GAIA 59 copertina
7-06-2014
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POSTE ITALIANE SpA Spediz. in A. P., DL 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n°46) art. 1 comma 1, NE/VE. Dir. resp. Michele Boato. Editore: Ecoistituto del Veneto “Alex Langer”, Viale Venezia, 7 Mestre. n° R.O.C. 2172 21728 Stampa: Eurooffset, Martellago VE
n° 59 - ESTATE 2014 - € 5,50
Vivere lentamente
da Gianfranco Zavalloni a Sepulveda
SALVARE L’ITALIADAASFALTO E CEMENTO RIPARTE IL NUCLEARE NEL MONDO? CENTRALE DI P. TOLLE: MORTI E TUMORI MUTUE AUTOGESTITE: LAFINANZAPULITA GENUINO, CLANDESTINO E FUORILEGGE DIFENDERSI DAI PESTICIDI LAPLASTICADIFFERENZIATAVAIN FUMO UN POLLO PER SMALTIRE GLI AVANZI TAV TO-LIONE: UNAFOLLIADA26 MILIARDI
ILVA, I TROPPI SILENZI DI VENDOLA PERSALAGUERRACONTRO ILCANCRO? SLOT-MACHINE: OBIEZIONE DI COSCIENZA GIARDINIERI-GUERRIGLIERI NELLE CITTÁ EUROPA11 MILIONI DI CASE VUOTE, ITALIA2,8 RIPORTIAMO LANATURAIN CITTÁ ALVOTO AGGIUNGIAMO ILSORTEGGIO CICLOFFICINA A SCUOLA MILITARI USAIN ITALIATRIPLICATI DAL1991
SOMMARIO estate
IDEE VERDI - 3 DOVE TROVEREMO TUTTO IL PANE? - Giorgio Nebbia DONNE E “TU”: L’ECONOMIA DEL BEN VIVERE - Luigino Bruni CAMBIAMO MONDO - Francuccio Gesualdi EMILIO DEL GIUDICE TRA RIGORE SCIENTIFICO E CREATIVITÁ - Livio Giuliani
FUTURO SOSTENIBILE - 8
redazioni in rete Ecoistituto del Veneto “Alex Langer”
Viale Venezia, 7 - 30171 Venezia-Mestre Tel/fax 041.935666 info@ecoistituto.veneto.it www.ecoistituto-italia.org Michele Boato (dir. responsabile), Maristella Campello, Mao Valpiana Antonio Dalla Venezia, Toio de Savorgnani, Angelo Favalli, Anna Ippolito, Giulio L. Francia, Franco Rigosi,Francesco e Paolo Stevanato, Gianni Tamino,
Ecoistituto di Cesena
via Germazzo, 189 Tel/fax. 0547.323407 cell. 335.5342213 ecoistituto@tecnologieappropriate.it www.tecnologieappropriate.it Daniele Zavalloni, Leonardo Belli, Roberto Papetti, Vittorio Belli Alberto Rabitti, Andrea Magnolini
SEPULVEDA: L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA - Leonetta Bentivoglio CATALOGO DEI SEMI QUOTIDIANI - Massimo Acanfora OTTO MQ AL SECONDO: SALVARE L’ITALIA DA ASFALTO E CEMENTO - Domenico Finiguerra CONSUMO DI SUOLO IN ITALIA E IN VENETO - Terry Beggio
Ecoistituto del Piemonte via Garibaldi, 13 - 10122 Torino
TECNOLOGIE APPROPRIATE - 12
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TIRRENO POWER: TROPPI MORTI, SIGILLI ALLA CENTRALE - Erika Dellacasa e Andrea Pasqualetto DOPO FUKUSHIMA RIPARTE IL NUCLEARE NEL MONDO? - Mario Agostinelli CENTRALE DI P. TOLLE: MORTALITÁ, TUMORI E RICOVERI - Thomas Mackinson
Ecoistituto Emilia-Romagna - Centro diritto ambientale
CONSUMI LEGGERI - 16
Ecoistituto Valle del Ticino
MUTUE AUTOGESTITE: LA FINANZA PULITA - Donatella Coccoli MAG 6: MAI PIÙ SCHIAVI DEL DENARO - Francesca Bevilacqua GENUINO CLANDESTINO, IL GUSTO FUORILEGGE - Emanuele Gòsamo PESCA NEL RISPETTO DELL’AMBIENTE? - Franco Rigosi UN MANUALE PER DIFENDERSI DAI PESTICIDI - Michele Boato
MENO RIFIUTI - 20 UN TERZO DELLA PLASTICA RACCOLTA FINISCE NEGLI INCENERITORI - Marta Strinati FRANCIA: UN POLLO IN REGALO PER SMALTIRE GLI AVANZI - Marina Perotta
MOBILITÁ INTELLIGENTE - 22 TAV TORINO-LIONE: UNA FOLLIA DA 26 MILIARDI - Davide Mazzocco TO-LIONE, TRAFFICI IN CALO MA IL GOVERNO TACE - Mario Cavargna TAV SOTTO FIRENZE, INUTILE E DANNOSA - Associazione Idra CAR SHARING OPPORTUNO NELLE CITTÁ MEDIO-PICCOLE - Giulio Geremia e Franco Rigosi PER I PENDOLARI TRENI VINTAGE MODELLO FAR WEST - Michele Serra
INQUINAMENTO ZERO - 26 ILVA, TROPPI SILENZI: 5 DOMANDE A NICHI VENDOLA - Marina Perotta ILVA A FUMETTI: COMIZI D’ACCIAIO - Laura Tutti
ECOSALUTE - 28 STIAMO PERDENDO LA GUERRA CONTRO IL CANCRO - Patrizia Gentilini OBIEZIONE DI COSCIENZA ALLE SLOT-MACHINE IN NEPAL SENZA FRONTIERE - Toio de Savorgnani e Fausto De Stefani di MW
NATURA VIVA - 32 GIARDINIERI GUERRIGLIERI IN CITTÁ - Livia Michilli MANIFESTO: RIPORTIAMO LA NATURA IN CITTÁ IN EUROPA 11 MILIONI DI CASE VUOTE, 2,8 IN ITALIA - Michela Finizio ALLUVIONI DEVASTANTI IN GB: PIÙ ALBERI E MENO CEMENTO - George Mombiot LA MANUTENZIONE DEL PO FA... ACQUA - Antonio Amorosi
DEMOCRAZIA E AMBIENTE - 36 IL VOTO NON BASTA, AGGIUNGIAMO IL SORTEGGIO - Stefano Montefiori MANIFESTO PER LA RICERCA DELLA FELICITÁ - José Mujica, presidente dell’Uruguay SARDEGNA: LA SOGLIA DEL 10% CALPESTA LA COSTITUZIONE - Massimo Marino
EDUCAZIONE AMBIENTALE - 40 LA PEDAGOGIA DELLA LUMACA DI GIANFRANCO ZAVALLONI - Daniele Novara BARI: CICLOFFICINA IN AULA - Claudia Morelli comune.info
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NONVIOLENZA E SOLIDARIETÁ - 42 FORZE USA IN ITALIA TRIPLICATE DAL 1991 - David Vine e Tom Dispatch LAMPEDUSA CANDIDATA AL NOBEL - Giovanni Tizian intervista la sindaca Giusi Nicolini IL VANGELO DI DON GALLO, PRETE DI STRADA - Laura Tussi
- Nonviolenza oggi - di Michele Boato - Parco naturale come modello di sviluppo sostenibile - di Sandro Boato - La violenza delle merci - di Giorgio Nebbia - Energia: nuova, pulita, rinnovabile - Beati i costruttori di pace - Le piazze dei giochi e dei diritti di bimbi e bimbe - di Gianfranco Zavalloni
Fame nel mondo
Dove troveremo tutto il pane?
• Giorgio Nebbia
“Dove troveremo tutto il pane/Per sfamare tanta gente?” Questi versi di una famosa canzone scout tornano alla mente pensando allo scandalo della fame che affligge 2 miliardi di persone, sparse in Asia, Africa, Sud America, quel nuovo “terzo mondo” che continua ad essere povero, in gran parte poverissimo, afflitto da malattie, mancanza di abitazioni decenti, di elettricità, di gabinetti e fognature e di acqua pulita. Eppure sono gli abitanti di questo terzo mondo che producono molte delle derrate agricole che fanno opulenti le mense dei 2 miliardi di abitanti del “primo mondo” e forniscono il cibo agli altri 3 miliardi dei paesi emergenti di un “secondo mondo” – Cina, India, Brasile, Sud est asiatico – sempre più avidi di benessere anche alimentare. La risposta è urgente, come dimostra il fatto che l’Expo 2015 di Milano, ha come tema proprio: “Nutrire il pianeta”. Oltre la metà del fabbisogno alimentare degli esseri umani è ottenuto dai cereali grano, mais, riso e cereali “minori” come orzo, avena, miglio - la cui produzione mondiale nel 2012 è stata di circa 2500 milioni di tonnellate, corrispondenti a circa 350 chili all’anno a testa. Il “contenuto” energetico e proteico dei cereali disponibili per persona ogni anno, “sembrerebbe” circa una volta e mezzo superiore al fabbisogno alimentare medio. “Sembrerebbe”, perché nella distribuzione di tali alimenti esistono insostenibili differenze. Ogni abitante degli Stati Uniti e dell’Europa “consuma”, in media, circa 1000 chili di cereali all’anno, di cui circa 300 chili come alimenti diretti – pane, pasta, dolciumi, eccetera – e circa 700 kg per l’alimentazione del bestiame che fornisce carne, uova, latte e latticini, alimenti che possiedono le proteine di buona qualità necessarie per integrare le proteine vegetali che sono biologicamente “più povere”: però un chilo di carne “costa” – richiede per l’alimentazione dell’animale da macellare – circa 10 chili di cereali. Ogni abitante dei paesi africani e asiatici poveri ha a disposizione in media 200
chili di cereali, tutti utilizzati per il consumo diretto, in molti casi appena sufficienti per la sopravvivenza. La situazione però è ancora più grave. Nei paesi arretrati una parte dei cereali va perduta per l’attacco dei parassiti, per la mancanza di sistemi di conservazione e immagazzinamento. Inoltre ormai circa il 15% della produzione mondiale di cereali è destinata alla produzione di alcol etilico carburante (il “bioetanolo”), in sostituzione della benzina, al punto da far dire che i paesi industriali tolgono il mais di bocca ai contadini poveri sudamericani per far correre i loro rombanti Suv. Le grandi industrie chimiche propongono come soluzione l’impiego di sementi geneticamente modificate (Ogm) che assicurano grandi profitti a poche multinazionali e promettono più abbondanti raccolti e migliori difese contro l’attacco dei parassiti. A parte considerazioni di sicurezza biologica per i consumatori e di privilegi monopolistici, non è detto affatto che la lotta alla fame passi attraverso questa soluzione; anche le promesse, anni fa, della “rivoluzione verde”, basata su sementi ad alta produzione per ettaro, non sono state mantenute. E non ci si può neanche illudere che possa aumentare di molto la produzione agricola perché più si produce da ogni unità di superficie del terreno, più il terreno stesso viene impoverito delle sostanze nutritive (potassio, azoto, fosforo) delle piante per cui nuove coltivazioni richiedono crescenti aggiunte di concimi. Probabilmente la salvezza va cercata, da
una parte, in una revisione dei consumi dei paesi ricchi, in una “guerra allo spreco”, di cui parla, inascoltato, il Papa; dall’altra parte in un grande sforzo di ricerca tecnico-scientifica che aiuti i paesi emergenti a utilizzare meglio e a valorizzare le risorse agricole locali. Molti prodotti alimentari utilizzati per secoli nel Sud del mondo sono stati abbandonati per aderire alle mode di consumi esportate dai paesi industrializzati; molti prodotti agricoli dell’Africa e dell’America latina potrebbero essere meglio conservati, protetti dai parassiti, coltivati al posto delle monocolture che sono state imposte dal Nord industriale. Una chimica, biologia e ingegneria dell’amore per il prossimo, della solidarietà per coloro che hanno fame. E, nel mondo, sono ancora tanti, troppi.
idee verdi
•
4
Un mondo nuovo ripartendo dalle donne e dal “tu”
L’economia del ben vivere “La crisi ha dato tante e tali smentite a previsioni in apparenza rigorosamente scientifiche, avanzate da economisti, e non c’è da stupirsi se qualche profano abbia potuto credersi autorizzato a proclamare la bancarotta dell’Economia politica... Alle voci, certo calunniose, non fa difetto un’attenuante: molti economisti hanno peccato d’immodestia”. Queste parole di Robert Michels, politologo e autore del primo libro intitolato “Economia e felicità” (1917), sono state pronunciate nel 1933, ma sembrano scritte oggi.
L’immodestia, o la superbia, non è prerogativa della sola scienza economica, poiché è una nota antropologica universale. In certe epoche, però, la comunità degli economisti è stata affetta da un’immodestia particolarmente pervicace e diffusa. Di fronte ad evidenti deficienze ed errori della loro disciplina, invece di farsi mettere in crisi dalla forza dei fatti e, umilmente, rivedere antiche certezze e dogmi, hanno ostinatamente rispedito le critiche al mittente. L’attuale è una di queste epoche, ed è sempre più forte il bisogno di una profonda revisione di molti dogmi e assiomi della prassi e della teoria economica. L’economia nasce interamente definita dai confini della casa (oikos), distinta e separata dalla politica (polis). L’economia terminava quando l’uomo (maschio, adulto, libero, non lavoratore manuale) lasciava l’oikos e si recava nella polis. L’oikos con le sue regole di gestione era il regno della gerarchia ineguale e della donna, mentre la politica quello del maschio e dei rapporti tra uguali. Per tutta l’antichità e l’età pre-moderna, l’oikonomia ha conservato questa accezione domestica, pratica, interna, e normalmente femminile. A partire dal Settecento il sostantivo ‘economia’ iniziò ad essere accompagnato da nuovi aggettivi: politica (Smith e Verri), civile (Genovesi e molti altri), pubblica (Beccaria), sociale (molti autori), nazionale (Ortes). Aggettivi qualificativi che volevano sottolineare che l’economia non era più l’amministrazione della casa, ma neanche l' "oikonomia della salvezza" né la "Trinità economica", l’altro significato di oikonomia molto diffuso dai Padri della chiesa fino alla modernità.
• Luigino Bruni
Le difficoltà del tempo presente dipendono anche dal non riuscire a valorizzare l’immensa energia relazionale e morale delle donne, che sono ancora troppo spesso ospiti e straniere nel mondo produttivo degli uomini, e così non riescono ad esprimere tutte le loro potenzialità e talenti. Anche l’economia attende di essere vivificata dal genio femminile.
L’aggettivo politico (e simili) ha qualificato molto l’economia moderna in rapporto a quella antica. Fondendo assieme l’economico con il politico (economia politica), due campi che erano rimasti separati per millenni, alcune categorie tipiche della politica sono entrate dentro l’economia. Ma più forte è stata l’influenza opposta, se pensiamo alla forza con la quale il linguaggio, la razionalità e la logica economica stanno trasmigrando dall’economia alla politica, con effetti normalmente deleteri. Tra questi la forte tendenza a leggere tutta la vita pubblica dalla prospettiva dei vincoli di bilancio, dell’efficienza e dei costi-benefici economici, che sta producendo un dumping democratico senza precedenti, che è uno dei tratti culturali più generali e preoccupanti del nostro tempo. Ma c’è un secondo elemento decisivo, su cui dovremmo collettivamente e politicamente riflettere molto di più. La contaminazione tra economia e politica non ha portato con sé un protagonismo politico o pubblico della donna cui era originariamente associata l’oikonomia. Abbiamo invece continuato a pensare alla ‘casa’ come il regno del femminile e dell’economia domestica; e l’economia, diventando politica e pubblica, nei suoi principi teorici e assiomi antropologici è rimasta priva della donna e del suo specifico sguardo sul mondo e sui viventi – con conseguenzeb gravi e sottovalutate. Questa (di)visione la troviamo teorizzata con estrema chiarezza da Philip Wicksteed, un importante economista inglese del secolo scorso, nonché pastore prote-
stante e traduttore di Dante. A cuore del suo più noto e influente trattato (Commonsense of political economy, 1910) troviamo proprio l’analisi del comportamento della “donna di casa”. Questa, finché si muove all’interno delle mura domestiche, è mossa dalla logica del dono e dell’amore dei “tu” che ha di fronte a sé. Ma non appena esce dall’economia domestica per andare al mercato, dismette i panni di casa e indossa quelli dell’economia politica, la cui logica deve essere quella che con un neologismo Wicksteed chiama “non-tuismo” (dal ‘tu’ latino). A quella casalinga, infatti, è consentito (dagli economisti) di cercare tramite il mercato il bene di tutti, tranne il bene di chi ha di fronte in un incontro economico: “La relazione economica non esclude dalla mia mente tutti tranne me [egoismo]; essa include potenzialmente tutti tranne te [non-tuismo]”. Così l’economia supera l’egoismo (“tutti tranne me”) ma perde la relazionale personale dentro l’economica (“tutti tranne te”). Le note tipiche dell’incontro vero col ‘tu’ - gratuità, l’empatia, la cura... - la ‘donna di casa’ le deve esercitare solo nel-
5• la sfera privata; non in quella pubblica, che resta tutta definita dal registro della strumentalità, dall’assenza del “tu” e dalla presenza di soli e solitari ‘lui’, ‘lei’ e ‘loro’. E tutto questo perché qualcuno ha stabilito con un apriori che quelle caratteristiche relazionali ed emotive, più tipiche (ma non esclusive, ovviamente) della donna, non fossero faccende serie e razionali per la seria e razionale sfera economica. Peccato, però, che quando manca il vol-
idee verdi
Francesco Gesualdi, classico e inedito
CAMBIAMO MONDO Anche se non si è mai atteggiato a profeta, Francesco Gesualdi detto Francuccio, già allievo di don Lorenzo Milani a Barbiana, è da considerare il “padre nobile” del consumo critico in Italia. Lo testimonia la nuova uscita in libreria di Altreconomia Edizioni: “Cambiare il sistema” raccoglie -per la prima volta- un corpus ricco e organico della produzione di Gesualdi. Un libro che comprende sia testi inediti sia i “fondamentali” del suo pensiero, rielaborato da volumi quali “Dalla parte sbagliata del mondo”, “L’altra via” e il recente “Facciamo da soli”, pubblicati da Altreconomia tra il 2005 e il 2013. Un libro che in primis torna ad affermare -anche alla luce della crisi immanente- la necessità di ridimensionare il mito dominante della crescita e quello del mercato. “Crescita: questa è la soluzione che tutti invocano -scrive Gesualdi-, una sorta di parola magica (...). L’argomentazione è che se aumenta la produzione, aumenta il gettito fiscale, aumentano i consumi, aumenta l’occupazione, staranno meglio le famiglie e tutti vivranno felici e contenti. Ma la domanda è: esistono le condizioni per crescere?”. Per costruire invece una società della “decrescita”, secondo l’autore di “Le catene del debito” (Feltrinelli) è necessario ripensare all’economia come uno “sgabello a tre gambe”, dove il mercato, l’economia pubblica e quella di comunità, sono profondamente ripensati. Oggi non basta più che un cittadino quando va a far la spesa attribuisca il suo “voto” ai prodotti equi e solidali: il cambiamento del sistema economico nel suo complesso non è più differibile. Alla coerenza individuale infatti non può che seguire, in questa lucida visione, l’impegno politico.“La rivoluzione che ci attende -scrive ancora Gesualdi- è infatti di tipo epocale, simile a quella introdotta da Copernico quando annunciò che non è il Sole a girare attorno alla Terra, ma viceversa. Con altrettanto coraggio, dobbiamo affermare che il centro gravitazionale del nostro sistema economico non può essere il ‘mercante’, ma la persona”. Un libro per liberarci del senso di impotenza che ci opprime: in queste pagine un’altra economia e la transizione verso il benvivere sono possibili. “Cambiare il sistema. Il pensiero del padre del consumo critico e dell’economia solidale in Italia”, di Francesco Gesualdi 216 pagine, 14 euro. ed. Altreconomia. Francesco Gesualdi coordina il Centro Nuovo Modello di Sviluppo
to del “tu” che ho di fronte manca, in ogni ambiente umano, l’unico volto veramente concreto, e così non rimane che una economia senza volto, e quindi disumana. Ma soprattutto produciamo un’economia che non vede, e quindi non capisce, i tipici beni che avrebbero bisogno di categorie diverse dalla logica non-tuistica, e tra questi i beni comuni, i beni relazionali, la logica dell’azione plurale, le razionalità non strumentali, e molto, troppo, altro. Il nontuismo è ancora un pilastro dell’attuale scienza economica. E tutte le volte che nell’economia reale un fornitore guarda l’altro in volto e, mosso a compassione, gli concede una dilazione di pagamento, o un lavoratore va oltre il contratto e si prende cura di un cliente in difficoltà, l’economista “puro” considera queste eccezioni degli attriti, dei contratti incompleti, costi che devono essere ridotti possibilmente a zero. E infatti, più le imprese e le banche
diventano grandi, burocratiche e gestite razionalmente, più questi attriti ‘tuistici’ si riducono – ma non scompaiono mai del tutto, e non scompariranno finché le organizzazioni saranno abitate da umani. Ma le cose stanno diversamente. Sappiamo che le azioni ‘tuistiche’ non sono attriti o semplici costi, ma compongono quell’olio invisibile ma realissimo che non fa inceppare le nostre organizzazioni e che fa girare i complessi ingranaggi umani anche nei tempi di crisi quando i contratti e l’efficienza non bastano più. Provvidenzialmente, l’economia reale va avanti nonostante le teorie economiche e manageriali; ma oggi dobbiamo avere il coraggio culturale di denunciare questa sofferenza, per buona parte evitabile, prodotta da una antropologia obso-
leta e da una ideologia economica ad una sola dimensione. Non dimentichiamo che a differenza dei secoli passati quando la sfera pubblica era monopolio dei maschi (che la teorizzavano e la occupavano), oggi le donne si trovano a vivere in istituzioni economiche e politiche nelle quali restano, di fatto, periferie culturali e teoriche. I dati ci dicono che nelle nostre imprese e banche sono soprattutto le donne a soffrire, perché si ritrovano in luoghi di lavoro pensati, disegnati e incentivati da teorie mancanti ‘dell’altra metà’ del mondo e dell’economia. Cambiare l’economica per renderla a ‘misura di donna’ comporterebbe – lo accenno soltanto – rivedere anche la teoria e la prassi della gestione della casa, l’economia della famiglia, l’educazione dei figli, la cura dei vecchi. E molto altro ancora. (Avvenire)
idee verdi
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Il genio filosofico del fisico Emilio Del Giudice (1940-2014)
Tra rigore scientifico e creatività
• Livio Giuliani
In uno scritto filosofico del 2007, inedito, Emilio rivela la sua teoria della conoscenza: l’atto del conoscere è l’atto estetico della commozione poetica; esso avviene attraverso la immedesimazione con l’oggetto della conoscenza. L’avvicinamento può cominciare attraverso il giudizio analitico o la fantasia ma si perfeziona attraverso la risonanza che si stabilisce con l’oggetto stesso. Era una conquista dei suoi studi giovanili, rafforzata nella maturità : “Gli uomini prima sentono senz'avvertire; dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso; finalmente riflettono con mente pura”(1). “Quando studio mi fingo nell’oggetto” (2). Anche nella vita i legami si stabilivano per risonanzanza: di personalità o di sistemi di convenzioni scientifiche. Ecco perché i suoi sodalizi scientifici erano ben più che collaborazioni. I SODALIZI SCIENTIFICI Con Froehlich (1905-91) è il suo grande sodalizio della maturità. Allievo di Sommerfel in Germania, collega di Frenkel in Russia e di Chadwick in Inghilterra, egli porta in Occidente quella che era stata una delle conquiste della fisica sovietica: la coerenza nella materia, dopo che Landau l’aveva descritta in uno stadio supercritico dell’elio. Con Giuliano Preparata (1942-2000) è il suo secondo grande sodalizio. Ma è Emilio che appassiona Giuliano alla studio della coerenza nella materia. Insieme ad R. Arani, I. Bono (1988) e a G. Vitiello (1988) riconoscono la coerenza nell’acqua a temperatura e pressione ambientali e sviluppano la teoria che Giuliano riporta nel suo magistrale QED Coherence in Matter (1995). La coerenza nella materia è anche alla base dell’esperimento di LENR con un reattore che accendono il 1° luglio 1999, da loro disegnato e realizzato dai ricercatori dell’ENEA Antonella De Ninno e A. Frattolillo (et al.) con la collaborazione di Martin Fleischmann. È un successo che viene apprezzato da Carlo Rubbia, che proroga i fondi per l’esperimento anche dopo la morte di Giuliano e dalla autorità Atomica Francese, che nel rapporto dell’audit, permesso dall’ENEA, riporta: gli italiani hanno provato che la fusione fredda è una reazione nucleare. La fusione fredda sarà brevettata dalla US Navy nel 2013. La colpa dell’abbandono del reattore, ed anche del mancato brevetto almeno del dispostivo di misura dell’elio, è della nuova direzione generale dell’ENEA, imposta da Corrado Clini, all’insaputa del Presidente Carlo Rubbia, da questi destituita e imposta nuovamente provocando le dimissioni del Premio Nobel. Clini diven-
ta Ministro del governo Monti e quel direttore generale diventa commissario e cumula le cariche anche dopo il pensionamento, attraversando i Governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi. Il terzo grande sodalizio è con Getullio Talpo (1942-2006). Lo appassiona la interazione dei campi elettromagnetici con gli organismi viventi e la macchina di Talpo è un mezzo ideale. La macchina sfrutta l’effetto LiboffZhadin, che si manifesta in soluzioni acquose di ioni metallici (Liboff, 1985) o di acidi nucleici (Zhadin e Novikov, 1994) in una cella idrolitica. Un debolissimo campo magnetico, accordato con la frequenza di ciclotrone del soluto, è in grado di indurre nella soluzione una corrente ionica di molecole di soluto. Il campo non fornisce alla soluzione l’energia sufficiente a produrre la corrente di ioni e l’unica spiegazione possibile è che sia l’acqua a fornirla, grazie a quella frazione coerente, che sussiste a temperatura e pressione ambientali, scoperta da Emilio con Giuliano e gli altri. La macchina riproduce in sequenza lo spettro elettromagnetico delle ELF, modulate su una portante di 50 kHz e utilizza un impedenzimetro con un circuito di feedback che pilota il tempo di esposizione in ciascuna frequenza in dipendenza dei valori di impedenza rilevati. Il design è dell’architetto Chisso di Padova. L’EFFETTO LIBOFF-ZHADIN Emilio, con Giuliano Preparata, Martin Fleischmann e Getullio Talpo fornisce nel 2002 (3) la spiegazione della parte dell’esperimento che riguarda la formazione della corrente ionica. Il campo magnetico applicato a frequenza di ciclotrone estrae gli ioni di soluto intrappolati nei domini di coerenza dell’ac-
qua. I domini di coerenza forniscono agli ioni estratti l’energia necessaria a superare il disordine termico che altrimenti impedirebbe il formarsi della corrente. Se il campo magnetico applicato è troppo intenso gli ioni estratti finiscono nel bulk e vengono urtati prima di potersi allineare al campo elettrico. Se è troppo debole non vengono estratti. Questo spiega la finestra in intensità (tra 10 e 100 nT) che condiziona il fenomeno. Nel 2006, M. N. Zhadin abbandona la sua spiegazione del fenomeno, fornita nel 2005 insieme a Frank Barnes (Bioelectromagnetics vol. 30) e pubblichiamo la spiegazione della prima parte: la ionizzazione in acqua di molecole degli zwitterioni (4). Con Emilio la trattazione è ampliata nel 2010 ed estesa al problema del kT(5) L’ESTETICA Ma la parte più esaltante della mia amicizia con Emilio riguarda la filosofia. Egli immagina l’animo umano come uno spettro elettromagnetico. Ad ogni picco corrisponde una frequenza capace di «agganciare» informazione. La magnanimità è la pluralità, l’ampiezza e la larghezza a mezza altezza dei picchi. Accanto gli spettri all’infrarosso dell’acqua (verde) e dell’acqua pesante (rosso e azzurro). Sebbene l’acqua pesante presenti gli stessi picchi di assorbimento essi hanno minore ampiezza e minore larghezza a mezza altezza: questa consente di captare anche segnali che si discostano dalla frequenza di picco). Anche gli esseri umani, come gli animali e le cose inanimate, ovvero i loro messaggi, in frequenza (voce o immagine) o mediante interazione corpuscolare (tramite odorato, gusto, tatto) possono essere pensati come segnali che possono essere compresi solo se il ricevitore ha un spettro
7• che presenta picchi che possono risuonare con quei segnali, perché vicini in frequenza ovvero che possono oscillare in frequenza e in fase con le particele che interagiscono. La dimensione di Emilio è stata innanzitutto estetica. Ciò è stato vero, per Emilio, non solo sul piano scientifico, ma anche sul piano filosofico ed è stata la cifra della sua ammirata esistenza. L’ESTETICA È GNOSEOLOGIA ED ETICA Dunque la percezione estetica, che si realizza attraverso la immedesimazione, è anche mezzo gnoseologico (in questo senso l’insegnamento di Frohelich integra quello di Vico) e l’etica si modella sull’esperienza estetica. Se la conoscenza e lo stesso sapere scientifico si acquisiscono attraverso l’esperienza estetica, che è ri-
velli progressivi di coerenza. Il primo livello essendo quello dell’acqua. Il secondo quello di strutture costituite dall’acqua. E così via. Il “ponte d’acqua” è un esempio di coerenza del secondo ordine. Nel 2009, con Emilio, provammo che esso può costituirsi al’interno dell’acqua, come in una cellula, e può trasportare ioni (7). L’acqua sarebbe il mezzo attraverso il quale i processi della vita risultano neggentropici. Durante la sintesi clorofilliana le piante emettono rumore bianco in tutto lo spettro elettromagnetico: Elibera = E – TDS Ciò sarebbe anche all’origine della violenza nella vita. IL SACRIFICIO Durante la embriogenesi si ha il più eleva-
La macchina di Talpo elaborata dalla Quec-Phisis
suonare con l’oggetto studiato, allora l’etica deve favorire le possibilità di risonanza del soggetto e la loro molteciplità e intensità. E l’animo deve a sua volta saper comunicare, cioè saper «ri-emettere» quanto ricevuto. È un’ etica inclusiva, quella di Emilio, che suggerisce una politica inclusiva: un’ etica dell’altruismo, che è bontà verso gli altri: quella bontà che Dostoevskij voleva dipingere in un eroe nato buono, come Myskin, non diventato buono, come Jean Valjean (6) Un altruismo che è originario e connaturato nell’uomo e che deve essere coltivato attraverso l’ampliamento della propria magnanimità. Lontano dall’altruismo di John Stuart Mill, che deriva dall’egoismo, come la ricchezza deriverebbe dal mercato, regolatore delle pulsioni egoistiche di ciascuno, quelle di Jeremy Bentham e di Adam Smith. Ecco perché Emilio era buono. Ed era etimologicamente comunista. Egli riteneva altresì che la vita si sia prodotta attraverso il raggiungimento di li-
to numero di apoptosi per unità di tempo: Tanto più è intenso il processo di accrescimento e di organizzazione dell’organismo vivente tanto più numerosi sono le morti programmate delle cellule che contribuiscono al processo. Emilio sviluppò una teoria del sacrificio, proprio come Gian Battista Vico, e come il suo amico Roberto Calasso, ma lontana da quella di quest’ultimo. Il sacrificio sarebbe nato dal desiderio di rivivere l’aumento di coerenza che si è avuto nella fase embrionale. Nel neolitico venivano compiuti sacrifici umani nel ricordo di quelli, ancora più antichi, in cui i vecchi contribuvano con il proprio corpo alla sussistenza della tribù. Ma i sacrifici preistorici, nel neolitico, e quelli storici ancora compiuti nel nome della religione o della giustizia, comportano una rottura della coerenza della comunità che li compie. Il bilancio netto della coerenza in tale processo non è mai positivo. La storia sorge con il sacrificio di Ifigenia che fugge in Tauride. O
idee verdi
con quello mancato di Isacco. L’ULTIMO SODALIZIO L’ultimo sodalizio di Emilio è quello con Luc Montagnier. Il grande Premio Nobel francese lo cerca perché lo aiuti a spiegare la sua ultima scoperta: quella dei segnali del DNA (8). Nasce una collaborazione scientifica che va oltre la iniziale interpretazione e si estende alla comprensione dei più profondi meccanismi della interazione elettromagnetica con la vita. Si uniscono allora ai ricercatori che applicano i campi elettromagnetici per il differenziamento cellulare per il trattamento delle malattie degenerative. Il 29 luglio del 2011 scrivono, con altri colleghi, al Commissario dell’INAIL per chiedere di ampliare i fondi che deve, in quanto successore dell’ISPESL, per la ricerca per la cura dell’infarto che è stata approvata dal Ministero della Salute il 9 giugno 2011. Chiedono l’ampliamento per includere nella ricerca il differenziamento anche di cellule tumorali. L’agosto successivo il British J of Cancer pubblica un articolo di B. Pasche ed altri, che hanno intrapreso con successo questa strada. IL commissario dell’INAIL neanche risponde alla lettera e sia lui sia il successivo presidente, nominato dal Ministro Fornero (ma non per i suoi meriti scientifici, mi spiega al telefono lo stesso Ministro il 22 febbraio 2013), impediscono anche la ricerca per la cura dell’infarto approvata dal Ministero della Salute. L’ultima battaglia Emilio la deve fare insieme a Luc Montagnier e a noi per chiedere al TAR Lazio di ingiungere all’INAIL di consentire la ricerca approvata e finanziata dal Ministero. Muore prima. A noi il commosso saluto a chi ha lottato fino alla fine per la scienza e la verità.
1. Gian Battista Vico, Scienza Nuova, II libro, Poesia 2. Herbert Froehlich, scritti privati 3. E. Del Giudice et al., On the ‘unreasonable’ effects of ELF upon a system of ions, Bioelectromagnetics vol. 27 4. Zhadin MN & L.Giuliani, Some problems in modern bioelectromagnetics, Electr. Biol. Med.vol. 25 5. Del Giudice E & L Giuliani. Coherence in water and the kT problem in living matter, in Giuliani L & Soffritti M eds. Eu J Oncol. Library vol. 5 6. Dostoevskij Epistolario, cura E. Lo Gatto, Ed. Sc.It. 1950-1 7. Giuliani et al. World Neur. Network, The Froehlich Symposium in Prague 8. internat. Life Sc.: Comput. Sc. 2009, vol. 1
*docente Dipartimento Ecologia e Biologia, dirigente di ricerca del SSN
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Una favola anche per i grandi
L’importanza della lentezza secondo Luis Sepulveda M
• Leonetta
oderno La Fontaine, il brillante "cileno rosso" ama narrare il mondo attraverso gli animali. La sua Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza ha una fisionomia semplice e leggera, affidata a un’assoluta chiarezza e a una scrittura giusta per lettori di fasce minime di età. Il che non deve trarci in inganno. Come la sua popolarissima Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, baciata da un successo planetario (due milioni di copie solo in Italia), e anche come la successiva Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico (più di trecentomila copie), l’ultima parabola creata da Sepúlveda non è "solo" per bambini, ma è un racconto che guarda l’esistenza nei suoi valori fondanti e universali, senza mezze misure. Culto e difesa della natura, lealtà dell'amicizia, rispetto dell'altro, libertà di pensiero, senso dell'individuazione in contrasto con l’ottusa cecità della massa manipolata da timori e pregiudizi. E condanna radicale dello stress. Poesia in forma di prosa, più che letteratura per l’infanzia. Via via più filosofico e poetico, Sepúlveda deve aver letto i discorsi del poeta Paul Valéry sull’assillo della modernità intesa come «velocità, abusi sensoriali, luci eccessive, bisogno d’incoerenza, automatismo del sempre più avanzato che si manifesta in politica, in arte e nei costumi». Insomma: siamo tutti intossicati, sospesi nell'abisso di una quotidiana impazienza. Ma la poesia, suggerisce Valéry, procede sul versante opposto, scansando per definizione la premura. È circospetta, cauta, avvolgente, graduale. Nel caso di questo nuovo libro di Sepúlveda, la poesia ci conduce in un prato sul quale crescono le piante di dente di leone, una leccornia per le lumache rinate dopo l’inverno e unite in un drappello di minuscole presenze lente e mute. Particelle anonime che camminano sovrastate
Bentivoglio
L’insostenibile rapidità del tempo porta Luis Sepúlveda, autore di bestseller capaci di riversare riflessioni "grandi" in libriccini "piccoli", a comporre un elogio della calma scegliendo di consegnare il suo messaggio a una favola.
dal guscio del conformismo. Nel gruppo ce n’è una più molesta che vorrebbe avere un nome e conoscere i motivi della lentezza. Puntando a tale scopo, si lancia in un viaggio di apprendimento più simile a un esilio che a un’esplorazione (la sua avventura è biasimata dalle compagne). Lungo il percorso incontra un gufo che si è depresso perché ha disimparato a volare. Poi s’imbatte in una tartaruga, lenta anche lei e altrettanto oberata da un fardello sul dorso. Saggia e flemmatica, sa molte cose sugli umani e istruisce la lumaca sulla loro tremenda inadeguatezza riguardo alla custodia dei ricordi. Peccato non veniale, dettato dall'ansia. La tartaruga, denominata Memoria, le spiega che a chi, tra gli umani, fa troppe domande (per esempio: è necessario andare sempre in fretta?), tocca l’appellativo di Ribelle, che d’ora in poi spetterà quindi alla lumaca indagatrice (chi interroga di continuo non tollera l’ambiguità che impregna la realtà). Accade intanto che la razza cattiva e indifferente degli umani si adoperi per stendere sui prati un cemento scurissimo col supporto di alcune macchinone mostruose. Ribelle si consola dalla paura che le incutono quei devastatori stringendo amicizia con colonie di formiche e con una talpa. In seguito, torna ad avvertire le compagne lumache del pericolo: gli umani stanno soffocando il prato con una cappa nera. Bruttura analoga all'orrenda macchia di petrolio che i gabbiani della storia più fa-
mosa inventata da Sepúlveda chiamavano «la maledizione dei mari». L’erba viene bruciata da quel manto che all'inizio è denso e molle come fango, e infine diventa duro e impenetrabile. L’esodo delle lumache è urgente. Ribelle guida la fuga. Domande, domande. Come tutti i rivoluzionari, Ribelle non dà tregua con la sua raffica di quesiti. Energica e coraggiosa, è lei il segno della rottura, la via nuova, la sete di sapere che costruisce l’avvenire e illumina la speranza. Crescere, distinguersi, trovare se stessi, significa
STORIA D I UNA LUMACA CHE SCOPRÍ L’IMPORTANZA DELLA LENTEZZA di Luis Sepulveda Guanda, 94 pp. 10 euro
9• evadere dal veleno dell'essere omologati dentro un tempo massacrante, che divora attese, sentimenti generosi, stasi fertili, profondità affettive e pause di contemplazione. Poco prima dell'arrivo della neve, le lumache sentono il richiamo dell'amore. Sfregando i loro cornini si dispongono alla riproduzione. Ci sono le
gocce da fecondare e le buche in cui deporre le microscopiche uova. Il gufo sapiente indica un rifugio per proteggere questo patrimonio di continuità. Un vasto tronco sarà la casa delle lumache durante il letargo invernale, e allora tutto, dal respiro al battito dei cuori, si farà lento in modo inesorabile e dolcissimo. Solo assumendo il proprio nome, cioè la sua identità e unicità, Ribelle ha potuto cogliere la meravigliosa vitalità della lentezza. Questa è la risposta ai suoi perché. (la Repubblica)
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Un manuale per diventare seed savers
IL CATALOGO DEI SEMI QUOTIDIANI "Ogni varietà, che si tratti di alberi, fiori, ortaggi, riso o cereali, oppure di una lingua, un dialetto, rappresenta qualcosa di irripetibile, qualcosa che, una volta perduto o dimenticato, nessuno potrà più riportare in vita. Si tratta dei frutti di un’evoluzione -naturale oppure culturale- che rischia di spegnersi a meno di trovare chi, per un motivo o per l’altro, ne prenda a cuore la sopravvivenza”. Lo scrive Pia Pera nel testo gentile e ispirato che apre questo “vademecum”, in cui Chiara Spadaro -antropologa e giornalista ambientale e già autrice di “Il frutto ritrovato”- ci invita a diventare custodi della “diversità” di semi e piante, sul nostro balcone, sul davanzale, nel nostro orto e nella nostra cucina. Questo manuale di biodiversità domestica spiega infatti dove acquistare o scambiare i “semi dimenticati”, come conservarli e poi -a tempo debito- piantarli per iniziare a coltivare varietà “perdute” sul proprio balcone o nell’orto di casa, con dovizia di tecniche di base e di esempi pratici, dal pomodoro al fagiolo, al cavolo. Un vero percorso: “Il primo passo -scrive Chiara Spadaro- è mettersi in cammino: la biodiversità si trova nei campi. E si alimenta delle relazioni con altre persone: contadini, custodi di semi, giardinieri, consumatori critici, guerriglieri verdi, abitanti di paesaggi”. Ma non solo: la quotidianità è fatta anche di incontri “collettivi”, con le realtà e le comunità che promuovono gli scambi dei semi e si battono per la loro salvaguardia. Non meno importante è la nostra “lista della spesa biodiversa”, dai mercati contadini ai gruppi di acquisto solidali. O la grazia con la quale facciamo la julienne di una carota bianca nella nostra cucina o scegliamo un ristorante dove si guarda alla varietà come un elemento di cultura alimentare e non solo come una riga del menu. Un percorso di cui fanno parte anche letture, visioni e momenti di “teatro contadino”. Un libro pratico e poetico, come lo possono essere le “opere” che all’utile uniscono -sul serio- il dilettevole. Per chiudere con le storie straordinarie dei seed savers in Italia e una “mappa” per non smarrirsi tra un broccolo e un melo. Ma non consultatela troppo e perdetevi, perché chi salva un seme, in fondo, salva l’intera biodiversità. Massimo Acanfora “Vademecum per la biodiversità quotidiana. Manuale per seed savers: custodire sul balcone o nell’orto semi e pinate dimenticate”, di Chiara Spadaro, 128 pgg, 9 euro. In librerie, botteghe del commercio equo e solidale e su www.altreconomia.it
8 mq al secondo SALVARE l’ITALIA DA ASFALTO E CEMENTO Nonostante il periodo della cementificazione e dell'edificazione selvaggia non sia più nei nostri incubi piu ricorrenti, il problema esiste ed è quanto mai presente, reso ancor più paradossale dalla presenza, sul nostro suolo di innumerevoli vuoti. 8 mq al secondo è il ritmo con cui viene asfaltata e cementificata la bellezza, la biodiversità, l'agricoltura e la cultura del nostro paese. Un'aggressione silenziosa e costante, che finalmente ha trovato qualcuno determinato a contrastarla. È urgente ora allargare la presa di coscienza dei cittadini; numerosi comitati di attenzione a questo problema si sono già costituiti, perché anche la terra, la nostra terra, sia concepita come un bene comune da preservare. Domenico Finiguerra, l'autore, è stato per dieci anni sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI), il primo Comune in Italia ad adottare un piano urbanistico a crescita zero. Attualmente è consigliere comunale ad Abbiategrasso e promotore della campagna "Stop al consumo di territorio". Attraverso questo libro, documentato,cerca di risvegliare in noi una più solerte vigilanza sulla gestione del territorio. DOMENICO FINIGUERRA 8 mq al secondo. Salvare l'Italia dall'asfalto e dal cemento EMI, Bologna 2013, pp. 64
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Il consumo di suolo. L’Italia e il Veneto
Non è solo una questione di sensibilità Il suolo, assieme alla sua componente paesaggistica, è un bene comune; un bene di tutti, perché utile per produrre beni per la collettività. Purtroppo c’è poca coscienza sul fatto che esso sia una risorsa esauribile. • Terry Beggio In tutto il territorio italiano, la città si è allargata a macchia d’olio inglobando le campagne e azzerando i paesaggi rurali attraverso la loro progressiva cementificazione. Il cosiddetto “consumo di suolo” inteso come la trasformazione di suolo agricolo e naturale in suolo urbano, attribuibile alla dispersione insediativa tipica dei processi di urbanizzazione diffusa ha aperto molteplici discussioni. Questo processo, che incide maggiormente sull’approvvigionamento alimentare in quanto interessa i terreni migliori: fertili, pianeggianti, limitrofi ai centri abitati, agisce principalmente su due tipologie di terreno, quello agricolo e quello comprendente i boschi e le foreste. Secondo i dati ISTAT, nel sud d’Italia viene consumata più terra agricola rispetto al Nord dove invece viene interessato maggiormente il suolo boscato. Fornire uno sguardo d’insieme su quelle che sono le zone, o meglio le aree colpite maggiormente dal “consumo di suolo”, risulta complesso; le catene montuose si estendono per buona parte della nostra Nazione, solo un quarto del territorio è costituito da pianure, mentre le colline sono prevalenti. L’Italia si colloca tra i primi posti, fra gli Stati membri, per il forte “consumo di suolo”, con tassi di crescita elevati e superiori alla crescita demografica. Occupando la quarta posizione con il 7,3% di super ficie artificiale, dopo Olanda (13,2%), Belgio (9,8%) e Lussemburgo (7,4%), il nostro Paese negli ultimi dieci anni (2001-2011) ha portato la cementificazione a livelli altissimi passando dal 6,72% all’8,77%, uniformandoli in tutto il territorio. Secondo il Rapporto ISTAT del 2012, i comuni italiani hanno rilasciato complessivamente permessi di costruire per 3,8 miliardi di mc (oltre 255 milioni di
mc l’anno) di cui più dell’80% per la realizzazione di nuovi fabbricati e poco più del 40% per l’edilizia residenziale. Da uno studio condotto dal Fondo Ambiente Italiano e dal WWF Italia, il suddetto “consumo di suolo” prevale in pianura con il 70%, seguito dal paesaggio collinare con il 20% e infine da quello montuoso con il restante 10%. L’impermeabilizzazione del suolo, dai loro stimati calcoli, è distribuita quasi uniformemente in tutta Italia, ma i valori percentuali più alti si attestano nelle regioni dell’Italia Nord-Occidentale. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), conferma che il consumo di suolo è elevato in quasi tutto il territorio nazionale, crescendo al ritmo di 100 ettari al giorno portando l’impermeabilizzazione a più del 6% dell’intero territorio. Campania, Lombardia e Veneto, sostiene l’Istituto, sono le tre regioni con i più alti livelli di consumo di suolo. In città come Milano e Napoli il consumo supera ormai il 60%, a Roma si impermeabilizza il suolo per circa 300 ettari all’anno. In alcune realtà urbane, si ha un’elevata perdita di terreno agricolo e naturale (più della metà del territorio comunale). Tra il 1976 e il 2003, sostiene l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), le aree agricole romagnole sono state massicciamente urbanizzate perdendo oltre 96.000 ettari di suolo (82.000 mq al giorno). Tra il 1980 e il 2000, il territorio agricolo friulano ha perduto 5.400 ettari (8.000 mq al giorno). Secondo l’ISTAT, sono solo diciannove le provincie a bassa intensità di occupazione e bassa cre-
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FEBBRAIO 2014 SECONDO MESE PIÙ CALDO DEGLI ULTIMI 200 ANNI Due gradi e mezzo sopra la media, con punte di tre e mezzo lungo la dordale adriatica. Quasi siccità al sud, inondazioni al nord Secondo l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima il mese di febbraio 2014 è stato il secondo più caldo degli ultimi 200 anni, superando anche il precedente record del mese di gennaio (3° più caldo). Le temperature medie di febbraio sono state due gradi e mezzo sopra la media 1971-2000, ma buona parte dell’Itlaia è stata sopra i tre gradi, mentre tutta la dorsale adriatica da Grado al Gargano ha segnato persino tre gradi e mezzo in più. Come fa notare Michele Brunetti, responsabile della banca dati climatologica dell’ISAC-CNR, l’inverno 2013-2014 è stato anche del tutto anomalo dal punto di vista pluviometrico, con un 62% in più di piogge e nevicate rispetto alla media. Se il sud e le isole hanno visto poca acqua, con punte di vera e propria siccità in Sardegna, tutto il nord è stato letteralmente inondato da precipitazioni due e volte mezzo il normale (+150% sopra gli appennini), con punte pari a quattro volte la media nel triveneto. Questa continuità porta a chiudere la stagione invernale 2013/2014 al secondo posto tra le più calde, con un’anomalia di +1.8 gradi sopra la media, seconda solo all’inverno 2006/2007 che registrò un’anomalia di +2.0 gradi.
scita del territorio edificato (rappresentano circa il 25% del territorio nazionale e sono localizzate in prevalenza lungo l’arco alpino e nell’Appennino centrale e calabrese). Al contrario ci sono province, diciannove per l’esattezza e concentrate soprattutto nel Nord-Italia, che presentavano al 2011 sia variazioni che incidenze superiori alla media nazionale. Queste province rappresentano il 14,3% del territorio italiano e sono quelle di Torino, Venezia e Bologna seguite da Caserta, Taranto e Catania. Altre 32 provincie, pur avendo alti livelli di urbanizzazione, mostrano una dinamica di crescita delle superfici inferiore alla media. La classe maggiormente caratterizzata dalle dinamiche insediative nell’ultimo decennio comprende le provincie di Matera, Foggia, Medio Campidano, Ogliastra, Benevento e Campobasso e mostra una concentrazione prevalente nel Mezzogiorno e in Sardegna. Evidente è la mancanza di parsimonia, da parte del nostro Paese, nell’utilizzare la risorsa suolo. Secondo Legambiente negli ultimi 15 anni il consumo di suolo è cresciuto in modo spropositato senza alcuna regola di espansione e di protezione dell’ambiente provocando enormi problemi di dissesto idrogeologico, di inquinamento delle città dovuto all’ec-
cessiva emissione di CO2, di perdita di paesaggi italiani, producendo così dispersione e disgregazione sociale. Oggi in Italia non si costruisce più per esigenze abitative, o per motivi legati all’aumento demografico, ma solamente per interessi economici. In Italia le politiche di settore non hanno ancora risposto appieno al problema, anzi hanno contribuito ad alimentarne la crescita attraverso la produzione edilizia e la speculazione immobiliare. A livello statale la legge urbanistica del 1942, ormai vecchia, agisce in maniera preventiva, consentendo l’abusivismo; a livello regionale la programmazione paesaggistica esiste, ma il paesaggio viene tutelato maggiormente dove rappresenta una risorsa economica, ovvero nelle zone ad elevata vocazione turistica; a livello comunale il piano regolatore non agisce come strumento ordinario di pianificazione del territorio ma come strumento una tantum di regolarizzazione. Pensare all’uso del suolo in modo dinamico, sostiene ISPRA, comporta la costruzione logica di sistemi di valutazione e di veri e propri bilanci nell’uso del suolo, da introdurre nella pianificazione locale ed ai quali assegnare obiettivi valutati alla scala dell’area vasta. Tesi di laurea IUAV Venezia Facoltà di Pianificazione del Territorio segnalata al Concorso Laura Conti
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Chiusa la Tirreno Power: «Nesso tra emissioni e malattie»
Troppi morti, sigilli alla centrale
• Erika Dellacasa e Andrea Pasqualetto
Fra pane e salute, grande dilemma dell'industria contemporanea, sceglie la seconda: «Il diritto ad un ambiente salubre prevale sul diritto al lavoro e su quello d'impresa, che comunque vanno tutelati». È soprattutto per questa ragione che Fiorenza Giorgi, giudice del tribunale di Savona, ha deciso il sequestro e il blocco degli impianti a carbone della Tirreno Power di Vado Ligure.
N
ella notte del 12 marzo è terminato lo spegnimento dell'unità chiamata VL3, il gruppo a carbone della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure, la seconda unità era già ferma per manutenzione: è stato eseguito così il decreto del gip di Savona Fiorenza Giorgi che ha sequestrato gli impianti. Il sequestro (è stato nominato un commissario, il direttore dello stabilimento) arriva poche settimane dopo che la Procura ha parlato di 450 morti in dieci anni provocati - secondo i periti nominati dai magistrati - dalle emissioni della centrale, decessi a cui si aggiungono fra i 1.700 e i 2.000 ricoveri di adulti per patologie respiratorie e cardiovascolari e 457 bambini curati per asma e altri problemi respiratori, in diversi anni. I carabinieri si sono presentati ai cancelli con il decreto poco prima di mezzogiorno, i dirigenti della società hanno comunicato che Tirreno Power ha spento l'impianto rna «intende continuare a operare nel pieno rispetto della legge difendendo il suo diritto a fare impresa in modo responsabile così come ha sempre fatto»; gli operai uscendo alla spicciolata si sono dichiarati «sbigottiti». Cinque gli indagati per disastro ambientale e sanitario, il direttore generale Giovanni Gosio, dimissionario un mese fa, e tutti i responsabili dello stabilimento dal 1999 a oggi, per alcuni si aggiunge l'accusa di violazione delle prescrizioni dell'Aia, l'Autorizzazione ambientale integrata, rilasciata dal ministero.
L'ipotesi di reato di omicidio colposo presente nell'inchiesta coordinata dal procuratore capo Francantonio Granero rimane invece a carico di ignoti. Nella quarantina di pagine del decreto del gip si mettono in evidenza il nesso tra le morti e le emissioni al di sopra dei limiti, la gestione «negligente» dell'impianto che avrebbe fornito dati sulle polveri nell'aria «inattendibili», la mancanza di controllo di terzi. La società, secondo il gip Giorgi, avrebbe fatto interventi di risanamento di facciata, degli «specchietti per le allodole». E al capitolo «controlli» i magistrati criticano anche la Regione Liguria che avrebbe tollerato ritardi e inadempienze nelle prescrizioni ambientali alla società partecipata al 50 per cento da Gdf Suez, e al 50 per cento da Energia Italiana, società controllata da Sorgenia della famiglia De Benedetti. «Siamo preoccupati non solo per quello che può significare questo spegnimento dicono i sindacalisti savonesi, ma anche per la crisi del settore e per le notizie finanziarie di Sorgenia» e hanno chiesto un incontro urgente a prefetto e Regione: «Intervenga il governo, qua rischiamo centinaia di posti di lavoro». Fanno un numero i sindacati, settecento: duecentosessanta i dipendenti diretti di Vado, duecentocinquanta gli appalti, altri duecento la filiera. Ancora una volta sul tavolo di amministratori e politici si confrontano le ragioni di chi teme per il posto di lavoro e di chi difende la salute della comunità. Legam-
biente, la «Rete contro il carbone» — che da anni denunciano le emissioni — accusano: «È dimostrato che non eravamo dei visionari, ora si faccia un passo indietro sull'energia prodotta col carbone». Soprattutto, dicono, lo faccia la Regione Liguria che ha dato parere favorevole alla costruzione di un nuovo blocco a carbone previo però il rifacimento di uno esistente e lo spegnimento del più malandato. «Siamo stati noi a chiedere l'intervento degli ispettori dell'Ispra a Vado - dice l'assessore all'ambiente Renata Briano - perché avevamo dei dubbi sul rispetto delle prescrizioni dell'Aia. Il sopralluogo è avvenuto insieme ai tecnici dell'agenzia regionale e il verbale è stato inviato alla Procura. Da quel verbale
TIRRENO POWER Da una parte la centrale a carbone di Vado Ligure con le sue ciminiere; dall'altra il disastro ambientale e le centinaia di morti e malati contati dal 2000 fra queste colline dal clima mite e dall'aspetto paradossalmente salutistico. Per il gip di Savona, Fiorenza Giorgi, non ci sono dubbi: fra le due cose c'è un nesso molto stretto ed è scientificamente provato. «Tutte queste patologie ed eventi letali sono attribuibili esclusivamente alle emissioni della centrale, di entità tale da assumere le dimensioni del disastro, con conseguente pericolo per la pubblica incolumità», scrive per introdurre le 45 pagine del decreto con il quale ha disposto ieri il sequestro preventivo dei due impianti della Tirreno Power. Il magistrato ligure ha stilato il tragico elenco delle vittime che imputa ai fumi di Vado: «Almeno 251 morti per malattie cardiovascolari, se si considera il modello matematico (considera la ricaduta al suolo degli elementi inquinanti sulla base dei venti, delle correnti e dell'orografia, ndr ), 335 se
13 • emergono le inadempienze che il gip ha contestato a Tirreno Power decidendo il sequestro. Gli impianti potranno riaprire, dice il gip, se la società dimostrerà di voler produrre secondo quelle che si chiamano «Mtd», le migliori tecnologie disponibili, una via d'uscita per lo «stato di necessità» dei lavoratori. Difficile però applicare in tempi brevi le migliori tecnologie a un impianto che - pur con adattamenti avvenuti nel tempo - è vecchio di quarant'anni e che così com'è, secondo diversi studi, inquinerebbe dieci volte di più degli impianti più avanzati. (il Corriere della Sera)
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Legambiente: “Ora si lavori per riconvertire la centrale e tutti gli altri impianti inquinanti in Italia. Per il Paese è fondamentale una nuova politica energetica basata sulle fonti rinnovabili” “Il sequestro dell’impianto della Tirreno Power di Vado Ligure (Sv) rappresenta un importante passo avanti nella lotta all’inquinamento ambientale e sanitario da anni denunciato in Liguria. Ora ci aspettiamo che la centrale a carbone venga riconvertita con progetti utili e sostenibili e che possa diventare un esempio da seguire anche per gli altri impianti industriali vecchi e inquinanti presenti in Italia, che arrecano solo danni all’ambiente e alla salute dei cittadini. Dall’altra parte è però necessario che ci sia un cambio di rotta nella politica energetica di questo Paese. È ora di dire basta ai sussidi per le fonte fossili e alle politiche a favore del carbone, serve una politica energetica che guardi alle fonti rinnovabili e alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano”, così Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente. “Ben venga il sequestro e la chiusura degli impianti a carbone della centrale di Vado Ligure - commenta Santo Grammatico, Presidente di Legambiente Liguria. Negli ultimi mesi i controlli effettuati da organismi istituzionali e la stessa Procura avevano evidenziato le problematiche sanitarie ed ambientali. Non è un caso che i capi di imputazione per gli indagati siano il disastro ambientale e l’omicidio colposo. Da anni denunciamo il rischio di convivenza tra la popolazione locale e le attività produttive legate al carbone, uno dei peggiori combustibili ancora oggi utilizzato per la produzione di energia elettrica.”
l’elenco dei casi ipotizzati dalla Procura si considera il modello sperimentale dei licheni (microorganismi termometro dell'inquinamento, ndr ), tra l'1 gennaio 2000 e il 31 dicembre 2007... Almeno 103 morti per malattie respiratorie (modello matematico) o 92 (sperimentale)... Almeno 353 casi di patologie respiratorie nei bambini dall'1 gennaio 2005 al 31 dicembre 2010 (457 casi con il modello sperimentale)... Ameno 94 casi di ricoveri di bambini per asma (129 con il secondo modello)... E sempre nello stesso periodo almeno 1.675 casi di ricoveri di adulti per malattie respiratorie e cardiache (2097 secondo il modello sperimentale)». E gli stessi numeri, in proporzione, riguarderebbero gli anni successivi. Un bollettino di guerra. Domanda: dove trovano fondamento le pesanti conclusioni del gip di Savona che ha portato al clamoroso sequestro di ieri e all'iscrizione nel registro degli indagati dei quattro capi centrale che si sono succeduti dal 1999 e a quella dell'ultimo direttore generale, Giovanni Gosio, già dimessosi dall'incarico un paio di mesi fa. Al di là di una relazione depositata in gennaio dall'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, e delle annotazioni dei carabinieri del Noe e dell'Arpa Liguria, alla base del decreto ci sono due consulenze tecniche (ambientale ed epidemiologica) disposte dalla Procura di Savona nel gennaio del 2012 e firmate da una terzetto di esperti: Paolo Franceschi, pneumologo dell'ospedale di Savona, Paolo Crosignani, ex direttore dell'unità di epidemiologia ambientale dell'Istituto dei tumori di Milano, e Stefano Scarselli, analista di qualità dell'aria. Un lavoro che si basa, come detto, su due diversi modelli: matematico e sperimentale secondo i quali i morti e i malati sarebbero da attribuire alla Tirreno Power, escludendo dalle cause di decesso e di malattia il traffico automobilistico e le polveri sottili delle altre aziende della zona e delle vicine navi. «Risultati che appaiono convincenti» scrive il gip. Anche perché sono stati eliminati tutti i casi dubbi e non rigorosamente muniti di tutti i requisiti...». A Gosio e Pasquale D'Elia, capo centrale della Tirreno Power dal 2005 al 2012, viene contestata anche la violazione delle prescrizioni contenute nell'Aia, l'Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero alla Tirreno Power.«Perché non installavano il misuratore di monitoraggio... utilizzavano olio combustibile con contenuto di zolfo superiore a quanto consentito...». Il gip dà però spazio anche alla speranza. «Ove l'azienda provvedesse all'installazione di un sistema di controllo adeguato, una volta accertato che le emissioni vengono mantenute nei limiti delle Mtd (le migliori tecnologie disponibili), si potrà provvedere al dissequestro degli impianti». E.D. e A. P.
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Riparte il nucleare nel mondo?
All’ombra di Fukushima A tre anni dalla tragedia, Fukushima non sembra decisiva quanto lo era stata Chernobyl trenta anni fa. E ciò nonostante che, dopo la fuoriuscita di 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva dalla centrale, il governo giapponese abbia alzato già a metà del 2013 lo stadio di allerta al Livello 3, corrispondente su scala mondiale a un "incidente radioattivo grave". Subito dopo il riconoscimento ufficiale della enorme gravità dell?evento, sui mercati si era diffuso il panico e alla Borsa di Tokyo i guadagni accumulati sino a quel momento erano evaporati completamente. Il tracollo improvviso di 250 punti dell'indice azionario Nikkei 225 in seguito alle notizie sulle fuoriuscite radioattive da Fukushima rimarcava l'allarme per il riversamento nel Pacifico dell'acqua radioattiva presente nel terreno di Fukushima, e per l'accumulo fino a 40.000 miliardi di becquerel (unità di misura del Sistema internazionale dell'attività di un radionuclide, con 1 Bq che corrisponde ad 1 disintegrazione al secondo) nelle acque del mare. Ma, se si sono turbati persino i mercati, chi ha messo il silenziatore all'opinione pubblica mondiale? E come mai l'energia nucleare torna saldamente nelle agende politiche di molti paesi, con proiezioni per nuovi impianti simili o superiori a quelli dei primi anni del nucleare? Con 70 reattori in costruzione in tutto il mondo di oggi, altri 160 o più programmati a venire durante i prossimi 10 anni e centinaia di impianti in cantiere, l'industria nucleare globale sta chiaramente avanzando con forza. La maggior parte dell'aumento della capacità (oltre l'80%), verrà concentrata nei paesi che già utilizzano il nucleare e posseggono armamenti nucleari. Quindi, bisogna ancora una volta non sottovalutare il ruolo dell'apparato militare nel sostegno al nucleare civile. A cominciare dall'Europa, che è andata alle elezioni senza un dibattito evidente sulla propria politica energetica e la sicurezza e chiusura dei suoi reattori. Anzi, il rilancio annunciato del nucleare inglese - con la collaborazione francese esprime l'ambizione di Gran Bretagna e Francia di ritornare "grandi potenze". Il 21 ottobre 2013 il governo inglese, appellandosi a capitali e tecnologia d'oltre Manica, ha rilanciato l'impegno nucleare, dando via libera a un consorzio fran-
Ventisette milioni di voti al referendum antinucleare basteranno a chiudere la partita? Si, solo se si tiene viva l'alternativa della riduzione dei consumi e della sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili e se si tiene d'occhio il rapporto inverso tra disarmo atomico e proliferazione del nucleare civile. Una tentazione quest'ultima che torna ad ispirare le politiche industriali delle potenze mondiali. In effetti, come prevedeva Hermann Scheer, questo primo quarto di secolo assisterà ad una sfida aperta tra sole e atomo. • Mario Agostinelli
co-cinese che costruirà due reattori nel sito di Hinkley C, il primo di almeno otto siti nucleari che dovrebbero "ridurre i costi energetici e la dipendenza da combustibili fossili e vecchi impianti". Se si guarda al retroterra militare del nucleare cosiddetto "civile", non dovrebbe stupire più di tanto che l'atomo inglese possa parlare anche francese, non fosse altro che per riequilibrare la potenza economica tedesca in Europa. Cameron, ha infatti confermato "l'irrinunciabilità dell'arsenale nucleare nazionale ai fini della preservazione degli interessi vitali del paese, almeno fino a quando si assisterà alla proliferazione orizzontale di armi di distruzione di massa e di sistemi missilistici balistici. Il nucleare militare francese, altresì, punta a mantenere una deterrenza nucleare "limitata ma efficace, essenziale per la sopravvivenza della nazione". Oggi, sia la Francia che la Gran Bretagna si oppongono alla denuclearizzazione dell'Alleanza Atlantica. E vogliono che la NATO rimanga un'alleanza nucleare e, mirando a un ruolo di prime potenze nell'area mediterranea si fanno promotrici dell'intervento contro il regime siriano, l'Iran, la Libia. Contemporaneamente, la capacità nucleare si sta espandendo in Europa orientale e in Asia. La Cina si sta imbarcando su un enorme aumento della capacità nucleare a 58 GWe entro il 2020, mentre obiettivo dell'India è di aggiungere ai suoi in funzione da 20 a 30 nuovi reattori entro il 2030. Intanto, mentre alcune comunità come in Finlandia e Svezia hanno accettato la costruzione locale di siti di smaltimento
definitivo dei rifiuti nucleari importati, ci sono già esempi di globalizzazione dell'industria nucleare. A livello commerciale, entro la fine del 2006 tre grandi alleanze tra occidentali e giapponesi si erano formate e sono state dopo il 2010 rafforzate: Areva con Mitsubishi Heavy Industries; General Electric con Hitachi; Westinghouse con il controllo per il 77% da parte di Toshiba. Molti dei reattori della Cina utilizzano tecnologia proveniente dal Canada, da Russia, Francia e Stati Uniti, mentre la Cina assiste paesi come il Pakistan nello sviluppo dei loro programmi nucleari. La Russia è attiva nella costruzione e nel finanziamento di nuove centrali nucleari in diversi paesi. La Corea del Sud sta costruendo un progetto nucleare per 20 miliardi di dollari negli Emirati Arabi. Infine, anche l'Australia si appresta per la prima volta ad entrare nel mercato dell'atomo.
15 • CAMBIAMENTO CLIMATICO, RIARMO, DISINFORMAZIONE Una maggiore consapevolezza dei pericoli e dei possibili effetti dei cambiamenti climatici ha portato i decisori, i media e l'opinione pubblica ad accettare che l'uso dei combustibili fossili debba essere ridotto e sostituito da fonti a basse emissioni di energia. Il sentimento popolare si concentra sulle rinnovabili, ma il nucleare è l'unica tecnologia prontamente disponibile su larga scala che sia alternativa ai combustibili fossili per la produzione di una fornitura di energia elettrica che assicuri il carico di base e sia compatibile con l'attuale sistema centralizzato imposto dalle corporation. Per di più molti dei problemi legati al cambiamento climatico, alla sicurezza nucleare, alla non proliferazione, sono a dimensione globale e gli accordi tra stati passano da verifiche affidate ai loro apparati militari, sostenitori dell'atomo. LA GRANDE MANIFESTAZIONE DELL'11 MARZO A TOKYO, SILENZIATA DAI MEDIA Sotto gli slogan "Sayonara Nucleare" e "Fukushima non si ripeta ancora", migliaia di persone rappresentate da associazioni si sono riunite nel parco di Hibiya, per dare forma ad un corteo che si è concluso sotto la sede del Parlamento, la Kantei. Le proteste, tuttavia, vengono contrastate da una nuova legge scellerata. I partiti giapponesi si sono scontrati in Parlamento riguardo ad una legge sui segreti di Stato. Secondo questo provvedimento il governo - e solo quest'ultimo- ha il potere di decretare quali possano essere i segreti di stato. Qualunque impiegato statale che divulghi questi "segreti" rischia di essere detenuto fino a 10 anni ed i giornalisti che rischiano di rimanere incastrati nelle maglie di questa vaga legge potrebbero scontare una pena fino a 5 anni di carcere. Questa indiscutibile battuta d'arresto della democrazia si è abbattuta sulle dimostrazioni per Fukushima. Alle spalle di queste restrizioni sulla libertà, c'è un rivitalizzazione del militarismo giapponese, che attenta alla sovranità popolare ed è altresì provocato dal disaccordo con la Cina riguardo al Mare del Sud. Le posizioni assunte dalla Cina sono servite come giustificazione da parte del Dipartimento di Sicurezza USA per il coinvolgimento da parte del militarismo industriale americano nel Sud-Est asiatico in appoggio al rilancio del nucleare ad opera del nuovo governo conservatore del Giappone. Contro la legge molti dei più famosi scienziati Giapponesi, inclusi i premi Nobel Toshihide Maskawa e Hideki Shirakawa, hanno guidato l'opposizione firmando una lettera pubblica di protesta che definisce la legge in questione una minaccia ai "principi del pacifismo e ai diritti umani fondamentali stabiliti dalla Costituzione". Non suona un pò troppo familiare tutto ciò? (www.energiafelice.it) Per una più ampia riflessione su questi temi rimandiamo al libro di Stephane Hessel e Albert Jacquard ESIGETE! Un disarmo nucleare totale a cura di Energiafelice (Agostinelli, Mosca, Navarra), ed. Ediesse, 102 pp, 6 euro.
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CENTRALE DI PORTO TOLLE: ECCO I DATI SU MORTALITÁ, TUMORI E RICOVERI Due aziende sanitarie distanti nemmeno 30 km, Rovigo e Adria. Nel giro di 10 anni però, dal 1987 al 2007, la mortalità nei comuni dei due distretti sanitari ha preso strade diverse. Sotto il distretto sanitario di Adria – riferimento per la popolazione del Polesine su cui insiste la centrale di Porto Tolle - la mortalità assoluta maschile registra un aumento del 2,6% contro un calo del 6,2% nel distretto di Rovigo; quella femminile +19,2 contro un +10,2%. Su questo divario la procura di Adria, su richiesta del pm Manuela Fasolato e del procuratore Dario Curtarello, decide di andare a fondo. Così affidano una serie di indagini e perizie sullo stato di salute della popolazione residente e dell’ambiente in un’area entro 30 km dalla centrale termoelettrica di Porto Tolle. I dati rilevano un’escalation: mortalità e ricoveri nel distretto sanitario di Adria salgono, in quello attiguo di Rovigo scendono o aumentano molto meno. Il divario, dicono le analisi epidemiologiche, non è poi riconducibile a una diversa distribuzione della popolazione anziana, visto che le persone sopra i 65 anni d’età sono distribuite in quote del tutto analoghe (22,5% per la Ussl 18, 22,7 per la n. 19). Nel dettaglio, le morti per tumore registrano un + 12,8% contro un calo dell’1,6 tra i maschi e addirittura un + 39,1% contro il 13,1% tra le femmine. Più in dettaglio ancora, tumore al polmone: + 12,9 ad Adria e -14,7 a Rovigo tra i maschi, +115% contro +49% nelle femmine. La differenza? Adria è l’azienda sanitaria di riferimento per la popolazione del Polesine su cui insiste la centrale di Porto Tolle. Eccole, dunque, le perizie che negli ultimi sei anni ha stretto il cerchio delle indagini intorno alla ciminiera della centrale. Nel giugno 2007 il professor Lorenzo Tomatis presenta un’ulteriore analisi sull’incidenza delle emissioni per verificare il nesso causale tra inquinamento dell’aria e aumento generale della mortalità e frequenza di danni acuti, subacuti e cronici per la salute. La perizia conclude confermando il nesso ma rimettendo ad ulteriori approfondimenti i meccanismi con cui si produce. Tre mesi dopo la terza perizia, firmata Tomatis-Rodriguez sulle particelle ultrafini e il rischio di lesioni cronico degenerative sollevava almeno in un caso di sarcoidosi la possibile correlazione con la presenza di micro particelle. Per il pm non è sufficiente e l’indagine sulle morti viene archiviata. Ma a marzo 2011 si riparte con le malattie respiratorie dei bambini. La base è un’indagine con questionari dell’Asl di Rovigo, Adria e Ferrara che aveva segnalato la ricorrenza di patologie asmatiche e respiratorie sulla popolazione pediatrica residente esposta: su 54 bambini la metà risultava affetta da asma, rinite allergica e dermatite topica. Ancora colpa della centrale? Per capirlo viene affidata la quinta perizia all’epidemiologo dell’Istituto dei tumori, Paolo Crosignani. A maggio 2012 la relazione accerta un significativo scostamento nei ricoveri ospedalieri per i bimbi, fino al 14% per i maschi, riconducibile all’esposizione di sostanze come SO2 e Vanadio, marker tipico delle centrali termoelettriche a olio combustibile nella flora. A stringere sulla centrale è la sovrapposizione dei dati epidemiologici a quelli sul deposito lichenico: le ricerche convergono, la centrale di Porto Tolle sembra l’unica fonte di inquinamento possibile fino alla provincia di Mantova. Thomas Mackinson (Il Fatto Quotidiano)
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Mutue autogestite
La finanza pulita
• Donatella Coccoli
Le Mag, mutue di autogestione, danno prestiti a chi ha un progetto o è in difficoltà. Una risposta anticrisi, ma la riforma bancaria ora può limitare la loro azione.
A
un broker incallito come il “lupo di Wall street” a sentir parlare di finanza etica verrebbe di sicuro un attacco di orticaria. Così anche ai “finanzialcapitalisti” nostrani che, come scrive Luciano Gallino, estraggono valore dagli esseri umani senza produrre nulla. In effetti l’economia solidale rappresenta un altro modo di pensare e trattare il denaro rispetto alle speculazioni e ai derivati “criminali”. Sono decisamente storie diverse. Come quella del biocaseificio dei fratelli Tomasoni in quel di Brescia. Qualche anno fa l’azienda fondata nel 1815 e unica a produrre nel Lombardo-Veneto il Grana padano biologico, si trovava in difficoltà; le banche non concedevano prestiti e, nonostante la storia gloriosa, il caseificio era sull’orlo del fallimento. Ma per fortuna sono intervenuti i Gas, gruppi di acquisto solidale, e la Mag 2, mutua di finanza autogestita di Milano. Il presidente Patrizio Monticelli ricorda ancora oggi quella avventurosa missione di salvataggio: “In 40 giorni abbiamo raccolto 150mila euro. Adesso l’azienda produce solo per i Gas, ha risolto i problemi e ha addirittura creato nuovi posti di lavoro”. Il segreto dell’operazione è stato non solo mettere a disposizione i soldi, ma “far sì che il consumatore intervenisse sostenendo il produttore, diventando esso stesso una sorta di coproduttore”. È un modello di finanza collegata alla produzione e al consumo, quello di cui è stata artefice la Mag 2 che, tra l’altro, proprio per questo intervento, ha ottenuto una speciale menzione al premio europeo di microfinanza 2012. SETTE MAG PER L’ITALIA Da 35 anni le Mag finanziano progetti imprenditoriali in tutti i settori: dalla cultura all’agricoltura, dai servizi sociali al welfare fino al marketing d’impresa. Idee e attività promosse da singole persone, associazioni o cooperative. I successi non sono mancati, come quello della rete delle 500
botteghe di Altromercato. Creata da “tre ragazzi dalle belle speranze, Rudi, Antonio e Heini che volevano dedicarsi alle importazioni di artigianato equo e solidale”, racconta Loredana Aldegheri direttrice e cofondatrice di Mag Verona, la prima mutua in assoluto, nata nel 1978. “Li abbiamo aiutati nello statuto della cooperativa e nella formazione e quando hanno avuto bisogno di denaro abbiamo costituito a lato una Mag tematica che per anni è stata la loro finanziaria e che poi è confluita in Banca Etica” conclude Aldegheri. Ogni anno le sette mutue di finanza autogestita (Verona, Venezia, Milano, Piemonte, Reggio Emilia, Roma e l’ultima nata, Firenze) gestiscono un capitale sociale che nel complesso si aggira attorno ai dieci milioni di euro, di cui circa 8 vengono reinvestiti finanziando progetti. Il resto va in microcredito per le emergenze e i casi di improvvisa povertà. Mentre le banche tengono ben stretti i cordoni della borsa e non prestano denaro a nessuno, mettendo in ginocchio artigiani e imprenditori, le piccole intermediarie finanziarie mutualistiche lo fanno. “La finanza etica è quella vera, paradossalmente”, spiega Pietro Raitano direttore di Altreconomia. “Se io ho più soldi di qualcun altro, li posso utilizzare dandoli a chi non ne ha. In tal modo faccio fruttare la sua idea e a quel punto sono ripagato. Non si tratta di filantropia, non regalo denaro, anzi, do la giusta remunerazione alla ricchezza e contribuisco a redistribuire il reddito”, precisa Raitano, la cui rivista è un altro caso di finanza etica, essendo edita dal 2007 da una cooperativa aperta di 620 soci. NUOVE NORME, NUOVI RISCHI Ma adesso c’è una spada di Damocle che pende sulla testa delle Mag: la riforma del Testo unico bancario, il dl 141 del 13 agosto 2010, di cui ancora si attendono i decreti attuativi. “Da una parte, all’articolo 106 la nostra attività viene equiparata a
quella di una banca tradizionale, dall’altra, al 111 è prevista la nuova figura del microcredito”, sottolinea Maria Pia Osella della Mag 4 Piemonte. “Ma viste le nostre caratteristiche attuali, non potremmo entrare né nel 106 né nel 111”, continua. La norma sul microcredito fissa il tetto dei finanziamenti a 25mila euro. Troppo pochi, se pensiamo che la Mag 4 ne eroga anche 200mila a progetto. Allora, nel 2010 la mobilitazione scattò subito: un appello firmato da migliaia di persone, incontri in Banca d’Italia e con le commissioni parlamentari Bilancio e Finanza. Nell’estate scorsa la bozza del decreto attuativo prevedeva una clausola che innalzava il tetto dei prestiti a 75mila euro. “Ma era una bozza e da allora non ne sappiamo più nulla: qui si rischia di cancellare quasi quarant’anni di storia” conclude con amarezza Osella. Ma come vengono erogati i prestiti? Chi ha un progetto e necessita di un finanziamento ne fa richiesta alla Mag. Il cda della cooperativa avvia l’istruttoria che deve valutarne la sostenibilità, dopo di che viene concesso il denaro. Il tasso di interesse viene deciso dall’assemblea dei soci, e anche se per esempio è dell’8,5 per cento, quindi piuttosto alto, non comprende spese accessorie né commissioni mentre il piano di rientro è molto “soft”. Il soggetto beneficiato entra a far parte della cooperativa e viene aiutato nei momenti di difficoltà mentre altri soci della Mag danno la loro fideiussone al prestito. “Nella scelta del progetto c’è sempre l’idea che sia portatore di qualche trasformazione sia per la persona che per la collettività”, spiega Cinzia Cimini della Mag Roma. Nata nel 2005, e ancora di dimensioni piccole con i suoi 130mila euro di capitale e 230 soci, mutua si sta avvicinando a realtà pro-
17 • duttive nuove della Capitale, come quelle di Officine Zero, la fabbrica occupata che si sta riconvertendo in centro sociale. SPERIMENTAZIONI E START UP L’8 marzo Banca Etica, nata dalle costole delle Mag, festeggerà i 15 anni di vita, mentre stanno “incubando” nuove mutue in Calabria, Sardegna, Toscana e Puglia. È indubbio che la galassia delle Mag, ognuna con le sue peculiarità, rappresenta una risposta dal basso molto forte contro la crisi. “Noi crediamo che il lavoro che non c’è lo si possa creare oltre che cercarlo”, afferma Loredana Aldegheri che nella Mag di Verona punta più alla formazione per fare l’impresa che ai finanziamenti tout court. Ne è un esempio vivente Laura, una ragazza di 32 anni, che dopo un dottorato di ri-
cerca in biotecnologie a Padova, ha deciso di tornare nel podere del nonno. “Adesso sperimento nei campi ed è fenomenale”, dice al telefono mentre con il vivaista sceglie le piante per il frutteto. Laura è “una nuova vita contadina”, commenta Loredana. Come la giovane, altri laureati o ex manager si sono reinventati una nuova occupazione. A Reggio Emilia, nella Mag 6 invece si studia molto. La banca del tempo, lo scambio volontario di beni e servizi e la realizzazione di un circuito senza l’uso del denaro rientrano in quella che Maurizio Berti, amministratore e socio fondatore definisce “una progettualità più ampia in cui la finanza è solo uno strumento”. Mentre sul reddito di cittadinanza il Parlamento ancora non decide nulla, i soci della Mag 6 per esempio hanno fatto da soli: per
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un anno viene erogato un reddito di esistenza di circa 700 euro a una ragazza trentenne precaria. Ma infine, al di là del denaro, il valore delle Mag sta anche in quanto racconta Gloria Vatti, della mutua di Roma. “Tempo fa marito e moglie, agricoltori strozzati dalle banche e totalmente sfiduciati, volevano acquistare un furgone. L’istruttoria fu molto sofferta, erano ostili anche nei nostri confronti. Quando sopraggiunse una difficoltà nel pagamento della rata dimostrammo che eravamo dalla loro parte, acquistando noi i loro prodotti. Il cambiamento è stato immediato: hanno cominciato a lavorare sui semi, hanno creato una fattoria didattica, insomma si stanno dando da fare. E hanno guadagnato qualcosa che prima non avevano: la fiducia in se stessi e negli altri”. (Left)
Mag Per non essere mai più schiavi del denaro Una Mag è una cooperativa finanziaria che eroga prestiti a condizioni particolari. Ma questo è riduttivo. “La Mag è una rete di persone e di aziende, spiega Chiara Lasala, della Mag 6 di Reggio Emilia, che si fonda sulle relazioni umane, sulla condivisione della ricchezza intellettuale e materiale, sulla valorizzazione delle differenze, con l’obiettivo di creare benessere per tutta la comunità”. Mag6 è nata nel 1988 con un gruppo di persone che hanno unito i risparmi per finanziare un progetto. È cresciuta a 1400 soci, sovvenzionando più di 200 proposte. “Le condizioni che regolano i nostri prestiti sono molto diverse da quelle che impongono le banche: chiediamo che non vi sia scopo di lucro, che il progetto migliori la qualità della vita del territorio e che venga autogestito. Non esigiamo garanzie patrimoniali: anche chi non ha casa di proprietà o lavoro stabile può accedere ai finanziamenti, perché sono proposte che hanno attorno una rete, è la comunità che si fa garante”. La maggior parte delle iniziative ha comunque una sostenibilità economica: “Ogni procedimento ha un socio che funge da referente, perché
l’erogazione dei fondi non sia una conclusione, ma l’inizio di una relazione e di proficue collaborazioni. Insieme si studia la proposta e la si valuta. I tempi non sono immediati: lo staff della cooperativa è di 7 persone e il principio guida è il processo decisionale lento che permetta di approfondire i legami personali ed esaminare ogni possibile implicazione economica. Il tasso d’interesse dei prestiti è fisso all’8,5%. “Gli interessi servono a coprire i costi di funzionamento della struttura. A volte capita che si rivolgano a noi soggetti economicamente forti, dotati del potere contrattuale per negoziare condizioni migliori con istituti di credito tradizionali. Vengono da noi perché credono nel progetto Mag e nei valori che portiamo avanti”. E si tratta di un progetto vincente, come testimonia bassissimo tasso di sofferenza. “Una parte consistente della nostra attività è legata a iniziative volte a diffondere una nuova cultura del denaro. Lo facciamo attraverso sperimentazioni reali e concrete, come quella che abbiamo chiamato REPA, Rete Economica a Prezzo Agevolato, un circuito a cui aderiscono le
aziende e i professionisti che si impegnano ad applicare uno sconto di almeno il 10% sui loro beni e servizi. Gli obiettivi sono: rinsaldare i legami fra acquirenti e venditori e fra il tessuto economico e il territorio di riferimento; agevolare l’acquisto di beni e servizi anche per chi ha possibilità economiche limitate; sostenere le imprese in difficoltà alimentando il loro indotto”. Altro esperimento che Mag6 sta portando avanti è il reddito di esistenza. “Così come avere accesso a una casa, all’istruzione, alle cure mediche, crediamo che sia un diritto di ogni persona anche percepire un reddito che le consenta di vivere dignitosamente e partecipare alla vita sociale”. La finalità è scardinare i collegamenti denaro-ricchezzapotere o denaro-tempo-lavoro: vogliamo dimostrare che l’identità di una persona e il suo ruolo all’interno della società non dovrebbero dipendere dalla sua professione”. Mag6 ha avviato un piccolo progetto pilota per capire se il reddito di esistenza è realmente applicabile: “Un nostro socio, scelto in maniera del tutto casuale, percepirà per un anno un reddito di 800 euro al mese, derivanti da una donazione pro capite che, se
all’esperimento aderiranno 160 persone, sarà di soli 5 euro. Ma l’obiettivo è aggiungerne almeno altri due, per raccogliere più dati possibile e capire se questo meccanismo può funzionare anche su larga scala e in che modo”. Analizzando le attività di Mag6 possiamo trarre un insegnamento: se al centro dell’economia poniamo i rapporti umani anziché l’accumulazione di ricchezza fine a sé stessa, è possibile costruire un nuovo sistema. Non un’utopia, ma un insieme di reti e relazioni che funziona – lo testimoniano le performance finanziarie della Mag negli ultimi anni – e che può costituire la base per una società più etica e più sostenibile. Francesco Bevilacqua (Italiachecambia.org)
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Genuino clandestino
Il gusto fuorilegge La normativa igienico-sanitaria (il cosiddetto “pacchetto igiene”) impone a chiunque si occupi della trasformazione di prodotti alimentari a qualsiasi titolo, livello e dimensione, di dotarsi di laboratori specializzati, che rispettino determinati standard di dimensioni e attrezzature. Alla base vi è la giusta volontà di tutelare la salute dei cittadini ma utilizzando come contesto di riferimento quello delle industrie alimentari che trattano medie e medio-alte quantità di prodotto e di manodopera. In questo modo le piccole realtà contadine, con produzioni contenute e prevalentemente stagionali, si trovano a dover affrontare norme di legge scoraggianti a partire dall’investimento iniziale per “mettersi a norma”. Inoltre, il numero degli adempimenti burocratici (per tracciabilità, sicurezza alimentare e autocontrollo) a cui è sottoposta un’industria con personale dedicato alla burocrazia e una piccola azienda a conduzione familiare è tendenzialmente lo stesso. Inoltre per le piccole e piccolissime realtà contadine c’è l’impossibilità sostanziale di creare un pericolo per il consumatore, perché le quantità ridotte di prodotto ne consentono la rapida trasformazione e una gestione sanitaria agevole, evitando contaminazioni o miscugli tra ingredienti destinati a produzioni differenti, dato il loro diverso periodo di raccolta e quindi non contemporanea presenza nei magazzini del laboratorio di trasformazione. Genuino Clandestino vuol dire anche responsabilità sociale, le persone che ne fanno parte perseguono un impegno civile-rurale a tutto tondo. Nel manifesto di Genuino Clandestino si trova un elenco di azioni praticate dalle comunità di questa rete informale a tutela del territorio, della società e dell’economia locale. Gli obiettivi del movimento sono tesi alla consapevolezza delle persone in rapporto con la struttura ecologica dei territori e sociale delle relative comunità. È forte, qui, il senso di responsabilità che il movimento si assume, praticando un’agricoltura contadina che tuteli la salute della terra, dell’ambiente e degli esseri viventi. I prodotti di quest’agricoltura sono messi a disposizione della comunità attraverso mercati di vendita diretta all’interno dei circuiti di economia locale, dove la trasparenza nella realizzazione e distribuzione del cibo è garantita dall’autocontrollo partecipato: questo non solo costringe l’agricoltore a rendere visibili le sue responsabilità am-
Genuino Clandestino è un movimento nato nel 2010 per per rivendicare la libera trasformazione dei cibi contadini e denunciare un insieme di norme ingiuste che li rende fuorilegge. • Emanuele Gòsamo
bientali nelle operazioni di coltivazione e trasformazione e costruzione dei prezzi, ma stimola chi compra i suoi prodotti a chiederne conto, in una mutua crescita culturale. Su questo filone s’inserisce il principio di autodeterminazione alimentare promosso dal movimento: il diritto a un cibo genuino, economicamente accessibile e locale. Perciò la responsabilità sociale del movimento si allarga alla salvaguardia attiva del patrimonio agro-alimentare bio-diverso e al sostegno dell’accesso e del ritorno alla terra come scelta di vita e strumento di azione politica. Di sé gli aderenti alla campagna “Genuino Clandestino” dicono: “Siamo produttori biologici. Utilizziamo risorse abbondanti come il tempo e il lavoro umano e risparmiamo quelle preziose come l’acqua e la terra. Non abbiamo i mezzi necessari per affrontare la spesa di messa a norma di un laboratorio, ma non vogliamo essere considerati fuorilegge. In altri paesi europei, o regioni d'Italia (ad es. provincia di Bolzano) esiste una distinzione tra gli standard igienico-sanitari per le grandi industrie e quelli imposti ai piccoli produttori. Questo ha permesso a molti contadini di mettersi in regola; è un precedente importante, che fa ben sperare per il futuro anche in altre regioni.” Ovviamente gli standard di igiene minimi devono essere sempre rispettati e il trasformatore deve essere sempre sicuro e responsabile di ciò che vende, scambia o regala a terzi. Genuino Clandestino propone l’autocertificazione del prodotto, il produttore che “ci mette la faccia” e risponde personalmente del suo operato nei confronti di chi compra il suo prodotto. Tutto questo presuppone filiera corta,
PESCA NEL RISPETTO DELL'AMBIENTE? Quasi ovunque, vengono pescati troppi pesci e le specie ittiche non riescono a rigenerarsi Secondo uno studio del WWF su una superficie di 100 milioni di kmq - un terzo della superficie marittima totale - lo sfruttamento ittico è talmente avanzato da pregiudicare l’ecosistema. Le cause principali della pesca eccessiva vanno cercate nelle forti lobby dell’industria ittica, nella sproporzionata flotta di pescherecci e nell’inadempienza dei contingenti. I pescherecci esistenti al mondo corrispondono a due volte e mezzo quelli ammissibili secondo criteri sostenibili. La flotta peschereccia dell’UE cattura, ad esempio, circa il doppio della quantità ittica consigliata dagli scienziati. A questo sfruttamento smisurato va aggiunta la pesca illecita praticata in parecchi luoghi. Sui siti delle associazioni ambientaliste trovate dati e approfondimenti su questo tema. A noi interessa invece l'etichettatura, che è molto diffusa in nord Europa e in Spagna ma quasi del tutto assente in Italia, che certifica che il pescato è ecosostenibile. Le etichette delle 2 principali ditte di certificazione si trovano su pesce surgelato, scatolame, cibo per gatti, ecc. Per fortuna aumentano i rivenditori e i consumatori che, per fare scelte sostenibili, si affidano ad acquisti certificati. I grandi protagonisti del settore sono due, Marine
19 • mercati di vendita diretta locali e presenza di una comunità di consumatori e produttori attivi e consapevoli sul territorio; non la vendita a distanza, i grandi numeri da supermercato e strategie di marketing. Un marchio di tutela “Clandestino” non accompagnato da questa consapevolezza sarebbe probabilmente la fine dell’esperienza di G. C., l’omologazione al corrispettivo prodotto di nicchia dentro un mercato di qualità e la perdita di senso di una direzione di disobbedienza civile a salvaguardia del futuro del gusto e della tradizione.
Stewardship Council (MSC) e Friend of the Sea (FOS): entrambi offrono schemi di certificazione che garantiscono (o dovrebbero garantire) il ricorso a stock non sovrasfruttati. Anche in Italia ci sono prodotti con queste dichiarazioni di sostenibilità: per esempio i filetti di sgombro Rizzoli e il tonno As do Mar
per FOS, le vongole o il salmone affumicato Coop, le sardine Alma Brand, i filetti di merluzzo surgelati Ocean 47, il sugo di nasello Dinon e i trancettini con salmone Sheba per MSC. Su you tube troverete filmati e documentari su come sono allevati o pescati il pangasio in Estremo Oriente o i filetti di persico in Africa, che fanno capire come la qualità del prodotto sia completamente sacrificata alla quantità da vendere. Un'altra moda che sta avanzando è quella di mangiare krill in scatola, piccolissimi gamberetti pescati nelle zone artiche, che sono il cibo dei pesci degli oceani; per cui stiamo arrivando al capolinea togliendo anche il cibo dalla bocca ai pesci. I consumatori devono cercare negli scaffali prodotti con i marchi “Marine Stewardship Council” e Friend of the sea” e cominciare a chiedere a grandi centri e piccoli negozi di metterli in commercio. Comprando pesci provenienti da questi stock, i consumatori scelgono una pesca sostenibile, il che significa che possono mangiare pesce senza timore di vederlo scomparire per sempre. Franco Rigosi
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UN SEMPLICE MANUALE PER
DIFENDERSI DAI PESTICIDI
• Michele Boato
Il WWF AltaMarca (la zona collinare in provincia di Treviso, dove si produce il famoso Prosecco) per la penna di Gianluigi Salvador, ha pubblicato Manuale per difendersi dai pesticidi, un fascicoloche consigliamo di leggere e diffondere a coloro che vivono in zone dove gli agricoltori fanno abbondante uso di pesticidi. Si può richiedere a info@wwfaltamarca.it, o scaricarlo da www.wwfaltamarca.it Inizia elencando i molti effetti tossici delle molecole più utilizzate per irrorare le viti (come il Glifosate, erbicida il cui monitoraggio è effettuato solo in Lombardia): mutageni sul DNA, teratogeni sull’embrione, cancerogeni, sul sistema riproduttivo, ecc. Particolari danni provocano sui bambini, per il loro veloce metabolismo, la maggiore vicinanza al suolo, il respirare a bocca aperta, l’abitudine a portare mani e oggetti alla bocca: assorbono maggiori quantità di veleno dal cibo (mangiano, in proporzione al peso, 6 volte più di un adulto; devono 4,8 volte di più e respirano 2,3 volte più di un adulto). Perciò i bambini hanno maggiori probabilità di anomalie congenite e malattie croniche; l’enorme crescita di tumori tra i neonati (0-12 mesi) in Italia ne è una prova allarmante: un aumento del 3,2% annuo, il triplo della media europea (1,1%), e il 60% in più dell’intera popolazione italiana (2%). Il fascicolo prosegue illustrando la crescita di neoplasie maligne nell’ULSS 7 Treviso (Conegliano -Vittorio Veneto): i soggetti esenti ticket per neoplasie maligne crescono, anno per anno, dai 8.760 del 2007 agli 11.595 del 2012. Questo dato (ottenuto con estrema difficoltà, solo grazie l’intervento del Difensore civico reg.) viene messo a confronto col parallelo crescere della vendita di pesticidi nella stessa area. CHI IRRORA VELENI, PROTEGGE SOLO SÉ STESSO I contadini, scrive il WWF, quando irrorano i pesticidi sono protetti da maschera e tuta, mentre non usano protezione quando lavorano nel vigneto; esaminando le loro urine si è scoperto che, mentre dopo il trattamento gli inquinanti sono poco superiori alla media, dopo la legatura dei tralci sono quasi 4 volte superiori alla media: questa è la condizione delle persone che vivono vicino ai vigneti: non hanno tuta e maschera ed assorbono dosi massicce di veleni. PERCIÒ, IN ATTESA CHE VENGANO PROIBITI, DIFENDIAMOCI! Il fascicolo dedica la seconda parte a consigli pratici, presenti anche nelle Linee guida della Regione, validi da aprile (inizio trattamenti) alla vendemmia: ** Evitare di soggiornare all’aperto, passeggiare o giocare: quando vengono irrorati i pesticidi nei vigneti vicini alle strade, non vengono esposti cartelli per avvisare del pericolo: l’agricoltore si protegge con maschera e tuta, ma ritiene imbarazzante segnalare un pericolo di avvelenamento dove si produce un prodotto alimentare… ** Evitare di arieggiare le abitazioni. ** Coprire con teli le verdure degli orti durante i trattamenti di viti vicine. ** Chiedere all’agricoltore di essere informati preventivamente delle date dei trattamenti: inoltre, l’art.674 del Codice penale e il Regolamento comunale di polizia rurale impongono al viticoltore di eseguire i trattamenti in modo che i pesticidi non invadano la proprietà altrui; quindi vanno effettuati in assenza di vento, con getti direzionati verso l’interno e a distanze prestabilite. ** Se avete l’orto vicino al vigneto, lavare accuratamente la verdura con bicarbonato di sodio: gli atomizzatori a barre orrizzontali fanno arrivare tracce di veleno fino a 330 metri (Univ.Padova ottobre 2010). ** È sconsigliato partecipare a passeggiate ed escursioni in bici tra le vigne, soprattutto con bambini, in primavera ed estate. Per questo, ad es, il sindaco di Vidor (Tv) e la Provincia di Treviso ogni anno emettono un’ordinanza di divieto di transito in un percorso storico-naturalistico da aprile ad agosto, causa trattamenti fitosanitari sulle coltivazioni. ** Proteggere i cani e i gatti: i veterinari osservano un aumento di tumori al naso e alle zampe di quelli a contatto con erba e piante trattate. Ma poi vengono anche i nostri figli che li prendono in braccio. Tenete la loro cuccia lontano continua a pg. 21 dal fondo trattato, altrimenti respirano pesticidi 24 ore al giorno.
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Un terzo del differenziato finisce negli inceneritori
Plastica in fumo Il dentifricio e lo spazzolino. Il flacone del detergente. Il barattolo del caffe e quello dello zucchero. La busta dei biscotti. Sin dai primi minuti della giornata basta un colpo d'occhio per vederlo. Siamo circondati dalla plastica. O meglio, dalle plastiche. Una varietà di materiali prodotti con polimeri diversi a seconda della destinazione d'uso. Una ricchezza utile all'industria, ma che si sta traducendo in un problema nella raccolta differenziata delle plastiche e nel loro riciclo. A vantaggio dell'incenerimento, che brucia un terzo di quanto mettiamo diligentemente nel cassonetto della differenziata.
TROPPO SCARTO Il riciclo delle plastiche nel 2011 e arrivato al 36% di quanto immesso in commercio: un dato che sembra deludente, e che invece è ben superiore allo standard obiettivo del 22,5%. In controtendenza con altri settori toccati dalla crisi, nel 2012 la raccolta differenziata di questo materiale è aumentata del 5%. Di tutto il raccolto, il 61% è stato riciclato. Il restante 39%, sebbene inserito dai cittadini nei contenitori della differenziata, è rimasto fuori. Nel 39% raccolto e non riciclato c'è un 10% circa di materiali estranei, conferiti erroneamente con le plastiche: sassi, radio, ciabatte, per esempio. Al netto di questi intrusi, quindi, la quota raccolta e non riciclata scende a circa il 29% di quanto raccolto. Comprende materiali in plastica ma con caratteristiche che ne impediscono il riciclo. È il caso dei pezzi troppo piccoli, la carta delle caramelle per esempio, o dei rifiuti sporchi, con residui, come nel caso del tubo di silicone, oppure ancora degli imballaggi composti di polimeri diversi, accoppiati in modo inscindibile e incompatibili con il riciclo, che invece richiede il trattamento di polimeri omogenei. Sono tali molti imballaggi di uso quotidiano, quelli in cui sono confezionate frutta e verdura, per esempio, ma an-
• Marta Strinati
La buttiamo nel cassonetto sperando nel riciclo. Invece spesso viene bruciata per produrre energia, per colpa di un mercato distorto
che le bottiglie in Pet "inquinate" da etichette in Pvc, Tutti i materiali plastici non riciclabili sono destinati al recupero energetico, vale a dire combustibile a basso costo per inceneritori e cementifici, Un boccone ghiotto.
DOPPIO VANTAGGIO Spiega Edo Ronchi, autore della legge quadro sui rifiuti del '97 e presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile: "Mentre il riciclo della plastica non è incentivato, lo è il recupero energetico. E nella pratica è più conveniente bruciare la plastica per trarne energia che riciclarla. Ma si tratta di una soluzione illogica e anche contraria alla normativa europea". La direttiva rifiuti 98/08 pone infatti il recupero energetico all'ultimo posto tra le opzioni cui ricorrere per evitare la discarica: ridurre,
riusare, riciclare e, appunto, recuperare energia. La convenienza del recupero energetico per far marciare inceneritori e cementifici però è massima. E dura da intaccare: chi ha questi impianti si è abituato a lucrare, visto che invece di pagare l'acquisto del combustibile si fa pagare per prenderlo. È una distorsione del mercato, perché finora il rapporto si è basato sul bisogno di smaltire i rifiuti, che rappresenta un costo. Fino a quando il rifiuto sarà un costo e non una fonte di energia, la convenienza sarà massima per chi lo riceve. Com'è stato finora, tanto che in Olanda i combu-
IL GUADAGNO DEI COMUNI La prima selezione va fatta in casa. Perché gettare imballaggi non ammessi nel cassonetto della plastica è un danno economico per le casse del Comune, quindi per i contribuenti. Per i materiali raccolti con la differenziata, i Comuni incassano dal Corepla un corrispettivo che varia in funzione della qualità del rifiuto. Nella raccolta monomateriale della plastica si va dal massimo livello, con frazione estranea inferiore al 4% e pagato al Comune 305 euro a tonnellata, a zero, quando lo scarto supera il 15%. Per spingere i Comuni a migliorare la qualità, l'Accordo 2009-2013 Anci-Conai, tra l'associazione dei Comuni e il Consorzio imballaggi, ha dato una stretta ai corrispettivi. Che ha fruttato: nel 2011 i conferimenti in prima fascia sono cresciuti dal 31,67 al 36,28%. Restano però da recuperare i due terzi nelle fasce peggiori.
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DIFENDERS DAI PESTICIDI / da pg. 19
** Attenzione ai luoghi di ristoro immersi nelle colline del Prosecco: siete sicuri che nei giorni precedenti non siano state trattate le vigne con potenti pesticidi? La verdura che vi mettono in tavola dove è stata coltivata? Sulle altalene e gli scivoli su cui vanno i vostri bambini quanti veleni si sono depositati? Meglio conoscere bene la situazione e premiare, diventando loro clienti, solo i ristoratori corretti, che non utilizzano prodotti inquinati da pesticidi. ** Prima di brindare, magari alla vostra salute, chiedetevi quanti pesticidi sono stati usati per irrorare l’uva utilizzata per quel vino e, se viene da un vigneto situato vicino ad una scuola o ad un asilo, dove ai bambini il sindaco fa respirare pesticidi per consentire guadagni ad ogni costo. In questo caso evitate di comprare e di bere quel vino. ** Acquistare solo alimenti da produzione biologica certificata o da agricoltura naturale, per spezzare questo mercato del veleno e del disprezzo della vita, non essendone complici. ** In caso di conflitto, raccogliere foto, filmati e testimonianze in modo da poter agire per far valere i diritti della salute; in caso di malessere che si pensa correlato ad esposizione a pesticidi, richiedere al medico di verbalizzare nel referto le circostanze in cui i disturbi si sono verificati.
Scrive il poeta Andrea Zanzotto:
“Prima c’erano i campi di sterminio, ora c’è lo sterminio dei campi, ed è la stessa logica”
In Francia regalano un pollo per smaltire gli avanzi vegetali Nel comune di Barsac in Gironda nel sud della Francia, zona di campagna e vigneti, sono in distribuzione polli da allevare con gli avanzi di cucina. La proposta nasce dall’analisi fatta dal sindaco Philippe Meynard, ovvero che un pollo consuma all’anno 150 Kg di avanzi. Barsac è un piccolo comune abitato da poco più di 2000 abitanti che però hanno accolto con grande entusiasmo la proposta di adottare un pollo mangia avanzi. Per ora ne saranno distribuiti 150 a altrettante famiglie. I polli sono stati consegnati con una cerimonia di adozione molto apprezzata sopratutto dai bambini con tanto di carta di adozione e consigli su come allevarli. Per il sindaco grande soddisfazione poiché così conta di risparmiare circa 15 mila euro all’anno sui costi di incenerimento avendo 150 tonnellate di rifiuti in meno. E sopratutto allevando polli
il sindaco vedrà ridurre quella quota di 140 kg di rifiuti a testa e per anno dei suoi concittadini. L’idea è partita dal piccolo comune di Pincé (Sarthe) e seguita poi da Mandres-les-Roses (Valde-Marne) e l’agglomerato di Besançon (Doubs). Spiega Jean-Louis Bergey, direttore de l’Ademe (Agence de l’Environnement et de la Maîtrise de l’énergie) della regione Aquitaine: “Sembra marginale ma non è inutile anzi è un sistema eccellente per la riduzione dei rifiuti che va adottato assieme al compostaggio e peraltro risulta anche essere un metodo pedagogico formidabile”. Marina Perotta (Ecoblog)
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Torino-Lione
TAV: una follia da 26 miliardi R emy Prud’homme su Les Echos non usa mezzi termini definendo l’opera “una follia” che farà spendere a Francia e Italia 26 miliardi di euro, un costo maggiore di quello sostenuto per il tunnel della Manica che è in perdita pur avendo potenziali di ricavo decisamente superiori, visto che il flusso dei passeggeri è di 14 volte superiore a quello della Torino-Lione, linea sulla quel transiterebbero anche un terzo delle merci che viaggiano fra le due capitali di Regno Unito e Francia. I ricavi dei tunnel sotto la Manica non coprono le spese di manutenzione e investimento, mentre quelli della galleria alpina faticherebbero a coprire il 10% dei costi. Il costo del progetto, concepito negli anni Novanta, è lievitato da 16 a 26 miliardi di euro. I costi non sarebbero coperti nemmeno se il traffico ferroviario fosse rimasto quello di vent’anni fa, ma sulla linea TorinoLione il flusso di merci e persone è diminuito drasticamente, per tante ragioni: la deindustrializzazione dei due paesi, la fine della crescita, la costosa apertura dei tunnel ferroviari svizzeri e una maggiore efficienza della linea stradale. In due nazioni con i conti pubblici in bilico, costantemente sotto la lente dell’Ue, i costi di realizzazione, gestione e manutenzione sarebbero all’85-90% a carico dello Stato con un intervento minimo da parte dell’Unione Europea la cui partecipazione potrebbe variare dal 10 al 15%. Una situazione che Prud’homme non esita a definire “bizzarra”, nella quale l’Ue da un lato esige che Francia e Italia riducano il debito pubblico e il carico fiscale, dall’altro le incita a fare ingenti spese inutili. Nell’agosto 2013, la Corte dei Conti d’Oltralpe si è espressa sull’opera raccomandando di non escludere l’alternativa della linea esistente, mentre nel giugno 2013, la Commission Mobilité presieduta da Philippe Duron ha presentato un rapporto sugli investimenti da fare nel settore trasporti sottolineando la priorità assoluta da dare alla manutenzione della rete preesistente e lo stop a qualsiasi progetto di implementazione della rete ad Alta Velocità. Per la maggioranza dei politici italiani, invece, la Tav resta “strategica”, nonché uno dei pochi argomenti da larghe intese. (Ecoblog)
Secondo i politici, l’Europa la vuole e, dicono, in Francia nessuno protesta per la sua realizzazione. La linea ferroviaria Torino-Lione con il tunnel da 26 miliardi continua a far discutere. Il Ministero dell’ecologia francese ha definito la Tav “non prioritaria” e la valutazione per l’eventuale realizzazione è stata rinviata di 20 anni. • Davide Mazzocco
Ipotesi di reato contro i proponenti della linea Alta Velocità
TORINO-LIONE: TRAFFICI IN CONTROTENDENZA MA IL GOVERNO TACE Ennesima ipotesi di reato contro i proponenti della linea Alta Velocità Torino-Lione: questa volta l’accusa è a carico del Commissario straordinario del Governo, per non avere adeguatamente informato il Governo e il Parlamento della caduta delle previsioni di traffico sulle quali era stata basata la necessità di costruire una nuova linea ferroviaria fra Italia e Francia. L’impegno a presentare esposti anche quando rischiano di essere archiviati, nonostante abbiano motivazioni tecniche importanti e ineccepibili, nasce dalla speranza che le tante incongruenze, per non dire irregolarità, che caratterizzano l’iter di questo progetto alla fine riescano ad emergere e la giustizia possa davvero essere fatta. Nel caso specifico i firmatari hanno evidenziato che il mandato del Commissario straordinario del Governo, ex legge 400/88, prevede un incarico finalizzato a “realizzare specifici obiettivi in relazione a programmi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei Ministri”, ma nel caso della Torino-Lione i programmi del Governo non possono essere diversi da quanto ha stabilito il trattato fondamentale del 29 gennaio 2001, che condiziona la realizzazione dell’opera alla saturazione dei valichi esistenti. Tale interpretazione è pienamente avallata dagli esperti di diritto internazionale del Governo francese nell'Audit commissionato dal Governo stesso e dall’Assemblea nazionale nel 2003. Quindi diventa un obbligo del Commissario di Governo
informare Governo e Parlamento che le situazioni di traffico sono completamente mutate rispetto a quelle del 2004, elaborate nel 2007, per consentire a Governo e Parlamento di gestire i tempi e i modi di realizzazione del progetto tenendo conto dei nuovi scenari che si sono creati. Nel caso specifico il ponderoso Quaderno n. 2 dell’Osservatorio, che è dedicato a questo argomento, partendo da un volume di traffico di 144 milioni di tonnellate rilevato nel 2004 da “Alpinfo” nell’arco da Ventimiglia alla galleria dei Tauri, sulla direttrice di Vienna (escludendo Tarvisio e con piccole variazioni che valgono nel complesso l’1%) arriva a ipotizzare che nel 2025 il traffico totale di quest’arco possa giungere a 264 milioni di tonnellate. Su una serie di discutibili affermazioni sulle quali erano basate queste previsioni, presentammo nel 2007 un dossier con “75 contestazioni ai primi due quaderni dell’Osservatorio”.Il dato di 264 milioni di tonnellate è stato poi immesso nel modello di previsione di LTF, accettato dall’Osservatorio, e ha prodotto le previsioni che sono ancora ufficiali, anche se totalmente infondate. Infatti i dati di “Alpinfo”, resi noti recentemente, evidenziano che nel 2012 il totale delle merci transitate nel precitato arco alpino è pari a 140 milioni di tonnellate, con una leggera diminuzione rispetto al 2004, mentre la previsione ipotizzava un passaggio di 190 milioni di tonnellate. In presenza di un dato che
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La penale ai No TAV: un vero “boomerang”
inverte le previsioni su di un arco temporale così significativo (8 anni) è estrema-mente grave che non sia stato aggiornato il modello di previsione per fornire al Governo e al Parlamento dei dati aggiornati rispetto a quelli totalmente errati e che si insista su prevedibili aumenti di traffico infondati. Ricordiamo che. in presenza di un calo generale dei traffici merci su tutto l’arco alpino, la diminuzione dei traffici fra Italia e Francia è ancor più accentuata. Le possibili conseguenze di decisioni politiche sbagliate o intempestive, prese sulla base di un quadro di previsione errato, sono evidenti. Pertanto riteniamo doveroso chiedere alla Magistratura di verificare gli atti del Commissario straordinario in questa e in altre situazioni: ad esempio l’aver dichiarato “Low cost” un progetto che trasferisce a totale carico dell’Italia la tratta di 22 chilometri fra Susa e Chiusa San Michele del valore di oltre 2 miliardi di euro, che prima era stata classificata come “internazionale”, cioè con la ripartizione dei costi fra Italia, Francia e Unione Europea. Mario Cavargna - Pro Natura Piemonte
Nota. L’esposto, depositato alla Procura di Roma, è stato firmato da Mario Cavargna, presidente di Pro Natura Piemonte, Alberto Veggio, consigliere comunale del gruppo “Bongiorno Condove, e da Marco Scibona, senatore del Movimento 5 Stelle.
Ci sono fatti che diventano notizia anche quando i grandi media non vorrebbero mai e in quel caso si vedono costretti a intervenire a modo loro. L’ultimo caso è la d e c isione della Cgil torinese che all’inizio di marzo ha votato a stragrande maggioranza un ordine del giorno critico nei confronti dell’alta velocità: 169 voti a favore, più del doppio di quelli contrari (82). Per la prima volto dopo molti anni, a opporsi in pratica restano solo gli edili della Fillea, un risultato impensabile soltanto poco tempo fa.
Tutti i tentativi per fiaccare il Movimento No TAV (processi a raffica, rinvii a giudizio per “reati” di opinione, intimidazioni di vario genere) provocano un risultato opposto a quello che si prefiggono e generano una maggior coesione del Movimento stesso. La condanna di Loredana Bellone, sindaco di San Didero, Giorgio Vair, vicesindaco dello stesso comune, Alberto Perino, esponente del Movimento No TAV, a versare un indennizzo di circa 215.000 euro a LTF (Lyon Turin Ferroviaire) per presunti danni, ha suscitato un’indignazione estesa a tutta l’Italia, con migliaia di cittadini che non si sono limitati a esprimere solidarietà a parole, ma hanno contribuito a raccogliere, in un tempo brevissimo, una cifra enorme, largamente superiore alla penale da versare. Al 13 febbraio la somma raccolta superava i 260.000 euro. Un dato che dimostra come il Movimento sia radicato nel tessuto sociale e che deve far riflettere chi si ostina a voler mandare avanti un progetto insensato. Ma veniamo ai fatti: il 12 gennaio 2010 LTF occupava i terreni nella zona dell’autoporto di Susa per fare uno dei carotaggi previsti, senza avere la prevista autorizzazione del comune di Susa, giunta 3 giorni dopo. Da parte di LTF si trattava di una forzatura, cui si opponeva in modo pacifico un gruppo di dimostranti che parlamentavano per fermare il carotaggio; fra di essi la Polizia individuava tre persone rappresentative. La pesante indennità finanziaria da pagare è stata la molla che ha mosso migliaia di cittadini, certamente non “signori” dal punto di vista finanziario, che si sono autotassati per esprimere l’impegno comune a sostenere questa Resistenza. Una bella lezione di senso civico e di altruismo nei confronti dei troppi evasori fiscali, preoccupati solo di truffare lo Stato per accumulare beni e ricchezze a danno di tutta la collettività (e.d.).
TAV SOTTO FIRENZE INUTILE E DANNOSA Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi Signor Presidente, a giugno 2010, Lei, da sindaco di Firenze, dichiarò, in relazione al progetto TAV che interessa la città di Firenze: «Faccio notare al governo nazionale che in tempi di crisi l’idea di investire un miliardo e rotti in questa opera, fra tunnel e stazione, che non serve a nulla non è una buona idea. L’Alta velocità a Firenze c’è già e i treni veloci qui già si fermano. Perché se hanno un miliardo di euro da buttare via in questo modo non lo mettono sulla scuola?». Dal 2010 a oggi il contesto economico non è mutato, se non in peggio. Gradiremmo sapere pertanto, adesso che ha raggiunto il ruolo di massima responsabilità in quel governo nazionale richiamato nella Sua dichiarazione del 2010, se Ella intenda dare concreta attuazione all’auspicio formulato, disponendo finalmente di opportuni strumenti di intervento. Girolamo Dell’Olio - presidente dell’Associazione di volontariato Idra
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NELLE CITTÁ MEDIO-PICCOLE COME GORIZIA
OPPORTUNITÁ CAR SHARING Con 1'individualismo edonistico e l'inefficienza dei mezzi di trasporto privati (con rendimenti del 35%) siamo arrivati a ingolfare le città e soffocarle con costi sanitari, ambientali e sociali non più sostenibili. In Italia abbiamo 606 veicoli ogni 1000 abitanti, contro la media europea di 471. La tesi di Giulio Geremia, vincitrice del concorso per tesi ICU-Laura Conti 2013, parte dalla psicologia dell'autista e dalle carenze e rigidità dei trasporti pubblici per analizzare il car sharing (nato in Europa nel 1980) e approfondirne le situazioni nel mondo, molto diversificate: gestione pubblica o privata o da cooperative; sostegno e azione di governi centrali e locali; utilizzo di applicazioni di smartphone; diverse tariffazioni, ecc. Dimostra che un'auto in car sharing sostituisce da 6 a 13 veicoli privati, con minor inquinamento e consumi dato che si usano mezzi piccoli e moderni, molte volte elettrici, e che almeno fino a circa 7000 Km/anno conviene non acquistare un'auto privata. La tesi studia poi un progetto organizzativo, gestionale mirato a città di medie dimensione, riducendo i costi per i cittadini ma con molte variabili: chilometraggi brevi o lunghi, tempi di utilizzo brevi o prolungati, diverso numero di punti parcheggio/prelievo, e soprattutto presenza o meno di aziende pubbliche e private che risparmierebbero sulla flotta di auto di servizio. Le amministrazioni pubbliche dovrebbero essere i primi clienti di questo servizio per risparmi propri e per favorirne lo sviluppo. Invece anche il Comune di Venezia non è impegnato in questa scelta. Concludendo un approfondito e chiaro metodo di progettazione, compreso il piano finanzario, applicato a Gorizia col conteggio dei risparmi per il Comune se utente di tale servizio. Un modello utilizzabile subito in moltissime città italiane, e pure straniere, che diffondiamo per migliorare la vivibilità urbana. Riportiamo alcuni brani dell’introduzione della tesi. Franco Rigosi - Componente la Giuria del Premio ICU - Laura Conti
L’immagine che la mobilità urbana ha dato e continua a dare, è di un sistema disorganizzato e disomogeneo, in cui l’individualismo ha portato a un’estrema rigidità dei sistemi di trasporto, e causato scenari di paradossale inefficienza. Il boom economico degli anni ‘60 e l’aumento del reddito hanno rapidamente modificato abitudini e stili di vita: mentre prima l’automobile era un bene di lusso per pochi, ora sempre più cittadini acquistano un mezzo privato. I viaggi diventano più frequenti, irregolari sia nei percorsi che negli orari; ogni cittadino può soddisfare le proprie esigenze senza ricorrere al sistema di trasporto di massa. La crescente domanda di veicoli privati è stata tradizionalmente assorbita da un’offerta sempre più competitiva da parte delle industrie dell’automobile che, aumentando gli standard del sevizio, hanno generato un’ulteriore crescita delle aspettative degli utenti, spinti ormai definitivamente a considerare l’automobile come l’unica opzione per la mobilità. A fronte di questo incremento di domanda, si contrappone la sostanziale rigidità dell’offerta del trasporto pubblico, basata su soluzioni di trasporto di massa per
spostamenti sistematici, che comporta l’inevitabile riduzione del numero di clienti innescando una spirale che ha portato il trasporto pubblico alla crisi finanziaria. La diminuzione dei clienti causa una riduzione del profitto, da qui la mancanza di investimenti per adeguare gli standard del servizio e lo scarso interesse da parte degli utenti che si traduce, nuovamente, nella diminuzione della domanda. L’automobile privata offre indiscutibili vantaggi dal punto di vista della flessibilità di utilizzo. Attualmente, però, complice la crisi economica, cresce l’insofferenza degli utenti nei riguardi degli elevati e crescenti costi del mezzo proprio. Inoltre, soprattutto nelle grandi città, dove l’offerta infrastrutturale è rigida, l’utilizzo in massa del veicolo proprio comporta grandi disagi riguardanti viabilità, spazi urbani e benessere ambientale. L’offerta veicolare ha certamente considerato queste problematiche, ma ha adottato sempre un unico approccio per risolverle: produrre tipologie di veicoli che potessero soddisfare le esigenze di quanti più clienti possibile, secondo le logiche di mercato. Così, le case automobilistiche hanno ideato modelli di automobili eco-
nomici, dai consumi ridotti, di piccole dimensioni e maneggevoli, veicoli ecologici ecc. Il mercato offre ampie possibilità per chi vuole acquistare un veicolo, ma non prevede un’alternativa conveniente per chi ne fa un uso solo occasionale. In quest’ottica, il Car-sharing (letteralmente “condivisione di automobile”, servizio di trasporto che permette l’utilizzo, in sequenza, di un unico veicolo da parte di più utenti) svincola l’utilizzo del mezzo dal suo possesso, risultando più economico per chi ne fa un uso limitato, e si pone come complementare al trasporto pubblico, offrendo una flessibilità di utilizzo paragonabile all’automobile di proprietà. Il car-sharing ha cominciato a svilupparsi in Europa negli anni ’80 e, attualmente, funziona in tutte le città europee di grandi dimensioni. Nonostante la sua ormai larga diffusione, la progettazione del servizio non è ancora stata formalizzata; essa si basa su linee guida individuate da progetti di ricerca e sulla pratica comune. Molti autori propongono dei metodi per dimensionare le componenti del servizio (numero di veicoli da impiegare nella flotta e numero di parcheggi); il loro limite è, però, di essere contestualizzati a situazioni particolari, dipendenti dalla domanda di un’area. Quando, invece, questi metodi propongono dei principi generali, applicabili a tutto l’universo dei possibili gestori, il livello di astrazione è così elevato da risultare difficilmente applicabile a situazioni reali. In questa tesi, si è voluto analizzare il servizio del car-sharing per identificarne le caratteristiche peculiari, studiando l’organizzazione del servizio e come questa viene declinata da parte maggiori provider europei. Ci si concentra poi sulla possibilità di impiego del car-sharing in città di medio piccole dimensioni, proponendo una metodologia, per il dimensionamento generale del servizio in queste realtà, che sia sufficientemente flessibile da permetterne l’applicazione ad un caso specifico (la città di Gorizia). Giulio Geremia
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Treni vintage modello Far West
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Varata la nuova linea strategica delle Ferrovie per i pendolari. Viaggi come nell’Ottocento, assalto dei predoni compreso. A fronte del raddoppio del prezzo del biglietto • Michele Serra
Euforia dopo la rimozione del locomotore inclinato sulla Genova-Ventimiglia. L’operazione è perfettamente riuscita, e sarà seguita da una sfida tecnologica ancora più esaltante: rimuovere la chiatta usata per la rimozione. Nel frattempo i treni possono ricominciare a sfrecciare lungo la tratta, inaugurata da Francesco Crispi e percorsa per la prima volta, tra due ali di folla plaudenti, da Giuseppe Garibaldi a cavallo. GEMELLAGGIO La ferrovia ligure, in occasione della riapertura, sarà gemellata con il Trenino dei Pirati di Disneyland. Si tratta delle due strade ferrate che garantiscono il maggior numero di attrazioni al mondo: terrazze sporgenti con vecchie che si affacciano all’improvviso, ruderi che franano, cactus e palmizi pencolanti, materassi e televisori a valvole abbandonati sui binari. TRENTA ALL’ORA È il limite di velocità imposto dalla Soprintendenza ai beni archeologici lungo la maggior parte dei binari nazionali, per tutelare l’integrità di un reperto industriale che il mondo intero ci invidia: dalle traversine d’epoca, corrose dalle intemperie e impreziosite dal ricamo dei tarli, alle massicciate rese suggestive dalla lussureggiante vegetazione di piante spontanee. L’Ad di Trenitalia, Mauro Moretti, ammette però che i convogli sono inadeguati: «Motrici e vagoni degli anni Sessanta e Settanta mal si conciliano con binari obsoleti, di concezione ottocentesca. Per questo intendiamo armonizzare materiale rotante e binari, ripristinando le vecchie locomotive a carbone, i carri bestiame di legno modello “Hobo” sui quali sembra ancora di sentir muggire le mucche e Woody Guthrie suonare la chitarra, le carrozze letto con i pitali di maiolica che si rovesciano ad ogni frenata. Un’operazione nostalgia che trasformerà in breve tempo la nostra rete ferroviaria in un gioiello vintage. Partiamo avvantaggiati da un livello di decrepitezza già alto».
I COSTI Viaggiare come nell’Ottocento, con un continuo, raffinato richiamo all’epopea delle prime strade ferrate, ovviamente comporta costi più alti, e richiede un adeguamento del prezzo del biglietto. «A fronte del raddoppio del biglietto», spiega Moretti, «i nostri pendolari riceveranno in partenza un simpatico gadget, il kit del migrante: una valigia di cartone riciclato e una canottiera già sporca di fuliggine. Più un sms gratuito con il quale avvertire a casa che non si sa a quale ora, e in quale giorno, si potrà fare rientro». Grazie alla crisi economica nei prossimi anni i treni dei pendolari, grazie anche alla bassissima velocità con cui transitano, potranno contare sull’emozione aggiuntiva di un assalto dei predoni. Stelle da sceriffo e pistole giocattolo sono già in vendita nelle principali stazioni italiane, dove le biglietterie sono state smantellate per fare posto a centri commerciali forniti di tutto, dal megafono per invocare aiuto agli psicofarmaci.
IL PERSONALE Sui nuovi treni a vapore un solo addetto è più che sufficiente a trasportare i sacchi di carbone attraverso il convoglio, caricare la caldaia del locomotore, passare con il carrello del caffè, controllare i biglietti, guidare il treno e infine prestare i primi soccorsi dopo il deragliamento. «Ma alcune mansioni», spiega Moretti, «saranno computerizzate, per esempio la chiusura stagna delle porte dei cessi subito dopo la partenza per impedire la diffusione di epidemie tra i passeggeri». RIASSUMENDO Trenitalia avrà dunque due tipologie di viaggio: “Alta Velocità” (TAV) alla media di trecento all’ora, in perfetto orario e in totale comodità; e “Tutto il Resto” (TIR) che arranca alla media di trenta all’ora in una asfissiante nube di nerofumo, parte e arriva quando può. Per evitare la facile accusa di una disparità di trattamento tra clientela di lusso e pendolari, Trenitalia ha garantito che il prezzo, per i due servizi, sarà identico. (L’Espresso)
inquinamento zero
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Ilva - Troppi silenzi, troppi favori
5 domande a Nichi Vendola A ngelo Bonelli, portavoce dei Verdi, pone 5 domande a Vendola, che ha seguito da vicino la questione Ilva, accanto ai lavoratori dell’acciaieria, volendo evitare la chiusura dello stabilimento. Ma a quale prezzo? Scrive Vendola sulla sua pagina Fb a commento del suo rinvio a giudizio: “Non intendo cambiare oggi lo stile con cui ho reagito, sempre, a iniziative giudiziarie che mi chiamavano in causa. Mi sento umiliato e ferito, ma non perdo fiducia nella forza della giustizia. Per decenni a Taranto nessuno ha visto niente e troppi hanno taciuto. Io no. Per decenni gli inquinatori hanno comprato il silenzio e il consenso politico, sociale e dei media. Io no. I miei collaboratori no. Siamo accusati in un processo in cui tutti i dati del disastro ambientale sono il frutto del nostro lavoro e della volontà di documentare l’inquinamento industriale di Taranto. Noi, con le agenzie della Regione, abbiamo fornito le prove che hanno scoperchiato la realtà. Noi per la prima volta nelle istituzioni abbiamo aperto i dossier su diossina e altri veleni. Noi abbiamo varato leggi e regolamenti all’avanguardia della legislazione. Contemporaneamente abbiamo difeso la fabbrica e i lavoratori. Se questo è un reato, io sono colpevole. Ma questo è il dovere di chi governa, anche affrontando le responsabilità e le conseguenze più dolorose”. LE 5 DOMANDE DI BONELLI A VENDOLA SULL’ILVA Presidente Vendola le faccio 5 domande e spero che lei risponda perché allevatori e mitilicoltori sono anche loro lavoratori ma non sono stati difesi da nessuno nè dalla Regione nè dai sindacati, mentre la diossina faceva ammalare e morire, come ha stabilito l’indagine epidemiologica della procura di Taranto.Da lei sono state elencate tante cose fatte dalla Regione Puglia, ma almeno un accenno di autocritica da parte sua sarebbe apprezzato, perché se la Procura è arrivata a sequestrare l’Ilva e a fare un’indagine epidemiologica, che ha stabilito che i 30 decessi all’anno sono dovuti all’inquinamento prodotto da quella fabbrica, se la Procura è arrivata a chiedere il rinvio a giudizio per 53 persone tra cui lei, qualcosa non ha funzionato da parte delle istituzioni.
La richiesta di rinvio a giudizio del presidente della Puglia, con l'accusa di concussione aggravata, nell’inchiesta della Procura della Repubblica, nasce dal sospetto di aver avvantaggiato l’acciaieria orientando i controlli ambientali
1. Perché non è stata applicata la legge sulla diossina, così all’avanguardia? Lei parla di limiti stringenti 0,4 ng/mc. In Germania i limiti per le diossine erano e sono tutt’ora più severi: 0,1ng/mc. Ma la legge non è stata mai applicata perché una legge funziona se i controlli e le sanzioni funzionano. Né controlli né sanzioni previste dalla legge regionale 200 sulla diossina sono state applicate. Il campionamento in continuo non fu realizzato e le sanzioni che prevedevano il blocco degli impianti in caso di violazione dei limiti mai applicato. Nel 2010 vi furono sforamenti dei limiti di legge: perché non fu applicato l’art. 3.2 che prevedeva il blocco della produzione e invece fu ordinata una quarta misurazione (non prevista dal protocollo) che risultò appena al di sotto dei limiti: 0,39 ng/mc?
• Marina Perotta
2. Perché si è tardato a fare il registro Tumori? Lei sostiene che nel 2008 nasce il registro tumori. Non è vero. Il registro è operativo dal marzo 2013. Nel novembre 2013 il registro è aggiornato all’anno 2008 e per il 2009 mancano centinaia di dati da inserire. Del 2008 è solo la delibera che ne prevede l’istituzione; diventa operativo solo 5 anni dopo e ci sono volute le inchieste della magistratura e le manifestazioni dei cittadini. 3. la Legge-beffa su Benzopirene, portata anche questa come esempio positivoPerché non è mai ricorso alla Corte Costi-
tuzionale per sollevare la legittimità della legge voluta dal ministro Prestigiacomo nell’agosto 2010? Eppure lei di ricorsi alla Corte ne ha fatti molti. Perché su questa legge no? I limiti sul benzoapirene erano già attivi dal 1999 sul territorio nazionale e avevano come valore 1 ng/mc. Perché dal 1999 al 2010 la Regione non ha fatto rispettare quel valore previsto dal DM 25.11.94 e ribadito dal Dlgs 391/1999? Sulla base della legge, la regione avrebbe dovuto realizzare sistemi di monitoraggio permanenti per controllare che il benzoapirene non superasse 1 ng/ mc. Il benzoapirene è la componente più tossica degli IPA. È grave che, accertata la violazione dei limiti del benzopirene, si limiti solo il pascolo e non gli impianti che producevano quell’inquinante, che causavano gravissimi danni alla salute del-
27 • la popolazione. Invece di ricorrere alla Corte, la Regione decide di fare una propria legge con una sapiente comunicazione, la presenta come legge all’avanguardia. Ma la legge regionale sul benzoapirene del 28.2.2011 all’art. 3.1 prevede che in caso di superamento del limite di 1 ng/mc, l’impianto debba tornare sotto il limite “nel più breve tempo possibile”, che non significa nulla perché non è un termine preciso. La Regione avrebbe dovuto scrivere “ovvero 714 giorni, decorsi i quali l’impianto che inquina si spegne. La dizione “nel più breve tempo possibile” sa di beffa. 4. Perché nel 2011 disse Sì all’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale)? Lei sostiene che ha richiesto la revisione
dell’AIA del 2011. Non scrive che lo fa solo dopo l’intervento della Procura che, con la sua perizia chimica ed epidemiologica, stabilisce che quell’impianto produce inquinamento e morte. Lei dimentica di scrivere che l’AIA, per cui chiese nel 2012 la revisione, lei la firmò: era l’AIA scandalosa del luglio 2011; e lo fa nonostante la situazione grave di inquinamento, accertata da una relazione dei carabinieri del Noe di Lecce che informavano la Procura delle gravi violazioni ambientali; relazione pubblicata dai giornali. In quell’AIA c’erano grandissime illegittimità: scompariva la rete Monitoraggio esterna alla cokeria, importante per rilevare le emissioni di IPA e del pericolosissimo benzo(a)pirene; veniva depotenziato il sistema di video registrazione delle emis-
inquinamento zero
sioni diffuse e fuggitive; aumentati i limiti per i macroinquinanti, tra cui polveri, ossidi di azoto e di zolfo; il monitoraggio di sostanze come cadmio, cromo-esavalente, mercurio, arsenico non avveniva alla fonte di emissione ma allo sbocco a mare quando le sostanze arrivano diluite. Inoltre niente copertura del Parco minerali e non era previsto nessun sistema di abbattimento degli inquinanti che escono dai camini delle cokerie: tutti possono vedere il fumo nero che esce dai camini; nessun monitoraggio in continuo degli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici); aumentata la capacità produttiva di 15 milioni continua a pg. 29
UN LIBRO A FUMETTI SULLA STORIA DELL’INDUSTRIA SIDERURGICA
ILVA: COMIZI D’ACCIAIO L’Autore del libro ILVA. Comizi d'acciaio, Carlo Gubitosa, narra, tramite l'arte del fumetto, un viaggio inedito negli ultimi cinquant'anni di industria siderurgica, in cui si racconta il “male oscuro dell'inquinamento”, attraverso storie di vita e di morte all'ombra dell'acciaio; storie di scontri tra “Davide e Golia”: cittadini e lavoratori si trovano a lottare contro politica, malaffare, industria e grandi sindacati; storie di sfruttamento del clima, dell'ambiente, del territorio, in nome di un’illogica, sfrenata ed egoistica speculazione produttiva. Il caso Taranto, come molte altre realtà lavorative ed operaie, vede i diritti alla salute e alla vita soppiantati e violati dalla ricerca del massimo profitto dei padroni, votati al sistema capitalistico, all'ordine militare sovranazionale e mondiale, per il becero ricatto neoliberista tra lavoro o salute, imposto dagli ingranaggi di potere, dai poteri forti, da una politica locale connivente, corrotta. I cittadini e gli ecopacifisti attivisti di Taranto, tramite l'associazionismo ambientalista, da anni lottano contro il mostro dell'acciaio, contro il siderurgico infernale che emette sostanze tossiche (e non solo nel quartiere Tamburi) e nel frattempo cittadini, lavoratori e operai continuano a morire di inquinamento industriale,
perché a Taranto è elevatissimo il tasso epidemiologico di incidenza tumorale. L'associazione pacifista e ambientalista PeaceLink, in primis, a Taranto, ha sollevato un autentico terremoto politico-giudiziario, una contrapposizione netta tra partiti (politica partitica) e Magistratura. Il Gip di Taranto, Patrizia Todisco, con il provvedimento di sequestro, nella sentenza del luglio 2012, dichiara esplicitamente: “con la salute la vita non si può mercanteggiare”. I poteri forti (partiti, sindacati, Chiesa) troppo spesso sono rimasti in silenzio. Con l'omertà si è nascosta la verità, già nota da tempo, fatta di inquinamento, malattia, morte. Come attivista A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia), mi sento in dovere di constatare che i veri Partigiani contemporanei sono tutti gli ecopacifisti attivisti contro le Grandi Opere Inutili e dannose, presenti, non solo in Italia, ma anche in Europa e nel mondo (come il TAV, il MUOS ecc.); i magistrati che lottano contro la mafia e i poteri forti e tutti coloro che portano avanti cause giuste e oneste, dove vengono negati e calpestati i diritti umani, la verità e la giustizia, dove la Magistratura si fa garante della legalità e della tutela dei principi cardine della Costituzione (come il diritto
• Laura Tussi
alla salute), dove le altre istituzioni sono invece spesso omertose e corrotte. “Ma il mondo ha proprio bisogno di tutto questo acciaio?”. Tale quesito pone, nella conclusione del libro, Alessandro Marescotti, Presidente di PeaceLink. “Sembra che senza la produzione di acciaio dell'Ilva debbano crollare l'Italia, l'Europa e il mondo intero. (…)Ma è davvero così?”. In realtà la Commissione Europea parla di una produzione eccessiva. Le Grandi Opere vengono finanziate dai poteri forti, al fine di alimentare un mercato dell'acciaio ormai al tracollo. Ma è giunta l'ora che il sistema economico del grande capitale si renda conto del proprio collasso e della necessità di investire, al contrario, sui Beni Comuni, come la Pace e l’Ambiente, quali risorse principali della nostra Comune Umanità, da cui derivano altre priorità consequenziali, come la salute, la cultura, l'istruzione: la vita nella sua autentica essenza! È proprio questo il messaggio del libro di Gubitosa: un grido forte di disperazione di tutti gli oppressi, di tutti gli abitanti dei Sud del mondo schiacciati dalle bieche logiche di mercato, dallo sfruttamento delle risorse energetiche. Un inno alla vita, un urlo di protesta per rivendicare gli inalienabili diritti
ad un'esistenza serena e felice, contro tutte le manovre impositive dettate dai poteri forti, dallo strapotere economico dei mercati dell'alta finanza, dai padroni dell'acciaio, dai signori della guerra. Carlo Gubitosa Giuliano Cangiano
ILVA. Comizi d’Acciaio Storie di vita e di morte all’ombra dell’acciaio. Un viaggio a fumetti negli ultimi 50 anni dell’industria siderurgica. Conclusione: Alessandro Marescotti, Presidente Associazione PeaceLink- Telematica per la Pace, di Taranto. Cronologia: Michele De Benedetto Editore: BeccoGiallo, 2013 192 pagine, 12,75 euro
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Un duro articolo di Lancet
Perché stiamo perdendo la guerra contro il cancro
• Patrizia Gentilini
Nel 1971 il Presidente Nixon firmò il National Cancer Act, un ambizioso progetto con cui si delineava la strategia della “guerra al cancro”, che gli Stati Uniti erano decisi a combattere e a vincere. Erano gli anni in cui l’uomo era arrivato sulla luna, la fiducia nelle potenzialità della scienza era illimitata e sembrava che, con poderosi finanziamenti, ogni traguardo potesse essere raggiunto. Erano anche gli anni in cui prendeva corpo l’idea che il cancro fosse una malattia “genetica” e che nascesse da una singola cellula in qualche modo “impazzita”.
Si
pensava che, per un “incidente genetico” casuale, avvenissero una serie di mutazioni a carico del DNA tali da comportare una proliferazione incontrollata e una sorta di “immortalizzazione” delle cellule figlie. L’idea era che una sorta di selezione darwiniana conferisse vantaggi in termini di sopravvivenza e capacità di far metastasi alle cellule figlie, sempre più aggressive e maligne rispetto a quelle di origine, con un processo irreversibile che portava infine a morte l’organismo ospite. Il cancro era ritenuto una malattia dell’età adulta in cui, proprio per l’aumento della speranza di vita, era sempre più probabile che insorgessero mutazioni casuali: il cancro era visto quasi come un prezzo da pagare allo sviluppo. Se l’origine del cancro risiedeva in un danno a carico del DNA, era logico pensare di risolvere il problema svelando i segreti del genoma e sperimentando terapie che colpissero la cellula nel suo centro vitale, il DNA appunto. Gli investimenti fatti negli USA e in altri paesi occidentali furono esorbitan-
ti, ma scrive nel 2005, in una esemplare lettera aperta, un grande oncologo americano S. Epstein: “dopo trent’anni di reclamizzate ed ingannevoli promesse di successi, la triste realtà è infine affiorata: stiamo infatti perdendo la guerra al cancro. L’incidenza dei tumori – in particolare della mammella, dei testicoli, della tiroide, nonché i mielomi e i linfomi, in particolare nei bambini – che non possono essere messi in relazione con il fumo di sigaretta, hanno raggiunto proporzioni epidemiche, ora evidenti in un uomo su due e in oltre una donna su tre”. Queste che sembravano pessimistiche considerazioni di qualche medico isolato hanno in realtà trovato autorevoli conferme in un articolo dall’emblematico titolo “ Ripensare la guerra al cancro” comparso a dicembre 2013 nella prestigiosa rivista Lancet (www.thelancet.com). Perchè l’obiettivo non è stato raggiunto? Dove abbiamo sbagliato? Evidentemente concentrare tutte le ri-
sorse sulla ricerca di terapie, spesso rivelatesi inefficaci, o sulla diagnosi precoce non è stata la strada vincente. In effetti nuove emergenti teorie sulle modalità con cui il nostro genoma si relaziona con l’ambiente ci fanno capire come la nostra visione del problema cancro – e non solo- sia stata estremamente riduttiva e come, quindi, dobbiamo radicalmente cambiare il nostro punto di vista se vogliamo sperare di uscire da questo empasse.
29 • Si è sempre pensato al genoma come a qualcosa di predestinato ed immutabile, ma le conoscenze che da oltre un decennio provengono dall’epi-genetica ci dicono che le cose non stanno così. Il genoma è qualcosa che continuamente si modella e si adatta a seconda dei segnali - fisici, chimici, biologici - con cui entra in contatto. Come una orchestra interpreta uno spartito musicale facendo suonare ad ogni musicista il proprio strumento, così l’informazione contenuta nel DNA viene continuamente trascritta attraverso meccanismi biochimici che comprendono metilazione, micro RNA, assetto istonico che vanno appunto sotto il nome di epi-genoma. L’epigenetica ci ha svelato che è l’ambiente che “modella” ciò che siamo, nel bene e nel male, nella salute e nella malattia. L’origine del cancro non risiede solo in una mutazione casualmente insorta nel DNA di una nostra cellula, ma anche in centinaia di migliaia di modificazioni epi-genetiche indotte dalla miriade di agenti fisici e sostanze chimiche tossiche e pericolose con cui veniamo in contatto ancor prima di nascere e che finiscono per danneggiare in modo irreversibile lo stesso DNA. L’articolo di Lancet sostiene che, per vincere il cancro, abbiamo bisogno di una diversa visione: per chi da decenni si batte per ridurre l’esposizione delle popolazioni agli agenti inquinanti e cancerogeni questa nuova visione ha un nome: Prevenzione Primaria che non può essere ridotta solo alle indicazioni riguardanti gli “stili di vita”, ma deve intervenire energicamente sugli ambienti di vita e di lavoro, come ci indicano drammaticamente i dati recenti della cronaca italiana.
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Addio alle slot machine. Gli ideali meglio dei soldi Toglie le macchine dalla sua tabaccheria “Rinuncio a 10 mila euro l’anno ma non potevo vedere la gente rovinarsi la vita” Lucchetta, titolare della tabaccheria di Ponte Crepaldo di Eraclea, in provincia di Venezia, ha preso la sua decisione. E non ha alcun rimpianto. “Dopo quasi venti giorni di trattativa con il noleggiatore delle slot per il mio locale sono riuscito a togliere le tre slot. Il noleggiatore era incredulo ma lnon hoi avuto dubbi. “Nonostante la crisi, e la somma di 10 mila euro annui di incassi, la scelta da parte mia è stata morale. Mi sono stancato di vedere clienti del mio locale, pronti a privare la famiglia dei soldi necessari per vivere e stare bene, inghiottiti dalle macchinette infernali” Contro le slot in molte città si stanno scatenando battaglie durissime, anche da parte dei Comuni. A San Donà, qualche anno fa, l'allora vice sindaco, Alberto Gobbo, aveva denunciato persone seguite dai servizi sociali che giocavano i contributi alle slot. Oggi il Comune di San Donà aderisce al manifesto contro le ludopatie e il vice sindaco, Oliviero Leo, ha già dichiarato che sarebbe pronto a emettere persino un'ordinanza per toglierle da ogni pubblico esercizio e locale, a costo di dover sostenere i ricorsi inevitabili e consentiti dalla leggi. Purtroppo al momento l'unica scelta può essere solo dei gestori che si rapportano con la loro coscienza, come Lucchetta. Giovanni Cagnassi (la Nuova Venezia)
5 DOMANDE A NIKI VENDOLA / segue da pg. 29
tonn. con aumento dell’inquinamento; niente campionamento in continuo della diossina dal camino. 5. Indagine epidemiologica Perché, nonostante fosse stato più volte sollecitato, con lettere ufficiali da cittadini e associazioni a fare l’indagine epidemiologica, non l’ha mai fatta? Era fondamentale: avrebbe evidenziato la relazione tra inquinamento e mortalità e messo l’Ilva di fronte alle proprie responsabilità penali. Perchè non l’ha fatta? È stato finanziato dalla Regione un video promo
su Taranto dal costo di 600mila euro perché non sono state utilizzate quelle risorse? Quello che doveva fare la Regione, il governo e il Comune, lo ha fatto la Procura a partire dalla perizia chimica ed epidemiologica. Penso che il futuro di Taranto sta nella capacità della classe politica di fare proposte per realizzare una conversione economico-ecologica del vecchio modello industriale. Da un’economia alla diossina ad una pulita; la sfida non è come, dice lei, l’ambientalizzazione dell’Ilva, impossibile da realizzare perché quell’impianto è
vecchio e costruito irresponsabilmente in mezzo alla città. Il futuro in esempi come Bilbao o Pittsburgh, che era, negli Usa, la città dell’acciaio e ne produceva il 50%. Oltre 20 anni fa le fabbriche chiusero. Lì oggi non c’è povertà, ma la città con il più alto Pil degli Usa e l’occupazione è più che raddoppiata. È una città che è diventata sede di imprese ad alto contenuto tecnologico, nel settore delle nanotecnologie, della biotecnologia, della biomedica , della Green economy , con campus biomedici e universitari. Come realizzare questo a Ta-
ranto? Si dichiari Taranto area NoTax per attirare piccole/medie e anche grandi imprese che investano con un nuovo disegno urbanistico e la bellezza di nuove architetture. Si avviino le bonifiche, utilizzando gli operai dell’Ilva. Si possono utilizzare i fondi UE del fondo sociale e delle aree in dismissione. Ma, cosa principale, si usino i miliardi di euro sequestrati ai Riva. Tutto ciò significa occupare almeno 40mila persone; in questo modo l’agricoltura e la maricoltura torneranno a dare posti di lavoro che oggi sono stati spazzati via dalla diossina. (Ecoblog)
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Intervista a Fausto De Stefani, presidente di Mountain Wilderness
In Nepal senza frontiere Fausto, nato nel 1951, ha 63 anni, un’età nella quale buona parte delle persone si sta ritirando dalla vita attiva. Invece è attivissimo, non ha mai smesso di esserlo. Nato in provincia di Mantova, “nella più piatta delle pianure”, ha scoperto la montagna durante una vacanza organizzata dalla sua parrocchia, in Val di Fassa: è stato amore a prima vista ed il ragazzo di campagna non è più riuscito a rinunciare alle “terre alte”. Ha cominciato con l’escursionismo, da casa all’Adamello a piedi; poi ad arrampicare sulle Alpi a 20 anni; nel 79-80 ha iniziato a frequentare le montagne lontane in Russia, in Africa, in America Latina. Nel 1983 la prima spedizione in Himalaya, (spigolo nord del K2): da allora, per lui, meta irrinunciabile. Le spedizioni agli 8.000 si sono susseguite a ritmo serrato, in compagnia soprattutto di Sergio Martini, maestro elementare trentino. Piccole spedizioni, frugali, pochi sponsor, in stile alpino e senza ossigeno; “ferie” auto-finanziate col lavoro e le conferenze. Non era loro intenzione partecipare alla corsa agli 8.000, amavano arrampicare in quegli ambienti straordinari e ci andavano appena tempo e soldi glielo permettevano; spesso si aggregavano ad altre spedizioni. La coppia era una delle migliori cordate e Fausto è stato il 6° uomo al mondo ad aver scalato tutti i quattordici 8000. Ma non sembra molto orgoglioso di questo straordinario risultato, poiché ha perso parecchi compagni di scalata, ha visto spesso la morte in faccia, ha vissuto l’aspetto aggressivo di questo alpinismo di conquista per cui la vetta o la serie di vette vale più di tutto, anche della vita propria ed altrui. Spesso si è fermato a pochi metri dalla cima per rispettare la spiritualità locale, secondo cui le cime sono inviolabili dimore degli Dei. Fausto ha più volte affermato che “questo alpinismo, che mira solo alla vetta e che spesso degenera in impresa commerciale, è lo specchio di una società alla deriva”. Non poteva che essere così, per uno come lui da sempre impegnato anche a livello ambientale e che ha aderito all’associazione Mountain Wilderness fin dalla sua creazione nel 1987, ne è stato per anni responsabile nazionale, ora ne è presidente onorario. Ma ha anche capito che questo non bastava e, praticando l’alpinismo in paesi
• Toio de Savorgnani
molto poveri, ha sentito crescere in lui un forte senso di colpa, quasi sentendosi complice di un’attività colonialistica, avvertendo il bisogno di fare qualcosa per sdebitarsi nei confronti di luoghi che gli avevano permesso di vivere esperienze straordinarie. Aveva cominciato in Africa nel 1981, in Kenya, ma capì subito che era un’impresa disperata “Avevo cominciato facendo scavare dei pozzi per i villaggi, ma appena se ne faceva uno subito qualcuno se ne appropriava”. Allora la sua attenzione si è concentrata sul Nepal, patria degli 8.000 dove, nella capitale e suoi dintorni, vi sono moltissimi bambini di strada, forse più di 25 mila, in situazioni disperate, abbandonati dalla famiglia, senza casa, mal nutriti, esclusi dalla scuola, spesso malati. Se sopravvivono diventano preda del turismo sessuale o spacciatori e assuntori di tutte le droghe possibili (arrivate attraverso il turismo), vittime della criminalità che li assolda. A Fausto venne l’idea di fare qualcosa per dare un futuro normale a quei bambini creando per loro la possibilità di frequentare la scuola fino all’età del lavoro; capì che bisognava fare presto, toglierli dalla strada prima dei 5-6 anni, passata quella età il recupero diventa quasi impossibile, soprattutto se hanno già cominciato ad aspirare colla o vernici, la droga dei poveri, un modo per eliminare i morsi della fame e del freddo. Fausto inizia acquisendo una piccola scuola privata di Kirtipur, grosso paese non lontano da Kathmandù, creata da un’associazione locale e dedicata ad alcuni giovani nepalesi che erano stati uccisi dalla polizia durante gli scontri degli anni 90, la Rarahil Memorial School, ma era costituita da un solo edificio, fatiscente con il tetto di lamiera: una scuola destinata a chiudere per mancanza di risorse. Qui Fausto inizia il suo incredibile
cammino di solidarietà, raccogliendo offerte tramite conferenze sulle sue esperienze alpinistiche in Himalaya, una serie infinità di serate, in tutta l’Italia, così i soldi a disposizione permettono di comperare terreno e costruire nuovi edifici scolastici. Il progetto di Fausto viene adottato dalla Fondazione Senza Frontiere onlus che opera in molti paesi poveri. Il primo edificio, per la scuola primaria, è inaugurato nel 2003, e già nel 2004 è terminato quello della secondaria, immediatamente occupati dai ragazzi, con ormai 700 presenze. Costruzioni nuove, fatte a regola d’arte, senza risparmio di mezzi, antisismiche, ordinate e ben tenute, piene di fiori. Fausto ha sempre sostenuto che quei ragazzi levati dalla strada avevano diritto al massimo possibile. Nel 2007 è inaugurata la Scuola Professionale per accompagnatori naturalistici che sta iniziando a inserire operatori ben preparati nel campo turistico, la principale attività lavorativa del Nepal oltre alla tradizionale agricoltura delle risaie. Queste scuole sono molto ben organizzate e forniscono un insegnamento di alta qualità, al punto che le famiglie ricche hanno chiesto di potervi iscrivere i loro figli e la retta è utilizzata per contribuire al mantenimento dei ragazzi raccolti dalla strada o provenienti da famiglie molto povere. Nel 2009 arrivano le nuove cucine, il refettorio ed il convitto, per cui la struttura
PER CONTRIBUIRE AL PROGETTO E ADERIRE ALLE ADOZIONI A DISTANZA VERSAMENTO: bonifico sul conto intestato a Fondazione “Senza Frontiere” – ONLUS IBAN IT-14-U-08466-57550-000000008936 causale: “Nepal – Rarahil” cc postale 14866461 Fondazione “Senza Frontiere” ONLUS causale: “Nepal – Rarahil” ADOZIONE A DISTANZA: Dal sito www.senzafrontiere.com scarica, stampa e compila il modulo per sottoscrivere l’adozione a distanza. In “Paese in cui vive il bambino” scrivi “Nepal”. In “Nome del progetto scelto” scrivi “Rarahil – Nepal”. Sul modulo troverai le istruzioni per la spedizione. Sarai contattato dalla fondazione Senza Frontiere per il pagamento e ulteriori dettagli.
31 • Fausto ha iniziato la sua avventura più di 15 anni fa e sembrava dovesse limitarsi, all’inizio, alla sola scuola primaria, ma ha sentito il bisogno di non fermarsi, di proseguire con sempre nuovi obiettivi,ed anche ora, che è riuscito a coprire tutta la formazione scolastica fino alle porte dell’università, si pone un nuovo obiettivo, forse il più impegnativo di tutti: la vallata di Kathmandù e le zone del Terai industrializzato, a confine con l’India, dove si concentra la maggior parte della popolazione nepalese, sono inquinatissime soprattutto a causa della totale non gestione dei rifiuti, con forte inquinamento anche dell’acqua potabile. Quantità enormi di plastica, carta e metallo sono abbandonate dappertutto e si stima che muoiano da inquinamento circa 40.000 bambini all’anno. Constatato che si è messa in moto una nuova forma molto negativa di economia con lo sfruttamento del lavoro minorile per raccogliere e separare le materie scolastica diventa un vero e proprio college. Dal 2012 è operativo l’ambulatorio, dedicato all’amico alpinista e medico Giuliano De Marchi, che ha salvato la vita a Fausto durante la spedizione all’Everest. Giuliano, nato a Conegliano (il padre è stato uno dei comandanti della Resistenza in Cansiglio), pur avendo fatto per tutta la vita il medico all’ospedale di Belluno, era uno dei più forti scalatori himalayani, morto nel 2009 durante un’escursione di sci-alpinismo nelle Dolomiti, sul monte Antelao. Ultima è la costruzione dell’Istituto d’Arte, per formare scultori in legno o pietra e pittori, sia per l’artigianato che per il restauro dello straordinario patrimonio artistico nepalese. Attualmente frequentano la Rarahil Memorial School circa 900 ragazzi, seguiti da 50 insegnanti e 15 operatori, tutti nepalesi: questo è un punto importante delle scelte di Fausto che ha sempre operato con nepalesi, perché non percepissero la scuola come elargizione caritatevole proveniente dall’esterno; gli unici occidentali sono medici, tutti volontari e quasi tutti bellunesi. Le dotazioni delle aule informatiche e dei laboratori scientifici sono di alta qualità, al punto che vengono utilizzati anche dall’università di Kathmandù. Una tale generosità e dedizione alla causa del riscatto dei ragazzi di strada farebbe pensare che Fausto dovrebbe essere considerato un benefattore nazionale ed aiutato in tutti i modi dal governo, invece spesso è stato l’opposto, perché il progetto ha “disturbato” le scuole o gli ospedali privati, spesso occidentali e sempre pronti a creare ostacoli perché non prendesse piede questa “pericolosa”attività in favore delle famiglie più povere e dei soggetti più marginali.
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prime, molto richieste e ben pagate da India e Cina, l’idea di Fausto è creare le condizioni perchè la raccolta differenziata e il riciclaggio possano diventare occasione di lavoro regolare per i giovani. Attualmente la Rarahil Memorial School è impegnata nella fase di educazione e presa di coscienza, con i ragazzi che svolgono attività di informazione tra la gente che viene anche invitata nell’auditorium della scuola per assistere a video e dimostrazioni pratiche. Scopo finale è organizzare la raccolta differenziata e il riciclaggio nelle zone più densamente abitate del Nepal. Un progetto ambizioso e difficile, in molti lo hanno già definito impossibile; ma Fausto, che ha dimostrato le sue doti di tenacia e straordinaria resistenza fisica salendo tutti i 14 ottomila e il suo rigore etico e la sensibilità nell’impegno ecologista, forse è la persona giusta per arrivare là dove perfino il governo ha rinunciato.
L’AMBULATORIO DE MARCHI A KIRTIPUR
Il Nepal è un piccolo stato dell’Asia, fra i più poveri del mondo; questa povertà si ripercuote in modo evidente soprattutto fra le persone degli strati sociali medi e bassi con gravi difficoltà ad accedere all’istruzione e alle cure mediche. L’Ambulatorio De Marchi a Kirtipur, voluto da De Stefani per ricordare l’amico medico-alpinista Giuliano De Marchi, si inserisce nel grande progetto Rarahil Memorial School creato e sostenuto da De Stefani per rispondere alle esigenze sanitarie della popolazione pediatrica più povera. Fin dalla sua apertura, nell’agosto 2012, l’ambulatorio si è occupato di: diagnostica generale rivolta a tutti gli studenti della Rarahil Memorial School, e di altre scuole, in tutto 1300 studenti; trattamento di tutte le patologie minori presentate dagli studenti, dai loro familiari in età pediatrica, dal personale della scuola e da bambini esterni indigenti; promozione di programmi di educazione all’igiene e alla prevenzione di malattie e di incidenti. L’attenzione è rivolta alle malattie di base meno impegnative, ma relativamente frequenti e diffuse. Malattie più complesse infatti richiedono diagnostiche e terapie impegnative e costose, impossibili per famiglie già in gravi difficoltà. L’organizzazione di volontari italiani che si adopera per l’Ambulatorio fa da sup-
porto economico e logistico agli operatori nepalesi coinvolti nel progetto, stimola e controlla che l’attività sia svolta secondo criteri e standard di massima qualità, pur rispettando le tradizioni e le abitudini locali. Fra i progetti in via di attuazione: 1. Mantenimento delle attuali attività sanitarie (cura, prevenzione, educazione) rivolte alla popolazione scolastica della Rarahil Memorial School e delle scuole pubbliche coinvolte. 2. Estensione del programma di screening, diagnosi, cura, educazione e prevenzione ad altre scuole della vallata, con particolare attenzione a quelle pubbliche dove studiano i bambini più poveri. 3. Avvio di un programma di screening, diagnosi, cura e profilassi dei problemi odontoiatrici minori. Per questo l’Ambulatorio si doterà di un Riunito Dentistico L’obiettivo a lungo termine è quello di rendere l’Ambulatorio autosufficiente sia per le risorse umane che per quelle economiche; una struttura efficace, integrata nell’economia e nella cultura della comunità per la quale era stata pensata. info@ambulatoriodemarchi.it www.ambulatoriodemarchi.it
natura viva
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Falce e rastrello
Giardinieri guerriglieri «I nvece di brontolare contro il Comune, noi piantiamo erica, lavanda, viole. È un piccolo modo per rispettare il posto dove vivi e sentirlo più tuo», spiega Michele, 25 anni, uno dei fondatori del sito www.guerrillagardening.it Pollice verde anche di professione, insieme al suo socio Andrea e a una decina di ragazzi da due anni va in giro ad "attaccare", come si dice in gergo, gli angoli grigi di Milano e sul sito ospita le gesta dei colleghi sparsi per l'Italia. Come il Gruppo Salvaguardia Casalucese, in provincia di Caserta, che all'emergenza munnezza reagisce mettendosi a coltivare aiuole, per esempio sotto il cavalcavia dell'autostrada, al grido di «non basta solo parlare, bisogna fare». Perché, dice Gino, «a volte ci vuole qualcuno che stimoli la coscienza della gente». I guerriglieri verdi agiscono spesso di notte, non solo per aumentare l'effetto sorpresa. Trattasi infatti di suolo pubblico: «Questi non sono atti di vandalismo, ma di abbellimento di aree dismesse», riflette Michele. «Credo sia molto improbabile avere problemi con le forze dell'ordine». In Francia, per dire, s'è molto discusso sull'attività di Untergunther, un gruppo che recupera monumenti invece di aiuole, ma insomma la filosofia è simile. Entrati di notte nel Pantheon parigino per aggiustare un vecchio orologio, sono stati denunciati e poi assolti. «Il nostro è un gesto di cura, sarebbe paradossale colpirlo», dice sicura la 29enne Nora. Tanto che lei semina e annaffia rigorosamente alla luce del sole: «Se fai qualcosa che ritieni giusta, non ha senso nascondersi». Così, per dire, una fredda mattina milanese di dicembre ha passato cinque ore a resuscitare uno spartitraffico di piazza Repubblica insieme ad altri guerriglieri che si incontrano sul sito www.criticalgarden.it «Ti dà un senso di riappropriazione, ma è anche un modo per creare un luogo di contatto con i residenti della zona», sottolinea Stefano, giardiniere e guerrigliero di lunga data cresciuto alla scuola dei "community gardens" di New York. Il movimento è molto radicato in America, dove nacque negli anni Settanta, e a Londra. Ora comincia a farsi vedere anche in
• Livia Michilli
Se l'aiuola è fiorita all'improvviso, se il marciapiede s'è coperto di prato nottetempo, non è un miracolo della natura. Si chiama "guerrilla gardening", giardinaggio guerrigliero: cittadini armati di zappa danno battaglia al cemento e restituiscono (di tasca loro) un po' di verde alle aree pubbliche abbandonate.
Italia e gli "adepti" comunicano soprattutto attraverso la Rete. «I rapporti fra di noi, in generale sono buoni, ma a volte è difficile mettersi in contatto», osserva Michele. «Invece sarebbe bello incontrarsi e fare qualcosa insieme». Michela Pasquali, autrice del libro “Loisaida. NYC Commumìty Gardens”, ha creato Criticalgarden proprio per collegare le varie realtà italiane, ma ci tiene che il sistema non perda di spontaneità- «Mentre a New York il movimento è molto grande e ha coinvolto artisti e letterati, mi piaceva che da noi ci fossero piccoli interventi silenziosi. Il bello è proprio che ogni gruppo lavora per conto suo, con i suoi sistemi». Così, per esempio, i guerriglieri verdi del centro sociale xm24 si battono per realizzare a Bologna orti-giardini comunitari gestiti direttamente dai cittadini, mentre a Roma il laboratorio 4Cantoni ha inventato giardini ambulanti trainati da biciclette. Poi c'è chi si è specializzato in prati. Una notte dell'estate scorsa, nella Capitale,
una passerella erbosa spuntò su un marciapiede di fronte alla Città universitaria, opera del gruppo GreenGuerrilla, che ora medita di srotolarne altre: «Il nostro messaggio è il rispetto del bello nel pubblico», spiega Lucio, studente di Architettura del paesaggio come i suoi compagni di vanga. «Rispetto agli attacchi tradizionali, i nostri sono più provocatori, più d'impatto. Vogliamo far capire al Comune che serve una politica per il verde», aggiunge Marcello. Sempre a Roma Angelo, chirurgo, da due anni pianta cipressi. Ora sta mettendo su una squadra di guerrillagardening e ha già comprato mezzo chilo di semi di girasole per le "granate inseminatrici" da lanciare in primavera. A chi sorride scettico davanti alle battaglie ambientali formato quartiere risponde: «Il mio motto è pensare globalmente, agire localmente. Fare un giardino sotto casa non sarà una cosa estrema alla Greenpeace, ma è comunque incisiva”. (Sette)
33 • MANIFESTO riportiamo la natura in città La città è frenetica, le auto sfrecciano I semafori segnano il ritmo, i pedoni si ammassano lungo i marciapiedi Come formiche La città è anche statica, la sua struttura non si muove, rimane incementata al suolo. I palazzi non si spostano e nemmeno la strada e neanche le piante. Estremo connubio di velocità e impassibilità. Ciò che è in continuo mutamento e ciò che rimane sempre fermo. Tutto in un unico spazio. Vivo e inerte. Tra queste realtà ve ne è una che si contraddistingue È viva e come tale muta nel tempo. È statica e come tale rimane localizzata in un luogo. Enorme / Grande / Media / Piccola / Minuscola Terra fertile, erba, piante, fiori che vivono e muoiono crescono e cambiano Con il tempo, con le stagioni. Ci allieta nelle giornate soleggiate Con i colori, con i profumi, Ci accoglie nei momenti di relax e ci protegge dallo stress urbano. Ci fa respirare Degrada sotto i colpi dell'incuria, ignorato, maltrattato Urge una soluzione Riqualificare, riportare all'attenzione della gente, rivivere Noi siamo la soluzione. Il verde è pubblico, significa che è anche nostro. E chi meglio di noi se ne può prendere cura? Dunque agiamo! La terra è una risorsa infinita di vita, fertile e pronta ad accogliere idee Quale occasione migliore, dunque, per riappropriarci della nostra natura cittadina? Come agricoltori o come giardinieri lavoreremo la terra e ciò che ne sarà prodotto Dalla nostra fatica e dal nostro sudore Sarà come una parte di noi. E ci farà sentire soddisfatti. Non aspettiamo che qualche burocrate se ne curi. A lui non importerà Lui taglierà l'erba e poterà le siepi, questioni di immagine. Dovremo essere abusivi, perché il burocrate non ci ha autorizzati Ma di quale autorizzazione abbiamo bisogno, se il pubblico è per definizione anche nostro? Noi pianteremo, coltiveremo, ci nutriremo dei frutti della natura, Noi potremo godere di quanto abbiamo costruito, perché l'abbiamo fatto come volevamo noi Vogliamo essere protetti, trovare un ambiente rilassante che ci faccia trovare un po' di pace e tranquillità. Vogliamo che il verde non sia più un inopportuno spazio non asfaltato, ma che sia uno spazio vivo, perché in effetti è tale, e come tale scambi energie con noi abitanti/utenti della città Quindi rimbocchiamoci le maniche, muniamoci di vanghe, sementi, annaffiatoi Scendiamo nello spazio verde sotto casa e cominciamo! dalla tesi di laurea Programmazione e riqualificazione abusive del verde Architettura Milano 2006
natura viva
In Europa oltre 11 milioni di case sono vuote. In Italia 2,8 milioni di residenze sono inutilizzate
Oltre 11 milioni di case vuote in Europa: un numero più che sufficiente per ospitare i circa 4,1 milioni di senza tetto. È quanto rileva un'inchiesta pubblicata dal quotidiano inglese «The Guardian» sul mattone sfitto e dismesso presente nel continente. È questo l'effetto della crisi sull'immobiliare a distanza di qualche anno dallo shock dei mutui subprime. In Spagna, dove il boom immobiliare aveva generato un indubbio eccesso di offerta, oggi si contano più di 3,4 milioni di abitazioni vuote. Sempre secondo il Guardian, che ha raccolto le statistiche nazionali dei principali Paesi europei, in Germania se ne contano 1,8 milioni; nel Regno Unito sono 700mila; in Francia 2 milioni. E in Italia le abitazioni in disuso sono circa 2,7 milioni (dato Istat riportato dal Guardian). Secondo il Guardian ci sono anche un gran numero di case vuote in Irlanda, Grecia, Portogallo e molti altri Paesi. Molte di queste abitazioni vuote sono in grandi villaggi turistici, costruiti durante il febbrile boom immobiliare pre crisi finanziaria, che non sono mai stati occupati. Tra gli 11 milioni di case vuote, molte delle quali erano state acquistate come investimento da persone che non intendevano viverci - ce ne sono molte da ristrutturare oppure altre che sono state demolite nel tentativo di livellare i prezzi troppo elevati delle proprietà esistenti. Il Guardian ricorda che ci sono 4,1 milioni di senza tetto in Europa e intervista una serie di attivisti e politici sul tema, cercando proposte di rigenerazione urbana capaci di far leva su questo importante patrimonio dismesso. Michela Finizio (Il Sole 24 ore)
natura viva
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Gran Bretagna. Inondati da un fiume di soldi
Più alberi, meno cemento fiumi alle terre disabitate che possono essere inondate senza causare danni e permettendogli di intrecciarsi, curvare e formare meandri morti. Tutto questo consente di intrappolare sedimenti, tronchi e sassi – che altrimenti si accumule-
Le devastanti alluvioni nel Regno Unito derivano da scelte politiche costose e sbagliate, fatte da chi crede che la natura vada imbrigliata • George Monbiot La nostra storia comincia con un gruppo di coltivatori lungimiranti di Pontbren, dove nasce il fiume più lungo del Regno Unito, il Severn. Negli anni Novanta hanno capito che i consueti metodi di allevamento in collina – sovraccaricare la terra con un numero maggiore di pecore più grandi, sradicare alberi e siepi, scavare più canali scolmatori – non funzionavano. Era insensato dal punto di vista economico, gli animali venivano privati dei ripari e loro si spaccavano la schiena per distruggere la propria terra. Così hanno avuto un’idea magnifica. Hanno cominciato a piantare cinture di protezione di alberi lungo i perimetri. E invece di drenare il suolo più paludoso hanno creato stagni di raccolta dell’acqua. Con una parte del legno hanno ricavato giacigli per gli animali, risparmiando una fortuna in pagliai. Infine hanno usato quei giacigli trasformati in compost per nutrire altri alberi. Un giorno un consulente del governo che si trovava a passare per quei campi durante un’acquazzone rimase affascinato vedendo come l’acqua che sommergeva il terreno sparisse all’improvviso all’altezza degli alberi piantati dagli allevatori. Da li è nato un importante progetto di ricerca che ha dato risultati sorprendenti: nel suolo sotto agli alberi l’acqua penetra in profondità a una velocità 67 volte maggiore rispetto a quella nel suolo sotto l’erba. Infatti defluisce lungo i canali creati dalle radici degli alberi. In questo caso il terreno si comporta da spugna, da serbatoio che assorba l’acqua per poi rilasciarla lentamente. Nei pascoli, invece, gli zoccoli delle pecore trasformano il suolo in un pantano rendendolo quasi impermeabile. Pur essendo stato rimboschito appena il 5% dei terreni di Pontbren, se tutti gli allevatori del bacino imbrifero facessero lo stesso, il picco delle alluvioni a valle si ridurrebbe del 29%, mentre il pieno rimboschimento lo ridurrebbe del 50%. Per gli abitanti Shrewsbury, Gloucester e delle altre cittadine devastate dalle innumerevoli piene del Severn equivarrebbe, più o meno, alla soluzione del problema. (...)
Worchester sommersa dall’alluvione del febbraio 2014
LASCIAMO DIVAGARE I FIUMI Anni fa si pensava che il modo migliore per prevenire le alluvioni consistesse nel raddrizzare, canalizzare e dragare i fiumi per buona parte della loro lunghezza così da aumentarne la portata. Ben presto si è scoperto che la pratica era non solo inefficace, ma addirittura controproducente. Un fiume può trasportare solo una minima parte dell’acqua che cade nel suo bacino: il grosso deve finire nelle piane alluvionali ed essere assorbito dal suolo. Costruendo argini sempre più alti, riducendo la lunghezza dei fiumi attraverso l’eliminazione delle anse e rimuovendo gli alberi morti e ogni altro ostacolo, gli ingegneri hanno involontariamente aumentato la velocità del deflusso, così che l’acqua si riversa nei fiumi e nelle città molto più in fretta. E deviando i fiumi dai terreni agricoli che attraversavano, hanno ridotto enormemente la superficie delle piane alluvionali funzionali. L’esito è stato disastroso. In molti paesi gli ingegneri pentiti stanno ricollegando i
rebbero sotto i ponti della città – e di sottrarre al fiume gran parte della sua energia e velocità. Come ha detto chi ha riportato un fiume del Lake District (nel nord-ovest dell’Inghilterra) al suo stato naturale, ai fiumi “serve qualcosa con cui distrarsi”. (...) A Owen Paterson, Ministro dell’ambiente inglese, è stato ripetuto più volte che ha più senso pagare gli agricoltori per inondare i loro campi invece di proteggerli dirottando l’acqua verso le città. (...)Ma, anche se dal 2007 si sono susseguiti uno studio, un’inchiesta parlamentare, due disegni di legge e nuovi progetti per la gestione delle alluvioni, quasi niente è cambiato. Visto il modo in cui amministriamo la terra e i fiumi, le inondazioni restano inevitabili. Paghiamo una fortuna in sussidi agricoli e progetti di scempio dei fiumi per ritrovarci con città inondate e case e vite distrutte. Paghiamo di nuovo per difenderci da alluvioni in parte dovute a queste politiche folli tramite assicurazioni continua a pg. 35
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Burocrazia e alluvioni
Il Po sommerge anche i suoi guardiani L’Agenzia interregionale ha 14 sedi, con oltre 360 dipendenti e 212 collaboratori. Ma la manutenzione fa... acqua. E le alluvioni continuano • Antonio Amorosi “Ci avete lasciati soli”. La scritta campeggia all’ingresso di Bastiglia, uno dei comuni della Bassa modenese sconvolti dall’alluvione del 19 gennaio 2014. Qui l’argine del fiume Secchia, nei pressi della località San Matteo, si è sgretolato aprendo una voragine di 80 metri. E gli abitanti di uno dei primi cinque poli produttivi italiani si sono ritrovati letteralmente a nuotare tra le vie dei centri cittadini, in un metro e mezzo di acqua e fango. C’è chi ha perso tutto. La piena ha distrutto quello che trovava: case, infrastrutture, capannoni, derrate alimentari, automobili. Un morto, migliaia di sfollati, 80 chilometri quadrati alluvionati, quasi 2 mila aziende colpite, 2.500 ettari agricoli sommersi e danni per milioni, più una settimana al gelo senza riscaldamento e senza luce sono i numeri della tragedia che ha stravolto intere famiglie. Per gli abitanti, già colpiti dal terremoto del 2012, era il classico evento annunciato. Nel mirino è finita l’Agenzia interregionale per il Po, controllata da quattro regioni (Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Lombardia), con 362 dipendenti e 14 sedi, che ha il compito di controllare le vie d’acqua del Po e dei suoi affluenti, ma si sovrappongono un dedalo di altre agenzie per ognuna delle quattro regioni: i Consorzi di bonifica, le Autorità di bacino del Po, le Agenzie regionali per la protezione ambientale (le Arpa), i Servizi tecnici degli affluenti minori e gli uffici provinciali. I sorveglianti idraulici dell’Aipo, quelli cioè che vanno a controllare gli argini e dovrebbero accorgersi dei problemi, sono 80 a copertura di 3.800 chilometri di fiumi. Poi ci sono altri 80 tecnici che programmano le opere, 120 amministrativi, circa 70 addetti che si occupano della navigazione e 12 dirigenti. A questi si sommano altri 212 collaboratori esterni e consulenti che hanno affiancato il personale nel 2012. In un anno l’agenzia spende 70 milioni: 14 per il personale, 6 per assicurazioni e spese, 47 per interventi ordinari e straordi-
nari e 3 per la navigazione sul Po. Per il direttore Luigi Fortunato, dal 1984 dirigente pubblico, tutto questo non basta: "Siamo in pochi e con poche risorse" dice. "La vulnerabilità del territorio è grande e l’evento del 19 gennaio era imprevedibile". Inutile fargli notare che forse c’è troppa gente negli uffici e poca nei monitoraggi: "Le alluvioni ci sono sempre state" risponde. "Il nostro Paese soffre di trascuratezza strutturale e l’Agenzia copre 3.800 chilometri di superficie". Eppure solo per il 2012 i 12 dirigenti dell’Aipo sono costati 1 milione 337 mila euro, la stessa cifra che l’agenzia ha speso per la manutenzione della parte modenese del fiume Secchia: 1 milione 402 mila euro. Questo dato ha fatto arrabbiare gli abitanti. Anche perché l’argine è crollato in un rettilineo e non in un’ansa o meandro tortuoso. Era marcio. L'evento era prevedibile. Abito nel punto in cui l’argine si è rotto e posso garantire che in tutto il 2013 non ho visto nessuno fare manutenzione" ci ha detto Eugenia Bergamaschi, presidente di Confagricoltura Modena. "Da anni abbiamo chiesto all’Aipo e alla Regione Emilia-Romagna le pulizie dei fondali del fiume e adesso questi politici (riferendosi a Fortunato, ndr) ci dicono che era imprevedibile?
Per rispetto a chi è morto, fossi in loro, mi dimetterei" ripete. Dello stesso avviso è Joanna Wolna, che ha ideato un Comitato alluvione per aiutare chi non ha più niente. "Per quattro giorni sono rimasta con i miei due bambini piccoli al gelo di un lume di candela, senza nessun aiuto, né Protezione civile né altro". Il sindaco di Cavezzo, Stefano Draghetti, ha allertato con ogni tipo di documentazione gli enti per sollecitare interventi: "C’è una scarsa manutenzione degli argini. In tutti questi anni ci è andata bene ma prima o poi era ovvio che sarebbe successo". Dopo le proteste, il governatore Errani ha istituito una commissione scientifica indipendente per indagare sulle eventuali responsabilità di Aipo. Così indipendente che tra i sei commissari ci sono Armando Brath, docente all’Università di Bologna e consulente esterno proprio dell’Aipo, pagato 149 mila euro nel 2010 e 120 mila nel 2012, e Stefano Mignosa, docente all’ateneo di Parma, anche questi collaboratore dell’Aipo. (Panorama)
INONDATI DA UN FIUME DI SOLDI / segue da pg. 34
extra imposte ad ogni abitazione. E paghiamo anche con la perdita di tutto quello che hanno da offrire i bacini imbriferi: bellezza, serenità, flora e fauna e addirittura quella robetta da niente che è l’acqua corrente nelle case. L’insieme delle disastrose forme di gestione delle zone collinari sta aiutando i fiumi a straripare, con il risultato che il governo e i cittadini delle aree colpite hanno dovuto investire pesantemente in progetti di difesa delle alluvioni. Ma, paradossalmente, questo sfacelo causa anche il prosciugamento dei fiumi in assenza di pioggia. È il rovescio della medaglia di una filosofia convinta che la terra esista solo per sostentare chi la possiede. Invece di un flusso mantenuto costante per tutto l’anno dagli alberi delle colline, da metodi di allevamento adeguati, da fiumi che possono stabilire il proprio corso e livello, filtrare e trattenere l’acqua tramite anse, canali intrecciati e ostacoli, ci tocca un ciclo di inondazioni e siccità, di acqua sporca e falde vuote, di premi assicurativi esosi e di moquette da buttare. E tutto con soldi pubblici (Internazionale)
democrazia e ambiente
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Come ad Atene e nella Repubblica di Venezia
Il voto fa male alla democrazia. Aggiungiamo il sorteggio A
• Stefano Montefiori
lla domanda “Che cosa è andato storto con la democrazia”, titolo dell’“Economist” di un’inchiesta sull’astensionismo dilagante in Europa, lo storico belga David Van Reybrouck offre la sua risposta: le elezioni. O meglio la loro sopravvalutazione, il considerarle una sorta di sinonimo della democrazia. Sostanzialmente l’unico modo attraverso il quale la democrazia può essere esercitata. “Contro le elezioni” è il suo nuovo saggio. Il titolo ha il merito di attirare l’attenzione, ma forse le conviene chiarire se lei è per caso un sostenitore delle dittature. “No non lo sono affatto, ovviamente, anzi mi considero un fervente democratico. Ma siamo tutti diventati dei fondamentalisti delle elezioni e abbiamo perso di vista la democrazia. L’abbiamo visto anche con le primavere arabe: la rivolta dell’Egitto ha portato con sé elezioni, ma non una democrazia accettabile”. Sono in crisi anche le democrazie più antiche, quelle occidentali. “Siamo alle prese con la democrazia da circa 3 mila anni, ma lo strumento delle elezioni lo usiamo da soli 250. Le elezioni sono state inventate, dopo le rivoluzioni americana e francese, non certo per fare avanzare la democrazia, ma semmai per arrestare e controllare i suoi progressi. Il voto ha permesso di sostituire a un’aristocrazia ereditaria una nuova aristocrazia elettiva”. Non starà mica rievocando le critiche sovietiche alla “falsa democrazia borghese” in favore della vera democrazia, quella proletaria? “No, per niente, anche se da qualche anno mi arrivano ogni genere di accuse, da destra e da sinistra. Questo libro nasce dopo l’esperienza del movimento G1000 che ho contribuito a fondare in Belgio nel 2011-2012, unendo fiamminghi e valloni alla ricerca di una migliore organizzazione della democrazia nel nostro Paese. Non sono un bolscevico.
Semplicemente prendo atto che le elezioni hanno portato a vere iniezioni di democrazia fintanto che si allargava il suffragio, esteso a tutti gli uomini e poi a tutte le donne. Da decenni ormai il percorso si è di fatto invertito e, soprattutto in Occidente, i cittadini sono stanchi di una partecipazione fondata quasi solo sul voto. Nel mio libro precedente Congo (in Italia lo pubblicherà Feltrinelli, ndr) racconto la colonizzazione belga in Africa e poi i sacrifici immensi di tanti che hanno perso la vita per ottenere libere elezioni. Vedere come questo strumento venga sempre di più snobbato in Occidente deve far riflettere e ha poco senso gettare tutta la responsabilità su milioni di cittadini che legittimamente non credono più a quest’organizzazione della società e della politica”. Lei nel suo libro parla di “sindrome di stanchezza democratica”, individuando quattro diagnosi possibili: colpa dei
politici, della democrazia, della democrazia rappresentativa o della democrazia rappresentativa elettiva. “A dare la colpa ai politici sono i populisti. Da Silvio Berlusconi a Geert Wilders e Marine Le Pen ai nuovi arrivati Nigel Farage o Beppe Grillo. Chi critica la democrazia invece vanta i successi della tecnocrazia, evidenti in Cina per esempio, secondo uno schema opposto rispetto ai populisti: invece di privilegiare la legittimità, i tecnocrati puntano all’efficienza. Oppure, ci sono quelli che incolpano la democrazia rappresentativa, come fanno i movimenti come We are the 99% e gli Occupiers americani o gli Indignados. Io invece me la prendo con le elezioni, o meglio con la pigrizia di ridurre tutto al voto. Le elezioni sono il combustibile fossile della politica: un tempo erano in grado di stimolare la democrazia, ma ora provocano problemi giganteschi. Questo non significa che abbia visto con favore la nomina in Ita-
37 • lia, da Mario Monti in poi, di presidenti del Consiglio non eletti”. In Italia il Movimento Cinque Stelle parla molto di nuove forme di democrazia grazie alla rete, lei che cosa ne pensa? “Sono d’accordo sul fatto che la nostra democrazia ottocentesca non sia più adatta ai tempi, ma non condivido le soluzioni che loro propongono”. Qual è allora il suo rimedio? “Seguo con interesse alcuni esperimenti di estrazione a sorte, che negli ultimi anni sono stati condotti un po’ ovunque nel mondo, dalla provincia canadese della British Columbia all’Islanda al Texas a, più recentemente, l’Irlanda. Qui si è appena conclusa la Convenzione costituzionale, che ha visto collaborare per un anno 66 cittadini tirati a sorte con 33 eletti. Quest’assemblea inedita è riuscita ad avviare senza scossoni la riforma di 8 articoli della Costituzione irlandese, affrontando anche la questione del matrimonio omosessuale che in Francia ha provocato forti tensioni”. Pensa che introdurre il criterio dell’estrazione a sorte potrebbe funzionare non solo in piccoli Paesi, ma anche in grandi nazioni come Francia o Italia? “Sarebbe importante almeno accettare il principio, e poi introdurlo gradualmente nelle assemblee locali, affiancandolo agli strumenti classici di democrazia elettiva”. Quale competenza potrebbero avere persone chiamate a deliberare per estrazione a sorte? “E perché, quale competenza hanno oggi la maggior parte dei deputati nei nostri Parlamenti? I migliori di loro usano la legittimità offerta dallo status di eletti per chiedere informazioni e consigli agli esperti, e infine decidere a ragion veduta. Niente che non potrebbe fare una persona tirata a sorte. Con il vantaggio fondamentale che i cittadini tirati a sorte sarebbero forse più inclini a dare priorità al bene comune, e non alla propria rielezione”. Quali altri studiosi si interessano a questi temi? “Oltre a Habermas, vorrei citare l’americano James Fishkin e i francesi Bernard Manin e Yves Sintomer. È il momento di pensare a una democrazia deliberativa e non più solo elettiva. Quando John Stuart Mill proponeva il voto alle donne, a metà dell’Ottocento, lo prendevano per pazzo. Le novità non ci devono spaventare”. (il Corriere della Sera)
democrazia e ambiente
LO “STRANO” PRESIDENTE DELL’URUGUAY ALL’ONU
MANIFESTO PER LA RICERCA DELLA FELICITÁ Questo è il testo del discorso che José Mujica, presidente dell'Uruguay dal 1 marzo 2010 ha tenuto nel giugno 2012 durante l'assemblea ONU alla conferenza mondiale sullo sviluppo sostenibile "Rio+20". Un vero manifesto per la ricerca della felicità, contro l'iperconsumo; una sola frase per ricordarlo: "Povero non è colui che ha poco, ma chi ha indefinitamente bisogno di molto". José Mujica, 77 anni e un passato di guerrigliero, ai tempi della dittatura fu imprigionato rimanendo in carcere per circa 15 anni. Oltre al ruolo istituzionale conduce una vita da semplice cittadino e il 90% del suo stipendio lo devolve in beneficenza. Abita con sua moglie e con il suo cane a tre zampe in una casa situata a pochi chilometri dalla capitale. Autorità presenti di tutte le latitudini e organismi molte grazie! Grazie anche al popolo del Brasile, e alla sua signora presidente, Dilma Rousseff. E molte grazie alla buona fede che, sicuramente, hanno manifestato tutti gli oratori che mi hanno preceduto. Esprimiamo l'intima volontà, come governanti, di accompagnare tutti gli accordi che questa nostra povera umanità potrà sottoscrivere. Ed è dopo aver ascoltato quanto si è detto che mi permetto di porre a tutti noi alcune domande relative all'argomento di cui abbiamo parlato per tutta la serata, ovvero dell'esigenza di favorire lo sviluppo e di tirare fuori dalla povertà le immense folle che la patiscono ancora. Che cos'è che ci svolazza in testa? Il modello di sviluppo e di consumo a cui facciamo riferimento quando facciamo questi discorsi è quello delle società ricche. Mi domando allora: cosa succederebbe a questo pianeta se gli hindu avessero la stessa quantità di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno ci resterebbe per respirare? Per essere più chiaro vi chiedo se il mondo oggi abbia risorse materiali che rendono possibile a 7 o 8 miliardi di persone gli stessi standard di vita, con lo stesso grado di consumo e di spreco che c'è nelle più opulente società occidentali. Sarà possibile? O dovremo sostenere un giorno un altro tipo di discussione? Vedete! Abbiamo creato una civilizzazione, quella in cui siamo, figlia del mercato e figlia della concorrenza, che ha prodotto un progresso materiale portentoso ed esplosivo, ma questa economia di mercato ha creato una società di mercato che ora ci costringe a fare i conti con la globalizzazione che ci impone di guardare a tutto il pianeta! Stiamo governandola questa globalizzazione? O è la globalizzazione che governa noi!? È possibile parlare di solidarietà e "che siamo tutti uniti" in una economia basata sulla concorrenza spietata e che pone dei limiti molto forti ai nostri sentimenti di fratellanza? Non dico questo per negare l'importanza di questo evento. È vero semmai il contrario! La sfida che abbiamo davanti è di una portata di carattere colossale e la grande crisi non è ecologica, è politica! L'uomo non governa oggi le forze che ha scatenato, fino a quando le forze che ha scatenato governano l'uomo! E la vita! Non veniamo sul pianeta per svilupparci in termini generali. Veniamo alla vita cercando di essere felici. Perché la vita è corta e ci va via rapidamente. E nessun bene vale quanto la vita, questo è elementare. Però se la vita mi va a sfuggire, lavorando e lavorando per consumare di più in una società che di questo consumo è il motore, cosa mi resta? continua a pg. 39
democrazia e ambiente
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Regionali in Sardegna, soglia al 10%
Calpestata la Costituzione Delle recentissime elezioni in Sardegna si è detto poco o nulla e i media sono rapidamente passati ad altro. Avrebbe vinto il centrosinistra con Pigliaru (sconosciuto fuori dall’isola ai più fino a 2 mesi fa) ottenendo 36 seggi (grazie al premio) e avrebbe perso il centrodestra con Cappellacci (ahimè un po’ più noto) con 24 seggi. Nessun eletto, neanche uno, nelle coalizioni degli altri 4 candidati a partire dalla scrittrice indipendentista Murgia. La Sardegna è sul piano economico, sul piano ambientale e sul piano sociale paragonabile ad uno dei suoi tanti poligoni militari quotidianamente bombardati: un disastro. Al quale l’alluvione recente ha dato un colpo mortale. I partiti quando va bene sono evanescenti, ma c’è chi sul territorio sardo ha fatto affari per decenni e gli elettori (1.480.332) sono stati particolarmente intransigenti. Non il 52,2 % (si “dimenticano” sempre bianche e nulle) ma solo il 49,9% degli elettori (738mila) ha votato uno dei 6 candidati governatori e solo il 46,2% ha votato una delle 29 liste (1500 candidati) delle 6 coalizioni. I due principali partiti, PD e Forza Italia, hanno avuto un tracollo clamoroso di voti rispetto alle regionali del 2009 ma proprio l’astensionismo di protesta da più parti annunciato contro di loro, è stato la causa inconsapevole del loro trionfale successo. Vediamo come sia stato possibile questo miracolo. Con l’avvicinarsi del voto, PD e Forza Italia in Consiglio Regionale, in perfetto accordo e con l’opposizione di altri, modificano il regolamento elettorale (un malinteso federalismo consente che di volta in volta si “aggiusti” a proprio favore il sistema elettorale locale). Atto dovuto la riduzione dei seggi da 80 a 60 (ottima cosa se il sistema fosse proporzionale). Ma il gatto e la volpe stabiliscono che le liste in coalizione non abbiano quorum mentre le coalizioni abbiano una soglia al 10% e la coalizione vincente (c’è un solo turno) abbia un premio di maggioranza se supera il 25% o se supera il 40% (in quest’ultimo caso ottiene ben il 60% cioè 36 dei 60 seggi totali, spar-
• Massimo Marino
titi dentro la coalizione in modo pressoché proporzionale). È ovviamente un colpo basso contro il M5Stelle, che alle politiche dello scorso anno è stato praticamente il primo partito nella regione, prima di PD e PDL, e che però, come è noto, non si allea con nessuno; ma colpo basso anche verso altre liste, più o meno amiche, costrette di fatto senza fiatare a coalizioni anche improprie oppure a scomparire; gli spiritosi la chiamano garantire la governabilità. Ma con un colpo d’artista si inventa qualcosa in più: il quorum del 10% non riguarda il candidato governatore ma la somma delle liste che lo sostengono; particolare che ovviamente sfugge alla gran parte degli elettori, in particolare a quelli che vanno al seggio, con qualche difficoltà a discernere fra 29 liste. Il vero e proprio assalto alla lista del M5Stelle, gli scontri e i dissidi fra i vari gruppi locali oltre a varie interferenze esterne, hanno portato Grillo, e chi con lui decide, alla scelta (che reputo coraggiosa e giusta), di non presentare la lista dei 5stelle considerando rischiosa e non matura la presenza alle regionali. Acquisiva quindi una certa visibilità di “terzo polo” la coalizione di tre liste a sostegno della scrittrice autonomista Michela Murgia alla quale vari sondaggi davano addirittura chance di vittoria. I due partiti dell’accordo invece devono affrontare qualche problemino di impresentabilità dei candidati. Il PD a 50 giorni dal voto deve inventarsi un diverso candidato governatore trovandolo in Francesco Pigliaru, docente di Economia all’Università di Cagliari. Non è una figura nuova. Dopo essere stato, come chi scrive, scapestrato militante di Lotta Continua in gioventù, ha messo la testa a posto fino a diventare Prorettore, valente esperto in Economia, membro del Consiglio di amministrazione del Banco di Sardegna, poi Assessore alla Programmazione e Bilancio nell’ultima giunta Soru, dimettendosi a inizio 2004 quando Soru lo congedò di fatto e assunse a sé la Programmazione econo-
mica regionale. Nota la sua illuminante opinione che “è la burocrazia che uccide la Sardegna”. Aderente al PD e recentemente scopertosi sostenitore del renzismo. A gennaio 2014 viene scelto dal Partito Democratico renziano come candidato presidente alle elezioni regionali, in sostituzione della vincitrice delle primarie del settembre 2013 Francesca Barracciu, ritiratasi in seguito all'indagine che l'ha vista coinvolta sull'utilizzo dei fondi ai gruppi consiliari. Il tracollo elettorale di PD e Forza Italia è stato clamoroso. Il PD è passato dai già calanti 204mila voti del 2009 a 144mila (circa il 9,8% del corpo elettorale rispetto al 13,4% del 2009), ma ha ottenuto ben 19 dei 60 seggi, quasi 1 su 3. Forza Italia, da cui mancava la costola di Alfano che non ha presentato la sua nuova creatura, il NCD, ha ottenuto circa 130mila voti contro i 249mila del 2009 (circa l’8,8% degli elettori rispetto al 16,4% del PDL nel 2009) ma comunque 10 seggi . Nessun seggio per la Murgia perché, pur avendo superato il 10%, le sue tre liste sono rimaste al di sotto. Le 10 liste (14 partitini) alleate con il PD hanno avuto tutte degli eletti: dai 4 seggi di SEL (5,18% con il particolare successo di Cagliari) fino a 1 seggio di La BaseSardegna/Arbau (0,71%). La lista a tre Rifondazione/Comunisti It/ Sinistra Sarda col 2,03% ha 2 seggi; la lista IdV/Verdi, che riscalda i motori per presentarsi alle elezioni europee in rappresentanza dell’ecologismo italiano ha 1 seggio con l’1,1%. I 14 partitini comunque, nel loro insieme hanno portato circa la metà dei voti e 17 dei 36 seggi per Pigliaru. Si conferma anche qui la fine
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democrazia e ambiente
UN MANIFESTO PER LA RICERCA DELLA FELICITÁ / segue da pg. 37
Il nocciolo, in definitiva, è proprio questo: se si paralizza o se si fermano i consumi si ferma anche l'economia e il fantasma della stagnazione si materializza davanti ad ognuno di noi. Questo iperconsumo, però, sta letteralmente assalendo il nostro pianeta: generando cose che durano poco, perché solo con beni che durano poco si riesce a vendere tanto. Una lampadina elettrica non può dare più di 1.000 ore di luce: ci sono lampadine che di ore ne durano 100.000 o 200.000, ma non sono in commercio, perché altrimenti si bloccherebbe il mercato. Siamo quindi costretti a sostenere una civiltà dominata da un consumo basato su un uso breve e sullo smaltimento. Siamo in un circolo vizioso! Come capite si tratta di problemi di carattere politico, che ci indicano la necessità impellente di iniziare a lottare per promuovere un'altra cultura. Non si tratta tanto di ritornare all'uomo delle caverne, né di costruire un movimento contro il progresso. Si tratta di prendere coscienza del fatto che non possiamo indefinitamente continuare ad essere governati dal mercato e che dobbiamo finalmente tornare a governare noi il mercato! Ecco perché dico che il problema è di carattere politico. Lo dico perché è quello che intimamente credo. Lo dico perché molti pensatori antichi (Epicuro, Seneca, gli indios Aymara) ci ricordano che "povero non è colui che possiede poco, ma colui che necessita di infinitamente tanto." e desidera, desidera, desidera sempre più! La chiave per operare questo cambiamento, quindi, è di carattere culturale ed è in questo senso che dobbiamo muoverci. Saluto con gioia gli sforzi in atto e gli accordi che si faranno e accompagno questi accordi come governante. Se dico alcune cose che "stridono" con la cultura che c'è dietro a questi accordi è perché dobbiamo renderci conto che la crisi dell'acqua, la crisi dell'aggressione ambientale, non sono le cause dei nostri problemi. La vera causa è il modello di civilizzazione che abbiamo costruito e che ciò che dobbiamo rivedere non è un singolo accordo, ma il nostro modo di vivere! lo appartengo ad un piccolo paese, molto ricco di risorse naturali: siamo poco più di 3 milioni di abitanti, ma abbiamo 13 milioni di bovini tra i migliori del mondo, quasi 10 milioni di ovini stupendi, esportiamo cibo, latticini e carne; il territorio pianeggiante è utilizzabile da un punto di vista agricolo è più del 90% del territorio complessivo. Nel mio paese i miei compagni lavoratori hanno lottato molto per ottenere una giornata lavorativa di 8 ore e adesso stanno arrivando ad ottenere una giornata lavorativa di 6 ore. Chi ottiene questo risultato, alla fine, lavorerà più di prima perché cercherà due lavori. Come fa, infatti a pagare tutte le rate che gli scadono? Per il motorino che ha comprato, per l'auto che ha comprato, per tutte le altre cose che ha comprato che lo costringono a pagare rate, a pagare rate fino a quando finalmente, una volta pagate tutte le sue rate, il lavoratore è ridotto a un vecchio pieno di acciacchi come me, con la vita che ormai è scappata via. Scusate se vi faccio questa domanda. Ma è questo il destino della persona umana? Come vedete sono concetti molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità, ma deve favorire la felicità umana! Deve essere in funzione dell'amore, della terra, delle relazioni interpersonali, della cura dei figli, dell'avere amici, dell'avere il necessario. Questo è il nostro tesoro. Questo il tesoro più importante che abbiamo. Non dimentichiamolo mai allora! Quando lottiamo per l'ambiente, il primo elemento dell'ambiente per cui dobbiamo lottare si chiama felicità umana!
educazione ambientale
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Ricordando Gianfranco Zavalloni
La pedagogia della lumaca Lo spirito creativo di Gianfranco, che porta avanti i valori più teneri e preziosi dell’esistenza traendoli dalla vita infantile, l’hanno reso un prezioso punto di riferimento per i molti che l’hanno conosciuto.
V
orrei ora andare oltre a questa immagine, al dolore della sua assenza, ai ricordi degli Anni Ottanta, in cui gli proposi di entrare nella rivista Cem Mondialità, alla gratitudine che ho verso di lui per aver collaborato ai libri sull’educazione alla pace; per cercare di capire il pensiero pedagogico di Gianfranco che nel panorama italiano appare assolutamente unico e ricco di futuro: un pedagogista, in un certo senso, fuori dal tempo. Quando Gianfranco insiste su una scuola naturalmente a misura di bambino e di bambina, aumentano le classi pollaio, diminuiscono le risorse, gli alunni divengono sedentari, con tempi pieni alla primaria da reclusione fra i banchi, i video la fanno da padrone, a volte addirittura in classe. Tutto quello che Gianfranco ha proposto, la scuola ufficiale, negli ultimi 10 anni, l’ha sistematicamente respinto. Gianfranco è stato uomo di scuola ma di una scuola nel senso della Scholé greca, comunità di apprendimento, esperienza viva, la scuola sognata dai grandi pedagogisti, Pestalozzi, Frobel, Montessori, Decroly, Cousinet, Dewey, Freinet e tutta la grande tradizione che oggi viene calpestata da una visione tutta economicistica: una deriva fortemente antipedagogica non solo in Italia. Gianfranco più di altri ha sofferto questa contraddizione: non conosco le ragioni dei suoi 4 anni in Brasile, ma non sarebbe improbabile che fossero anche legati a una certa delusione per l’andazzo della scuola italiana, oltre al desiderio di fare altre esperienze, tipico della sua esistenza.
QUALE PEDAGOGIA? Al compimento dei suoi 50 anni esce il libro Pedagogia della lumaca che dà un nome alla sua pedagogia, collegandola al movimento dello slow life, slow food e della decrescita felice. Gianfranco è stato un pioniere di questa impostazione: queste idee, con l’Ecoistituto di Cesena e con il GRTA (Gruppo Ricerca Tecnologie Appropriate), le aveva sostenute fin dagli esordi del movimento ecologista, al punto di essere fra i primi consiglieri comunali verdi italiani negli anni ’80 sull’onda di Alex Langer. È una pedagogia che riorganizza lo spazio tempo educativo in maniera pertinente coi bisogni dei bambini. La caratteristica scientifica del suo lavoro sta in questa indicazione: lo spazio e il tempo sono strutture educative per antonomasia che vengono prima della relazione educativa su cui si è tanto discusso. È un apporto che va approfondito e colto nella sua ricchezza applicativa. È mia intenzione chiedere ad amici e colleghi universitari di provare a spingere su questo versante di ricerca di Zavalloni. Se pensiamo che a scuola an-
• Daniele Novara
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educazione ambientale
IN UNA SCUOLA DI BARI LA CICLOFFICINA SOCIALE MARCONI
UNA CICLOFFICINA IN AULA Aperta al pubblico qualche settimana fa in una scuola di Bari, la ciclofficina sociale Guglielmo Marconi è una delle prime esperienze di questo genere in Italia. Le lezioni organizzate sono di riparazione, noleggio e cicloguida: la gestione è affidata all’associazione e coinvolge ragazzi e ragazze dell”Istituto Marconi.
La Ciclofficina sociale Guglielmo Marconi è il risultato di un progetto scolastico partito da un finanziamento del Comune di Bari di 18mila euro. Inizialmente finalizzata all’inserimento di 3-4 ragazzi con disagi psico-sociali, l’iniziativa ha riscosso grande successo, fino a coinvolgere trenta ragazzi (tra cui due ragazze) dell’Istituto Marconi tra i 14 e i 18 anni. Ogni martedì e venerdì i ragazzi si incontrano in un’aula all’interno della scuola e muniti degli attrezzi del mestiere, di otto biciclette comprate dal Comune più altre vecchie portate dai ragazzi e da chiunque voglia metterle a disposizione, di buona volontà, gli studenti riparano, smontano, verniciano e costruiscono nuovi modelli. Le bici date dal Comune e quelle messe a nuovo sono messe a disposizione per il noleggio dei tesserati all’associazione costituita dai ragazzi, dietro pagamento di una somma irrisoria. Qualche professore ha già accolto l’iniziativa, preferendo le due ruote all’auto per arrivare in centro. Oltre al servizio di noleggio, l’associazione sta organizzando delle cicloescursioni di gruppo. Inoltre, nella Ciclofficina è possibile riparare la propria bicicletta pagando solo i pezzi sostituiti. Le conoscenze teoriche e pratiche sono state acquisite con delle lezioni in classe di mobilità sostenibile, progettazione e autoimpresa, marketing e con gli insegnamenti pratici di ciclomeccanica. Ad affiancare l’iniziativa, l’associazione “Su due pedali”, già pratica di progetti finalizzati all’inserimento socio-lavorativo di persone svantaggiate, che ha offerto consulenza manageriale e in materia di marketing e ha curato la fase di start up. ”Vedo sempre più entusiasmo da parte dei ragazzi” racconta Enzo Rubino, presidente di “Su due pedali”: “Oltre all’importanza della mobilità sostenibile al giorno d’oggi, i ragazzi hanno acquisito tante conoscenze teoriche e pratiche e questo tipo di iniziative giovano all’integrazione sociale, al recupero in casi di dispersione scolastica, ma anche all’inserimento nel mondo del lavoro. In più questa è un’iniziativa che, una volta che avrà preso piede, resterà negli anni alla scuola. Già i futuri iscritti che vengono dalla scuole medie hanno chiesto di poter far parte della Ciclofficina. Il mio lavoro ora qui è finito, i ragazzi adesso devono lavorare in completa autonomia”. Finito il progetto soft economy, l’associazione “Su due pedali” continuerà per tre mesi a dare una mano ai ragazzi, per renderli completamente indipendenti. Ognuno di loro avrà un ruolo: chi lavorerà in ciclofficina, chi organizzerà le escursioni, chi si occuperà del noleggio e chi della comunicazione. Intanto in ciclofficina si lavora, si scherza e si pensa agli step successivi: “Per ora siamo aperti solo due giorni a settimana, ma l’idea è di aprire tutti i giorni” spiega uno dei ragazzi “Stiamo solo aspettando che la Provincia ci dia l’ok per utilizzare un locale esterno della scuola, in modo da non occupare più quest’aula e da poter mettere un’insegna che ci dia più visibilità. Così sarà anche più facile individuarci per tutti quelli che ci vorranno venire a trovare ”. Claudia Morelli (comune.info)
nonviolenza e solidarietà
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Forze USA in Italia triplicate dal 1991
Un Paese al servizio dei marines Negli ultimi vent’anni il Pentagono ha investito centinaia di milioni di dollari in basi militari in Italia, trasformata in un centro sempre più importante per la potenza bellica Usa. Soprattutto dopo l’inizio della guerra al terrorismo nel 2001, i militari hanno spostato il loro centro di gravità europeo: dalla Germania, dove dalla fine della seconda guerra mondiale stazionava la maggioranza delle forze Usa, al sud del continente.
Il
Pentagono ha trasformato la penisola italiana in una piattaforma di lancio per le future guerre in Africa, Medio Oriente e altrove. Nelle basi di Napoli, Aviano, Pisa, Vicenza, Sicilia e in altre località i militari statunitensi hanno speso, nel secondo dopoguerra, più di due miliardi di dollari solo per le opere edilizie, a cui vanno aggiunti miliardi di dollari per progetti segreti, spese operative e personale. Mentre gli effettivi in Germania sono diminuiti da 250mila al momento del crollo dell’Unione Sovietica ai 50mila di oggi, il numero di soldati statunitensi di stanza in Italia (13mila più 16mila familiari) è lo stesso che all’apice della guerra fredda. Questo significa che la percentuale di forze Usa in Europa con base in Italia è triplicata rispetto al 1991, passando dal 5 a più del 15%. Ho visitato la più recente base americana in Italia, a Vicenza. Ospita una forza di reazione e intervento rapida, la 173a brigata di fanteria aviotrasportata combattente, e la componente dell’esercito dell’Africa command (Africom). Si estende per un Km e mezzo, dominando la città, con i suoi 60 ettari. La spesa per la base e gli edifici relativi, in una città che già ospitava altre 6 strutture militari, ha superato i 600 milioni di dollari. La Germania è ancora il paese in cui le basi sono più numerose, e quindi riceve la percentuale più alta delle spese militari
Usa all’estero. Ma il ruolo dell’Italia è diventato cruciale da quando il Pentagono lavora per cambiare la composizione del suo schieramento globale, oltre 800 basi, spostando la sua attenzione a sud e a est rispetto al centro d’Europa. I funzionari della difesa americana riconoscono che la posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo vicino al NordAfrica, la dottrina antiterrorista dei militari italiani e l’atteggiamento favorevole alle forze statunitensi dei politici italiani sono fattori importanti nella decisione del Pentagono di mantenere una presenza nel paese. Le sole persone che sembrano essersi accorti di questo rafforzamento sono i movimenti di opposizione locali, come quelli di Vicenza, preoccupati che la loro città possa diventare la piattaforma di future guerre di Washington. I turisti pensano all’Italia come alla terra dell’arte rinascimentale, delle antichità romane e del buon cibo. Pochi la considerano la terra delle basi americane. Ma i 59 siti dove si trovano basi del Pentagono in Italia sono inferiori solo a Germania (179), Giappone (103), Afghanistan (100, ma in diminuzione) e Corea del Sud (89). Le autorità Usa dichiarano che in Italia non esistono basi americane, che le guarnigioni, con infrastrutture, armi ed equipaggiamenti, sono semplici ospiti di quelle che ufficialmente restano basi italiane destinate alla Nato. Ma chiun-
• David Vine e Tom Dispatch
que visiti la nuova base di Vicenza, non ha dubbi sul fatto che si tratti di una struttura interamente Usa: la guarnigione occupa l’ex aeroporto italiano Dal Molin (ribattezzato Del Din, nel tentativo di cancellare il ricordo della forte opposizione alla base). Dall’esterno potrebbe sembrare un gigantesco ospedale o un campus universitario: 31 edifici, color crema col tetto rosso e, sullo sfondo, le Alpi. Una rete sormontata da filo spinato lo circonda, con schermi che impediscono di guardare all’interno. Ci sono 2 caserme da 600 soldati ciascuna (fuori della base, l’esercito ha affittato 240 case nuove), con 2 garage di 6 piani da 850 vetture, una serie di grandi uffici, alcune aree di addestramento, con poligono di tiro al coperto, palestra con piscina, centro di intratteniment0, piccolo spaccio, bar e grande mensa. Sono impianti piuttosto modesti per una grande base Usa: molti alloggi ristrutturati o nuovi, le scuole, le strutture mediche, i negozi e altri servizi per soldati e famiglie sono presso la base Ederle in viale della Pace, e nel vicino Villaggio della Pace. Il Pentagono ha anche speso cifre enormi per ammodernare alcune basi italiane. LA BASE AEREA DI AVIANO Fino all’inizio anni 90 la base aerea di Aviano, in Friuli, era un piccolo sito, noto come Sleepy hollow (la valle addormentata). Dopo il trasferimento degli F16 dalla Spagna nel 1992, l’aviazione ha speso 610 milioni di dollari in oltre 300 progetti di costruzione (Washington ha convinto la Nato a fornirne più di metà, e l’Italia ha ceduto gratis 85 ettari di terreno) per trasformarla in un grande scalo per le operazioni belliche importanti, a partire dalla prima guerra del Golfo. LA BASE NAVALE DI NAPOLI Dal 2004 l’aeronautica Usa ha speso altri
43 • 115 milioni di dollari in opere edili e, dal 1996, la marina altri 300 milioni di dollari per costruire una nuova base operativa presso l’aeroporto di Napoli, nelle cui vicinanze ha affittato per 30 anni un “sito di supporto” da 400 milioni di dollari. Somiglia a un grande centro commerciale circondato da una distesa di prati ben curati (costruita da un’azienda in odore di camorra). Nel 2005, poiché l’interesse si andava spostando dall’Atlantico settentrionale ad Africa, Medio Oriente e mar Nero, la marina ha trasferito il suo quartier generale europeo da Londra a Napoli. Dopo la creazione di Africom, che ha in Germania la sede principale, Napoli oggi ospita un comando Naval forces Europe e Africa. LA BASE AEREA DI SIGONELLA Nel frattempo è cresciuta la centralità della Sicilia nella guerra globale al terrore, e il Pentagono la sta trasformando in un nodo cruciale per le sue operazioni in Africa. Dal 2001 ha investito nella base aerea di Sigonella quasi 300 milioni di dollari, più che in qualunque altra base italiana eccetto Vicenza. Sigonella, che oggi è la seconda stazione aeronavale d’Europa, fu usata per la prima volta nel 2002 per lanciare i droni di sorveglianza Global Hawk. Nel 2008 le autorità Usa e italiane hanno firmato un accordo segreto che autorizza ufficialmente il dispiegamento dei droni nella base. Da allora il Pentagono ha sborsato 31 milioni di dollari per manutenzione e operazioni dei droni, fondamento dell’Alliance ground surveillance della Nato, un sistema da 1,7 miliardi di dollari che garantisce alla Nato capacità di sorveglianza fino a 10mila miglia da Sigonella. Dal 2003 la Joint task force aztec silence usa gli aerei P-3 di stanza a Sigonella per controllare i ribelli nell’Africa settentrionale e occidentale. E dal 2011 Africom ha assegnato alla base una task force di 180 marines e 2 aerei per addestramento antiterrorismo a militari africani in Botswana, Liberia, Gibuti, Burundi, Uganda, Tanzania, Kenya, Tunisia e Senegal. Sigonella ospita anche una delle tre strutture di comunicazioni satellitari del Global broadcast service e presto accoglierà una base Nato congiunta di intelligence, sorveglianza e ricognizione e un centro di addestramento e di analisi dei dati. A giugno 2013 una sottocommissione
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del senato statunitense ha raccomandato di trasferire in Sicilia le forze operative speciali e i Cv-22 Ospreys dal Regno Unito, perché “Sigonella è diventata una piattaforma di lancio cruciale per le missioni legate alla Libia, dato il persistente disordine in quel paese e la comparsa di attività di addestramento terroristico nel Nordafrica”. Nella vicina Niscemi, la marina spera di costruire un impianto di comunicazioni satellitari ad altissima frequenza, anche se alcuni siciliani e italiani si oppongono al progetto, preoccupati per gli effetti delle radiazioni elettromagnetiche sugli esseri umani e sulla riserva naturale circostante. Flessibilità operativa Contemporaneamente il Pentagono ha chiuso alcune basi, tra cui quelle di Comiso, Brindisi e La Maddalena. L’esercito ha tagliato parte del personale a Camp Darby, una grande installazione sotterranea per l’immagazzinamento di armi ed equipaggiamenti lungo la costa toscana, ma la base è ancora un centro logistico e di preposizionamento molto importante, perché con- sente il dispiegamento globale di truppe, armi e rifornimenti via mare. Dal 2005 nella base sono sorte nuove costruzioni per quasi 60 milioni di dollari. A COSA SERVONO TUTTE QUESTE BASI IN ITALIA? Spiega un funzionario Usa: “Non è la guerra fredda. Le basi non sono qui per difendervi da un attacco sovietico, ma per fare altro, che si tratti di Medio Oriente, Balcani o Africa”. Le basi in Italia giocano un ruolo sempre più importante nella strategia globale del Pentagono, data la collocazione geografica. Durante la guerra fredda, il cuore della difesa Nato e Usa in Europa era la Germania Ovest, per la sua posizione lungo le rotte più probabili di un attacco sovietico. Finita la guerra fredda, le basi e le truppe Usa in Germania sembravano prigioniere della geografia, con tempi di spiegamento più lunghi delle forze terrestri al di fuori del continente e l’aviazione che doveva ottenere diritti di sorvolo per raggiungere qualunque luogo. Le truppe di stanza in Italia, invece, hanno accesso diretto alle acque e allo spazio aereo internazionali. Dice nel 2006 l’assistente segretario dell’esercito Keith Eastin al Congresso: “dislocare la 173a brigata aviotrasportata al Dal Molin posiziona strategicamente l’unità a sud
delle Alpi con accesso immediato allo spazio aereo internazionale per un rapido spiegamento e operazioni di ingresso forzato o di ingresso precoce”. Il Pentagono approfittò della posizione dell’Italia già negli anni 90, quando la base di Aviano giocò un ruolo di rilievo nella prima guerra del Golfo e durante gli interventi Nato e americani nei Balcani. L’amministrazione Bush scelse alcune basi in Italia come avamposti europei “duraturi” nel riposizionamento a sud e a est della Germania. Negli anni di Obama, il crescente coinvolgimento militare in Africa ha reso l’Italia un’opzione ancora più appetibile. Oltre che per la posizione, le autorità Usa prediligono l’Italia perché (come mi ha detto lo stesso funzionario militare) è “un paese che offre sufficiente flessibilità operativa”, cioè garantisce la libertà di fare ciò che si vuole con restrizioni e interferenze minime. La flessibilità italiana rispecchia la tendenza ad allontanare le basi da due dei paesi più ricchi e più potenti del mondo - Germania e Giappone - verso nazioni relativamente più povere e meno potenti. Oltre a garantire costi operativi più bassi, questi paesi sono più sensibili alle pressioni politiche ed economiche di Washington. Tendono anche a firmare “accordi sullo status delle forze” - le intese sulla presenza di truppe e basi Usa meno restrittivi, con normative più permissive in materia di ambiente e lavoro o che assicurano al Pentagono maggiore libertà di perseguire azioni militari unilaterali, con minime consultazioni col paese ospitante. Anche se difficilmente può essere considerata una delle nazioni più deboli del mondo, l’Italia è il secondo paese più indebitato d’Europa, e il suo potere economico e politico impallidisce in confronto a quello della Germania. Non sorprende, quindi, che l’accordo sullo status delle forze stipulato con la Germania sia lungo e dettagliato, mentre l’accordo fondamentale con l’Italia rimane il breve (e tuttora segreto) accordo bilaterale sulle infrastrutture del 1954. I tedeschi tendono anche a essere piuttosto esigenti quando si tratta di rispettare le regole, mentre gli italiani (ha detto il funzionario) “ne danno una lettura più interpretativa”. La libertà con cui i militari Usa usarono le basi italiane durante la guerra in Iraq continua a pg. 45
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Intervista alla sindaca Giusi Nicolini
Lampedusa non è più sola La candidatura al Nobel per la pace restituisce dignità ai morti e riconosce il valore della solidarietà. • Giovanni Tizian La candidatura per il premio Nobel? È un riscatto per Lampedusa che ha vissuto nella solitudine una delle pagine più drammatiche della storia recente, e per i morti senza nome caduti in questo pezzo di Mediterraneo. Giuseppina Maria Nicolini passerà alla storia come il sindaco dell’sola di Lampedusa che si gioca un posto nell’albo dell’accademia più blasonata del mondo. La notizia della candidatura, ufficializzata dopo le firme raccolte da L’Espresso, arriva sull’sola come un segnale di cambiamento. E lei non nasconde l’emozione. Ma nemmeno tace le anomalie del sistema fondato sull’emergenza e sulla Bossi-Fini, che “andrebbe abolita”. Sindaco, che effetto fa Lampedusa candidata al Nobel? Il riconoscimento è già un grande onore. Ma è anche la via per dare dignità ai morti che non hanno mai avuto un nome. Per ricordare gli innominati inghiottiti dal Mediterraneo. Enrico Letta commentando la candidatura vi aveva definito “il cuore dell’Europa e un laboratorio sociale”. I termini usati da Letta sono quelli che ho in mente io per rilanciare Lampedusa. Ma la grande rivoluzione porta la firma di Papa Francesco: ha indicato la nostra isola come l’inizio dell’Europa, non come la fine. E quindi dobbiamo impegnarci, tutti, affinché essa diventi il centro del Mediterraneo. Deve trasformarsi in un luogo dove si progetta una politica comune e solidale di tutta l’area, a partire dai diritti umani e per finire con l’economia. Immaginiamo un mare attraversato liberamente da uomini e culture, dove gli unici mezzi ai quali è vietato viaggiare sono quelli dei mercanti di persone. Cosa si aspetta dal governo? Lampedusa ha chiesto una cosa semplice: è necessario che anche le isole più lontane abbiano strutture e servizi primari uguali al resto dell’Italia, e oggi non è così. Non è così a Lampedusa ma neanche nelle altre aree di confine del Paese, che sono parte importante del patrimonio culturale e naturale. La battaglia per liberare Lampedusa dal desti-
no di terra di frontiera è una battaglia comune, di tutti gli italiani. Noi chiediamo cose banali: per esempio avere l’acqua tutti i giorni e non essere costretti ad aspettare la cisterna come nel medioevo, navi moderne che non impieghino 10 ore per percorrere 120 miglia. Fare il sindaco a Lampedusa è difficile, qui ci sono questioni di prima necessità che non sono mai state risolte. Vivere da lampedusani vuol dire vivere da ultimi dell’Europa. Invece vorremmo entrare in Italia dentro un quadro di coesione nazionale. E non sentirci più un problema. La missione Mare Nostrum della Marina ha cambiato la situazione? La missione della Marina, con tutto il rispetto per il progetto Mare nostrum, non è un’azione che evita i morti. Se costruisci una barriera non eviti i naufragi. Certo, questo ha spostato in avanti il pattugliamento e la vigilanza, ma salvare le vite umane è quello che già faceva la nostra guardia costiera, che in tutti questi anni ha lavorato con grande professionalità e passione. Il video sugli abusi all’interno del centro di accoglienza mandato in onda dal Tg2 ha mostrato quanto fosse grave la situazione per i migranti. Vi ha sorpreso? Quelle immagini mi hanno indignato,
ma non mi hanno meravigliato. L’ente che gestisce il centro è stato sostituito, ma poco è cambiato. Non ho bisogno di guardare un video per capire che in un posto così sovraffollato la dignità umana è l’ultima cosa che viene rispettata. I nostri occhi sono stati testimoni del degrado con cui accogliamo i migranti. Stesi a terra, stretti come sardine. E poi ricordo i 180 minori, rinchiusi con i genitori. Il nostro modello di accoglienza non funziona: è disumano. Mi chiedo: perché aspettare i morti per indignarci? Dopo le tragedie, l’Italia e l’Europa hanno scoperto che qui arrivano bambini e famiglie, che questi centri più che di accoglienza sono luoghi che cancellano l’identità. Ma su quel che vi accade cosa sanno gli italiani? Abbiamo lasciato che uomini politici come Calderoli o Salvini sostenessero tesi assurde a difesa di queste strutture. Abbiamo sentito dire che rinchiudere qui i migranti è il modo migliore per evitare gli stupri e i furti. Il fatto è che i richiedenti asilo, respinti da Maroni nel 2009, non potevano essere rimpatriati. Dobbiamo accoglierli. Ma non può essere fatto nei Cara, i Centri accoglienza richiedenti asilo che restano dei Cie camuffati. Non sarebbe meglio, mi chiedo e propongo, creare accoglienza diffusa sul territorio? Lavorare per l’integrazione incentivando i comuni ad accogliere: basterebbe fornire i mezzi ne-
Antidoto alla xenofobia
IL NOBEL A LAMPEDUSA Lampedusa è candidata al nobel per la pace 2014. La raccolta firme è stata lanciata da L'Espresso subito dopo il naufragio del 3 ottobre 2013. Un riconoscimento alla solidarietà dimostrata sul campo dai lampedusani, ai profughi sopravvissuti e al sacrificio delle migliaia di persone inghiottite dal Mediterraneo: almeno 20 mila in vent'anni. La petizione è stata condivisa via Internet da decine di migliaia di lettori e non. Hanno firmato cittadini comuni, esponenti della società civile, politici, giornalisti, scrittori e intellettuali di fama internazionale. La scrittrice norvegese Elisabeth Eide nel formalizzare la candidatura ha sottolineato: «Oggi l'isola è uno dei più importanti accessi all'Europa. Gli abitanti si sono mostrati in grado di convivere in pace con i nuovi arrivati dimostrando di avere una singolare capacità di empatia e solidarietà. Il premio accenderebbe i riflettori sulla compassione per gli altri esseri umani e sull'interazione pacifica in un'area fortemente caratterizzata dalla xenofobia».
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nonviolenza e solidarietà Cosa vorrebbe che cambiasse nei prossimi mesi? Vorrei che nessuno morisse più in mare. E che i migranti potessero chiedere asilo nei Paesi di transito. Dove ci sono ambasciate italiane ed europee. Lo si deve fare per non farli annegare più e anche per spendere meno soldi in soccorsi e pattugliamenti. Denari che potremmo usare per aiutare le persone bloccate nei campi profughi.
cessari. Ma anche questo non basta. Perché è necessario una volta per tutte abolire la Bossi-Fini: ci vuole una legge sul diritto di asilo e bisogna pensare a una politica diversa per i migranti. L’immigrazione è un’emergenza o sono le leggi che non funzionano a creare situazioni critiche? Quello cui assistiamo è il risultato di leggi di tipo emergenziale. Ma come si fa a
definire “emergenziale” un quotidiano che Lampedusa vive da 15 anni? Eppure nessuno ha lavorato per evitare le stragi di migranti. Legiferare seguendo l’emergenza, come spesso accade in Italia, è stata una scelta che ha alimentato business milionari. Non siamo stati capaci di creare un sistema stabile di accoglienza. È come non volere riconoscere che siamo dentro una pagina di storia.
E cosa potrebbe cambiare se si arrivasse al Nobel? Ci sono candidature che forse lo meritano più di noi, ma questo risultato è già un traguardo enorme. Un’operazione verità. È come dire a tutto il mondo che questi morti sono l’olocausto di oggi. È un premio all’accoglienza solidale, quella dal basso, dei cittadini, l’unica che non fa affondare il nostro Continente. (L’Espresso)
UN PAESE AL SERVIZIO DEI MARINES / segue da pg. 43
è un esempio illuminante: il governo italiano permise alle forze americane di utilizzarle anche se il loro uso per una guerra al di fuori della Nato viola l’accordo del 1954. Un telegramma segreto del maggio 2003 inviato dall’ambasciatore statunitense in Italia, Mel Sembler, e reso pubblico da Wikileaks, mostra che il governo di Silvio Berlusconi concesse al Pentagono “in pratica tutto” quello che voleva: “Abbiamo ottenuto quello che chiedevamo per l’accesso alle basi, il transito e il sorvolo, garantendo che le forze possano attraversare agevolmente l’Italia per arrivare ai luoghi di combattimento”. IL BUSINESS DELLE ARMI L’Italia sembra aver beneficiato di questa cooperazione: secondo uno studio del Jane’s sentinel security assessment del 2010, “il ruolo dell’Italia nella guerra in Iraq, con i 3.000 uomini messi a disposizione, ha aperto la possibilità di contratti di ricostruzione alle aziende italiane, oltre a cementare i rapporti tra i due alleati”. Il suo ruolo nella guerra in Afghanistan ha sicuramente offerto vantaggi simili. Opportunità arrivate mentre la crisi economica si aggravava e il governo italiano guardava alla produzione di armi come a uno strumento importante per rilanciare la sua economia. Secondo il Jane’s sentinel i produttori di armi italiani, come Finmeccanica, hanno tentato con forza di entrare nel mercato statunitense e non solo. Nel 2009 le esportazioni italiane di armi erano aumentate di oltre il 60%. Nell’ottobre 2008 i due paesi hanno rinnovato un “memorandum d’intesa concernente il reciproco procurement per la difesa” (un accordo di “nazione maggiormente favorita” per le vendite militari). È stato suggerito che il governo italiano può aver ceduto Dal Molin ai militari americani, a titolo gratuito, anche per assicurarsi un ruolo di primo piano nella produzione “dell’arma più costosa mai costruita”, il cacciabombardiere F-35, e in altri accordi militari. Un entusiastico telegramma del 2009 dell’incaricata d’affari del-
l’ambasciata Usa a Roma Elizabeth Dibble, osservava che Finmeccanica (per il 30% controllata dallo stato) “nel 2008 ha venduto agli Stati Uniti equipaggiamenti militari per 2,3 miliardi di dollari e ha un ruolo di rilievo nella solidità del rapporto tra Stati Uniti e Italia”. Inoltre i soldati Usa apprezzano la dolce vita: 40mila visitatori militari provenienti dall’estero si recano ogni anno nel “resort” militare di Camp Derby e nella “spiaggia americana” della riviera italiana. L’Italia non prenderà il posto della Germania come fondamento della potenza militare Usa in Europa: è profondamente integrata nel sistema militare Usa, e i pianificatori strategici non vogliono che la situazione cambi: nel marzo 2013, dopo aver avuto accesso al Dal Molin, a lavori quasi ultimati, l’esercito ha annunciato che un terzo della 173° brigata rimarrà in Germania. In un periodo in cui tagli di bilancio, disoccupazione e stagnazione economica colpiscono, a fronte di un investimento di 600 milioni di dollari solo 1000 soldati si trasferiscono a Vicenza. Comunque l’Italia è destinata a diventare uno dei cardini della potenza bellica degli USA a livello globale. Oltre all’”asse asiatico”, il Pentagono sta concentrando le sue forze in basi che rappresentano altrettanti assi a Gibuti nel Corno d’Africa, Diego Garcia nell’oceano Indiano, Bahrein e Qatar nel golfo Persico, Bulgaria e Romania nell’Europa dell’est, Australia, Guam e Hawaii nel Pacifico, e Honduras in America Latina. Le basi Usa in Italia rendono più facile condurre nuove guerre e interventi militari in conflitti di cui gli americani sanno poco, dall’Africa al Medio Oriente. Se noi americani non cominciamo a chiederci perché gli Stati Uniti hanno ancora basi in Italia e in decine di altri paesi in tutto il mondo (ed è incoraggiante che un numero crescente di politici, giornalisti e altri stiano sollevando la questione) queste basi contribuiranno a portarci, in nome della sicurezza, su una strada di violenza perpetua, guerra perpetua e perpetua insicurezza. (Internazionale)
nonviolenza e solidarietà
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Come un cane in chiesa
Il Vangelo di don Gallo L'ultimo libro del “prete di strada” genovese, amico di Fabrizio De André, morto il 22 maggio 2013. • Laura Tussi Con la sezione ANPI di Nova Milanese, abbiamo più volte organizzato eventi con don Andrea Gallo e i suoi collaboratori della comunità di San Benedetto, al Porto di Genova. Don Gallo, partigiano e prete di strada, di marciapiede, rivoluzionario, all'interno della Chiesa e nella società, promuoveva e mette in pratica i principi del Vangelo e della Costituzione. Il suo ultimo libro “Come un cane in chiesa. Il Vangelo respira solo nelle strade”, illustrato in modo sagace da Vauro, traduce il Vangelo in parole ribelli contro un cristianesimo di facciata, per predicare il Gesù di tutti, una Chiesa povera, non gerarchica, un'autentica ecclesia, vicina a chi soffre, dove umili, diversi, ultimi, emarginati ci precedono nel regno dei cieli, ma soprattutto su questa terra. Don Gallo intesse, in queste pagine dal potere rivoluzionario di spinta al cambiamento dal basso, l'elogio della diversità, per un'etica condivisa, oltre le traduzioni che distorcono la Bibbia. Le Beatitudini recitano “Beati gli operatori di pace”: sia felice chi semina la pace, e infelici i vescovi con le stellette militari e i vari “sepolcri imbiancati” dei nostri giorni. Abbiamo solo un modo per abbattere il potere e l’ignoranza, l'attuazione del Vangelo e lo strumento della Costituzione, tramite la solidarietà sociale, l'impegno civile, lo spirito fraterno e solidale, la fratellanza reciproca e il dovere civico, contro il potere che nasconde la verità, in cerca di un lessico della speranza per dare voce a chi non ha voce e superare l'odio verso il simile e il dissimile, l'avversità nei confronti del fratello, e sedersi a tavola con gli ultimi, senza tornaconto, superando l’assistenzialismo, per rilanciare la vera e sincera condivisione, sia nella Chiesa sia nella società, che devono ascoltare il grido dei poveri. Una spinta verso il cambiamento, per superare i rottami del berlusconismo, deve porre anche in rilievo la questione femminile per una rivoluzione femminista e nonviolenta, per non giudicare mai, nell'accoglienza fraterna, nel perdono a oltranza, perché gli altri siamo noi ed è necessario amare il prossimo: siamo noi stessi. Il filosofo Emmanuel Lévinas affermava che il viaggio dell'esistenza e della costru-
zione di sé avviene nell'incontro con l'altro, con la donna, l'uomo e Dio, nell'amore di sé come Bene Comune da condividere e partecipare con l'altro, tramite il corpo, il desiderio, l'amore. L'unico peccato è la mancanza d'amore. La reciproca umanità aiuta a riconoscere la verità dell'altro, nella dedizione senza tornaconto, nell'amore “a perdere”, per riedificare una spiritualità dell'uomo contemporaneo che vive il travaglio dell'esistenza, l'ansia della vacuità dell'essere, per superare l'idolatria dell’io, la supremazia dell’ego, il dolore di esistere, per riuscire ad abitare il presente, superando muri caratteriali e barriere ideologiche, oltre l'oppio dei popoli, tramite lezioni di laicità e fedeltà al Vangelo autentico, scindendo le due entità, Stato e Chiesa, oltre l’assurdità del potere secolare e temporale, al fine di transitare dall'obbedienza cieca che rende servi, vili e ottusi all'autenticità dell'amore, della verità, della forza delle
don ANDREA GALLO
COME UN CANE IN CHIESA IL VANGELO RESPIRA SOLO NELLE STRADE Illustrazioni di VAURO SENESI A cura di GIANNI DI SANTO Edizioni PIEMME, 180 pp, 15 euro
idee, nella dedizione all'altro da sé, in cui la diversità è paradigma e imprescindibile prerogativa dell'umano, da partecipare con gli altri e per gli altri, nelle attività sociali, nell'associazionismo culturale, nell'impegno etico e civile, per attuare gli ideali del Vangelo e della Costituzione, i principi della giustizia sociale, dei diritti umani e della Pace.
Il "signornò" dell'ufficiale che rifiutò d’inquinare il mare ll tenente di vascello David Grassi si ribellò al superiore durante una missione e finì agli arresti. Dopo 12 anni il giudice gli ha dato ragione Invece di abbassare la testa e obbedire rispondendo: «Signorsì, signore», ha guardato il superiore negli occhi e ha risposto: «No, signor capitano, questo non lo possiamo fare. E se lo dovesse fare lei, sappia che ho gia fatto delle foto e alcuni filmati che invierò a chi di dovere, anche alla stampa se necessario, per denunciare quello che è successo a bordo». L'ordine che l'ufficiale David Grassi, insieme ad altri due colleghi, si è rifiutato di eseguire e che ha cambiato la sua vita per sempre, era quello di sversare in mare migliaia di litri di liquidi oleosi, provenienti dal motore, che si erano accumulati nella sentina; in barba alla tutela dell'ambiente, al rischio inquinamento e al regolamento internazionale che prevede, anche per le navi militari, di svuotare le sostanze inquinanti nel porto più vicino e con l'intervento di una ditta specializzata. Era il 23 febbraio 2002 e l'allora tenente di vascello aveva 30 anni, era imbarcato sulla nave da "Maestrale" impegnata nella missione Enduring Freedom nel Corno d'Africa. E pensava che le battaglie più importanti le avrebbe combattute in mare, non certo in tribunale, tantomeno per riavere indietro la propria dignità dopo essere stato condannato - per quel «No» - a 15 giorni di arresto e a una macchia che ne ha pregiudicato la carriera fino al congedo, avvenuto due anni fa. Invece la guerra civile dell'ufficiale ambientalista è durata 12 anni, un quarto della sua esistenza, e si è conclusa con una (parziale) vittoria: il Tar di Genova, tribunale al quale si era rivolto per far valere le proprie ragioni, ha cancellato quella sanzione disciplinare ma non gli ha riconosciuto il risarcimento danni che aveva chiesto.
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G13 MARIO STEFANI E VENEZIA Cronache di un grande amore di Flavio Cogo, prefaz. Alberto Toso Fei VERIFICATE la disponibilità dei materiali allo 041.935.666 da lunedì a venerdì, dalle 17 alle 18, o via e-mail: info@ecoistituto.veneto.it Accertatane la disponibilità ricordate che: Un omaggio al più amato poeta SPEDIAMO i materiali dopo che ci è pervenuto il versamento (modalità qui sotto) SPECIFICATE i titoli o i codici, le quantità. veneziano, amico della Laguna e degli SCONTO 20% per ordini superiori a € 25 NON EMETTIAMO FATTURA animali e difensore di Venezia dall’invasione della banalità 108 pp. € 10 1 - CONTO CORRENTE POSTALE 29119880 Ecoistituto del Veneto - Viale Venezia, 7 - 30171 Mestre
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MEST
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27 e 28 settembre
FAI DA TE in comunità Sabato 27 settembre a CittAperta via Col Moschin 20 (300 m.dalla stazione)
ore 15.30 accoglienza con té e pasticcini auto-prodotti ore 16-19 Incontro-laboratorio con Marinella Correggia, autrice di “Io lo so fare” ed. Altreconomia Letture, musica e mostra di oggetti auto-prodotti, presentati dalle persone e associazioni produttrici ore 19 Cena condivisa (ognuno porta qualcosa) ore 20 proiezione di video e filmati sui temi Fai da te e Comunità
Domenica 28 settembre nei giardini di via Piave dalle ore 10 al tramonto Stand/Mercatini e Laboratori dell’auto-produzione e riuso di: Abiti: gonne, borse, ecc., da vecchie stoffe, ombrelli rotti... Alimentazione: forno solare, frigo africano, pane da pasta madre, tisane, creme, marmellate, olii, gnocchi... Arredamento: letti, biblioteche, tavoli, armadi, comodini, sedie e scagnelli, tende, cuscini... con tavole, tappi Bigiotteria, portachiavi: da lattine, bottiglie di plastica,cocci... Giocattoli di legno, riusando bottiglie e altro di plastica, con carta e cartone... Mosaici alla Gaudì con cocci vari... Orto sul balcone, in casa, in terrazza, in condominio, in strada, condiviso, sinergico... Prodotti per l’igiene personale e della casa: saponi, creme, detersivi...
di bottiglia...
ore 13 Pranzo condiviso: ognuno porta qualcosa, oltre a piatto, bicchiere, tovagliolo e stoviglie ore 15-17 Mercatino e Laboratori dei ragazzi ore 16 -19 Spettacoli musicali e teatrali il programma completo su www.ecoistituto-italia.org
15° Premio tesi di laurea ICU - Laura Conti ecologia ed economia sostenibile
per tesi di laurea su Risparmio e lotta agli sprechi Parchi, turismo naturalistico e restauro ambientale Strumenti economici per un consumo più sostenibile Mobilità intelligente, urbana ed extraurbana Rifiuti urbani e industriali, riduzione e riciclo Società sostenibile, problemi planetari e locali Energie rinnovabili e risparmio energetico Educazione ambientale Movimenti e lotte ecologiste, nonviolente, degli utenti e consumatori Prevenzione ambientale della salute Legislazione ambientale e a favore dei consumatori Rapporto tra specie umana e altre specie animali Inquinamenti di acqua, aria e suolo, riduzione e prevenzione Economia solidale e commercio equo e solidale Informazione e “trasparenza” nel mercato, pregi e difetti della concorrenza Sicurezza degli utenti e dei consumatori
1° premio € 1.000 2° premio € 500 3° premio € 250
Questo premio stimola l’Università ad affrontare temi utili al futuro della nostra società. Titolo ed autore di tutte le tesi concorrenti, di tutti gli anni (ormai oltre 2000) si trovano nel sito www.ecoistituto-italia.org, nelle due sezioni Ecoistituto e Fondazione ICU. Nel nome di Laura Conti, la più grande divulgatrice ambientale italiana, che ci ha accompagnato per un lungo pezzo di strada, si fanno conoscere ricerche che resterebbero ignote. Fondazione ICU ed Ecoistituto del Veneto hanno come fine ricerca e divulgazione, rispettivamente, delle tematiche consumeriste ed ecologiche. A questo scopo, ICU edita i Libri dei Consumatori (molti dei quali frutto di rielaborazione di tesi vincitrici), che si possono richiedere alla Fondazione (tel/fax 041.935.666); Ecoistituto del Veneto edita le riviste Gaia (trimestrale nazionale, che ospita spesso articoli di neolaureati vincitori del Premio), Tera e Aqua (bimestrale veneto) e i Libri di Gaia. Sono ammesse le tesi scritte in lingua italiana e discusse in una Università italiana negli anni accademici dal 2009-2010 in poi, inviate ENTRO IL 30 SETTEMBRE 2014 a: Ecoistituto del Veneto - Viale Venezia, 7 - 30171 Venezia Mestre. La copia (da inviare sia in versione cartacea che su CD-Rom) non verrà restituita e il lavoro potrà essere pubblicato, a firma dell’autore, nei Libri dei Consumatori, nel sito web dell’Ecoistituto, su Gaia e nei Libri di Gaia. È necessario compilare la scheda di partecipazione che può essere richiesta all’Ecoistituto o scaricata dal sito www.ecoistituto-italia.org. La partecipazione prevede il versamento di 10 euro per spese di segreteria sul ccpostale 29119880 intestato a: Ecoistituto del Veneto Alex Langer, viale Venezia, 7 30171 Venezia-Mestre, con causale “Premio ICU - Laura Conti”. La giuria è composta da Michele Boato, Tito Cortese, Anna Ciaperoni, Paolo Stevanato, Franco Rigosi. INFO premiolauraconti@stevanato.org