Metodica e Professionale è una persona fortemente orientata ai risultati e allo sviluppo del business aziendale e ha ottime capacità relazionali.
13. Lodovico Poletto Un giornalista h24, è l’unico che riesce a darci il giusto incipit su cosa fare per trasformare una semplice passione, il collezionismo, in un ottimo investimento. Cura per noi la rubrica InvesTO Collection!
14.Ilaria Chiesa
15. Mister X
Nonostante la sua giovane età ha una preparazione tale che riesce sempre a trasformare in immagini vincenti le idee del team di Investo Magazine. E’ in corso d’opera la preparazione di un format televisivo sulle vicissitudini della nostra redazione, tutta al femminile!
Un punto interrogativo come la vita... del doman non v’è certezza, se i Maya lo consentiranno il nostro nuovo inserzionista sarà... (lo scoprirete nella prossima uscita)
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Special Christmas Special Christmas
Un Natale da Fine del mondo!
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SPECIAL CHRISTMAS
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SPECIAL CHRISTMAS by
Nadia Afragola
Luxury Tree! “
“Non preoccuparti della dimensione del tuo albero di Natale. Agli occhi di un bambino sono tutti alti 10 metri” lo diceva il compositore statunitense Larry Wilde e come dargli torto ma ci sono le favole per adulti, l’imponenza tipica del mondo dei grandi che alle volte prende il sopravvento. E le donne, loro immancabili, sempre in prima fila a dettare le tendenze, a inseguire i must have, a crogiolarsi nei migliori dei vizi e dei capricci mai concessi. E quale donna non vorrebbe potersi permettere nel salone di casa l’albero di Natale che svetta nella hall dell’Emirates Palace Hotel? Parliamo dell’albero più costoso al mondo e non poteva che essere arabo: 11 milioni di dollari (8,3 milioni di Euro) decorato con oro, diamanti e zaffiri. Artificiale, alto 13 metri e completamente addobbato con gioielli (ben 131) forniti per l’occasione da Khalifa Khouri, proprietario della Style Gallery di Abu Dhabi. Questo il sogno di ogni donna che si rispetti. Le stesse palline sono d’oro e diamanti, in questo albergo a 7 stelle dotato di ogni confort che si possa anche solo immaginare. Uno su tutti? Il distributore au-
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SPECIAL CHRISTMAS
Alessia Minuco
Alessia Minuco
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[Gli alberi di Natale dei nostri lettori...]
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re a New York per ammirare il grande albero che illumina il Rockefeller Center, nella Grande Mela, passando magari prima dalla futuristica Tokio che il suo albero più grande lo proietta sul grattacielo del Grand Prince Hotel Akasaka. Per rimanere in tema di vette il più alto è issato nella Praça do Comércio, a Lisbona. I suoi 75 metri, superano di gran lunga quegli amati 10 metri che renderebbero felice ogni bambino. Tra i più ammirati e sicuramente di classe quello di Parigi nella Galeries Lafayette, insediato da vicino quanto a ricercatezza solo da quello realizzato completamente in vetro di Murano dall’artista Simone Cenedese: con i suoi 8.5 metri di altezza è l’albero in vetro più grande del mondo. In quanto a calore “umano”, a simbolo riconosciuto da un popolo che di religioso ci mette comunque poco non possiamo non ammirare quello di Washington. Ornato da 3000 luci e decorazioni realizzate da studenti americani e presentato dallo stello Presidente degli Stati Uniti, con la sua famiglia. Un simbolo come dovrebbe essere quest’abete che non a caso rappresenta i 50 Stati degli Usa. Lingotti, oro, record, sfarzo e vette, fantasia e designer: c’è tutto in questi alberi di Natale sparsi nel globo ma sarà solo quello disegnato dal proprio bambino l’albero più prezioso che ogni donna aspetta di ricevere. Siam così, adulti che credono ancora alle favole. Buon Natale.
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tomatico di lingotti d’oro. Chapeau. Ma non è l’unico schiaffo alla crisi. Basta infatti fare un salto alla gioielleria di Ginza Tanaka a Tokio. Lo scorso anno si poteva ammirare un albero di Natale completamente realizzato in oro, alto 8 metri. Sarebbero i 12 chili che ogni donna porterebbe con più facilità a casa. Il suo valore? Circa 2 milioni di dollari. Decorato con 50 orchidee e 60 cuori in oro puro, porta in vetta la parte più preziosa dell’opera: la sola cometa infatti vale 65 mila dollari. L’albero dei sogni è stato realizzato da 15 orafi in 4 mesi e mezzo di lavoro. Questo però accadeva solo lo scorso anno e per il 2012 cosa si saranno inventati? Un albero di Natale extralusso, capace di mettere d’accordo mamme e bambini di tutto il mondo. Si, perché è dedicato ai personaggi più famosi della Disney: 40 chili di oro massiccio distribuiti in 2 metri e mezzo, con 50 personaggi completamente in oro. Da Topolino, a Cenerentola, passando per Winnie the Pooh, Alice, Aladino, Peter Pan, tutti rigorosamente lavorati a mano dagli orafi di Tanaka. Realizzato questa volta in due mesi da 10 orafi aggira il suo calore intorno ai 4.24 milioni di dollari. Per accontentare un estimatore dal palato fine è stata realizzata una mini versione, alta 25 cm, con 20 statuine della Disney al costo di circa 24.439 dollari. In questo caso vale il detto…. “è proprio tutto oro ciò che luccica”. I più romantici potranno sempre vola-
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PUBBLICITÀ
SPECIAL CHRISTMAS by
leggerezza
L’insostenibile del : tutta una questione di etichetta
bon ton
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Nadia Afragola
Chi non ha bisogno di un corrimano che aiuti nella scelta più adatta per vestire a Natale la nostra tavola? Si completa con stile, si decora con eleganza, si serve con classe un pranzo capace di saziare tutti i sensi dei nostri ospiti ma per fare ciò occorre quello charme tipico di chi al bon ton è in grado di accostare dell’innegabile gusto chic. Scegliamo un brand tutto italiano e precisamente con sede a Lumezzane (Brescia) per le nostre posate assolutamente uniche: The Luxury Art by Mepra ha sviluppato alcune incisioni di antichi oggetti preziosi, ricercate trame di tessuti, immagini d’arte contemporanea abitualmente utilizzate nella moda e nei tessuti, ripropo-
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SPECIAL CHRISTMAS
nendoli con estrema ricercatezza in oggetti per la tavola, realizzati in acciaio inox 18/10, decorati a mano con l’abilità tipica degli antichi artigiani. Un tocco di contemporaneità alleggerirà le atmosfere dorate del Natale. In questa direzione è orientata la nostra scelta delle porcellane Urban Nature. Un design ed un’eleganza informale, lontano da classicismi ma quanto mai chic e curato. Per chi invece non riesce a fare a meno delle stelle alla cannella, dei punch all’uovo e delle mele al forno la scelta migliore non potrà che essere Winter Bakery Delight: eccoci al colore del Natale, il rosso. Le porcellane sono premium con motivi di rilievo dall’allegria contagiosa. C’è infine chi opta per un eleganza sontuosa dai toni marroni con tocchi oro. Un grande gusto che traspare dalla scelta della tovaglia color avorio, dei runners verticali, dalla commistione di generi diversi: palline rubate all’albero, pigne, candele (bandite quelle aromatiche anche se vanno tanto di moda: il loro profumo altera quello del cibo), frutta secca e stecche di cannella ad assegnare un posto che sa di presagio. Vincente in questo caso risulterà la scelta delle porcellane dell’azienda tedesca, Villeroy & Boch.
Dulcin in fundo per chi volesse “assaporare” l’arte a tavola uscendo fuori dai soliti canoni può affidarsi alla scultrice Dominique Mosseray che affida a D&M la sua collezione di porcellane dalle forme speciali, quasi abbozzate. La tradizione negli arredi da tavola è quanto mai oggi orientata verso collezioni eleganti, sofisticate ma capaci al contempo di adattarsi a stili diversi. Oltre ai piatti, anche i bicchieri hanno la loro importanza e prima ancora i decanter, dove le migliore “etichette” di vino daranno il via a un brindisi lungo almeno 365 giorni. Noi puntiamo su WMF che realizza in cristallo soffiato a bocca le migliori geometrie per l’ossigenazione del vino: attenzione indiscussa per la forma curva del fondo, necessaria a creare il giusto spazio e per il collo stretto ad agevolare lo sviluppo dell’aroma. Per chi poi volesse fare le cose in grande c’è sempre Riedel, il leader mondiale nel design di calici da vino. Infinite le varianti sul tema che troverete: “Occhio Nero” ed “Eve” i prodotti di maggior successo. Il primo, esponente di spicco della linea Black Tie, si presenta con uno stelo nero in varie forme, impreziosito da una finitura di cristallo nera a sottolinearne il profilo. La caratteristica? Una fessura ovale al centro del decanter, che una volta riempito spicca come un occhio trasparente.
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L’occhio vuole la sua parte sempre, soprattutto quando si ha a che fare con le migliori donne in veste di commensali schizzinose e a volte per soddisfarle bastano pezzi dall’appeal originale mixati in modo sapiente da risultare il dettaglio che fa la differenza. E’ il caso del set di cucchiai da caviale in argento liscio e madreperla, materiale chimicamente inerte che evita qualsiasi trasferimento di sapore. Il tutto per evitare come la tradizione insegna che il prezioso alimento prenda uno sgradevole gusto metallico. Belfiore griffa, i commensali si inchinano. L’arte culinaria rende ogni provetto cuoco, rinomato chef come i miti moderni che pullulano mai come in questi mesi in librerie, sul piccolo schermo, nell’etere, al pari dei vip dello star-system. Bene. Vero, tutto vero ma se è vero che mangiar bene è una delle bellezze della vita, non dimentichiamoci di vestirlo a festa con qualche etichetta ben selezionata e quell’insostenibile leggerezza… tanto cara a Milan Kundera.
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Eve sempre in cristallo lavorato a mano e soffiato a bocca ha la originalissima caratteristica di avvolgersi su se stesso, facendo compiere al vino un percorso più “insidioso”. E’ lungo più di mezzo metro ed emette un suono che ricorda il sibilo del cobra reale. Il rinomato casato di prestigiosa cristalleria austriaca, potrete inoltre andare a trovarlo direttamente presso la loro sede a Kufstein per la migliore delle degustazioni enogastronomiche. La tavola delle feste, piena di tentazioni culinarie e tanti occhi che guardano e giudicano non può fare a meno dei Ligne Roset, Pythagore, design Alexandre Gaillard. Parliamo dei flûte da champagne in vetro soffiato a bocca, con una forma speciale a piramide capovolta. “Quando un uomo dice di no allo champagne, dice no alla vita” a dirlo era Robert De Niro ne “Il cacciatore” e noi amiamo assecondare i talenti. Sempre.
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SPECIAL CHRISTMAS “È così difficile stare dentro le scarpe di una donna sola. Per questo ne servono di veramente speciali. Per camminare un po’ più allegramente” lo diceva Carrie Bradshaw, protagonista e voce narrante di Sex and the City e nessuno meglio di lei sarebbe ben felice per il prossimo Natale di vedersi recapitare sotto l’albero un paio di scarpe Jeffrey Campbell. Modelli a tinte forti per contrastare un look minimal-chic, o per accentuarne uno che non vuole passare inosservato. Catturano l’essenza della strada, mescolando lo stile contemporaneo a quello vintage dando seguito a dei modelli universalmente riconosciuti. Parliamo di scarpe nate per essere notate. Per un gusto più raffinato meglio affidarsi a Miuccia Prada e alle zeppe Miu Miu. Punta al colore, con tacchi alti, grossi, forme scolpite e seducenti che portano azione e una ventata di libertà. Troviamo raso, pelle lavorata a catturare ogni sfumatura del colore, borchie dorate o argentate: un chiaro riman-
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Nadia Afragola
do agli anni ‘60/’70 (lo si vede anche nei motivi geometrici delle collezioni moda) per una donna sicura di sé, audace e affermata. Come piace a noi. La donna un po’ vintage ma al passo con i tempi nella lettera a Babbo Natale chiederà un capo della collezione invernale Pennyblack: un mini dress o una seducente tuta rigorosamente black, per gli animi più arditi. Come per Miu Miu anche qui troviamo fantasie geometriche, righe vagamente sofisticate in linea agli anni ’60 a creare una vestibilità eterna dei capi. Le più sofisticate e al passo con i tempi, ricercheranno tra i pacchetti regalo il marchio CO|TE con le tipiche linee austeree e la leggerezza dell’essere che hanno fatto l’enorme successo di un brand che parla italiano e porta i volti dei creativi Francesco Ferrari e Tomaso Anfossi. Parliamo di tessuti che si sovrappongono a comporre puzzle mai uguali. Must have le camicie multistrato che mixano il classico popeline con mussola di cotone trasparente per dare una sensualità tutt’altro che scontata. Gli abiti dai tagli netti sulla schiena definiscono un’identità di donna che ama piacere prima di tutto a se stessa. Per una eccentricità quanto mai attuale Babbo Natale potrebbe far trovare sotto l’albero la più calda delle borse MIABAG firmate Monica Bianco: parliamo di un mix tra una borsa e il capospalla classico in piumino d’oca. Il brand milanese punta su uno stile giovane, trandy ma che non disdegna i concetti di sensualità e indipendenza. Una borsa elegante ma allo stesso tempo ironica e spiritosa, che utilizza come elemento fondamentale l’applicazione di teschi (amato Alexander Mcqueen). Attuale anche la variante con la “farfallina” o le classiche borche. Ha fatto breccia nel cuore delle maggiori celebrities europee grazie ad una creatività che ha da sempre individuato nell’immediatezza e nella semplicità le sue armi vincenti. Tra i vari modelli vince la tradizionale shopping bag con i manici. Per chi amasse le versioni ”mini” meglio orientarsi verso il modello rettangolare nella versione con le catene.
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Dicono che“… l’uomo più stiloso del mondo sia grandiosamente semplice”. Bene, se se il vostro di uomo aspira così in alto non può fare a meno di ricevere per Natale un capo firmato Salvatore Ferragamo. Abiti con spalle importanti dalla vestibilità asciutta. Ce n’è per tutti i gusti e i colori: i velluti stampati per chi ama la classe, il cashmere della maglieria dai colli geometrici abbinati alle camicie sartoriali di classica derivazione per chi cerca invece quel tocco che fa la differenza. L’uomo del 2013 sempre più donna non si accontenta e sotto l’albero spera di trovare borse, clutch, porta ipad e le griffatissime scarpe Tramezza Special Edition. Realizzate interamente a mano, prendono il nome dalla tecnica di lavorazione che richiede 3 settimane di lavoro per un solo paio. Parliamo di lussi unici e di un brand capace di vestire a 360° l’uomo di oggi. Per un uomo che non può fare a meno di un perfetto british style basta affidarsi a Burberry, ai suoi trench tradizionali a monopetto aderente o a righe in stile college extralarge. Per i più sportivi si possono scegliere dei montgomery con chiusure a valigia o ancora dei bomber corti, trapuntati con tasche applicate, lavorati manualmente a maglia con collo a imbuto. Chi pensa in grande può regalare al suo uomo un abito dal raglio sartoriale aderente, abbinato a un cappotto con collo di velluto imbottito di piume per una vestibilità quanto mai perfetta. Due i must have di questo Natale: i gilet imbottiti senza maniche e i pantaloni affusolati con risvolto. A voi la scelta. All’uomo che non deve chiedere mai, neppure sotto le avversità metereologiche, possiamo regalare il punto focale delle sfilate Burberry: l’ombrello, a righe in stile college con manico a forma di testa di anatra, civetta, ariete, in tinta unita con manico borchiato legato in pelle. Si parlava di palati finiti e a pochissimi eletti il Natale potrebbe portare in dono una selezione del miglior cognac prodotto in edizione limitata: Beaute de Siecle sul mercato alla modica cifra di 143.000 euro. La confezione “deluxe” in alluminio e vetro è stata disegnata dall’artista Jean-Michel Othoniel. Una chiave in bronzo apre il cofanetto dal quale uscirà la preziosa bottiglia
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in cristallo Baccarat. Un cognac unico al mondo, parliamo infatti di un blend di storiche riserve della Hennessy, invecchiate dai 47 ai 100 anni, realizzato dal Yann Fillioux. All’imprenditore di ultima generazione, al pubblicitario, giornalista a chi sa il fatto uso e ama ostentarlo (basti pensare al griffatissimo Alessandro Cattelan a XFactor o a Michael Bublè entrambi Dsquared2 dipendenti) consigliamo una borsa DSquared2: la più richiesta continua ad essere quella in tessuto tecnico camouflage con dettali in pelle, ma sulla cresta dell’onda anche la variante basica in pelle nera e il modello “Messanger” riconoscibile dalle borche. “Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany... comprerei i mobili e darei al gatto un nome!”: a dirlo era la magnifica Audrey Hepburn ma oggi il mondo a momenti va alla rovescia e per rimanere nel più classico regalo, che non passa mai di moda, da fare al proprio uomo o capo che sia ☺ è possibile affidarsi alla storica azienda statunitense Tiffany & Co. per la coppia di gemelli in argento e smalto nero (collezione Zellige di Paloma Picasso) che ha imperversato sulle passerelle di tutto il mondo. Decisamente più irriverenti le varianti presentate sulle passerelle da Paul Smith che si affida all’acciaio smaltato multicolor dalle forme prettamente tonde (ovali o a forma di cono). Perfette su camicie bianche che ne risaltino le tinte forti.
The best of 2011-2012
Special Collection
[PSICO INVESTO] by
Alessandro Meluzzi
“L’emozione è il motore della finanza”
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Tratto da InvesTO Magazine N.0 - Novembre 2011
he ci sia una stretta interrelazione tra eventi psicologici ed eventi economici, è fuori di dubbio. Anzi, c’è che sostiene che la psicologia, nell’apparente impalpabile lievità degli eventi mentali, produrrebbe effetti più concreti e pesanti di quelli che la scienza economica (vera o presunta) è in grado di misurare con le sue curve, i suoi diagrammi e i suoi istogrammi. Il comportamento economico (economia da oikos, casa, ambiente e nòmos, legge) è effettivamente da ogni punto di vista un comportamento umano come tutti gli altri. Ha a che vedere quindi, ovviamente, con l’emotività, l’immaginario, la sfera sottile del desiderio e della frustrazione. Certamente non è casuale che uno psicologo, Daniel Kahneman, abbia vinto qualche anno fa il premio Nobel per l’economia, proprio sullo scosceso tema della dissonanza cognitiva e della razionalità o irrazionalità delle condotte economiche individuali e di massa. Il profilo del comportamento economico, che ha a che vedere con dinamiche tradizionali, come il rapporto
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per esempio denaro – merce – denaro, o le dinamiche dell’acquisto, del possesso e della vendita, diventa particolarmente intricato e intrigante quando entra nelle dinamiche febbrili dei flussi finanziari. Nei meccanismi della finanza, come in quelli della borsa, in particolare nelle sue forme on line, non sono in gioco merci e oggetti che possono essere pesati, valutati con i sensi, palpati e accantonati. Si tratta infatti di dinamiche che, come perfino le parole stesse, “bond” o “futures”, sottolineano, riguardano non tanto la compravendita di beni saldamente ancorati a variabili cosiddette “fondamentali”, basate su fatti e numeri oggettivi, quanto invece a un’aspettativa simbolica e immaginaria quanto le dinamiche che la muovono. Questo movimento sismico, e per certi versi meteorologico, delle borse, dei titoli o delle monete, appare in ceri casi così difficilmente detectabile sul piano razionale, proprio perchè disancorato da fatti macroeconomici misurabili, da indurre qualcuno a un’analisi delle curve che tende a considerare più predittive le forme e la loro ricorrenza, come se si trattasse di un sismografo e di un elettroencefalogramma, piuttosto che l’analisi di
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veri dati economici. C’è effettivamente chi, calcolando gli integrali come un’analisi matematica tipo Fourier, investe e disinveste più razionalmente di chi fa valutazioni macro economiche o geopolitiche. Ma non è questo il punto: più che nel grande mercato dei piccoli e medi investitori, che ahimè non sono il banco che vince sempre, l’estrema incertezza di queste fluttuazioni si traduce in una sorta di frenesia febbrile in cui con i numeri e con le curve, che hanno un ritmo circadiano come il sole che sorge a Hong Kong e Singapore e tramonta a Wall Street dopo avere sorvolato Londra, Milano, Parigi e Francoforte, viene invaso da una febbricitante iperattivazione spasmodica. La sindrome da investitore in borsa semi informato fa di quelle curve e della loro declinazione diurna, settimanale, mensile o a lungo ciclo, una sorta di febbre dagli esiti imprevedibili sulla salute psichica personale. Ma siccome gli equilibri economici reali sono il risultato di quelle che Bentham chiamava “le mille mani invisibili”, che oggi sono i milioni di occhi lobo - frontali e mouse non meno invisibili, si crea un allucinante cortocircuito tra le curve e chi le recepi-
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sce, che con la sua cliccata sul mouse le incurva e le cambia. Questa sorta di marosi che oscillano tra i cervelli e i titoli, i titoli e i cervelli, rappresenta oggettivamente un modello di rapporto bionico tra l’umano e il materico, inedito nella storia dell’evoluzione umana. Al di là delle implicazioni sulla salute mentale individuale e di massa, i suoi esiti sulla dinamica della specie homo sapiens sapiens non sono stati ancora completamente valutati e pesati. Ma le frenesia è tale e incalzante che non mancheranno nell’immediato futuro esperti di neruromarketing o di antropologia economica in grado di analizzare, come in un’isola di Darwin, gli effetti di questa formidabile accelerazione. Purché anche i loro studi non finiscano anch’essi quotati in borsa e quindi spinti nell’immenso frullatore universale. Perché in tal caso neppure i pensieri avrebbero il tempo di sedimentarsi prima di essere quotati, rilanciati o annientati: un po’ come tutti noi.
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Marco Sodano
Facebook in Borsa, la scommessa che non “mi piace” Tratto da InvesTO Magazine N.3 - Maggio 2012
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el 1976, stanco delle bizzarrie dei suoi due soci, che continuavano a giocare con circuiti elettronici e cavetti in un garage, Ronald Gerald Wayne cedette la sua quota della società per 800 dollari. Il sogno di costruire un computer che sbaragliasse il mercato mondiale finendo nelle case di tutte – o quasi – le famiglie (almeno nei mercati del mondo sviluppato) gli sembrava una chimera sulla quale sarebbe stato inutile, se non costoso, inve-
stire denaro. All’epoca i computer erano macchinari complicati, grossi come stanze, e servivano solo in qualche laboratorio di ricerca scientifica. Peccato che i due soci di Wayne si chiamassero Steve Jobs e Steve Wozniak: il garbuglio di cavi e circuiti intorno al quale spendevano le notti insonni era nient’altro che l’embrione del Macintosh, e la società si chiamasse Apple. Qualcuno ha calcolato che oggi il pacchetto di Apple ceduto per 800 dollari (ai tempi erano una ci-
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fra mica male, tutto sommato) varrebbe 80 miliardi di dollari. Chissà Wayne cosa pensa quando passando al centro commerciale vede in vetrina gli iPhone e gli iPad vestiti nei panni dell’oggetto del desiderio. E dire che dal lancio del primo pc (l’Apple II) al Macintosh all’evoluzione dell’iMac e poi dell’iPhone, non sono stati pochi i momenti la storia sembrava sul punto di dar ragione agli scettici. La vita di Apple non è stata sempre e solo rose e fiori. L’argomento torna di attualità in questo periodo, nel quale si parla sempre più spesso della quotazione in Borsa di Facebook. Comprare, non comprare? Si rischia di fare un buco nell’acqua o lasciar passare opportunità del genere ci espone al destino di Wayne, una vecchiaia a mangiarsi le mani? L’essenziale è comprendere, tanto per cominciare, la quintessenza di Facebook. Come faceva-
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no gli azionisti di una volta: cosa produce l’azienda? In apparenza, nulla. L’iscrizione al portale che promette di metterci in contatto con il mondo è gratuita. Gli utenti – ad agosto dovrebbero raggiungere quota un miliardo - non pagano. Ma i profitti di Facebook arrivano da un altro canale. Il gruppo non è quotato, dunque non è tenuto a comunicare i dati: fino al collocamento bisogna accontentarsi delle stime, che parlano di guadagni per un miliardo di dollari nel 2011 e di una disponibilità cash di 3 miliardi. Con la quotazione l’azienda potrebbe raccogliere sul mercato 5 miliardi. E si può riflettere sul fatto che nelle settimane scorse Facebook s’è aggiudicata per un miliardo (soldi veri) Istagram, un portale che permette lo scambio di fotografie, così come Fb permette lo scambio di messaggi e informazioni su quel che ci piace e quel
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che pensiamo. Il vero core business di Facebook consiste proprio in questo pacchetto di relazioni. Il portale garantisce che non vende i dati personali dei clienti (quindi le informazioni che, coscienti o meno, mettiamo online su preferenze, gusti, acquisti eccetera). Ma guardando l’aggregato dispone comunque di un database preziosissimo per i maghi del marketing. Che può essere usato in forma anonima.
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E poi ci sono gli utenti, una vetrina gigantesca sul mondo: chi decide di comperare un’inserzione sul web ha una visibilità (dice l’azienda) pressoché globale. Molti ricorderanno la bolla della tecnologia che ha mandato in crisi i mercati all’inizio del 2000: decine di compagnie andarono a gambe all’aria perché gonfiate artificialmente. Ma è anche vero che colossi come Microsoft, Google e Yahoo hanno re-
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te presente che dal 1976 al boom dell’iPhone sono passati quasi trent’anni. Se sono gli ultimi 800 dollari, non è il caso di fare scommesse troppo azzardate e sul lunghissimo periodo.
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galato grandi soddisfazioni agli investitori pur basandosi sulle stesse premesse elettroniche. Credere o meno a un futuro boom dei titoli collegati a internet? Le rilevazioni di mercato dicono che nei paesi avanzati, in questi anni di crisi, si taglia sull’alimentare ma non si rinuncia allo smartphone. La vecchia regola della prudenza dice: crederci sì, ma con cautela. Non togliete gli 800 dollari da Apple: ma tene-
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[INVESTO BUILDING] by
Francesco Papa
Fondi immobiliari.. il pozzo senza fondo!
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l mattone come investimento-rifugio. Beh, dove sta la novità? Non serve certo essere un raffinato analista dei mercati finanziari per conoscere questa regola che vale ormai dalla notte dei tempi. Eppure investire in immobili si può fare, da qualche tempo a questa parte, in maniera diversa. Una modalità innovativa che se da un lato richiede comunque tempi di attesa medio lunghi prima di osservarne i frutti (come d’altra parte accadrebbe in qualunque caso di acquisto di un immobile come fonte di reddito), dall’altro libera l’investitore dall’obbligo di raggiungere una certa quota di patrimonio (propria, o tramite un mutuo) per realizzare l’acquisto. Questo nuovo strumento, che appartiene al più grande universo del risparmio gestito, è rappresentato dai Fondi comuni di investimento immobiliari. Una sorta di spa del mattone, se vogliamo dirla in termini semplici, in cui ogni singolo
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partecipante acquisisce la quota che è in grado di pagare e, in collaborazione con altri partecipanti alla “cordata” arriva a realizzare il patrimonio necessario per effettuare un vero e proprio acquisto di uno o più immobili. In Italia si ha traccia di queste nuove tipologie di investimento più o meno dal 1998 e fin da subito si sono distinti per la loro capacità di conservare il proprio valore nel tempo. Certo, anche questo settore non è immune dalle ondate negative che la crisi internazionale sta portando con sé in questi anni, ma messi a confronto con altre tipologie di investimento, qui si può parlare di un porto più riparato. Un altro aspetto accattivante, per chi ha un patrimonio da mettere in gioco e soprattutto ha tempo per aspettare (anche se esistono via d’uscita a breve termine, visto che non si tratta di una casa comprata personalmente, ma di una partecipazione a un fondo collettivo) è legato alla contro-
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tendenza che mette in luce nel momento in cui altri tipi di soluzioni garantiscono tassi di interesse in calo. E poi c’è la fiscalità: in Italia questi fondi sono esenti da imposte dirette e godono di un trattamento agevolato per imposte di registro e catastali. Sui dividenti del fondo, invece, si applica un’imposta del 20%: a titolo di acconto per le persone giuridiche, a titolo definitivo per le persone fisiche, i singoli risparmiatori insomma. Ma come funzionano, concretamente, questi fondi? In linea puramente teorica, una volta raggiunta la massa critica di patrimonio prestabilita, il gestore del fondo investe in misura non inferiore ai due terzi in beni immobili (o comunque in diritti reali immobiliari o partecipazioni in società immobiliari). Sull’oggetto dell’acquisto ci sono varie possibilità: il fondo può decidere di comprare edifici residenziali, piuttosto che immobili a uso uffici, immobili commerciali – centri e gallerie, per esempio – oppure zone
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ancora da edificare o da ristrutturare. Si tratta di fondi chiusi, quindi prevedono il rimborso delle quote sottoscritte solo alla scadenza prefissata. Ma c’è comunque la possibilità di rimborsi anticipati, visto peraltro che molti di questi fondi sono anche quotati sui mercati finanziari. Certo, il rischio è che – avendo la necessità di monetizzare prima del previsto – ci si debba accontentare di una quota con un valore inferiore a quello preventivato. I fondi possono essere “retail” oppure riservati a investitori qualificati e possono adottare differenti politiche sulla distribuzione dei dividendi. Come durata, si va da un minimo di dieci anni a un massimo che può arrivare anche a trenta. Alla scadenza, il patrimonio viene ripartito e ridistribuito sulla base delle singole partecipazioni. Dunque, come ogni investimento, ci si deve scordare la certezza assoluta del successo. Ma senza dubbio il fondo immobiliare rappresenta un’alternativa interessante a mercati più tradizionali come quello dei fondi comuni, quello delle
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obbligazioni, delle azioni o delle polizze. I tempi medio-lunghi sono comunque gli stessi, ma con i fondi si va a esplorare un territorio finora non coperto da altri strumenti finanziari e soprattutto non legato a indici o mercati volatili. “In un periodo come questo di diffusa difficoltà – commenta Alberto Bollea, amministratore delegato di Accademia Sgr, società specializzata in fondi immobiliari – non si possono certo fare miracoli, soprattutto con le banche che hanno ridotto il credito. Ma quello dei fondi immobiliari rappresenta comunque un settore alternativo a quelli tradizionali, adattissimo a chi intende diversificare i propri investimenti, soprattutto ora che i bond rendono poco e le azioni sono in altalena. Diciamo che il fondo immobiliare risulta più appetibile, un po’ come il private equity o il mercato delle opere d’arte“. Per i profes-
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sionisti del settore, il punto di osservazione sul mercato è privilegiato: “In questo momento – dice ancora Bollea – riceviamo interessamenti soprattutto da investitori esteri, che vogliono entrare sul mercato a prezzi convenienti e in località primarie, come Roma o Milano e scommettere sul fatto che i prezzi torneranno a salire con la ripresa. Alcuni timidi segnali in questo senso ci sono già. Ma ci sono pure gli italiani che, tramite un supporto professionale, vogliono investire nei settori immobiliari stranieri. Per esempio partecipare all’acquisto di un supermercato in Brasile. Operazione che, da soli, non sarebbero in grado di fare”. E un altro aspetto interessante della flessibilità di strumenti come questo riguarda un possibile impiego nella gestione dei patrimoni che diventeranno eredità: “Invece di dividere le proprietà tra i figli a livello di singoli beni – dice ancora Bollea - è spesso più comodo e utile investire il patrimonio in un fondo immobiliare e poi dividere il tutto in quote, cui ogni erede avrà diritto al momento giusto”. E’ il mattone 2.0, bellezza.
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David LaChapelle David LaChapelle
[INVESTO ART] by
Pietro Genuardi
David LaChapelle
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David LaChapelle
Tratto da InvesTO Magazine N.5 - Settembre 2012
a sua carriera da regista inizia nel 2000 coi video Good Stuff di Kelis e Natural Blues di Moby. Il suo tocco piace a Elton John che lo convoca per realizzare due clip dell’album Songs From The West Coast. Nel 2005 arriva anche un vero e proprio lungometraggio, Rize, un documentario girato a Los Angeles (e premiato al Sundance Film Festival) che illustra le forme di ballo esplose nei sobborghi black della città. Suoi anche molti celebri commercial tra cui quelli per Nokia, Lavazza, L’Oréal, Diesel, H&M e Burger King. Negli anni la sua firma per un videoclip di musica pop diventa sempre più richiesta e prestigiosa ed è stata concessa a gente come Christina Aguilera, Avril Lavigne, Jennifer Lopez, Britney Spears, The Vines, Norah Jones e Amy Winehouse per la quale diresse Tears Dry on Their Own prima di chiudere momentaneamente con questa attività. Ecco il motivo del grande rilievo dato al suo lavoro dietro la cinepre-
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sa per il nuovo video di Florence + The Machine, Spectrum. Ma il talento per cui David LaChapelle sarà ricordato, “toccato” da mano divina è la fotografia! Fairfield, Connecticut, non California e tra poco scoprirete perché lo preciso, 1963 11 marzo… Nasce uno dei Fotografi più apprezzati e geniali di tutti i tempi. David LaChapelle. Connecticut e non California e questa è la cosa strana perché il suo virtuosismo sta proprio nel fatto dell’eccessivo quanto misurato uso dei colori e che lo collocherebbe più facilmente su una spiaggia di Santa Monica. Ambientazioni surreali, studiate a tavolino, dove niente è lasciato al caso né alla magia dell’attimo fuggente. Con la precisione chirurgica di un vecchio pittore LaChapelle si muove attorniato da uno stuolo di addestrati assistenti che fanno del set fotografico una gigantesca macchina da guerra in cui ciascuno ha il suo ruolo e tutti concorrono al risultato. Patinato, provocatorio, spesso volutamente pacchiano, ma sempre al limite tra il sacro e il profano. Il primo libro fotografico, dal titolo LaChapelle Land, permise al fotografo di far conoscere il suo stile: fotografie dai colori molto accesi, a volte oniriche, a volte bizzarre. Il successivo Hotel LaChapelle (uno dei libri fotografici più venduti di tutti i tempi) contiene svariati scatti di celebrità. Sia Artists and Prostitutes (in tiratura limitata, venduto a 1500 dollari il pezzo, con l’autografo dell’artista) che Heaven to Hell sono stati molto apprezzati dal pubblico. Le sue foto sono descritte come barocche, perfino eccessive, caratterizzate dalla solita spiccata ironia. Dimentichiamoci quindi la possibilità di investire low budge perché le celebrità che hanno posato per lui sono moltissime, fra le quali spiccano (citate dallo stesso David come sue muse ispiratrici): Courtney Love, Pamela Anderson e la transessuale Amanda Lepore. Inoltre artisti come Angelina Jolie, Madonna, Tupac Shakur, Elizabeth Taylor, Michael Jackson, Uma Thurman, Rose McGowan, politici come Hillary Clinton e atleti come Lance Armstrong e David Beckham hanno tutti contribuito ad accrescere la sua fama, portandolo a essere considerato da molti come il Fellini della fo-
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tografia. A prezzi che si aggirano intorno alle decine di migliaia di euro si può possedere qualcosa di unico, di inimitabile. Gli originali di LaChapelle, stampati dall’artista esclusivissimi non mancano sulle pareti dei loft più prestigiosi di Manhattan come di Tokyo e Sidney. A Roma un paio di collezionisti che preferiscono mantenere l’anonimato fanno a gara con una delle famiglie più in vista del nord est a chi possiede le “stampe” piu belle e colorate dell’artista americano e anche chi scrive farebbe carte false per possedere un’originale della “Cattedrale” di LaChapelle di grandi dimensioni ma come sempre… questa è un’altra storia! LaChapelle ha frequentato la “North Carolina School of the Arts” e successivamente la “School of the Arts” di New York. Dopo un rapido passaggio nei marines, un matrimonio a Londra, David ritorna a New York confermandosi come uno dei più grandi fotografi del secolo. Fu Andy Warhol ad offrire a LaChapelle il suo primo incarico professionale fotografico per la rivista Interview magazine. Inoltre lavora per copertine e servizi fotografici di riviste, fra cui Vanity Fair, GQ, Vogue, The Face, Arena Homme e Rolling Stone.
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Valentina Polidori
Coco Chanel:
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L 'eleganza una
Ispirate dalla stilista più all’avanguardia di tutti i tempi, le donne rientrano al lavoro. Con lo stile che l’icona della moda francese ci ha tramandato
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uando si sente il nome di Coco Chanel, la mente rimanda inevitabilmente alla moda. Alla moda più raffinata, delicata, essenziale. Si pensa immediatamente a deliziose giacche di lana bouclé su femminili gonne longuette, a piccole borse in pelle matelassé sorrette da manici di sinuose catene dorate. Chanel è tutto questo e molto altro, ed è, a tutt’oggi, un marchio affermato che produce non solamente abbigliamento, ma anche accessori e make up.Ma da dove arriva questo brand? Come ha fatto a diventare sinonimo di stile e buon gusto? Coco Chanel nacque nel 1883 a Samur, un piccolo comune francese della regione della Loira. Di umili origini, in seguito alla prematura scomparsa della madre, fu affidata dal padre, insieme alle sue sorelle, alle cure di un convento di suore, dove, non
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potendo i loro consanguinei effettuare cospicue donazioni, ricevette un trattamento diverso dalla bimbe di più alta estrazione sociale. Diventata maggiorenne, sbarcò il lunario con il lavoro di commessa, che le permise di esercitare l’antica arte del cucito appresa al Sacro Cuore. Di lì in poi, grazie anche all’intuito di alcuni lungimiranti finanziatori, la sua carriera fu un’ascesa rapida e meritata verso il successo. Chanel esordì con uno stile austero, molto classico, probabilmente ispirato dagli anni trascorsi presso il convento delle suore: bianco e nero il suo mix preferito di colori, diventato, da allora, sinonimo della più rigorosa essenzialità. Partendo dalla realizzazione di agili e portabili cappellini (quelli dell’epoca erano pesanti e barocchi), cominciò a “scolpire” i suoi modelli, facendoli cucire dalle sue collaboratrici e smontandoli fino al raggiungimento della perfezione
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stilistica. Pioniera del jersey, tessuto elasticizzato molto malleabile, ottimo per gli abiti femminili, non si limitò ad essere un’icona dell’abbigliamento. In seguito alla incidentale bruciatura dei suoi capelli su un fornello da cucina, infatti, li acconciò in un caschetto corto: nacque, dunque, la moda del taglio carrè ancora estremamente in voga in tutto il mondo. Nello stesso periodo, diede come nome al profumo di sua ideazione il proprio numero preferito: vide, così, la luce la celeberrima fragranza Chanel N°.5. Ma non solo: negli Anni Trenta, l’intraprendente Coco lanciò la sua linea di gioielli, a tutt’oggi al polso e al collo delle signore dell’alta società. Creò fino alla fine della sua gloriosa esistenza, realizzando, in ultima istanza, il celeberrimo sandalo bicolore, visto in ogni defilé degno di nota. Una vita, dunque, di
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perenne ricerca della perfezione e dell’eleganza, quella del mito Coco Chanel, costellata di successi e di intuizioni che hanno fatto indiscutibilmente scuola per le generazioni di stilisti successive. Fino a giungere ai giorni nostri. L’estate è inesorabilmente terminata e il ritorno alle scrivanie è inevitabilmente alle porte. Nulla di più indicato, però, dell’affrontare il ritorno alla quotidianità non solo col piglio e la determinazione di Madame Coco Chanel, ma anche con i suoi intramontabili abiti. Infatti, se è vero che sono trascorsi anni dalle sue primissime creazioni, è anche vero che alcuni suoi modelli campeggiano imperituri in tutte le più recenti sfilate. “Per essere insostituibili, bisogna essere diversi”, affermava la stilista francese. Ed aveva ragione da vendere. La moda moderna, infatti, spesso, ci propone accostamenti audaci e, talvolta,
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per nulla eleganti. Al bando, dunque, antiestetici leggings e informi maglioni, e via libera a tailleur autunnali in colori pastello e profili scuri, così come la casa Chanel ha recentemente proposto: il rosa, il beige, il verde, perfino il rosso si vestono di un allure nuovo, se a declinarli è un completo del noto marchio diretto, sin dal lontano 1983, da Karl Lagerfeld. Immancabile, nel guardaroba di una signora che non vorrà farsi cogliere impreparata dal meteo, sarà una giacca passepartout in lana bouclé nei toni neutri. Un capo molto amato dalle star di tutto il mondo (l’attrice Gwyneth Paltrow, per esempio, la adora nei toni del rosa e del rosso). Sarà utile nelle giornate di tempo incerto e di temperature transitorie, su morbidi pantaloni dalla linea classica o su diritte gonne al ginocchio. Ai piedi, per un ritorno non traumatico alle scarpe chiuse, dopo svariate settimane in flip-flop, ideali saranno le ultimissime calzature della maison Chanel: t-bar o bebè, combinano i mitici colori bianco e nero, disponendoli come su una scacchiera nel plateau e nel tacco 12 cm, realizzato a rocchetto per maggiori praticità e stabilità. Sulla spalla,
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Less is more... do non è stato solamente qualcosa di tangibile, tessuti o profumi, bensì qualcosa di gratuito ed immortale: la speranza. “Se sei nato senza ali, non fare mai nulla per impedire loro di crescere”, soleva dire. E lei, a cui la vita aveva tarpato le ali ancor prima di nascere, se le è costruite da sola: belle, forti, robuste. E, con esse, si è elevata al di sopra della sciatteria e della trascuratezza, ignorando le passeggere ed effimere mode del momento, plasmando e creando con la sua sapienza quella che tutti noi, oggi, chiamiamo, comunemente, eleganza.
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un classico sempre attuale: la borsa 2.55, emblema del marchio francese e quintessenza del gusto: pelle matelassé e catene dorate per la it-bag più desiderata dalle donne di tutte le età. Nera o crema per le più conservatrici, rossa o gialla per le più audaci. E gli accessori? Anche su questo capo – last, but not least – la guru dell’eleganza ci regala una perla di saggezza: Coco, infatti, suggeriva alle sue clienti di togliere sempre l’ultimo accessorio aggiunto, orpello superfluo di un outfit sobrio. Dunque, sicure ed eleganti nel vosto tailleur Chanel, vi basterà un paio di orecchini a bottone con perle immacolate per essere decisamente pronte. Pronte per la vostra ordinaria giornata lavorativa, o per l’ambiziosa conquista di traguardi tanto grandiosi, quanto inimmaginabili. Perché ciò che Coco Chanel ha lasciato al mon-
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poco e ingrasso lo stesso”
tanto e ingrasso,
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Andrea Scarpetta
uale può essere la spiegazione? Se non ci si allena, non vi è ragione che il corpo bruci più di quello che richiede la normale vita di relazione, di conseguenza l’eccesso di calorie viene trasformato in grasso. Se introduco più calorie del necessario, consumandone poche a causa della vita SEDENTARIA, in breve tempo provocherò un abbassamento del metabolismo basale, quindi, a farla breve, delle capacità del mio organismo di bruciare grassi e zuccheri. Un primo consiglio è di effettuare un costante e corretto esercizio fisico, consumando quantità di cibo proporzionate alle attività che si svolgono. Le famose diete ipocaloriche ottengono inizialmente una perdita di peso, ma questo ci tengo a farlo presente, è legato prevalentemente alla riduzione di acqua e di zuccheri nel tessuto cellulare, poichè si assumono pochi carboidrati totali. In realtà, quindi, non si tratta di un dimagrimento ma piuttosto di un deperimento causato dalla disidratazione. Le diete che diminuiscono drasticamente i cibi a base di carboidrati tolgono energia al cervello, al cuore e ai muscoli, allontanando dall’obiettivo SALUTE. In ultima analisi, se l’introito calorico giornaliero è costante, dopo qualche tempo il metabolismo si adatta e tende ad abbassarsi. Esemplificando quindi, quando il corpo si abitua a ricevere sempre le stesse quantità di nutrienti, tende, se non li utilizza, a trasformarli in grasso, anche se sono pochi. Il metabolismo in questo caso si abbassa, perchè il corpo (per un condizionamento organico derivato alla specie umana delle epoche passate) si prepara ad affrontare tempi di “carestia” e si preserva dalla consunzione.
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hat is the explanation? If one does not work out, there is no need for the body to burn more than what a normal life requires, consequently the excess calories get transformed into fat. If I ingest more calories than necessary, consuming just a few of them because of a SEDENTARY life, in a while I will cause a drop in my basal metabolism, so, in short, a drop of the skills of my system to burn fat and sugar. A first advice is to keep a constant and correct training, consuming quantity of food adequate to the performed activities. The famous low-calories diets obtain in the beginning a weight loss, but it is important to underline that this is mostly bound to water and sugar reduction in the cellular tissue, because a few carbohydrates are ingested. Actually, it is not a weight loss but instead a deterioration cause by dehydration. Diets that drastically cut carbs food take away energy for the brain, heart and muscles, pushing away the HEALTH goal. In the final analysis, if the daily caloric income is constant, after some time the metabolism adapts and tends to lower. So to exemplify, when the body gets used to receive always the same nutritional quantities, it tends, if one does not use them, to transform them in fat, even if not many. Metabolism in this case lowers, because the body (for an organic influence derived from human species of ancient times) prepares itself to face times of “famine” and it preserves from consumption.
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Andrea Scarpetta: The Dandy Fitness Man Photo by: www.thefashionist.se
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rucchi per sbloccare il nostro met abolismo”
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1 - Alternare i carboidrati durante la settimana (un giorno ne assumo di più e uno di meno); in questo modo il corpo non blocca il metabolismo perchè quando riceve calorie in eccesso non le risparmia, quando ne riceve in difetto, sapendo che poi ne avrà nuovamente in abbondanza, non si adatta e di conseguenza il metabolismo rimane alto. 2 - Preferire abitualmente combinazioni di nutrienti a basso indice glicemico e ricchi di fibre che ingannano lo stomaco dando un senso di pienezza e spazzando i residui intestinali. 3 - Evitare le abbuffate, ma fare spesso piccoli pasti (cinque al giorno). L’abbondanza dei pasti scatena un picco insulinico, aumenta cioè la produzione di un ormone chiamato insulina che determina la trasformazione degli alimenti in grasso. 4 - Una moderata quantità di grassi buoni è indispensabile alla struttura delle cellule e alla produzione ormonale, quindi alla salute dell’organismo. 5 - Concedersi un giorno la settimana per trasgredire, per “ingannare” il metabolismo e non abituarlo ad uno stesso standard. 6 - Bere anche quando non si ha sete. Chi riduce il supporto idrico ottiene come primo effetto la ritenzione idrica. Soprattutto le donne (solitamente predisposte) dovrebbe prestarvi attenzione. In ultima analisi: di metodi ce ne saranno un milione e anche più, ma i principi sono pochi.
1 - Alternate carbohydrates during the week (one day eat more carbs, one day less); in this way the body does not block the metabolism because when it receives excess calories does not save them, when it receives in defect, knowing that then it will have them in abundance, it does not adapt and the metabolism remains high. 2 - Usually prefer combinations of nutrients with low glycemic index and high in fiber, to fool the stomach with a feeling of satiety and wipe out intestinal residues. 3 - Avoid binge eating, but eat often small meals (five per day). Eating often produces an insulin peak, that is to say, it increases the production of a hormone called insulin which determines the transformation of food into fat. 4 - A moderate amount of good fats is indispensable for the cells structure and hormonal production, therefore for the health of the body 5 - Allow a day of the week to disobey, to “trick” the metabolism and not to let it get used to a same standard. 6 - Drink even when you are not thirsty. Who reduces the water intake obtains as first consequence water retention. Women most of all (generally predisposed) should pay attention. In final analysis: there will be a million more methods, but the principles are few.
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“Chi afferra i princìpi è perfettamente in grado di scegliersi i metodi.“ RALPH WALDO EMERSON.
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Lodovico Poletto
Vespa Mania: quando il “ D’
collezionismo esporta il tricolore!
accordo. Non è che si diventi ricchi, collezionandole. Oppure che, possedendone un bel po’ si possa sperare di scalare nei prossimi quindici mesi la classifica di Forbes e portare a casa la corona di businessman of the year. E non è nemmeno che uno possa decidere di comperarne una e basta, mettersela nel garage e tirarla fuori tanto in tanto, perché «fa status symbol». No, questa è tutta un’altra storia. E se proprio vi garba chiamatela Vespamania. Fenomeno esploso meno di dieci anni fa, alimentato da tv e cinema, e da qualche tempo entrato di diritto in quell’Olimpo del collezionismo «nobile» e di valore. Perché oggi la Vespa Piaggio - intesa come la due ruote a motore (oggi la si chiamerebbe scooter, ma guai dirlo a un vespista) prodotta dal 1946 alla fine degli Anni ‘70, è qualcosa di più del mezzo di locomozione simbolo dell’Italia post bellica e del boom. Oggi
Tratto da InvesTO Magazine N.1 - Gennaio 2012
la Vespa è una tendenza che si auto alimenta e fa crescere il mercato che ci gira attorno. E il numero di collezionisti sembra lievitare di pari passo al valore dei mezzi, un tempo venduti un tanto al chilo come ferrivecchi e oggi quotati - anche quando sono ancora da restaurare - a fino a 6 mila euro l’uno. Chi li compera sono uomini e donne assolutamente insospettabili: gente che ha quasi sempre iniziato recuperando alla ruggine il Vespino dell’adolescenza. E oggi, spesso, custodisce in garage una raccolta articolata in qualche decina di esemplari. Tutti perfetti. Restaurati come Dio comanda da artigiani che hanno compreso prima di molti altri, la vastità e le potenzialità «vecchia Vespa». Collezionisti, si diceva, che a domanda diretta - «Scusi, me ne venderebbe una?» - ti guardano di traverso lasciando intendere un malcelato: «Ma mi faccia il piacere, che lei neanche le saprebbe guidare». Se vi interessa tutto questo allora siate i benvenuti nel mondo dei Vespisti. Centinaia di club in tutta Italia e qualcuno anche
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un attore affermato, e Audrey Hepburn, ancora alle prime armi. I due scorrazzano per Roma in sella ad una «Vespa 125». Immagini indimenticabili. Come quelle, tanto per citare pellicole più recenti, di «American Graffiti» di George Lucas, anno 1973. O di «Cario Diario» di Nanni Moretti, realizzato circa vent’anni dopo. Ma non si dica che è finta lì. «Munich» di Steven Spielberg, nel 2005, immortala l’Italia degli anni Settanta con infilate di Vespa e Giulietta che finiscono sui grandi schermi di tutto il mondo. Se poi tutto questo non fosse sufficiente bisogna ancora ricordare Nicole Kidman, in sella ad una Vespa nel film «The Interpreter», ancora del 2005, e una sfilza di almeno altre cinquanta pellicole. Fine della Vespamania. Anzi, no. Questo è l’inizio.
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all’estero. Trecento, almeno, raduni ogni anno. Un mercato imponente di pezzi di ricambio e modelli perfettamente funzionanti il cui valore è duraturo nel tempo. E sempre in crescita. Eccolo qui, in estrema sintesi, il nocciolo del fenomeno. Sì, ma il valore? Prendiamo una bella «Vespa 98» del 1946, prima serie. Impossibile dimenticarle: avevano il faro quasi un tutt’uno con il copriruota anteriore e il manubrio largo, a bacchetta. Un sellone soltanto e la coda allungata. Se perfetta, può costare anche 10 mila euro, purché troviate qualcuno disposto a vedervela. Se, invece, riuscite a scovarne una ancora da recuperare in qualche vecchia cascina o da un demolitore, sperate che il proprietario non se ne intenda. Anche in condizioni improbabili, può valerne almeno 7 mila. Certo, si dirà, era il primo modello prodotto dalla Piaggio. E le curve disegnate da Corradino D’ascanio, l’ingegnere aeronautico inventore dell’elicottero, e vero padre dello scooter della casa di Pontedera, sono ancora ben visibili. Ma i modelli successivi? Beh, la solfa non cambia. La «Vespa 125 bacchetta», prodotta fino al 1950, vale tra i 6 mila e gli 8 mila euro. Stesso prezzo, più o meno, della «Vespa 125 Vna»: aveva già il faro sul manubrio, ma le selle erano due e la ruota di scorta era appesa sopra la targa. Tre marce e colore grigio: averla in garage è quasi d’obbligo. E poi ci sono le intramontabili «125 Primavera», gli «Et3» e la serie di modelli «Px». I prezzi sono più bassi, certo, ma non proprio da realizzo. Se poi volete capire il perché di tanto successo beh, allora concentratevi sul cinema. Anno 1953. Arriva sul grande schermo «Vacanze Romane», con un giovane Gregory Peck, che però è già
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Micaela Barisone
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la favola è servita... Tratto da InvesTO Magazine N4 - Luglio 2012
l matrimonio anche in tempo di crisi resta un affare. Soprattutto per gli addetti ai lavori che si occupano di rendere il giorno più bello della vita, indimenticabile in tutti i suoi passaggi. L’idea è nata e si è sviluppata oltreoceano, ma anche in Italia le agenzie che organizzano fiere, convegni e matrimoni stanno riscuotendo un buon successo. Certo quello degli sposalizi, battesimi e feste in genere resta il più redditizio. Per aprire un’agenzia completa di campionario per i matrimoni ed eventi del tipo si può arrivare ad investire anche 50mila-100mila euro a causa degli stessi campionari e degli arredi necessari. Per un’attività di questo tipo il bacino di utenza ideale è stato calcolato in 30mila-50mila abitanti. Il personale preposto deve essere almeno di una o due persone, incluso il titolare, al quale viene richiesto di frequentare corsi di aggiornamento e di formazione se l’attività è stata aperta in franchising. Il fatturato? Per un’attività che risponde a questi requisiti a pieno regime dovrebbe rimanere in una forbice compresa tra i 100mila e i 300mila
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euro all’anno. Certo i guadagni che si vedono in tv nelle trasmissioni americane più di successo in questo momento (Say Yes to to the dress conosciuto in Italia come Abito da sposa cercasi, ndr) fanno immaginare più lauti guadagni, ma ciò che è certo è che il matrimonio resta un business su cui nessuno intende risparmiare troppo. In Italia, poi, dove la fantasia è una costante e l’intraprendenza dei più giovani pure, le idee da applicare al settore non si limitano ad agenzie pronte a fornire tutti i servizi. C’è chi ha deciso di aprire un proprio laboratorio sartoriale con pochi piccoli passi. Prima di tutto si apre una partita Iva, poi c’è l’iscrizione al registro delle imprese della Camera di Commercio. Certo l’attività artigianale non si può svolgere in casa, ma serve trovare un’ubicazione per attività commerciale. Per cominciare non servono grandi dimensioni, bastano 30-40 metri quadrati mentre le attrezzature indispensabili al lavoro sono i tessuti e le macchine da cucire di ultima generazione. I prezzi di questi apparecchi sono oggi abbastanza accessibili, non si superano i 600 euro. Per iniziare si può essere in due: la titolare e un collaboratore con almeno due postazioni di taglio e cucito. Il laboratorio sartoriale, in Italia, può avvalersi di contributi statali. Certo la sartoria non è ide-
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ale per il franchising ma si possono unire le due cose: aprire un atelier con nomi conosciuti di stilisti che attirano i clienti ed affiancare un laboratorio di sartoria per le modifiche. E tra un abito e l’altro il titolare può sempre proporre una sua creazione, offrendo la possibilità di creazioni originali e su misura. In questo caso l’investimento sarà più elevato, ma forse ne vale veramente la pena. Il costo di un abito di lusso su misura, sia da sposa che da cerimonia, varia da un minimo di 700 a un massimo di 2000 euro. Il guadagno minimo per il primo anno, per coprire l’investimento ed avere un utile, deve essere di almeno 25mila euro netti; tutto questo se si lavora da soli. Con un numero di clienti che non deve essere inferiore a 15. Fantasia, abbiamo detto, ed ecco apparire gli specialisti della cromoterapia dell’abito da sposa. Dal bianco al rosso più sgargiante, il colore dell’abito da sposa esprime la personalità di chi lo indossa, la sua energia e il suo modo di essere. E allora spazio ai consigli degli esperti. Ma c’è anche chi ha puntato tutto sull’eco-friendly come l’atelier fiorentino Alta Rosa. Gli abiti a produzione artigianale e locale sono realizzati con fibre naturali e rispettano l’ambiente in ogni singola fase dell’iter che li condurrà alla sposa. In primis i tessuti: dalla coltivazione biodinamica del cotone in Egitto, alle produzioni ecologiche di canapa in Cina, alla seta prodotta in India senza che venga uccisa la larva nel bozzolo. Dalla raccolta della pianta alla filiera tessile, al confezionamento fino alla colorazione dei filati, l’eco friendly è garantito.
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Andrea Serlenga
REATI INFORMATICI:
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NUOVA FRONTIERA DEL CRIMINE
Tratto da InvesTO Magazine N4 - Luglio 2012
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li strumenti informatici sono ormai entrati a far parte delle nostre attività quotidiane da molto tempo, sia in ambito privato che aziendale, e conseguentemente rappresentano oggi un terreno assai fertile ove la criminalità di ogni genere (dalle organizzazioni più complesse al singolo “delinquente informatico”) possono operare per trarre illeciti profitti. Gli ambiti ove il Legislatore nazionale ha ritenuto di porre adeguata tutela penale sono molteplici e riferibili ad un’ampia tipologia di reati in svariati settori di attività, e pertanto per ragioni di comprensibile sintesi saranno di seguito oggetto di trattazione quelli più rilevanti, sia con riferimento al settore di attività di impresa che di impiego privato degli strumenti informatici. Negli ultimi anni la norma che più di altre ha inciso nel quadro legislativo nazionale in materia di “cybercrime” è senza dubbio la Legge n.48 del 2008, emanata in ratifica della Convenzione di Budapest del Consiglio d’Europa del 23 novembre 2001, disposizione che oltre ad aver introdotto significative modifiche a vari reati informatici esistenti già dal 1993, ha reso altresì più agevole ed efficace anche l’operatività investigativa dell’Autorità Giu
diziaria nella predisposizione di nuovi strumenti di acquisizione e conservazione delle prove. A ciò deve aggiungersi che proprio in virtù di questa Legge, a partire dal 2008, tutte le Aziende all’interno delle quali si siano verificati gran parte dei reati informatici sono ritenute direttamente responsabili, unitamente all’autore del reato commesso, in caso di mancata adozione di idonei Modelli Organizzativi predisposti ai sensi del D.Lgs.231/01, con gravi sanzioni pecuniarie ed interdittive in caso di accertata responsabilità. Nell’ambito del complesso quadro criminale ridisegnato dalla Legge 48/2008, merita essere segnalata la modifica del delitto di “falsità informatica” (art.491-bis c.p.), che oggi consente l’applicabilità delle disposizioni sanzionatorie concernenti la falsificazione degli atti pubblici e delle scritture private nel caso in cui la falsità riguardi un documento informatico pubblico o privato avente efficacia probatoria.
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Di primaria rilevanza risulta altresì il reato di “accesso e trattenimento abusivo in un sistema informatico” (art.615-ter c.p.), delitto che intende porre tutela alla cosiddetta “riservatezza informatica”, ovvero, più precisamente, al “domicilio informatico” inteso quale spazio fisico ed ideale che è di pertinenza della sfera individuale personale garantita dalla stessa Costituzione. Il reato in questione si verifica laddove si sia in presenza di una semplice condotta di abusiva introduzione o di indebito trattenimento all’interno di un sistema informatico protetto da misure di sicurezza, pur in assenza di successiva acquisizione o duplicazione delle informazioni o dei dati riservati. A tale proposito proprio di recente è intervenuta nel Febbraio 2012 una importante pronunzia delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione (il massimo organo giurisdizionale nazionale) in base alla quale si ritiene oggi punibile l’accesso ad un sistema informatico eseguito anche da parte di un soggetto abilitato, ma condotto per finalità estranee a quelle dell’ufficio (il caso di specie era quello di un carabiniere che, pur essendo abilitato all’ingresso del sistema informatico di pendenze giudiziarie, lo aveva fatto non a fini investigativi a lui consentiti, ma per svelare informazioni riservate ad una conoscente).
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Sempre con riferimento a questa norma penale risulta di particolare interesse la sua applicazione in tema di accesso da parte del datore di lavoro o superiore gerarchico alla posta elettronica contenuta nel computer del dipendente. A tale riguardo va detto che in relazione a questa fattispecie risulta possibile la contestazione anche di altri reati, tra cui in particolare quello di “violazione di corrispondenza” (art.616 c.p.), ma l’attuale orientamento giurisprudenziale è abbastanza concorde nel ritenere esente da responsabilità penale la condotta del dirigente che abbia preso cognizione della corrispondenza informatica aziendale del dipendente, una volta accertato il rispetto di determinate procedure preventivamente implementate in Azienda (quali, ad esempio, la conservazione in busta chiusa di password di accesso alla mail aziendale del dipendente, e successiva acquisizione in caso di improvvisa assenza del medesimo, preventivamente avvisato di tale eventualità, così come stabilito dallo stesso Garante della Privacy con provvedimento n.13 del 1 marzo 2007). Da ciò consegue l’interesse delle Aziende a stabilire preventivamente precise regole in materia di gestione dei sistemi informatici interni, in modo da evitare pericolose contestazioni di reati inerenti la corrispondenza informatica dei propri dipendenti. In materia informatica un altro profilo di perseguibilità penale nel settore di attività di impresa è senza dubbio il reato di “detenzione a fini commerciali o imprenditoriali di programmi per elaboratore privi di contrassegno SIAE” (software privi di regolare licenza), punito dall’articolo 171 - bis della legge n. 633 del 1941 (ipotesi di
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reato aggiornata da recenti novelle legislative). L’impiego di un software “abusivo” all’interno dell’Azienda, anche senza essere stato direttamente duplicato da parte dell’utilizzatore, comporta l’applicazione di questa ipotesi di reato, che peraltro darà origine, oltre alla sanzione penale a carico del datore di lavoro, anche alla responsabilità diretta dell’Azienda ai sensi del D.Lgs.231\01. Una recente pronunzia della Corte di Cassazione (Sezione III penale, 28 ottobre 2010) ha stabilito, relativamente a questa importante figura di reato, che la detenzione ed utilizzazione, nell’ambito di un’attività libero professionale, di programmi per elaboratore privi di contrassegno Siae, non integra il reato di cui all’articolo 171 - bis, non rientrando tale attività in quella “commerciale o imprenditoriale” contemplata dalla fattispecie incriminatrice e non potendo essere estesa analogicamente la nozione di attività imprenditoriale fino a comprendere ogni ipotesi di lavoro autonomo. La Cassazione ha così annullato senza rinvio con la formula “perché il fatto non sussiste” la
sentenza che, invece, aveva ravvisato il reato a carico del legale rappresentante di uno studio associato di architetti che aveva utilizzato per l’attività professionale dello studio alcuni programmi informatici contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae e senza,quindi, essere munito della relativa licenza di utilizzo. Un ultimo aspetto che si intende trattare in questa sede è quello relativo ai casi di diffamazione realizzati tramite internet, in particolare attraverso l’utilizzo di social network, tra i quali il più popolare oggi risulta certamente essere Facebook. A questo proposito una recente sentenza del Tribunale civile di Monza (n. 770 del 2 marzo 2010) afferma che: “ogni utente di social network (nel caso di specie di “facebook”) che sia destinatario di un messaggio lesivo della propria reputazione, dell’onore e del decoro, ha diritto al risarcimento del danno morale o non patrimoniale, ovviamente da porre a carico dell’autore del messaggio medesimo”.
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Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Monza un ragazzo aveva commentato, in modo altamente offensivo, alcune fotografie della sua ex ragazza, preventivamente pubblicate sul proprio profilo facebook, denigrandola soprattutto a causa di un suo difetto fisico. Ebbene, i commenti in questione erano visibili a tutti e questo non fece che aumentare il carattere pubblico delle offese arrecate, facendo condannare il ragazzo, per la diffamazione consumata ai danni della sua ex, all’integrale risarcimento dei danni morali, sofferti dalla parte lesa, per un valore di ben € 15.000,00. Questa importante pronunzia consente di ricordare che una simile vicenda trova tutela anche in ambito penale con il reato di diffamazione, previsto dall’art. 595 del codice penale, tramite cui si punisce chiunque comunicando con più persone offende l’altrui reputazione. In particolare la diffamazione “online” è prevista come circostanza aggravante poichè realizzata tramite lo strumento di internet che per sua stessa natura è strumento idoneo e sufficiente a trasmettere a più soggetti un determinato messaggio. La presenza pertanto degli elementi costitutivi del reato di specie nell’ambito di una comunicazione inserita in un social network (1: offesa
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alla reputazione di un soggetto determinato o determinabile; 2: comunicazione di tale messaggio a più persone; 3: volontà di usare specifiche espressioni offensive con la piena consapevolezza di offendere) può determinare in caso di denuncia l’avvio di un’indagine penale a carico del responsabile per il reato di diffamazione aggravata, per il quale sono previste dal codice penale pene che possono arrivare fino a tre anni di reclusione, oltre al risarcimento dei danni, in sede civile, per svariate migliaia di euro. La competenza territoriale per il reato di diffamazione commesso in tale contesto comunicativo (internet) sarà quella del Giudice del luogo di domicilio (o di residenza) del danneggiato poiché, secondo la recente pronunzia n.964/2011 della Suprema Corte, “la lesione della reputazione e degli altri beni della persona è correlata all´ambiente economico e sociale nel quale la persona vive ed opera e costruisce la sua immagine, e quindi svolge la sua personalità”. Gli utenti di Facebook e simili sono così avvisati dei gravi rischi cui incorrono nell’utilizzo improprio di uno dei più estesi ed importanti strumenti di comunicazione oggi esistenti.
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Maria Maldarizzi
...E se l’abito fa il Manager? Tratto da InvesTO Magazine N0 - Novembre 2011
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e l’abito non fa il monaco sicuramente fa il manager perchè di certo è la prima immagine quella che viene notata in occasione di un incontro di lavoro ma anche tutti i giorni in ufficio e fuori, proprio perché un vestito può trasmettere innumerevoli input al nostro interlocutore: autorevolezza, affidabilità, autostima, creatività. Il nostro aspetto è determinante come “biglietto da visita” di noi stessi al mondo esterno e nel contesto lavorativo. Studi consolidati hanno infatti dimostrato come l’opinione di chi abbiamo di fronte si formi nei primissimi secondi dalla presentazione e questo determina, quindi, la necessità di abbigliamento sobrio e rigoroso quando la circostanza lo richieda. Sul lavoro esistono determinati codici di abbigliamento ai quali solitamente tutti si attengono e conformarsi ai dettami del look, anche in ambito business, consente di essere in linea con gli altri ma anche di essere presi sul serio, grazie all’aspetto formale dell’abito che si indossa o di essere giudicati dinamici e creativi se lo style è trendy o chic. Infatti il tipo di abbigliamento ca-
ratterizza intere categorie lavorative, per cui è facile distinguere i manager dai programmatori piuttosto che le segretarie dai centralinisti di call center. L’abito giusto ci permette anche di ottenere un po’ di rispetto in piu’ nel proprio ruolo lavorativo e una volta ottenuta una posizione solida e riconosciuta, ci si può permettere anche eccessi di moda senza rischiare di incorrere in alcun pregiudizio. L’abbigliamento in ogni caso non è solo una questione di estetica ma è un vero e proprio indicatore delle caratteristiche della persona. Un manager che si rispetti deve sapersi costruire uno stile di successo che in realtà può davvero imprimere una svolta al proprio percorso professionale, e per poter realizzare ciò non bisogna assolutamente ignorare i dettagli che di un abito saltano subito all’occhio e come questi possano trasformarsi in alleati di successo, se è preferibile essere eleganti
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si. E’ consigliabile avere anche uno “spirito guida”, ossia un modello di riferimento intramontabile che sia per noi costante fonte di ispirazione: per l’uomo, primo fra tutti, il Duca di Windsor, considerato l’uomo piu’ elegante del 900’, poi Cary Grant fino agli attuali Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo; per la donna invece, Liz Taylor, Katherine Hepburn, Jacqueline Kennedy fino alle attrici dei nostri giorni, Jennifer Aniston e Cloe Sevigny. Ma per i manager che oltre ad avere poco buon gusto hanno anche poco tempo è arrivato dall’Australia SHOWER SUIT, l’abito che si lava sotto la doccia, geniale invenzione frutto delle sperimentazioni condotte dai ricercatori dell’ Australian Wool Innovation che sta spopolando in Giappone. E’ un normalissimo abito da uomo realizzato però con un tessuto hi-tech innovativo in quanto si lava semplicemente e velocemente con un passaggio di tre o quattro minuti sotto la doccia, si asciuga in poche ore a temperatura ambiente e quindi è l’ideale per gli uomini d’affari costantemente in giro per il mondo. Perché soprattutto per un Manager il tempo è denaro!
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o piuttosto inseguire la tendenza del momento… Un must per tutti è sempre stato il look classico, cosiddetto formal-office: caratterizzato da giacca e cravatta per l’uomo e da tailleur per le donne. Ammessi solo colori sobri e formali (grigio, nero, blu e marrone) e nessun particolare vistoso o eccessivo, dai tacchi alle scollature, dalla cravatta ai calzini… l’importante è preservare sempre il buongusto. Oggi è tanto di moda il casual curato, adottato dal 57% degli italiani, in cui sono abbinati pantaloni, gonna e giacca a ricercati quanto appositi accessori. Il manager deve avere un look che sia distintivo ma naturale, personalizzato ma sempre armonioso con il contesto in cui si rapporta e soprattutto mirato a dimostrare le proprie capacità, affidabilità e dedizione. In poche parole uno stile che lo rispecchi nell’ottica di una totale sinergia tra quello che siamo fisicamente, mentalmente e spiritualmente”. Il primo passo è l’elaborazione di un DRESS CODE che ci permetta di apparire al meglio, valorizzando i propri naturali “punti forti” e che sia nostro in maniera inconfondibile, pur nel rispetto dei diktat aziendali ai quali bisogna necessariamente attener-
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E’ possibile fare donazioni attraverso bonifico bancario IBAN IT 24 C 02008 05180 000400834913 o utilizzando il sito www.lacuradelgirasole.it
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Patrizia Caridi
d’amare! o meglio
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olitamente, si dice Salone Nautico di Genova e subito si pensa ad una descrizione fatta da numeri , da cifre che danno immediatamente un’idea della consistenza dell’esposizione: il numero degli espositori (900) , il numero delle imbarcazioni esposte (1400), il numero dei visitatori (176.280 a cui si aggiungono 4.000 bambini fino a 10 anni), il giro d’affari, i metri dell’imbarcazione più lunga e così via. Anche se tutto ciò sarebbe ed è nel pieno stile e nel pieno interesse di Investomagazine , questa volta farò che raccontarvi un salone ( a discapito delle crisi di cui tanto si riempiono la bocca e le pagine alcuni colleghi) fatto di alta tecnologia , Lusso e Comfort che ancora oggi riescono a far sognare grandi e piccini e a soddisfare quelle persone che i sogni presentati al 52° salone nautico di Genova possono viverli. Nonostante tutto mi affido ancora ai numeri per descrivervi un sogno in modo particolare che ho avuto l’occasione di vivere in una giornata di sole genovese (generosa sotto quel punto di vista) grazie al Gruppo Ferretti tra i leader mondiali nella progettazio
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sually when one says Genoa Boat Show suddenly we think about a description made by numbers and prices that immediately give an idea of the consistency of the exposition: the number of the expositors (900), the number of the boats shown (1400), the number of visitors (176.280 in addition to 4000 children up to 10 years old), the turnover, the meters of the longest boat and so on. Even if all this is in the full interest and style of Investomagazine, this time I will tell you about an exhibition (to the detriment of the so-talked-about crisis by the media) made of high-tech, luxury and comfort and that still today can make adults and children dream and satisfy those who can live the dreams shown at the 52nd Genoa Boat Show. Despite of everything I rely on numbers to describe a dream that I had the chance to live during a day of sun in Genoa (generous from that point of view), thanks to the Ferretti Group, leader company in designing, construction and marketing of motor-yacht and with a unique portfolio regarding prestigious brands,
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ne, costruzione e commercializzazione di motor yacht, con un portafoglio unico di prestigiosi brand, tra i più esclusivi della nautica mondiale. Il Nuovo modello fattomi visitare da Ferretti è l’870 , oltre 26 metri e mezzo di pura eleganza sportiva , ricca di comfort ̀ e massimo sfruttamento degli spazi a bordo che rinnova la gamma delle “grandi” Ferretti Yachts. Ferretti 870 è, come sempre, frutto della stretta collaborazione tra lo Studio Zuccon International Project insieme all’AYT - Advanced Yacht Technology, il centro di ricerca e progettazione navale del Gruppo Ferretti e il team di architetti e designer del Centro Stile Ferrettigroup. Preservando alcune delle caratteristiche più apprezzate dei suoi predecessori, Ferretti 870 presenta numerose soluzioni innovative a livello di design. Sulla nuova imbarcazione sono presenti, infatti, il cupolino di colore bronzo sopra la plancia di
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among the most exclusive of worldwide boating. The new model that I had the pleasure to visit is the 870: over 26 and an half meters of pure sporting elegance, enriched with comforts and with the greatest use of space on board. Ferretti 870 is, as always, the result of the close cooperation between the Studio Zuccon International Project and the AYT – Advanced Yacht Technology -, so between the research and design naval center of Ferretti Group and the team of architects and designers of Ferrettigroup Style Center. Preserving some of the most appreciated characteristics of the previous models, Ferretti 870 presents many innovative solution about the design. On the new boat we can find the bronzed careening upon the bridge (an element already appreciated on the latest Ferretti 800) and the application of big glass surfaces along the main deck and on the
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comando, elemento già molto apprezzato sul recente Ferretti 800, e l’applicazione di grandi superfici vetrate lungo tutto il ponte principale e nello scafo, all’altezza delle cabine. In particolare, alla coppia di finestre open view in cabina armatoriale si aggiungono grandi finestre con oblò apribili per le cabine ospiti, e la doppia finestratura della vip, a estrema prua. Per un effetto di luminosità interna straordinaria e una vista esterna davvero ampia. Non solo notevolmente aumentata, ma anche rinnovata nello stile, è la superficie vetrata del ponte principale, grazie a un ribasso in falchetta all’altezza della zona pranzo e all’allungamento fino a poppa. Questa soluzione, tipica di imbarcazioni dalle maggiori dimensioni, contribuisce a dare un senso di continuità alla linea esterna e ad allungare anche esteticamente il profilo dell’imbarcazione. La cui vista, nel complesso, risulta caratterizzata da grande leggerezza, eleganza e sportività.
hull at cabin height. In particular, to the open view pair of windows in the master cabin we can add the big windows with openable porthole for the guests cabin and the double windows of the VIP cabin, on the extreme prow; everything for an extraordinary internal brightness effect and a wide external view. Not only considerably increased, but even renovated in style, it is the glass surface of the main deck, thanks to a decrease of the gunwale at the height of the dining area and the lengthening up to prow. This solution, typical of bigger boats, helps to give a sense of continuity to the exterior line and to stretch aesthetically the boat outline which view, in its whole, appears characterized by lightness, elegance and casual style; all this thanks to what has become a distinctive element of some Ferretti Yachts models: the three glass windows in the shape of “shark gills” that separates the hall windows INVESTO MAGAZINE 89
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Anche grazie a un elemento ormai distintivo di alcuni modelli Ferretti Yachts: le tre vetrate “a branchie di squalo” che separano la finestratura del salone da quella all’altezza della plancia di comando. In quanto persona che ha realizzato da poco il “Restyling” del suo appartamento cittadino non ho potuto fare a meno di rimanere affascinata da un’elegante essenza rovere naturale tinto noce, ripresa anche in alcuni particolari del decoro interno che caratterizzano l’F870 e che mi hanno dato subito la sensazione di essere a casa. Sensazione confermata nel momento in cui scendendo in sottocoperta ho avuto modo di notare le splendide cabine (alias camere da letto per i non addetti ai lavori – di cui 3 matrimoniali e una quarta con letti singoli affiancati) sapientemente arredate di ogni comfort e dotate tutte di bagno privato e box doccia separato. Siccome costretta da una deontologia professionale per rispetto al Gruppo Ferretti che mi ha concesso di salire a bordo e per soddisfare la curiosità de-
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Ferretti F870 from the one at bridge height. I recently realized the “restyling” of my city apartment and for this reason I could not help but being intrigued by an elegant natural oak essence, noticed even in some details of the intern decoration that characterize the F870 and that immediately gave me the feeling of being home. A feeling that I confirmed the moment when, descending the low deck, I had the chance to appreciate the wonderful cabins (aka bedrooms for nonexperts, three of which are doubles and a forth cabin with single beds side by side) wisely furnished with every comfort and all equipped with private bathroom and separate shower. I consider necessary a digression dedicated to the en-
INVESTO LUXURY gli esperti di settore dovrò dedicare una parentesi oltre che al mero Design anche alle prestazioni che l’F870 è in grado di offrire ai potenziali acquirenti. Per quanto riguarda le prestazioni, il nuovo Ferretti 870 è dotato di due motori MTU 12V 2000 M94 dalla potenza di 1948 mhp a 2450 giri/min. Questa motorizzazione permette di raggiungere una velocità di crociera di 27 nodi e una velocità massima di 30,5 nodi. A questa andatura, l’imbarcazione ha un’autonomia di 300 miglia nautiche. Autonomia che sale a 358 miglia nautiche alla velocità di crociera. Nella versione con Hard Top, Ferretti 870 raggiunge una velocità massima di 30 nodi, con un’autonomia di 300 miglia nautiche, che sale a 350 all’andatura di crociera di 27 nodi. Mi sono lasciata affascinare dal design, dalla tecnologia, dall’eleganza ma salendo a bordo dell’ F870 ho avuto modo di realizzare in assoluto che si tratta di un prodotto che merita pienamente il titolo di una Ferrari da mare… o meglio d’amare!
gine performances that the F870 is able to offer to the potential buyers. The new Ferretti 870 has two engines MTU 12V 2000 M94 with the power of 1948 mhp at 2450 RPM. This engine can reach a cruising speed of 27 knots and a top speed of 30,5 knots; with this pace, the boat has an autonomy of 300 nautical miles. In the Hard Top version, Ferretti 870 reaches a top speed of 30 knots, with the autonomy of 300 nautical miles raising up to 350 with cruising speed of 27 knots. I’ve let myself be charmed by the design, technology, elegance but after I went on board of the F870 I had the chance to realize that it is in absolute a product completely deserving the title of a sea-Ferrari … or better, deserving a sea of love!
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Chi è nobile d’animo può avere così tanti eredi.
Disponi un lascito testamentario alla Fondazione Don Gnocchi: scegli di rimanere accanto alla vita, sempre.
Per informazioni 02.4030.8907
Chi è nobile d’animo può avere così tanti eredi.
Disponi un lascito testamentario alla Fondazione Don Gnocchi: scegli di rimanere accanto alla vita, sempre.
Per informazioni 02.4030.8907 www.johnnylambsman.com