http://www.isiao.it/wp-content/uploads/2010/07/7-Indo-tibetica

Page 1

Discorsi e conferenze del Presidente 7

Gherardo Gnoli

L’edizione cinese di Indo-tibetica di G. Tucci

Roma Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente 2010


Discorso tenuto il 24 giugno 2010 presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze morali, storiche e filosofiche

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© COPYRIGHT 2010 by Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente Direttore scientifico: Gherardo Gnoli; Direttore editoriale: Francesco D’Arelli Art director: Beniamino Melasecchi; Coord. redazionale: Elisabetta Valento Redazione: Paola Bacchetti, Matteo De Chiara

Via Ulisse Aldrovandi, 16, 00197 Roma tel. 06 328551 – www.isiao.it www.mediastore.isiao.it

2


Presidente della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, Prof. A. Quadrio Curzio, distinti colleghi, Signore e Signori «L’Italia e l’esplorazione del Tibet» è un capitolo dell’agilissimo e coltissimo Italia e Oriente di Giuseppe Tucci, libro dedicato alla sterminata teoria di Italiani, missionari, viaggiatori e poi studiosi, che prima e più di altri ebbe un ruolo antico e culturale nell’incontro fra l’Europa e l’Asia. E proprio in quelle pagine, vivaci e appassionate, G. Tucci ricorda con orgoglio come le prime notizie sul Tibet, quantunque indirette, giunsero nell’Europa medievale dai francescani Giovanni da Pian del Carpine e Odorico da Pordenone, missionari in Cina nella prima metà del XIII secolo e testimoni di quell’opera «meravigliosa d’ardimento e di fede», nonché di apostolato culturale compiuto nell’Asia estrema. G. Tucci tenne sempre vivido il ricordo di quegli Italiani che lo precedettero lungo le vie del «Paese delle nevi» e ne ebbe la coscienza viva anche quando nelle missioni scientifiche del 1931, del 1933 e del 1935 percorreva «con vario cammino – così egli scriveva in Italia e Oriente – quei sentieri che la natura ostile impone al coraggio umano; allora mi sembrò prodigio d’ardimento dei lontani miei precursori, i quali senz’altra compagnia che la fede s’avventurarono con l’inconsapevole baldanza delle anime semplici in una delle terre più dure dell’Asia, quasi che le forze telluriche, sempre bieche ed avverse, si piegassero docili a quello spirituale eroismo e facessero varco» (p. 153). Non stupisce allora perché G. Tucci riservi continuamente nei suoi scritti scientifici e divulgativi sul Tibet parole ricolme di ammirazione all’arguzia di Ippolito Desideri S.I. e alla sua profonda conoscenza del buddhismo; alla perseveranza nell’opera evangelica dei cappuccini Domenico da Fano, Orazio da Pennabili e Cassiano Beligatti, tutti marchigiani com’egli stesso nativo di Macerata; all’eccellenza delle «notizie antropologiche ed etnografiche», gloria della scienza italiana, raccolte e diffuse dalle esplorazioni del «piccolo Tibet o Tibet indiano o Ladak su su fino al Caracorum», ideate e compiute dalla fine del XIX secolo sino ai primi due decenni del secolo XX da Osvaldo Roero, da Luigi 3


Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, da Mario Piacenza, da Filippo de Filippi e da Giotto Dainelli. In tale contesto, e quasi a riaffermare il secolare interesse dell’Italia e degli Italiani per la civiltà tibetana, caddero le otto missioni scientifiche nel Tibet occidentale e centrale dal 1928 al 1948: tutte, fuorché l’ultima, promosse con il sostegno e sotto l’egida della Reale Accademia d’Italia. Delle missioni scientifiche in Tibet si conserva ponderosa memoria nei suoi diari: Cronaca della missione scientifica Tucci nel Tibet occidentale (1933), Roma 1934; Santi e briganti nel Tibet ignoto, Milano 1937; A Lhasa e oltre. Diario della spedizione nel Tibet. 1948, Roma 1950; nei sette volumi di Indo-tibetica, pubblicati per i tipi della Reale Accademia d’Italia dal 1932 al 1941, e in Tibetan Painted Scrolls (Roma 1949), sicuramente una delle sue opere più imponenti. Ma, oltre a tutto ciò, di quelle memorabili imprese resta traccia nella ricchissima documentazione fotografica di proprietà dell’IsIAO e nella copiosa collezione di testi manoscritti e silografici in lingua tibetana, da Lui raccolta lungo le impervie vie e donata alla Biblioteca dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente nel giugno del 1959 ed oggi il fondo di maggior pregio della Biblioteca dell’IsIAO. I sette volumi di Indo-tibetica furono pubblicati come prima opera della collana «Studi e Documenti», proposta dalla Classe di Scienze Morali e Storiche della Reale Accademia d’Italia, approvata dal Consiglio Accademico e dall’Adunanza generale, e in ultimo annunciata pubblicamente nella solenne seduta inaugurale dell’anno accademico 1930-1931. Il primo volume di Indo-tibetica uscì dai torchi nel dicembre del 1932 e, come rimarcò lo stesso G. Tucci nella sua prefazione, iniziò «una serie di studi dedicati alla pubblicazione, investigazione ed elaborazione di un largo materiale archeologico, manoscritto e letterario raccolto nella mia lunga permanenza indiana e nelle mie spedizioni tibetane» (p. 7). Da tutta l’opera emerge con ulteriore evidenza la «stretta colleganza» fra l’India e il Tibet, una dipendenza culturale affermata dalla diffusione del buddhismo in Tibet, tant’è che la civiltà tibetana e le sue massime creazioni possono considerarsi «come ispirate dalla grande esperienza indiana e soprattutto da quella buddhistica» (ibidem). Un’esperienza profondamente religiosa, che G. Tucci studiò nelle forme dell’arte, espresse simbolicamente anche nello stupa e negli tsha tsha, questi raccolti in gran copia nel Ladak, a Spiti, Kunavar e Guge; e poi ancora nell’opera, svolta intorno al Mille, di Rin chen bzan po, eminente missionario ed apostolo del buddhismo nel Tibet 4


occidentale; nelle cronologie dei sovrani tibetani; nel simbolismo artistico magnificamente rappresentato dai templi di Spiti, Kunavar e Tsaparang (Tibet occidentale); nell’imponente e sublime complesso di monasteri a Gyantse (Tibet centrale): tutto ciò senza mai trascurare l’analisi meticolosa di manoscritti ed iscrizioni, le sue fonti predilette per la conoscenza della geografia storica, le descrizioni topografiche e l’identificazione di pittori, di motivi iconografici e di correnti artistiche. Buona parte dei risultati conseguiti dalle missioni scientifiche di G. Tucci fu ignota agli archeologi e tibetologi cinesi sino alla fine del secolo trascorso. Né si può, d’altra parte, sottacere la rovina che ha colpito molti dei siti religiosi del Tibet occidentale, in parte dovuta al decadimento naturale di ogni opera umana e in parte al diretto intervento dell’azione dell’uomo. Considerando tutto ciò, Giuseppe Vignato, professore di Archeologia alla School of Archaeology and Museology dell’Università di Pechino e socio ordinario dell’IsIAO, ideò nel lontano 1999 il progetto di traduzione in cinese di Indo-tibetica e ne diresse tutte le attività per l’intera sua durata. L’IsIAO da subito fu coinvolto, scegliendo di sostenere il progetto con ogni mezzo e affidandone la cura, sin dal 2002, a Francesco D’Arelli. L’opera così pubblicata e celebrata nell’odierna occasione è un atto concreto, visibile di una fruttuosa collaborazione scientifica e culturale fra la Cina e l’Italia, due Paesi di antichissima civiltà, e in particolare fra la School of Archaeology and Museology dell’Università di Pechino e l’IsIAO, giacché l’opera in cinese di G. Tucci appare come primo numero – così come nella collana «Studi e Documenti» della Reale Accademia d’Italia – della collana «EurAsia», strenuamente da me voluta e da Zhao Hui, Presidente della menzionata School e curata da F. D’Arelli e G. Vignato, proprio per rafforzare ancor più quel senso di ammirazione ed amicizia, nutrito reciprocamente dalla Cina e dall’Italia ed oggi riaffermato dal magistero e dall’opera culturale di G. Tucci. Quasi fosse stato uno scavo archeologico, il testo di Indotibetica, tradotto in cinese, integrato nelle lacune, corretti i refusi ed a volte alcuni fraintendimenti dello stesso autore, ha in realtà donato un’opportunità più che unica a studiosi cinesi ed italiani di lavorare insieme per ben dieci anni, dal 1999 al 2009. Alla stesura della prima bozza di traduzione dall’inglese parteciparono gli studiosi Li Ling (National Museum of China), He Liqun (Institute of Archaeology, Chinese Academy of Social Sciences), Xiong Wenbin (China 5


Tibetology Research Center) e Chen Qingying (China Tibetology Research Center), mentre presero parte alla revisione del testo basata sull’originale italiano gli studiosi G. Vignato, F. D’Arelli, Li Zhirong (School of Archaeology and Museology dell’Università di Pechino), Saerji (School of Foreign Languages dell’Università di Pechino) e Zheng Guodong (Institute of Foreign Literature, Chinese Academy of Social Sciences). Il successo di questo progetto si deve all’opera essenziale e continuativa di alcuni studiosi ed al sostegno scientifico, alla liberalità e munificenza di molte istituzioni di alta cultura e non solo: l’Accademia Nazionale dei Lincei, il Museo d’Arte cinese di Parma dell’Ordine dei Saveriani, il Museo Nazionale d’Arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’, la Banca d’Italia, la Cariparma e Piacenza, la Fondazione Romualdo Del Bianco e la Khyentse Foundation (San Francisco, USA). Un’opera, quella di G. Tucci, risultata complessa e difficile anche dal punto di vista editoriale, soprattutto perché Egli ha usato un’impressionante varietà di lingue dell’Asia (cinese, tibetano, sanscrito e giapponese) e dell’Europa (francese, inglese, tedesco, russo, ecc.). Solo due rinomati editori, con un’eccellente tradizione editoriale, potevano assicurare la cura, il raffinato design e la nitidezza della stampa: la Shanghai Classics Publishing House e l’IsIAO sono gli artefici materiali di ciò che oggi con unanime e reciproco compiacimento si può ammirare, sfogliare e infine leggere. La traduzione cinese di Indo-tibetica accresce il valore scientifico dell’opera, grazie agli importanti addenda et corrigenda apportati dopo un lavoro decennale condotto anche in loco con lo studio dei templi e monasteri già visitati dallo stesso G. Tucci. Non si poteva allora non offrire alla cultura italiana un rinnovato accesso ad un’opera oramai da tempo introvabile ed ancora contributo inestimabile alla conoscenza della civiltà tibetana. L’occasione odierna mi è propizia per esprimere la mia personale gratitudine, nonché quella di tutto l’Istituto, all’Accademia Nazionale dei Lincei per il sostegno scientifico e la sensibile munificenza offerti alla pubblicazione imminente in edizione anastatica di Indo-tibetica, corredata di un nuovo volume contenente gli Addenda et corrigenda e vari indici (cinese, sanscrito, tibetano, ecc.) per agevolarne la consultazione e la lettura. Tale pubblicazione si annuncia come parte di un più ampio progetto di edizione dell’Opera Omnia di G. Tucci, perché la sua eredità, in un’epoca di sconvolgenti crisi e di folli contrasti, resta attuale e feconda, orientata principalmente alla reciproca comprensione tra i popoli. «Conoscere un popolo – 6


scriveva G. Tucci – è come amare: non ci vogliono intermediari» e ciò è tanto più vero ed efficace se la conoscenza umana mira all’esperienza religiosa, alla religione di una civiltà: «Per tutte le genti, anche per quelle che sembrano più lontane dal vero, la religione è l’invisibile ponte che congiunge la terra al cielo, la faticosa evasione dalla prigionia del tempo alla libertà dell’eterno» (Italia e Oriente, p. 6).

7


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.