Francesco De Bartolomeis. Incantamento. 2017

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francesco de bartolomeis

‌e alla fine

incantamento

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per Paolo

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■ Incantamento. Non nel senso di magia che ha nella più citata Rima di Dante. Io intendo il sentirsi in una leggerezza pervadente, indeterminata e intensa, accentrata nella profondità interiore eppure in una sorta di sospensione che si fa anche accenno di sorrisi. Uno stato di grazia che nell’arte si può sperimentare soltanto alle condizioni di esistenza delle opere. Insieme all’incantamento il candore, una sorta di purificazione che accompagna il rapporto con la bellezza, qualità sciolta da morfologia realistica. Sono sentimenti vissuti come esperienza unica di rapporto con l’arte se emergono dopo un lungo percorso. Le opere ti penetrano e ti restano dentro parte di un prezioso patrimonio. Ho cominciato a occuparmi di arte dalla fine degli anni Quaranta. Intendo come studi che approdavano inizialmente a brevi scritti. Alle spalle c’erano gli anni universitari a Firenze. Musei, mostre, opere d’arte della città, in giro per la Toscana tutta: un periodo di formazione esteso ai concerti, alle opere liriche, al teatro, ai film di grandi registi, alla letteratura. Vivevamo queste esperienze con lo stesso impegno con cui affrontavamo i corsi universitari. Amicizia e cultura andavano insieme, e non mancavano discussioni politiche. Sono passati tanti anni e ho dedicato all’arte libri, cura di mostre, monografie, presentazioni, conduzione di laboratori di educazione artistica secondo un mio metodo. Di recente ho pubblicato due opere: alla fine del 2016 L’antipedagogia incontra l’arte e agli inizi del 2017 Colloqui sull’arte con me stesso. Per quanto siano molte le cose che ho fatto, ogni volta è come se dovessi ricominciare daccapo. Spero non soltanto di approfondire la conoscenza di particolari artisti ma anche di scoprire qualcosa di nuovo riguardo alla natura dell’arte. Idee inquietano la mia mente perché continua a essere vivo il bisogno di provare a capire meglio, anche da prospettive insolite, le qualità


che distinguono l’arte e i criteri che giustificano la presenza nella sua area di determinati prodotti.

■ Non so come sia nato il bisogno, proprio cercando di mantenere elevata la coscienza critica, di trovare un posto centrale a sentimenti che sembrano primitivi, anteriori a specifici interessi culturali. Certo, incantamento e candore si provano anche se l’arte non è campo di studio. Già prima di iniziare l’attività di critico, era naturale che nei musei mi fermassi di fronte a opere che per qualche ragione mi attraevano con particolare forza: originalità di composizione, caratteristiche di forme e di colori, andamenti di segni, trattamento di un dettaglio. Una parte l’aveva anche il soggetto. Sentivo le opere ferme, sospese con una vitalità silenziosa che dava una sorta di solennità e ne restavo incantato. L’attrazione può esserci nei primi rapporti anche da chi è privo di competenza nel campo dell’arte; in questo caso non sempre si riduce a una passeggera curiosità ma può essere l’inizio di un interesse che si rafforza con l’appoggio di strumenti culturali. Con il progredire nelle ricerche, il mistero e l’inconoscibile avvertito nelle opere d’arte, mi portano a scoprire all’improvviso qualcosa di nuovo, un incanto che in realtà poteva nascere e persistere, come una sorta di dono, da approfondimenti. Diversa dall’impressione iniziale, è esperienza che sviluppa le sue potenzialità dopo conoscenze tanto avanzate da ritenere di non potere andare oltre. Ma è un’illusione: ogni risultato è sempre superabile. Nelle ricerche strettamente legate alle opere, ho sperimentato uno stato di particolare intensità e concentrazione che non solo porta il capire al non capire, al mistero che proprio nelle rivelazioni diventa più fitto. Qualcosa di più e di diverso è la sensazione che penetra nelle forze generative dell’arte e fa sentire un incantamento associato al candore. È sensazione nuova che può nascere soltanto se ci si spinge ancora più nel profondo della vitalità della cultura e, in un

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intrico di problemi, si cerca di capire qualcosa dell’esistenza che fino ad allora ci era ignota.

■ È vero, sono sentimenti che possono essere avvertiti, a tratti e con scarsa intensità, anche senza particolari studi e approfondimenti, ma solo quando nascono in aree avanzate di esplorazione critica sono esperienze del tutto nuove. Occorre acquisire strumenti conoscitivi complessi, affinare la sensibilità, fronteggiare ostacoli difficili, essere incontentabili, ostinati, proseguire per tentativi. Tanto lavoro è indispensabile per arrivare a una sorta di sospensione che affascina e meraviglia; una sospensione che spinge sempre a un seguito e, in quanto vicenda culturale, contribuisce con una particolare esperienza a modificare e a capovolgere punti di vista sui problemi. È inevitabile e positivo che ritornino incertezze, disorientamenti, insoddisfazioni. Un’idea avvertita come forte, negli sviluppi può indebolirsi fino a essere abbandonata e, al contrario, uno spunto confuso può imporsi come prospettiva che promuove una feconda attività. Si mescolano piacere e pensosità, entusiasmo e tensione, incanto e turbamento, libertà e coazione. Il superamento di un limite apre la strada a un nuovo limite più avanzato che richiede di continuare: è quanto accade normalmente da sempre in ogni campo del sapere e del produrre. Realtà, problemi, continuità di ricerca, una triade indissolubile. La realtà delle opere va oltre il visibile e, poiché tendono a conoscere l’inconoscibile, non propriamente di conoscerlo si tratta, piuttosto è un essere sfiorati dalla sua misteriosa presenza. Sono tanti e sempre diversi i modi con cui l’arte tenta di rappresentare qualcosa di essenziale dell’uomo e della natura tutta, disorientati nell’universo. Qualcosa di essenziale che non può non ricorrere a realizzazioni “abbreviate”, parziali, a volte solo pochi segni e configurazioni elementari. Mi venne come spontaneo atto d’amore, tra i tanti tentativi di approssimarmi all’essenza: “l’arte fragile e indifesa”.


L’espressione è adatta per riconoscerne il valore come io lo sento e perciò non pretende di essere esclusiva.

■ L’universo? E cosa c’entra e perché richiamarlo per particolari oggetti, perfino piccoli disegni? I dubbi non annullano quella che è una necessità: produrre e tentare di capire quel poco che s’illumina, rivela e rende più fitto il mistero. E aria di mistero circola nelle opere; ne avvertiamo la bellezza, l’originalità compositiva, ma c’è qualcos’altro che le rende vive, concrete nell’astrazione. Un’opera d’arte non è mai ferma. Rapporti di forme, di colori, di piani di profondità creano movimento in una varietà di direzioni. Ed è cambiamento continuo in forza delle qualità che liberano le opere dall’illusionismo realistico. Dello smarrimento nell’universo le opere danno indizi, simboli con qualità di stile che articolano e unificano la composizione così che alla fine i risultati siano non simulacri ma realtà durevoli. Disegni, dipinti, sculture superano non meno il visibile che la loro materia e entrano nel mondo dell’essenziale, condividendone il valore. Fatti di natura, particolari, strutture astratte nell’arte hanno un potere di espansione che accoglie emozioni, pensieri, sogni, fantasie, manie, paure. Una rappresentazione, che è sempre piccola quali siano le sue dimensioni, come può partecipare della complessità? L’artista ha dubbi e disorientamenti radicali, è diviso tra il comunicare e il sentirsi solo con se stesso, si trova di fronte a punti di scelta e può decidere di sospendere l’attività produttiva per un periodo più o meno lungo. Ha bisogno di riflettere, di considerare come affrontare le difficoltà che comportano i tentativi di nuove realizzazioni. L’opera d’arte è viva e non si estingue il piacere di rivederla; a ogni incontro sorprende con novità che riguardano non meno i particolari che l’insieme. Si è in uno stato di trepidazione e di attesa. Sì, è un’opera che conosco, l’ho vista tante volte, perfino ho cercato di darne in uno scritto una interpretazione, ma come mi si presenterà al nuovo incontro? Quali saranno le mie reazioni?

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■ In tante obiettive e inevitabili complicazioni, è illusoria la possibilità di decidere di osservare un’opera d’arte liberi dalla cultura. Non è come un cambiarsi d’abito, mettersi in casual. Proprio la cultura porta una sorta di candore nelle valutazioni, nelle analisi, nei modi di percepire le rappresentazioni. Nei momenti in cui riteniamo di essere sciolti dal bisogno di giudicare l’opera (ma gli strumenti per farlo continuano ad agire anche a nostra insaputa), più fortemente avvertiamo l’immagine come una emanazione, in una sua atmosfera senza che si attenui l’attività della cultura, che anzi è sospinta a nuovi, più alti livelli. È un singolare candore che soltanto in apparenza mette da parte problemi, incertezze, conoscenze per affidarsi interamente alla sensibilità e all’emozione. Incantamento e candore non sono un piacevole inganno passeggero. Più conosciamo le opere e più questi sentimenti sono parti dell’esperienza dell’arte. E lo sono al punto che le immagini, con questi particolari modi di viverle, le portiamo dentro anche se materialmente assenti. Anzi la lontananza dall’opera, quello che ci resta dentro dopo la sua visione diretta prova insieme la qualità delle opere e il valore della nostra esperienza. Sono tante le risorse di cultura e di sensibilità da attivare quando cerchiamo di cogliere nelle opere le qualità che le rendono uniche. Siamo tentati di attribuire l’inizio, il corso e la conclusione del processo formativo alla creatività. Ma è una semplificazione. La creatività non è un potere omogeneo; agisce non da solo ma insieme a tante forze, e sono mentali, sensoriali, emotive. I surrealisti, specie Ernst, ne avversano la presunzione e le oppongono il decisivo concorso del sogno. E non c’è artista che, cosciente delle complicazioni del lavoro da cui nascono le opere, non assegni grande importanza al caso e alle coincidenze.


■ Incantamento, un silenzioso e assorto osservare in solitudine un’opera d’arte. Non è la situazione più frequente. Di solito si visitano mostre e collezioni di musei con una persona amica o con la compagna o con il compagno. Certamente una esperienza, se è condivisa, si apre a mutamenti. Non considero le visite di gruppo che hanno modi molto diversi di organizzazione e di realizzazione. Mi riferisco all’essere in due. È inevitabile comunicare; ma non con discussioni critiche né con scambi di impressioni circostanziate. Domina una calma frammentazione per le poche parole e per gli spazi di silenzio. Ciascuno nota sommessamente particolari senza il proposito di attirare l’attenzione dell’altro. Le poche parole non disturbano la concentrazione personale. Dicevo dei particolari: l’andamento di una linea, la tonalità di un colore, un contrasto lieve o accentuato, un effetto di profondità del limite. Ma si può essere attratti anche da caratteristiche che riguardano tutta la composizione, e sono tagli di inquadratura, sviluppi di forze. di tensioni o una diffusa quiete di avvolgente atmosfera. Il vivere l’arte con scoperte che incantano insieme a una persona che ci è molto vicina ha un effetto di cui forse non ci si accorge sempre. Nella condivisione di esperienze culturali e emotive non solo si scoprono nuovi aspetti delle opere d’arte ma anche si arricchiscono di valori imprevedibili i rapporti di amicizia e di amore. Sono occasioni particolari per conoscersi meglio dal punto di vista sia delle propensioni intellettuali e culturali, dei gusti sia e dei modi di esprimere sentimenti.. Per quanto intimi siano i rapporti e per quanto conosciamo la persona che ci è cara, i legami si rafforzano ulteriormente se si sviluppano in occasione dello stare con la bellezza sperimentata con particolare intensità. La condivisione dell’interesse per l’arte affrontata con sentimenti di amicizia o di amore fa progredire questi sentimenti perché fa vivere i rapporti affettivi personali nella cultura, e arricchisce l’una e gli altri.

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■ Finora ho parlato del critico e dell’osservatore interessato e con una buona preparazione. Dall’incantamento sarebbe escluso proprio l’artista che con le sue opere lo rende possibile a noi? No, certamente. Ma nell’artista è esperienza vissuta in condizioni e in modi diversi. Penso che l’artista avverta un tipo di incantamento quando, per eccesso non per difetto, sente come non sua l’opera appena finita o appartenente alla precedente produzione più o meno lontana. L’artista sente l’opera estranea semplicemente perché non sa spiegare come è arrivato a un risultato in cui vede particolari complicazioni, con effetti di bellezza che lo meravigliano. È come se avesse ricevuto diversi aiuti occulti. Ed è vero. Per quanto egli possa controllare il processo produttivo con idee e sentimenti non può non avvertire l’azione decisiva di forze che non sa come siano entrate nel suo lavoro: il caso, l‘inconscio, l’istinto, sensazioni improvvise, intuizioni, accettazione di ciò che non aveva intenzione di fare ma che poi ha accolto perché gli dava indicazioni per proseguire con una nuova prospettiva. Questa estraneità ammirativa, una forma di incantamento che mi sembra di potere attribuire all’artista, si presenta particolarmente di fronte alle opere che egli ritiene bene riuscite anche senza presunzione al punto da ricondurle a capacità che dubita di possedere. Lo so per esperienza. Proprio gli artisti più bravi e originali sono particolarmente modesti, perfino umili e sono grati a un potere ignoto e indefinibile per quello che riescono a fare. Si sentono tramite di forze che li sovrastano. È naturale che a questo tipo di incantamento si accompagnino incertezze nel corso del lavoro. Alla fine quei raggiungimenti alti di cui si meravigliano bisogna meritarseli. Anche con fatica.


■ Una parentesi. L’incantamento può essere messo alla prova in condizioni molto difficili. Capita spesso di trovarsi di fronte a opere antiche con alcune lacune dovute a cause diverse e possono superare la restante parte dipinta o scolpita. Il danneggiamento è irreversibile. Un corretto restauro si limita a risolvere problemi di conservazione e evita rifacimenti, legittimi con accortezza solo per opere di architettura. Gli eventi hanno deteriorato le opere d’arte, il danneggiamento prova che l’arte è indistruttibile, che le ferite non sono mai mortali. Le opere continuano a essere vive. L’opera pittorica o plastica ha una sorta di forza di autoricostruzione e si fa valere sempre come un insieme per quanto grande possa essere la frammentazione. È l’impressione che si riceve ad esempio dallo stato del Crocefisso di Cimabue in Santa Croce distrutto per l’80% dalla alluvione che nel novembre 1966 colpì Firenze e tutto il bacino idrico dell’Arno. La superficie pittorica del Cristo è molto frammentata, il corpo è gravemente ferito, ma l’arte lo tiene in vita. Sempre di Cimabue La Crocefissione, affresco nella Basilica Superiore di San Francesco di Assisi aggiunge alle lacune un diffuso schiarimento e una riduzione quasi a sinopia senza che la forza espressiva diminuisca. È quanto avvertiamo in una lunga, incantata osservazione, del tutto libera da effetti di suggestione. Nell’arte moderna hanno origini e risultati molto diversi le lacune volontarie, prodotte dall’artista per caratterizzare le sue soluzioni stilistiche. Spesso Matisse non mette particolari nei volti per dare alla loro espressione un valore più generale, libero da una determinata fisionomia. Sempre Matisse nella figura intera progressivamente elimina molti particolari così che, al suo stadio finale l’opera sembra ridotta a una sorta di abbozzo. In entrambi i casi, le semplificazioni essenzializzano le immagini che acquistano una intensa espressione.

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■ Evitare l’unilateralità. Ampliando la visione, mi sembra di poter dire che nel lavoro che dà esistenza a un’opera l’intelligenza della mano, adoperi o no strumenti professionali, collabora alla tattilità del pensiero. Tra sollecitazioni e impedimenti, spesso l’artista non sa se l’opera a cui ha lavorato può considerarsi finita o da modificare con aggiunte, sottrazioni, variazioni più o meno radicali; egli può decidere perfino di abbandonarla. Quali conoscenze culturali, quali abilità e strumenti, quali eventi e coincidenze concorrono alla nascita di un’opera d’arte? Ogni artista ha vicende diverse. Per un artista ha importanza decisiva ciò che per un altro è marginale o addirittura trascurabile. Per un artista è stretto il rapporto con la musica, per un altro con l’architettura, per un altro ancora con le scienze naturali o con la geometria. In ogni caso non c’è artista che si disinteressi dei sentimenti, del mondo interiore, e ci sono artisti che ne fanno oggetto di un’attenzione specifica con studi di psicologia del profondo. Un insieme di conoscenze culturali, di esperienze e di poteri, di imprevedibili fatti della vita personale e di coinvolgimenti in eventi sociali costituisce la larga e eterogenea base su cui la creatività dell’artista trova elementi indispensabili per impegnarsi nell’attività produttiva che ne dia il senso. Non c’è studio approfondito che porti a conoscenze in buona misura definitive sulla varietà di processi che generano opere d’arte. Eppure noi non meno degli artisti sappiamo molte cose di come nell’invenzione compositiva il trattamento pittorico o plastico della materia trovi nello stile la capacità di produrre immagini reali, proprio perché vanno oltre il visibile, danno all’astrazione concretezza, anche emotiva, liberandola dai limiti dell’ordinaria esperienza e da un misurabile spazio-tempo. Ed è certamente un punto avanzato di comprensione vedere in ogni forma d’arte un rapporto necessario tra astrazione, realtà e complessità.


■ Identità, concretezza, astrazione, estensione, complessità. Non metto insieme confusamente cose opposte, da cui non si vede come possano emergere le caratteristiche dell’opera d’arte. Questi termini non vanno spiegati con il vocabolario alla mano. È in questione una visione teorica (e intendo dire legata alla particolare realtà dei prodotti artistici) e soltanto al suo interno le parole, che vanno collegate, trovano il loro vero significato. Le parole indicano estensione, superamento, diversità da quello che appare, partecipazione a una realtà senza limiti eppure interiorizzata. Il termine estensione indica il potere della qualità e dello stile di superare la determinatezza morfologica delle immagini. Estensione non solo simbolica. L’immagine artistica supera se stessa in forza sia delle cose che vuole esprimere sia dello stile che dà vitalità alle combinazioni formali della materia di cui può perdere la memoria. L’immagine anche con procedimenti che non si riesce a spiegare è un’altra realtà autonoma senza ostentazione e lontana dalla riduzione realistica. Quali siano le forme d’arte e i campi di ricerca scientifica, non si può arrivare à spiegazioni definitive. La natura di ciò che si tenta di capire lo impedisce. Altra cosa è affermare che l’arte con il tempo non perde valore. Il variare dei giudizi riguarda le vicende della critica non delle opere in sé che qualcosa di definitivamente valido riescono a trarre dal rapporto con la complessità. Dalla complessità non si sfugge, ne siamo coscienti o no; è la condizione strutturale dell’esistere. Le scienze ne danno spiegazioni che fanno nascere nuovi problemi, e l’arte ne è partecipe con realizzazioni che sembrano, nel confronto, del tutto inadeguate. L’artista non interessato a virtuosismi di descrizione realistica riesce a dare alle sue opere valore reale. Il termine “realtà” può avere anche significati del tutto opposti.

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■ Gli artisti con comportamenti molto diversi affrontano la complessità nei tentativi di farne sentire indizi nelle rappresentazioni. Un lavoro avvertito sempre difficile e responsabile, solo in parte intenzionalmente controllato e dai risultati non prevedibili che possono deludere o meravigliare. Le composizioni che affrontano problemi nuovi si rifiutano di avvalersi di regolarità e di facili corrispondenze: sarebbero in contrasto con la complessità che non si può evitare senza incorrere in scadimenti, in sostegni realistici o in astrazioni senza vitalità. Anche le soluzioni più azzardate e perfino arbitrarie hanno una ragione nella intelligenza dell’invenzione che ha vincoli positivi nella necessità di arrivare a composizioni che si distinguano per stile. Rigore e necessità in quello che vediamo nelle opere: spostamenti in varie direzioni, capovolgimenti, contraddizioni, reazioni all’assenza di un centro, frantumazione, disorientamenti, aperture e sono lontananze irraggiungibili; chiusure e sono oscure barriere; cose che attraggono e danno speranza di tangibilità, cose che sfuggono. Nell’interiorità le esperienze accentrano forze e conoscenze, e coesistono contrasti. Quale sia lo stato di difficolta, possono attivarsi forse per non chiudersi alla bellezza e alla gioia indotte dalla sensibilità per la varietà mutevole e senza limiti della natura. Tuttavia sono tanti gli eventi e i rapporti non evitabili che feriscono, soffocano, opprimono. E non serve ad alleviare la sofferenza l’illusione della possibilità di un durevole e sicuro raggiungimento. Non si sa quali esperienze nei singoli artisti agiscono da stimoli e quali da impedimenti, quali lotte devono sostenere per arrivare a risultati. Che a volte aprono a un periodo particolarmente attivo e a volte fanno sentire ostacoli che impediscono per un periodo più o meno lungo di continuare.


■ Della varietà delle situazioni intellettuali e emotive, delle esperienze personali si ha conferma nella morfologia delle opere. Nell’arte contemporanea le configurazioni morfologiche raggiungono il massimo grado di trasformazione così da sembrare del tutto arbitrarie (Picasso, Miró, Jawlensky, de Kooning, Bacon), ma in esse c’è il mondo dell’artista che si fa valere per originalità di stile; un mondo che concentra e interiorizza esperienze sciolte da limiti di spazio e di tempo. Anche soluzioni figurative che non rinunciano alla verosimiglianza vanno oltre l’oggetto con una sorta di sospensione che ferma i movimenti delle persone e la funzionalità degli ambienti e delle cose così da rendere misteriose situazioni dell’ordinaria quotidianità (Hopper). In altri casi, in una varietà di rappresentazioni, è la composizione surreale e alogica degli elementi (da Malevič a de Chirico, da Ernst a Magritte) che fa guadagnare alle opere una realtà del tutto indipendente. Con la vitalità dello stile la geometria diventa arte e sono composizioni molto diverse (Kupka, Malevič, Kandinsky, Klee, Mondrian) che nella invenzione richiamano la natura, l’architettura, la musica. Ho ragionato con passione di grandi difficoltà, di limiti che si spostano, di complessità incontrollabile, di rapporti dell’arte con altri campi culturali, di lavoro per capire la radicale diversità tra le soluzioni compositive, di reale opposto a realistico e di altre cose ancora. L’affollarsi di idee e i tentativi di fronteggiarle sono necessari per sentire le opere con incantamento e candore. E dopo? Dopo, il lungo cammino di ricerca e di approfondimento riprende e non ha mai fine.

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