Progetto storia locale va moretti

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Classe V A Anno Scolastico 2012-2013

Ins. Nadia Pignotti


Che cosa abbiamo trattato durante il nostro percorso progettuale  Noi alunni della classe V A abbiamo studiato la figura della donna nella civiltà marinara, soffermandoci particolarmente sul ruolo che le donne avevano all’interno della famiglia e sul lavoro di retara.

Ci siamo documentati leggendo alcuni testi che erano nella biblioteca della scuola, ma ciò che ci ha affascinato maggiormente è stato l’incontro con la Professoressa Benedetta Trevisani e il laboratorio ludico-didattico con le retare, al Museo della Civiltà Marinara: due simpatiche signore Pacina e Vittoria vestite come le retare del 700/800, ci hanno fatto vedere come facevano la rete hanno raccontato brevi episodi del loro passato, hanno cantato alcuni stornelli e recitato scene di vita quotidiana in vernacolo. Nello stesso giorno abbiamo potuto fare una breve visita al Museo, dove la Dott.ssa Ileana Piunti ci ha dato ulteriori notizie sui tipi di barche, paranze e lancette, sulle tecniche di pesca, sugli strumenti dei funai e delle retare e su tanti altri interessanti argomenti. E’ stata un’esperienza che ci ha coinvolto e interessato: tutto il lavoro svolto è stato poi rielaborato in classe ed esposto su cartelloni murali.


La figura della donna nella società e nella cultura sambenedettese

La donna è una figura di primordine nella cultura e nella società sanbenedettese. Il suo è un ruolo centrale in una società a forte connotazione matriarcale, viste le lunghe e ripetute assenze dell’uomo , impegnato nel lavoro in mare. La sua forza è testimoniata dalla stessa fisicità, da una femminilità vigorosa, impegnata non solo nelle fatiche casalinghe e nell’educazione dei figli: la donna del mare doveva essere infatti anche retara, pescivendola, lavandaia, tessitrice e ricamatrice. Alcune praticavano anche la sciabica assieme agli uomini o giravano l’argano per trarre in secco le lancette, e quasi tutte scaricavano il pesce e vendevano la parte di spettanza o lo appaltavano ad un pescivendolo. Le ragazze, oltre ai lavori domestici, dovevano provvedere al corredo da sposa, motivo d’orgoglio e di rispetto ma anche d’invidia. I fratelli più grandi con il loro lavoro da pescatori provvedevano a garantire alla sorella da maritare il necessario per il corredo. Spesso il matrimonio era sentito come un dovere a cui non ci si doveva sottrarre: la moglie diventava infatti indispensabile e fedele collaboratrice in ogni attività e affidabile educatrice per i figli: dovendo fare sia da madre che da padre, il legame con i figli è molto forte senza però diventare mai soffocante. Noi alunni della classe 5° A abbiamo seguito un percorso progettuale stimolante ed interessante che ci ha portato a scoprire il faticoso e particolarissimo mondo della donna del mare.


Giovedì 17 aprile: l’incontro con la Prof.ssa Benedetta Trevisani

La prof.ssa Trevisani è Presidente del Circolo dei Sanbenedettesi e da diversi anni è impegnata a diffondere tra i suoi concittadini l’amore per le proprie radici, per le tradizioni e per la propria cultura. E’ promotrice di diverse iniziative culturali ed è autrice del romanzo “ La rete e il tempo” in cui narra, con grande partecipazione emotiva, la storia di una famiglia di pescatori dal punto di vista delle figure femminili. Durante l’incontro che abbiamo avuto a scuola, ci ha raccontato della sua esperienza di bambina cresciuta in una famiglia in cui le redini erano saldamente tenute dalla madre, poiché anche suo padre trascorreva gran parte dell’anno in mare. La professoressa ricorda che ha quasi odiato quel mestiere che teneva il suo babbo così lontano; come pure apprezzava poco quel pesce che tanta fatica e sacrificio comportava, ma che faceva guadagnare pochi soldi al pescatore.


Intervista alla Prof.ssa Trevisani ALUNNO: Cosa facevano i bambini e le bambine durante il giorno? TREVISANIi: Durante l’inverno, i maschi si alzavano molto presto, verso le cinque del mattino, perché prima di andare a scuola dovevano andare a lavorare come sulle barche: erano i merè cioè i mozzi alle dipendenze di tutto l’equipaggio. Entrare a far parte dell’equipaggio fin fa giovanissimi era importantissimo, perché era una garanzia di lavoro futuro. Ecco perché i padri si impegnavano a “raccomandare” i figli maschi fin dalla loro giovanissima età. A: Le bambine invece che cosa facevano? T.: Le femmine oltre ad andare a scuola, dovevano occuparsi della casa insieme alla madre e fin da piccole cominciavano ad imparare soprattutto il mestiere della retara, che per quanto fosse duro , era praticato da tutte.


A: Lei mangiava volentieri il pesce o preferiva altro? T: Sinceramente non ero tanto amante del pesce, sia perché quello migliore veniva venduto e quindi ciò che restava a noi non era proprio il massimo! Sia perché eravamo anche stanche di mangiarlo sempre e preferivamo la carne, che tuttavia non abbondava nelle nostre tavole. A: Come era il lavoro della retara? T: Era un lavoro molto faticoso e impegnativo ma poco remunerativo. Per fare una rete occorrevano settimane e poi veniva venduta a peso: spesso le retare agivano d’astuzia e per guadagnare di più inserivano un panno umido all’interno del rotolo di rete che trasportavano sulla testa, come potete vedere da questa diapositiva. A: Ma non venivano scoperte? T: No, perché erano altrettanto brave a non farsi sorprendere quando se ne liberavano!!


A.: Anche lei ha lavorato la rete? T: Si , ma più per gioco che per imparare un mestiere. A: Perché? T: Perché io sono stata fortunata rispetto alle altre bambine. Io abitavo nella zona del Paese Alto, ero una suddentrina e non ho vissuto le esperienze di coloro che abitavano nella zona della marina, nella caratteristica via Labirinto ad esempio. Mio padre e mia madre hanno voluto che io studiassi e mi hanno fatto vivere esperienze diverse. A.: Che differenza c’era tra la vita di coloro che abitavano il Borgo del Paese Alto e coloro che vivevano lungo la costa? T: Al Paese Alto sono rimaste le famiglie non legate al lavoro in mare, appartenenti ad un ceto sociale più elevato rispetto a quello dei pescatori. Fino alla fine del ‘700 il mare arrivava ai piedi della Torre dei Gualtieri, Lu Turriò e la vita si svolgeva intorno ad esso. Quando il mare si è ritirato, i pescatori si trasferirono nella marina e consolidarono le caratteristiche tipiche della civiltà marinara. Come vi ho detto non era certo una vita facile.

La mattinata si è conclusa con il saluto della nostra Dirigente, che ha ringraziato la professoressa Trevisani per l’interessante intervento.


LunedĂŹ 6 Maggio: visita al Museo e laboratorio ludico-didattico con le retare.

La Dott.ssa Piunti, coordinatrice delle visite guidate presso il Museo, ci ha mostrato il modello di una paranza che è stato ricostruito all’interno del museo e ci ha spiegato la differenza tra paranza e lancette.


Il nostro viaggio nel mondo dei pescatori è continuato davanti ad una serie di reti diverse, destinate ciascuna a vari tipi di pesca.


Un grosso strumento del mestiere di funaio In questo angolo del Museo è esposta una ruota con cui i funai praticavano la filatura dello spago.


DUE SIMPATICHE RETARE: PACINA E VITTORIA

 Con queste due signore siamo entrati direttamente nell’affascinante mondo delle retare: un mondo fatto di duro lavoro, di sacrifici, di canti in vernacolo, di litigate furibonde, di “maleparole”, di chiacchierate nella via de “li pajarà”, l’attuale via Labirinto.


Vittoria mostra una fezzula

Qui fa vedere come veniva filato lo spago nella ruota.


La garella dove veniva avvolto lo spago per far si che non si intrecciasse

Un esempio de “lu naspe” per confezionare le fezzule, di “lenguette” per infilare lo spago nelle trame della rete, e un pezzo di rete.


LA DONNA E LA RETE La donna sambenedettese è stata sempre protagonista della vita economica del paese e malgrado fosse presa dagli impegni domestici, doveva comunque contribuire al mantenimento della famiglia insieme al marito. Per questo, sia d’inverno che d’estate, era impegnata a confezionare la rete.


Per confezionare una rete c’era bisogno dell’abbiatore, la parte iniziale della rete. Poi serviva una lenguette, che fungeva da ago per intrecciare lo spago, e lu murelle un pezzo di canna dove si poggiavano le maglie. Ma occorreva anche tanta forza perchÊ i nodi dovevano essere molto stretti per non causare strappi nella rete durante la pesca. La donna piÚ delle volte lavorava per un padrone che le dava un certo quantitativo di spago, che doveva essere riportato con lo stesso peso come rete. La maglia della rete era grossa o sottile a seconda dello spago. Anche le bambine cominciavano fin da piccole a lavorare la rete: arrotolavano lo spago in grossi gomitoli riempiendo la lenguette e mettendo qualche maglia nella bbiatore. In estate si lavorava fuori casa, chiacchierando, talvolta anche litigando con parole poco gentili e riprendendo le monellerie dei figli con tiri di zoccoli.


In inverno il lavoro si svolgeva in casa, vicino alla finestra o vicino al fuoco. La rete era divisa in sei parti: la lenza, lu cilette, i parà, lu iaccure, i scajette e la code. Ogni retara era esperta a lavorare una parte particolare. Per una rete intera occorreva circa un quintale di spago e per ogni passo occorrevano 40 o 45 fezze di spago. L’abilità delle retare si raffinava con l’esperienza e con la forza delle braccia; erano gesti ripetitivi e rapidissimi.


Quando il pezzo della rete era terminato, la brava retara lo piegava in modo che occupasse meno spazio possibile. Per fare questo tutta la rete doveva essere allungata e aperta, in casa o sulla strada. Appena piegata a forma di pacco, si legava in due punti, si caricava in testa e si andava a riconsegnare a chi l’aveva commissionata. Tra la retara e il padrone era un mercanteggiare : entrambi volevano guadagnare il più possibile. Poiché il lavoro della rete iniziava con lo spago bagnato, quindi più pesante e visto che poi esso si asciugava, spesso le donne infilavano un panno umido tra le pieghe della rete per far in modo di guadagnare di più nella vendita.


Ora tocca a noi: impariamo a fare una rete!





UNA VIA DA RICORDARE La via de li pajarĂ attuale vi a Laberinto, dove le retare si mettevano a lavorare la loro rete, guardando i figli e chiacchierando con le vicine. Talvolta le loro chiacchierate si trasformavano in veri e propri insulti e maledizioni, li votera.


Le donne Sambenedettesi sono “vernecchiere” cioe’ pettegole e una poesia di Bice Piacentini in dialetto le descrive benissimo.

LE COMARI. Ha fatte lu maschie,jemelu a vvedè'! - Care, preziuse mìne! Avè, 'Nzià, nen ce se credarì che ha nate mò. Jesù! Lu patre 'n ce arecaparrà; quille ce schiatte de cunzulaziò'! Je rassemèje, eppù!... Guarde 'mmeccò' mò che vvòte ji 'cchitte pe' ne 'nqua, se nen jè pòrbie speccecate 'Ntò'? Carnale mì! Pare che vvò' parlà! Puvera mmè! Jè minzedì senate! Ce vedème, cummà', jèmece vì; mò revè jsse e nen zo' ccucenate! ......'Nzià', te piace?- Nòne! - E mmanche a mmè! Ne jè 'na vedetura 'llu frechì'? Fusce lu mì, 'nn'u faciarrì vedè'!


Questa presentazione è stata realizzata rielaborando il lavoro svolto dagli alunni: Bettelli Simona Bruno Andrea Brancaccio Gaia Cacciatori Francesco Capogna Irene Ciucani Katerina Comini Alessio D’Astice Marco Galanti Francesco Gattaceca Emanuele Guido Antonio Iotti Annalisa Lagalla Davide

Magliulo Matteo Mandolesi Davide Marconi Giovanni Mauvidis Andreas Monno Federica Napoletani Davide Olivieri Elena Palanca Francesco Ruggieri Isabel Silvestri Edoarrdo Spinozzi Valeria Vannucci Francesco Yakavuleka Liza


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