Iodio N° 1

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numero 1 / marzo 2011 sKA j / wemen / il teatro degli orrori /

giulio iurissevich / daniele babbo / matteo corazza and much more...


editoriale Iodio è al suo primo numero. Benvenuti. In realtà c’è stato anche un numero Zero, il nostro inizio. Per coloro che hanno già visto la nostra goccia fare capolino dai tavoli di biblioteche, scuole, sale prove, negozi, università, bar vari (e pare anche studi dentistici), bentrovati. Potete comunque trovare il pdf di questo, dello scorso, e dei prossimi numeri, oltre ad ogni genere di informazioni e contatti, sul sito www.iodeposito.eu. Questi siamo noi. E poi ci siete voi. Musicisti e scrittori, fotografi e grafici, registi ed attori, artisti di ogni genere. Se vi va di condividere le vostre passioni, siano un passatempo, una necessità espressiva o un lavoro vero e proprio, contattateci. Mandateci le vostre opere, scriveteci, proponete i vostri lavori. Iodio vuole essere uno spazio aperto, chiunque può partecipare e confrontarsi. Siete pronti?

stefano zadro stefano.iodio@gmail.com


IODIO n.1 / MARZO 2011

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Editor: Chiara Isadora Artico Direttore Responsabile: Stefano Zadro Responsabile di redazione: Andrea Cansei Passador Progetto grafico: La Cloud - sayitcloud@gmail.com In redazione Katrin Battiston Matteo Berry Anna De Nardi Giuggi (Giovanni Simonato) Iana (Giuliana Zigante) Dave Martin’s (Davide Martin) Simona Pancaro Alessandra Perin Maura Piccin Marianna Puppulin Cliff Secord Davide Tramontin Alessandro Verona Francesco Zanet DottorQ

ioascolto SKa-J

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wemen

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il teatro degli orrori

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MAde in italy

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Foto Martina Coral Elisa Moro

belen mardoc

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in copertina Giulio Iurissevich

io vedo

Illustrazioni La Cloud Alessandra Perin

jazz in levare indie-pop, prima della polvere resistenza, sogni e fortuna (reprise) quiet is the new loud un alieno in accappatoio

daniele babbo

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NUM. REG. STAMPA 34 del 30.12.2010

matteo corazza

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redazione.iodio@gmail.com

giulio iurissevich

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stampa Flyeralarm

professione videomaker il mostro tossico colpisce ancora contamina, unisce, crea. con stile

Associazione Giovanile IoDeposito Comune di Pordenone

io leggo ilario piras bookkati questo!

www.iodeposito.eu http://iodeposito.blogspot.com http://bigsofa10.blogspot.com facebook: Iodio - trimestrale di arte musica e cultura

marco codolo

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io vesto fashion&music

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iodioetamo

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dottorq loves your mama


. Merde sudate e con le patte aperte, accompagnati da una deliziosa signorina che profuma di cabaret. Bravi fioi, dicono a Venezia. Ed è proprio dalle calli veneziane che arrivano gli Ska-J, sette componenti che sfornano pezzi divertenti ed orecchiabili su basi miste tra ska, jazz e raggae. E il gusto veneziano si sente eccome: si sente nei testi che sforano sempre nel dialetto, si sente nei groove spensierati, si sente nella erre moscia quando urlano “Merde!” contro il governo, contro il proibizionismo e contro lo sfacelo circostante. Se li cercate, sono al 2054 di Santa Marta. Perché Ska-J? La Dandini vi ha presentati come Ska-J, a Venezia vi chiamano Scagi… È scritto ska-j, in origine volevamo un unione tra la musica reggae e il ritmo jazz, data l’origine jazzistica di molti di noi, ed era il periodo degli Ska-P, gli spagnoli, il cui nome significa scappati… Noi invece volevamo trovare un significato recondito, per cui scagi che vuol dire ascelle in veneziano. Ce le abbiamo tutti e se gli ska-j suonano gli scagi sudano e la gente balla, più ci agitiamo e più sudiamo e la gente balla. Cavalchiamo l’onda dei perché… perché il vostro nuovo disco si chiama Brube? Ogni volta ci si sta un po’ a ragionare sul nome del disco, salvo particolari illuminazioni il titolo resta in sospeso fino alla registrazione. Tra varie ipotesi a un certo punto io ho lanciato questo Brube che non ha subito riscosso tanto successo.

Ska j

Al 2054 di Santa Marta di Simona, Iana, Martina e Giugi

Brube è l’acronimo del nome del fondatore di un cantiere navale che costruisce barchette in vetro-resina a Venezia; sono barche amate dai veneziani perché sono semplici, barchette di plastica che non necessitano di particolare manutenzione. Le Brube le puoi lasciare in acqua tutto l’inverno e non succede niente, rappresentano un po’ la Venezia attuale e non le solite immagini dea gondoeta, della nebbia, dea morte a Venessia, spussa de scoasse, aghe marse… Allora è un disco da ascoltare su un Brube o no? Si, anche su un Brube “te ga el brube? eh che figo…”. Ho scritto l’equazione nella presentazione del disco: il Brube sta ai giovani veneziani come la Vespa sta ai giovani di terraferma… Perché la cintura slacciata? Anni ’80 -’90, mi piaceva la musica giamaicana e sono andato in Giamaica; ho trovato gente semplice. Avere la cintura significava avere i soldi per potersela comprare e così la si portava aperta, così si vedeva di più. C’è anche da dire che il giamaicano è molto fiero del suo big bamboo e così ne approfittano per mostrare che sono sempre pronti, sull’ attenti… Nel singolo tratto da Brube, “So figo” dici “Mi chiama Fiorello e non vado”… cioè? Quando Fiorello e Baldini facevano Viva Radio2 se non ci andavi eri una merda, era diventato una specie di stereotipo del successo, intendevo dire che non dobbiamo necessariamente unirci al carro dei vincitori per non essere tagliato fuori. Così, se anca me ciama Fiorello, chi se ne frega…


IODIO / dicembre2010

IODIO / ilteatrodegliorrori

Però dalla Dandini ci siete andati… Perché “Parla con me” è l’unico programma televisivo che presta attenzione alla musica che sta fuori dalle classifiche, mostra gli artisti validi e basta. Elio e le Storie Tese non potevano più coprire tutte le serate come negli anni scorsi, così dopo la Banda Osiris (con cui abbiamo anche collaborato), presentano qualche altro artista. Ci ha proposti il nostro ufficio stampa, ma loro ci hanno scelti… gli siamo piaciuti… Sentiamo la voce femminile…Ilenia, una cover di Mina, per altro eseguita magistralmente… ti hanno affidato una parte importante, forse potevano clementemente affidarti un pezzo meno gravoso? Effettivamente ho rischiato l’infarto quando me l’hanno detto. La “colpa” è di Luca (il toso de guardia, ndf – nota di Furio) che ha arrangiato il pezzo, è venuto da me e m’ha detto Sai che c’è? Pensavo di fare Parole Parole, ‘na cazzata… ho pensato, ma poi con spirito di sopravvivenza ho pensato che con gioia e allegria potevo rendere omaggio ad un idolo, perché Mina è un’icona per i cantanti. Ognuno lo fa a suo modo e noi l’abbiamo fatto alla Ska-J secondo me è venuta una cosa carina, orecchiabile… (Furio) È questa la parte jazzistica degli Ska-J, chiunque suoni, soprattutto se vuole darsi l’aria del jazzista tende ad interpretare i brani, non bisogna avere troppa deferenza di fronte ad un brano interpretato da un grandissimo.

Panorama italiano reggae, jazz soprattutto, forse siete gli unici a mantenere questo connubio. Consigliereste qualche emergente? Io non ascolto la musica reggae. Forse è questo il bello degli Ska-J, noi non siamo reggae, proveniamo da culture diverse, ognuno porta al gruppo un po’ del suo. In tempi migliori io e Ilenia abbiamo ascoltato reggae ma adesso si ha paura di uscire dal canone del levare, dai quattro quarti, dai soliti discorsi tipo Babilonia, cantare in inglese e non in italiano e così via. Non c’è molto in giro… beh, voi qui a Pordenone avete i Mellow Mood. Bel gruppo, suonano bene, canzoni carine, belle… ma a me non dicono niente, sono robe che ho già sentito dagli Africa Unite, ma all’inizio degli anni ’80. Noialtri…l’avete sentito? Sullo stesso brano reggae mettiamo tre o quattro interpretazioni ritmiche, passiamo dai quattro ai tre quarti, non ci spaventa. Bisogna ndar avanti fioi, d’accordo che il rock è rock e il reggae è reggae però si può anche fare mash up. Ci si può divertire perché le influenze portano innovazione.


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IODIO / ilteatrodegliorrori

romantic cunts di Iana e Dave Martin’s - foto di Giuggi e Francesco Zanet

Supportati dal coro di battaglia: “Ora che la band è fatta…dobbiamo fare la musica!” abbiamo incontrato gli Wemen. La band, grazie ad una scoppiettante serata Brit Box, è giunta a Pordenone dove si è esibita al Deposito Giordani per la seconda tappa del loro tour. Il gruppo indie-pop milanese capitanato da Carlo Pastore ha appena sfornato il primo EP dal titolo Before Being Ash con all’interno 5 tracce, definite da loro un misto di suoni pop sporco, fra il college e l’ indie, con reminiscenze anni ’90. Il resto è solo fottuto rock & roll. Iniziamo dalla base: Carlo, come nasce il progetto Wemen ? Siamo un gruppo che è nato in macchina! Io e Francesco (batterista della band) dopo un lavoro svolto insieme a Roma stavamo tornando a casa e abbiamo scoperto di avere due interessi musicali in comune: i primi erano gli Smiths, e i secondi gli 883. Così, visto che la musica è

bella ascoltarla, ma anche farla, abbiamo deciso di chiamare Alberto (secondo chitarrista), che era un mio compagno delle superiori e da lì abbiamo iniziato a comporre. Successivamente, visto che cercavamo un bassista, ho fatto la proposta a Riccardo, che conoscevo da tempo, e lui ha accettato: così si è formata definitivamente la band. Che ricordi avete del vostro primo approccio con la musica e quali sono adesso le vostre band preferite? Alberto: Per quanto mi riguarda ho ascoltato diversi generi nel corso della mia vita, non ne ascolto uno in particolare, comunque in linea di massima quelli che mi piacciono di più sono My Bloody Valentine, Mogway, Radiohead.. però la lista potrebbe diventare infinita. Fondamentalmente mi piacciono i gruppi chitarrosi. Carlo: Strokes, Nirvana, Stone Roses, Smiths, Foo Fighters ecc. Questi sono i generi che abbiamo nel sangue, alla fine

però credo che abbiamo una caratteristica che ci accomuna ed è quella di essere marci sotto alcuni punti di vista; soprattutto in questo periodo abbiamo voglia di affogare il cervello in un magma psicadelico. Come si svolgevano le vostre giornate prima di diventare componenti degli Wemen? Francesco: Non è cambiato nulla! Lavoriamo o studiamo tutti, l’ unica differenza è che ci vediamo molto di più. Se non erro, avete registrato i primi brani con il fonico dei Tre Allegri Ragazzi Morti, band con la quale Carlo ha collaborato alla realizzazione di deliziose interviste animate, prestando la voce ad un alieno rosso deforme. Vi siete ricordati di invitarli questa sera? Carlo: Sì, innanzi tutto salutiamo Enrico Molteni (bassista dei TARM), persona a cui vogliamo molto bene, sia come amico che come fonico. Gli abbiamo detto di venire questa sera, ma credo che lui si sia trasferito a Milano..


IODIO / MARZO2011 Before Being Ash è il titolo del vostro primo, nonché nuovo, EP. Come mai un titolo così “spento” per un progetto nuovo di zecca? Carlo: Non credo sia spento, quando abbiamo scelto Before Being Ash come titolo era perché come frase esprimeva un po’ il mondo delle prime canzoni che abbiamo fatto, un mondo di scoperta, che sta esattamente riposto in quella speranza del rock & roll di bruciare intensamente e non di spegnersi lentamente! Il momento di fuoco e quindi di rock & roll viene prima della cenere e dunque…Before Being Ash! In attesa di questo lavoro avete deliziato i vostri fans con il video di Special One in live acoustic, che presenta il vostro lato più melodico se messo a confronto con le scene caotiche di Siamese Smile. Diciamo che con entrambi avete mostrato la vostra vena da “romantic cunts”.. Alberto: Sicuramente le melodie ci piacciono e le mettiamo dappertutto. Per il video di Special One dobbiamo ringraziare il Pelo (soprannome di Francesco Peluso) perché oltre a lavorare e suonare è anche un regista e quindi è giusto che faccia lui i video! Grazie ad AlbanoPower siete stati coinvolti nel progetto Mellon Collie and the Infinite Power, tributo agli Smashing Pumpkins. A voi l’onore di concludere il cd reinterpretando Farewell and goodnight con un coro in stile “recita natalizia”, ma in chiave eterea e altisonante… Raccontateci un po’ com’è andata. Francesco: Siamo arrivati lì in estate, ad agosto, e forse il giorno prima abbiamo provato la canzone ma non ne eravamo sicuri e... Carlo: ..e infatti abbiamo fatto una cazzata (risate da parte di tutti) perché non riuscivamo a concluderla in maniera decente, perciò dobbiamo ringraziare solamente Gigione (Enrico Molteni) che ci ha fatto cantare tutti quanti insieme, visto che inizialmente dovevamo cantare una strofa a testa…come si dice in questi casi l’ unione fa la forza e in finale è venuta bene. Cosa ne pensate della situazione traballante che sta investendo diversi settori, da quello musicale a quello editoriale, da quello televisivo a quello radiofonico? C’è sicuramente una grande frammentazione dell’offerta che si propone su livelli

IODIO / wemen multidimensionali e che forse scatena nel pubblico una condizione di disorientamento… Carlo: Io penso che le belle canzoni trascendono da questo discorso, la musica c’ è ed esiste, al di là della sua distribuzione o della sua vendita. Per esempio esiste la chitarra: la puoi comprare o vendere, ma la sua esistenza non è in discussione, quindi io spero che il mercato esploda tutto per una bella tabula rasa. Quindi come fa un gruppo agli esordi ad emergere in questa continua mutazione di contenuti? Francesco: Secondo me adesso come adesso per colpa di internet, ma non solo, un gruppo per emergere dalla massa deve suonare tantissime date live, che non è necessariamente un male, qualsiasi occasione bella o brutta bisogna accettarla specialmente all’inizio che nessuno ti conosce, perché se sei un grande gruppo e fai pezzi di valore alla fine spicchi per forza. Carlo : Dipende anche da quello che vuoi, dalla tua musica perché se vuoi farci i soldi hai sbagliato ambito, perché la musica non ti fa fare soldi e questa è pura verità. Probabilmente perché guardi la tv senza cervello e le cose ti sembrano come non sono; però internet secondo me dà l’idea di una grande voglia di fare ed ascoltare musica! Forse un ritorno alle origini. Abbiamo trovato interessante il fatto che anche voi mettete a disposizione alcune canzoni, può essere un’alternativa? Carlo: Ma sì perché chi se le compra le nostra canzoni!? Se fosse possibile regaleremmo cd di porta in porta, perché secondo noi sono i concerti che devono darti l’opportunità di fare i dischi. A nostro parere i testi e il sound delle vostre canzoni rispecchiano abbastanza il vostro modo d’essere… Quanto conta l’apparenza rispetto alla musica? Carlo: A mio parere il rock & roll non si ascolta solo, ma si vede anche. Quindi compare nella misura in cui quando alla mattina ti svegli e scegli una maglietta, piuttosto che un’altra, già stai curando il tuo look, ma non più di questo. Carlo so che ti occupi di musica fin da quando eri un ragazzino… la tua esperienza formativa è partita da Rockit, con il quale ancora collabori. Che idea hai maturato sul panorama musicale italiano

indipendente in tutti questi anni? Come domanda è molto lunga e complessa ma, in finale, io penso che ci siano tanti buoni gruppi in Italia e tanti gruppi non buoni (di merda si può dire!?). Il punto chiave è che la quantità di non buoni e quella di eccellenza che esprime l’Italia non è paragonabile alla qualità, e alla non qualità che si esprime in un paese dove la musica è molto importante, per esempio l’ Inghilterra, ma anche l’America.

Secondo me adesso come adesso per colpa di internet, ma non solo, un gruppo per emergere dalla massa deve suonare tantissime date live, che non è necessariamente un male Collegandoci dunque alla tua esperienza con Rockit..se ora dovessi scrivere un articolo per loro… che giudizio daresti agli Wemen? Carlo: A parte lo strappo fatto in questi giorni per i Verdena, perché ho avuto la fortuna di poter stare due giorni in sala prove con loro, da quando ho iniziato a fare musica ho smesso di fare recensioni, proprio perché come dicevano i Names Famous “i giornalisti sono il nemico”! Solamente la mia esperienza nel campo della musica è iniziata così, ovvero, credo che tutti quelli che ascoltano musica fanno la propria recensione del disco, poi che venga scritta o meno è un altro conto. Io non ho mai creduto nell’entità religiosa del critico musicale, ho sempre creduto nello scrivere recensioni per partecipare a qualcosa, cioè scrivere una recensione ti rende parte del disco che hai ascoltato perché lo capisci, ci entri e supporti il gruppo ovvero dici quello che pensi in maniera onesta senza prenderti troppo sul serio. Ultima domanda prima di lasciarvi. Ho visto un video di Carlo a Capodanno in cui vi ha dedicato una canzone…non vi siete emozionati ? Alberto e Riccardo: Sì! ci siamo emozionati tantissimo. Francesco : Non l’ ho visto…anzi in realtà l’ ho visto, ma non capisco l’inglese… (risate)!

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8 IODIO / IL TEATRO DEGLI ORRORI

IODIO / MARZO2011

il teatro

degli

orrori

di Alessandro Verona, Anna De Nardi, Alessandra Perin e Matteo Berry - foto di Elisa Moro Da “Il Teatro delle Crudeltà” di Antonin Artuad da cui trae ispirazione il loro nome, il Teatro degli Orrori ridipinge la scena rock italiana con un sound forte e graffiante e al contempo ricco di contenuti: dalle raffinate citazioni letterarie alla prorompente energia delle loro esibizioni dal vivo. Fuori dai soliti argomenti e schemi musicali italiani, il Teatro mette in scena le inquietudini e la pesante realtà della società di oggi. In un caldo pomeriggio estivo, alla corte dell’incantevole Venezia, abbiamo incontrato Pierpaolo Capovilla, frontman della band. Un Pierpaolo Capovilla notevolmente in forma, ma soprattutto vero e autentico. Tra il vociare dei passanti, seduti in un tavolino sorseggiando cultura ed entusiasmo (insieme a qualche spritz), è nata la nostra intervista. “Una band è molto di più che la semplice somma dei singoli componenti”. Quanto e quale senso dai a questa affermazione? Una band è un organismo, a proposito di democrazia. Una band sono più cervelli che ne fanno uno solo. Quando entro in sala prove ed ho in mente una mia canzone e la vorrei fatta in una certa maniera, so in partenza che il risultato sarà diverso dalle mie aspettative, perché sarà il gruppo a fare la canzone, quello che si cerca è quella magia che accade, che è difficile da far emergere, fra della persone che lavorano con entusiasmo e con dedizione insieme ad un progetto; quindi l’aspetto della progettualità che si ha in comune è fondamentale…intendi quell’alchimia che viene fuori solo in determinate situazioni… Sì, bisogna lavorare a lungo, bisogna conoscersi bene, bisogna sapersi sopportare a vicenda. Ci vuole pazienza e qualche sacrificio perché questo lavoro comporta lavorare molto, sbattersi e ragionare a fondo sulle cose che si fanno, o almeno è quello che facciamo noi; in questo senso mi piace sottolineare l’alterità del Teatro nei confronti di quasi tutta la musica che c’è in Italia: noi facciamo sul serio, non per finta. “Dell’Impero delle Tenebre” e “A Sangue Freddo”: il primo più genuinamente ruvido e spontaneo, il secondo più poetico e raffinato. Se effettivamente è così, il cambiamento è stato voluto o inconscio? Cercato, ambito, quando scrivo una canzone per me ogni singola strofa è una prova capitale. Quello che faccio è importante

per me, è importante per chi ci ascolta. “A Sangue Freddo”, a livello di contenuti, è più attento al sociale, alla società italiana. La società italiana è diventata negli ultimi vent’anni anni più egoista, brutta ed ignorante di prima, ed abbiamo voluto raccontare questa involuzione. “Dell’Impero Delle Tenebre” è probabilmente un disco più letterario, mentre “A Sangue Freddo” è un disco più politico. Noi non facciamo musica per tutti, la facciamo per chi la vuole ascoltare, coscientemente e responsabilmente. Non vi vogliamo impoverire nell’ascolto della musica, vi vogliamo arricchire dentro. Cosa ci puoi dire delle tematiche di amore, guerra e “lotta per gli ideali” presenti in Compagna Teresa e che si ritrovano poi nella traccia A sangue freddo? Ci è parso di sentire in Compagna Teresa un amore tra partigiani, il collegamento con Ken Saro Wiwa potrebbe essere la lotta per gli ideali e l’amore per la patria... Certo, Ken Saro, il partigiano anch’esso. L’analisi è corretta, indubbiamente Compagna Teresa è una storia d’amore. Io uso quasi sempre le storie d’amore come espediente narrativo per parlare di qualcos’altro, magari di problemi macroscopici, come era la libertà in un paese governato da una dittatura. Ken Saro ha dato veramente tutto di sé per una causa giusta. Una causa che ci riguarda perché sono tre i grandi operatori economici nel delta del Niger che violentano il territorio e le moltitudini: Shell, Agip, Eni. Ente Nazionale Idrocarburi: siamo noi. Possono il titolo, come anche il testo di Lezioni di musica, essere letti “Lezioni di vita”? La malinconia che trasuda da quella canzone sembra quella di una persona arrivata ad una certa età che vede se stessa, come se nel passato ci fossero state delle cose che non ha avuto, ad esempio un padre che ti porta a scuola… Certo, l’amore che non c’è stato. Che non è solo l’amore che ci racconta la musica leggera italiana, è l’amore genitoriale o filiale. E che amore è quello, altro che l’erotismo! L’amore per il figlio ricorre ed è presente anche in “Io ti aspetto” nel nuovo album. Nello specifico “Lezioni di musica” la leggerei come il rammarico di un uomo che non ha saputo amare e ha compiuto troppi e troppo gravi errori nella sua vita.

In “Direzioni Diverse” invece, senza avere un supporto visivo, ci siamo fatti un’idea su chi fosse il destinatario di quella canzone, poi guardando il video... Attenzione a non confondere il video con la canzone. Di che cosa parla “Direzioni Diverse” poi? Di una cosa che accade nella vita di tante persone, cioè quel momento in cui ci si accorge che si vuole qualcos’altro dalla propria esistenza, e si opera quella grande ingiustizia che è la separazione: di un amore, il divorzio ad esempio, cambiare vita. E’ una storia semplice, minimale, che parla al cuore delle persone. Non c’è necessariamente l’omosessualità, molti hanno letto questa cosa. Uno dei tanti problemi della società italiana oggi è l’omofobia. L’amore è di tutti, anche due uomini o due donne, è l’affetto, Ecco perché c’è un abbraccio alla fine, perché


IODIO / IL TEATRO DEGLI ORRORI

IODIO / MARZO2011 l’affetto riguarda tutti in qualsiasi modalità. Padre Nostro: metafora o figura storica? Metafora e provocazione. Si tenta di laicizzare e secolarizzare la più antica preghiera della chiesa romana d’occidente. Il Padre Nostro è una preghiera meravigliosa, in cui è presente una poesia profonda. Io sono un laico. Non c’è blasfemia nel nostro Padre Nostro, perché alcuni ci hanno accusato di essere blasfemi, è una sciocchezza, e se n’è accorto anche il buon don Gallo che ha apprezzato molto la nostra canzone ed e riuscito a vederci un sentimento di fede, che probabilmente esiste anche se io sono laico. Da cosa deriva, a tuo parere, il banalismo

C’è il music control, ovvero quel patto tacito fra grandi case discografiche, operatori economici del settore dello spettacolo, le radio, le TV, per cui certi tormentoni sono quelli e devono essere quelli

quasi isterico che sembra essere parte integrante ed acquisita della musica commerciale nell’attuale Italia? La risposta è davanti a noi. C’è il music control, ovvero quel patto tacito fra grandi case discografiche, operatori economici del settore dello spettacolo, le radio, le TV, per cui certi tormentoni sono quelli e devono essere quelli: vedi Tiziano Ferro, Ramazzotti. Non siamo più dei cittadini, siamo dei consumatori. Questa musica parla al consumatore, che pensa ai propri soldi, ai propri averi, ai propri consumi: ci hanno trasformato. La società italiana ha subito un’ involuzione antropologica dove i protagonisti sono i media: Berlusconi ha vinto tempo fa coi media e ha fatto dei danni immensi in questo Paese. Ognuno si assuma le proprie responsabilità: Berlusconi si assuma le sue. Qual è il valore aggiunto che una band emergente dovrebbe avere per emergere senza scendere a compromessi con la moda musicale? Quando Capovilla era emergente, cosa sognava musicalmente? Sono vocazionale io. Quando ho iniziato

con gli One Dimensional Man, non vedevo l’ora di salire su un palco e suonare la mia musica. Amo il rock quanto me stesso, dai 16 anni non ho più potuto farne a meno. Credo che fondamentale sia sbattersi, farsi la gavetta senza troppi problemi, io ho fatto centinaia di concerti per zero soldi. Bisogna darci dentro il più possibile, bisogna amare le cose che si fanno. Cosa cambierà o cambia nelle interpretazioni live con l’introduzione della nuova line up? Per sostituire Giulio che era un po’ il deus ex macchina della band abbiamo assoldato due elementi, Tommaso Mantelli e Nicola Manzan. Con due chitarre e un basso abbiamo ottenuto un doppio risultato: la musica si è fatta più potente dal vivo ma anche più intellegibile. Questo è un gran risultato, il rapporto che io, Franz e Jonatha stiamo avendo con i due nuovi arrivati è splendido, siamo ben coesi sia come musicisti sia dal punto di vista umano, credo sia stata la scelta giusta. Un appello per gli emergenti? Resistere, resistere, resistere, e rincorrere i propri sogni, che porta anche fortuna.

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n i e d a m italy quiet il

is

the new loud

nuovo panorama

folk

rock

italiano

di Davide Tramontin Dall’ inizio degli anni doppiozero si è assistito, nel panorama musicale alternativo mondiale, ad una massiccia ripresa di sonorità acustiche e di arrangiamenti ridotti all’osso. Al di là dei vari fenomeni indie del momento, con le loro frange e i relativi cuori infranti, non hanno tardato a comparire anche artisti degni di nota capaci di trarre nuovi significati da forme musicali tutto sommato molto tradizionali. Seconda premessa: in questo spazio non si parlerà di musica folk intesa sotto un profilo etnomusicologico alla Alan Lomax, relativo alla musica popolare italiana (che pure meriterebbe uno spazio), ma si considererà il genere nella sua accezione comunemente intesa, ovvero musica che trae ispirazione da quello che fu il folk americano dagli anni Cinquanta in poi. Procedendo con ordine, nella terra di mezzo tra Modena e Mantova vive uno strano eremita che risponde al nome di Bob Corn, che periodicamente apre la sua casa in mezzo ai campi ad amici e benauguranti per assistere e partecipare a concerti nel suo giardino. La festa dura in genere tutto il giorno ed è condita con badilate di gnocco fritto ed innaffiata da un considerevole volume di lambrusco. Questo per far capire il personaggio. La sua musica nasce da una meditazione solitaria in un contesto bucolico: parla un linguaggio intimo e decisamente domestico, come suggerisce il titolo del primo di We Don’t Need The Outside (Smartz Records/Madcap Records/Fooltribe 2007) in cui si dimostra che anche con arrangiamenti scarni (uniti un questo caso a testi molto profondi, anche nella loro semplicità) si può ottenere un risultato molto raffinato. Il disco si tiene su toni molto pacati e di conseguenza non spicca nessun brano in particolare (anche se il livello compositivo è sempre alto), ma da menzionare assolutamente sono: Cold And Gold, Wearing Wings e quella che secondo me rappresenta il vero gioiello del disco, Reds Between Blacks, dove il mondo esterno ad una relazione è estraneo, e con un riferi-

mento che mi pare più espressionista che politico, dice sorridi, mi punti il dito al petto e dici “noi siamo due rossi, loro sono tutti neri”. Nel capitolo successivo From Te Wooden Floor (Fooltribe 2009) non ci si discosta di molto dal precedente, e se le influenze rimangono più o meno le stesse, sintetizzabili in una linea che parte da Johnny Cash (depurato dal suo corrosivo cinismo) e arriva fino a Bonnie Prince Billy, viene ritagliato lo spazio per una cover anomala rispetto agli standard del cantautore: She Floated, rilettura in chiave acustica di She Floated Away degli Husker Dü, che non ha nulla da invidiare alla versione portata i tour da Grant Hart. Picco del disco è sicuramente Oh, Dolores!, pezzo che sentii per la prima volta al termine di una di quelle mitiche feste rurali di cui sopra. Complice forse il vino, o forse il morbido tramonti di fine estate, non nascondo che mentre le note si diffondevano dolci e amare tutt’intorno, grossi lacrimoni hanno cominciato a rigarmi il viso. L’attività di Bob Corn è continuata con ep e partecipazioni in split (tra cui va ricordato quello con i Movie Star Junkies dove esegue la loro Your Miserable Life per Framax Records) ed è arrivato a gennaio il nuovo album, The Watermelon Dream (Smartz Records/Shyrec/Fooltribe/Riff 2011) che nell’ormai canonico stile del buon Bob non disdegna anche tinte più cupe. Procediamo la panoramica con un gruppo gravitante attorno a Bologna: si tratta dei Daddy Was A Driver, portavoce di un alternative country con riferimenti a Grandaddy e Giant Sand. I cambi di formazione hanno portato il gruppo a non suonare dal vivo quanto avrebbe meritato, ma finora ci siamo consolati con il loro omonimo album uscito per Zip Records (etichetta di San Francisco) nel 2008. La loro musica è la perfetta colonna sonora per un lungo viaggio su un’autostrada sgombra (preferibilmente in un paesaggio desertico). Il disco ha purtroppo dei lampanti problemi a livello di mixaggio, ma lo salva


IODIO / madeinitaly

l’altissima qualità dei brani: Postcard From Des Moines, Disbanded In Flagstaff, Country Radio Station, The Meaning Of Your Dreams (su cui aleggia il nume tutelare di Gene Clark), conditi con un raffinato e polveroso chitarrismo che non disdegna influenze mariachi e che richiama in certi punti i Calexico, altro importante punto di riferimento per il gruppo. Mentre scrivo e riascolto il disco noto che le influenze non si contano, partendo dai Buffalo Springfield per arrivare agli anni Novanta, attraverso Sergio Leone (tra l’altro il gruppo ha partecipato alla colonna sonora del film americano Blood & Curry, in uscita) ma non è certo questo che rende la loro musica onesta e che la fa andare dritta al cuore. Agli appassionati del genere consiglio l’ascolto, per gli altri potrebbe essere un ottimo spunto per avvicinarsi ad uno stile che in Italia non ha molta eco. Andiamo a chiudere la rubrica con Rella The Woodcutter, progetto acustico dell’ex batterista degli As A Commodore dalla Lombardia, che dal vivo si esibisce anche in veste elettrica-noise affiancato da altri musicisti. L’ho incontrato proprio ad una di quelle feste da Bob Corn, e mi ha allungato una copia del suo Lp Nihilist Shack (non è indicata nè etichetta nè data): a parte il fatto che già il titolo è una poesia, i brani che lo completano oscillano tra un blues ancestrale ed un cantautorato asimmetrico, facendo del motto less is more il filo conduttore della scrittura e della registrazione del lavoro. Una volta un mio amico ha cercato di spiegarmi come anche la bestemmia potesse essere in fondo una forma di preghiera, devo dire, non convincendomi completamente, ma ascoltando God’s Burial Song la rabbia ed il rifiuto di Dio che emettono malcelano una disperata richiesta di aiuto (o potremmo dire di redenzione). Il tema che collega le canzoni pare essere proprio quel nulla di fronte a cui tutti noi ci sentiamo persi, ed allora qual modo migliore per affrontarlo se non cantargli addosso queste canzoni. Non che sia un disco dalla funzione prettamente apotropaica, dato che gradevolezza che offre all’ascolto, fa di esso una perfetta colonna sonora per una domenica mattina novembrina. Anche meglio se preceduta da una sbornia del sabato sera. E’ il caso di dirlo, that’s all folks, alla prossima puntata!

a sinistra: Bob Corn, Daddy was a driver, Rella the woodcutter

Un

musicista

in

incognito:

intervista a

belen murdoc di Davide Tramontin

Vive tra noi, parla come noi, mangia come noi ma non è come noi. Dietro un solerte professionista e stimato musicista si cela nella vostra città un alieno, giunto dal sua pianeta recando in dono la sua musica. Vi starete forse chiedendo chi sia costui, un messia descritto dai suoi pochi, ma fedeli apostoli, come l’eletto destinato a resuscitare la musica pop con il sacrificio del suo scarso tempo libero. Il bello è che non si sa chi sia; si tiene ben lontano da internet, e riviste specializzate. Il suo disco “The Belen’s Sounds Of Happines And Glory” non si trova nei negozi né in nessun altro luogo, non lo potrete ordinare, ma con un po’ di fortuna e di fede potrebbe capitarvene in mano una copia ed allora farete parte di una segretissima setta con la missione di risollevare le sorti della musica mondiale...


12 IODIO / belen mardoc

IODIO / marzo 2011

gruppetti di ragazzini con capelli spettinati bombardati di lacca luccicante e jeans fintostracciato che nascono per emulare gruppi d’oltremanica solo per alimentare una demenziale e insensata invasione britannica nella nostra patria. Io a questa gente dico: “bevetevi una cassa di birra a testa al giorno e lasciateci in pace”

Chi sei? Cosa ci fai qui? Difficile dare una risposta Davide. È una domanda che mi faccio ogni santo giorno quando metto i piedi fuori dal letto. Comunque sono Belen Mardoc. Non so esattamente, ma credo di non far parte della Vostra dimensione. Mi sa che vado e vengo da questo mondo, in cui tu mi stai parlando adesso, ad un altro che voi non potete vedere. Ho la sensazione di traslare attraverso questi due mondi, ma non è colpa mia, credo di essere ibridizzato con un’altra dimensione cosicché c’è quel tipico effetto “si vede/non si vede”, caratteristico di certi vestitini osé che hanno certe donne di spettacolo. Nell’altra dimensione il mondo è simile, solo un po’ meno caotico, questo te lo assicuro. Meno traffico. Come nasce il progetto? Tutta colpa della Domenica. Odio le Domeniche, anche se qualche volta c’è il sole sono tristi, lunghe, subacquee e senza senso. Roteano attorno a se stesse in una spirale nauseante e tu ci sei dentro e non puoi fare altro che pregare che finiscano presto. Per farla passare ti guardi un pessimo film dove c’è Kevin Bacon o un pessimo film dove c’è Eric Roberts, la sera, prima di andare a letto. Una domenica pomeriggio di Novembre, fredda e scarna come la lisca di un pesce, me ne stavo a smaltire la sbronza della sera precedente e mi frulla per la testa un motivetto. Prendo la pianolina e mi metto a strimpellare. Nasce così “The Village’s Sunday” e decido di registrarla. Le altre canzoni del mio album sono state composte nei mesi successivi seguendo esattamente questo rituale: strimpellando la pianolina la domenica in compagnia di postumi da sbronza troppo grandi per poterli descrivere. Come è stato registrato il disco? Tutte le canzoni sono state registrate al “covo”, che è anche la mia abitazione, con una tastiera Casio SA-75 collegata ad un PC portatile. Tutte le tracce sono state sovraincise, nel senso che prima registravo la base di batteria, poi tutti gli altri strumenti: basso, accompagnamento e voce. Le composizioni sono una mia idea, ma mi sono avvalso di ottimi musicisti per questa impresa: il valoroso e stimato eroe della chitarra Zeno Ies (impossibile non riconoscere il suo genio nel modo in cui fa parlare la sua chitarra elettrica), il batterista più intuitivo e selvaggio

che conosca, Ramon “Tinte” David (mille idee in una frazione di secondo ragazzi!), e infine un piccolo talento, Little Roby, mio fratello, alle voci e alla tromba (tenetelo d’occhio!). Qual’è la tua idea della musica e dell’arte più in generale? Sarò il più sincero possibile. La musica, come più in generale l’arte, deve far ballare o sorridere o piangere o gridare o pensare o tutte queste cose assieme. Se non ci sono questi input quando si ascolta un brano consiglio di lasciar perdere e dedicarsi ad altro. Questo per me emerge solo se si tiene conto di una cosa: la sincerità. Deve esserci sincerità sia da parte di chi fa arte, sia da parte di chi apprezza. Tuttavia più stai attento alla sincerità e più quella se ne va. Il guaio è che la sincerità deve essere spontanea. Difficile, provate a meditarci gente. Chi approvi nel panorama musicale italiano ed internazionale attuale? Katy Perry e Lady Gaga sono in assoluto le regine del pop del nuovo millennio. In Italia non c’è nessuno all’altezza e pochi veramente meritano di essere approvati. Abbiamo solo smidollati che escono da concorsi di ogni tipo e ancora più viscidi smidollati che comprano i loro dischi. Ci sono gruppetti di ragazzini con capelli spettinati bombardati di lacca luccicante e abbigliati con jeans finto-stracciato che nascono per emulare gruppi d’oltremanica solo per alimentare una demenziale e insensata invasione britannica nella nostra patria. Io a questa gente dico: “bevetevi una cassa di birra a testa al giorno e lasciateci in pace”. A dire il vero salverei due gruppi: i Tunas, con i loro live sono vita ed energia elettrica pura, e gli Iperico, veri animali da palcoscenico che ruttano in faccia alle belle statuine da rock&’n roll imbalsamato che calcano i palchi d’Italia. Come procede l’attività live? Bene, grazie, Dave. Progetti futuri? Sto incidendo il secondo disco. Anche qui immancabili saranno gli ospiti. Non voglio rivelare niente, ma ci sarà una grossa sorpresa. Se fossi in Katy Perry comincerei a tremare... Fatti una domanda e datti una risposta. Penso di aver detto tutto? Meglio non dire altro, così è abbastanza.


IL

MESTIERE

DEL

VIDEOMAKER

INTERVISTA

A

daniele babbo di Cliff Secord Il panorama di aspiranti registi e video maker che si presenta nel nord est è molto più ricco di quello che si pensa, ci sono molte persone che vivono qui o che si sono spostate in zone d’Italia più prolifiche (Roma, Milano, Bologna) e sono riuscite a fare della passione della cinepresa un mestiere! Per Iodio abbiamo incontrato Daniele Babbo, un trentenne nato a Pasiano di Pordenone, che da quattro anni vive a Roma. Durante questo periodo ha diretto numerosi videoclip musicali tra i quali quelli per: Dente, Baustelle, Le Luci Della Centrale Elettrica, Boyz Slenga. Ciao Daniele. La prima domanda è in realtà un’introduzione su chi sei, una specie di curriculum vitae... Sono nato a Pordenone, la mia famiglia vive più precisamente a Pasiano di Pordenone, io da quattro anni vivo a Roma. Ho studiato presso il Liceo d’Arte di Cordenons, successivamente ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia, corso di Decorazione B, con una tesi sul “Videoclip Musicale come opera d’Arte”. Da Pordenone a Roma passando per Venezia, cosa ti ha portato nella capitale? Ci sono arrivato quasi per caso. Stavo scrivendo la tesi di laurea e, per cercare del materiale utile, mi sono spostato a Roma, dove il movimento legato alla videoproduzione è sicuramente maggiore rispetto

al resto d’Italia. Successivamente ho conosciuto delle persone come me, appassionate di musica e cinema, e ho incontrato dei ragazzi che organizzavano eventi legati a ciò, ho stretto amicizia e mi sono legato alla loro associazione Sporco Impossibile (www.sporcoimpossibile.it). Adesso insieme curiamo molte situazioni legate alla musica oltre alla produzione di videoclip, uno di questi progetti si chiama Prodezze fuori area (www.prodezzefuoriarea.com), un altro Soluzioni semplici (www.soluzionisemplici.net). Ma come è nata la tua passione per la regia e in particolar modo per i videoclip? Ho sempre avuto la passione per la musica, fino a qualche hanno fa suonavo anche in una band, ma parallelamente all’Accademia ho seguito un corso sui video. E’ stato naturale unire successivamente due grandi passioni in un’unica produzione, il videoclip musicale. I videoclip inizialmente sono sempre stati considerati strumentali rispetto alla musica, mentre con il passare degli anni questa forma d’arte ha acquisito una propria identità. Al giorno d’oggi c’è considerazione per i videoclip? Credo di sì, siamo in un epoca in cui la tecnologia ha preso il sopravvento, la distribuzione e la fluidità dei lavori è maggiore e quindi più fruibile da un ampio pubblico. Il videoclip ha una grossa considerazione

sopra, fotogrammi tratti dai video di: Dente, Alfredo Serafini, Albanopower, Il moro e il quasi biondo, The gentlemen’s agreement, Il cane, Why not loser.


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Ho sempre avuto la passione per la musica, fino a qualche hanno fa suonavo anche in una band, ma parallelamente all’Accademia ho seguito un corso sui video. E’ stato naturale unire successivamente due grandi passioni in un’unica produzione, il videoclip musicale. proprio perché molte volte da un’immagine più chiara, completa ad un progetto, in alcuni casi è difficile slegare la musica dall’immagine. Di contro come accade in molte altre situazioni quando c’è molta quantità, il livello medio generale tende ad abbassarsi, gli investimenti sono minori e di conseguenza il prodotto finale ne risente. Se dovessi consigliare ad un giovane regista emergente che tipo di percorso intraprendere per fare di questa arte una professione, cosa consiglieresti? Consiglierei di dedicarsi per qualche anno allo studio, di guardare e fare ricerca su lavori vecchi e nuovi, di speri-

Abbiamo visto che hai lavorato per esponenti di spicco della scena musicale italiana, soprattutto quella più intellettualeunderground. Che tipo di rapporto c’è con i musicisti quali Baustelle o Luci Della Centrale Elettrica quando giri un video? Quanta influenza hanno le loro idee? Il rapporto che ho avuto finora con tutti gli artisti con cui ho lavorato è sempre stato eccellente. Mi sono sempre confrontato apertamente con tutti, sia quando l’idea veniva da me, sia quando il suggerimento veniva da parte dell’artista. In entrambi i casi il confronto è sempre stato positivo ed ha sempre portato ad un’evoluzione del lavoro. Nel caso dei

mentare, credo che, sbagliare e riprovare, imparando dagli errori precedenti sia comunque una delle migliori scuole per chi vuole intraprende questo tipo di mestiere. Consiglio vivamente a tutti di provarci all’estero, in Italia la considerazione per questo lavoro non è molto alta. Quali sono le differenze di linguaggio tra un videoclip, un cortometraggio o un film? Il videoclip è strettamente legato alla musica e manca della componente del dialogo che è presente in una tradizionale pellicola cinematografica, ma ci sono stati casi in cui alcuni di essi sono stati costruiti come dei piccoli cortometraggi o film, vale a dire con delle storie e dei dialoghi all’interno del video e della canzone. Credo che un film possa essere un enorme videoclip, e che un videoclip possa essere un piccolo film.

Baustelle per esempio, Francesco Bianconi, cantante della band, mi ha parlato di come percepiva in immagini il brano. Io partendo da quell’input ho sviluppato una mia visione del lavoro (assieme ai miei collaboratori) che ho condiviso con Francesco. Una volta che entrambi ci siamo sentiti convinti dell’idea, mi sono adoperato per metterla in atto nel miglior modo possibile. Non ho mai, fortunatamente per ora, avuto ne limiti ne problemi con gli artisti con cui ho lavorato. …e adesso cosa ti aspetti in futuro? Per il futuro mi auguro di continuare a fare quello che mi piace, che per me è molto importante, magari acquisire altre conoscenze tecniche, nuove sfide e continuare a sperimentare. Forse un giorno deciderò di orientarmi anche su qualcosa di diverso, come lungometraggio o simili, ma per il momento è un’opzione che non sto valutando.

sopra, fotogrammi tratti dai video di: Baustelle, Boyz Slenga, The Niro, Cosmetic, Masoko, Le luci della centale elettrica.


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Sul set di lost in devil’s country con matteo cor a z z a

PERSI

NELLA

TERRA

DEL

DIAVOLO

di Matteo Bandini E’ stato durante una soleggiata domenica di febbraio che mi sono ritrovato nel bel mezzo di un vero e proprio incubo kitsch, tra comparse vestite in stile anni ’80, anziane signore col cappotto, punk dai capelli rosa e bambine disco con la faccia dipinta, giubbotti di jeans e stivaletti di pelle. Vecchie Mercedes, BMW e Alfa Romeo sono parcheggiate ai lati della strada e Vespe, Ciao e Califfoni in mezzo. Tecnici del suono con le cuffie stanno di fronte ad un monitor che mostra i take dei microfoni pelosi sparsi un po’ ovunque, gente indaffarata intorno ad una gru d’acciaio per le riprese dall’alto discute

animatamente e gli operatori di macchina strategicamente disposti intorno alla scena aspettano che si cominci a girare. Mi si parano quindi davanti una cinquantina di persone, sul set di Lost in devil’s country, ognuna con un preciso ruolo e indaffarata a svolgerlo. A fare gli onori di casa Matteo Corazza, già sceneggiatore e regista de Il mostro tossico. A 27 anni Corazza si trasferisce a Bologna, dove comincia a frequentare i corsi di regia al DAMS. L’esperienza dura appena due anni poichè, stufo del taglio eccessivamente teorico del corso, decide di trasferirsi all’Accademia Nazionale di


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Cinema. Durante questo periodo non si dedica solo alla realizzazione di cortometraggi e video, ma comincia la sua esperienza lavorativa su set anche di rilevanza internazionale; fra tutte ricorda quella fatta sul set di Casanova, film prodotto da Miramax e Walt Disney con Heath Ledger nel ruolo del protagonista. Grazie alle esperienze fatte sarà poco tempo dopo che Corazza si metterà all’opera per dare alla luce nel 2006 il suo mostro tossico, il quale, proiettato in diversi cinema della provincia di Pordenone, riscuoterà un discreto successo nonostante gli scarsi mezzi avuti a disposizione per realizzarlo. Proprio l’arte dell’arrangiarsi è una delle migliori qualità di questo giovane regista, in grado di tirare fuori il meglio anche da ciò che qualcun altro potrebbe chiamare “ostacolo”. Matteo non sei solo regista, ma anche fumettista e musicista, canti nella posse “Boyz Slenga”. Come si collegano tutte queste carriere? Si mi piace molto disegnare. In realtà cinema e fumetto si collegano in modo molto naturale. Tanti mi dicono che le mie strisce hanno un taglio cinematografico, mentre i miei film hanno delle scene molto fumettistiche. Sono due cose che tendono ad andare di pari passo. La musica, invece, è un progetto a sè. Ultimamente anche lì abbiamo girato dei videoclip, ma ho affidato tutto ad un altro regista. Mi sono limitato a dare la mia idea e a produrre il progetto. Ho assistito alla proiezione de “Il mostro tossico” ed è chiaro il suo carattere da b-movie. Originariamente il termine indicava appunto film a basso budget e di scarsa qualità. Oggi invece il b-movie è comunque un genere preso a riferimento da grandi registi come Tarantino. Nei tuoi lavori quanto il riferimento al b-movie è una necessità e quanto è una velleità artistica? Direi un cinquanta e cinquanta. I mezzi sono scarsi e con questo bisogna fare i conti, ma a fare grande un film spesso non è tanto l’abbondanza di mezzi quanto la professionalità. Io sono un appassionato di film horror, mi piace la possibilità che danno di trattare temi anche seri, ma sempre in modo fantastico e spesso ironico. Il mostro tossico è dedicato a quelli degli anni ’50, quest’ultimo film invece si ispirerà a quelli degli anni ’80.

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stimo moltissimo Rodriguez perchè è stato in grado di riadattare magnificamente il b-movie oppure potrei citare Lucio Fulci per quanto riguarda l’horror degli anni ‘80. Hitchock, invece, rimane sempre il maestro assoluto della suspense. L’horror è un genere a cui si adatta bene la filosofia del b-movie ed è un genere che comunque piace e attira sempre. A proposito di genere e ispirazione, quali sono i registi a cui fai riferimento? Magari c’è un film in particolare che ti ha fatto innamorare del cinema e imboccare questa strada? Potrei citarne un sacco e non saprei dire quale mi ha illuminato. Tendo a fare riferimento a personaggi diversi in base alle diverse esigenze. Per esempio stimo moltissimo Rodriguez perchè è stato in grado di riadattare magnificamente il b-movie, oppure potrei citare Lucio Fulci per quanto riguarda l’horror degli anni ’80 di cui si parlava prima. Hitchock, invece, rimane sempre il maestro assoluto della suspense. Sei al tuo secondo lavoro importante. Solo a guardare come procedono le cose qui è evidente un notevole salto di qualità. Sicuramente è così. Abbiamo più mezzi a disposizione grazie ad investitori sia pubblici, come il comune di Pordenone e di Prata, che privati. Questo ci ha permesso di scegliere attori con esperienza grazie a giornate di casting. Addirittura ce ne sono due che vengono dal meridione e impersonano una coppia. Abbiamo potuto inoltre migliorare le attrezzature: Lost in devil’s country sarà girato tutto in full hd. La troupe stessa si è espansa: ci sono più tecnici e più operatori.


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Ne Il mostro tossico erano evidenti alcune pecche, come lo spiccato accento degli attori per esempio, e non dico che in quest’ultimo film sarà tutto perfetto, ma queste cose contribuiscono anche a dare al film un tocco di personalità e di ironia. Torniamo ancora sul discorso dell’ironia quindi... Beh non si può stare in tensione per un’ora e mezza. In certi momenti servono delle scene che stemperino la tensione e che magari suscitino anche una risata. Una cosa che mi interessava particolarmente è la scena locale. Uno come te che si trova a fare film, dovendosi bene o male arrangiare, si trova in un terreno fertile qui o no? Diciamo più che altro che è un terreno vergine. Se sei in Friuli e vuoi fare film è dura. Molti nostri talenti sono costretti ad andarsene, a Roma per esempio è pieno di gente valida che viene da queste zone e si sposta proprio perché qui non c’è una scena. Un altra cosa vera è che il Friuli è un ottima zona per girare un film, ci sono montagna, pianura e mare a pochi km l’uno dall’altra. Molte produzioni importanti nazionali e internazionali sono venute in queste zone e credo che la regione dovrebbe interessarsi anche agli autori locali e non solo a chi viene da Roma. Visto che continuano a reclamarti sul set ti faccio l’ultima domanda: sono presenti altre realtà emergenti in zona? Com’è il rapporto tra giovani artisti? Si ce ne sono, ma resta tutto a livello underground. Bianchini e Canderan, per citare due esempi, però le collaborazioni stanno praticamente a zero. Credo che invece nel cinema, come in ogni altro aspetto dell’arte ma anche della vita, sia fondamentale unirsi. Dire che l’unione fa la forza non è banale, è una verità assoluta. Noi stiamo cercando di fare proprio questo, vogliamo creare un alternativa, riunire persone valide che possano dare vita ad una cinematografia locale. La mia intervista con Matteo Corazza finisce qua, perchè i 10 minuti di pausa tra un ciak e l’altro sono volati e lo reclamano sul set. Nel congedarmi mi invita molto gentilmente a restare fino alla fine delle riprese per bere una birra, indicandomi il buffet alle nostre spalle. Ovviamente, io ho accettato e mi ci sono fiondato prima che finissero di girare.

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contaminazioni estetiche intervista di Iana Vedo metamorfosi dinamiche ed esplosive in cui “nulla si crea, tutto si trasforma”. Vedo volti fatti di immagini che parlano tramite la scelta dei colori, dei volumi e delle forme e vedo corpi, corpi fatti di incastri e tensioni, che comunicano l’importanza dei rapporti umani e dei sentimenti su cui leggere un’espressività impalpabile che diventa visibile. Un’arte astrattamente emotiva che nasce dalla strada, fatta di frammenti che si ricompongono seguendo un unico nuovo flusso. È l’arte di Giulio Iurissevich. Uno di quelli che non si sente “artista intellettuale”, ma piuttosto una persona che esprime se stessa con l’arte. Riconosciamo tratti di realtà, ma la vediamo proiettarsi ad un passo dal sogno, soprattutto nelle figu-

re femminili, di cui si evidenziano dettagli dalle mille sfaccettature. Sono opere che stimolano i sensi perché ad ogni impatto visivo puoi riconoscere un nuovo dettaglio o associare una nuova sfumatura interpretativa. Semplicemente…vedi un viso e ci puoi leggere una storia. Arte nell’arte dunque. Ho incontrato Giulio davanti ad una veloce tazza di the, ma una volta che uno come lui inizia a parlare, lo lasceresti andare avanti senza tempi stretti o futili domande, perché i suoi discorsi arricchiscono non solo dal punto di vista artistico, ma anche umano. Qual è stato il percorso che ti ha portato a diventare designer, illustrator ed urban artist? Hai seguito degli studi o è bastata la passione?

Sono nato con la passione per le immagini, ma da giovane ho studiato ragioneria, non per scelta: una vera sofferenza. Poi mi sono iscritto a Giurisprudenza, anche perché ormai non potevo tornare indietro, ritrovandomi però in un ruolo che non sentivo mio. Ho fatto le cose trascinandomi, rinnegando la mia natura e le mie passioni, che inizialmente ho colmato con la passione per la musica, suonando. Anche se adoro la musica, sono un pessimo musicista; volevo cantare, ma ho una voce tremenda. Decisi allora di fare una scelta che fosse una scelta di vita. Mi sono detto “proviamo”, tutto sommato ero giovane e volevo mettermi in gioco! Quindi ho iniziato a fare lavori grafici in zona, anche se ho sempre amato


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l’illustrazione, il disegno, la comunicazione diretta, l’immagine. Ho notato, uscendo dall’Italia, che ciò che facevo era apprezzato e mi sono avvicinato all’Associazione Illustratori inglese. Il mio lavoro era ben recensito, ho trovato un grosso agente ed ho iniziato a lavorare con una filosofia totalmente diversa da quella italiana. Mi hanno dato delle possibilità, hanno visto come e se ero in grado di fare le cose, senza soffermarsi sui titoli o sulle raccomandazioni. Dopo sono passato agli USA e da cosa nasce cosa…viene premiata la professionalità. Se sai lavorare, anche se non hai studiato all’Università, se sei affidabile, se rispetti le loro deadlines, le possibilità ci sono per tutti! Ok, bisogna sempre avere un po’ di fortuna e nervi saldi, perché non è facile. Un percorso può essere più o meno lungo. Il mio percorso è ancora in atto… non contano solo i primi tempi, ci sono stati dei grandi successi agli occhi degli altri, per quello che posso aver fatto io. Ma non è del tutto

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vero, perché quando entri in un circuito serio hai la possibilità di farti conoscere e specializzarti in un campo, ma i fattori che vanno considerati sono molti: c’è stata la crisi, le cose hanno iniziato ad andare al rilento. L’arte è un mestiere per te oltre ad una scelta di vita. Forse in Italia non ti senti pienamente riconosciuto ed identificato. Sentiamo spesso dire che “in Italia, arte e cultura non pagano” e questo provoca una migrazione di talenti verso altri confini. Purtroppo l’Italia, che è un paese di una bellezza e cultura straordinaria, non si accorge di ciò che possiede. Basta andare in un museo italiano e vedere com’è fatto. Spesso ti chiedi: “Ma dove sono? In stazione?”. Negli altri paesi c’è più dinamicità, interattività, modernità, spazio. Hai modo di muoverti, andare su internet, informarti, leggere, intrattenerti. L’Italia fatica a valorizzare le sue ricchezze, anche umane, le bellezze artistiche e della sua gente, i giovani, i talenti e le intelligenze,


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Le cose peggiori sono il conformismo, la cultura universale e gli stereotipi le tradizioni, i prodotti. È questa la cultura che manca: infatti dico sempre che faccio il grafico perché non voglio stare lì a raccontare il mio lavoro. Alla fine poi non sono nessuno. Ma pochi capirebbero che lavoro faccio. Da dove nascono idee ed ispirazione per un’opera? Quando sono spinto dal denaro ho marginale possibilità di scelta. Poi non mi considero un artista o un intellettuale. A me piace l’immagine, ma a nessun creativo viene data la libera possibilità di dar sfogo al suo estro per valorizzare un prodotto. Ti mettono in un tracciato ben preciso e tu devi realizzare come un’ape operaia ciò che ti chiedono. Questo differenzia un professionista, che sa lavorare anche sotto stress, facendo cose che spesso non lo rappresentano o non gli piacciono, da chi lo fa solo per senso estetico. Non esiste l’hobby e c’è moltissima gavetta. Molti ragazzi di talento ci rinunciano perché vogliono tutto subito e avere sicurezze. Alla fine, come ogni lavoro vocazionale, le cose le fai se ti butti e sai che, comunque

vada, ti sei messo in gioco. Se smetti di sognare e continui a ripeterti “avrei potuto fare” nel tempo ti porta a cadere, al cinismo. Io non voglio essere così, voglio vivere la vita per quello che riesco a fare: c’è sempre il tempo di fare qualsiasi cosa. L’importante è oggi, uno non può vivere nel passato o proiettato nel futuro. Per uno come me, se non vivi nel presente, non avrai mai un futuro diverso… Comunque non voglio filosofeggiare troppo! E neppure sembrare un oracolo. Le tue composizioni non sono semplici figure bidimensionali, ma sono il frutto di diverse tecniche (fotografia, disegno, collage, grafica…) ed elementi (scritte, icone…) fusi insieme. Potresti spiegare il processo lavorativo che sta dietro ad un tuo “quadro”? Non è esattamente così. Io ho un lato più commerciale e lineare, quello della fashion illustration (illustrazione di moda), dal quale ho avuto i primi risultati e dove ripongo la mia passione per il corpo femminile, per la sua sensibilità. Concentrarmi solo quello però lo trovo inutile, perché il mio background mi ha portato a col-

tivare un lato street molto forte. Ho provato a mescolare le cose: il mondo della strada e la cultura estetica della fashion illustration. Creare quindi un qualcosa di decorativo, di estetico, ma che abbia un significato e che possa stare bene ovunque anche solo in porzioni ristrette. Riempio le figure con tutto il mio mondo. Il mio lavoro nasce da pezzi di cose. Uso molto la china, il patchwork, mi piace contaminare, sporcare, rendere bello il brutto. Uso molto il digitale: nei lavori commerciali ormai è fondamentale; se non sai usarlo sei tagliato fuori. Devi essere veloce. Nei miei lavori si racconta quasi una storia e chi le guarda si sofferma sul dettaglio, forse non lo capisce, ma qualcosa gli arriva. E questo è fondamentale perché posso trasmettere ciò che provavo quel momento, che è dettato dal mio istinto. A dire la verità anche questo mio stile sta avendo un risvolto commerciale e sono contento perché mi rappresenta di più. L’importante è avere delle vie di fuga, non prendersi sul serio, lasciarsi andare. Gran parte dei tuoi lavori riprodu-


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estetici. L’arte è potente quando ti rappresenta con coraggio. cono figure umane poliformi e dinamiche… Che importanza hanno per te l’essere umano, il suo corpo e la sua mente, e di conseguenza i rapporti tra le persone? Non è tanto la figura umana, io sono sempre stato attratto dal viso, dalla storia che comunica, da ciò che dicono le facce, belle o brutte che siano. Questo grazie alla mia passione per la fotografia, per il ritratto. Quando pensi a una persona a cosa pensi? Alla sua faccia: è una carta d’identità. Il corpo passa in secondo piano; disegno anche quello, ma non lo ritengo importante e a volte quasi mi infastidisce. Tranne nella fashion illustration…disegnare una donna è diverso. Come ti descriveresti in un’opera visiva? Mah, come quei collage che faccio, confusi…Non mi sono mai autorappresentato, un po’ perché non saprei come farlo, un po’ perché non punto all’ego, non ne ho il desiderio. Ho rappresentato la mia compagna in moltissimi lavori, quello sì, in diverse forme,

ma è sempre lei. Collabori ormai da tempo con il Blues Festival, manifestazione locale per la quale realizzi grafiche immaginifiche ed oniriche. Che rapporto hai con la musica? Ti capita mai di ascoltarla durante la fase artistica-creativa? Il lavoro con il Blues Festival è stato fatto pensando al blues, anche se non è il genere di musica a cui sono più legato, ma all’interno c’è dell’altro. Il blues riguarda principalmente il sentimento… io non lo vivo come un clichè, lo vedo come un modo di suonare semplice, ricco di significato quando ne capisci le parole. Ciò che volevo trasmettere non era appunto il suo stereotipo, sarebbe troppo facile, quindi ho cercato il vero significato di questa musica: raccontare una storia di sentimento. Penso di essere un grande consumatore di musica di qualsiasi genere. La musica mi ha sempre accompagnato, salvato. È fondamentale nella mia vita… innesca in me delle scintille che mi spingono a fare le cose. Capita magari di fare un lavoro durante

il quale ascolti una sola canzone infinite volte, perché rappresenta quel preciso momento. Poi accade che ti desensibilizzi, che non ti fa più effetto, e la puoi archiviare in un luogo dentro di te per passare a qualcos’altro. L’arte è una forma di comunicazione? Cosa cerchi di trasmettere e con quali espedienti? L’arte non è un concetto intellettuale… Per me è bella quando rappresenta un modo di interpretare il tuo mondo interiore, quando è autentica. Non è un concetto da discutere: per questo amo la street art, che è libera, è immediata, è diretta, è per tutti, se ne frega. Non sta nelle salette sotto gli occhi di chi fa aperitivi. L’arte è fatta di pezzi di esistenza, è un desiderio di comunicare ciò che sei. Siamo tutti artisti, perché ognuno di noi è originale e ha qualcosa da dire. Le cose peggiori sono il conformismo, la cultura universale e gli stereotipi estetici. Vedere ragazzi tutti uguali è triste. L’arte è potente quando ti rappresenta con coraggio. Poi non esiste arte bella da sinistra: Fabrizio Corona, Michelle Pfeiffer e le candidate Paris Hilton e Noemi Letizia (pre e post chirurgia plastica)


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o brutta, può piacere o non piacere. Io non mi considero un artista. Può essere un atto di forza, di disperazione; può essere un hobby per ricchi o un tentativo di riscatto. È un lavoro come un altro: se manca quello che fa le immagini cosa facciamo? Viviamo senza immagini? Qualcuno lo dovrà pur fare: con il computer, con le mani, con qualsiasi cosa, fa lo stesso! Cosa dovrebbe accadere nella tua vita perché, guardando al tuo passato e al tuo lavoro, tu possa dire: “ce l’ho fatta”? Questo è un errore, purtroppo, non solo nel mio lavoro. Hai ragione perché anche io tendo a fare così, ma cercare quel momento è una trappola perché vivresti in balia di quel momento. Quindi o abbassi le tue aspettative, perché se poi “non ce la fai” rischi davvero, altrimenti se “ce la fai” ti accorgi che è una falsa meta. Quello che ho capito della vita, e che cerco di fare per me stesso, è di non proiettarmi nel futuro. Non penso mai che “per essere felice devo avere, devo fare, devo essere qualcosa”. Tutto ciò a cui puoi rinunciare adesso nella vita, ma che ti serve dopo, quando te ne andrai, è ciò che è importante. È il percorso che conta: non solo quello che fai, ma come lo fai, con quale spirito, con chi l’hai condiviso. Le persone non devono fare le cose per qualcun altro per sentirsi arrivate, il parametro di misura del sentirsi realizzati non dovrebbe essere dato da quanto guadagni, da per chi hai fatto il lavoro… Lo sai tu quando sei arrivato. Io non mi sento arrivato da nessuna parte ed è questo è il bello. Il vero obiettivo per me non c’entra con il lavoro, ma con il fatto di essere riuscito a vivere fino in fondo. Ben venga se poi riesci a guadagnare dei soldi, se ti senti appagato per il lavoro svolto. Io non sono anti-carriera, ma se lavori rosicando… chi te lo fa fare? Preferisco un lavoro che mi appassiona a uno che ti riempie di soldi ma ti fa schifo. Se posso. Però farei qualsiasi tipo di lavoro se non avessi soldi per andare avanti. Purtroppo non abbiamo

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in mano la verità, molti cercano di trovare la loro dimensione e di anestetizzarsi in qualche modo. Quando però fai un lavoro, sapendo che avresti potuto fare altro, allora è doloroso. Ognuno dovrebbe cercare di combattere per le proprie attitudini, perché guardarsi allo specchio e non riconoscersi in quello che stai facendo è terribile. E non ha senso trovarsi mille alibi. Con il tempo la gente entra in una specie di “loop del ruolo” che ti rovina la vita, ma non vuol dire che sei tu quello sbagliato! Nessuno e’ sbagliato. Ognuno ha i suoi ritmi ed è libero di scegliere il suo percorso. Una volta ho sentito dire “quando trovi un vecchio felice, vai da lui”. Un anziano felice è uno che ha capito tutto dalla vita, uno che non guarda solo al passato, che non vive di rimpianti, ma vive ancora il suo tempo. Se ti dico iodio (io odio) cosa ti viene in mente? Nel momento in cui sono adesso

non penso all’odio. Mi può venire in mente un periodo del passato, una ribellione o sofferenza passata. Più che l’odio verso gli altri, mi viene in mente il me stesso del passato, il non volermi bene. L’odio non porta lontani, anche se dalle fratture escono le cose migliori. Le cose più importanti della mia vita le ho capite quando mi sono trovato al bivio e me ne rammarico sai? Non dico che uno che uno ne debba uscire illuminato, ma almeno un discorso con se stesso lo deve fare. Questa è arte.

www.giulio-iurissevich.com


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destino di

ilario piras

ILLUSTRAZIONI DI ALESSANDRA PERIN Era estate, metà luglio, giorni afosi e umidi si rincorrevano uno appresso all’altro, avevo voglia di lasciare per un po’ questi luoghi noiosi ma non avevo né i mezzi né la compagnia per farlo. Il 14 luglio mi arrivò un’email di una newsletter sui viaggi. Guardacaso proprio quello che mi serviva, una crociera a basso costo! Decisi di partire, non l’avessi mai fatto! Forse la vita di ogni uomo è già scritta in un certo qual modo, o forse no, rimane il fatto che tutti ripercorriamo sempre le stesse strade. Bene, io a volte, la ripercorro in modo strano. Si partiva presto, alle 6:30 del mattino. Arrivai tardissimo per via dei soliti inconvenienti di chi parte, cosa mettere in valigia, chi salutare, convincere mia madre che, da lì a una settimana, sarei tornato e cose del genere. Alle sette in punto salivo le scale che mi portavano nella grande nave, sotto gli occhi astiosi di due persone dell’equipaggio. Mi scusai, ma non ottenni alcuna risposta, tranne che per uno sbuffo breve ma molto significativo! Entrando nella nave capii subito. Ebbi la solita sensazione che mi assale quando vengo travolto da questi strani avvenimenti. Ricordate l’ultima volta che avete provato un déjà vu? Quel falso ricordo che ci sembra di rivivere impropriamente. L’affettuosa sensazione di familiarità, che si contrappone presto alla soprannaturale consapevolezza che quell’azione non l’abbiamo mai fatta. Certe volte questa paramnesia dura un istante altre volte si dilunga. Una volta, durò talmente tanto, che credetti di aver cambiato il mio passato, cambiando le mie azioni. Lasciai correre, tanto, in un modo o nell’altro, ciò che già era stato non si sarebbe fermato!

Trovai la mia cabina, davvero splendida, ovviamente arredata in stile retrò, con due grandi oblò e un letto enorme. Provai subito il materasso, molto soffice. Guardai fuori e notai che eravamo già fuori dal porto. Mi venne spontaneo un sorriso, capii, infatti, che era già iniziato. Il viaggio naturalmente. Mi misi i boxer da spiaggia e una t-shirt, uscii per esplorare l’esterno consapevole che da qualche parte doveva esserci una piscina. Purtroppo la trovai ancora vuota, nessuna anima viva nei paraggi, unico rumore il mugugnare soffocato dei potenti motori, non mi stupiva. Il bar vicino era vuoto, neanche una bottiglia. Dopo una lunga ricerca ne trovai uno. Chiesi una birra all’unica sorridente barista, che, dopo avermela consegnata, tappata con un tovagliolo sotto, sparì dietro ad una porta. Cominciavo a sentirmi un po’ offeso. Chiamai la barista ma non ci fu verso. La stappai con un colpo del palmo dopo aver incastrato il tappo sull’unico spigolo del bancone, ovviamente il liquido effervescente mi inzuppo gli abiti. Decisi di arrendermi al mio destino. Ma a metà birra noia e frustrazione governavano i miei pensieri. Verso le undici del mattino, il sole picchiava sul ponte e sudavo copiosamente, cominciavo a preoccuparmi quando, guardando la desolazione che mi circondava, l’enigma cominciò a svelarsi. Era bionda, un fisico statuario, leggermente abbronzata, era distesa su uno sdraio con la testa all’ombra di un ombrellone. Quando la vidi la nave esplose in un frastuono di persone che parlavano, bimbi che gridavano, persone dell’equipaggio che si muovevano velocemente.


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Una vera crociera finalmente! Aprì gli occhi e mi disse: << Sei arrivato finalmente!>>. Sentii lo stomaco svuotarsi di colpo, come quando si supera un dosso correndo in auto. <<Potrei sapere perché sono qui, e cosa dovrei fare?>>, azzardai. Chiaramente non ottenni risposta, non era quello il modo. Mi sedetti vicino a lei. Poteva avere massimo vent’anni, i capelli le ricaddero sulle spalle quando si sollevò a sedere, si tolse gli occhiali da sole e mi sorrise. Davvero un peccato! Lasciai che parlasse, ma non disse nulla, fece un cenno col braccio e un cameriere si avvicinò. Data l’ora, presi un aperitivo. Dato che non parlava e che la piscina ora era piena, mi arrischiai in un tuffo, e mi feci anche qualche bracciata, ma decisi subito di uscire perché l’acqua era troppo inconsistente, e la strana sensazione di volare cominciava a darmi fastidio; mi sentivo lo stesso rinfrescato, dopo essermi liberato dal puzzo di birra. Mi sistemai al sole, nello sdraio accanto a lei. Dopo qualche minuto sentii una leggera pressione umida sulle mie labbra, e lo schiocco successivo del bacio mi fece risvegliare definitivamente. Quando aprii gli occhi il suo splendido sorriso mi parlò: << Andiamo a mangiare che ho fame? >>. Mi alzai e ci avviammo al ristorante. Qui mi accorsi con enorme rammarico che la mia voce non era percepita da queste illuse creature, infatti, nonostante avessi ordinato spaghetti al ragù e bistecca al sangue, fui costretto a sorbirmi delle insipide lumache con un brodino che pareva acqua, fortunatamente i sapori erano attenuati. Mi accorsi anche che era inutile fare domande a colei che mi stava di fronte. Questa crociera cominciava decisamente a seccarmi. Capii che si arrivava al sodo quando una sirena cominciò

IODIO / marzo 2011

Era bionda, un fisico statuario, leggermente abbronzata, era distesa su uno sdraio con la testa all’ombra di un ombrellone. Quando la vidi la nave esplose in un frastuono di persone che parlavano, bimbi che gridavano, persone dell’equipaggio che si muovevano velocemente. a fischiare e scoppiò il panico tra i passeggeri, corsi fuori dal ristorante, con la donna alle mie spalle che, quando ero costretto a bloccarmi davanti ad un ostacolo, mi si schiantava contro. Capii che la nave affondava, un incendio spaventoso stava divorando la prua della nave, a poppa si cominciavano a calare le scialuppe e li andavamo, ma la nave ebbe uno scossone ed io vacillai in avanti, mentre la ragazza fu scaraventata verso l’esterno della nave, oltre il parapetto. Feci appena in tempo ad afferrarle il polso, e cominciavo a tirarla in salvo, verso di me, ma il dannato bracciale di perle bianche mi rimase in mano e all’istante tutto svanì, veramente tutto, mi ritrovai a galleggiare in mezzo ad un incredibile mare silenzioso e calmo. Sentii in lontananza un motore e cominciai ad urlare. Fui issato a bordo di un peschereccio che rientrava, fortunatamente in ritardo, dalla pesca. Un’ora dopo ero all’asciutto sulla banchina. Dopo aver risposto ad una marea di domande, con un’infinità di cazzate, che comprendevano una canoa e gli squali, e aver lasciato dei visi attoniti, mi avvicinai al bar del porto per darmi una sistemata.


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IODIO / marzo 2011

Appena prima di entrare mi bloccai, la sensazione era tornata, come uno schiocco di frusta. Mi aveva riavvolto come il riflusso della marea quando riporta al mare una conchiglia depositata sulla battigia poco prima. Mi guardai alle spalle e la vidi sul ciglio della banchina, la mia compagna di crociera, con un grazioso mazzetto di fiori, lo lanciò con delicatezza sull’acqua e stette ad osservare. Ovviamente mi avvicinai, la donna era abbastanza avanti con gli anni, ma mi accorsi subito dell’incredibile somiglianza, mi frugai in tasca e le diedi il bracciale, lo guardò stupita, poi guardò me e una lacrima le solcò la guancia destra. <<Venga che le offro un caffè>>, dissi scoraggiato, voltandomi ed indicando il bar alle mie spalle. Quando mi girai era svanita nel nulla. Feci uno sbuffo e sentii il terribile bisogno di accendere una sigaretta. << Ehi, ragazzo!>>, L’uomo era qualche metro più in là, mi avvicinai, consapevole che era tutto finito. Mi offrì una sigaretta e mentre me la godevo ascoltai la strana storia di una donna che veniva sempre a gettare dei fiori in mare, proprio nel punto in cui ero io prima, da quando si era salvata dal naufragio della nave su cui era in crociera. Qualcuno raccontava che lei era stata l’unica superstite, perché tutte le scialuppe erano affondate, mentre lei invece era caduta in mare, perdendo l’uomo che aveva appena sposato. La donna era morta da un anno esatto, e c’è chi dice che in certe notti di luna nuova il fantasma della donna faccia apparizione li al porto per depositare i fiori per il marito. << Son tutte fesserie!>> mi disse ridendo. << Già! >> dissi, lanciando il mozzicone in mare. Mi voltai, mi avviai per la mia strada e salutai dicendo: <<Comunque non credo che la vedranno più. Arrivederci!>>.

bookkati q u e s t o ! consigli flash per una buona lettura Alessandro consiglia: Paul Auster, Mr. Vertigo, Einaudi La vertiginosa storia di un ragazzo che sapeva letteralmente volare. Alessandro Baricco, Oceano Mare, Feltrinelli Dove l’acqua diventa la materia con cui sono fatti i sogni. Katrin consiglia: Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia, Einaudi All’inseguimento del giovane Kafka e del comunicativo Nakata in un viaggio sul fragile filo tra realtà e sogno. Stephen King, La metà oscura, Sperling & Kupfer Un viaggio nella pericolosa mente di uno scrittore. La Cloud consiglia: D&AD, Everything is made, Taschen Annuario dell’associazione D&AD, mostra il meglio della creatività dell’anno appena trascorso, in qualunque modo e mezzo essa si esprima. Igort, Quaderni ucraini, Mondadori Reportage a fumetti sull’Ucraina post URSS, raccontate dal tratto sublime di Igort. DottorQ consiglia: Alfonso Luigi Marra, Il labirinto femminile, Omogeneitas “Un’opera per liberare la coppia e la soscietà dallo strateggismo sendimendale che le tormenta e ha anormemente rallentato il cammino della civiltà. Ebbellissimo!” Fabrizio Corona, La mia prigione, Cairo Publishing Un duro atto d’accusa sull’uso improprio della saponetta

p o e s i a

nelle docce delle carceri.

MEZZOGIORNO di Marco Codolo

Ti sembra un treno, un colpo di cannone che si stende davanti casa. Non sembra fatto per l’uomo ora come ora bisognerebbe tenerlo per la giornata dopo e fissare il sole rotare nel mezzo d’un blu che perde che fa perdere che brucia ma non sbiadisce


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IODIO / marzo 2011

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di Maura Piccin Con questa nuova rubrica di Iodio vogliamo indagare, raccontare, analizzare, commentare, copiare le tendenze moda che sono indissolubilmente collegate al mondo della musica, a ciascuno dei suoi diversi stili, fonte inesauribile di ispirazione per l’industria del fashion ma anche, nel nostro piccolo, per ognuno di noi. Non serve essere fashionista, trend setter, fashion blogger, shopaholic, style guru per capire che un chiodo è rock, jeans largo a vita bassissima e t-shirt oversize sono rap, texani ai piedi sono country, parka verde militare è mod, teschi e borchie sono punk ecc… Insomma ci siamo capiti: la musica influenza la moda e questo è un dato di fatto. Come non pensare, a questo punto, alla vera icona, musa ispiratrice e indiscussa regina delle nuove tendenze, sì sì proprio lei, Madonna, la “material girl”, colei che da più di 20 anni decide cosa è in e cosa out nel nostro guardaroba (molto più di Anna Wintour, diavolo in Prada), non sbagliando mai.. o quasi (eh già, il corpetto seni a punta di Gaultier non è portabilissimo in effetti). Le riviste di settore ad ogni nuova stagione ci propongono idee spesso ispirate dallo street style, dalla contaminazione di vari generi, come il classico con il futuristico (spesso con l’uso di materiali innovativi), il vintage con il preppy, il rock con il romantico, insomma una fusione di stili molte volte accomunati da ispirazioni del mondo musicale, quasi come se ogni tendenza che scegliamo racchiudesse in sé una colonna sonora. Non sarà poi un caso se moltissime top model negli anni hanno scelto come compagni di vita grandissime star della musica, vero? David Bowie & Iman, Mike Jagger & Jerry Hall, Axl Rose & Stephanie Seymour, Tico Torres & Eva Erzigova , solo per citarne alcuni (metterei anche Kate Moss ma la lista diventerebbe troppo lunga!). Un capitolo a parte spetta ai “ritorni”: anni ’60, ’70,’80 che spopolano nelle vetrine nei negozi e nelle copertine delle riviste, con qualche aggiustamento (i fuseaux sono diventati leggins) ma sempre in tandem con gli stili disegnati, inventati e interpretati in quegli anni dai protagonisti della scena musicale. In questo numero parliamo di uno style sempre molto presente nelle collezioni stagionali proposte dagli stilisti e molto facile da analizzare e “copiare”, il cosiddetto “Glam rock”, dal nome della corrente musicale sviluppatasi negli anni Settanta in Inghilterra e Nord-America come risposta al fenomeno hippie e in contrasto con il grigiore e la serietà dell’epoca. Esponenti di spicco di questo stile musicale furono David Bowie, i Queen, Elton John, i Kiss, Iggy Pop solo per citare alcuni fra i più famosi. E’ proprio nel nome di questa corrente, “Glamour”, si può capire il fortissimo legame con la moda, in un’epoca in cui era molto più importante apparire che essere, quasi lo slogan del fashion style. Paillettes, lustrini, decori vistosi, scarpe con la zeppa (che adesso si chiama plateau), trucco esagerato non sono forse “di moda” anche ora? Certo, perché le tendenze vanno a cicli e si sa i cicli ritornano (la mamma dice sempre di non buttare via niente.. ma allora dove sono finiti i bellissimi zoccoli di pelle con zeppa?). Quindi se avete nell’armadio un top di pailettes, una mini di raso stampato e un blazer, indossatele pure e uscite, sarete “glam rock style” e avrete il dono di brillare sia di giorno che di notte. Per voi ragazzi l’impresa è un po’ più ardua…non me ne voglia David Bowie, ma aspetterei il prossimo numero per i consigli di stile con l’hip pop e il rap.

a sinistra, dall’alto: David Bowie, Kiss, Iggy Pop, Motley Crue


IODIO / iodioetamo 27

IODIO /dicembre2010

il dottor Q è qui per risolvere i vostri problemi di cuore. risponde anche in privato,previa notifica dell’avvenuto bonifico.

Caro Dottor Q, avevo un’amicizia di mutanda con un ragazzo che abita nella mia città. Una sera, prima di andare a casa sua, la mia migliore amica mi manda un sms con scritto “che fai?” e io rispondo “tra mezz’ora vado dal mongociccio, fingo di essere presa così lui continua a starci”. E lo mando per errore a lui, che si arrabbia molto e non accetta scuse. Caro Dottor Q, esiste un antidoto per il senso di colpa? Chantal Pn Cara Chantal, evidentemente il mongociccio (complimenti per l’appellativo), scoprendo che lo tratti da oggetto sessuale, si è sentito svilito come essere umano. Mi immagino la reazione: “Cosa credi, anche io ho dei sentimenti!”, avrà detto ruttando. Lascialo perdere, e la prossima volta connetti il cervello alla tastiera.

Caro Dottor Q, l’anno scorso ho avuto una storia con un mio compagno di classe e ci siamo mollati, una volta tornati dalle vacanze avevo capito che non era tutto a posto, ma credevo potessimo essere civili tra di noi visto anche che lui sta con una tipa e io pure con un tipo. E invece lui si arrabbia moltissimo con me, e io con lui, e alla fine non si capisce neanche perché litighiamo. Cosa dovrei fare? Chicca MIODDDIOOO che storia struggente. Cara Chicca, ti consiglio di provare a ricostruire il vostro rapporto e a stemperare la tensione passando più tempo insieme, facendo qualcosa di divertente e che vi faccia ritrovare la complicità perduta. Che so, potete giocare a mosca cieca in autostrada, sperimentare il bungee jumping senza corda, correre nudi tra le ortiche. Tienimi informato.

Caro Dottor Q, sono disperato. Qualche mese fa ho conosciuto una ragazza bellissima, dolcissima, intelligentissima… insomma, perfetta. Mi sono innamorato follemente e quando ho scoperto che lei ricambiava sono impazzito di gioia. Di lì a poco ci siamo fidanzati e le giuro dottore che se esisteva sulla faccia della terra un uomo felice, quello ero io. Un giorno assai oscuro però, navigando in un noto portale hard mi sono imbattuto in un filmino a luci rosse che vedeva la mia dolce metà e il suo ex dediti ad accoppiarsi bovinamente. Mi è crollato il mondo addosso. Non ne ho parlato con nessuno ma presto i miei amici, noti professionisti dell’autoerotismo, si sono imbattuti nel sex tape. Non so che fare, la amo follemente e lei è stupenda, ma per questa storia mi prende per il culo persino mio nonno. La lascio? Non la lascio? Mi uccido? Ivan Caro Ivan, immagino che pensare alla propria amata che si dibatte come un’anguilla tra le braccia (e fossero solo quelle) di un altro, sapere oltretutto che i propri amici si gustano e contribuiscono a diffondere nell’etere lo scabroso filmato, e infine scoprire che addirittura il nonno ha saputo superare clamorose incapacità tecnologiche per ammirare le perfomance della tua adorata... beh, considerando tutto ciò, comprendo che tu sia un po’ a terra. Ma non scoraggiarti! Puoi sempre girare il sequel del sex tape. Anche se si sa che il seguito di un film di successo è sempre un flop. ps. e comunque una con quelle bocce..io non la lascerei scappare!

inviate le vostre domande al dottor q all’indirizzo dottorq.iodio@gmail.com



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