XINJIANG - CINA Frammenti di Persia lungo la Via della Seta Persia: nome un tempo usato in occidente per designare il regno dell'Iran...... I Greci chiamarono Persis la terra natale degli Achemenidi che avevano portato la guerra nell'Egeo. .....Persia crocevia tra oriente e occidente, terra di passaggio sulla via della seta e delle spezie. La Persia di Dario e di Alessandro Magno, la Persia di Zoroastro, di Gengis Khaan, di Abbas il Grande e del poeta Firdusi. Culla di antiche culture, antiche religioni dormienti sotto la coltre del tempo, poesie e racconti che ormai fanno parte del nostro immaginario. Avventurosi mercanti medievali pionieri della medicina e delle scienze, uomini di fede, esploratori e poeti romantici e poi, viaggiatori con l'anima tormentata dalle certezze di cartone della cultura occidentale ne delinearono i confini storici, i margini di pensiero. I confini del pensiero e delle religioni difficilmente permettono alle linee tracciate dal cartografo di collimare con essi! Ecco perchè questa Persia, che non è più solo Persia, va ricercata e incontrata lungo latitudini e longitudini desuete, diverse da quelle canoniche fissate dagli atlanti. La meta è lo XINJIANG, semisconosciuta e vastissima provincia dell' "attuale impero cinese", appoggiata al confine meridionale della Mongolia, Khazakistan e Khirghizistan a ponente, il Tibet a mezzogiorno. Come in una stratificazione rocciosa aggredita dagli agenti esogeni, appena sotto lo strato superficiale della storia recente, affiorano tracce e frammenti di Persia..... Il viaggio centrato appunto sulla ricerca di particolari che permettano a letture passate, esperienze vissute in altri viaggi, stati d'animo conservati dentro di noi di riaffiorare e creare una miscellanea di emozioni, volti, luoghi, odori e colori che vada a sedimentarsi nella memoria divenendo parte di noi. Tre sono i cardini su cui poggia il viaggio: TURPAN, antichissima oasi protetta dal vento del deserto che spira sempre nella stessa direzione tanto che per orientarsi basta osservare i tronchi piegati degli alberi. L'acqua, elemento che nel deserto decide il destino degli uomini, qui è stata intrappolata attraverso i KAREZ, infinito formicaio di pozzi sotterranei scavati con la sola forza delle braccia nel corso di secoli.
La canalizzazione delle acque ha permesso la coltivazione della vite. in autunno maestosi vigneti in cui nulla è metallico e i colori sono quelli del legno e del mattone crudo fanno rivivere il mito dei riti dionisiaci celebrati nell'Africa romana ai tempi dei Severi. Non lontano il minuscolo villaggio uiguro di Tuyuq appoggiato al fianco della montagna è privo di illuminazione, i vecchi portano barbe musulmane su facce solcate dalle stesse rughe dei contadini della Langa di Fenoglio. Siedono, rilassati, con i loro doppa ricamati d'argento sui karvat, letti in legno scolorito dal succedersi delle stagioni dando la sensazione a chi passa che siano lì da sempre. ......le grotte mutilate da vandali islamici e da “pragmatici” archeologi tedeschi, mostrano frammenti di volti dal puro profilo indiano, testimoni silenziosi assieme a pavoni e scimmie dei dogmi della antichissima scuola Mahayana. Un affresco di una divinità femmina, omologa dell'Eolo classico, ci rammenta con l'arpa e tracce di sanscrito che queste mura in arenaria hanno rappresentato un crocevia importante nello sviluppo della storia delle religioni in oriente. Un Budda Sakhiamuni discute di filosofia con i discepoli mentre un volto di Indra a cui sono stati graffiati via gli occhi ha invece conservato intatto il terzo, quello metafisico! Un Garuda, uccello sacro rappresentato anche nelle danze Tsam in Mongolia, vola ancora lungo la volta della grotta, purtroppo metà del corpo è stata straziata dalla mano di una rozza guardia rossa probabilmente nel 1934. Poi, in un fiato si giunge al TAKLAMAKAN, deserto di Marco Polo, il cui nome tradotto dallo uiguro avverte: " se entri non esci.." attraversato da nord a sud per giungere a Minfeng dove il tempo è bloccato alla rivoluzione culturale e la gente del posto totalmente avulsa da qualunque contatto con il turismo ti ferma per la strada per chiederti chi sei.. Infine KASGAR, la città il cui nome evoca anche in chi non ha mai viaggiato l' Arabia Felix, l'odore delle spezie, i cammelli carichi di merci provenienti dall'India, da Bukkara o da Venezia. Alle spalle della gigantesca statua in cemento ocra del "grande timoniere" che ancora oggi indica la giusta via, sorge la città vecchia, lungo le rive del fiume Tumen un palazzo di due piani privo di muri ospita vecchi intenti al gioco degli scacchi; vesti, facce e gesti non devono essere molto diversi da quelli visti da Marco Polo più di 800 anni fa.
Lungo la spianata della grande Moschea Id Kan i mendicanti come secoli addietro attendono la zakat dai ricchi mercanti che si recano alla preghiera del venerdÏ. Bambini gioiosamente lerci annusano il denso profumo dei pinghan, le paste di meliga identiche a quelle del basso Piemonte dove, attorno all'anno mille, i Saraceni fermati nella loro invasione vi lasciarono il grano turco. La Kasgar di Hipparahan, la concubina la cui pelle profumata dall'essenza dei fiori del deserto divenne leggenda.....