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Prolegomeni coloniali. La genesi dell’imperialismo nazionale nell’innovatività del modello urbanistico asmarino PIER GIORGIO MASSARETTI

La ricerca sulla sua genesi e sullo sviluppo urbano di Asmara è l’occasione per rimettere le mani su un patrimonio storiografico ormai consolidato, e permettere allo studioso di aggiornare la riflessione sull’«inizialità» disciplinare della vicenda asmarina e, più in generale, dell’urbanistica eritrea. È mia intenzione, quindi, intrecciare le riflessioni disciplinari di Stefano Zagnoni1, con la storiografia – ancora assai poco nota e divulgata – di Alberto Aquarone2, filtrate attraverso uno sguardo più dettagliato all’avvenimento, veramente «iniziatico», del Congresso coloniale di Asmara del 1905. Un evento, quest’ultimo, che, sebbene non rimandi a specifiche indicazioni disciplinari, tuttavia illumina su due sincroniche fenomenologie: i) l’esemplarità del governatorato di Ferdinando Martini, nell’individuare le vocazioni «mature» del colonialismo italiano ii) l’attestazione pubblica delle linee strategiche di sviluppo della politica coloniale nazionale – e la sua continuità, praticamente immutata, sino alla fallimentare esperienza del regime fascista. Le riflessioni di Giuliano Gresleri sull’urbanistica asmarina, contenute in questo stesso volume, forniscono infine più accurate conclusioni sui contenuti disciplinari che la vicenda in analisi ha mobilitato.

1. LA COLONIA ERITREA E IL GOVERNATORATO DI FERDINANDO MARTINI Nei suoi due saggi dedicati all’attività di F. Martini come governatore dell’Eritrea, Alberto Aquarone3 si propone di affrontare la storiografia della colonia «primogenita», attraverso un attento esame dei rapporti tra madrepatria e colonia, specialmente nel delicato momento di passaggio da un’amministrazione militare – la diretta conseguenza dell’occupazione fisica di quei territori africani, per la conservazione dei confini geo-politici acquisiti –, alla gestione del commissariato civile straordinario, proprio di Martini. D’altra parte, il tema dei difficili rapporti tra soggetti militari e civili, nell’ambito dell’amministrazione delle colonie italiane, al suo inizio, ha costituito un elemento centrale della storiografia

aquaroniana, e del suo impegno didattico e di ricerca4. E se il bilancio critico di Aquarone sulla svolta della politica coloniale italiana dopo la sconfitta, militare e politica, di Adua è risultato quanto mai efficace ed esauriente5: … ciò che soprattutto premeva allo studioso era di esaminare nella loro concretezza gli strumenti di attuazione [della politica coloniale italiana]; non tanto le dichiarazioni programmatiche e i giochi diplomatici messi in atto per ragioni di politica interna quanto estera, ma questi stessi esaminati come fulcro di un nuovo dibattito che coinvolgeva circoli di governo, forze politiche, ambienti economici, pubblicistica e stampa di tutte le tendenze: africanista e antiafricanista, liberista, e in particolare lo studio degli aspetti «tecnici» dell’amministrazione dei territori africani: non solo il problema più generale dei rapporti con il governo centrale ma anche per quanto riguardava, nel caso specifico, l’ordinamento vero e proprio della colonia Eritrea e la creazione per essa di una legge organica; il regime delle opere pubbliche e la valorizzazione economica, la politica dell’indigenato; il problema della coesistenza della doppia giustizia (bianca e indigena); la creazione di appositi codici per la colonia6. (Il corsivo è mio).

Su tale nocciolo storiografico, la riflessione che qui intendo sviluppare – con il contributo insostituibile dello stesso Aquarone7 ed i puntuali riferimenti documentali contenuti nell’opera di Carlo Rossetti sul Congresso di Asmara de 19058–, è quella dell’attualizzazione di quel caotico intreccio di relazioni politiche e vocazioni strategiche che connette il management di Martini con la debolissima governance dello Stato nazionale, a proposito di «colonie & colonialismo»; quell’irrisolto conflitto tra contrapposti «protagonismi» (pubblico vs. privato), ereditato dal governo nazionale post-risorgimentale, che verrà inefficacemente metabolizzato dall’egemone leadership (fascismo vs. stato totalitario) del regime fascista9. Il cataclisma militare, ma soprattutto politico, della sconfitta di Adua (1° marzo 1896), aveva attestato anzitutto la debolezza e l’inefficienza dell’«imperialismo crispino»10 e, simultaneamente:


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… aveva gettato lo scompiglio nei ranghi dei colonialisti italiani e provocato una battuta d’arresto del processo di espansione in Africa. Poco più di tre anni dopo, la (…) vicenda di San-Mun aveva messo a nudo quanto diffuse, vigorose e tenaci continuassero ad essere le resistenze nei confronti di qualsiasi programma di espansione che comportasse nuove responsabilità territoriali e militari, oltre che ulteriori oneri finanziari. E in effetti, gli ultimi anni del secolo furono appunto quelli nel corso dei quali eruppe impetuosamente – e per un breve periodo poté anche sembrare affermarsi incontrastato – il concetto che per l’Italia, giunta tardi nell’agone internazionale delle spartizioni delle terre e di risorse, la vera colonizzazione non potesse che consistere nell’emigrazione organizzata, in particolare con la creazione di una «più grande Italia» al di là dell’Atlantico …11.

Un orientamento non del tutto nuovo, certamente, ma che fu rinvigorito e «reso più popolare dai rovesci africani oltre che dal crescente impulso delle correnti migratorie»12. Fu, politicamente, il prodotto di una precisa scelta di campo per il governo nazionale, ma che mai decretò una definitiva rinuncia ad una possibile politica d’espansione coloniale, che invece, tra l’opinione pubblica e alcune forze politiche organizzate (quelle socialiste, per tutte)13, si andava progressivamente affermando. In questa divaricante prospettiva non mancò il tentativo di istituire, tra le due linee direttrici dell’espansione – «quella della pacifica penetrazione economica e della tutela organizzata dell’emigrazione di massa, e quella dell’occupazione territoriale, a prescindere o meno da una conquista militare»14 –, un apposito dicastero delle Colonie che estendesse il suo operato oltre l’ordinaria amministrazione dei possedimenti coloniali, per governare invece la globalità degli affari e degli eventi riguardanti l’emigrazione e gli italiani all’estero, ma anche la promozione organica delle esportazioni nazionali sui mercati stranieri15. La proposta, mai presa seriamente in considerazione, rispecchiava però in maniera sintomatica l’ambivalenza semantica – ben radicata nel linguaggio comune dell’epoca – tra i termini «colonie», «coloniale», «colonialismo» e «Italia coloniale»; cioè, nella stampa quotidiana e periodica del periodo, si identificavano simultaneamente, sia i «nuclei permanenti» della nostra migrazione all’estero, sia gli assai poco considerati possedimenti africani. E il concetto di «politica coloniale» inglobava, in forma preminente, «l’espansione economica, organicamente strutturata, dei nostri milioni di connazionali trapiantati in terra straniera e in particolare nell’emisfero americano»16.

La nomina di Ferdinando Martini a R. Commissario straordinario della colonia Eritrea (21 novembre 1897), non può non essere interpretata come una decisa azione governativa per risolvere il catastrofico corto circuito politico, scatenato dalla sconfitta di Adua. Agli inizi della sua carriera politica e parlamentare Martini, invero, era schierato su posizioni dichiaratamente diverse rispetto le imprese coloniali in corso in Africa17; tuttavia – scagliandosi astiosamente contro la presunta «missione di civiltà» spettante all’Italia in Africa –, promosse con decisione quella scelta di campo, di politica internazionale, che le grandi potenze coloniali europee avevano stipulato a Berlino, nel 1885, a chiusura del Congresso sul Congo (1882): Lasciate stare la civiltà, e dite le cose senza ipocrisia; dite che tutti gli Stati di Europa fanno una politica coloniale e che perciò la vogliamo fare anche noi; anche noi perché in Italia allo Stato che è giovane, il popolo che è vecchio impone tutte le impazienze, tutte le frette, tutte le irrequietudini dell’individuo. Dite ciò, ed io vi approverò fors’anche: ma a patto che mi diciate altresì quali sono gli intenti vostri, e che mi dimostriate quali utili effetti susseguiranno ai sacrifizi che il paese s’impone18.

Nel 1891, già membro della commissione parlamentare d’inchiesta sulla colonia Eritrea («per studiarne le condizioni e suggerire per l’avvenire i termini di una politica organica nei suoi confronti») si «convertì ad un sia pure prudente e pacato colonialismo, che molto doveva, almeno inizialmente, alla piuttosto fragile saggezza del “cosa fatta capo ha”»19. Non c’è quindi da meravigliarsi se la sconfitta di Adua scatenò con forza il radicale decisionismo di «un così fervido cultore del principio del fatto compiuto come base essenziale dell’azione politica»20, e il suo discorso parlamentare del 20 marzo 1896 – a poche settimane dall’epocale disastro bellico – dette una svolta decisiva al suo oscillante africanismo: L’ora della verità è venuta ed è inutile aggrapparsi alle illusioni (…) Il tracciare il confine nostro cinquanta chilometri più avanti o più addietro ha oggi un’importanza morale altissima, ma unicamente morale. Sia che voi vi fermiate all’Asmara, sia che voi vi fermiate al Mareb, potete avere ancora una questione coloniale, ma la Colonia non l’avete più (…) Chi pensò a stabilire colonie agricole nell’Eritrea, chi pensò a dirigere colà la corrente dei nostri emigranti (o torto o ragione che egli avesse, non è ora il caso di discuterne),

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pensò ancora che con lavorio prudentissimo, pazientissimo, direi quasi secolare, non per opera di una ma di due, di tre, di quattro generazioni, gl’Italiani si sarebbero accostati non pure al Taccazzè, ma all’Abbai. Ora questa, che doveva essere opera di secoli, ha trovato nella follia di un giorno impedimenti, che ormai è impossibile rimuovere21.

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E dopo aver qui polemizzato, sia contro quelli che puntavano su di una rapida soluzione pacificatoria, sia contro i promotori di un’energica ripresa della guerra, concludeva il suo intervento sottolineando che la necessità più urgente era quella di non approfondire la spaccatura che allora divideva il paese, e «rimandare a tempi migliori ogni discussione e ogni decisione sull’avvenire definitivo della colonia africana»22. Un’efficace mediazione politica che ebbe il suo riscontro nella sconfitta, sia dell’OdG Sonnino, per l’estrema sinistra – contro la politica estera Crispina –, sia dell’opposizione conservatrice che si riconosceva in tale claudicante politica coloniale. L’approvazione della legge sul nuovo stanziamento di risorse per l’Eritrea, non decretò quindi la conclusione del dibattito, ma anzi – non surrettiziamente – aprì la lunga e faticosa ricerca di una nuova politica coloniale e di più adeguati strumenti politici ed amministrativi per la sua attuazione. Il passaggio decretato dalla tortuosa nomina di Ferdinando Martini al controllo commissariale del governatorato eritreo, avrebbe dovuto costituire la premessa di una profonda riorganizzazione interna del territorio colonizzato ancora militarmente, nella prospettiva dell’attivazione di un mirato processo di valorizzazione economica, che fosse «prudente e magari modesto, ma sicuro e senza scosse, basato ormai definitivamente più sullo sfruttamento delle risorse locali, che su ambiziosi piani di popolamento, incentivando la migrazione dalla madrepatria»23. Un mandato, quello di Martini, con un ampio margine di discrezionalità, da esercitarsi «dopo un attento esame della situazione e un non meno approfondito studio dei provvedimenti più adeguati»24. Era un programma «di raccoglimento», cauto e modesto, preoccupato anzitutto «di salvaguardare ad ogni costo la pace esterna ed interna, estirpando ogni causa d’attrito con l’Imperatore di Abissinia e di fermento e riottosità fra le popolazioni locali»25, dall’altro di non esasperare ulteriormente quell’opinione pubblica antiafricanista, che nella soluzione «attendista» di Martini non poteva non vedere il dichiarato fallimento delle proprie aspirazioni politiche.

Un incarico «riparatorio e pacificatore», il suo, così debolmente strutturato: «Tutto quello che posso dirle ora [telegramma del 30 gennaio 1888 del presidente del consiglio a Martini, appena giunto a Massawa] si riassume nelle seguenti parole: “Rispettare gl’impegni con Menelik, dare la prevalenza all’elemento civile e spendere poco”»26: per riparare i danni prodotti dall’amministrazione militare anche nelle cose civili, ma soprattutto per limitare al massimo l’onere finanziario che l’Eritrea rappresentava per il bilancio dello Stato. Armato di un regio decreto che delegava al commissario civile per l’Eritrea la facoltà di ridurre gli organici coloniali «in relazione alle mutate condizioni della colonia» ed alla «necessità di semplificare i congegni amministrativi», pungolato in ogni modo da Roma affinché venisse ridotto al minimo indispensabile il bilancio eritreo, ma deciso al tempo stesso a creare una situazione che precludesse la via ad ogni velleità di ripiegamento e di abbandono dell’altopiano, Martini iniziò così l’opera di riorganizzazione amministrativa e di valorizzazione economica della colonia alla quale legò, fra consensi e contrasti anche vivacissimi, il suo nome. (…) Fra luci ed ombre, essa non sembrò comunque smentire del tutto il commento apparso ai primi del secolo sulla rivista di Napoleone Colajanni: «La politica coloniale degli italiani è sempre stata a scartamento ridotto: di grandioso veramente non ci fu che la sconfitta di Abba Carima»27.

2. IL CONGRESSO COLONIALE ITALIANO IN ASMARA (1905) Dopo il trauma di Adua gli appelli e gli incitamenti a «mettersi all’opera», prima di tutto per conoscere risorse e potenzialità della colonia, e quindi per dirigere ed illuminare una politica coloniale coerente ed efficace, si moltiplicarono nel tentativo di dare consistenza alla «coscienza coloniale» nel paese. Significativamente, nel 1900, Giacomo Gobbi-Belcredi fondò la rivista «L’Italia coloniale», destinata – sino al 1904 – a costituire uno degli organi di stampa più attivamente impegnati in tale lavoro di sensibilizzazione e promozione. Gli obiettivi politico-culturali del periodico sono così sintetizzati nell’editoriale di apertura: Iniziare lo spirito pubblico allo studio dei vari problemi coloniali; offrire un corpo, se non complesso, certo rimarchevole, di notizie e di giudizi; esaminare la ripercussione che


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hanno e quella che potrebbero avere nel campo delle nostre industrie, dei nostri commerci; vedere come si possa vincere la concorrenza estera nelle regioni vivificate dalla nostra emigrazione, sollevare insomma a dignità di discussione ordinata e serena tutte quelle questioni che, solo ad intermittenza, ora balenano qua e là28.

Un programma che era, oggettivamente, privo di qualsiasi aggressiva asperità polemica o di possibili richiami al «colonialismo megalomane e bellicoso della politica crispina»29, e destinato invece a fornire un’interpretazione della vicenda coloniale in una logica di pacifica espansione economica e culturale, e che nell’aggettivo «coloniale» tendeva a far convergere, senza eccessivi conflitti, emigrazione ed espansione commerciale extranazionale. Si inaugurava così quella campagna di consolidamento di una dedicata «cultura coloniale», che già Martini aveva inserito come elemento fondante del suo mandato governatoriale. L’esigenza di sanare quella disattenzione, sia politica che collettiva a proposito di «colonie», che pagava i non esaltanti risultati dell’esperienza militare sino ad allora prodotta in Eritrea, e, contemporaneamente, «con l’indebolirsi del mito della grande Italia transatlantica (…) il dileguarsi dell’ambiziosa visione di un’estesa federazione di libere colonie di italiani all’estero (…) strumento sempre vivo ed operante di influenza politica e culturale, e soprattutto di espansione economica della madrepatria»30. Un rilancio promosso dal progressivo coagularsi attorno una nuova strategica alleanza tra una politica governativa ormai ineluttabilmente direzionata – anche se con altrettanto fatale ritardo –, un pur deficitario espansionismo economico internazionale, e l’operato pubblico e pubblicistico dell’élite scientifico-culturale dell’Italia umbertina. Un impegno, promozionale e divulgativo, accreditato, sia dal moltiplicarsi di un’attività convegnistica e di mirati programmi pubblici che l’associazionismo d’interesse geografico allora produceva periodicamente, sia dall’istituzione di specifici enti, di vocazione commerciale, allora impegnati a sostenere un evoluto target internazionale-coloniale, della politica economica nazionale31. In tale contesto «di promozione socio-culturale», si inseriva l’evento del Congresso coloniale di Asmara, del 1905. Già auspicato nelle conclusioni del IV Congresso geografico italiano di Napoli, del 190132, il congresso africano fu tuttavia caratterizzato, sin dalla sua progettazione, da un problematico connotato di ambigua «semiufficialità»33. Vero deus ex machina di tutta l’operazione fu il tenente di vascello Carlo

Rossetti: già relatore al citato convegno napoletano – poi curatore degli atti del convegno asmarino34 –, come funzionario dell’Ufficio coloniale del Ministero degli affari esteri «lavorò per oltre un anno con fede e pervicacia sormontando difficoltà non lievi di uomini e cose, quindi il solo e vero ordinatore di questo Congresso»35. Ma nonostante le importanti adesioni (ministeriali; imprenditoriali; associative ed intellettuali) ricevute, l’evento non poteva non scatenare qualche motivata preoccupazione negli ambienti ministeriali, proprio a causa dell’impreparazione e dell’indecisione governativa ancora forte, a proposito di politica coloniale eritrea. L’editoriale di «Nuova Antologia» del 1° agosto 1905, tuttavia, mise in luce36 come l’iniziativa fu in grado di scatenare una nuova e certamente più dinamica fase di politica coloniale nazionale, pur conservando l’originaria ed irrisolta ambiguità tra «espansionisti ad oltranza» e «fautori di una politica endogena». Ed è proprio Ferdinando Martini – che il 25 settembre tenne il discorso d’apertura –, nel suo Diario eritreo, ci restituisce efficacemente atmosfera ed attese che caratterizzavano lo sviluppo dell’evento congressuale. Il 25 settembre, infatti, annota: «Inaugurazione del Congresso. Cerimonia seria, decorosa, ben riuscita. Le impressioni continuano ad essere buone: di gradita sorpresa, le definì il Loria parlando meco». Per il giorno successivo: Giornata trionfale, compenso a molti fastidi, a molte cure, a molte amarezze. I congressisti sono rimasti stupefatti dell’esposizione agricola (…). Numerosi furono gli ordini del giorno approvati «per sollecitare, in vario modo, il governo ad intervenire a favore dello sviluppo delle colonie africane (…) ritenuto, infatti, che le iniziative individuali e collettive, fuori e dentro il paese, rimarrebbero incerte ed infruttuose se non fossero collegate ad un’azione cosciente ed organica dello Stato (…) si auspica l’allargamento delle competenze dell’Ufficio coloniale del Ministero degli Esteri, in modo da metterlo in grado di estendere la propria opera, così nel campo amministrativo come in quello politico, a tutto quanto attiene al movimento coloniale37.

Nonostante Aquarone valuti con dura fermezza i risultati congressuali – «Non si trattò certamente, nel complesso, di prese di posizione e sollecitazioni particolarmente originali e rivoluzionarie. Per lo più, gli ordini del giorno presentati e le discussioni che ne accompagnarono l’approvazione non fecero che ricalcare concetti e proposte già da tempo divenuti abbastanza tradizionali negli ambienti “africanisti”»38 –, il

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compito che ora mi propongo è quello di rileggere la fedele rendicontazione convegnistica prodotta e (conservando, in evidenza, sullo sfondo «l’auspicata e cosciente azione dello Stato») far emergere da quelle ormai consolidate asserzioni e proposte, indicazioni più confacenti all’attualizzazione dei paradigmi strutturali e culturali che avevano investito o avevano suggerito al pianificatore della città di Asmara le principali linee d’intervento per l’ottimizzazione urbana del capoluogo eritreo, in affermazione e crescita. Le diverse «Relazioni» contenute nel primo volume degli Atti, a mio parere possono essere efficacemente rubricate in pochi e rappresentativi ambiti tematici. • Per l’ambito «politico», le relazioni di Gino Bartolommei Gioli (L’azione coloniale dei tempi recenti e gli ostacoli della nostra espansione all’estero, pp. 247-254) e di Edoardo Baccari (La Colonia Eritrea negli interessi e nei sentimenti degli italiani, pp. 277-288), rilanciano temi ormai retoricamente noti e politicamente inefficaci. • Per l’ambito più strettamente «militare», le tre relazioni presentate da personale dell’esercito, non riguardavano affatto un impegno «belligerante», quanto invece azioni militari di servizio alla conoscenza del territorio, fisico ed umano, della colonia: Cartografia e topografia della colonia Eritrea (del maggiore F. Coco, pp. 229-236); I lavori idrografici della R. Marina sulle coste dell’Affrica italiana (comandante G. Cerrina Feroni, pp. 237-246), ed infine, un testo più culturale-formativo: Reclutamento e coltura dell’ufficiale coloniale nell’Affrica italiana (gen. avv. prof. Salvatore Falzone, pp. 209-228). • Per l’ambito «giuridico», venne presentata la sola relazione di Ranieri Falconi, Del diritto italiano e del diritto indigeno nell’Affrica italiana (pp. 189-208) – nonostante sull’argomento «diritto indigeno e diritto coloniale» l’università nazionale (Padova e Napoli) stesse allora già attivando corsi specifici al proposito. • Per l’ambito «economico-produttivo» vennero presentate almeno una decina di relazioni. i) Il settore primario, come ambito privilegiato dell’economia coloniale (agricoltura-allevamento-pesca-difesa dalle cavallette; le strategiche sinergie tra settore agricolo e settore commerciale). ii) La produzione agricola richiedeva localmente risorse (cfr. E. Cagnassi, La fondazione di un Istituto di credito per l’Affrica italiana e lo sviluppo della Colonia Eritrea, pp. 51-106), e una regolamentazione certa della proprietà terriera (cfr. D. Odorizzi, Notizie sull’ordinamento della proprietà terriera in Etiopia e la zona abissina della Colonia Eritrea, pp. 255-276). iii) La commercializ-

zazione dei prodotti agricoli, localmente e verso la madrepatria, richiedeva un’efficiente rete infrastrutturale: sul porto di Massawa; sulle Vie commerciali verso l’Impero etiopico, pp. 105-132; c’è un intervento relativo al sistema fluviale del Benadir, ma mancano (quanto significativamente?) relazioni sulle comunicazioni, stradali e ferroviarie, che costituirono, invece, una voce di spesa privilegiata negli investimenti coloniali degli anni Dieci e Venti. iv) «Commercializzazione» significava anche conoscenza storico-geografica dei mercati etiopici e arabi, sino a: Tripoli nelle tradizioni storico-commerciali, di S. Giannò (pp. 347-352). Gli ambiti tematico-disciplinari contenuti nel II volume, «Discussioni», degli stessi Atti, amplificano i contenuti delle relazioni o ampliano gli argomenti messi in gioco, a proposito di «politica coloniale». In merito al Coordinamento dell’azione coloniale italiana, il congresso auspicava «la promozione di una spedizione scientifico-commerciale in Libia…» (p. 176); l’attivazione «di un organo permanente di studi circa i paesi coloniali (…) la creazione di un istituto coloniale…» (p. 175). L’attesissima discussione, relazionata dal marchese A. Di San Giuliano, Il problema dell’emigrazione nei suoi rapporti con l’Affrica Italiana, esemplarmente – ma quanto mai inefficacemente – chiude il ciclo di «Discussioni» al Congresso asmarino (su quest’ultimo punto le riflessioni di Aquarone si dilungano ampiamente: pp. 314-321). La seduta antimeridiana del 3 ottobre 1905, inerente il Tema 5° – Viabilità dell’Affrica italiana e vie di penetrazione (Checchi, Talamonti, Odorizzi), recupera il deficit, sopra sottolineato, di una riflessione cogente sull’infrastrutturazione della colonia – ma, anche in queste «Discussioni» mancano considerazioni programmatiche su quella rete ferroviaria (l’innovativa linea Massawa-Asmara) che costituirà elemento di eccellenza delle OO.PP. in Eritrea. Ci si può chiedere: quale interesse produsse la relazione G.B. Gioli, sull’Ordinamento degli studi in Italia in rapporto alla politica coloniale? I «voti» deliberati diedero un reale impulso ai programmi di conoscenza e formazione superiore e universitaria sulla materia coloniale? Che interesse c’era a discutere (tema 10°) Dell’istruzione pubblica nell’Affrica Italiana? La relazione di E. Nelli delineava uno scenario pedagogico educativo all’avanguardia («accrescere benefici per la pubblica istruzione (…) anche per gli indigeni…»; obbligatorietà, nelle scuole governative, «dell’insegnamento delle lingue del paese»; «Fa voti che agl’indigeni (…) sia impartito l’insegnamento laico, lasciando


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ai religiosi la sola cura delle anime…» (!)(Quanti – e come? – di questi ultimi punti contribuiranno a delineare le esigenze e le offerte urbane di Asmara, e delle diverse città «ri-fondate» dell’altopiano eritreo?). Queste considerazioni, funzionali alla diagnosi disciplinare del paragrafo successivo, non possono tuttavia mutare le conclusive considerazioni – ampiamente condivise – dell’Aquarone sull’evento ora tratteggiato: Senza dubbio, il Congresso di Asmara servì a far parlare un po’ di più e con qualche maggiore approfondimento della poco amata colonia ed a rilanciare proposte e temi di discussione inseparabili da qualsiasi anche modesto programma di sua valorizzazione. Ma quali che fossero state le intenzioni dei promotori – e non mancarono da più parti le pungenti accuse a Martini di aver voluto inscenare a spese pubbliche una trionfalistica manifestazione di plauso alla sua opera ormai quasi decennale di governatore 39 –, il risultato non fu certo, in patria, un’ondata di entusiasmo capace di mietere nuovi e baldanzosi consensi per una politica di maggior impegno in Eritrea o, più in generale, in Africa orientale. (…) Il bilancio del Congresso dell’Asmara, da qualsiasi punto di vista lo considerasse, non poteva apparire certamente lusinghiero e promettente per l’avvenire. E in effetti, quello che nelle intenzioni dei suoi promotori originari avrebbe dovuto essere un primo congresso coloniale, rimase anche l’ultimo. E tuttavia, esso lasciò dietro di sé qualcosa di più di una semplice lunga scia di ordini del giorno. Fu infatti all’Asmara che vennero gettate le basi di un nuovo organismo permanente di propaganda e di studi coloniali, destinato ad uno sviluppo e ad una risonanza non effimeri40.

Furono, in altri termini, gettate le basi di un promettente sviluppo dell’immagine – dell’immaginario collettivo, io aggiungo – di una colonia.

3. L’ESPERIMENTO URBANISTICO DELLA «RI-FONDAZIONE» DELLE CITTÀ COLONIALI L’efficace e puntuale rendicontazione che il «Bullettino ufficiale della Colonia Eritrea» produsse in merito alle opere di Ferdinando Martini in Eritrea, mi fornisce l’opportunità di illustrare il prezioso impegno attuato dal governatorato (1897-1907) per le OO.PP. locali:

• Risale al 1898 il primo decreto governativo, per dare al centro di Asmara – che successivamente sarà il capoluogo della colonia – «dignità urbana»41. • Nel 1899 Martini sposta la capitale, da Massawa ad Asmara; nella nuova capitale dà inizio, quindi ad un pullulare d’interventi: architettonici (la costruzione di due grandi alberghi ad alta ricettività), urbani ed infrastrutturali (la dotazioni di un ancora primitivo impianto acquedottistico; l’attivazione di gare d’appalto per la sistemazione di strade e piazze centrali; i lavori di trasformazione delle carovaniere, da Asmara, per Keren, Adi Ugri e Seghenetei), e di «pubblica regolamentazione» (per la raccolta e conservazione dell’acqua piovana; interventi di intonacatura e imbiancatura «per il decoro degli edifici del quartiere europeo; la regolamentazione per la nettezza urbana). • Risale al 1900 la stipulazione del Trattato di Addis Ababa, per la definizione dei nuovi confini tra Eritrea e Etiopia, ed il conseguente trasformazione-potenziamento della rete stradale di collegamento. • 1901: Rafforzamento della rete stradale interna (Belesa, Medrizien, Tzad Cristian); inaugurazione della linea telegrafica Asmara-Addis Ababa; impianto della prima rete fognaria (D. G. 10/1901), che sarà poi migliorata nel 1917 e ampliata nel 1936 e nel 1939. • Risale al settembre 1902 «l’approvazione della prima parte di un piano regolatore riguardante la zona centrale del quartiere europeo» (D. G. 137/1902), una previsione mai concretamente attuata. • Il 1903 è cadenzato dall’approvazione governatoriale di urgenti servizi pubblici: la fondazione dell’Istituto sierovaccinogeno; l’inaugurazione della prima scuola elementare laica italiana; la dotazione della grande area del mercato – presso la moschea centrale – con un caravanserraglio, un mattatoio, una pesa pubblica, piccoli pozzi e una grande cisterna per la raccolta dell’acqua. • 1904: La ferrovia da Massawa giunge a Ghinda. Nello stesso periodo viene inaugurato «il primo impianto di produzione di energia elettrica, a combustibile vegetale (…) per sostituire l’illuminazione a petrolio». • Nel 1905, in coincidenza con l’allestimento del Congresso coloniale, sono portati a termine tre importanti opere pubbliche: la potabilizzazione e distribuzione in rete dell’acqua ad usi domestici; la costruzione del palazzo del governatore; la messa a dimora di alberi lungo le rive del Mai Belà, di alcune vie e piazze centrali.

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• Negli anni della chiusura del mandato straordinario di Martini, l’attività si limita a: febbraio 1906, «Termina, in Asmara, la costruzione della sinagoga». Ci si può chiedere dove siano i grandi interventi di pianificazione e trasformazione urbana che – conformemente ad una certa (e forse troppo rigida) esaustività disciplinare –, hanno segnato le «ri-fondazioni» urbane di Asmara e dei centri dell’altopiano, anticipate nel titolo di questo paragrafo. Effettivamente gli interventi urbanistici più importanti vennero attuati successivamente. Risale al 1908, infatti, l’abrogazione dell’inattuato piano del 1902, e l’approvazione di un nuovo piano, zonizzato sul paradigma razziale (la zona europea; una zona promiscua per europei, indigeni e assimilati; una zona esclusivamente indigena; una cintura di «abitazioni suburbane» – destinate a quale specifica classe razziale o sociale?). Nel settembre 1912 si inaugurò «la linea ferroviaria dei 118 scoscesi chilometri che congiungono Massawa all’Asmara». Al 1914 risale l’approvazione del piano regolatore e il relativo regolamento edilizio, allestiti dal Genio civile della Colonia Eritrea – a firma di Odoardo Cavagnari42 – e che disegna quell’Asmara rappresentata nella guida CTI del 192943. L’esauriente diagnostica prodotta da Zagnoni nel suo: L’Eritrea delle piccole città, inizialmente citato, prende le mosse proprio da questo punto. E per sottolineare la novità dell’esperimento eritreo – condivisa con il ponderato bilancio che Aquarone ha tratteggiato (vedi la conclusione del paragrafo precedente) –, richiama due esemplari avvenimenti: l’avvenuta smilitarizzazione (nel 1898, durante il governatorato Martini) degli organismi amministrativi locali, e la loro dotazione di un’autonoma capacità di emanazione legislativa44; la simultanea attivazione di «un Ufficio tecnico della colonia formato da personale del Genio civile»45: un supporto tecnicoamministrativo, quest’ultimo, indispensabile per guidare, con l’ausilio di una sperimentata ed evoluta capacità professionale, la lunga serie degli interventi elencati precedentemente, e addirittura capace di approntare delle innovative misure urbanistiche, di governo e di indirizzo pianificatorio, in anticipo rispetto i casi nazionali, ma soprattutto internazionali46. Ma nel condivisibile intento di sottolineare una salutare «lontananza», e l’accreditata innovatività dell’esperienza disciplinare eritrea rispetto alle deficitarie condizioni della disciplina pianificatoria della madrepatria47, l’autore individua una soluzione, a mio parere, inefficace. La sua dichiarazione, infatti: «L’episodio è tanto più singolare in quanto si svolge pressoché all’insaputa della cultura nazionale, di cui è pure un prodotto», risulta (nonostante l’assenza di riscontri diretti) quan-

to meno improbabile48; un non verosimile «mascheramento informativo», questo, che non tiene conto invece di come l’effettivo scarto tra le due diverse vicende disciplinari (in madrepatria vs. in colonia), sia sostenuto da assai più illuminanti motivazioni strategiche. L’esemplare capacità del commissariato straordinario di Martini di sperimentare l’efficace ed innovativo protagonismo governatoriale nella programmazione territoriale e nella pianificazione urbana, era permessa e facilitata dall’endemica tabula rasa che le arcaiche e «non regolamentate» condizioni dei territori coloniali intrinsecamente presentavano49. Capacità normative e legislative, mature professionalità tecniche, modelli avanzati di uno sviluppo «pianificato» del territorio e dei nuclei urbani – che nel pur giovane Stato unitario nazionale si stavano sperimentando e consolidando50 –, per una complessa gamma di ragioni socio-economiche, politiche e culturali51 (riassumibili però nell’attestazione di un’endemica «incapacità di governance statuale» dell’Italia post-risorgimentale), nell’Italia a cavallo dei due secoli avevano però una scarsa e localizzata opportunità di applicazione. In Eritrea invece, l’idea martiniana di un’Asmara «capitale metropolitana» – così fortemente assonante con il genealogico «modello haussmanniano» dell’urbanistica europea moderna52 –, per consolidarsi, pagò certamente della mancanza degli indispensabili investimenti economici provenienti dallo Stato nazionale53, ma – altrettanto chiaramente – rappresentò la motivazione strategica del coagularsi di quell’innovativa partnership di saperi tecnici interdisciplinari54, che aveva animato il citato Congresso coloniale di Asmara del 1905. Ma che cosa spingeva quella colta élite intellettuale e professionale a misurarsi, in una forma così svantaggiata, con la sfida culturale ed il rischio materiale dell’avventura coloniale? Non banale sarebbe riandare a Dante che, nel suo Inferno, descrive ammirato la sfida eroica e morale dell’Ulisse che, impavidamente, scardina il tabù dell’insuperabilità delle Colonne d’Ercole. Ma riflessioni a noi più vicine55, mettono in chiaro una motivazione profonda che – al di fuori di ogni retorica letteraria – io riassumerei nell’avvolgente paradigma del mito della «frontiera» e/o del «limite»56: la sfida, fisica ed intellettuale, che la conoscenza e/o la conquista di nuovi mondi intrinsecamente lancia all’Uomo Moderno57. Un epifenomeno questo – l’accecante sfida all’ignoto, l’inebriante attrattiva dell’«oltre il limite» –, che eccita l’immaginario collettivo (l’esplosione della letteratura e dell’iconografia esotica del periodo58, ma che scatena anche una travolgente creatività scientifica e tecnologica59: l’onnipotenza dell’Ingegnere, che ridisegna la Terra e le sue dotazioni


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fisiche – per adattarle alle «magnifiche sorti progressive» dell’Umanità –, e contemporaneamente (con l’invenzione strettamente positivista dell’«ingegneria sanitaria»60 riscatta l’Uomo dalla sofferenza e dal degrado fisico e morale. Da questa metaforica esplorazione dei limes riaffiora poi quel costruttivo pragmatismo che connota il romanus ordo – integralmente ripescato dalle due grandi rivoluzioni moderne: quella francese61, ma soprattutto quella americana62; e retoricamente rilanciato dall’illusoria rivoluzione fascista63 –, in cui i modelli e le regole societarie si sviluppavano contemporaneamente alla conquista di nuovi territori64, e alla civilizzazione dei barbari moribus inconditi65. Ma credo sia stato soprattutto l’icona della sacrale e rituale «ri-generazione fondativa»66 del «moris ordo et traditio»67, che aveva con forza motivato e sostenuto – in sintonia con la teologia missionaria cattolica della plantatio ecclesiae68 – le esplorazioni e le conquiste coloniali italiane. Perché dunque, nonostante questa adesione (più dottrinale che pragmatica, invero) della cultura africanista italiana all’assioma «fondativo», non si è prodotto uno sviluppo maturo del colonialismo nazionale (quella «ri-fondazione» che aveva costituito, nel New Deal rooseveltiano, addirittura l’asse portante del programma sociale della Farm Security Administration)?69. Richiederebbe una riflessione critica assai più lunga ed impegnativa – e potrebbe risultare contemporaneamente troppo schematico – sondare come sia stata la diversa matrice religiosa dei due modelli di capitalismo in esame (quello mitteleuropeo-americano contro quello mediterraneo-nazionale) a produrre tale gap70, quindi a decretare il ritardo e l’immobilismo delle élites imprenditoriali e politiche nazionali nella travolgente concorrenzialità internazionale scatenata dalla «corsa alle colonie». Nel comune impegno delle due dottrine sul processo di «fondazione comunitaria», mentre per il protestantesimo la sua solidaristica vocazione morale si esprimeva in una mondanità, «singolare e professionale (Beruf)71», del ruolo del cristiano nella comunità, per il cattolicesimo invece la permanenza, nel suo apparato dottrinario, di una gerarchica matrice «ecclesiologica»72 ha rallentato lo sviluppo e la maturazione di responsabili figure professionali, conservando vivo invece quel «solidarismo nel peccato»73 tipico dell’arcaica cultura rurale74. In questo generale scenario socio-culturale la Rerum Novarum leonina – (1891) la prima delle encicliche «sociali» del papato romano75 –, fu sicuramente un validissimo dispositivo ideologico, destinato soprattutto alla moralizzazione di un crescente disagio operaio, ed in cui l’enunciazione di quel christianum

mandatum per le élite della borghesia nazionale in affermazione76, accompagnò la formazione di quei professionisti che, in Eritrea, collaborarono con Ferdinando Martini per la pur fallita modernizzazione della colonia italiana. Un’élite imprenditoriale che – esclusi alcuni rari casi eclatanti del «“familistico” capitale industriale» nazionale77 – non fu in grado (oppure, non era sufficientemente attrezzata?) di misurarsi con le epocali trasformazioni socio-economiche di un industrialismo occidentale affermato; e, significativamente, i maggiori investimenti finanziari di quel capitalismo in nuce si concentrarono – in grande ritardo, tecnologico e manageriale, rispetto le restanti nazioni europee – su lenti e deficitarii processi di modernizzazione del settore agricolo: la meccanizzazione della sua produzione e commercializzazione, ma maggioritari furono gli impegni economici in quei mastodontici lavori di «riscatto bonificatorio» che, per quasi un secolo, investirono duramente tutto il territorio nazionale78. Fatalmente, perciò, l’inefficacia delle politiche coloniali italiane, durante il mandato martiniano, erano motivate (come evidenziato nell’informata riflessione critica di Aquarone, in apertura) da un deficit strategico-strutturale dell’apparato economico nazionale, aggravato inoltre da scelte politicogovernative – pregiudizialmente ancorate ad una non concorrenziale «ideologia ruralista del “pane e lavoro”»79 –, che furono in grado però di giocare convenientemente su quell’effetto di trascinamento, che una «massa critica» della fertilissima classe bracciantile italiana attivava, per una nazionalistica esaltazione consensuale dell’operato pubblico80. Perché dunque, concludendo – nel caso del colonialismo italiano soprattutto – la sfida «ri-fondativa» che ho sopra delineato non ha prodotto sviluppo? Un ritardo forse motivato da quell’endemico ma patologico attaccamento alla communitas rurale e alla sua rassicurante «costellazione religiosa»81? La storia – a volte decisamente eroicomica – della fondazione dei villaggi di colonizzazione «demografica» da parte del fascismo82, potrà forse suggerire una convincente risposta? In questo lavoro – in forma che mi auguro conveniente con la brevità del testo –, ho voluto diagnosticare le cause del fallimento del modello coloniale nazionale. Un’esperienze questa che però, nel pur non ampio periodo della sua permanenza, ha lasciato nelle ex colonie un duraturo patrimonio culturale – infrastrutturale, insediativo ed architettonico –, il cui salvataggio e valorizzazione potrà indubbiamente rappresentare la futura motivazione di un cooperativo e paritario impegno tra l’Italia e quei paesi africani, per «restituire loro la loro storia»83.

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Note 1 S. ZAGNONI, L’Eritrea delle piccole città, in Architettura italiana d’oltremare 1870-1940, a cura di G. GRESLERI – P. G. MASSARETTI – S. ZAGNONI, Venezia, Marsilio, 1993, pp. 145163. Si rimanda a: N. LABANCA, Imperi immaginati. Recenti “cultural studies” sul colonialismo italiano, in «Studi piacentini», 28, 2000, pp. 145-168 l’attestazione dell’assoluta novità storiografica, del forte impegno scientifico prodigato, ma soprattutto della capacità di «disvelamento documentale» che il lavoro del 1993 ha promosso, in merito alla vicenda disciplinare (ambientecittà-architettura) nelle ex colonie nazionali, in Africa, nell’Egeo e nei Balcani. 2 Illustre storico dell’Italia risorgimentale e postunitaria; la sua notorietà è legata soprattutto al suo testo del 1965: L’organizzazione dello Stato totalitario (Torino, Einaudi, 20033), ove con chiarezza identifica la genesi dell’endemico totalitarismo nazionale, nel patrimonio culturale e giuridico dell’Italia risorgimentale. 3 Il volume di: A. AQUARONE, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, a cura e con un saggio introduttivo di L. DE COURTEN (Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1989), raccoglie i saggi in materia coloniale dell’autore, fra cui due annotatissimi testi sulla figura di F. Martini, al governatorato dell’Eritrea (1897-1907): La politica coloniale italiana dopo Adua: Ferdinando Martini governatore in Eritrea (pp. 75-160) e Ferdinando Martini e l’amministrazione della Colonia Eritrea (pp. 161-254), già pubblicati, rispettivamente, in «Rassegna storica del Risorgimento» LXII, (1975), pp. 346-377, 449-483 e in «Clio», XIII (1977), 4, pp. 341-427. 4 Cfr., ad esempio, il compendioso lavoro di una delle più accreditate allieve di Aquarone:

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L. DE COURTEN, L’amministrazione coloniale italiana del Benadir. Dalle compagnie commerciali alla gestione statale (1889-1914), in «Storia contemporanea», IX (1978), pp. 115-154 e 303-333. 5 Bilancio che condivise con nomi eccellenti della storia coloniale nazionale: cfr. R. BATTAGLIA, La prima guerra d’Africa, Torino, Einaudi, 1958; R. RAINERO, I primi tentativi di colonizzazione agricola e di popolamento dell’Eritrea (1890-1895), Milano, Marzorati, 1960. 6 Cfr. L. DE COURTEN, La storia come scienza e come cultura: la nascita dell’imperialismo coloniale italiano negli scritti di Alberto Aquarone, in A. AQUARONE, Dopo Adua… cit., p. 20. 7 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera e organizzazione del consenso nell’età giolittiana: il Congresso dell’Asmara e la fondazione dell’Istituto coloniale italiano, in A. AQUARONE, Dopo Adua… cit., pp. 255-410, già pubblicato in «Storia contemporanea», VIII (1977), pp. 57-119, 291-334, 549-570. 8 Cfr. Atti del Congresso coloniale italiano in Asmara: settembre-ottobre 1905, a cura di C. ROSSETTI, Roma, Tip. dell’Unione cooperativa editrice, 1906, voll. 2. 9 Il testo di G. LOMBARDI, Lo Stato totalitario tra aspirazioni e realtà – che funge da Premessa al succitato volume di A. AQUARONE, L’organizzazione … cit., pp. XI-XXIII –, sottolinea con forza la caotica dipendenza del fascismo in affermazione da uno stato nazionale in deficit di modernizzazione e come, cioè, quei «Primi passi nel segno dell’incertezza» (il primo capitolo del volume di Aquarone, pp. 3-46) fossero debitori di un organismo statuale decisamente immaturo, e «privo di un legalismo sperimentato» (Aquarone, 20033, p. 26). 10 Cfr. A. GRAMSCI, Sul Risorgimento, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 77; il dichiarato fallimento del governo post-risor-

gimentale italiano, «privo di una spinta reale all’imperialismo italiano, e ad esso fu sostituito la passionalità popolare dei rurali ciecamente tesi verso la proprietà della terra: si trattò di una necessità politica interna da risolvere, deviandone la soluzione all’infinito» (ibidem). In miei due autonomi ma sequenziali testi – i) (Occulti limites) I confini invisibili. Arcaicità ed innovatività dei processi di “territorializzazione” nella rete dei villaggi di fondazione in Libia e in AOI (1932-1942), in I confini perduti. Le cinta murarie europee tra storia e conservazione, a cura di A. VARNI, Bologna, Compositori, 2005, pp. 497-519; ii) Il tragico “òikos” dei villaggi di fondazione della Libia, in Città di fondazione e “plantatio ecclesiae”, a cura di P. CULOTTA – GI. GRESLERI – GL. GRESLERI, Bologna, Compositori, 2007, pp. 214-229 –, l’insistenza sulla scatenante crucialità dell’òikos rurale, si è riscattata dalla troppo rigida lettura economicista di Gramsci, per sondarne invece (sostenuto in questo dalla raffinata diagnostica weberiana della Storia agraria romana dal punto di vista del diritto pubblico e privato – Stuggart 1891), l’indotto più strettamente antropo-culturale, motivato dal suo arcaico regime giuridico «comunitario». 11 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera… cit., p. 258. Altrettanto chiarificatore di questo epocale e generativo ritardo l’imbattuto testo di T. FILESI, L’Italia e la conferenza di Berlino (1882-1885), Roma, Istituto Italo-Africano, 1985 (Quaderni della rivista «Africa», 11). 12 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera… cit., p. 260. 13 Quel «socialimperialismo», quell’«espansionismo demografico e migratorio» che L. DE COURTEN (La storia come scienza e come cultura… cit., rispettivamente p. 31 e pp. 32-33), allea al nazionalismo in crescita, nell’Italia giolittiana. 14 L. DE COURTEN, L’amministrazione coloniale … cit., pp. 303-313; nel mio, Spazio

sacro e fondazione della comunità. Il tragico «òikos» dei villaggi di fondazione del fascismo (in corso di stampa negli atti del convegno internazionale di studi, «Città e sedi umane fondate tra realtà e utopia», a cura del Centro italiano di studi storico-geografici, San Leucio, 14-16 giu. 2007), nel § 3. La nuova «communitas» agricola dei villaggi di fondazione fascista in Africa. Un significativo confronto tra le dinamiche materiali dell’universo agricolo coloniale e il modello sociologico della Chiesa cattolica, ho cercato di evidenziare lo strategico innesto tra il programma missionario cattolico e la politica di colonizzazione nazionale. 15 In A. AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua…cit., p. 127 l’autore illustra puntualmente questa ventilata iniziativa del ministero di Rudinì; cfr. F. FABBRI, Il dicastero delle colonie, «Rivista politica e letteraria», I, 1897, pp. 54-67. 16 La letteratura nazionale, soprattutto storica, su questo vero e proprio nodo interpretativo è sterminata; per chiarezza e sintesi rimando a: L’emigrazione italiana 1870-1970. Atti dei colloqui di Roma, 19-20 settembre 1989; 29-31 ottobre 1990; 28-30 ottobre 1991; 28-30 ottobre 1993, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, 2002, tt. 2 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Saggi, 70); si veda in particolare il saggio iniziale: P. FERRARA, Il quadro istituzionale e le fonti documentarie presso l’Archivio Centrale dello Stato, pp. 17-29. 17 Ancora nel 1891, in Parlamento, Martini dichiarava «di non sapersi rassegnare a credere che vi siano due giustizie, una bianca e una nera, due diritti, uno bianco e uno nero», cfr. in F. MARTINI, Cose Affricane. Da Saati ad Abba Carima. Discorsi e scritti, Milano, Treves, 1896, p. 215. 18 Ibid., p. 5. 19 Cfr. A. AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua… cit., p. 88.


Ibid., p. 89. Cfr. F. MARTINI, Cose Affricane… cit., p. 215. 22 Ibidem. 23 Cfr. A. AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua… cit., p. 142. 24 Cfr. il § III della “Lettera ministeriale d’istruzione a Ferdinando Martini alla vigilia della partenza per l’Eritrea” (ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, d’ora in poi ACS, Carte Ferdinando Martini, b. 18, fasc. 65), citata in: E. DE LEONE, Le prime ricerche di una colonia e l’esplorazione geografica, politica ed economica, Roma 1955 (Ministero degli affari esteri. Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa. L’Italia in Africa. Serie storica, 2), pp. 363-364. 25 Ibid., p. 369. 26 ACS, Carte Ferdinando Martini, b. 20, fasc. 17, citato in ibid., pp. 372-373. 27 Cfr. A. AQUARONE, La politica coloniale italiana dopo Adua… cit., pp. 155-156. 28 Cfr. «L’Italia coloniale», I, 1900 (a firma “G.-B.”), p. 3; citazione rintracciata in: A. AQUARONE, La ricerca di una politica coloniale dopo Adua… cit. p. 68. 29 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera … cit. p. 269. 30 Ibid., p. 297. 31 Su questo travolgente, seppur significativamente ritardato, processo «di modernizzazione» nazionale, ormai la letteratura è sterminata. Per sintesi, ma soprattutto per l’esaustività critica e documentale con cui viene illustrata questa vera propria epopea storico-culturale, rimando alla trattazione che, in merito, lo stesso Aquarone produce nel succitato Politica estera e organizzazione del consenso nell’età giolittiana…: un documentatissimo e copioso inserto (pp. 271295) al tema centrale, che illustra gli attori (soprattutto associazioni d’interesse geografico e geografico-commerciale) e le azioni (la ricca convegnistica di settore) allora promosse. Un’epocale 20 21

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modernizzazione che, proprio sull’emergere collettivo degli stessi grandi temi nazionali (la povertà materiale, il disagio di massa e/o l’affermarsi di una coscienza collettiva, l’emigrazione), con forza investiva la produzione artistica e letteraria del periodo: veri e propri cultural studies, capaci di illuminare – in forma trasversale ed interdisciplinare – il travolgente e catastrofico avverarsi del Novecento. 32 Il IV Congresso geografico italiano, «Rivista geografica italiana», VIII, 1901; informazione rintracciata in: G. ARE - L. GIUSTI, La scoperta dell’imperialismo nella cultura italiana del primo Novecento, «Nuova rivista storica», LVIII, 1974, pp. 549-589. 33 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera…, cit. p. 301; esemplarmente, il coinvolgimento di Ferdinando Martini, avviene post quem, in una forma più «protocollare» che sostanziale: infatti nel suo Diario eritreo (Vallecchi, Firenze, 1894, III, p. 532), lo stesso Martini rammenta il «telegramma ricevuto dal congresso geografico di Napoli del 1904 [con la richiesta:] Ci assicuri possibilità di ricevere congressisti ed appoggi proposta. Autorevole gradimento Vostra Eccellenza». 34 Atti del Congresso coloniale italiano… citata. 35 Per i lavori preparatori del congresso, i documenti elaborati da un apposito comitato ordinatore dell’iniziativa (Napoli, 24 nov. 1904), cfr. ARCHIVIO STORICO DIPLOMATICO DEL MINISTERO AFFARI ESTERI , Archivio storico del Ministero Africa italiana, pos. 34/2, fasc. 52. Anche in questo caso si rimanda al testo di Aquarone del 1975 per la puntuale ricostruzione dell’evento congressuale in analisi (pp. 301-304). 36 Nel suo, Il primo Congresso coloniale italiano, «Nuova Antologia» (1905), vol. 202, pp. 529-536, l’editorialista A. CANTALUPPI, sottolineava – con prudente soddisfazione e senza toni trionfalistici – i «virtuosi» obiettivi scientifici dell’iniziativa, e, contemporaneamente metteva

in rilievo le finalità più prettamente politiche che sarebbero state raggiunte: «…lo scopo di scuotere un’opinione pubblica apatica e di dare un più incisivo indirizzo al ridestato spirito coloniale del paese». 37 Atti del Congresso coloniale italiano… cit., II, p. 175. 38 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera… cit. p. 313; significativamente, lo stesso Autore, delega al Diario eritreo di F. MARTINI il compito di elencare – non esaustivamente, d’altra parte – le relazioni-discussioni qui svoltesi. 39 Per riassumere tali critiche, A. AQUARONE (ibid., p. 317) cita esemplarmente l’articolo: Il palazzo del vice-re Martini all’Asmara, «Il Secolo», 22 ott. 1905. 40 Cfr. A. AQUARONE, Politica estera… cit. pp. 314, 325. 41 Asmara Style /Stile Asmara, a cura di L. ORIOLO, Asmara, Italian school, 1998, p. 12. 42 Cfr. S. ZAGNONI, L’Eritrea… cit., pp. 150-153. 43 TOURING CLUB ITALIANO, Possedimenti e colonie: isole Egee, Tripolitania, Cirenaica, Eritrea, Somalia, a cura di L.V. BERTARELLI, Milano 1929; § IX Asmara e dintorni, pp. 621-630. 44 S. ZAGNONI, L’Eritrea… cit. p. 146. 45 Ibidem. 46 «Nell’arco di più di un decennio è attuato un globale riassetto territoriale, sulla scorta di strategie d’intervento ormai chiaramente impostate quando, nel 1913, il generale reggente Lyautey chiama in Marocco Henri Prost per affidargli (…) il primo esempio di applicazione della nuova disciplina urbanistica a un’intero paese (B.B. Taylor); o quando, negli stessi anni, vengono approntati i piani regolatori di Tripoli e Bengasi nei quali la manualistica nazionale di settore identifica gli esordi dell’urbanistica coloniale italiana», ibidem. 47 P. MORACHIELLO, Ingegneri e territorio nell’età della destra, Roma, Officina, 1976; vedi in particolare il capitolo primo: Ingegneri e Stato «liberale», pp. 13-49.

48 A proposito della diffusione pubblicistica dei saperi tecnicispecialistici, C. GUENZI, La manualistica italiana, in «Rassegna», 1981, 5 (n. mon.: Riviste, manuali di architettura, strumenti del sapere tecnico in Europa, 1910-1930 a cura di L. SCARPA), pp. 73-77. Ma anche lo stesso S. ZAGNONI (L’Eritrea… cit.) dichiara: «i piani regolatori [coloniali] nei quali il manuale di A. CACCIA del 1915 [Costruzione, trasformazione ed ampliamento delle città, Milano, Hoepli, 1915] identifica gli esordi dell’urbanistica coloniale italiana» (p. 146), sottolineando così, lui stesso, la diffusa conoscenza pubblicistica delle esperienze urbane impiantate nelle colonie nazionali. 49 Con l’indispensabile supporto di C. SCHMITT, Il nomos della terra nel diritto internazionale della «Jus Publicum Europaeum», Milano, Adelphi, 1991, nella fase iniziale della mia ricerca «sull’oltremare», così scrivevo: «Gli atti conclusivi della conferenza [di Berlino, 1885] sanzionarono la necessità, per le nazioni coloniali, di riconfigurare un nuovo nomos dei territori coloniali: la scoperta di nuove leggi, per darsi nuovi confini (il senso dei territori “d’oltremare”); nuove regole per il possesso di questa geografia-vuota (quella africana); per definire nuove prassi e rinnovate dimensioni dello spazio-del-potere. I linguaggi disciplinari, la tecnologia, la ricerca scientifica, ma anche i linguaggi artistici, la comunicazione di massa – e sta proprio in questi ultimi il riverberare della Modernità – vengono impiegati per ricostruire un’identità, un nuovo tessuto territoriale per queste “geografie disvelate”; rilanciando quindi un rinnovato protagonismo dello Stato/Nazione, come unico, legittimo, autoritario propugnatoregestore di quei “codici coloniali”», cfr. P.G. MASSARETTI, La costruzione spettacolare dell’impero, in Architettura italiana d’oltremare… cit., pp. 118-119. E a proposito «della fagocitazione del dionisiaco

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vitalismo delle antropologie “basiche”» e la loro sostituzione con «l’egemonizzativa geografia della Modernità», cfr. P.G. MASSARETTI, Mitologia ruralistica e strategie della conquista territoriale. Segni e pratiche materiale del “fare luogo” nel/del fascismo, in Permanenze e metamorfosi dell’immaginario coloniale in Italia, a cura E. CASTELLI – D. LAURENZI, Napoli, ESI, 2000, p. 123. 50 C. CAROZZI – A. MIONI, L’Italia in formazione. Ricerche e saggi sullo sviluppo urbanistico del territorio nazionale, Bari, De Donato, 1970: cfr. il capitolo, Le esperienze: la pianificazione urbanistica nelle maggiori città italiane, pp. 437-443. 51 Vedi il paragrafo Premesse genealogiche nel saggio di: P.G. MASSARETTI, La città e la regola. Per un’archeologia della Legge generale urbanistica n. 1150/1942, in «Urbanistica. Quaderni: collana dell’Istituto nazionale di urbanistica», 1995, 6 (n. mon.: Le riforme possibili. La proposta dell’Inu per la legislazione urbanistica dalla formazione della legge del 1942, a cura di L. FALCO), pp. 24-26. 52 M. RONCAYOLO, L’esperienza e il modello, in La città e le sue storie, a cura di C. OLMO – B. LEPETIT, Torino, Einaudi, 1995; vedi, in particolare, il paragrafo: L’abito intellettuale dell’haussmannizzazione, pp. 54-62. 53 «Finanziariamente, mi basterà questa enunciazione (…) L’Italia non può sopportare, per l’Eritrea, un onere sproporzionato in confronto dei vantaggi che possiamo ricavarne», vedi il § X della citata «Lettera ministeriale d’istruzione a Ferdinando Martini alla vigilia della partenza per l’Eritrea», p. 364. 54 Rimandando, per completezza, al secondo capitolo di questo testo, vorrei qui sottolineare come illustri personalità politiche e culturali, avanzate professionalità tecniche, insieme si sforzassero per dotare il governo centrale di un pacchetto raffinato di conoscenze, indispensabili per

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un’evoluta politica di governo del territorio e della città, e per una crescita economica e sociale programmata: I) un quadro conoscitivo certo del territorio, delle sue risorse e potenzialità; II) riflessioni mirate sulle economie effettivamente attivabili e sul loro sviluppo possibile; III) la conoscenza e la programmazione di una rete infrastrutturale avanzata; IV) una gamma delle professionalità – e la loro relativa formazione – capaci di guidare tale sviluppo; V) indirizzi di impegno ed investimento per un’evoluta formazione civica e culturale di un «nuovo cittadino coloniale». 55 P. G. MASSARETTI, (Occulti limites) I confini invisibili … citata. 56 Sulle sfide psicologiche e gnoseologiche del viaggiare e dell’esplorazione: E.J. LEED, La mente del viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, 1992; in particolare cap. VIII: Il viaggio e la trasformazione dell’individuo, pp. 251-276; sulle sfide antropologiche e sociali della scoperta dell’«altro»: H. ARENDt, Le origini del totalitarismo, Milano, Edizioni di Comunità, 199910; in particolare vedi cap VII: Razza e burocrazia, pp. 258-309. 57 Sull’epica sfida socio-cultura della modernizzazione: H. ARENDT, Vita activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 19948, in particolare vedi cap 40: Il pensiero e la visione moderna del mondo, pp. 211-214; sulla «frontiera» come paradigma politico e libertario: H. ARENDT, Sulla rivoluzione, Milano, Edizioni di Comunità, 19995; in particolare vedi cap III: La ricerca della felicità, pp. 124-153. 58 Per l’oceanica estensione – seppur ancora poco esplorata – di quest’argomento, per sintesi rimando: Bibliografia sistematica, a cura di P. G. MASSARETTI, in Architettura italiana d’oltremare… cit.; vedi in particolare la rubrica: Colonie/colonialismo e mass media, pp. 394-396. 59 A proposito delle antropologie della rivoluzione tecnologica, poiché la produzione scientifi-

ca sarebbe incontenibile, rimando a due volumi esemplari: il testo poco noto e rieditato di L. MUMFORD, Tecnica e cultura, Milano, Il Saggiatore, 19612 (quello che, con maggiore efficacia, coniuga tecnica e sviluppo alla storiografia urbana); U. GALIMBERTI, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 1999, la più esauriente rendicontazione enciclopedica della cogente interazione tra Essere e Tecnica. 60 A proposito di regimi sanitari e «dispositivi» disciplinari, indispensabile visitare: M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1976; vedi in particolare il cap. 3.1., I corpi docili, pp. 147-184. Per un raffronto della ricaduta del controllo sanitario sull’egemonizzazione urbana: Jeremy Bentham. Panopticon, ovvero la casa di ispezione, a cura di M. FOUCAULT - M. PERROT, Venezia, Marsilio, 20023. 61 «Così, per Robespierre, l’antica Roma era un passato carico di “adesso”, che egli estraeva a forza dal continuum della storia. La Rivoluzione francese pretendeva di essere una Roma ritornata. Essa “citava” l’antica Roma esattamente come la moda cita un abito di altri tempi», W. BENJAMIN, Sul concetto di storia, Torino, Einaudi, 1996, punto XIV, p. 47. 62 H. ARENDT, Sulla rivoluzione … cit.; in particolare vedi cap. V: Fondazione II: Novus ordo saeclorum, pp. 205-246. 63 E. GENTILE, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 1993, in particolare vedi il cap. Una religione politica al potere, pp. 59-61. 64 Esemplificativo, dell’avanzatissima e anticipatrice giurisprudenza coloniale, il testo di A. MORI, L’espansione coloniale moderna dal punti di vista giuridico. Le colonie e la loro classificazione, Roma, Tipog. Dell’Unione Editrice, 1918. 65 Le più aggiornate riflessioni saggistiche sulla «geo-storia»

d’Italia, e sulle sue matrici generative d’impianto romano, sono tutte debitrici al noto testo di C. CATTANEO, La città considerata come principio delle istorie italiane, in ID, Scritti storici e geografici, a cura di G. SALVEMINI – E. SESTAN, Firenze, Le Monnier, 1957, vol. II, pp. 364-385. 66 H. ARENDT, Sulla rivoluzione… cit., p. 209. In riferimento alla declinazione qui impiegata, non mi trova molto d’accordo l’interpretazione «egemonizzante» dell’evento fondativo che Zagnoni, nel suo più volte citato testo, enuncia: «un gesto autoritario che, contrapponendosi al “disordine” del villaggio indigeno, impone con la sua rigidità una forma inconfondibile al primo nucleo di “condensazione urbana” (la zona indigena, in tucul, predisposti ortogonalmente)», p. 151. 67 OVIDIO, Le metamorfosi, Milano, Mondatori, 2007, libro XV, vv. 601-605. 68 P.G. MASSARETTI, Il tragico “òikos” dei villaggi … cit., vedi in particolare il capitolo: Plantatio ecclesiae e vocazione fondativa. Il kerygma missionario ed i modelli egemonici del regime, pp. 220-222. 69 La ricerca di D. GHIRARDO, Le città nuove nell’Italia fascista e nell’America del New Dealt, Latina, Comune di Latina, 2003, per prima ha lanciato questo evocativo parallelismo – ricerca che a mio parere, però, si è accontentata di rimanere alla superficie di questo possibile, e non attestato, scambio di modelli urbani. Nel mio intervento alla conferenza internazionale, The presence of Italian Architects in Mediterranean Countries (Biblioteca Alessandrina, Alessandria d’Egitto, 15-16 nov. 2007) ho cercato di approfondire maggiormente quest’evocata sintonia; e con gli insostituibili contributi di Il New Deal, a cura di M. VAUDAGNA, Bologna, Il Mulino, 1981, e quello del pur sconosciuto lavoro di C. MATTIELLO, Le frontiere della solidarietà. Chiesa cattolica statunitense e New Deal,


Roma, Bulzoni, 1994, ho voluto sottolineare quanto sia stato invece una comunanza del modello solidaristico cattolico post-unitario che più efficacemente può avvicinare le due, pur lontane esperienze. 70 I due capisaldi della storiografia di tale confronto: per il capitalismo luterano del «Beruf», M. WEBER, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Milano, Rizzoli, 200313; a proposito di cattolicesimo e capitalismo, vedi A. FANFANI, Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo (ed. orig., Roma, 1934), Venezia, Marsilio, 20053. 71 Cfr. M. WEBER, L’etica protestante … cit., pp. 101-102. 72 L’agostiniana La città di Dio (tradizione e cura di C. CARENA, Torino-Parigi, EinaudiGallimard, 1992) «traghetta» l’egemone carismaticità politica della lex romana nel solidarismo cristiano delle origini: «la diffusione universale di una lex (quella romana, prima; quella cattolica, poi), destinata ad ricostituire eternamente l’agostiniano “nuovo inizio”, ma che in quest’esperienza di vana ri-fondazione [quella coloniale] drammaticamente precipita», cfr. P. G. MASSARETTI, Spazio sacro e fondazione della comunità… citata. 73 A. PROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino, Einaudi, 1996, p. 12. 74 Più in generale, sulle antropologie-teologie del mondo contadino: M. ELIADE, Il sacro e il profano, Torino, Bollati Boringhieri, 20014; vedi, in particolare il cap. 2: Il tempo sacro e i miti, pp. 47-52; osservazioni più puntuali su mitologie e teofanie della cultura rurale italiana, vedi il testo antologico: Magia e civiltà, a cura di E. DE MARTINO, Milano, Garzanti, 19952. 75 PAPA LEONE XIII, «Rerum Novarum. De conditione opificum»/Sulla condizione degli operai, enciclica papale del 15 mag. 1891, in Le encicliche sociali dei papi, da pio IX a Pio XII (1864-

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1946), a cura di I. GIORDANI, Roma, Editrice Studium, 19483, pp. 123-156. 76 In merito al mai concluso (e spesso inconcludente) dibattito sul «presenzialismo» del pontificato nello sviluppo della storia nazionale – soprattutto in questa fase cruciale di consolidamento dell’apparato statuale –, per correttezza rimando all’ampia rendicontazione bibliografica che, sul tema, ho prodotto: Bibliografia sistematica, a cura di P.G. MASSARETTI, in Città di fondazione e “plantatio ecclesiae”… cit.; vedi in particolare la rubrica: Politica religiosa e modelli culturali nazionali, pp. 324-325. 77 Cfr. V. CASTRONOVO, L’economia italiana dal periodo giolittiano alla crisi del 1929, Torino, Giappichelli, 1971, p. 12. 78 Anche in questo caso, per la vastità della trattazione scientifica della materia, per sintesi rimando al lavoro di sistematizzazione bibliografica che ho elaborato nella mia tesi di dottorato, Ecologia e valorizzazione ambientale. Fenomeni di gestione della “progettualità” nelle aree destinate alla salvaguardia di biotopi specialistici. Le saline di Comacchio e il complesso vallivo (Bologna, Università di Bologna, dottorato in “Ingegneria edilizia e territoriale”, VI ciclo, 1995), in particolare la rubrica 1. “Ambiente ed economia” (pp. 152-161) dell’allegata Appendice bibliografica. 79 P.G. MASSARETTI, Le esperienze degli enti di colonizzazione demografica in Libia e in AOI, «Terra d’Africa», 2002, in particolare il paragrafo 3.1: L’esportazione dell’ideologia ruralista e l’esperimento coloniale, pp. 171-172. 80 Anche in questo caso, nel paragrafo iniziale del saggio, mi sono sufficientemente intrattenuto – anche se, forse, in maniera inadeguata – sull’ambiguità nevralgica tra «colonialismo & emigrazione». 81 P.G. MASSARETTI, Il tragico “òikos” dei villaggi… cit., pp. 221-222.

82 Nell’ampia rubrica: Fondazione urbana e colonizzazione agraria (pp. 307-319), in Bibliografia sistematica, a cura di P. G. MASSARETTI, in Città di fondazione… cit., ho raccolto e geograficamente riordinato l’amplissima letteratura, nazionale ed internazionale, in merito. 83 Questo è il pretenzioso obiettivo del progetto culturale, Restituiamo la storia; promosso da due dipartimenti universitari (Dipartimento architettura e pianificazione territoriale dell’Università degli Studi di Bologna Alma Mater Studiorum e Dipartimento interateneo di pianificazione territoriale e urbanistica dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza»), in collaborazione con: Archivio Centrale dello Stato (Roma), Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (Roma), Società geografica italiana (Roma), Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito (Roma).

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P IER G IORGIO M ASSARETTI | PROLEGOMENI COLONIALI

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