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DISCESA IN CAMPO E VITTORIA TRADITA. La discesa in campo, quella vera, arriva il 26 gennaio 1994, tramite videocassetta accuratamente confezionata che da Arcore è recapitata a tutti telegiornali. Cosa che è salutata come segno di modernità rispetto alla Prima Repubblica (non è passato molto tempo dai governi guidati dagli Andreotti e dai Fanfani), con tanto di calza sulla telecamera per addolcire l’immagine. Ma la videocassetta anticipa anche lo stile che il Cavaliere avrebbe adottato in politica: stare il più lontano possibile dalle domande dei giornalisti. Così in prima serata e a reti unificate è servito un salmo rassicurante: “L’Italia è il paese che amo…”. L’ingresso in politica è motivato dalla necessità di salvare il paese dal “governo delle sinistre e dei comunisti”. Il costruttore di Milano 2, il padrone della Fininvest, l’uomo che aveva inventato la tv commerciale in Italia si candida a governare il Paese. Berlusconi sfonda, e alle elezioni di quella primavera sconfigge la “gioiosa macchina da guerra” capitanata da Achille Occhetto, l’uomo che ha appena mandato in soffitta il Partito comunista italiano l’ha sostituito con il Partito democratico della sinistra. L’imprenditore milanese ha in dote

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buona parte degli elettori della Dc e del Psi, oltre alla fondamentale alleanza con la Lega Nord, con gli ex missini, con il Ccd di Pierferdinando Casini. Indubbiamente, però, pesa il fascino dell’imprenditore che si è fatto da solo, che ha creato ricchezza e posti di lavoro, che promette la “rivoluzione liberale”, che sa comunicare e usare le televisioni (le proprie, e non solo). L’evidente conflitto d’interessi tra il politico e il monopolista della tv non scalda eccessivamente gli animi. Sette mesi dura il primo governo Berlusconi. Tra i ministri si ricordano Cesare Previti (alla Difesa) e Giuliano Ferrara (Rapporti con il parlamento). La prima rottura con la Lega di Bossi avviene con il cosiddetto ‘decreto salvaladri’ architettato per far uscire dal carcere molti detenuti dell’inchiesta Mani pulite. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni (il primo non democristiano del Dopoguerra) dirà di essere stato “ingannato”: gli hanno fatto leggere “un decreto diverso” . Il 22 novembre, il presidente Berlusconi è impegnato a Napoli in un vertice internazionale sulla criminalità organizzata. Lì lo raggiunge un invito a comparire, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Milano per tangenti pagate dalla Finivest alla Guardia di Finanza, per ammorbidire gli accertamenti fiscali. Le mazzette sono state effettivamente versate, come dimostrano le condanne in cassazione per alcuni dirigenti Fininvest, ma Berlusconi alla fine ne uscirà assolto. Quel 22 novembre segna il simbolico inizio di un’altra battaglia che segnerà il ventennio berlusconiano: l’aspra lotta contro la magistratura “politicizzata”, le “toghe rosse”, i giudici “antropologicamente diversi dalla razza umana”, “cancro da estirpare”, e persino dediti al “turismo sessuale”. Il 21 dicembre 1994 Bossi molla Berlusconi. Per anni il centrodestra attribuirà all’invito a comparire di Napoli il crollo di quel governo, ma per la verità la mozione declamata da Umberto Bossi in aula non ne fa cenno, mentre è densa di proclami antifascisti. La prima esperienza a Palazzo Chigi termina con pochi risultati e molto livore. Berlusconi e Fini giurano solennemente che con Bossi non vogliono avere più nulla a che fare: “Neppure un caffè” (Fini) con quel “dissociato mentale” (Berlusconi). Bossi, dal canto suo, fa partire la micidiale campagna su Berlusconi “mafioso di Arcore“. Per colui che è ‘unto del signore’ comincia la “traversata del deserto”. L”uomo del fare’ è confinato all’opposizione, prima di un governo tecnico capitanato da Lamberto Dini, poi del governo Prodi, con l’Ulivo uscito vittorioso dalle elezioni del 1996. E’ opinione comune che in quegli anni il centrosinistra si sia giocato tutto, e se lo sia giocato molto male. Un Berlusconi debole e demoralizzato viene resuscitato dalla Commissione Bicamerale voluta da Massimo D’Alema, che dovrebbe fare storiche riforme istituzionali e non porterà a nulla, se non a nuove leggi di procedura penale gradite a Berlusconi e a tanti altri imputati di Tangentopoli. Nel frattempo, dopo appena due anni di governo, Rifondazione comunista guidata da Fausto Bertinotti toglie la fiducia a Romano Prodi, che si dimette. Negli anni successivi, il centrosinistra si avvita in una serie di fallimenti con quattro governi in cinque anni: un Prodi, due D’Alema, un Giuliano Amato. Le regionali del 2000 si risolvono con una generale sconfitta dell’Ulivo (che porterà alle dimissioni del D’Alema due). L’aria è cambiata e Berlusconi capisce di potercela fare di nuovo. Anni di insulti e recriminazioni con Bossi vengono spazzati via, querele miliardarie comprese. In vista della concreta possibilità di vittoria, la vecchia alleanza del 1994 si rinsalda nella Casa delle Libertà. Quella del 2001 è la celebre campagna elettorale dove debuttano i manifesti 6 metri per tre, con il faccione del Cavaliere, il cielo azzurro e slogan di grande fortuna, a partire da “Meno tasse per tutti”. Altro momento topico, la firma del ‘contratto con gli italiani’ davanti a un ossequioso Bruno Vespa, a Porta a Porta.

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Il candidato del centrosinitra Francesco Rutelli è sconfitto senza appello. Non mutano il sentimento degli elettori i mille sospetti accumulati sulla biografia del cavaliere, dai rapporti accertati con Cosa nostra all’origine misteriosa dei primi finanziamenti, al pagamento di tangenti, ai tanti collaboratori finiti in pesanti guai giudiziari, tra i queli i più stretti, Marcello Dell’Utri e Cesare Previti. Succede il finimondo quando questi temi, fino ad allora confinati in libri e testate “di sinistra”, approdano in televisione in prima serata, grazie al comico Daniele Luttazzi che invita a Satyricon, su Raidue, Marco Travaglio, autore con Elio Veltri del libro L’Odore dei soldi. Anche se Berlusconi affermerà in seguito di avere perso “due milioni di voti” per quella trasmissione, le elezioni del 2001 sono l’ulteriore conferma che la questione morale fa poca presa sull’elettorato, ben più allettato da promesse di alleggerimenti fiscali e di un’attività economica più libera. Di fatto, però, i pochi liberali presenti nella Cdl vengono emarginati per far spazio a componenti con ben altre radici culturali, dagli ex democristiani a Comunione e Liberazione, dagli ex fascisti ai leghisti che rispolverano il protezionismo.

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facilitare la ricusazione dei giudici nei processi, dà luogo a una gigantesca manifestazione promossa a Roma fra gli altri dal regista Nanni Moretti, solitamente schivo. Ancora più imponente è la mobilitazione della Cgil di Sergio Cofferati contro la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Il battesimo di piazza del nuovo governo avviene però il 19 e 20 luglio 2001 al G8 di Genova, segnato da violenze di piazza, pestaggi indiscriminati delle forze dell’ordine e dalla morte del manifestante Carlo Giuliani. Il governo Berlusconi, con il suo ampio seguito di ‘garantisti’, chiuderà completamente gli occhi davanti alle responsabilità della polizia e dei suoi vertici. L’altra caratteristica del quinquennio del “massimo splendore” berlusconiano è il ferreo controllo della Rai, che tocca il culmine con l”editto bulgaro’ che apre la strada alla cacciata di Michele Santoro, Enzo Biagi e Daniele Luttazzi. I temi della “censura” e del “regime” diventano argomento di dibattito quotidiano. Del “nuovo miracolo economico italiano” non si parla affatto, mentre le cronache sono occupate dal perenne conflitto trra Berlusconi e la magistratura, tra Berlusconi e l’opposizione, tra Berlusconi e i giornali (comprese le più autorevoli testate straniere, come l’Economist e il Finacial Times, non certo di sinistra, anche se qualcuno proverà a bollarle come tali), tra Berlusconi e le istituzioni di garanzia, tra Berlusconi e le più varie circostanze che rendono inattuabili le promesse elettorali. Nel 2004 va in onda lo psicodramma delle dimissioni di Giulio Tremonti, il ‘genio’, il superministro dell’Economia immancabile in ogni esecutivo berlusconiano (salvo poi essere regolarmente travolto dalle critiche, copione che si ripete ai giorni nostri). Articolo diviso in: Pagina 1 Pagina 2 Pagina 3

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fatto fuori lui,ma sarà vero?Bisogna disperdere tutta la ciurmaglia che ha tirato su,anche se in buona parte erano già formati a delinquere,e che hanno affinato le armi.Diversamente,questi squallidi individui,li vedremo riciclati da

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Camera (lo sdoganamento ha funzionato) martella l’ex alleato con le stesse motivazioni. Resta solo Umberto Bossi, che sette anni dopo il grave ictus che l’ha colpito si esprime per lo più a monosillabi e gestacci. Ma anche la Lega è attraversata dai “mal di pancia”, tra lotte di successione e la base che vorrebbe rompere l’alleanza diventata zavorra. Solo un’ampia servitù politico-mediatica, sempre pronta a negare l’evidenza dei fatti e a immolarsi nei talk show, permette al sistema Berlusconi oltre limiti che in altri paesi non potrebbero essere superati.

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LACRIME, SANGUE E “CENE ELEGANTI”. Il tramonto del Cavaliere, l’uomo che ha segnato quasi vent’anni di politica italiana, si tinge di grottesco con il “caso Ruby” e la vicenda “escort”. Nell’estate del 2009 si scopre che il presidente del consiglio di una moderna democrazia occidentale ha l’abitudine di radunare nelle sue residenze decine di ragazze giovanissime – spesso pescate nell’ambiente televisivo – per farle esibire in giochini erotici, scegliendo di volta in volta quelle (al plurale) da far restare per la notte. Le ragazze sono ricompensate con denaro, gioielli, automobili, appartamenti, ma anche incarichi pubblici. Una di queste, Karima el Mahroug detta Ruby Rubacuori, ha frequentato quei festini (“cene eleganti” nella vulgata berlusconiana) da minorenne. E una notte che Ruby era finita in questura a Milano, il premier aveva telefonato al funzionario di turno intimandogli di lasciarla libera, in quanto la ragazzina era niente meno che “la nipote di Mubarak”, l’allora presidente egiziano. E così al lungo curriculum giudiziario del Cavaliere si aggiungono accuse sconcertanti e infamanti per chiunque e a maggior ragione per un leader politico, compreso lo sfruttamento della prostitituzione minorile. Il disonore finale è una citazione nel rapporto annuale del dipartimento di Stato americano sul traffico di esseri umani, non nelle veste di politico impeganto sul tema, ma di imputato in un caso di sfruttamento sessuale. Così finisce l’era berlusconiana. La crisi globale spazza via qualsiasi sogno di miracolo economico, per far posto a una serie di manovre economiche “lacrime e sangue”, dopo le quali il Cavaliere è costretto ad ammettere a denti stretti di aver “messo le mani nelle tasche degli italiani”. Altro che meno tasse per tutti. L’Italia finisce sotto la tutela dei partner europei, molto preoccupati, anche per la tenuta della moneta comune, l’euro. Tra “fronde” e “malpancisti”, Berlusconi perde i pezzi – compresi personaggi a loro modo simbolici, come l’ex soubrette Gabriella Carlucci passata all’Udc – e li sostituisce con soggetti che hanno più fortuna nelle rubriche satiriche che in quelle politiche. Un nome per tutti, Domenico Scilipoti. Fino all’atto finale. Dopo quasi vent’anni di Berlusconi e di berlusconismo, resta un generale retrogusto di tempo perso. Il Cavaliere dei miracoli non sarà ricordato né per le tasse abbassate né per aver reso questo paese più ricco, ma per la massima rimasta impressa nelle intercettazioni telefoniche del caso escort: “La patonza deve girare”.

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