Design e Innovazione in mostra: Riflessioni e Strumenti

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Indice

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Ringraziamenti

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Introduzione

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1. Design e Innovazione

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1.1 Innovazione 2. Esporre il design

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2.1 Esposizione come media complesso

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2.1.1 Gli elementi architettonici

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2.1.2 Logiche espositive

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2.1.3 Percorsi

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2.2 Interattività e nuove tecnologie nel medium espositivo

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2.2.1 http://www.

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2.2.2 Scriptovisual

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2.3 Apprendimento informale e interazione 3. Strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’innovazione

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3.1 Mission

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3.2 Strumenti

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3.2.1 Un contenitore aperto

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3.2.2 La partecipazione

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3.2.3 Casi studio: Transporter for Organ Recovery System, XO Laptop dal progetto OLPC One Laptop per Child AIBO Kioto Box Extrusion

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Conclusioni

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Bibliografia

indice

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RINGRAZIAMENTI

Desidero innanzitutto ringraziare la Professoressa Raimonda Riccini per i preziosi insegnamenti durante il corso di laurea specialistica. Inoltre, ringrazio sentitamente la Dottoressa Maddalena Dalla Mura per le numerose ore dedicate alla mia tesi poichè è stata sempre disponibile a dirimere i miei dubbi durante la stesura di questo lavoro. Intendo poi ringraziare la Biblioteca Centrale per avermi fornito testi e dati indispensabili per la realizzazione della tesi. Inoltre, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine a tutti i Professori e alla Dott.ssa Sira Sebastianelli, che mi hanno seguita in questo percorso perchè ognuno di loro ha contribuito alla mia formazione, ed ai miei compagni di corso, in particolare Martina, Matteo e Dario per i numerosi consigli durante la ricerca. Infine, ho desiderio di ringraziare con affetto i miei genitori per il sostegno ed il grande aiuto che mi hanno dato ed in particolare Michelangelo per essermi stato vicino ogni momento durante questi anni di lavoro.

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Esporre al pubblico il design e l’innovazione al di fuori dei canali commerciali è un processo complesso, che si lega alla possibilità di diffusione culturale e di apprendimento. Riuscire a individuare strumenti e modalità adatte per comunicare l’innovazione può aiutare a stimolare interesse e curiosità sulla cultura della ricerca e del design contemporaneo. L’exhibition design può essere la strada per aiutare anche il pubblico non specializzato a capire o a interessarsi a questi temi e a capirne la ricchezza e le potenzialità. Obiettivo di questa ricerca è analizzare il museo e in particolare l’esposizione nel contesto museale in quanto macchina comunicativa, mettendo in luce alcuni strumenti e riferimenti che possono essere utili per progettare una esposizione di design ad alto livello innovativo come la scelta architettonica, le logiche espositive, la tecnologia e l’interazione. Le mostre realizzate sul design e l’innovazione, in questi ultimi anni, mostrano come l’oggetto venga decontestualizzato e non comunicato, addirittura molti allestimenti non sono stati cambiati dall’ 1983 ad oggi, come al Philadelphia Museum of Art. Gli stessi limiti comunicativi si riscontrano in esposizioni anche più recenti come Design and Elastic Mind del MoMA (2008), in cui i progetti hanno solo una breve descrizione testuale che non ne facilita la comprensione da parte del pubblico. La prima parte di questo lavoro parla di innovazione in relazione alle persone persone, infatti quando un azienda progetta un nuovo prodotto, si focalizza sui bisogni, le esigenze e i desideri del cliente, dopotutto i prodotti

sono acquistati da e per coloro che li useranno. Anche noi designer siamo persone, gente normale che mette a frutto la propria abilità per sviluppare idee e prodotti nuovi, il design del prodotto comporta che tutti debbano essere innovativi, non solo i progettisti industriali. La relazione che intercorre tra uomo e artefatto innovativo, che definisce un cambiamento in un sistema già affermato, necessita di studio e ricerca per la sua complessità e di comprensione e di interesse anche dei possibili clienti che acquisteranno il prodotto. Il secondo capitolo coglie le caratteristiche dell’innovazione e spiega come può essere esposta attingendo alla cultura dei musei di scienza e tecnologia. Vengono individuati strumenti e linee guida, metodi comunicativi e partecipativi, vengono anche trattate le nuove tecnologie che sono disponibili all’interno di musei e di come queste possano ancora evolversi, analizzo siti internet e parlo dei musei virtuali e di come poter interagire con il pubblico affinché si crei apprendimento. Questi strumenti mi sono stati necessari per immaginare l’esposizione di esempi generalizabili e attualmente in mostra nei più importanti musei del mondo. È stato analizzato l’allestimento attualmente esposto e pensato un possibile concept espositivo che rendesse l’oggetto dinamico e comprensibile ai visitatori. Ho immaginato un oggetto vissuto a 360° dal visitatore, che lo coinvolgesse, che gli faccesse sorgere delle domande, giocare, divertire e incuriosire, ho pensato pensato a delle postazioni qua e là, in grado di coinvolgere VI anche l’imprenditore o il politico

Introduzione

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più scettico, essere in grado di far comprendere concetti complessi come può essere il funzionamento del LifePort Transporter per il trasporto dei reni, e del Kioto Box, per spiegar loro che è possibile cuocere con un fornello ad energia solare (ma come fa il sole far bollire l’acqua per un piatto di pasta?) oppure catturare l’attenzione con XO Laptop per bambini della OLPC (One Laptop Per Child) per l’innovazione socio-culturale. Per ognuno di questi oggetti ho pensato una postazione personale con le risposte alle domande che indurremo a fare, ogni progetto è unico e questa unicità potrebbe essere messa in evidenza tramite l’uso di piccoli esempi o esperimenti che permettano di saperne di più sulle cose che usiamo ogni giorno, interrogandoci su di esse.

Img 001. In alto, l’esposizione permanente del Department of Architecture and Design del Museum of Modern Art di New York, allestita tradizionalmente; sotto alcuni oggetti scelti ed esposti in occasione della mostra Design and the Elastic Mind (2008), dedicata all’innovazione e alla ricerca contemporanee.


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Img 002. Sopra uno dei primi allestimenti del Vitra Design Museum, Europe and America. A Comparison, 1989; in basso, veduta dell’allestimento per la mostra monografica The Work of Charles and Ray Eames, 1997


2007, nelle immagini a destra, dove si può notare che nessun cambiamento è avvenuto nell’approccio alla esposizione degli oggetti.

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Img 003. A sinistra alcune vedute dalla mostra Design since 1945, organizzata al Philadelphia Museum of Art nel 1983, che venne criticata da Clive Dilnot, fra altri, per i limiti della presentazione dei prodotti e della storia del design, priva di contestualizzazione; può essere interessante confrontare l’allestimento di allora con quello della mostra più recente organizzata presso lo stesso museo, Designing Modern. 1920 to the Present,

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1.1 Innovazione Come studente e giovane progettista, mi rendo conto che la complessità e la ricchezza del disegno industriale non è percepita e non è sufficientemente veicolata dai normali canali di comunicazione (tv, riviste, siti e portali di divulgazione) che non sembrano sufficientemente adatti a tradurre la ricerca che si svolge nel settore del disegno industriale al pubblico non specializzato. Design e innovazione sono parole usate spesso insieme o in modo intercambiabile. Per me il design è un concetto che indica il cambiamento mediante la soluzione di problemi umani ma significa anche per descrivere campi specifici, come il design ingegneristico, il design di interfaccia o il design industriale. Il potere del nuovo design per l’innovazione stimola un motore di cambiamento che guida la realizzazione dei prodotti futuri. È il risultato di team multidisciplinari e porta dinamicamente a soluzioni complete alle quali i consumatori rispondono positivamente investendo economicamente, cognitivamente e in fine economicamente. La sfida del design per l’innovazione è aiutare le persone ogni giorno a sforzarsi e crescere per ottenere cose straordinarie1 e contribuire ai processi di ricerca e innovazione (in alcuni settori particolarmente importanti come: medicale, aerospaziale, ecc.). Ad oggi il termine innovazione spesso si trova utilizzato per fini strumentali soprattutto da aziende che con questo termine aggiungono un valore in più ai loro prodotti, come un sostantivo del prodotto e che dista completamente dall‘invenzione. La cultura del design come

si è sviluppata e come viene discussa ha portato sempre più a dare valore ai fattori umani, alla centralità dell’utente, dell’uomo: progettare pensando alle persone che potrebbero utilizzare l’artefatto, avvicinare, renderlo intuitivo e semplice partendo dalle piccole abitudini, dalla personalità, dai fruitori, conoscere meglio il contesto a cui è destinato il dispositivo. Nel design del prodotto ad esempio il progetto finale arriva anche dal contesto, che definisce problematiche e impatto sulla società odierna. Interagire attivamente significa che intercorre una relazione dinamica tra uomo-oggetto, prendiamo le caratteristiche e le abitudini umane per trasferirle in un sistema complesso con cui ci rapportiamo, ci relazioniamo, basti pensare a quando si sente qualcuno inveire contro l’emettitrice di biglietti alla stazione dei treni…è molto più raro e ci preoccuperemmo molto di più se notassimo qualcuno che fa la stessa cosa contro una sedia o una panchina. Si prende l’emettitrice di biglietti come capro espiatorio perché potrebbe ricordare l’uomo della biglietteria, nella nostra testa quella macchina è l’alter ego di un possibile Mario che lavora per Trenitalia dietro lo sportello. L’innovazione riguarda le persone, quando una società progetta un nuovo prodotto, si focalizza sui bisogni, le esigenze e i desideri del cliente, dopotutto i prodotti sono acquistati da e per coloro che li useranno. Anche noi designer siamo persone, gente normale che mette a frutto la propria abilità per sviluppare idee e prodotti nuovi, il design del prodotto comporta che tutti debbano essere innovativi, non solo i progettisti industriali. 012 La relazione che intercorre tra design e innovazione

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uomo e artefatto innovativo, che definisce un cambiamento in un sistema già affermato, necessita di studio e ricerca per la sua complessità e di comprensione e di interesse anche dei possibili clienti che acquisteranno il prodotto. Occorre, quindi, proseguire con lo studio di nuove tecnologie e creare innovazione anche utilizzando strumenti di altre discipline ricordandosi che il design innovativo non è necessariamente quello con elementi digitali e informatici (ad esempio, la pentola Kyoto Box2 che funziona con la luce solare, è molto innovativo, ma non ha nulla di digitale). La comunicazione uomomacchina, è stata resa più familiare anche grazie all’uso di metafore che ne hanno facilitato comprensione ed utilizzo. Ad esempio, già dalla fine degli anni Settanta il Laboratorio della Xerox PARC di Palo Alto si è orientato all’utilizzo delle metafore visive per rendere familiare e di comune utilizzo una tecnologia. La più nota è la metafora della scrivania. Quasi tutti i computer del mondo, infatti, si presentano attraverso una scrivania schematizzata costituita da segni simbolici, le icone, che rappresentano i documenti, le cartelle che li contengono, il cestino per eliminare i file, addirittura la penna per scrivere e la gomma per cancellare. L’utente si muove nella scrivania virtuale esattamente come si comporta in quella reale: l’efficacia della metafora sta proprio nel richiamare un ambiente di lavoro già familiare. Gillo Dorfles nel suo volume Il feticcio Quotidiano, scrive: dopo gli ultimi decenni «cos’è accaduto? Che mentre un tempo,

all’epoca delle prime macchine per scrivere, per cucire, dei primi gadget domestici, dei primi telefonini, ordinatori, ecc., la carrozzeria rispecchiava la sagoma del meccanismo contenuto, ricoperto, mascherato dalla stessa, per cui avevamo delle forme autentiche che dipendevano quasi totalmente dai macchinari che albergavano; oggi invece, le forme esterne sono soltanto apparenti, arbitrarie, scelte in base alla loro efficacia psicologica, estetica, pubblicitaria […] sviluppano una poetica architettonica che si differenzia tanto dal prepotere meccanicistico, quanto all’abbaglio postmodernista (iper-decorativo o vetero stilistico che sia) e invece proseguono una ricerca di “nuove forme”, spesso eccentriche, asimmetriche, organiche, plastiche, che ebbi a definire neobarocche». Il designer industriale non è più costretto a creare una “carrozzeria” attorno ai meccanismi, perché gli oggetti si sono elettrolizzati e miniaturizzati o hanno cambiato la loro collocazione d’uso, consentendo un numero sempre più elevato di gradi di libertà compositiva che risponda anche ai bisogni estetici e psicologici desiderati dall’utente. L’industrial design è sempre più impegnato a occuparsi dell’interazione, dell’utente ecc. e anche alla gestione delle relazioni sociali attorno agli oggetti o attraverso i prodotti. I dispositivi di ultima generazione, personal computer, cellulari, palmari, ma anche navigatori satellitari o macchine fotografiche consentono lo sviluppo di interazioni nuove tra le persone, tra le persone e le cose, tra le persone ed i luoghi, richiedendo nuove modalità di interazione, al contempo, tra gli


design e innovazione Img 004. Metafora della scrivania su cui è impostata l’interfaccia sui nostri computer.

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individui ed i dispositivi, che sono sempre meno gli artefici passivi di una ben definita funzione, e sempre più entità attive, plurifunzionali, adattabili, intelligenti. Il progetto innovativo è un fenomeno complesso, perché si valuta nel tempo; prima che una invenzione o una nuova tecnologia diventi innovativa veramente, è necessario che questa cambi effettivamente o incida sulla vita, gli stili di vita e le abitudini delle persone, l’iPod o l’iPad sono innovativi perché hanno modificato il concetto di ascoltare musica e utilizzare il computer ma quando vengono acquistati non vengono fatti ragionamenti sull’innovazione di ciò che si sta acquistando, può essere quindi interessante raccontare questa innovazione e il ruolo che in essa ha il contributo del design. L’immagine del progettista che si occupa di ricerca, secondo me, raggiunge il suo punto critico al momento dell’esposizione del proprio lavoro, i principali ordini di motivi potrebbero essere: l’immagine mal identificata, causa l’attuale significato che il termine design ha acquisito, secondo poi la mancanza di strumenti comunicativi che mostrino anche il suo lavoro di ricerca per non soffermare l’attenzione su quella che può essere forma, colore e particolare estetico. Il rischio è quello che il progetto non venga comunicato nella sua interezza e ne perda in qualità ed importanza innovativa. L’attenzione al momento dell’esposizione potrebbe essere centrata sul prodotto e sulle funzioni, approccio necessario che l’immaterialità di software o sistemi di posizionamento richiedono. Un esempio di esposizione in fiera è costituito dai primi allestimenti realizzati da

Microsoft (progetto Piero Costa, realizzazione Eurostand): le postazioni di computer in funzione e le dimostrazioni al pubblico su grandi schermi illustrano le varie applicazioni dei pacchetti, le macchine in funzione non sono gli oggetti esposti; lo sono invece, le “soluzioni” che offrono. Un approccio al pubblico legato all’esposizione di prodotti costituiti soltanto dal servizio, prodotto-soluzione, è quello del 1994 della ET/SV (progetto studio Conte, realizzazione Panizza), dove un servizio altamente sofisticato come la realizzazione di un sistema di servizi vocali avanzati, viene esposto semplicemente con pannelli esplicativi all’interno dei quali sono collegate alcune macchine, non funzionanti. Anche se è il prodotto ad essere protagonista dell’allestimento, siamo di fronte ad un ribaltamento della logica del mostrare l’oggetto funzionante: la sua enfatizzazione trascende la reale presenza nell’esposizione. Ad oggi, molti importanti progetti di ricerca non riguardano più l’oggetto in se stesso ma tutto il sistema che c’è dietro, qualcosa di non tangibile e non sempre visibile ad occhio nudo perché non viene spiegato. Inoltre non ha più senso parlare unicamente di cose, oggetti, prodotti ma di sistemi, infatti le imprese non propongono più tanto il prodotto quanto il servizio e il suo design e sono entrate in stretta relazione con le innovazioni e le ricerche delle nuove tecnologie, per sopperire sempre maggiormente a richieste specifiche e in evoluzione dell’utenza. Jeremy Rifkin scrive che «i beni perdono lo status di prodotti e acquisiscono quello di servizi in evoluzione. Il loro valore risiede sempre


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Img 005. Esporre software non differisce da esporre oggetti materiali: postazioni per dimostrazioni e funzionalitĂ . Microsoft 1990 (progetto Piero Costa, realizzazione Eurostand).

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Img 006. Stand ET/SV del 1994 (progetto Studio Conte, realizzazione Panizza): sistemi di vocalizzazione avanzata, servizio piĂš che prodotto, la cui rappresentazione grafica supera la necessitĂ della presenza fisica del prodotto stesso.


perché c’è una distanza tra ciò che viene spiegato e quello che è il vissuto umano del visitatore. Nell’esempio della Lego, marchio già noto, il pubblico conosce già la produzione dell’azienda per cui è già preparata ad accogliere il progetto dei mattoncini, ciò a cui non è preparata è capire come si passa dal mattoncino al computer, l’innovazione è nel sistema che il designer ha organizzato, ma proprio questo non viene esposto chiaramente. Sicuramente sarebbe più chiaro se fosse esposto il sito internet (dove sono gli stessi designer a presentare il progetto), se si potessero azionare i modelli in base al diverso programma. Dove necessario mostrare l’idea, il prodotto, il sistema, il consumatore che lo utilizza e/o anche la possibile dismissione qual’ora fosse stata pensata.

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Img 007. Schema di Donald A.Normann. Esiste un modello progettuale (modello concettuale) del progettista e un modello mentale generato dall’utente nell’interazione con l’oggetto sistema. L’immagine dell’oggetto sistema nasce dalla struttura fisica logica. Sono relazioni interazioni tra diversi elementi.

meno nello scheletro o nel contenitore materiale di cui sono necessariamente provvisti, e sempre più nell’accesso ai servizi che forniscono»3. La danese Lego, produttrice di giocattoli, ha messo sul mercato un nuovo prodotto che combina un cervello informatico ai celeberrimi mattoncini Lego4 , con cui i bambini possono costruire giochi robotizzati: per aumentare le funzioni che i mattoncini possono eseguire, è possibile scaricare i relativi programmi su PC dal sito Web Lego, naturalmente a pagamento. La Lego quindi non propone più mattoncini per costruire ma un sistema legato al servizio della robotizzazione, e ai programmi che questa richiede, il bambino non vive più unicamente l’esperienza del costruire ma anche quella del provare e nel far ciò prende confidenza con le nuove tecnologie. Viene venduta e proposta l’esperienza umana, nel caso del Lego l’esperienza del bambino nello sviluppare nuove modalità di intrattenimento costruttivo (in tutti i sensi). I designer, quindi, si trovano davanti ad una nuova sfida, quella della perdita del possesso dell’artefatto a quella dell’esperienza del provare, dove per ‘provare’ s’intende anche una nuova logica di progettazione e di ricerca dell’innovazione. Nelle esposizioni di design, oggi, probabilmente verrebbero esposti i mattoncini con i relativi programmi come artefatti in se stessi, verrebbe spiegato il progetto con delle brevi didascalie, il visitatore sarebbe attratto dal colore dei mattoncini, dalle grafiche e probabilmente dall’allestimento nel momento in cui fosse esteticamente attraente, leggerebbe anche la descrizione del progetto mentre lo osserva da una teca di vetro, in realtà non lo comprende fino in fondo,

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Img 008. La danese Lego, produttrice di giocattoli, ha messo sul mercato un nuovo prodotto che combina un cervello informatico ai celeberrimi mattoncini Lego4 , con cui i bambini possono costruire giochi robotizzati: per aumentare le funzioni che i mattoncini possono eseguire, è possibile scaricare i relativi programmi su PC dal sito Web Lego, naturalmente a pagamento.


note

Vogel, Cagan, Boatwright,2006, p.XXI 1

http://www.kyoto-energy.com/ kyoto-box.html 2

3

J.Rifkin, 2000, pp.117-118

http://technic.lego.com/en-us/ Designers/Default.aspx

4

Img 004. http://www.flickr.com/ photos/venusprime/2220443932/ Img 005. Cocucci, Ferdinando e Antonello Oggioni (a cura di), Esporre Tecnologia, smau 1964/1994, Editori Lybra, 1995, p. 52. Img 006. Cocucci, Ferdinando e Antonello Oggioni (a cura di), Esporre Tecnologia, smau 1964/1994, Editori Lybra, 1995, p. 57. Img 007. Crespellani Porcella , Carlo, L’interruttore di Kandinsky: il salto comunicativo tra linguaggio, visione emondo digitale.Alfredo Guida Editore, Napoli/Isola Felice, Sassari, 2001, pp.138-145. Img 008. http://technic.lego. com/en-US/default.aspx

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2.1 Esposizione come media complesso Esporre al pubblico può avere una responsabilità legata all’apprendimento e alla conoscenza, riuscire a individuare strumenti e modalità adatte per comunicare l’innovazione porta ad aiutare a capire e a stimolare interesse e curiosità sulla cultura della ricerca e in particolare il design può essere la strada per aiutare anche il pubblico non specializzato a capire o a interessarsi a questo settore e a capirne la ricchezza e le potenzialità. Il compito di progettare un exhibit di questo tipo è non solo del curatore ma anche dell’exhibition designer, una figura che tuttavia appare spesso sottovalutata o ridotta. Come designer, vorrei trovare ed elaborare una serie di riferimenti e strumenti concettuali e operativo-progettuali utili per chi si occupa di esporre il design contemporaneo, mettendo in rilievo il ruolo dell’exhibition design. Se il design è una pratica e una disciplina che attraversa i confini disciplinari ha bisogno di strumenti di interpretazione e racconto diversi anche da un punto di vista espositivo. Il disegno industriale contemporaneo è una pratica e un fenomeno complesso. Esporre il design rispondendo a quelli che sono i quesiti sul percorso che ha avuto il disegno industriale fino ad oggi e in che modo si pensa al futuro, spiegando il ruolo interattivo e di ricerca che il design ha ricercato anche nella sua multidisciplinarità. Raccontando ogni progetto in fase espositiva è possibile creare un dialogo con il pubblico, educare su quella che è la cultura del design, e con questo termine

chiarire che ci sono molti tipi di “design”, diverse strade che sono state percorse e che oggi ci forniscono diversi obiettivi progettuali. Per i musei, la sfida fondamentale è quella di progettare esposizioni che hanno intellettualmente un intento chiaro e coerente e al tempo stesso coinvolgente per le esperienze dei singoli visitatori, che si sentano coinvolti e soprattutto, come nei musei di scienza e tecnologia (che prenderò in esame), che sia data importanza all’apprendimento con strumenti partecipativi chiari e accessibili. Le mostre sono un mezzo di comunicazione, e come ogni lavoro creativo hanno bisogno di una coerenza di visione e di intenti che spetta al museo creare ciò anche riunendo in modo sapiente persone con esperienze e opinioni diverse, e spesso si trovano a competere con attività esterne ( per es. centri commerciali, cinema, luoghi di intrattenimento ecc.). Per la grande quantità di elementi coinvolti nella comunicazione del museo, ci si rende conto della difficoltà per una valida progettazione e delle diverse figure professionali che occorrono per ottenere la massima efficacia e della qualità: dalle conoscenze scientifiche alle tecniche della comunicazione, dal management alla pubblicità, dalla grafica all’architettura, dalla pedagogia alla didattica. Diversamente da come è stato inteso in passato, il museo può essere guardato come una macchina comunicativa e un arena sociale e non più come un contenitore. Se la distinzione che veniva fatta nei decenni passati fra museologia (discorso sul museo come istituzione culturale), museografia (la messa in scena 022 delle esposizioni) e museo esporre il design

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tecnica (tutto il dettaglio dell’allestimento), a livello di dibattito e discorso critico sui musei, non ha senso nella pratica, come ci si accorge se si pensa che nel caso in cui l’oggetto dell’allestimento, in qualsiasi tipologia di museo, non è più o solo mera collezione di oggetti, ma la materia stessa e il modo in cui l’esposizione è organizzata (gli apparati interattivi, la scelta e la disposizione degli oggetti, il modo e i mezzi per raccontarli, ma anche le luci, ma anche i suoni) costituisce la particolare narrazione che ci dà quel museo. Il museo è un media particolarmente complesso, fatto com’è anche di tanti elementi che a loro volta sono media: elementi architettonici e di design, testi, ipertesti, filmati, video-installazioni, simulazioni, postazioni di virtual-reality5. Quando si riflette sull’exhibit come medium per dare visibilità alla ricerca nel design è necessario considerare fattori legati non solo alla possibilità estetica che esso può avere, per cui tutti quei fattori percettivi che permettono all’utente di ricordare tanto i pezzi esposti quanto e soprattutto la modalità di esposizione, ma bisogna creare delle connessioni che riguardano tanto il design quanto il panorama culturale contemporaneo, il sistema economico e il sistema socio-culturale, che possono influenzare il lavoro del designer. Ettore Sottsass una volta disse: “Quando Charles Eames disegna la sua sedia, non disegna soltanto una sedia. Disegna un modo di stare seduti”. La modalità di esposizione dovrebbe riuscire a tradurre o comunicare queste qualità. Per il design ad alto contenuto d’innovazione sono necessari strumenti e approcci diversi

rispetto a quelli tradizionali e a quelli generalmente adottati nelle mostre dedicate al design, per cui la contestualizzazione dell’oggetto, dalla sua invenzione alla produzione è totalmente comprensibile solo da un pubblico specializzato visto anche che il progetto in esposizione potrebbe non essere legato ad un prodotto bensì ad una ricerca o ad una sperimentazione. In questo senso è importante esplorare e valorizzare strumenti e approcci differenti all’exhibition design attingendo a diverse tradizioni museali come quelle della scienza e della tecnica, in cui le innovazioni esposte vengono trattate come tali senza accezioni unicamente estetiche. Come ha scritto Maddalena Dalla Mura: […] ciò di cui ci si accorge esplorando la tradizione dei musei di scienza e tecnologia, indagando la storia e l’attualità delle istituzioni che la compongono, è che in essa sono presenti importanti risorse in termini di materiali, approcci e temi, con un alto potenziale per il trattamento del design: precisamente, per il design così come si è sviluppato fino ad oggi e per quello che il disegno industriale aspira ad essere, in linea anche con gli sviluppi storiografici e teorici degli ultimi decenni. In secondo luogo, avvicinandosi meglio alla realtà di singole istituzioni è possibile individuare iniziative e vicende che testimoniano come, pur senza una strategia specifica e dichiarata in merito, musei di scienza e tecnologia possono occuparsi esplicitamente di design nell’ambito dei loro obiettivi e attività. Si tratta di casi dispersi, rintracciabili attraverso il


panorama contemporaneo, che possono aiutare a capire in quale misura questi musei, oltre che interessanti da un punto di vista del design, possano essere interessanti al design e, in prospettiva, assumere con consapevolezza un ruolo quali interpreti e comunicatori della cultura del design.6

Img 009. due pagine del catalogo della mostra Machine Art, Museum of Modern Art, New York 1934, con alcuni strumenti scientifici e tecnici, per i quali sono indicate anche la funzione e il prezzo, oltre che l’azienda produttrice.

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Il museo, quindi, verrà analizzato in quanto macchina comunicativa, verranno colti quelli che sono degli strumenti utili per progettare un esposizione di design ad alto livello innovativo e di cui occorrerà valutare molti elementi come la scelta architettonica, le logiche espositive, la tecnologia e l’apprendimento.

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2.1.1 Gli elementi architettonici

Img 010. il Design Museum in fase di costruzione a Holon, Israele. Per questo museo è stato chiesto a Ron Arad Associates di pensare un edificio la cui rappresentazione potesse essere facilmente riprodotta su un francobollo; il museo inaugura quest’anno con una mostra temporanea ideata da quattro curatori internazionali.

L’idea del museo si identifica con l’involucro architettonico, sempre più spesso di una tale invasività o appariscenza da mettere in secondo piano il suo contenuto e da segnare una forte discontinuità nel tessuto urbano in cui si inserisce, una tendenza iniziata con i musei/ monumento post-Beaubourg. La scelta architettonica, però, è anche il mezzo comunicativo con cui il museo crea una sua riconoscibilità, ciò si percepisce maggiormente non tanto per i piccoli musei quanto per i grandi musei nazionali del Settecento e dell’Ottocento che sono all’interno di palazzi nobiliari o reali e che a loro volta richiamano i templi del mondo classico. Negli ultimi decenni si è affermata una realtà legata alla tradizione dei musei spettacolari, degli “edifici-logo”7 culminata con la costruzione del Guggenheim di Bilbao di Frank O. Gehry, e che sembra ancora lontana dall’esaurirsi. L’idea è quella di creare un isola lontana dalla realtà cittadina, con una precisa valenza iconica, basti pensare ai celeberrimi musei di Libeskind (Museo ebraico di Berlino, Imperial War Museum North, oltre alla Progetto per l’ampliamento del Victoria & Albert Museum a Londra, chiamato “la Spirale”, la cui la costruzione è stata annullata nel 2004 per mancanza di fondi) o al progetto per il Maxxi di Roma con Zaha Hadid. I moderni Science Centre hanno ricercato strutture e linguaggi che portano i visitatori in una dimensione sovra quotidiana: il museo nave pronto per sciogliere gli ormeggi (Renzo Piano, NEMO, Amsterdam), l’aliena balena di metallo che


esporre il design Img 011. Beaubourg Parigi

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Img 012. Immagine del Science Museum nel 1928. La scelta architettonica, però, è anche il mezzo comunicativo con cui il museo crea una sua riconoscibilità, ciò si percepisce maggiormente non tanto per i piccoli musei quanto per i grandi musei nazionali del Settecento

e dell’Ottocento che sono all’interno di palazzi nobiliari o reali e che a loro volta richiamano i templi del mondo classico.


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Img 013. Negli ultimi decenni si è affermata una realtà legata alla tradizione dei musei spettacolari, degli “edifici-logo”7 culminata con la costruzione del Guggenheim di Bilbao di Frank O. Gehry, e che sembra ancora lontana dall’esaurirsi.

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Img 014. L’Imperial War Museum nasce dall’idea di un isola lontana dalla realtà cittadina, con una precisa valenza iconica


esporre il design Img 015. Interni del MAXXI di Roma progettati da Zaha Hadid.

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emerge dalle acque (Thomas Klumpp, Universum, Brema) o le calcinate e scheletriche costole di un mostro gigantesco (Santiago Calatrava, Ciudad de las Ciencias, Valencia)8. I progetti museografici contemporanei di solito si profondono in complessi discorsi sulla funzione del museo come propulsore di spinta culturale, non più mero contenitore ma laboratorio di idee, oppure sul dialogo con le realtà locali che sono chiamati a rappresentare od animare, ma spesso questo dialogo si traduce nell’impatto economico che il nuovo monumento/meta turistica ha sulla città, come nel caso di Bilbao, mentre il museo diventa un microcosmo cittadino a sé stante, fuori dal tempo, anzi, con i suoi tempi autonomi (da nonluogo, come i centri commerciali, con cui grazie a bookshop e gadget vari ad ogni modo è accomunabile), che isola l’arte e le idee che contiene dalla realtà esterna ed entra in competizione con le opere che dovrebbe promuovere diventando opera d’arte esso stesso9. In che modo, dunque, i musei della prossima generazione dovrebbero distinguersi dai “musei dell’iperconsumo” (secondo una definizione di Giancarlo De Carlo)10 ? Partendo dai musei che si allontanano dall’idea tradizionale di architettura museale e di progetto edilizio chiuso e ben definito per diventare invece contenitori aperti, flessibili e dinamici, e mostrare un interesse reale per la valorizzazione del contesto sociale e territoriale in cui si inseriscono. È visibile soprattutto in progetti sperimentali (il Palais de Tokyo), a budget ridotto (il MAN di Nuoro) o a rischio di sgombero (la Fabbrica 798), e di interventi architettonici contenuti,

evanescenti ( La Piel di Valencia) o del tutto inesistenti, come nel caso dei musei virtuali. A queste sperimentazioni si contrappone una possibile strategia di branding della Fondazione Guggenheim, che dopo Bilbao ha moltiplicato i progetti per nuovi spazi espositivi secondo una manovra di marketing: l’apertura di due sedi a Las Vegas (realizzate da Rem Koolhaas) come generici contenitori architettonici, che puntano sulla spettacolarità e sulla tecnologia degli allestimenti interni e su eventi di richiamo. “Il futuro dell’Architettura non è più nella nuova edificazione, ma nel recupero delle aree dismesse” - ha del resto sentenziato non più di due anni fa Renzo Piano in occasione della Biennale Architettura di Venezia. Basti pensare al mare di capannoni industriali dell’Europa degli anni ‘50 recuperati in funzione di “Fabbriche della Cultura”, di centri produttivi per arti varie (dalla pittura, al video, dall’artigianato alla fotografia, alla danza). La società di progettazione culturale Goodwill ne ha censite 120 solo in Italia: l’ex manifattura tabacchi di Cagliari, l’ex fabbrica di caramelle di Rieti, per non parlare dell’Arsenale di Venezia, sono solo alcuni esempi nazionali di queste forme di recupero di fabbriche dismesse che rappresenta ad oggi il 2,6% del Pil Europeo, in grado di dare lavoro a ben 6 milioni di persone. Il riferimento è sempre quello della Factory di Andy Warhol, primo centro catalizzatore per la nuova produzione artistica americana che ci avrebbe traghettato dal Pop al Postmoderno.

Img 016. I moderni Science Centre hanno ricercato strutture e linguaggi che portano i visitatori in una dimensione sovra quotidiana: il museo nave pronto per sciogliere gli ormeggi (Renzo Piano, NEMO, Amsterdam), l’aliena balena di metallo che emerge dalle acque (Thomas Klumpp, Universum, Brema) o le calcinate e scheletriche costole di un mostro gigantesco (Santiago Calatrava, Ciudad de las Ciencias, Valencia)


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Img 017. Palais De Tokio, progetto sperimentale. Img 018. di lato la Fabbrica 798, a rischio di sgombero


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A Parigi, in un contesto nettamente diverso, con un effetto di provvisorietà si presenta la sperimentazione del laboratorio della creatività contemporanea: il Palais de Tokyo è sottolineato dall’instabilità, dall’aspetto mobile dell’architettura degli interni, ridotta al minimo. Questo originale spazio espositivo è stato inaugurato nel 2002 all’interno di un palazzo del 1937, il cui aspetto esterno è stato lasciato intatto nel suo aspetto originale. Del resto l’edificio ha un alto valore come frutto dei dibattiti museografici dell’epoca, anche se l’impianto originario simmetrico, di tipo tradizionale, non riflette il pensiero già così innovativo di Louis Hautecoeur ed Henri Focillon del museo come “ milieu vivant ”, “organismo vivente e destinato a un processo di crescita permanente e di trasformazione della sua forma e delle sue funzioni11 ” , l’effetto è di portare il carattere aperto e mutevole degli spazi urbani all’interno del Palais, in cui l’allestimento interno definisce gli spazi espositivi e i servizi come cantieri non-finiti. Il Palais de Tokyo somma in sé i caratteri dell’atelier, dei laboratori collettivi, del centro sociale, delle strade di città, dello spazio espositivo temporaneo ed istituzionale, per una continua contaminazione di linguaggi espressivi e di modalità espositive e di fruizione. Un contesto assai differente caratterizza la fabbrica Dashanzi 798, vicino Pechino, un complesso industriale parzialmente dismesso, dal 1995 gradualmente occupato da atelier di artisti locali e poi espanso sino a diventare la più ampia zona adibita a spazi espositivi in Asia, con gallerie, bookshop,

bar e ristoranti. La comunità artistica di Dashanzi 798 si è rapidamente affermata come la fucina creativa più interessante del paese, ma nonostante tale successo essa non riceve alcun supporto o riconoscimento dal governo cinese, che aveva deciso di destinare l’area a nuovo polo dell’industria elettronica. L’identità della comunità artistica di Dashanzi è però ormai fortemente legata al luogo, al carattere di aggregazione spontanea che è venuto assumendo, quasi da insediamento abusivo; gli artisti locali faranno infatti di tutto per difendere questo fenomeno unico, reclamando il diritto a mantenere la gestione del complesso rivissuto grazie al loro entusiasmo e alla loro intraprendenza. Un’architettura ambigua tra interno ed esterno è anche quella rappresentata da La Piel, progetto dello studio SANAA per l’espansione dell’ Institut Valencia d’Art Modern. La Piel, una copertura permeabile di leggero metallo forato, è un’architetturamembrana che circonda l’Istituto e la zona urbana circostante, includendo lo spazio aperto nell’area del museo ma senza chiuderlo, senza isolarlo. L’area cittadina che circonda il museo vero e proprio, lasciata così com’è, diviene dunque uno spazio ibrido che vive per metà la sua natura urbana e per metà quella museale, con un effetto di compenetrazione ed influenza reciproca. Ma l’architettura si dissolve totalmente nel caso dei musei virtuali, che esistono solo in rete, in codice binario, in nessun luogo e potenzialmente in tutte le case di chi vorrà visitarli. Tali musei sono il canale privilegiato per le opere


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elettroniche e soprattutto di web art, che possono fare a meno di allestimenti tangibili e anzi assumono un significato particolare nei musei virtuali perché lì vivono del loro contesto mediale e culturale. I musei virtuali sono autosufficienti, trasversali (perché contemporaneamente contenitori di opere e di testi critici, di suoni e immagini ferme o fisse…), ipertestuali e quindi collegati con tutto il sapere presente in rete che da essi può dipanarsi e ad essi può portare. Essi rivoluzionano ovviamente anche le modalità di fruizione da parte del visitatore: il museo diventa letteralmente un’interfaccia, che permette di fruire dei propri contenuti in maniera dislocata e domestica, potenzialmente presente ovunque arrivi Internet12.

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Img 019/020. Un’architettura ambigua tra interno ed esterno è anche quella rappresentata da La Piel, progetto dello studio SANAA per l’espansione dell’ Institut Valencia d’Art Modern.


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Img 021. Museo virtuale VMOA - Virtual Museum of Art - Second Life


2.1.2 Logiche espositive

La logica rappresentativa fa in modo che gli oggetti contenuti in uno spazio ne riproducano un altro coesistente, come ad esempio le Wunderkammer, stanze delle meraviglie in cui creare microcosmi dove unire la scienza, la tecnica, e l’emotività del progetto dove il visitatore osserva, guarda, impara, partecipa e prova entusiasmo per i piccoli progressi negli oggetti quotidiani che hanno comportato e creeranno i grandi cambiamenti. Oppure come nel caso del diorama, in cui gli animali tassidermizzati facenti parte di uno stesso habitat vengono inseriti in una stessa scenografia che lo rappresenta. Nei musei contemporanei, grazie a nuovi strumenti comunicativi la logica diventa immersiva poiché si cerca di far rivivere emozioni e sensazioni legate ad un dato luogo. La logica classificatoria è la disposizione già presente nei musei di storia naturale settecenteschi in cui venivano classificati specie naturali, come fosse un libro illustrato. È l’unico esempio di sovrapponibilità tra organizzazione scientifica del sapere e organizzazione

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Nel mondo dei musei scientifici lo spazio espositivo segue logiche ben definite per sperimentare fenomeni e exhibit che mettono in mostra oggetti sia che essi siano legati a discipline scientifiche (come chimica, fisica ecc.), industriali (metallurgia, ecc.) o postazioni multimediali. Merzagora e Rodari hanno definito quattro diverse logiche: logica rappresentativa, logica classificatoria, logica storica, logica dialogica.

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Img 022. Logica rappresentativa. Wunderkammer, stanze delle meraviglie


esporre il design Img 023. Logica classificatoria presente nei musei di scienze naturali.

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spaziale del museo ed è quindi ovvio il motivo per cui questo tipo di logica espositiva sia sopravvissuta così a lungo in molti allestimenti. La difficoltà è la comprensione di queste classificazioni e ordinamenti per il pubblico mentre è più chiara per addetti ai lavori e curatori, infatti sono stati spesso utilizzati da studenti universitari come luoghi di studio e conservazione, tanto che gli allestimenti non sono forniti neppure di apparati didascalici se non il nome scientifico del reperto. Questo tipo di logica è quindi interna alla scienza mentre la logica storica è legata all’ideologia del progresso e alla meraviglia che destano le scoperte classificate dalle più arretrate (nel tempo) a quelle più avanzate. La logica dialogica pone come metro di giudizio i fenomeni e le idee che rendono l’oggetto tale, per cui l’allestitore anziché progettare attorno all’interpretazione degli oggetti, si occupa della costruzione di nuovi e della progettazione degli spazi per far in modo che il visitatore possa sperimentare ed entrare in contatto con le idee. Ciò avviene nei musei hands-on in cui il visitatore è elemento attivo, come al Cosmocaixa di Barcellona in cui il direttore Jorge Wagensberg ha come idea il riportare la realtà al centro delle esposizioni, identificando la componente scientifica nel modo di guardare la natura. I dispositivi museografici dovrebbero rendere le emozioni più possibile reali e simili a quella dello scienziato nei momenti topici degli interrogativi sulla sua ricerca e sulla natura. Ciò è reso possibile secondo tre differenti livelli di interattività:

manuale, o hands-on «Il primo tipo di emozione scientifica è basata sull’esperimento. Il visitatore è un elemento attivo dell’esperimento, usa le sue mani per provocare la natura e guarda con emozione il modo in cui la natura risponde13» ; mentale o minds-on «Uscire dal museo con più domande di quante se ne avessero all’ingresso è una buona misura del valore di una mostra […] avere un problema da risolvere, scoprire una nuova analogia, affermare un nuovo concetto, essere colti da un nuovo sospetto […] sono tutte possibilità per stimolare l’attività fra la mente e la realtà14» ; emotiva, o hearts-on «L’oggetto o l’evento possono dare suggerimenti di natura estetica, etica, morale o storica, o semplicemente relativi alla vita di tutti i giorni, che possano creare una connessione con gli elementi sensibili del visitatore: è qui che interviene l’uso legittimo dell’arte per comunicare la scienza15» . La logica partecipativa fa in modo che il pubblico sia direttamente coinvolto nelle attività proposte, infatti oggi si osserva una tendenza dei musei scientifici a porsi come centri di negoziazione del sapere: luoghi cioè dove i cittadini possano esprimere le proprie speranze e le proprie inquietudini e dove scienziati e decisori politici possano ascoltare e percepire queste istanze16. Luoghi di costruzione non più solo di un alfabetizzazione, ma di una cittadinanza scientifica. Un passo verso un approccio partecipativo sono i ‘discussion exhibits’, secondo la definizione di Ben Gammon e Xerex Mazda dello Science Museum di Londra, si tratta di «uno spazio in cui i visitatori possono scrivere le


esporre il design Img 024. Logica partecipatoria e di hands-on allo Science Museum di Londra.

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Img 025. hands-on allo Science Museum di Londra.


esporre il design Img 026. Logica partecipatoria Minds-on allo Science Museum di Londra.

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Img 027. Logica partecipatoria Hearts-on allo Science Museum di Londra.


pubblico che per il museo stesso che ha un feed-back sicuro su cui lavorare e migliorare. Un chiaro esempio di come sia possibile rendere partecipe il pubblico e avere un riscontro sull’ esperienza personale ed emotiva, è quello del Franklin Institute, raccontato da Maddalena Dalla Mura, dove attorno a una locomotiva storica, Baldwin 60000, è allestita una “fabbrica del treno” (The Train Factory), nella quale i visitatori non solo ricevono informazioni su come i treni venivano progettati e fabbricati in passato, ma sono anche invitati a risolvere un caso di indagine su un incidente causato da un errore di progettazione, il responsabile del quale dev’essere individuato raccogliendo una serie di indizi sulle scelte progettuali e di fabbricazione. L’obiettivo del museo – secondo un approccio che viene definito Experience Design – è infatti creare una narrazione e un ambiente nel quale i visitatori possono fare una esperienza personale ed emotiva. In questo modo il design, o la progettazione, viene presentato come attività inserita in un contesto lavorativo i cui esiti sono misurabili, e diventa anche una chiave di lettura per la analisi degli artefatti esposti – dal treno stesso ai suoi componenti19.

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loro opinioni o le loro domande su temi affrontati dalla mostra circostante, che sono in seguito aggiunte alle esposizioni17» quindi le opinioni, i pensieri, i feed-back dei visitatori sono parte integrante del discorso museale, i dispositivi su cui è possibile inserire il proprio pensiero o opinione vanno da lavagne su cui è possibile attaccare post-it a installazioni multimediali che trasformano i commenti in scritte luminose che attraversano il museo (come al Wellcome Wing dello Science Museum di Londra), o grazie alla registrazione video di visitatori che lasciano il loro contributo che può essere riascoltato e guardato anche da altri come al @-Bristol Science Centre di Bristol. Il coinvolgimento dei cittadini nei dibattiti scientifici e l’attenzione al dialogo fanno parte già da molti anni delle mission di molti musei, in riferimento all’@-Bristol, ad esempio, la mission del progetto “Citizen Science” è stata: Citizen Science è concepito per favorire il coinvolgimento dei giovani e degli insegnanti nella discussione di temi bio-medici che hanno un forte impatto sulla società odierna. Lo scopo del Citizen Science è creare eccitanti nuove opportunità per discutere e dibattere questi argomenti nelle scuole e negli Science Centre del paese18 , da qui si intravede anche una volontà di creare partecipazione non solo con i visitatori ma anche verso gli altri musei e soprattutto nelle scuole. L’effetto è altamente coinvolgente per il visitatore e questo approccio fa in modo che ci si interroghi sui propri giudizi e sugli stati d’animo nel momento in cui ci si sente ascoltati, confrontare i punti di vista è positivo sia per il

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Img 028. Opinioni e pensieri sui post-it.


esporre il design Img 029. Franklin Institute, locomotiva storica Baldwin 60000.

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Img 030. Esibizione allo Science Museum di Londra.


La comunicazione dell’esposizione verso il visitatore avviene anche attraverso la scelta del percorso che può essere: obbligato, a isole tematiche oppure open space. Il percorso obbligato fa in modo che si abbia un organizzazione dei contenuti più stabile in senso narrativo poiché il curatore può scegliere se organizzare i concetti per complessità e/o per successione cronologica. Una strutturazione di questo tipo non può essere mantenuta per molto tempo per ragioni di sicurezza, poiché il passo è obbligato e la quantità di visitatori potrebbe ostacolare le vie di fuga in caso di pericolo, questo tipo di percorso infatti viene prevalentemente utilizzato in singole sezioni museali o in mostre temporanee. Un organizzazione ad aree tematiche invece lascia la libertà di muoversi tra un area e l’altra ed è più gestibile anche dal punto di vista della sicurezza, per questo viene utilizzato più frequentemente in più permette una strutturazione del contenuto ritagliando dei nuclei di significato attraverso una logica discorsiva. Queste aree possono essere ali di edifici, stanze, ambienti creati grazie a strutture rimovibili. È possibile anche suddividere queste aree in ordine gerarchico creando isole più importanti e isole periferiche. Rob Samper scrive «Gli ambienti accoglienti per l’apprendimento sono intrinsecamente disordinati [“messy”], perché forniscono un ampia gamma di scelte e opzioni che offrono al visitatore l’opportunità di creare il proprio ordine da una varietà di elementi20» , l’Exploratorium è un chiaro esempio di spazio

aperto, open space, in cui tutto è fruibile e gli oggetti sono a disposizione del visitatore, normalmente ciò viene fatto nelle esposizioni hands-on, in parte si segue comunque una logica ad isole invisibili o poco visibili che però permette al visitatore di ritrovare concetti e fenomeni in esperienze simili e può riuscire a costruirsi una memoria esperienziale e quindi una spiegazione, proprio come avviene nella vita nel momento in cui ricolleghiamo accadimenti nuovi a quelli passati. Ciò è ancora più realizzabile nel momento in cui il visitatore passeggia e osserva con i propri tempi là dove la predisposizione architettonica è stata studiata con questo obiettivo: ad esempio la Citè des Science et de l’industrie di Parigi che appare proprio come un centro commerciale, è una strategia comunicativa che porta il visitatore a rivivere esperienze e concetti pregressi, il museo diventa un microcosmo cittadino a sé stante, fuori dal tempo, anzi, con i suoi tempi autonomi (da non-luogo, come i centri commerciali, con cui grazie a bookshop e gadget vari ad ogni modo è accomunabile). Luca Basso Peressut richiama un’analogia di Oppenheimer in cui il museo è simile ad una foresta dove la visita è come una passeggiata libera e rilassata seguendo i propri tempi: L’analogia della foresta, formulata da Frank Oppenheimer per gli spazi espositivi dei science centres, è stata più volte ripresa, assieme a quella del parco e della piazza urbana: tutte presuppongono la libertà di movimento e di scelta, cioè l’accessibilità agli esperimenti a cui partecipare attivamente (“hands on”) in un ambiente informale e pittoresco21 se intendessimo questi spazi

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2.1.3 Percorsi

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Img 031. sopra il percorso obbligato fa in modo che si abbia un organizzazione dei contenuti più stabile in senso narrativo poiché il curatore può scegliere se organizzare i concetti per complessità e/o per successione cronologica.

Img 032. di lato il Triennale Design Museum di Milano attualmente non presenta una sezione permanente e organizza mostre temporanee di medio termine che, nonostante le dichiarazioni fatte in occasione della inaugurazione, non dimostrano particolare originalità e profondità nell’approccio curatoriale; in queste immagini, il secondo allestimento intitolato Serie Fuori Serie, 2009-2010 con percorsi ad isola.


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come un centro commerciale allora potremmo dire che ognuno del museo ha il diritto di trovare ciò che lo interessa, Andrè Langaney parla di «diritto al suk» in cui offrire «livelli di lettura molteplici e tempi di vista variabili, pur a costo di una certa ridondanza22» ciò che si cerca di ottenere è un ambiente familiare e piacevole in cui sentirsi a proprio agio, questo tipo di musei sono mass media della nuova industria culturale scientifica. Questa strategia di marketing potrebbe essere legata anche al fatto che i musei devono competere con la quotidianità del tempo libero per attrarre l’interesse, il tempo e il denaro del visitatore. Mettendo il pubblico al centro dell’attività museale si è raggiunti ad una risposta positiva rispetto alle mostre, si è attuata una ricerca del visitatore. Si è arrivati a chiedere consulenze per determinare interessi e preferenze che possano comprendere intenti istituzionali ed esigenze di pubblico. Troppo spesso la missione fondamentale e l’obiettivo dell’esibizione si perde nel momento in cui il museo cerca di guidare la varietà di interessi e di stili di apprendimento di una vasta gamma di potenziali visitatori. In questo, l’evoluzione dell’ exhibition design, oggi, si riferisce spesso come ad un “experience design” generando ancora più complessità. Sebbene ci siano visioni divergenti su ciò che realmente significa l’”experience design”, alla base c’è sempre l’assunto che, mentre il producer della mostra ne controlla il progetto, sarà il visitatore a controllarne l’esperienza, e che questa esperienza dipenderà con ogni probabilità prevalentemente

dalla varietà di media high-tech e “high-touch”, chiamati a fornire un più ampio “vocabolario” per connettere il museo al visitatore. Molti musei hanno cercato di imparare e competere con altre forme di “esperienza”: come parchi tematici, videogame complessi e interattivi e in fine i blog. Questo si è risolto nella produzione di mostre sempre più costose. Con il grande aumento dei costi, si è naturalmente sviluppata un’inclinazione a cercare di evitare tutti i possibili errori, aggiungendo sempre più consulenti e livelli addizionali di testing e revisione, tutti progettati per assicurare l’impossibile, ovvero che l’esibizione incontrerà ogni bisogno ed interesse espresso dal pubblico. L’ironia sta nel fatto che la cura è molto spesso più dannosa del malessere23. A differenza dei film o libri, che possono essere messi sullo scaffale e dimenticati dopo che hanno raggiunto il loro scopo, o tolti se non funzionano, la mostra ha passaggi molto più complessi per modificare o spostare anche solo la programmazione degli eventi. Ad esempio la Citè des Science set de l’Industrie di Parigi, è tra i più grandi science centre europei e la sua struttura è come un enorme centro commerciale: la sua gigantesca hall centrale, segnata dalle scale mobili che salgono e scendono; i ballatoi dei diversi piani, tutti a vista, dove si intravedono i colori e le forme delle diverse sezioni permanenti o delle diverse (tante) esposizioni temporanee (mostre difficili, mostre popolari, per giovani, per bambini…) che rendono la Citè un luogo adatto ai gusti di tutti i generi di visitatori. […] Infine è un fatto


esporre il design Img 033. Citè des Science set de l’Industrie di Parigi, è tra i più grandi science centre europei e la sua struttura è come un enorme centro commerciale

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Img 034. Interni della Citè des Science set de l’Industrie di Parigi, è tra i più grandi science centre europei e la sua struttura è come un enorme centro commerciale

2.2 Interattività e nuove tecnologie nel medium espositivo Già negli anni settanta e ottanta le tecnologie informatiche avevano aperto nuovi orizzonti per la cultura museografica, rispondendo e aderendo in modo entusiastico. Le nuove tecnologie comunicative dell’esporre (multimedialità, realtà virtuale, reti, ecc.) hanno fornito strumenti per arricchire l’offerta espositiva come exhibit hands-on meccanici e una ricostruzione di laboratori per un utenza per lo più scolare, per cui se positivamente hanno avvicinato fasce diverse di età ed ha permesso una fruibilità per un pubblico più vasto, c’è anche da dire che ad oggi queste nuove tecnologie sono ancora in una fase di transizione in cui il nuovo media ha una parte eccessivamente preponderante e le cui caratteristiche non sono ancora ben definite. La rapidità con cui evolvono le nuove tecnologie rende obsolete rapidamente quelle precedenti per cui ogni anno vengono organizzati convegni internazionali come ICHIM (www.ichim.org) e The Museum and the Web (www.archimuse. com). Obiettivo comunque fondamentale dell’uso delle nuove tecnologie è il coinvolgimento sempre maggiore del pubblico, fino a farlo diventare parte della mostra stessa in una logica partecipativa come al museo @-Bristol Science Centre in Gran Bretagna o il Wellcome Wing dello Science Museum di Londra, in una logica che porta il museo ad aprirsi verso anche altri Science Centre e soprattutto nelle scuole con uno sguardo sull’apprendimento e l’educazione. 058 Molte delle conoscenze che esporre il design

che i musei-centro commerciale come la Citè, nello stesso tempo monumentali e popolari, sono tali perché incarnano anche un progetto di industria culturale, dove “industria”, qui, non è una metafora. Seducono, fagocitano e intrattengono i visitatori perché vogliono comunicare, ma anche perché vogliono far spendere, o meglio, perché nella catena di azioni quali visitare una mostra/ comprare un libro/mangiare un panino/regalare un gadget non ha più senso distinguere mercato e cultura e tempo libero.24 Nei paragrafi successivi parlerò degli strumenti interattivi e tecnologici che vengono utilizzati nelle esposizioni, soprattutto di scienza e tecnologia, per creare partecipazione da parte del pubblico e poi, appunto, come strumenti utili per la comprensione di concetti complessi e spiegazione di leggi fisiche altrimenti “invisibili”.

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acquisisce un museo nel realizzare una mostra, vengono riportate solo in piccola parte nell’allestimento, per cui tutta quella parte “invisibile” già nei tardi anni ottanta si è trovato il modo di inserirla grazie a degli ipertesti, ossia una rete di documenti collegati tra loro tramite parole chiave, il tutto fruibile da una postazione informatica. Dopo la nascita del World Wide Web (1993) l’ipertesto informatico ha avuto un notevolissimo sviluppo. Tutto il web, infatti, è stato concepito dal suo inventore, l’inglese Tim Berners-Lee, come un ipertesto globale in cui tutti i siti mondiali possono essere consultati da tutti. Uno dei primi musei a farne uso in Italia è stato il Laboratorio dell’immaginario Scientifico di Trieste, allora i computer da cui si poteva accedere alle informazioni erano stati chiamati “computerlibri”, il software standard fu realizzato direttamente dagli astronomi e dai tecnici dell’ Osservatorio Astronomico di Trieste25. Tratterò nel paragrafo successivo come il ruolo di internet abbia innescato dinamiche museali virtuali. Già nello stesso periodo era possibile realizzare su computer simulazioni scientifiche che fino ad allora richiedevano potenze di calcolo realizzabili su computer molto più grandi. Oltre gli ipertesti, quindi, si pensò di utilizzare queste possibilità di rappresentazione di moti browniani, interazioni molecolari, flussi idrodinamici anche nelle mostre scientifiche. Nuove possibilità espositive derivano anche dai musei d’arte e dalle video-installazioni (nel medium video i termini sono molteplici e non si è ancora giunti ad un uniformità:

videoinstallazione, installazione video, installazione audio video, videoproiezione o proiezione video) di molti artisti per creare emozioni estetiche New Media Art e legate all’uso di “nuove tecnologie” nell’ambito delle videoinstallazioni. Queste prevedono una relazione più intima con lo spettatore che entra fisicamente in un ambiente modificato tramite immagini in movimento e suono. Studio Azzurro definisce come video ambienti «macchine narrative basate su uno scenario fortemente connotato […] con una composizione di monitor che favorisce la dissoluzione dei limiti dello schermo», dal 1992 in poi i video ambienti diventano ambienti sensibili, poiché l’obiettivo è la presenza attiva dello spettatore. Anche il cinema fornisce strumenti utilizzati in seguito nel medium espositivo e per i video ambienti, come ad esempio i croma key, per cui si sovrappone un attore vero a un immagine filmata in precedenza o ricreata artificialmente. La ricerca verso mondi immaginari diventa, quindi, sempre più attiva: la realtà virtuale permette l’addestramento di piloti o dei carristi, mentre nella ricerca medica di sperimentano interfacce informatiche che consentono di superare diverse disabilità, cibernetici e studiosi di intelligenza artificiale studiano programmi che leggono le immagini, o che ricreino una conversazione, o che possono compiere complesse sequenza di movimenti. Nei musei si inizia a pensare alla virtualità come il linguaggio del futuro. Ci sono musei che hanno basato queste nuove tecnologie non tanto nel medium ma quanto nel contenuto, tra questi: l’Ars


esporre il design Img 035. esempio di ipertesto.

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Img 036. New Media Art.


esporre il design Img 037. Studio Azzurro installazione per la mostra dedicata a Fabrizio De AndrĂŠ.

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Img 038. Studio Azzurro installazione.


nuovo medium diffuso. Come già trattato nella parte dedicata alla logica espositiva, sono molto interessanti invece tutti quei dispositivi che permettono da una parte di scrivere il proprio vissuto della mostra, quanto il confronto, memorizzando messaggi, commenti, dati forniti dal visitatore, questo viene fatto attraverso il biglietto d’ingresso alla Citè des Sciences di Parigi o con le proprie impronte digitali allo Science Museum di Londra, o ancora attraverso codici a barre su un braccialetto al Technopolis di Mechelen in Belgio, con cui il visitatore può farsi riconoscere di fronte agli exhibit, inserire risultati delle proprie esplorazioni o i propri commenti, confrontarsi con gli altri visitatori, misurare le proprie performance e confrontarle con quelle del resto del pubblico26.

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Electronica Centre di Linz in Austria o lo ZKM di Karlsruhe in Germania. Mentre quindi la realtà virtuale è costituita attraverso un sistema totalmente immersivo in cui tutti i sensi umani possono essere utilizzati (più specificamente realtà virtuale immersiva o RVI), negli ultimi anni si fa strada il concetto di realtà aumentata la sovrapposizione di livelli informativi (elementi virtuali e multimediali, dati geolocalizzati, ecc.) all’esperienza reale di tutti i giorni. Gli elementi che “aumentano” la realtà possono essere aggiunti attraverso un device mobile, come un telefonino di ultima generazione, (come l’iPhone 3GS o un telefono Android), con l’uso di un PC dotato di webcam, con dispositivi di visione (ad esempio occhiali VR), di ascolto (auricolari) e di manipolazione (guanti VR) che aggiungono informazioni multimediali alla realtà già percepita “in sé”. Ad esempio in un sito archeologico, è possibile guardare la possibile struttura iniziale degli edifici mentre si cammina tra le loro rovine. Per ora questi dispositivi, più che una funzione comunicativa, appaiono come gadget o giochi interattivi, sono simulatori e vengono proposti come attrattive “extra” ed infatti vengono pagati anche a parte. Sicuramente la questione che fa apparire questi dispositivi limitanti da un punto di vista comunicativo, é che l’interazione stessa tra visitatori è minima, poiché il vivere l’esperienza singolarmente o con un impatto percettivo molto forte, allontana dalla socialità, in un museo di scienza e tecnologia improntato al design con un approccio partecipativo, laddove manca proprio questa possibilità è difficile che attecchisca come

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Img 039. Ci sono musei che hanno basato queste nuove tecnologie non tanto nel medium ma quanto nel contenuto, tra questi: l’Ars Electronica Centre di Linz.


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Img 040. Ci sono musei che hanno basato queste nuove tecnologie non tanto nel medium ma quanto nel contenuto, tra questi: l’Ars Electronica Centre di Linz.

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Img 041. Ci sono musei che hanno basato queste nuove tecnologie non tanto nel medium ma quanto nel contenuto, tra questi: l’Ars Electronica Centre di Linz.


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Img 042. Ci sono musei che hanno basato queste nuove tecnologie non tanto nel medium ma quanto nel contenuto, tra questi: l’Ars Electronica Centre di Linz.

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2.2.1 http://www. Il visitatore non soltanto fruisce delle informazioni, rivedendo la propria visita in internet una volta tornato a casa (anche con l’obiettivo di farlo sentire integrato nella mostra che ha vissuto) ma diventa fornitore di informazioni utili al museo. Poter rivivere la propria giornata riguardandola o programmarne una futura è possibile appunto all’uso dei musei di Internet, i loro siti sono raggiunti da molti più visitatori in rete che in carne e ossa, oggi la tendenza è quella di riprodurre il museo in modo che sia reale e fruibile anche dal computer grazie a webcam o altre tecnologie (ad esempio in 3D o tramite panoramiche a 360°) che ne permettono l’esplorazione. Sono ambienti informatici caratterizzati da un’interfaccia preminentemente graficovisuale e da una struttura ipermediale e interattiva, propongano una ricostruzione, una ricontestualizzazione ed una tematizzazione del bene culturale, operando su di esso, appunto, virtualmente. Il museo virtuale è un modello di comunicazione culturale basato sulla connettività e sulla contestualizzazione delle informazioni, sul coinvolgimento percettivo, concettuale ed emozionale dell’ utente. In sostanza in un museo virtuale ciascun oggetto, reperto o dato non è fine a sé stesso, ma diventa parte integrante di un sistema di connessioni, di uno o più possibili percorsi di visita, che l’utente può intraprendere liberamente, divenendo egli stesso, attraverso le proprie azioni e le proprie scelte, soggetto attivo, creatore e ricettore al tempo stesso di significati, di contenuti, di stimoli.

Il coinvolgimento del visitatore avviene su piani molteplici che contemplano sia un impatto di tipo razionale, logico, simbolico con i contenuti, sia un impatto esperenziale, emozionale, fatto di suggestioni e di intuizioni. In tal senso il museo virtuale può essere considerato come un modello ideale di museo, applicabile non solo al museo telematico che esiste unicamente nel cyberspazio digitale, ma anche, seppur con maggiore sforzo, ai musei reali, in cui troppo spesso l’attenzione e le risorse sono incentrate in modo pressochè esclusivo sugli aspetti museografici, legati alla conservazione delle opere d’arte, a discapito dell’aspetto comunicativo, narrativo. In un museo virtuale è possibile aggregare idealmente opere ed oggetti affini che nella realtà sono disseminati in luoghi diversi oppure ricreare complessi distrutti, dispersi, o progettati e mai realizzati. Nella versione virtuale di un museo realmente esistente è inoltre possibile presentare gli oggetti secondo criteri alternativi a quelli che seguono nell’esposizione reale, che spesso, per varie ragioni, non sono ottimali. Si possono creare infiniti accostamenti per temi; i temi si possono intrecciare ed uno stesso oggetto può entrare a far parte di più percorsi diversi. Il percorso di conoscenza diventa in tal modo individuale e procede secondo il naturale funzionamento, per idee associative, della mente. Un esempio interessante è quello del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” (http://www.museoscienza.org/) che ha sviluppato un software per visite virtuali collettive molto simile a Second Life, il sito ha una parte dedicata alla parte


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audio/ video/ immagini: audio con la radio Museoscienza e una sezione a parte in cui si possono ascoltare scienziati e i ricercatori che partecipano alle conferenze, le voci degli studiosi e dei curatori. Nella parte video il museo si presenta in questo modo: Avete mai visto un designer che distrugge gli oggetti? Sapete come si pilota un elicottero? E quando Mike Bongiorno ha esclamato per la prima volta “allegria”? Video Museo Scienza vi porta dietro le quinte della scienza e della tecnologia, vi racconta la storia della radio e della televisione, vi mostra sottomarini per le strade e elicotteri nei musei, vi fa vedere Leonardo con altri occhi, vi porta le voci di scienziati famosi e dei comuni cittadini sulla scienza, in Italia e altrove, e molto altro che non vedrete in TV. Nella sezione dedicata alle immagini si trovano reportage fotografici sugli eventi, le attività e le inaugurazioni al Museo, i tour fotografici sulle mostre e le collezioni del Museo. C’è poi tutta una sezione del sito dedicata all’apprendimento sia per ragazzi che per le insegnanti che possono scaricare materiali di approfondimento, esercizi e suggerimenti per poter costruire ambienti di studio collettivi, l’unica cosa che non viene proposta (e che propongono pochi siti come ad esempio il Dana Centre di Londra) è una piattaforma per la community learning: forum, blog, liste di discussione e altre forme di scambio diretto.

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Img 041. Un esempio interessante è quello del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” (http://www.museoscienza.org/) che ha sviluppato un software per visite virtuali collettive molto simile a Second Life, il sito ha una parte dedicata alla parte audio/ video/ immagini: audio con la radio Museoscienza e una sezione a parte in cui si possono ascoltare scienziati e i ricercatori che partecipano alle conferenze, le voci degli studiosi e dei curatori. Nella parte video il museo si presenta in questo modo: Avete mai visto un designer che distrugge gli oggetti? Sapete come si pilota un elicottero? E quando Mike Bongiorno ha esclamato per la prima volta “allegria”? Video Museo Scienza vi porta dietro le quinte della scienza e della tecnologia, vi racconta la storia della radio e della televisione, vi mostra sottomarini per le strade e elicotteri nei musei, vi fa vedere Leonardo con altri occhi, vi porta le voci di scienziati famosi e dei comuni cittadini sulla scienza, in Italia e altrove, e molto altro che non vedrete in TV. Nella sezione dedicata alle immagini si trovano reportage fotografici sugli eventi, le attività e le inaugurazioni al Museo, i tour fotografici sulle mostre e le collezioni del Museo.


esporre il design Img 042. piattaforma per la community learning: forum, blog, liste di discussione e altre forme di scambio diretto al Dana Centre.

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2.2.2 Scriptovisual Nel museo anche i testi sono elemento fondamentale delle esposizioni ed un opportunità su cui lavorare per innovare. Nei casi di allestimento più tradizionale il testo è organizzato gerarchicamente per cui troviamo la didascalia dell’oggetto, la descrizione del contenuto della possibile vetrina o isola, pannelli che introducono all’entrata di una sala o di un area espositiva, un messaggio generale che riguarda l’esposizione. Il testo fornisce gli scambi tra visitatori, induce alla socializzazione e allo scambio e possono trovarsi in forme diverse da quelle descritte prima, infatti possono riguardare le istruzioni d’uso di un exhibit hands-on, approfondimenti storici, titoli di sala o di isola (per capire dove si è), mappe, diagrammi, cronologie e grafici. Se si pensa alle scritte luminose del Wellcome Wing dello Science Museum di Londra o ai post-it con i commenti da attaccare su di una lavagna fruibile da tutti i visitatori, si comprende come il testo possa far interagire e condividere positivamente impressioni, sensazioni, creare scambi, e dare feed-back per il museo. È anche il modo per far parlare l’oggetto che altrimenti rimarrebbe muto. Leggere un testo in un museo ha una funzione collettiva, leggerlo insieme ai compagni di visita o creare relazioni mentre lo si legge e confrontare le proprie opinioni anche con visitatori che non si conoscono direttamente. Ovviamente compreso questo aspetto relazionale del testo per un museo è importante migliorare la loro funzione d’uso: far individuare rapidamente l’informazione e il livello di apprendimento che gli interessa, si parla in questo caso di scriptovisual, ossia

creando una struttura del testo a mosaico e opponendosi ad un informazione lineare che è complessa per il linguaggio visivo. Le informazioni devono essere colte velocemente e avvicinare immagini e testo in un linguaggio visivo nuovo. Lo scriptovisual viene interpretato dall’occhio a diversi livelli d’informazione: il primo sguardo trasmette informazioni di carattere generale, poi poco a poco decifrando informazioni aggiuntive, per cui leggere ciò che è scritto, i simboli grafici, analizzare le immagini, il testo è interpretato in modo che ogni elemento assume una dimensione particolare in funzione della sua relazione con gli altri elementi. La scrittura dei testi non viene più scritta solamente da giornalisti e professionisti della comunicazione ma come al Wellcome Wing anche da poeti e scrittori di fama.


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Img 043. Il testo fornisce gli scambi tra visitatori, induce alla socializzazione e allo scambio e possono trovarsi in forme diverse da quelle descritte prima, infatti possono riguardare le istruzioni d’uso di un exhibit hands-on, approfondimenti storici, titoli di sala o di isola (per capire dove si è), mappe, diagrammi, cronologie e grafici.

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Img 044. scritte luminose del Wellcome Wing dello Science Museum di Londra.


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Img 045. Supercontemporary, una mostra al Design Museum di Londra, inusualmente ricca di informazioni e materiali, dedicata al design a Londra negli ultimi 40 anni.

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2.3 Apprendimento informale e interazione Quando si parla di apprendimento vengono distinti tre approcci, formale, non-formale e informale. Per educazione formale si intende quella che viene svolta nelle istituzioni rivolte all’insegnamento, ha luogo nell’intero del sistema scolastico, che va dalla scuola primaria all’università e include una varietà di programmi e di istituti specializzati per la formazione tecnica e professionale. Nel momento in cui viene organizzata al di fuori del sistema formale e realizzata, ad esempio, nel luogo di lavoro o nell’ambito di organizzazioni o gruppi della società civile, nelle associazioni ecc. viene chiamata educazione non-formale. L’educazione informale ha come contesto il museo, le biblioteche, mass-media, gruppi, associazioni sportive ecc. e si sviluppa senza il necessario scopo di formazione e/o istruzione. Colin Johnson, ex direttore del Techniquest, science centre di Cardiff nel Regno Unito, e ora uno dei responsabili della British Association for Advancement of Science, spiega la differenza tra i termini formale e non-formale in questo modo: [i termini “informale” e “nonformale”] si riferiscono a situazioni di apprendimento, diverse da quelle formali di una classe scolastica o di un luogo di lavoro, dove chi apprende: - è incoraggiato a muoversi liberamente nell’ambiente di apprendimento, che è normalmente pieno di stimoli di ogni genere: fisici, tridimensionali, e audiovisivi; - dipende solo limitatamente dall’ascoltare o leggere messaggi verbali; - è libero dalle regole di


etica, morale o storica, o semplicemente relativi alla vita di tutti i giorni, che possano creare una connessione con gli elementi sensibili del visitatore: è qui che interviene l’uso legittimo dell’arte per comunicare la scienza30». Richard Gregory propone sette principi per la progettazione di un elemento espositivo: Il primo principio dice che i “buoni” exhibit devono essere hands-on, devono indurre il visitatore a un’esperienza percettiva nell’interazione con gli oggetti poiché è dimostrato che l’esperienza tattile è più attrattiva della staticità dell’oggetto che può essere solo guardato. Devono creare un atmosfera di buon umore, di tolleranza, di sfida intellettuale, devono essere divertenti e far rivivere l’esperienza del gioco. Devono produrre sorpresa poiché per indurre la curiosità l’oggetto deve stupire e passare dall’hands-on al minds-on, per cui dall’esperienza tattile e gestuale all’investimento cognitivo. Devono rendere visibile l’invisibile, fornire quindi una rappresentazione fisica di teorie e processi altamente complessi e matematizzati per poter essere di comprensione comune. Devono essere tali per cui non sia necessario capirli completamente infatti per essere di comprensione comune devono essere proposti su diversi livelli, in modo da essere una sfida intellettuale sia per i bambini che per gli inesperti ed esperti. Ove possibile gli exhibit devono rendere evidenti i legami tra scienza e tecnologia, gli exhibit devono avvicinare ed educare alle nuove tecnologie che ci troviamo di fronte ogni giorno. Infine devono catturare l’immaginazione del visitatore in modo che quando esca dal

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comportamento imposte dall’insegnante, pur rimanendo sotto un grado di controllo sociale; - è autorizzato a decidere autonomamente sui suoi spostamenti e sui tempi dell’apprendimento: - può costruire, insieme a coetanei o in un gruppo familiare, la propria esperienza, il proprio sapere, le proprie interpretazioni27. Da questo articolo si può cogliere come ogni visitatore viva un esperienza individuale nell’apprendimento all’interno del museo, e che non essendo veicolata, acquista in componenti emotive legate alla motivazione, all’interesse, al coinvolgimento e alla scoperta oltre alla riscoperta di capacità e abilità. È l’insieme di tutte queste sensazioni che comportano il ricordo e la memorizzazione di informazioni utili vissute nella mostra. Ma è possibile progettare un’esposizione che favorisca l’apprendimento? Ciò è reso possibile secondo tre differenti livelli di interattività: manuale, o hands-on «Il primo tipo di emozione scientifica è basata sull’esperimento. Il visitatore è un elemento attivo dell’esperimento, usa le sue mani per provocare la natura e guarda con emozione il modo in cui la natura risponde28» ; mentale o minds-on «Uscire dal museo con più domande di quante se ne avessero all’ingresso è una buona misura del valore di una mostra […] avere un problema da risolvere, scoprire una nuova analogia, affermare un nuovo concetto, essere colti da un nuovo sospetto […] sono tutte possibilità per stimolare l’attività fra la mente e la realtà29» ; emotiva, o hearts-on «L’oggetto o l’evento possono dare suggerimenti di natura estetica,

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museo rimanga con il desiderio e la curiosità che porta la conoscenza31. Il punto chiave è che le esposizioni museali debbano essere minds-on e non soltanto hands-on, viene ripreso anche da George Hein che analizza il processo di apprendimento in quanto processo empirico, in situazioni diverse e attraverso diversi metodi di insegnamento, gli elementi da prendere in considerazione per migliorare e accrescere il potenziale di apprendimento nei musei e identifica quello che è il processo costruttivista che rispecchia un po’ uno degli enunciati di Gregory: gli exhibit devono essere letti a vari livelli per cui non sia necessario capirli completamente, creando un’attenzione non sull’oggetto del museo ma sul Pubblico. L’impostazione quindi è tale da rendere possibili diversi percorsi. Non c’è un percorso predeterminato; la sua organizzazione dipende dalle esigenze educative del visitatore. Non si dà per scontato un ordine “naturale” di presentazione dei vari temi, né che ci sia un unico modo per apprendere meglio dal materiale esposto, quindi non ci sono punti fissi di entrata e di uscita. Un’altra componente del museo costruttivista è l’opportunità data al visitatore di fare collegamenti con concetti che gli sono familiari. Per poter dare senso alla nostra esperienza, dobbiamo essere capaci di collegarla a ciò che già sappiamo. Daniel Spock, Direttore del Minnesota History Center Museum, trova difficoltoso un exhibit costruttivista davvero efficace poiché la quantità di informazioni diverse è tale da creare confusione nel visitatore

inducendolo a creare un processo troppo impegnativo, le informazioni invece devono essere chiare e intuitive. Per cui sviluppare tecnologie interattive che non lavorino inefficacemente sul push-botton (Audioguide, touch screen e PDA), ossia dove schiacciando un bottone, il visitatore ha l’informazione richiesta poiché il processo di scoperta viene meno: Before, many visitors talked with each other, pointed out sights, discussed what they were looking at. It was really quite a noisy museum. After, almost everybody is silent as they listen to their electronic guide ... As a colleague who had visited the baths many times said to me: “It’s like a morgue in there now32 d’altra parte un exhibit troppo complesso con diversi livelli di lettura può esserlo altrettanto come ad esempio The Pond, un sistema basato su una desk-projection per ricercare, visualizzare e scambiare dati immagazzinati in un database o su internet. Il sistema si basa su una metafora 3D: un grande tavolo-touch-screen sul quale viene rappresentato un ambiente acquatico, nel quale sono introdotte creature “animate” selezionate da un database da parte dello user, che può accedere alle informazioni (audio items) che le creature rappresentano manipolandole. L’ambiente audio di interazione consiste in suoni legati all’acqua. La soluzione è una sola: occorre costruire dei percorsi di progettazione che prevedono lo studio della letteratura, l’analisi attenta del contenuto e degli strumenti, la prototipazione degli exhibit e la valutazione della sua efficacia direttamente con i visitatori.33 Intendo, quindi, prendere in esame l’idea di un concept

espositivo che utilizzi gli strumenti appena trattati per costruire un percorso di progettazione che preveda l’esposizione di progetti di design ad alto contenuto innovativo che possano guadagnarne sia da un punto di vista materiale quanto di tutte le immaterialità che software e nuove tecnologie hanno e che danno senso al progetto. Nel prossimo capitolo tratterò degli strumenti necessari ad esporre progetti di design d’innovazione e di ricerca, trattando dei possibili attori coinvolti e di progetti innovativi già esposti ma su cui poter rilavorare.


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Img 046. Bambino che prova sorpresa nello scoprire uno scheletro nell’armadio all’ Exploratorium. è incoraggiato a muoversi liberamente nell’ambiente di apprendimento, che è normalmente pieno di stimoli di ogni genere: fisici, tridimensionali, e audiovisivi

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Img 047. Bambini che giocano liberi all’ Exploratorium. Possono costruire, insieme a coetanei o in un gruppo familiare, la propria esperienza, il proprio sapere, le proprie interpretazioni


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Img 048. Il primo tipo di emozione scientifica è basata sull’esperimento. Il visitatore è un elemento attivo dell’esperimento, usa le sue mani per provocare la natura e guarda con emozione il modo in cui la natura risponde.

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Img 049. Uscire dal museo con più domande di quante se ne avessero all’ingresso è una buona misura del valore di una mostra […] avere un problema da risolvere, scoprire una nuova analogia, affermare un nuovo concetto, essere colti da un nuovo sospetto […] sono tutte possibilità per stimolare l’attività fra la mente e la realtà


esporre il design Img 050. Creare un atmosfera di buon umore, di tolleranza, di sfida intellettuale, devono essere divertenti e far rivivere l’esperienza del gioco.

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Img 051. L’oggetto o l’evento possono dare suggerimenti di natura estetica, etica, morale o storica, o semplicemente relativi alla vita di tutti i giorni, che possano creare una connessione con gli elementi sensibili del visitatore: è qui che interviene l’uso legittimo dell’arte per comunicare la scienza.


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Img 052. Produrre sorpresa poiché per indurre la curiosità l’oggetto deve stupire e passare dall’hands-on al minds-on, per cui dall’esperienza tattile e gestuale all’investimento cognitivo.

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note

Dalla Mura, 2010, pp. 385-386

6

7

Purini, 2006, p. 51

8

Marzagora,1997, p.75 Purini, 2006, p. 51

9

10

Ibid. Nicolin, 2006, p. 37

11

Ravaglia, http://www.luxflux. net/n22/luoghi1.htm

12

astc.org/resource/education/ johnson_scicenters.htm sullo stesso sito si possono trovare ulteriori articoli e rimandi utili sulla museologia. 28

Wagensberg, 2000, pp. 129-133

29

(ibid.)

30

(ibid.)

Gregory, http://www. exploratory.org

31

Wagensberg, 2000, pp. 129-133

32

Walter, 1996, p. 242

(ibid.)

33

Marzagora e Rodari, 1997, p.109

13

14

15

(ibid.)

16

Merzagora e Rodari, 1997, p. 158

17

Gammon e Mazda, 2000, p.159

Davide Ludovisi, studente al Master in Comunicazione della scienza, SISSA, Trieste

18

19

Dalla Mura, 2010, pp. 286-291

Semper, http://www.astc.org/ resource/education/learning_ semper.htm 20

21

Basso Peressut, 1998, p.108

22

Cit. in Giordan, 1997, p.137

23

Skramstad, 2007

24

Merzagora e Rodari, 1997, p.83

http://it.wikipedia.org/wiki/ Ipertesto 25

26

Merzagora e Rodari, 1997, p.87

Articolo di Johnson sull’educazione informale inserito nel libro di Marzagora e Rodari, 1997, p.104 , si trova online: Johnson C., Science centres as learning environments,http://www. 27


Img 009. photo by Wurts Brothers; © 2009 Digital image, The Museum of Modern Art, New York/ Scala, Firenze. Img 010. photo Yael Pincus, © Design Museum Holon Img 011. http://www.flickr.com/ photos/alec74/3117317266/ Img 012. King George V leaving the Science Museum 1928 da Science Museum London http://www.flickr.com/photos/ sciencemuseum/3322435938/ Img 013. Guggenheim Bilbao http://www.flickr.com/photos/ fareitio/2774810235/ Img 014. Imperial War Museum http://www.flickr.com/photos/ paulhurst/2123315370/ Img 015. Maxxi Roma Zaha Hadid http://www.flickr.com/ photos/laclauz/4129992911/ sizes/z/in/photostream/ Img 016. http://www.flickr.com/ photos/grescur/7344267091/ Img 017. http://www.flickr.com/ photos/rkimberly/271566686/ Img 018. http://www. flickr.com/photos/ devicetraveller/4019640391/ Img 019. http://www.flickr.com/ photos/calafellvalo/4248169184/ Img 020. http://www.flickr.com/ photos/calafellvalo/4247385659/ Img 021. VMOA - Virtual Museum of Art - Second Life Eingangsportal zum Virtual Museum of Art (Gottfried Helnwein Museum)Second Life slurl.com/secondlife/Apfelland VMOA/153/31/22 Img 022. http://www.flickr.com/ photos/dogmatic/4067464897/

Img 023. http://www.flickr. com/photos/96205611@ N00/372403197/ Img 024. http://www.flickr.com/ photos/alfonstr/338895610/ Img 025. http://www.flickr. com/photos/11046290@ N02/4735633671/ Img 026. http://www.flickr.com/ photos/wallyg/2374532052/in/ photostream/ Img 027. http://www.flickr.com/ photos/pulguita/2868952310/ Img 028. http://www.flickr.com/ photos/yumlog2/4249284/ Img 029. http://www.flickr.com/ photos/sergek/1151369216/ Img 030. http://www.flickr.com/ photos/davegray/355002597/ Img 031. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 032. http://www.flickr.com/ photos/anglofille/269551521/ Img 033. http://www. flickr.com/photos/ fromeyetopixel/889660368/ Img 034. http://www.flickr.com/ search/?q=Cit%C3%A8%20 des%20Science%20et%20de%20 l%E2%80%99industrie Img 035. http://www.tii.se/files/ GolanLevin_ReFaceInstallation. jpg Img 036. http://www.flickr.com/ photos/bataez/4386284942/ Img 037. http://www.flickr. com/photos/24637554@ N03/2331692552/ Img 038. http://www.flickr. com/photos/15169844@

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N04/2125512938/ Img 039. http://www. flickr.com/photos/ marcwathieu/1041327312/ Img 040. http://www.flickr.com/ photos/alec74/3117317266/ Img 041. http://www.flickr.com/ photos/pulguita/2868952310/ Img 042. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 043. http://www.flickr.com/ photos/kurma/157935116/ Img 044. http://www.flickr.com/ photos/myrta/11512407882/ Img 045. http://www.flickr.com/ photos/sergek/0466282570/ Img 046. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 047. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 048. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 049. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 050. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 051. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/ Img 052. http://www.flickr.com/ groups/exploratorium_san_ francisco/pool/


3.1 Mission

3.2 Strumenti

“Esporre l’innovazione” è concepita per favorire il coinvolgimento di aziende, organizzazioni, enti oltre a studenti e gente comune nella discussione di temi sul design, tecnologia e nuove soluzioni che hanno un forte impatto sulla società odierna.

3.2.1 Un contenitore aperto

È un luogo di sperimentazione e dialogo, miscelati con il giusto design, della comunicazione, delle performance e dell’interattività, per provocare la discussione e un reale coinvolgimento nei problemi quotidiani del mondo contemporaneo. Aiutare i visitatori a capire come il mondo stia cambiando.

Nel paragrafo dedicato agli elementi architettonici ho spiegato come dal concetto di contenitore chiuso in cui era custodita la scienza del sapere, si è passati ad intenderli come contenitori aperti, flessibili e dinamici, che mostrano un interesse reale per la valorizzazione del contesto sociale e territoriale in cui si inseriscono. L’effetto di molte sperimentazioni è stato di portare il carattere aperto e mutevole degli spazi urbani all’interno del museo, in cui l’allestimento interno ha definito gli spazi espositivi e i servizi come cantieri non-finiti. Questi nuovi musei sommano in loro i caratteri dell’atelier, dei laboratori collettivi, del centro sociale, delle strade di città, dello spazio espositivo temporaneo ed istituzionale, per una continua contaminazione di linguaggi espressivi e di modalità espositive e di fruizione. I musei di design investono molto nella realizzazione di mostre temporanee, le quali offrono maggiori possibilità rispetto alle sezioni permanenti.

strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’innovazione

Strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’ innovazione

Se dovessi pensare ad un luogo in cui organizzare un esposizione di design legato all’innovazione sicuramente dovrebbe rispondere a logiche di apertura, partecipazione, rinnovamento e legame con il territorio in cui è situato. Ad esempio uno dei luoghi che in Veneto sono stati recuperati per crearne un centro di innovazione per le giovani aziende è La Fornace di Asolo, situata ai piedi dei colli asolani 090 porta testimonianza della passata 091


operosità locale e dell’odierna volontà di rinnovarla in forme moderne e rispondenti ai tempi. Nell’’800 era specializzata nella produzione di mattoni, bimattoni e blocchi ma cessata l’attività nel 1965 subì un lento degrado, fino ai primi anni ’90 in cui venne ristrutturata dalla Confartigianato di Asolo che acquista la proprietà dell’area e indice un concorso per l’intervento urbanistico. Tra il 1998 ed il 1999 vengono ricavati 2000mq di spazi dedicati ad uffici, mostre, convegni e servizi vari mentre tra il 2003 e il 2005 venne edificato un nuovo immobile che a tutt’oggi ospita un incubatore d’impresa e nuovi spazi per la cultura e la formazione. La scelta di questo sito è legata soprattutto all’idea che lo contraddistingue, la nascita di progetti d’impresa innovativi, nel loro Start-up (i primi tre anni di vita) creando connessioni di persone e utilizzandolo come punto d’incontro tra giovani e imprese già affermate. L’idea di un contenitore aperto non solo ai visitatori ma anche alle industrie perchè il design è da sempre legato all’impresa.


Img 053. Fornace Dell’Innovazione, Asolo.

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Img 054. Fornace Dell’Innovazione, Asolo.


Nel mondo dei musei scientifici lo spazio espositivo segue logiche ben definite per sperimentare fenomeni e exhibit che mettono in mostra oggetti sia che essi siano legati a discipline scientifiche (come chimica, fisica ecc.), industriali (metallurgia, ecc.) o postazioni multimediali. La logica partecipativa fa in modo che il pubblico sia direttamente coinvolto nelle attività proposte, infatti quindi le opinioni, i pensieri, i feedback dei visitatori sono parte integrante del discorso museale. L’utilizzo di commenti, messaggi da lasciare su di una bacheca o all’interno di lavagne luminose può attingere anche da strumenti come social network per aprire canali di conversazione, mediante il quale instaurare e sviluppare nel tempo un legame “affettivo” sia tra il pubblico che tra visitatore ed esposizione. Ecco che allora all’interno di social network il museo può creare un proprio profilo nel quale presentare in modo originale i valori e le specificità della sua mission, tenere costantemente aggiornato il pubblico sulle novità, interagire con essi. Si possono organizzare eventi virtuali e promuovere eventi reali e aggiungere applicazioni che servono a stimolare l’interazione con gli utenti (ad esempio, giochi, sondaggi). Creare una comunity learning. Lo sviluppo di relazioni con i visitatori nell’ambito museale reale e nei social network consente anche di influire in qualche modo sui processi di formazione delle preferenze. Ugualmente la creazione di

un blog risponde in maniera efficace rispetto ai normali mezzi di comunicazione, però non sostituisce gli strumenti tradizionali come comunicati stampa o fiere e convegni, ne è un complemento. Una possibile soluzione partecipativa è quella di far interagire le lavagne su cui lasciare i messaggi con il blog. La possibilità è quella di far scrivere le persone con le dita su di una lavagna e che questi commenti e messaggi vengano registrati ed inviati direttamente al blog dedicato all’esposizione.

strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’innovazione

3.2.2 La partecipazione

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3.2.3 Il percorso tra interazione ed esperienza Un ambiente apparentemente disordinato è più accogliente all’apprendimento perché il visitatore si trova di fronte ad una vasta gamma di scelte e opzioni per creare quello che è un proprio percorso e un proprio ordine. Uno spazio aperto, open space, in cui tutto è fruibile e gli oggetti sono a disposizione del visitatore, normalmente ciò viene fatto nelle esposizioni hands-on, seguendo una logica ad isole invisibili o poco visibili che permettono al visitatore di ritrovare concetti e fenomeni in esperienze simili e riuscire a costruirsi una memoria esperienziale e quindi una spiegazione, proprio come avviene nella vita nel momento in cui ricolleghiamo accadimenti nuovi a quelli passati. Hands-on exhibit analizzato nei suoi termini exhibit indica “postazione” o “unità minima dell’esposizione” ma anche “mostra” mentre quando è utilizzato vicino ad hands-on significa “postazione interattiva”, un unità della mostra dove si presenta un contenuto, richiedendo al visitatore una partecipazione attiva, manipolatoria. E, in questo senso, come già spiegato nel paragrafo dedicato ai percorsi, è stato utilizzato per la prima volta dall’Exploratorium di Oppenheimer. Questo tipo di exhibit è molto raffinato e spesso assai costoso nella messa a punto. Quindi immagino un oggetto vissuto a 360° dal visitatore , che lo coinvolga, che gli faccia sorgere delle domande, che lo faccia giocare, divertirlo e incuriosirlo, penso a delle

postazioni qua e là, in grado di coinvolgere anche l’imprenditore o il politico più scettico, essere in grado di far comprendere concetti complessi come può essere il funzionamento del LifePort Transporter per il trasporto dei reni, e delle loro mogli con il Kioto Box per spiegar loro che è possibile cuocere con un fornello ad energia solare (ma come fa il sole far bollire l’acqua per un piatto di pasta?) oppure catturare l’attenzione dei più giovani con il computer XO Laptop per bambini della OLPC (One Laptop Per Child). Per ognuno di questi oggetti è necessaria una postazione personale con le risposte alle domande che indurremo a fare, ogni progetto è unico e questa unicità potrebbe essere messa in evidenza tramite l’uso di piccoli esempi o esperimenti che permettono di saperne di più sulle cose che usiamo ogni giorno, interrogarci su sulle stesse. Utilizziamo l’acqua che esce dai rubinetti, guardiamo la tv, prendiamo mezzi di trasporto, ci curiamo con i farmaci, mettiamo a bollire l’acqua per la pasta, ci sarebbe un elenco lunghissimo che si potrebbe fare la il fulcro di questo approccio è che non sappiamo nulla di ciò che ci circonda: far riscoprire il piacere della domanda, della curiosità, far provare sorpresa. Come scrive Richard Gregory, neuropsicologo dell’Università di Bristol e autore di pubblicazioni sulla percezione: Questo è il punto essenziale dell’approccio hands-on interattivo di presentare la scienza adottato all’Exploratorium: continuare l’esplorazione del mondo e di sé stessi anche da adulti, così che l’avventura della scoperta non


- Hands-on: costringere lo spettatore a “mettergli le mani addosso”, sicuramente ciò non sarebbe possibile sull’oggetto in se stesso, poiché si rischierebbe di romperlo o cambiarne uno ogni giorno, però possono essere prese come sostituti quelle parti dell’oggetto che lo identificano nel funzionamento e che lo rendono innovativo, ad esempio se prendessimo il trasportatore di organi LifePort Transporter, potremmo prendere il dispositivo di raffreddamento pieno di ghiaccio utilizzato tutt’ora e paragonarlo con la soluzione liquida a freddo che migliora la condizione del rene prima del trapianto, che ne raddoppia il tempo di conservazione e può aumentare il numero di reni utilizzabili e quindi migliorare i risultati del paziente. Un’altra parte sarà la spiegazione del sistema di monitoraggio dei reni durante il trasporto che ne determina i valori critici, l’interfaccia che consente di ridurre al minimo gli errori umani di comunicazione e trasmissione dati e poi il disegno generale che è stato concepito per trasmettere con chiarezza

l’importanza del carico e fungere da piattaforma per una famiglia di trasportatori specifici di organi. Ovviamente alla fine di queste spiegazioni bisogna spiegare l’impatto che ha avuto sulla società: rimuovere decine di migliaia di pazienti in lista d’attesa e dalla dialisi e salvare il sistema sanitario di più di $ 1 miliardo all’anno. Nel 2006, il rene LifePort Transporter è stato utilizzato per il trasporto di 350 reni al mese in 12 paesi. - Minds-on: suddividere l’oggetto nelle sue funzioni, “sezionarlo” metaforicamente, e far vedere con gli occhi e con l’esperienza l’innovazione, induce a ad uscire dall’esposizione con più domande di quando si è entrati, l’impatto sulla società che questi progetti di design apportano fa sentire il visitatore come se avesse egli stesso un problema da risolvere, creare analogie tra ciò che vediamo ogni giorno e l’innovazione del farlo diversamente e più efficacemente (ad esempio il contenitore con il ghiaccio descritto prima con il liquido refrigerante) gli permette di affermare un nuovo concetto, e guardare ciò che gli sta attorno con nuovi occhi, e far nascere anche il sospetto che probabilmente anche altre cose potrebbero essere pensate diversamente. Mettiamo il visitatore nella condizione di essere un innovatore. - Hearts-on: l’uso di schizzi, disegni, video, suoni e fotografie, oltre al testo che comprende istruzioni d’uso di un exhibit hands-on, approfondimenti storici, titoli di sala o di isola (per capire dove si è), mappe, diagrammi, cronologie e grafici;

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cessi mai. Dei progetti che verranno presentati, seguiti da un attenta eterogeneità nelle scelte, non tutti attireranno l’attenzione di tutti, a ciascuno il suo exhibit, potremmo dire. Ogni visitatore sceglierà secondo la propria emotività, le proprie inclinazioni, il proprio gusto estetico, la propria curiosità. Quindi rendere sicuramente l’exhibit seducente ma abbastanza da non intimorire, non far sentir sciocco chi lo utilizza. Lo stesso Gregory propone i sette principi per la progettazione di un exhibit (vedi paragrafo 2.3), se ne potrebbero identificare tre più importanti:

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comunicano emotività, l’oggetto è vivo perché il designer è vivo e dinamico. Devono catturare l’immaginazione del visitatore, deve emozionarsi, rimanere coinvolto con i sensi e con le proprie suggestioni. Più sarà divertito, più l’oggetto avrà saputo attirare la sua curiosità, il suo interesse, tanto più il visitatore sarà toccato intimamente dall’esperienza, tanto più profondità si istilleranno domande nuove e perché no, risposte nuove. Tornando a parlare di esempi di esposizione di oggetti innovativi, e di come strumenti come sopra descritti possano integrare la comprensione e la spiegazione di questi oggetti inserirò progetti di design già esposti per individuarne problematiche e soluzioni. I progetti presi in esame sono: Transporter for Organ Recovery System design by IDEO (di cui ho già parlato), computer XO Laptop dal progetto OLPC One Laptop per Child, il cane AIBO della Sony, il sistema di cottura Kyoto Box.


Il Transporter for Organ Recovery System è un progetto di ricerca della IDEO studio di consulenza e progettazione a livello globale. Per decenni, lo standard di fatto del trasporto di organi dal donatore al trapianto in ospedale, è stato un refrigeratore per il ghiaccio, di quelli che si usano per le bibite e i panini. Un sistema di questo tipo non prevedeva nessun controllo ne si poteva regolare la temperatura. La IDEO insieme ad un team di ingegneri ha fornito un alternativa di alta tecnologia ed un sistema di refrigeramento del rene con una soluzione liquida che ne raddoppia il tempo di conservazione, il tutto è costantemente monitorato da un dispositivo che durante il trasporto ne determina i valori critici e l’interfaccia consente di ridurre al minimo gli errori umani di comunicazione e trasmissione dati. La forma ispirata ad un “uovo” ha un alto valore iconico: il rene è come un tuorlo e la soluzione chimica è come l’albume, in più l’analogia con l’uovo fa comprendere che è un dispositivo fragile ed una suggestione sottile per i gestori del dispositivo di portarla con cura e cautela. Attualmente è esposto nella sezione permanente del MoMA, dalla descrizione fatta si è compreso che è un prodotto complesso per il quale il valore del design e anche i significati sociali e culturali non possono essere compresi se non vengono raccontati e illustrati, la maggior parte di queste informazioni restano assenti nelle sezioni espositive dei musei, laddove le didascalie, se presenti, si

riducono spesso alla mera anagrafica degli oggetti. Soluzioni per un esposizione di questo tipo sono legate al tipo di approccio espositivo, il fatto che sia inserito in una vetrina, crea una separazione tra l’oggetto e il pubblico, in una logica classificatoria, già presente nei musei di storia naturale settecenteschi in cui venivano classificati specie naturali, come fosse un libro illustrato. Un progetto innovativo è ben diverso per complessità da un libro illustrato e necessita di spiegazioni ulteriori e di un rapporto con il pubblico più aperto, una possibile esposizione potrebbe essere efficace suddividendo e mostrando l’oggetto per livelli, senza dimenticare i tre fattori precedentemente descritti: - Hands-on: potremmo prendere il dispositivo di raffreddamento pieno di ghiaccio utilizzato tutt’ora e paragonarlo con la soluzione liquida a freddo che migliora la condizione del rene prima del trapianto, che ne raddoppia il tempo di conservazione e può aumentare il numero di reni utilizzabili e quindi migliorare i risultati del paziente. Un’altra parte sarà la spiegazione del sistema di monitoraggio dei reni durante il trasporto che ne determina i valori critici, l’interfaccia che consente di ridurre al minimo gli errori umani di comunicazione e trasmissione dati e poi il disegno generale che è stato concepito per trasmettere con chiarezza l’importanza del carico e fungere da piattaforma per una famiglia di trasportatori specifici di organi. Ovviamente alla fine di queste spiegazioni bisogna spiegare l’impatto che ha avuto sulla società: rimuovere decine di migliaia di pazienti in lista d’attesa e dalla dialisi e salvare

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Transporter for Organ Recovery System design by IDEO

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il sistema sanitario di più di $ 1 miliardo all’anno. Nel 2006, il rene LifePort Transporter è stato utilizzato per il trasporto di 350 reni al mese in 12 paesi. - Minds-on: utilizzare le analogie tra gli oggetti utilizzati quotidianamente per il trasporto organi con l’oggetto esposto, creare video esplicativi del differente percorso dal donatore all’ospedale, far vedere che la forma ad uovo non è casuale. - Hearts-on: far spiegare parti del progetto in video dai progettisti della IDEO e dagli ingegneri, e se possibile anche le testimonianze dei medici e dei gestori del dispositivo durante il trasporto. Inserire disegni ed esplosi per farne vedere tutti gli aspetti. Un approccio di questo tipo rende partecipe il pubblico e da informazioni adeguate perché l’innovazione dell’oggetto venga capito e non dimenticato, da un punto di vista morale lascia molte domande su ciò che si può ancora fare in campo medicale.

Img 055. La forma ispirata ad un “uovo” ha un alto valore iconico: il rene è come un tuorlo e la soluzione chimica è come l’albume, in più l’analogia con l’uovo fa comprendere che è un dispositivo fragile ed una suggestione sottile per i gestori del dispositivo di portarla con cura e cautela.


strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’innovazione Img 056. schizzie comparazione con i vecchi macchinari per il trasporto organi.

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Img 057. Sopra una macchina per scrivere Valentine progettata da Ettore Sottsass e Perry A. King (Olivetti, 1968) esposta al Museum August Kestner, Hannover, sotto il sistema per trasporto degli organi progettato da IDEO (Organ Recovery System, 1998). I musei che si occupano di disegno industriale conservano oggetti ricchi di storia e anche prodotti complessi,

per i quali il valore del design e anche i significati sociali e culturali non possono essere compresi se non vengono raccontati e illustrati; purtroppo la maggior parte di queste informazioni restano assenti nelle sezioni espositive dei musei, laddove le didascalie, se presenti, si riducono spesso alla mera anagrafica 102 degli oggetti. 103


Il computer XO Laptop dal progetto OLPC One Laptop per Child È un progetto per un miniportatile a basso costo a scopo di dare a ogni bambino nel mondo l’accesso alla conoscenza e alle moderne forme di educazione. Il computer, semplice, basato su Linux, è così efficiente nell’uso dell’energia da poter essere alimentato da un generatore manuale PCG (Pull-Cord Generator, prod.Potenco). La tecnologia Wireless può essere utilizzata per permettere a molte macchine di accedere a internet da una singola connessione. Il laptop viene sviluppato dalla organizzazione One laptop per child (OLPC), è un’organizzazione non-profit con sede nel Delaware, creata da membri della facoltà del MIT Media Lab per progettare, fabbricare e distribuire il laptop. OLPC fu annunciato nel gennaio 2005 al Forum Economico Mondiale a Davos, Svizzera, da Nicholas Negroponte, presidente e co-fondatore dei Media Lab. Il progetto è stato esposto all’esposizione del MoMA organizzata da Paola Antonelli “Design and Elastic Mind”, il tema della mostra era dedicato a tutti quei cambiamenti degli ultimi venticinque anni nell’esperienza di tutti i giorni da un punto di vista di tempo, spazio, materia e identità, e quindi l’abilità del designer nel cogliere questi cambiamenti epocali nella tecnologia, nella scienza e nella storia. Il progetto del XO laptop è stato presentato all’interno di una vetrina come il Transporter for Organ Recovery System, le modalità di presentazione sono quelle della tradizione del museo d’arte, dove prevale l’ostensione

dell’oggetto in quanto tale. Inoltre, la riduzione o l’assenza di informazioni relative ai contesti in cui i progetti sono stati sviluppati e in cui i prodotti sono stati usati, non offre alcun metro sul quale il visitatore possa formarsi la propria opinione in merito al valore degli oggetti selezionati dai curatori, in definitiva dovendo affidarsi solo al giudizio di questi ultimi. Gli strumenti comunicativi che possono essere sviluppati per questo progetto sono: - Hands-on: Ogni parte di questo laptop è stata progettata per essere economica ed essenziale nelle sue funzioni. È necessario mostrare tutte queste parti dell’oggetto graficamente o semplicemente prendendo un modello reale scrivendoci sopra le funzioni, ispirandosi all’esempio del telecomando di Bill Moggridge nel libro Bad Design/ Good Design nel tentativo di salvataggio di una persona che si trova di fronte ad un telecomando sconosciuto: il proprietario del telecomando era via per il fine settimana e decise di aiutare il suo amico invitato a rimanere, avvolgendo i telecomandi con la carta per nascondere i pulsanti ridondanti ed etichettando quelli utili in un linguaggio semplice. Questo esempio è valido nei casi in cui la quantità di pulsanti sia tale da rendere molto complessa la ricerca della funzione desiderata mentre potrebbe essere utile ed intuitivo nel caso in cui si vogliano spiegare in modo semplice la locazione delle funzioni in un computer, ad esempio su quello che sto utilizzando in questo momento per scrivere saprei definire dove sono i tasti perché sono visibili,


Img 058. tutte le parti del computer xo laptop.

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ma l’antenna wireless dov’è? Il processore? E l’hard-disk? Per scrivere e lavorare è relativamente importante conoscere la locazione di queste parti ma se questo stesso computer o per l’appunto l’OX laptop fossero esposti e quindi strumenti di conoscenza dovrebbero saper rispondere a queste domande se non si vuole definire l’esposizione di una caratteristica estetica di questi dispositivi. - Minds-on: l’uso delle analogie è molto importante per creare livelli di paragone e memorizzare più facilmente le informazioni, nel caso dell’OX laptop sarebbe necessario mostrare i nuovi metodi di apprendimento che i bambini sviluppano grazie all’uso di questo computer, al fatto che possano essere connessi “con il mondo” interagendo e scoprendo nuove relazioni, avendo accesso a tutte le informazioni di cui necessitano e apprendendo in maniera più semplice e veloce. - Hearts-on: far spiegare parti del progetto in video dai progettisti dell’MIT e dall’organizzazione OLPC, e se possibile anche le testimonianze dei bambini che stanno interagendo con questo dispositivo. Un progetto di questo tipo pone molte domande sui canali di informazione e sulla globalizzazione, ma anche nuovi strumenti per l’apprendimento.


strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’innovazione Img 059. XO Laptop dal progetto OLPC nella mostra Design and Elastic Mind.

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Img 060. Bambini che utilizzato OX Laptop.


Il concetto AIBO è nato dall’ambizione della Sony di creare un compagno intelligente per intrattenere le persone con le nuove tecnologie ad Intelligenza Artificiale, il risultato è stato un compagno unico capace di esprimere emozioni sia con il proprio “padrone” che con altri dispositivi elettronici presenti in casa. AIBO è in grado di connettersi in modalità wireless con altri dispositivi elettronici, di trasferire foto, file audio e messaggi. Reagisce sia con la voce che con i led sul volto ad ogni comando. Il cuore e l’intelligenza artificiale di AIBO sono situati su una Memory Stick rimovibile. È possibile controllare il comportamento e le applicazioni tramite un PC e un dispositivo mobile. Attualmente è esposto alla Neue Sammlung di Monaco, è ritenuto la collezione più grande del mondo riguardante il design di prodotti ed è uno dei musei più rinomati a livello internazionale per le arti applicate dell´epoca moderna, che ultimamente ha preso sede nella Pinakothek der Moderne di Monaco. Al pianterreno del NEUES MUSEUM, su circa 1000 m², la Neue Sammlung mostra il percorso del design dal 1945 a oggi. Il design dei prodotti ha apportato un contributo indubbio dal punto di vista estetico ma aggiungere nuovi prodotti non è sufficiente, andrebbero riviste le modalità espositive per presentazione e soprattutto comunicazione, diverse da quelle che discendono dal museo d’arte, dove prevale l’ostensione dell’oggetto in quanto tale. Inoltre la riduzione o l’assenza di informazioni relative

ai contesti in cui i progetti sono stati sviluppati e in cui i prodotti sono stati usati, non offre alcun metro sul quale il visitatore possa formarsi la propria opinione in merito al valore degli oggetti selezionati dai curatori, in definitiva dovendo affidarsi solo al giudizio di questi ultimi. Il modo in cui è stato esposto AIBO tiene a debita distanza il visitatore, i pezzi non sono contestualizzati, e l’exhibit è posticcio e asettico, il processo di progettazione e il percorso narrativo appaiono inesistenti. AIBO è un progetto creato per la sperimentazione di nuovi dispositivi tecnologici come l’intelligenza e il cuore artificiale, oltre a tutti quei sensori che gli permettono di interagire con l’esterno ma e stato pensato per la compagnia. Un oggetto aperto alle emozioni e agli stimoli esterni e la dinamicità è il primo aspetto che dovrebbe contraddistinguerlo all’interno di un esposizione. È stato pensato per gestirsi autonomamente, infatti si ripone in carica da solo quando sente che sta finendo l’energia e questa autonomia potrebbe essere funzionale in un exhibit nel lasciarlo funzionante facendolo interagire con il pubblico.

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Il cane AIBO della Sony

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Img 061. Aibo esposto al Neue Sammlung di Monaco.


del museo d’arte, dove prevale l’ostensione dell’oggetto in quanto tale. Inoltre, la riduzione o l’assenza di informazioni relative ai contesti in cui i progetti sono stati sviluppati e in cui i prodotti sono stati usati, non offre alcun metro sul quale il visitatore possa formarsi la propria opinione in merito al valore degli oggetti selezionati dai curatori, in definitiva dovendo affidarsi

solo al giudizio di questi ultimi. Nelle immagini, prodotti Apple esposti alla Neue Sammlung di Monaco e al Museum of Art di Philadelphia.

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Img 062. Se è indubbio che il contributo del design per i prodotti di alta tecnologia è apprezzabile dal punto di vista estetico, per occuparsi di design contemporaneo non è sufficiente aggiungere nuovi pezzi alle collezioni, bensì sono necessarie modalità di presentazione e comunicazione diverse da quelle che ancora discendono dalla tradizione

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Img 063. Aibo esposto al Il CES (Consumer Electronic Show) 2006 è un evento in cui viene esposta tutta la tecnologia, nel 2006 si è tenuto a Las Vegas.


Il sistema di cottura Kyoto Box Kioto Box è un fornello ad energia solare in polipropilene con copertura in vetro acrilico. Fornisce energia per la cottura grazie all’energia solare e riduce le emissioni di CO2 delle famiglie, risponde ai seguenti vantaggi: 1. Aiuta a fermare la deforestazione; 2. Aiuta a rimuovere l’inquinamento che causa 1,6 milioni di morti ogni anno; 3. Pulisce l’acqua e le malattie legate all’acqua infettata; 4. Riduce i rischi di incendio.

sui risvolti sociali che un progetto simile può innescare, ad esempio nei paesi in cui si muore ancora a causa di infezioni legate all’acqua infetta, permetterne la bollitura significa purificarla. Oltre all’embergy totalmente ridotta se pensiamo che riduce le emissioni CO2 e al fatto che essendo una scatola è facilmente trasportabile. Inserire tavole esplicative grazie a grafiche intuitive ed efficaci, video in cui il designer spiega il processo progettuale e creativo. Sono tutti passaggi che permettono di “far parlare” l’oggetto.

Pur essendo stato esposto in un museo di design, il progetto è stato presentato con un breve pannello di testo che ne illustrava le caratteristiche del progetto e dava la motivazione per cui il progetto è stato selezionato. Già solo per aver vinto il premio Brit Insurance Design Award of the Year 2010, questo progetto sarebbe dovuto essere esposto mostrando le caratteristiche che l’hanno reso tanto innovativo da vincere. Il contesto in cui nasce questo progetto è molto importante, infatti i designer si sono ispirati agli studi sull’energia solare di Thomas Alva Edison (1916), Horace de Sasseur (1767), Augustine Mouchot (1888) e Clarence Kemp Climax (1891). Ne hanno colto aspetti che potessero essere riproposti e decontestualizzati per creare un fornello ad energia solare. Poteva essere proposto in un possibile ambito d’uso come ad esempio un pic-nic o riflettere

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È stato recentemente presentato al Design Museum di Londra alla mostra del premio Brit Insurance Design Award of the Year 2010.

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Img 064/065. foto illustrative del funzionamento di Kioto Box.

Img 066/067. Il progetto esposto raccontato solo con un pannello di testo che illustrava le caratteristiche del progetto e dava la motivazione per cui il progetto è stato selezionato per il premio. Foto di Maddalena Dalla Mura. 114 115



Un progetto di solito è costituto da molte parti e coinvolge processi produttivi e di assemblaggio molto complessi. L’estrusione avviene con uno stampo di grandi dimensioni in grado di esercitare fino a dieci mila tonnellate di pressione, crea i profili estrusi in alluminio mediante spremitura attraverso l’apertura che costituisce la forma del profilo da creare. Di solito il processo di estrusione dell’ alluminio è usato per fare i componenti a sezione più piccola come ad esempio per i sistemi di facciata, carrozze dei treni, pezzi di automobili e così via. Proprio come quando un tubetto di dentifricio è spremuto, il primo e l’ultimo materiale esce deforme, così anche con il processo di estrusione della prima parte e dell’ultima hanno forme insolite e inaspettate, e convenzionalmente vengono scartate, in Extrusion queste parti vengono lasciate per la loro qualità scultorea. Extrusion è stato esposto alla mostra Haunch of Venison nello scorso ottobre 2009. Erano presenti sette pezzi sperimentali derivati da quindici billette di alluminio, per un totale di non più di 200 metri di estrusione, dopo di che il dado sarà reso inutilizzabile. Ogni estrusione è tagliata, manipolata e finita sotto la direzione dello studio Thomas Heatherwick. Nel 2010 è stato selezionato questo progetto al Brit Insurance Designs of the Year ma in entrambe le esposizioni (Haunch of Venison e il Brit Insurance) Extrusion è stato esposto senza alcuna spiegazione per il visitatore oltre le informazioni generali del nome e del suo designer. Il progetto porta una notevole

innovazione nel processo infatti non erano mai stati creati estrusi di queste dimensioni. Heatherwick era alla ricerca di qualcosa che potesse fare grandi estrusi ed è stato felice di trovare un macchinario in China che producesse pezzi per l’industria aerospaziale. Le possibilità innovative che può dare questo processo sono molteplici, Extrusion per ora è una panchina da esterni ma possono essere creati rivestimenti architettonici oltre a pezzi per sedersi di massa, infatti entro la fine di quest’anno Heatherwick dovrebbe riuscire a produrre un estruso lungo 100m. Mostrare in fase espositiva il punto di forza del progetto, l’obiettivo, è essenziale per rendere Extrusion qualcosa di più di un oggetto estetico in alluminio, è questa motivazione che porta il pubblico a ricordare più un oggetto di un altro, l’averlo capito lo rende Minds-on e averne compreso le possibilità che può dare il nuovo sistema produttivo e la forte motivazione che ha spinto il designer a cercare un macchinario in China per produrre una

“panchina”, lo rende Hearts-on, la determinazione del designer quando ha capito il percorso del suo progetto è essenziale che venga esposta perchè viene trasmessa al pubblico e il progetto non acquisisce più solo importanza nell’essere stato esposto in un museo o essere stato scelto per un concorso ma è importante in se stesso per l’innovazione che apporta.

Img 068. Invito dello Studio Heatherwick per mostrare Extrusion.

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extrusion

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Img 069. stampo per l’estrusione.


Img 070. stampo per l’estrusione.

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Img 071. stampo per l’estrusione.


Img 072. prodotto finito.

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Img 073. Extrusion è stato esposto alla mostra Haunch of Venison nello scorso ottobre 2009


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Img 074. Nel 2010 è stato selezionato questo progetto al Brit Insurance Designs of the Year ma in entrambe le esposizioni (Haunch of Venison e il Brit Insurance) Extrusion è stato esposto senza alcuna spiegazione per il visitatore oltre le informazioni generali del nome e del suo designer.

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Img 053. http://www. fondazionefornace.org/gallery2. asp Img 054. http://www. fondazionefornace.org/gallery2. asp Img 055. http://www.ideo.com/ work/featured/ors Img 056. http://www.ideo.com/ work/featured/ors Img 057. Maddalena Dalla Mura, 2010, p.158.

Img 070. http://www.heatherwick. com/category/small/ Img 071. http://www.heatherwick. com/category/small/ Img 072. http://www.heatherwick. com/category/small/ Img 073. http://www.flickr.com/ photos/laclauz/4129992911/ sizes/z/in/photostream/ Img 074. http://www.flickr.com/ photos/grndi/7344267091/

Img 058. http://laptop.org/en/ laptop/index.shtml Img 059. http://www.flickr.com/ photos/nurescu/896577276/ Img 060. http://www.flickr.com/ photos/rkimberly/271566686/ Img 061. http://www.flickr.com/ photos/rkimberly/271566686/ Img 062. Foto di Maddalena Dalla Mura. Img 063. http://support.sonyeurope.com/aibo/ Img 064. http://www.flickr.com/ photos/calafellvalo/4247385659/ Img 065. http://www.kyotoenergy.com/ Img 066. Foto di Maddalena Dalla Mura. Img 067. Foto di Maddalena Dalla Mura. Img 068. http://www.flickr.com/ photos/tyrew/3117317265/ Img 069. http://www. heatherwick.com/category/ small/

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immagini

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Questi esempi fanno capire che le modalità di esposizione degli oggetti di design necessita di nuovi strumenti, ho scelto dei progetti che potessero essere generalizzabili, che fornissero una modalità di trattamento per tutti quei prodotti che rappresentano. Ognuno di loro, come si è visto, ha un punto di forza fondamentale, ed è questo che lo rende importante e di comprensibilità comune qual’ora venga esposto. Il problema che ho affrontato è che sono tutti progetti attualmente in mostra ma che non comunicano nulla oltre il loro status di prodotto di design. Gli strumenti da cui ho attinto nei musei di scienza e tecnologia mi hanno permesso di elaborare tutta una serie di riferimenti e strumenti concettuali oltre che operativo-progettuali, utili per chi si occupa di esporre il design, mettendo in rilievo il ruolo dell’exhibition design proposto da un designer stesso. La scelta delle logiche espositive, del percorso, dell’uso dell’interattività e delle nuove tecnologie è stata pensata in funzione di progetti innovativi e della partecipazione con il pubblico. Spiegando il ruolo interattivo e di ricerca che il design ha ricercato anche nella sua multidisciplinarità, raccontando ogni progetto in fase espositiva è stato possibile pensare un dialogo con il pubblico, educare su quella che è la cultura del design, e con questo termine chiarire che ci sono molti tipi di “design”, diverse strade che sono state percorse e che oggi ci forniscono diversi obiettivi progettuali. Ogni progetto è unico nella sua narrazione e lasciare liberi i visitatori di coglierne aspetti e porsi domande è l’obiettivo a cui

un esposizione di design dovrebbe puntare. Quindi ho immaginato un oggetto vissuto a 360° dal visitatore , che lo coinvolgesse, che gli faccesse sorgere delle domande, che lo facesse giocare, divertire e incuriosire. Il design non può essere esposto ne come opera d’arte ne come strumento unicamente scientifico, d’altronde l’innovazione che apporta sia in campo medicale, che socio-culturale, che interattivo, di sitema e di processo, può essere spiegata seguendo il ragionamento del progettista, che individua una problematica e ne pone rimedio. Il punto di partenza è il designer stesso che può fornire strumenti per esporre il proprio lavoro, come ho provato a fare io da giovane studente e progettista in questa tesi, oltre anche all’Università che mi ha supportata in questo percorso e che propone piani di studio basati sulla cultura del progetto e sull’innovazione, entrambi questi elementi possono fornire un nuovo modo di vivere il museo e dar modo ai visitatori di capire l’importanza dei progetti esposti.

conclusioni

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bibliografia

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introduzione


design e innovazione


esporre il design


strumenti per realizzare un’esposizione sul tema dell’innovazione


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