Rassegna bibliografica 1/2009

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Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza

Centro di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza Regione Toscana

Istituto degli Innocenti Firenze

N U O VA S E R I E

numero 1 2009

PERCORSO TEMATICO CLOWN IN CORSIA

infanzia e adolescenza

Rassegna bibliografica 1/2009

ISSN 1722-859X

NAZ/331/2008

Rassegna bibliografica

1/2009


Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza

Centro di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza Regione Toscana

Rassegna bibliografica infanzia e adolescenza

Anno 9, numero 1 gennaio - marzo 2009

Istituto degli Innocenti Firenze


Governo italiano

Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Politiche della Famiglia

Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali

Direzione scientifica Enzo Catarsi, Maria Teresa Tagliaventi Comitato di redazione Enzo Catarsi, Giovanni Lattarulo, Anna Maria Maccelli, Antonella Schena, Paola Senesi, Maria Teresa Tagliaventi Catalogazione a cura di Cristina Ruiz

Comitato tecnico-scientifico Francesco Paolo Occhiogrosso (presidente), Valerio Belotti (coordinatore scientifico), Roberto G. Marino, Stefano Ricci, Maria Teresa Tagliaventi, Raffaele Tangorra

Centro regionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza

Hanno collaborato a questo numero Enrica Ciucci, Fabrizio Colamartino, Enrica Freschi, Valeria Gherardini, Maria Rita Mancaniello, Luigi Mangieri, Marco Mannucci, Cristina Mattiuzzo, Riccardo Poli, Roberta Ruggiero, Caterina Satta, Nima Sharmahd, Clara Silva, Fulvio Tassi, Tania Terlizzi Realizzazione editoriale Anna Buia, Barbara Giovannini, Caterina Leoni, Paola Senesi In copertina Il treno dei bambini di Diego Goffrini (Pinacoteca internazionale dell’età evolutiva Aldo Cibaldi del Comune di Rezzato www.pinac.it)

Istituto degli Innocenti Piazza SS. Annunziata, 12 - 50122 Firenze tel. 055/2037343 – fax 055/2037344 e-mail: biblioteca@istitutodeglinnocenti.it sito Internet: www.minori.it

Direttore responsabile Aldo Fortunati

Periodico trimestrale registrato presso il Tribunale di Firenze con n. 4963 del 15/05/2000

Eventuali segnalazioni e pubblicazioni possono essere inviate alla redazione


Percorso tematico



PERCORSO DI LETTURA

Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico Marco Mannucci Dottore di ricerca in Pedagogia, Facoltà di Scienze della formazione, Università degli studi di Firenze

Un posto migliore Dal giorno in cui qualcuno ha avuto il coraggio di entrare in un reparto di terapia terminale con un naso rosso e uno stetoscopio trasformato in telefono, il mondo è diventato un posto migliore Jacopo Fo

Un posto migliore è quello dove si riesce ad accettare la felicità che può nascondersi in un attimo, anche quando non sembrano più esserci attimi. Un posto migliore è quello dove si riesce a portare un sorriso, magari invisibile perché una mascherina copre il volto e lascia vedere soltanto il brillare degli occhi. Un posto migliore è quello dove si ha il coraggio di sfidare il mondo con la dolcezza e la grazia di un movimento leggero capace di ridefinire gli oggetti, la realtà, la paura. Un posto migliore è quello dove la paura si trasforma in gioco e rimane fuori da quella gigantesca bolla di sapone dove un bambino, insieme con un clown, può fare ogni cosa, anche immaginare un posto migliore. I clown negli ospedali, nelle pediatrie e non solo sembrano essere diventati, in questi ultimi anni, una presenza costanRassegna bibliografica 1/2009

te e voler ricostruire un percorso bibliografico sul clown in corsia è una sfida perché presenta essenzialmente due difficoltà: la prima è che il fenomeno è ancora abbastanza recente e quindi non ha ancora un consistente numero di studi e di riferimenti. Molte informazioni possono trovarsi on line sui siti delle associazioni di clown ma ancora mancano dei tentativi sistematici di analizzare il fenomeno in tutte le sue sfaccettature. La seconda difficoltà è che, come tutte le cose nuove, il clown in corsia si colloca in una zona di confine, un’area che attraversa le tradizionali discipline: di lui si è occupato la pedagogia, la psicologia, la storia dello spettacolo, la storia del teatro, la sociologia, la filosofia, la medicina, ecc. Occorre allora tentare di costruire un percorso capace di orientarsi su questi confini, partendo proprio, prima di focalizzare l’attenzione sulla figura del clown, da una rivalutazione del riso, della risata, del sorriso che c’è stata in questi ultimi decenni. Negli anni in cui si comincia a vedere i primi clown nelle corsie, si comincia anche a intendere il riso e la risata in modo diverso. Il riso, censurato per secoli come la festa e la commedia, come la follia, il riso delle classi inferiori è sempre stato considerato poco meritevo-

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

le di studio. Soltanto recentemente la risata, disprezzata e condannata, è diventata importante, quasi prescritta, quasi necessaria. Due saggi, di due psicologi italiani, Donata Francescato e Mario Farné, hanno rappresentato due punti di riferimento e di rottura per cominciare ad affrontare il tema della risata da un’altra prospettiva. Il saggio di Mario Farné (Farné, 1995) sintetizza alcune ricerche compiute in Italia e negli Stati Uniti che dimostrano come la risata consenta di scaricare l’aggressività e l’ansia senza commettere atti aggressivi. Il volume raccoglie anche una serie di battute di spirito ordinate per gli argomenti su cui più ridiamo. Il secondo saggio, più recente, è invece quello di Donata Francescato (Francescato, 2002) che dopo aver ricostruito una storia del riso che attraversa varie tappe del pensiero occidentale passa ad analizzare alcuni ambiti in cui il riso può essere una risorsa importante: la famiglia, i rapporti di coppia, gli affari, la politica, ecc. tutti quegli ambiti dove è centrale e determinante la relazione con le persone e lo stare insieme. Un intero capitolo del libro viene inoltre dedicato all’importanza del riso nei processi di guarigione e di cura. Fino a una quarantina di anni fa, infatti, anche soltanto pensare che il riso potesse avere caratteristiche terapeutiche era ridicolo, al contrario oggi, anche negli ambienti medici, si comincia a pensare che ridere possa avere proprietà di cura e, infatti, come sottolinea la stessa Francescato: «ridere possiede alcune caratteristiche che lo renderebbero in effetti una mediRassegna bibliografica 1/2009

cina ideale: non è cattiva da ingoiare, anzi ci fa sentire bene, è gratuita, non ha effetti collaterali negativi ed è perfino contagiosa. Pertanto non ci sorprende che negli ultimi due decenni sia aumentato il numero di medici, psicologi e altri professionisti della salute che sostengono che ridere sia un rimedio efficace per una miriade di problemi» (Francescato 2002, p. 156). Il tema del sorriso che guarisce è un tema che viene ripreso anche in altri saggi, uno dei più interessanti tra quelli pubblicati recentemente in Italia è quello di uno psicologo francese che già dal titolo, Il piacere che guarisce, individua un legame stretto tra i processi di guarigione e il piacere che spesso si manifesta attraverso il riso. Scrive Saint-Arnaud: «l’efficacia del riso è innegabile, anche se non sono ancora stati inventati esperimenti in grado di dimostrarlo» (Saint-Arnaud 2006, p. 256). Nel volume viene preso in considerazione non soltanto l’aspetto della risata ma l’aspetto del piacere più in generale. Il piacere, infatti, è una condizione strutturale e naturale dell’uomo, una condizione che oggi, spesso, in una società tecnologica e disumanizzata tendiamo a dimenticare o tendiamo a percepire come artificiale. Il piacere che spesso si esprime con una risata, in realtà è nelle potenzialità naturali di ogni essere umano e conserva in sé delle straordinarie capacità di guarigione. Il volume è anche costellato da una serie di riferimenti biomedici che tendono a definire le capacità terapeutiche del piacere in generale e del riso in particolare.

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Percorso di lettura

I riferimenti biomedici tesi a individuare le correlazioni esistenti tra la psiche umana e i sistemi nervoso, immunitario ed endocrino e quindi anche tra il piacere e i processi di guarigione oggi possono essere raggruppati in una scienza dal nome un po’ complesso: psiconeuroendocrinoimmunologia che può essere abbreviata con PNEI (Bottaccioli, 2005). Questa scienza ha il compito di dimostrare i legami che uniscono la mente e il corpo in un’unica connessione, in un’unica rete o network. La PNEI dimostra, infatti, una stretta relazione tra stress e malattia, tra stress e abbassamento delle difese immunitarie. Il ruolo della risata per abbassare le situazioni di ansia nei contesti ospedalieri diventa importante anche come processo terapeutico e di cura. Ecco allora che i clown nelle corsie ospedaliere assumono sia una funzione relazionale contribuendo a creare nuovi canali comunicativi con i pazienti e contribuendo a valorizzare la parte vitale dei bambini, la parte sana, quella che spesso, in un contesto di cura, viene dimenticata e messa tra parentesi, sia una funzione terapeutica contribuendo ad abbassare i livelli di ansia e di stress che intervengono durante il ricovero. Forse però la vera essenza del clown in corsia ci sfugge, è come se fosse qualcosa di altro, qualcosa di più che va oltre la sua funzione, oltre il suo modo di stare e di essere all’interno di un contesto ospedaliero. Proviamo a proseguire il nostro percorso individuando gli strumenti bibliografici per definire una storia e una possibile geografia dei clown in corsia. Rassegna bibliografica 1/2009

Un po’ di storia… e geografia Ridere è contagioso! Noi dobbiamo curare la persona, oltre alla malattia Patch Adams È molto più facile guarire un bambino felice Caroline Simonds In quei momenti si sta con il bambino, non col ferito… guai a pensare “poveretto”. Non riesci più ad essere utile Dottor Spinotto

In questi ultimi anni si è parlato molto, in Italia e in altri Paesi, di clown in corsia, clown dottori, clown terapia, medicina del sorriso, tutti termini che stanno a indicare una frontiera nei processi di umanizzazione delle strutture sanitarie e in particolar modo delle pediatrie. Il termine diventa di uso comune dopo un fortunato film americano del 1999 con Robin Williams: Patch Adams. Il film racconta la storia vera di Hunter “Patch” Adams, un medico statunitense secondo cui il vero scopo del medico non è curare le malattie, ma prendersi cura del malato. Una concezione che stravolge alcuni dei concetti cardine della medicina occidentale moderna, rendendo Patch Adams un personaggio rivoluzionario e scomodo che si contrappone in maniera forte a un certo tipo di medicina e alle case farmaceutiche. In Italia sono pubblicati due libri di Patch Adams. Nel 2004 esce, infatti, Salute! dove si ricostruisce la storia e i progetti dell’Istituto Gesundheit, una casa-ospedale nel West Virginia che dagli anni Settanta offre cure gratuite a migliaia di persone.

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

L’altro volume invece, Visite a domicilio, in modo didascalico e con ampio uso di immagini si propone di presentare le linee guida del pensiero di Adams. Occorre però evidenziare che Patch Adams è un caso particolare, un evento a sé che è sbagliato considerare in modo esclusivo come precursore della clownterapia. Patch è un medico che, in alcuni momenti, indossa un naso rosso da clown. Difficilmente accade questo in tutte le realtà ospedaliere dove sono presenti i clown. Generalmente il percorso è inverso. Sono i clown che entrano piano piano in ospedale e cominciano ad assumere funzioni nuove, nuove modalità di approccio. Michael Christensen cofondatore del Big apple circus di New York e del Clown care unit è stato forse il primo clown a trovarsi per caso a operare, come clown, in un contesto ospedaliero. Una vita ai margini quella di Machael, allevato da una madre alcolista, a dieci anni, Michael aveva cominciato a rubare nei negozi e a forzare automobili. Un giudice del tribunale minorile era riuscito, incutendogli un bel po’ di paura, a riportarlo sulla retta via. All’università, Michael studia teatro. Nel 1986 il Babies hospital di New York chiede al clown Michael di far visita a un reparto pediatrico, è un’illuminazione. L’Unità di soccorso dei clown del Big apple circus prende forma e nel giro di pochi anni (primi anni Novanta) contava già 25 clown che operavano negli ospedali pediatrici dello stato di New York visitando circa 800 bambini a settimana. Di fatto nasce un nuovo ruolo per il clown impegnato nelle attività sociali e sociosanitarie. Rassegna bibliografica 1/2009

Nel 1991 sulla scia dell’esperienza americana nasce in Francia l’associazione Le rire médecin che, come si dice nello statuto, è «un gruppo di artisti che crea, in stretta collaborazione con il personale ospedaliero, animazioni regolari per i bambini ricoverati» (Simonds, Warren, 2003, p. 231). Già da queste parole emergono alcuni elementi che caratterizzano la figura del clown in ospedale: la formazione che deve comprendere elementi di tipo artistico e la separazione dei ruoli: il clown non è un medico ed è giusto che le due figure rimangano separate. In secondo luogo emerge anche l’importanza delle relazioni con tutto il personale ospedaliero, non è pensabile, infatti, un intervento di clown senza pensare a un sistema di relazioni complesso che veda interagire tra loro: medici, pazienti, infermieri, famiglie, clown in una sorta di alleanza terapeutica necessaria per prendersi cura del paziente nel suo complesso. Terzo punto, infine, la necessità che gli interventi dei clown non siano sporadici ma regolari. La regolarità degli interventi, infatti, posiziona l’intervento del clown in un’area diversa rispetto allo spettacolo, all’evento che chiede l’applauso e l’uscita di scena dell’artista, la regolarità dell’intervento sposta l’asse sulla relazione, sulle dinamiche relazionali che si instaurano tra il bambino, le famiglie e il clown. Oggi l’associazione Le rire médecin opera con 75 clown in ben 35 servizi pediatrici e i suoi interventi sono sempre più richiesti. Una delle fondatrici e direttrice dell’associazione è Caroline Simonds (dottoressa Giraffa) che ha scritto, insieme a Bernie Warren, un volume

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Percorso di lettura

che è, senza dubbio, uno dei più interessanti per avvicinarsi alla figura del clown in ospedale. Ma andiamo a vederli questi clown, vediamo come vengono descritti nel libro di Le rire médecin: I clown-dottori di Le rire médecin non sono medici, ma un genere particolare di artisti. Hanno una personalità, un nome e una serie di caratteristiche peculiari. Per esempio, ci sono la dottoressa Giraffa (orecchie, piccole corna, coda staccabile), il dottor Chic (kilt e berretto basco), la dottoressa Nicoletta Gommetta (cappello rosso da folletto e minigonna). Sul costume da clown portano un camice bianco che li identifica come membri dell’équipe ospedaliera, ma è personalizzato e decorato, per renderlo meno allarmante. (Simonds, Warren, 2003, p. XVIII)

vità, la sua pesantezza e che, grazie a questa ridefinizione, diviene improvvisamente più leggero aprendo al tempo della speranza. Già perché per il tempo della speranza occorre che lo spazio perda la sua gravità, la sua pesantezza, che possa nascere un sorriso leggero anche quando non sembra più esserci lo spazio per i sorrisi soffocati da un’attesa per qualcosa di inevitabile. Nel 1993 nasce quindi in Svizzera, grazie all’iniziativa dei due fratelli André e Jan Poulie, in memoria della loro madre scomparsa per un tumore, la fondazione Theodora, una fondazione che opera in tutto il mondo con i suoi clown professionisti che vengono chiamati dottor Sogni. Ecco chi sono i dottor Sogni, come vengono descritti sul sito della fondazione:

Camici colorati, nomi buffi e costumi personalizzati, già perché un clown ha I dottor Sogni restituiscono il diritto a giouna personalità propria, un clown nasce dentro di noi e ci trasforma da persona in care ai piccoli ricoverati, portando loro un mondo di magie, colori e giochi di prestigio e diverpersonaggio, e poi gli oggetti: Spesso i clown hanno ogni sorta di oggetti nelle tasche o nella “borsa da medico”: fischietti ricavati da siringhe, stetoscopi trasformati in telefoni, strumenti musicali tradizionali, banane-maracas, cetrioli che squittiscono, aggeggi per fare le bolle di sapone, marionette. In effetti, utilizzano qualsiasi cosa e possono appropriarsi di ogni oggetto per trasformarlo in accessorio teatrale. Soprattutto, si mettono il naso rosso, “la maschera più piccola del mondo”. Quella è la firma del personaggio del clown dottore. (Simonds, Warren, 2003, p. XVIII- XIX)

Gli oggetti di uso comune, gli oggetti del dolore (le siringhe) che vengono esorcizzati, ridefiniti in un nuovo contesto spaziale. Lo spazio che perde la sua graRassegna bibliografica 1/2009

timento. Sono gli interlocutori privilegiati dei bambini perché capiscono e parlano il loro stesso linguaggio, in più offrono un valido sostegno alle famiglie. E sono anche artisti professionisti che collaborano con medici e infermieri, cambiando ogni volta approccio a seconda delle esigenze dei vari reparti. Grazie alla visita settimanale dei dottor Sogni, i bambini evadono per alcuni attimi dalla realtà, a volte temuta, dell’ospedale. E tutti i bambini hanno diritto a questo momento di gioia. (dal sito www.theodora.org)

Il diritto al gioco, come diritto fondamentale dei bambini e tanto più dei bambini ospedalizzati, viene richiamato nella mission dei clown di Theodora insieme all’importanza del sostegno alle famiglie e alla collaborazione con tutto il personale.

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

In Italia la prima visita di un dottor Sogni risale al maggio del 1995 quando, grazie alla fondazione Theodora, il dottor Strettoscopio è andato a trovare i bambini ricoverati all’Istituto dei tumori di Milano. Attualmente si diventa clown di Theodora attraverso un’accurata selezione e un percorso formativo molto selettivo, basti pensare che in Italia operano solamente 18 clown di Theodora in alcuni dei principali reparti pediatrici (Gaslini di Genova, Regina Margherita di Torino, ecc.) e soprattutto in reparti particolarmente difficili. Oltre agli interventi della fondazione Theodora in Italia dal 1996 operano i dottor Sorriso della fondazione Aldo Garavaglia. In questo brano tratto dal sito dei dottor Sorriso emergono le caratteristiche e le funzioni dell’attività di un clown in corsia: Grazie a uno specifico percorso di formazione i dottori Sorriso sono esperti di arti circensi, psicologia, igiene e dei vari aspetti medici relativi a patologie e terapie. I dottor Sorriso accompagnano i medici nelle visite, incontrando individualmente i piccoli pazienti e creando con loro un rapporto di complicità. Il loro compito principale è quello di sdrammatizzare le pratiche sanitarie, mutare segno alle paure, permettere al bambino di esprimere, gestendole, la rabbia, l’ansia e l’angoscia legate alla sua malattia. Capacità di ascolto, tatto, sensibilità, riguardo, premura, pazienza e prudenza sono le doti fondamentali dei dottori Sorriso. (dal sito www.dottorsorriso.it)

dere l’attività di clown in corsia. Non basta mettersi un naso rosso, occorrono competenze artistiche ma anche psicologiche, talento ma anche sensibilità. Anche qui, inoltre, si sottolinea l’importanza del rapporto individuale con il paziente, non si opera collettivamente, non si fa uno spettacolo, il rapporto è sempre individuale come individuali sono le paure, le ansie, le angosce, quei sentimenti negativi su cui opera il clown cercando di cambiare segno, cercando di trasformare le passioni tristi, le emozioni negative in passioni gioiose, in emozioni positive. Nel 1997 nasce, per opera di Vlad Olshannsky, clown professionista e membro attivo della Clown care unit del Big apple circus di New York, l’associazione Soccorso clown che opera presso l’Ospedale pediatrico Meyer di Firenze (e adesso anche presso altre pediatrie italiane). Ecco che cosa si può leggere sul sito dell’associazione: L’obiettivo primario delle attività previste dall’Unità nazionale di Soccorso clown è agevolare le terapie, rendendole più efficaci mediante l’intervento mirato di professionisti dello spettacolo appositamente selezionati e formati a ridurre lo stress da paura e da sofferenza, a circoscrivere il dolore e a limitare il fabbisogno di farmaci, affiancandosi con metodologie sperimentate allo staff medico, rendendo la degenza ospedaliera più sopportabile e a misura di bambino, e contribuendo significativamente al traguardo della guarigione. Migliorando la qualità della vita del bambino migliora di conseguenza quella di tutta la comunità. (dal sito www.soccorsoclown.it)

Poche parole per inquadrare le caratteAnche qui si sottolinea l’importanza ristiche di un percorso formativo lungo e necessario per chiunque voglia intrapren- della figura del clown per abbassare i liRassegna bibliografica 1/2009

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Percorso di lettura

velli di ansia e di paura che derivano dall’ospedalizzazione facendo emergere la parte sana del bambino che è la sua voglia di ridere e di divertirsi. Mancano degli studi sistematici e il materiale bibliografico che si riesce a trovare è spesso sui siti Internet delle associazioni o in alcune tesi di laurea dedicate all’argomento. In Italia comunque i due volumi di riferimento sono, senza dubbio, quelli di Leonardo Spina e Sonia Fioravanti, fondatori dell’associazione Ridere per vivere, un’associazione che opera professionalmente in tutta Italia dal 1995 e che ha sviluppato interessanti studi sulla gelotologia, la disciplina che studia il fenomeno del ridere, con particolare riguardo alle potenzialità terapeutiche di esso. Il primo volume di Spina e Fioravanti (Fioravanti, Spina, 1999) è, infatti, dedicato proprio alla terapia del ridere e analizza i vari ambiti in cui il riso e il sorriso possono avere un ruolo determinante. Il volume è articolato in tre sezioni, la prima, Perché si può guarire dal ridere, illustra gli effetti benefici del riso sia fisici che neurofisiologici. La seconda, la caduta dell’homo ridens, ricostruisce la presenza del riso nel pensiero occidentale con la sua funzione creatrice e vitale e al tempo stesso destrutturante. Nella terza sezione invece, un metodo per tornare a sorridere, vengono illustrati e proposti metodi e giochi per approcciarsi alla comicoterapia. Il volume non è però centrato sulla figura del clown ma sugli aspetti positivi della risata. Il primo volume in Italia, dedicato in modo specifico alla figura del clown in corsia è l’altro, Anime con il naso rosso (Fioravanti, Spina, 2006), un volume Rassegna bibliografica 1/2009

che mostra come operano i clown nelle pediatrie e non solo (con gli anziani, nella scuola, nelle missioni umanitarie) un volume che stupisce con una serie di intermezzi, con storie vere raccontate… Doda, Bazar, Semolino. I genitori diventano, grazie a queste storie, i protagonisti veri di questo volume e forse vale la pena riportare una di queste storie, a titolo d’esempio, una storia emblematica e paradigmatica, come lo sono del resto tutte le altre, sull’operare del clown in corsia. Dal diario della dottoressa Doda – Pisa reparto di Oncoematologia – 15/4/2002. Oggi c’è stato Federico, 4 anni, ricoverato per disidratazione e rifiuto del cibo. L’unico modo che hanno trovato per alimentarlo, qua in ospedale, è stata una grande siringa (senz’ago!) direttamente in bocca, cosa che lo faceva molto arrabbiare (strilli, sputacchi, botte alla mamma). Quando siamo arrivate era il momento della merenda… in qualche modo lo abbiamo colpito, siamo riuscite ad attirare la sua attenzione con le magie e le bolle di sapone… si era calmato… Il suo stato d’animo era mutato e così anche il suo rapporto con il cibo. Il gioco era questo, ogni bolla di sapone che lo raggiungeva doveva “ciucciare” un po’ di tè da questa siringa e dare un morsetto alla fetta biscottata. Ne ha mangiate tre!!! Noi eravamo felici, ma è stato il volto incredulo e rilassato della mamma a riempirci la giornata! (Fioravanti, Spina, 2006, p. 54)

«Il suo stato d’animo era mutato» è questo il senso dell’intervento, mutare segno alle emozioni, trasformarle da negative in positive coinvolgendo la famiglia, il personale ospedaliero e modificando la realtà circostante. Particolarmente significative inoltre sono quattro pubblicazioni, non reperibi-

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

li nelle librerie ma richiedibili agli uffici competenti delle Regioni coinvolte, frutto di un progetto interregionale: Clown: la medicina del sorriso, che ha fotografato e definito la figura del clown in corsia. Nell’ambito di questo progetto, coordinato dalla Regione Toscana e comprendente altre cinque regioni italiane (Piemonte, Liguria, Sardegna, Lazio e Calabria) è stata riconosciuta e approvata la qualifica professionale del clown in corsia a cui sono state riconosciute, con un atto ufficiale, la professionalità e l’importanza del suo operare. I volumi prodotti nell’ambito del progetto, tutti curati da Enzo Catarsi, focalizzano l’attenzione sulla figura del clown e sull’umanizzazione delle pediatrie. Uno di questi, in particolare (Catarsi, 2008b) definisce, come frutto di un percorso condiviso e di confronto con le associazioni di clown operanti sul territorio, le caratteristiche del clown in corsia, il codice deontologico e il percorso formativo. Scrive appunto Catarsi: la figura del clown di corsia, in effetti, si arricchisce delle tematiche e delle competenze sull’arte drammatica anche se non opera su un palcoscenico vero e proprio. Può esercitare la sua arte ovunque, poiché è il semplice fatto di attraversare lo spazio libero sotto lo sguardo degli spettatori che muta uno spazio in una scena teatrale. Il reparto ospedaliero si trasforma, così, in un contesto dove – anche – si gioca e ci si può divertire, in virtù della regia sapiente del clown che smitizza con la propria stessa presenza la sacralità e i timori che il luogo evoca. (Catarsi, 2008b, p. 8)

Particolarmente interessante è anche il volume dedicato alle buone prassi (CatarRassegna bibliografica 1/2009

si, 2008d) in cui gli operatori di ospedali e reparti pediatrici italiani (si possono trovare, ad esempio, alcuni ospedali come il Meyer di Firenze e il Gaslini di Genova ma anche i reparti pediatrici di Cagliari e Arezzo) raccontano la loro esperienza che una volta condivisa e comunicata diventa occasione di riflessione sul proprio lavoro. Le esperienze raccontate e catalogate diventano buone prassi nel momento in cui dimostrano l’integrazione tra loro. In tutti i racconti, infatti, la figura del clown non si presenta come un evento sporadico ma come elemento integrato e integrante con tutte le altre attività ospedaliere. La categoria dell’integrazione toglie, infatti, l’esperienza del clown dalla sporadicità e lo fa diventare un elemento importante di un sistema, un elemento capace di rompere con la consuetudine e capace di insegnare a pensare in modo diverso. Si può leggere, infatti, nell’esperienza della pediatria di Arezzo: «il clown si nutre di emozione, osserva e amplifica ciò che vede con gli occhi e sente con il cuore. Vive in un mondo parallelo che spesso si incontra con il reale e altrettanto frequentemente se ne allontana. Non è uno stupido, ma forse un personaggio con un’intelligenza altra, diversa, affascinante» (Grasso, Mattesini, 2008, p. 91). Il volume è dedicato al percorso di formazione (Catarsi, 2008c) ed è arricchito da numerose foto e da un cd-rom ricco di documentazione, sono presenti inoltre numerose testimonianze e alcune considerazioni metodologiche. Particolarmente interessante è, ad esempio, l’articolo di Alessandra Farneti che invita a considerare il clown come una figura a sé stante, una figura che non si può inserire

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Percorso di lettura

esclusivamente nel contesto della terapia Il clown esce dal circo del ridere o della gelotologia. Scrive AlesVorrei parlare a Dio con un naso finto sandra Farneti:

George Bataille

la mia opinione è che il clown non sia sempre divertente e che, dunque, la definizione di clownterapia come terapia del riso sia riduttiva. Se pensiamo ai grandi clown teatrali e cinematografici ci accorgiamo facilmente che quello che suscitano negli spettatori è una miscela di emozioni difficilmente definibili e molto complesse. Se pensiamo a Chaplin, a Marceau, o a Slava Polunin, mi sembra che sia impossibile ridurre il loro lavoro a una sorta di “geloterapia” perché quello che suscitano è una miscela di emozioni che vanno dal pianto al riso a una specie di “incanto” infantile. (Farneti, 2008, p. 96)

Sempre nello stesso volume si riflette anche sulla formazione: la formazione per clown è quindi difficile e piena di insidie perché è un confronto costante con se stessi, con quanto siamo disposti a dare per sentirci vivere, non è quindi una cosa da poco. Fatta di cadute, di messe in gioco, di tecniche varie e interrelate tra loro. Voce, corpo gestualità, musica e canto, marionette, salti mortali; tutti questi elementi devono esserci e devono coesistere insieme allo stesso tempo. La formazione senza dubbio si rivela complessa e difficile, fatta di teatro, di acrobatica, di commedia dell’arte, di improvvisazione, ma detto questo non è ancora definito il clown, ci sfugge ancora un elemento essenziale e determinante del clown. Queste cose magari le sa fare anche un attore, ma un clown è qualcosa di più. (Mannucci, 2008, p. 29)

Cosa mangia un clown? Chiedeva una bambina. E dove dorme? Domandava Mangia quel che vuoi tu, dorme dove vuoi tu e fa quel che piace a te Pierre Etaix

Visto che di clown si parla occorre individuare alcuni elementi importanti di questa maschera, “la maschera più piccola del mondo”, elementi che caratterizzano anche l’operare dei clown in corsia, elementi che sono fondamentali per comprendere i processi e le dinamiche che intervengono nell’intervento dei clown in corsia, elementi che fanno del clown in corsia una figura unica e particolare, diversa da tutte le altre. Il clown storicamente è una delle figure base del circo fino a diventarne il simbolo e l’emblema. Il lavoro del clown nel circo si basa essenzialmente su una dicotomia, il clown bianco (detto anche Loius) e l’augusto (chiamato anche Toni); una dicotomia che si trova spesso anche nelle strutture organizzate e anche nelle strutture sanitarie. Il clown bianco, che tecnicamente sarebbe anche il vero clown, è autoritario, severo, preciso, in grado di fare (il suo costume tradizionale lo vuole vestito di bianco e col cappello a punta). Scrive Alessandra Farneti senza dubbio una delle più autorevoli voci sull’argomento:

Che cos’è allora questo clown? Questo clown che esce dal circo e dai teatri per andare nelle corsie degli ospedali? Proviamo a recuperare alcune indicazioni Il clown bianco è elegante, con la faccia cobibliografiche sulla figura del clown. perta di biacca e gli occhi bistrati. Porta in geRassegna bibliografica 1/2009

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

nere un cappello di pan di zucchero, un vestito rigonfio sui fianchi, pantaloni al ginocchio e calzettoni bianchi. È saccente e arrogante, sempre pronto a deridere e a dare consigli con voce stentorea. Suona uno strumento “serio” come il violino o la tromba. (Farneti, 2004, p. 5)

ve si disegnano architetture e ingegnerie organizzative che escludono le persone. Ma chi è l’augusto? Leggiamolo in questo brano tratto da un capitolo dedicato ai clown di un libro che analizza il circo in tutte le sue componenti culturali:

E alle parole di Alessandra Farneti fanIn contrasto con il clown bianco e tutti i no eco quelle del grande regista Federico suoi modi affettati, il clown vero e proprio ha Fellini in un libro del 1970 dedicato ai una maschera che accentua i colori e protubeclown: ranze naturali, allarga la bocca ed enfatizza la Il clown bianco è un borghese, anche perché tende ad apparire con la persona, in modo da stupire: all’apparenza è già meraviglioso, già ricco, già potente. Il volto è bianco, spettrale, porta gli sberleffi nelle ciglia altezzose; la bocca è segnata con un solo trattino duro, antipatico, scostante, freddo. (Fellini, 1970, p. 39)

Quanti sono i clown bianchi che incontriamo, un po’ seriosi, altezzosi, capaci di incutere timore, sempre perfetti, sempre intenti a suonare una melodia che non possiamo assolutamente disturbare. I bambini generalmente hanno paura di questi clown bianchi perché rappresentano il dovere, il mondo adulto che impedisce di fare le cose, rappresentano un dottore, un’infermiera che deve fare la puntura, rappresentano i gendarmi che arrestano Pinocchio, rappresentano l’insegnante che punisce i propri allievi, rappresentano la seriosità delle norme e dei regolamenti. Fortunatamente nella coppia oppositiva dei clown esiste anche l’augusto, anzi forse è proprio l’augusto il clown che esce fuori dal circo per contrastare un mondo troppo serioso, un universo dove ci si prende troppo sul serio, dove si razionalizza ogni cosa, dove si cerca di ingabbiare l’energia creativa, doRassegna bibliografica 1/2009

simmetria naturale del volto umano: la parrucca è folta e spettinata; il vestito o troppo piccolo o troppo grande, di colore stravagante ed eccentrico; le scarpe sono spropositatamente grandi. Il suo modo di parlare e camminare differisce notevolmente dall’atteggiamento del partner. (Boiussac, 1986, p. 144)

Augusto è il clown che esce dal circo, sempre troppo grande o troppo piccolo, mai al punto giusto, è il clown che si trova nelle corsie degli ospedali, magari ha perso il trucco che si è fatto sottile e quasi inesistente, ha perso la parrucca inutile, ma ha mantenuto la caratteristica dell’augusto che in questa sua goffaggine riesce, in gergo tecnico circense, faire-valoir a enfatizzare per contrasto le qualità altrui, dei bambini, dei dottori, dei familiari. Il bambino, infatti, tende a identificarsi subito nell’augusto come scrive ancora Federico Fellini: Il bimbo, al contrario, si identifica immediatamente nell’augusto, nei limiti in cui l’augusto, assomigliando a una papera, al cucciolo di un cane, viene maltrattato, è quello che rompe i piatti, si rotola per terra, tira i secchi d’acqua in faccia: tutto ciò, insomma, che un bambino vorrebbe fare e che i vari clowns bianchi adulti, la madre, la zia, gli impediscono di fare. Al contrario, al circo, tramite l’augusto, il bim-

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Percorso di lettura

bo può immaginarsi di fare tutto ciò che è proibito: vestirsi da donna, fare le boccacce, gridare in una piazza, dire ad alta voce ciò che si pensa. Nessuno qui ti condanna. Anzi, al contrario, ti battono le mani. (Fellini, 1970, cit. in Fabbri, Sallé, 1984, p. 28)

dell’attore che riassume in sé numerose tecniche, scrive, infatti, Dario Fo nelle splendide pagine dedicate alla figura del clown nell’ormai classico Manuale minimo dell’attore:

Clown bianco e augusto si contraddistinguono però per qualcosa di straordinario, qualcosa che caratterizza da sempre la figura del clown, del clown da circo come del clown in ospedale è lo straordinario che fa da filo conduttore a ogni intervento, è lo straordinario che sconvolge, ridefinisce le regole della comunicazione e forse apre nuovi spazi relazionali. In un contesto di cura lo straordinario diventa essenziale proprio per aprire questi nuovi spazi, lo straordinario sconvolge e porta a mettersi nuovamente in gioco a rigiocarsi in una nuova prospettiva. Tutto nei clown è straordinario, non può essere altrimenti. Come appunto troviamo in questo brano di uno dei volumi più completi pubblicati in Italia sulla figura del clown:

Spesso si assiste all’imitazione del clown da parte di attori che credono di risolvere il gioco con il semplice ficcarsi una pallina rossa sul naso, calzarsi un paio di scarpe smisurate e berciare con la voce di testa. Si tratta di una ingenuità da pernacchio. Il risultato è sempre fastidioso e stucchevole. Bisogna mettersi in testa che si diventa clown solo in conseguenza di un lavoro, costante, disciplinato e faticoso e, ancora, grazie a una enorme pratica perseguita per anni. Clown non ci si improvvisa. (Fo, 1987, p. 267)

Quello che assomiglia all’ordinario non ha posto in pista; né in teatro, del resto. È lo straordinario che lega profondamente il bianco all’augusto. Ci sono state decine e decine di clown impiastricciati e di augusti infarinati, tutti in abbigliamenti stravaganti che non avevano nulla a che vedere con quelli del notaio, del medico, del ricco proprietario o del plebeo. In fondo quello che ci veste e ci trucca è un’anarchia totale, allegra e iconoclastica! (Fabbri, Sallé 1984, p. 28)

E in questo straordinario il clown, un clown che non si improvvisa, un clown che necessita di una formazione artistica che sintetizza tutte le funzioni Rassegna bibliografica 1/2009

Un clown quindi che è fatto anche di tecnica di studio, di tempo e di preparazione faticosa, un clown che sintetizza un insieme di elementi e di tecniche come scrive ancora Dario Fo: Il clown è costruito da un insieme di elementi che è molto difficile definire con precisione. Ogni uomo di teatro deve potersi servire di tutti i mezzi di espressione: voce, corpo, gestualità, musica e canto. Deve essere saltimbanco, deve saper eseguire un salto mortale, essere capace di cadere, suonare uno strumento, deve avere delle cognizioni in campo scenografico. Deve saper manipolare gli oggetti, animare le marionette. (Fabbri, Sallé, 1984, p. 28)

Queste le caratteristiche del clown che, come già sottolineato, non trova molti libri che lo analizzano in tutti i suoi aspetti. Con la fine degli anni Ottanta, a seguito anche a una crisi del circo, il clown esce dal tendone per conquistare altri spazi e diventa allora un clown maestro, un clown dottore, un

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

clown portatore di pace, con nuove funzioni, nuovi spazi e nuovi tempi. Il clown dottore, rispetto al clown da circo, perde alcune caratteristiche. Il clown nel circo, infatti, occupa l’intero spazio della pista, spesso deve fare dei rumori per coprirne altri (lo spettacolo del clown è generalmente inserito quando devono essere cambiate delle attrezzature) compie gesti esagerati per attirare l’attenzione. Il clown in corsia invece opera nello spazio della leggerezza, suoni leggeri, gesti leggeri, spazi ristretti dove i gesti si fanno necessariamente piccoli. Nel circo il clown fa il suo numero e attende l’applauso con un certo narcisismo da artista, in corsia invece non ci sono applausi, il contatto è diretto, empati-

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co, l’azione non è mai centrata su di sé ma sull’altro. Nonostante queste differenze però mantengono le caratteristiche di clown, sono elementi di rottura con le regole del mondo, sono dei diversi sempre e comunque e in questo loro essere diversi creano una bolla magica dove entrare dentro per costruire una relazione, una bolla magica dove tutto può accadere nonostante tutto e tutti, nonostante la malattia, le punture, le lacrime, i sorrisi. E forse il segreto dei clown sta proprio in questo, in questa relazione, in questo mettersi in gioco con le proprie emozioni, il segreto del clown sta in questo, nell’esserci per far sì che un posto normale possa diventare un posto migliore.

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Percorso di lettura

Riferimenti bibliografici Adams, P. 2004 Salute! Ovvero come un medico-clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore, Milano, Urra 2005 Visite a domicilio. La missione del medico clown: guarire il mondo una visita alla volta, Milano, Urra Boiussac, P. 1986 Circo e cultura, Palermo, Sellerio Bottaccioli, F. 2005 Psiconeuroendocrinoimmunologia. I fondamenti scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata, Milano, Red edizioni Catarsi, E. (a cura di) 2008a Le attività di animazione in ospedale. Repertorio, Firenze, Giunti 2008b Clown la medicina del sorriso. Il codice deontologico, Firenze, Giunti 2008c Clown la medicina del sorriso. Un percorso di formazione, Firenze, Giunti 2008d Clownerie e animazione negli ospedali pediatrici. Alcune buone prassi, Firenze, Giunti Fabbri, J., Sallé,A. 1984 L’arte del clown, Roma, Gremese Farné, M. 1995 Guarir dal ridere. La psicobiologia della battuta di spirito, Torino, Bollati Boringhieri Farneti,A. 2004 La maschera più piccola del mondo. Aspetti psicologici della clownerie, Bologna, Perdisa 2005a Il clown al servizio della persona. (Il clowning come strumento di supporto agli interventi riabilitativi in situazioni di sofferenza, rischio e devianza) articolo reperibile on line su numerosi siti tra cui: www.dottorclownitalia.org 2005b Il clown: uno “stupido” maestro intelligente, articolo reperibile on line su numerosi siti tra cui: www.dottorclownitalia.org 2008 La formazione del clown in corsia, in Catarsi, E. (a cura di), Clown la medicina del sorriso. Un percorso di formazione, Firenze, Giunti Fellini, F. 1970 I clowns, Bologna, Cappelli Fioravanti, S., Spina, L. 1999 La terapia del ridere. Guarire con il buonumore, Como, Red edizioni 2006 Anime con il naso rosso. Clown dottori: conquiste e prospettive della gelotologia, Roma, Armando Flangini, R. 2008 La realtà dei clown dottori in Italia, in Catarsi (a cura di), Clownerie e animazione negli ospedali pediatrici. Alcune buone prassi, Firenze, Giunti Fo, D. 1987 Manuale minimo dell’attore, Torino, Einaudi

➤➤

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Clown in corsia: proposte per un percorso bibliografico

➤➤ Francescato, D. 2002 Ridere è una cosa seria, Milano, Mondadori Grasso, F.R., Mattesini, D. 2008 Una rete per i bambini e le bambine ricoverate ad Arezzo, in Catarsi, E. (a cura di), Clownerie e animazione negli ospedali pediatrici. Alcune buone prassi, Firenze, Giunti Mannucci, M. 2008 Formare clown in corsia, in Catarsi, E. (a cura di), Clown la medicina del sorriso. Un percorso di formazione, Firenze, Giunti Renevey, M. 1985 Il circo e il suo mondo, Bari, Laterza Saint-Arnaud,Y. 2006 Il piacere che guarisce, Bologna, Centro editoriale dehoniano Serena,A. 2008 Storia del circo, Milano, Bruno Mondatori Simonds, C.,Warren, B. 2003 La medicina del sorriso, l’esperienza dei clown-dottori con i bambini, Milano, Sperling & Kupfer

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Percorso di lettura

Sitografia Gran parte della documentazione sui clown in corsia è reperibile on line. Essendo il fenomeno ancora relativamente recente, sono pochi gli studi strutturati che analizzano la questione, attraverso i siti è comunque possibile riuscire a fotografare il fenomeno e ad analizzare le principali caratteristiche. Di seguito si fornisce una sitografia riferita alle principali associazioni di clown in corsia operanti nel mondo. • www.leriremedecin.asso.fr È il sito dell’associazione francese fondata e presieduta da Caroline Simonds • www.clowndottori.it Le associazioni italiane raggruppate nella Federazione nazionale clown dottori • www.theodora.org È il sito della fondazione Theodora. Occorre selezionare la sezione italiana per accedere a tutte le informazioni sui 18 clown che operano nelle pediatrie italiane • www.dottorsorriso.it È il sito della fondazione Aldo Garavaglia • www.soccorsoclown.it È il sito dell’associazione fondata da Val Olshansky e operante all’Ospedale Meyer di Firenze

Clown in corsia nel mondo:

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Argentina: www.payamedicos.org.ar Austria: www.rotenasen.at Brasile: www.doutoresdaalegria.org.br Canada: www.drclown.ca Cile: doctorsonrisa.galeon.com Colombia: www.doctoraclown.org Germania: www.clown-doktoren.de Messico: doctoresdelarisa.leonmx.com Olanda: www.cliniclowns.nl Perù: www.doctoresbolaroja.com Portogallo: www.narizvermelho.pt Regno Unito: www.hospitalclown.com ; www.caringclownsinternational.org Spagna: www.pupaclown.com ; www.pallapupas.org ; www.titiritas.org ; www.saniclown.com Svizzera: www.hopiclowns.ch

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PERCORSO FILMOGRAFICO

La figura del clown nel cinema, tra verità della scena e menzogna della vita Fabrizio Colamartino Critico cinematografico, consulente del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza

Uno studio della figura del clown a partire dall’immagine che ne ha dato il cinema potrebbe apparire come un’operazione pretestuosa e fuorviante: perché non analizzare questo personaggio direttamente nei suoi contesti naturali: il circo, il teatro, la strada? Se queste dimensioni sono certamente quelle in cui il clown ci si presenta nella sua versione più originaria, quella di una figura capace di avvicinarsi più di ogni altro personaggio dello spettacolo a qualsiasi tipo di pubblico per coinvolgerlo in una dimensione altra, astratta, eppure anche profondamente umana, il cinema è riuscito, grazie alla propria capacità di narrare per immagini, a mettere il clown al centro di storie, vicende e situazioni più concrete, forse meno poetiche e stilizzate, ma anche più complesse, spesso capaci di avvicinare questa figura allo stesso tempo goffa ed eterea alla realtà, investendola di caratteri inediti. Non è un caso se il cinema, nei suoi primissimi anni di vita, cresce e convive a fianco dei circhi, dei baracconi da fiera, dei parchi di divertimento, luoghi nei quali il clown è di casa. Dopo aver sfruttato la contiguità con tali dimensioni spettacolari già ampiamente affermate (ma, allo stesso tempo, pagando lo scotto di essere a esse assimilato, quanto a banaRassegna bibliografica 1/2009

lità e volgarità), ben presto il cinema le sostituirà del tutto o quasi nelle preferenze del pubblico e moltissimi artisti provenienti dal varietà, dal vaudeville e da forme teatrali considerate minori, plebee e volgari dalla cultura ufficiale spesso troveranno nel cinema oltre che fama e ricchezza anche un riconoscimento culturale che altrimenti non avrebbero ricevuto. Lungi dal compiere una banale operazione di trasposizione, di duplicazione dello spettacolo circense, il cinema, oltre a porre la figura del clown al centro delle proprie narrazioni, ha creato un’affollata galleria di personaggi da essa ispirati. Personaggi che hanno preso corpo proprio grazie alla natura del mezzo cinematografico e che a quest’ultimo sono riusciti a dare, in uno scambio virtuoso esemplare, nuove forme e modi della rappresentazione: si pensi soltanto a quanto il linguaggio cinematografico, la codificazione dei generi classici, il sistema produttivo degli studios debbano al genere comico, allo slapstick, insomma a figure come Mack Sennett, Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harol Lloyd, Stan Laurel e Oliver Hardy e tanti altri protagonisti delle cosiddette “comiche finali”. Ma c’è di più: il cinema riesce a dare alla figura del clown non solo una platea virtualmente aperta a milioni di spettato-

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La figura del clown nel cinema, tra verità della scena e menzogna della vita

ri, ma anche e soprattutto storie ambientate fuori dalle scene teatrali e circensi, uno sfondo sociale e storico molto più concreto, non solo nei termini di un banale realismo, ma soprattutto in quelli di un forte legame con tematiche attuali, legate alla contemporaneità di tutto il Ventesimo secolo. L’efficacia del “trapianto” del clown all’interno della realtà attraverso il cinema diviene evidente analizzando i casi inversi, ovvero quelli in cui si mettono in scena vicende di veri e propri clown ambientandole nei luoghi canonici della rappresentazione clownesca (circhi, teatri, eccetera). Se calare il clown o gli interpreti/personaggi che è possibile assimilare a questa tipologia attoriale nella realtà del quotidiano è un’operazione dirompente, capace di sovvertire regole e convenzioni sociali attraverso il meccanismo comico, far agire gli stessi personaggi all’interno di un contesto teatrale o circense depotenzia l’azione burlesca. I grandi comici cinematografici, che nelle loro prove migliori hanno saputo trasformare ogni ambiente in una pista da circo, una volta inseriti nell’ambiente circense non ottengono un risultato altrettanto travolgente, tutt’altro. Il meccanismo comico si basa, infatti, essenzialmente sulla differenza, sul mettere un elemento fuori luogo, nell’inserire un corpo estraneo (e quanto il corpo c’entri con la comicità risulta fin troppo evidente) all’interno di una situazione convenzionale: la straordinarietà del circo, la sua spettacolarità, impediscono di percepire il clown come elemento estra-

neo, mentre proprio il contrario avviene con il cinema che della descrizione della realtà, (dell’ordinario, della quotidianità) fa la sua caratteristica principale. Il cinema, probabilmente molto meglio di qualsiasi altra forma di rappresentazione, oggi può aiutarci a individuare una serie di definizioni, di stereotipi e di figure caratteristiche della clownerie, accompagnandoci nella comprensione dei meccanismi che si trovano alla base della comicità. Questo perché alcune figure clownesche create dagli autori comici del grande schermo sono probabilmente molto più presenti nel nostro immaginario di quanto non lo siano coloro che, ancora oggi, sono i depositari di una tradizione importantissima ma che si rivolge a una platea numericamente più limitata. Vediamo, dunque, in quale modo alcuni grandi autori di cinema (comico ma non solo), siano riusciti a riflettere i disagi, le ansie, le urgenze, i cambiamenti della società rielaborando la figura del clown nei loro film.

Keaton e Chaplin, due clown travolti dal circo della vita Se è possibile affermare che tutti gli attori/personaggi comici del cinema muto posseggono caratteristiche clownesche1, dovute essenzialmente al trucco esasperato e alla mimica eccessiva necessari per rendere evidenti espressioni, emozioni e azioni più difficili da decifrare al cinema

1 Si pensi, ad esempio, alle fattezze e alla gestualità di Roscoe “Fatty” Arbuckle, Stan Laurel, Ben Turpin, tutti provenienti non a caso dal vaudeville.

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Percorso filmografico

che non nella realtà a causa dell’assenza del suono, l’aura di astrazione creata da Charlie Chaplin e Buster Keaton attorno ai due personaggi portati sullo schermo in centinaia di comiche e film, fanno di questi due autori dei veri e propri clown e, in particolare, i rappresentanti delle due principali tipologie clownesche della tradizione circense. Da un lato Chaplin, imbroglione (specie nelle sue primissime apparizioni sul grande schermo, quando ancora la maschera del piccolo vagabondo non aveva assunto i connotati patetici acquisiti nelle opere della maturità), vagabondo, scansafatiche, burlone e pasticcione, incapace (e neanche desideroso) di integrarsi socialmente è il tipico “augusto”. Anche il suo abbigliamento suggerisce tale accostamento: scarpe enormi, pantaloni larghi tenuti su a fatica da una cordicella, mimica facciale spesso vivace ed esasperata. Dall’altro Keaton, all’apparenza socialmente più integrato, caratterizzato dall’essere spesso “competente” e dall’avere un ruolo ben preciso (cameraman, ferroviere, eccetera), sempre alle prese con un compito da portare a termine (che, puntualmente, naufraga più che per l’incapacità del personaggio, per gli ostacoli che si frappongono fatalmente tra lui e lo scopo), dotato di un abbigliamento pressoché normale (a volte di una vera e propria divisa) e di una maschera impassibile, caratterizzata dal pallore eccessivo, proprio come il cosiddetto “bianco” della tradizione. Se nel caso del personaggio creato da Keaton, all’apparenza preparato per affrontare il confronto con la realtà, assistiamo a una vera e propria “rivolta degli oggetti” che si ribellano e sembrano assumere vita propria, con lo sprovveduRassegna bibliografica 1/2009

to Charlot a volte gli stessi oggetti sembrano piegarsi spontaneamente a un uso poetico da parte del protagonista (si pensi alla danza dei panini in La febbre dell’oro), paiono collaborare e agevolarlo nelle sue imprese. Del resto, tanto Chaplin quanto Keaton provenivano dal vaudeville che con il circo aveva molto in comune, specie per i numeri di abilità e acrobazia: Keaton, ad esempio, ebbe il suo nome d’arte – “Buster” ovvero “rompicollo” – da Houdini che lo aveva visto esibirsi a tre anni insieme ai genitori, attori di varietà. Se Keaton porta all’estremo il lato “catastrofico” dell’agire clownesco, Chaplin incarna nell’immaginario collettivo molto più spontaneamente l’idea del clown, riuscendo a sintetizzarne, attraverso il personaggio dell’omino vagabondo con baffetti e bombetta, il prototipo cinematografico. Si tratta, infatti, di una figura che fa leva sul lato patetico delle situazioni, sull’alternanza tra ilarità e tristezza, sull’assenza di un ruolo sociale definito oltre che, come detto, su un abbigliamento molto simile a quello dei clown del circo. Non è un caso, dunque, se due dei film più celebri, significativi e commoventi di Chaplin siano dedicati proprio all’ambiente circense e ai suoi protagonisti. Si tratta di una delle eccezioni eccellenti che confermano la regola poco prima evidenziata: se nella maggior parte dei casi la messa in scena cinematografica della clownerie all’interno dell’ambiente circense vede depotenziato l’effetto di spiazzamento prodotto dall’inserimento di questa figura in una dimensione “normale”, in Il circo siamo di fronte a un net-

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La figura del clown nel cinema, tra verità della scena e menzogna della vita

to ribaltamento. Attenzione, però: nel film Charlot, come sempre inseguito da un poliziotto, trova rifugio e lavoro in un circo (entra in pista nel corso dello spettacolo e viene scambiato per un vero clown, scatenando l’entusiasmo del pubblico con gli inconvenienti che crea). Il suo essere spontaneamente pasticcione, la sua “abilità” nel mettersi nei guai, all’interno della dimensione rovesciata del circo, parrebbe agire, al contrario che nel mondo normale, come un valore aggiunto, una dote. Una dote che, tuttavia, funziona fino a quando non viene irreggimentata all’interno degli schemi rigidi dello spettacolo programmato: i numeri e le evoluzioni “improvvisate” la prima volta, il giorno dopo non scatenano l’ilarità e, così, l’omino si ritrova destinato a più umili mansioni, ovvero, proprio come nella società normale, all’ultimo gradino della scala gerarchica. È in questo ruolo (di clown declassato sulla scena circense) che il clown-Charlot può realmente funzionare (soprattutto in senso cinematografico): il mondo del circo rivela la sua essenza di universo paradossalmente ancora più violento e assurdo di quello normale, con in più una carica di irrazionalità che trasforma ben presto la vita del protagonista in un incubo. Il circo e la comicità del clown in questo caso divengono un distillato – urticante per verità – della dura realtà della vita normale (ammesso che si possa definire tale quella vissuta da Charlot fuori dal circo). Girato poco tempo dopo lo scandalo che lo coinvolse e che gli costò il pubblico linciaggio da parte della società statunitense, il film è probabilmente – e paradossalmente – tra i più pessimisti di ChaRassegna bibliografica 1/2009

plin. Il messaggio contenuto nel finale del film è fin troppo evidente: il circo parte e, dietro di sé, lascia un cerchio di segatura sul terreno e una stella di carta con cui Charlot, rimasto solo, gioca malinconicamente. Se il circo è stato per la durata del film una metafora esasperata della società, Chaplin lascia che esso parta per nuove illusorie mete, permettendo al protagonista se non altro un momento di pace e di solitudine. È un tema, quello dell’artista che non ha un suo posto nella società, sul quale Chaplin tornerà a confrontarsi in uno dei suoi ultimi film, Luci della ribalta, considerato una sorta di testamento morale: la vicenda di Calvero, clown del varietà caduto in disgrazia, depresso e alcolizzato, è un concentrato di elementi tratti tanto dalla vita del regista quanto da quella del padre, anch’egli artista del vaudeville, fallito, alcolizzato, morto in miseria. Lo spettacolo di varietà e soprattutto ciò che vi ruota intorno (le miserie di un’esistenza in balia del capriccio degli impresari e del pubblico, l’angoscia dell’artista che teme di aver perso il suo talento, la necessità di rinnovare un repertorio che, per forza di cose, risulta limitato), ancora una volta assume il valore di una metafora della vita, quella di qualunque uomo ma soprattutto dell’uomo Chaplin che qui si ritrova a fare il bilancio di un’esistenza vissuta sulla scena e per la scena, spesa per un pubblico che, tuttavia, alla prima occasione ti abbandona, privandoti dell’unica ragione di vita. Proprio in questo film così intriso di malinconia e disillusione ritroviamo a fianco di Chaplin, in un indimenticabile numero musicale, proprio colui che ave-

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Percorso filmografico

vamo indicato come l’altro comico del muto capace di incarnare lo spirito del clown, ovvero Buster Keaton. Non è un caso, anche perché Keaton, molto più di Chaplin, dovette confrontarsi con tutte le difficoltà e le umiliazioni cui può andare incontro un artista della scena comica: caduto in disgrazia, al contrario di Chaplin (che, comunque, aveva saggiamente amministrato il proprio patrimonio) Keaton si ritrovò sul lastrico, screditato di fronte ai produttori e al pubblico, arrivando negli ultimi anni di vita ad accettare, per poter sopravvivere, particine in film di cassetta2, tranne che in rarissimi casi, come appunto in Luci della ribalta o in Viale del tramonto di Billy Wilder. Nella coppia di anziani commedianti che nel film di Chaplin si danno da fare per far ridere il pubblico si ritrovano sintetizzate tutte le caratteristiche principali della figura del clown: il suo essere plebeo ma allo stesso tempo estremamente aristocratico, la sua diversità ed eccentricità rispetto al canone sociale, la condizione di povertà ed estremo bisogno, la situazione di continuo scacco e imbarazzo di fronte agli altri. Sono elementi distintivi della condizione umana che mettono l’accento su alcune caratteristiche dell’esistenza, capaci di accomunare tutti ma che, allo stesso tempo, puntano a evidenziare come ognuno si ritrovi, prima o poi, solo di fronte alle difficoltà della vita, spesso incompreso o addirittura deriso dagli altri.

La clownerie eversiva dei fratelli Marx Se le due più importanti figure di comici statunitensi dell’era del muto portavano avanti un discorso critico su temi universali come la natura dell’animo umano e il suo rapporto con la società, le sue strutture e le sue regole, è significativo segnalare come, pochi anni dopo, in un panorama politico ed economico profondamente mutato, altre figure clownesche rubate da Hollywood al vaudeville imponevano al cinema un genere di comicità decisamente diversa, molto più anarchica e sovversiva, capace di prendere di petto la presunta razionalità borghese e sovvertirla totalmente con inedita aggressività. Nel corso degli anni Trenta i fratelli Marx costituirono un superamento a piè pari della comicità del muto, basata essenzialmente sull’azione, a vantaggio di una satira feroce, fondata su dialoghi corrosivi e sull’uso del nonsense, derivata essenzialmente dalla tradizione umoristica ebraica. Se la comparsa dei dialoghi sembrerebbe allontanare le performance del gruppo dalla sfera clownesca, l’estrema caratterizzazione fisica di ognuno dei componenti, la loro gestualità irruenta, il loro agire sempre a sproposito, dando tuttavia la sensazione di un’estrema sicurezza in se stessi, ne fanno dei moderni giullari capaci di portare scompiglio ovunque. Groucho, occhialuto e baffuto, aggressivamente ironico, do-

2 È il caso dell’improbabile Due marines e un generale (regia di Luigi Scattini, Italia, 1965) nel quale il grande comico statunitense si ritrova al fianco di Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Lino Banfi, in un tentativo di parodia del genere bellico di infimo livello.

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tato di un eloquio basato sul continuo uso dell’allusione e del nonsense, Harpo, vagabondo muto, ingenuo e lunare, con una grande parrucca riccia e una tromba per automobile in tasca, Chico, caratterizzato da un improbabile accento italiano e dal fare sbrigativo e plebeo (specie con il gentil sesso), sono dei veri e propri corpi estranei pronti a sabotare le situazioni più formali e codificate e a mettere in ridicolo proprio le figure che incarnano l’autorità, la legge, l’istituzione. Non è un dato nuovo nell’ambito della clownerie cinematografica: anche Keaton e Chaplin (più quest’ultimo a dire il vero) si trovavano spesso alle prese con rappresentanti della legge e dell’autorità, tuttavia all’interno di un rapporto che non metteva mai completamente in dubbio il ruolo sociale di queste figure. Nel caso dei fratelli Marx, al contrario, si giunge all’affronto e a una vera e propria ridicolizzazione dei personaggi e delle situazioni canoniche, non più a partire da meccanismi comici basati sull’azione, bensì in virtù di dialoghi apparentemente privi di senso ma in realtà decisamente corrosivi. In più, nelle due personalità più preminenti della famiglia Marx3, ovvero Groucho e Harpo, si sviluppano due modalità opposte di comunicazione. Da un lato, il logorroico Groucho elabora un uso della parola che, all’interno delle convenzioni (cinematografiche e sociali) degli anni Trenta, vuole restituire al linguaggio il suo vero ruolo di mezzo di comu-

nicazione: i suoi interlocutori, prigionieri degli schemi sociali consolidati che attribuiscono alla verbalità un puro e semplice valore convenzionale, vengono travolti dalla “logica stringente” (si tratta, in realtà di nonsense, che spiazzano) di Groucho, ne restano prigionieri, sono costretti ad arrendersi. Nel caso di Harpo ci troviamo di fronte a una condizione ancor più estrema, ovvero la negazione della possibilità di comunicare con gli altri, se non altro attraverso l’uso simbolico della parola: ostinato nel suo mutismo, il buffo personaggio è costretto a investire fisicamente i propri interlocutori con ciò che non può nominare e a saturare di oggetti fuori luogo gli ambienti della convenzionalità borghese. I set preferiti per le commedie dei Marx sono grandi alberghi (The cocoanuts, regia di Robert Florey e Joseph Santley, USA 1929), navi da crociera (Monkey Business, regia di Norman Z. McLeod, USA 1931), teatri (Una notte all’opera, regia di Sam Wood, USA 1935), palazzi principeschi (La guerra lampo dei fratelli Marx, regia di Leo McCarey, USA 1933), ovvero i luoghi della convenzionalità sociale, in cui vengono messi in scena i rituali del conformismo diffuso e che vengono sconvolti dall’irruzione dei fratelli. È sintomatico che l’unico dei loro film ambientato in un vero e proprio circo – At the circus – sia anche uno dei meno efficaci, il più scontato: come anticipato poc’anzi, l’azione devastante dei Marx, che aveva trasformato gli ambienti

3 I fratelli erano, in realtà, cinque: i già citati Harpo, Groucho, Chico e i meno noti (e anche meno presenti sulla scena) Zeppo e Gummo. Il gruppo era guidato, poi, dalla madre, Minnie Shoemberg, figlia a sua volta di due artisti tedeschi immigrati in America: Fanny, suonatrice d’arpa e Lafe, prestigiatore e ventriloquo.

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dominati dal formalismo borghese o aristocratico in vere e proprie piste da circo, sotto un vero tendone risulta depotenziata, neutralizzata, in alcuni casi azzerata.

Fellini: la verità di una finzione più forte della realtà Nello sketch musicale messo in scena da Chaplin e Keaton in Luci della ribalta la dicotomia bianco/augusto emerge con sufficiente evidenza, anche se non è così esasperata come vorrebbe la tradizione: «il primo è l’eleganza, la grazia, l’armonia, l’intelligenza, la lucidità che si propongono moralisticamente come le situazioni ideali, le uniche, le divinità indiscutibili. […] L’augusto, che è il bambino che si caca sotto, si ribella a una simile perfezione, si ubriaca, si rotola per terra e anima, perciò, una contestazione perpetua». La citazione è tratta proprio da I clowns, un documentario (in realtà moltissime sono sia le sequenze che ricostruiscono situazioni come se fossero “dal vivo”, sia quelle esplicitamente di finzione) girato da Federico Fellini sul mondo dei clown di antica scuola (i Fratellini, i Bario, i Martana…): qui l’autore fa i conti con una suggestione della propria infanzia, ovvero l’arrivo del “Circo Pierino” a Rimini, alla base di buona parte della sua poetica e dei suoi personaggi più riusciti,

primo fra tutti quello dell’artista girovaga Gelsomina, protagonista di uno dei suoi capolavori, La strada, di molte delle figure del suo primo film, Luci del varietà (storia di una sgangherata compagnia d’avanspettacolo nell’immediato dopoguerra), del suo ultimo film, La voce della luna (interpretato da due grandi attori-clown italiani come Paolo Villaggio e Roberto Benigni), ma anche del suo primo grande successo, Lo sceicco bianco: come non scorgere nel volto “inceronato”, nell’abito candido e nelle movenze melliflue di Alberto Sordi i residui di un bianco infantilmente vanitoso, cinico e viziato? Del resto, tutto il cinema del regista riminese è stato da sempre etichettato come grottesco, paradossale, eccessivo, tragicomico e, infine, spesso e volentieri clownesco: tutti i suoi personaggi più riusciti gravitano in qualche modo attorno al mondo dello spettacolo, a una “scena” che bisogna riempire attirando l’attenzione del pubblico, in un modo o nell’altro e tutti alternano, nel volgere di poche inquadrature, caratteristiche di eccessivo entusiasmo e smodata ilarità4 con atteggiamenti melanconici e disillusi, entrambi parte integrante e irrinunciabile del bagaglio di pose clownesche.5 «Il cinema assomiglia moltissimo al circo. È probabile che se il cinema non fosse esistito […] e il circo fosse ancora un genere di spettacolo di una certa attualità, mi sarebbe piaciuto molto essere

4 Come, ad esempio, il personaggio di Fellini forse più lontano dallo stereotipo del clown, il giornalista Marcello, protagonista di La dolce vita, ossessionato dal mondo dello spettacolo, dalla “scena” di via Veneto sulla quale si muove a suo agio, intriso di profonda malinconia e disillusione, spesso in bilico tra ilarità e tristezza, entusiasmo e cinismo. 5 Da non trascurare la collaborazione a quasi tutti i film di Fellini dei celebri clown Colombaioni, proprio in qualità di consulenti per le sequenze circensi o nelle quali comparissero figure clownesche.

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il direttore di un grande circo, perché il circo è esattamente un miscuglio di tecnica, di precisione e di improvvisazione»6. Se i personaggi di Fellini sono spesso clowneschi, altrettanto è possibile affermare per le situazioni rappresentate: valga per tutte, una citazione dal suo film forse più compiuto e significativo, 8 e ½, nel quale il regista cinematografico Guido (interpretato da Marcello Mastroianni, vero e proprio alter ego filmico di Fellini), preda di una crisi creativa e alle prese con un film da mettere in piedi, nel finale si ritrova a guidare – proprio come il direttore di un enorme circo – il girotondo di tutti i personaggi passati nel corso del lungometraggio, sulle note celebri della marcia composta da Nino Rota per il film, suonata, non a caso, da una sgangherata banda di clown. Se per Chaplin, dunque, il circo è un mezzo per raccontare la vita, per darle un senso, per costruire una metafora capace di demistificarne le miserie e gli affanni, per Fellini quello che importa è lo spettacolo in sé e per sé: «Il cinema-verità? Sono piuttosto per il cinema-menzogna. La menzogna è sempre più interessante […] è l’anima dello spettacolo e io amo lo spettacolo. La fiction può andare nel senso di una verità più acuta della realtà quotidiana e apparente. Non è necessario che le cose che si mostrano siano autentiche. In generale è meglio che non lo siano. Ciò che deve essere autentico è l’emozione che si prova nel vedere e nell’esprimere»7. Inganno, mistificazione e candore assoluto nel porgerli allo spettatore sono

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dunque il tramite per pervenire a una parte dell’essenza della vita e dell’animo umano altrimenti insondabili con i soli strumenti della ragione. La contrapposizione tra il bianco e l’augusto ha proprio la funzione di confrontare la razionalità del primo personaggio con la follia e l’istintualità del secondo: oltre che, ovviamente, ne I clown, l’altro film di Fellini in cui è più facilmente ravvisabile lo schema è La strada. La strana coppia Zampanò-Gelsomina costituisce un’entità in bilico ma, comunque, non priva di un suo equilibrio: il primo è un imbroglione da quattro soldi che gira con un carrozzone per la provincia italiana mettendo su uno sgangherato spettacolo (le catene che spezza con il torace sono già tagliate, la forza che ostenta è affatto relativa) cui serve il candore della sua partner per presentare gli spettacoli, renderli affascinanti, credibili, per lo meno accettabili. Zampanò, dunque, come bianco, colui che afferma una sua verità incontrovertibile (si autodefinisce “l’uomo più forte del mondo”) e che ha bisogno per farla credere vera della scempiaggine e del candore di Gelsomina, l’augusto. Al termine del film, quando Gelsomina decide di abbandonare Zampanò, quest’ultimo cade nell’angoscia, ormai rimasto solo, privato di un contraltare che aveva sempre disprezzato e al quale ora comprende di non poter rinunciare, pena la solitudine, ovvero l’impossibilità di confrontarsi con quell’altra parte di se stesso che è difficile (ma necessario) accettare.

Pecori, F., Federico Fellini, Firenze, La nuova Italia, 1978, p. 4. Pecori, F., op. cit., p. 8.

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Totò e Pasolini: un clown al servizio dell’intellettuale Quanto sia importante la figura del clown all’interno di un’economia narrativa che voglia mettere in evidenza il ruolo della diversità nella società, nonché di un sistema della rappresentazione che cerchi di evidenziare gli aspetti paradossali della condizione umana, è evidente prendendo in considerazione alcuni dei film di un regista come Pier Paolo Pasolini, quanto mai distante dalle forme e dai temi del cinema di Fellini, ma come lui alla ricerca di un sistema simbolico attraverso il quale far emergere una verità che vada oltre l’evidenza del dato reale. Si tratta di quei film in cui Pasolini utilizza Totò, colui che nel cinema italiano ha meglio interpretato il ruolo destabilizzante del clown all’interno della società, arrivando a creare un personaggio che resterà tale di film in film, fino a divenire una vera e propria maschera. Totò è, come Chaplin e Keaton, un altro rappresentante di quella generazione di attori cinematografici provenienti dal teatro comico (in Italia l’avanspettacolo) che si riallacciano alla tradizione antichissima dei mimi, dei buffoni, dei saltimbanchi, delle maschere della commedia dell’arte: è un Pulcinella che sovverte ogni situazione, distorce e deforma i comportamenti cosiddetti normali per evidenziarne l’inconsistenza, persino in quei film corrivi e commerciali che gli resero ostile tutta la critica cinematografica italiana. In Uccellacci uccellini e in La Terra vista dalla luna (episodio di Le streghe) Pasolini recupera proprio quelle caratteristiche presenti nel personaggio creato da Totò Rassegna bibliografica 1/2009

agli inizi della sua carriera cinematografica: si tratta di un sottoproletario ingenuo, privo di quell’aggressività e di quella viltà che compariranno con il progressivo imborghesimento del personaggio. Una figura candida e inconsapevole, dunque, ma funzionale per portare avanti una critica feroce verso le istituzioni italiane (a incominciare da quelle verso le quali il regista si sentiva più vicino, ovvero la Chiesa cattolica e il Partito comunista) incapaci di indirizzare realmente la società italiana verso un cambiamento positivo, anzi protagoniste di quello che l’intellettuale friulano non esitava a definire come un vero e proprio genocidio culturale ai danni del proletariato, la cui unica forma di evoluzione nel tempo pareva potesse essere economica e non culturale. Non è affatto un caso che in tutti e tre i film il regista abbia affiancato al comico partenopeo un attore preso dalla strada come Ninetto Davoli, un personaggio più che un attore, vera e propria maschera egli stesso, ingenuo e trasognato figlio delle borgate romane. L’uso della maschera di Totò da parte di Pasolini giunge forse nel momento di maggiore delusione dell’intellettuale friulano nei confronti della società e della cultura italiana: la favola dolce e crudele che mette in scena muovendo i fili di una marionetta in carne e ossa – Totò – al tempo stesso ingenua e volgare, è un tentativo di allontanarsi dalla rappresentazione diretta di una realtà che non può essere messa in scena per quello che è, ed è il sintomo del bisogno di trasfigurare poeticamente un universo che solo attraverso la stilizzazione della comica finale può – forse – trovare un senso.

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In Che cosa sono le nuvole? (episodio di Capriccio all’italiana) Pasolini ridurrà il personaggio interpretato da Totò a una vera e propria marionetta (pensante e parlante), melanconica e surreale, che, ormai inservibile, viene gettata tra i rifiuti. In questo caso il clown diventa protagonista di riflessioni filosofiche di stampo pirandelliano: le marionette della compagnia si ribellano a una messa in scena sempre identica per reclamare una vita vera, decidono di rinunciare alla necessità dell’arte per rischiare l’aleatorietà dell’esistenza reale. «La verità si sente dentro» ma «non si deve nominare, perché altrimenti scompare», risponde la marionetta Iago (interpretata da Totò) alla marionetta Otello (interpretata da Ninetto Davoli) che gli ha chiesto significativamente se la verità stessa sia insita in ogni essere o, al contrario, sia qualcosa che proviene dagli altri, nel suo caso specifico dal pubblico. Ancora una volta il clown (o qualcosa che gli si avvicina molto) è figura che smaschera la realtà di una vita sempre uguale a se stessa (quella della finzione scenica, certo, ma anche quella di tutti coloro che vivono un’esistenza irreggimentata) per rivelare una verità superiore o, per lo meno, per offrire un barlume di lucidità, un sussulto di folle consapevolezza.

Tati e Lewis: il bianco europeo e l’augusto statunitense È evidente, a questo punto, come il clown, apparentemente chiuso in un suo mondo autosufficiente, incarni una figura profondamente critica nei confronti della società e delle regole che la contraddistinRassegna bibliografica 1/2009

guono: tutti gli esempi cinematografici fin qui portati avvalorano una funzione del pagliaccio, del buffone, del fool, volta a fare emergere gli aspetti dell’animo umano più contraddittori ma, soprattutto, la difficoltà di ridurli a un agire conforme alle regole sociali. Non è un caso che i tre registi fin qui citati (Chaplin, Fellini, Pasolini), sia pure in maniere diversissime, avessero un atteggiamento profondamente critico nei confronti della società e, soprattutto, della sua spontanea tensione verso la modernità, il nuovo, il cambiamento, spinti da una presunta razionalità (quella del bianco, puntualmente ridicolizzata e demistificata dall’augusto). Impossibile, dunque, non prendere in considerazione una delle figure di comico più singolari e appartate del secondo dopoguerra, ovvero Jacques Tati. Con Keaton, Tati condivide una logica demistificatoria nei confronti di un mondo apparentemente ordinato e razionale ma che nasconde, in realtà, mille insidie. Al di là del successo di pubblico e della capacità di creare un’aura mitica attorno al personaggio (di certo superiori in Chaplin), il cinema di Keaton risulta molto più moderno di quello chapliniano, ancora legato a una concezione patetica del rapporto tra individuo e società: attraverso i meccanismi perfettamente geometrici delle strutture (anti)narrative architettate per le sue comiche e il suo personaggio privo di un vero approfondimento psicologico, “l’uomo che non rideva mai” aveva messo in scena, precorrendola, l’alienazione dell’uomo nella società meccanizzata. Allo stesso modo, il personaggio di Monsieur Hulot, creato da Tati nel 1953 (appare per la prima volta in Le vacanze di monsieur Hulot),

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attraverso la sua comicità surreale e sospesa mette in evidenza il disagio dell’individuo semplice e senza pretese di fronte a una società che tende a standardizzare gli spazi, il tempo, i rapporti umani. Certo, quella di Tati non è una maschera propriamente clownesca, la sua gestualità non è eccessiva e le situazioni non vengono portate all’estremo della comicità, ma il suo ostinato mutismo, la sua maschera fissa (costituita da impermeabile spiegazzato, pipa, ombrello, pantaloni troppo corti, calzini a strisce e cappello a cencio), la sua funzione di testimone perplesso e lunare di fronte all’ottusità del prossimo ne fanno il campione di una comicità stilizzata che ben si accosta a quella assurda della clownerie, in particolare all’aplomb del classico bianco. Tutto il contrario può dirsi per Jerry Lewis, autore e protagonista di una serie di pellicole che, a cavallo tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, riprendendo l’insegnamento dei grandi comici del passato, facevano il verso a un’America in fortissimo, repentino cambiamento, mettendo in evidenza le frustrazioni, i complessi e le illusioni dell’uomo medio. Ancora una volta lo scontro è tra la realtà del proprio essere, spesso inadeguato, e il desiderio di conformarsi a dei modelli imposti dall’alto. Lewis, tuttavia, a differenza del personaggio-osservatore costruito dal più maturo Tati – che opera negli stessi anni e con il quale condivide la critica della presunta superiorità della società moderna – produce una figura grottesca dalla mimica facciale incredibile, sempre travolta dagli eventi che, puntualmente, si abbattono su di lui come cataclismi. Lewis è l’augusto del cinema americano del secondo dopoRassegna bibliografica 1/2009

guerra nella misura in cui riesce a opporre all’evolversi delle situazioni soltanto un’azione sgangherata, produttrice di una catena di eventi sempre più catastrofici. Se nei primi film la critica alla modernità si fissa proprio in questa impossibilità di arrestare le situazioni innescate (ma anche gli oggetti nel senso letterale del termine) con cui ingaggia una battaglia senza quartiere, in un secondo momento l’attenzione di Lewis si concentra sul senso più profondo di questa lotta tra l’uomo per come è e l’uomo per come vorrebbe essere o, meglio, come gli altri vorrebbero che fosse. In film come Jerry 8 e 3/4 o Le folli notti del dottor Jerrill nei quali interpreta molteplici ruoli dando sfogo alla propria capacità trasformistica, viene messo in evidenza il meccanismo sociale perverso che impone all’uomo comune una maschera lontanissima dalla propria indole: il fattorino imbranato che viene ingaggiato da un gruppo di impresari di Hollywood ansiosi di farne un comico di successo (Jerry 8 e 3/4) o il goffo scienziato che, per conquistare una ragazza, si trasforma in un odioso playboy (Le folli notti del dottor Jerrill) sono figure patetiche, ossessionate da miti moderni come l’intelligenza e la bellezza alla portata di chiunque.

Clown e bambini: un rapporto al di là delle convenzioni La carrellata di figure comiche che hanno tratto spunto dalla comicità del clown per rielaborarla in forme inedite ha messo in evidenza essenzialmente un dato: la capacità di opporre alla realtà una “possibilità” dai connotati bislacchi, biz-

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zarri, del tutto illogici e sgangherati, volta a far traballare la razionalità, a metterla in discussione. Se da un lato il cinema ha dato alla clownerie una scena reale sulla quale dispiegarsi, dall’altra i clown cinematografici hanno sempre tentato – quasi sempre senza riuscirvi, è vero – di rielaborare la realtà in maniera inedita. Il clown, in fondo, è come un bambino, troppo serio o troppo ilare per poter accettare i compromessi del mondo adulto che, in questo modo, gli offre il destro e la materia prima (convenzioni, regole, situazioni codificate) per infrangere la normalità. Se nei film finora citati abbiamo individuato nel comico un demistificatore delle certezze della gente “normale” attraverso l’ironia, innescata di volta in volta dalla caparbia maniacalità del bianco o dall’incontenibile demenzialità dell’augusto, è lecito chiedersi, a questo punto, cosa accada quando il clown si ritrova a fianco un partner bambino al quale quelle stesse regole che lui infrange stanno strette. Che genere di rapporto si instaura tra queste due figure che, come visto, per alcuni aspetti sono sovrapponibili? Su tutto sembra dominare una relazione di complicità e di protezione che, tuttavia, si dispiega attraverso modalità del tutto particolari. Si pensi, tornando a una delle figure analizzate nel corso dell’articolo, al rapporto che si instaura tra Charlot e il bambino protagonista de Il monello di Chaplin: il buffo omino dà al piccolo un’educazione tutt’altro che esemplare, addestrandolo a rompere i vetri delle finestre (che, in seguito, si offrirà di riparare), dispensando consigli sull’igiene personale e l’alimentazione a dir poco discutibili, dando un’immagine di sé non proprio Rassegna bibliografica 1/2009

esemplare. Si tratta, ovviamente, di situazioni atte a far scaturire la comicità, ma anche e soprattutto di una serie di meccanismi capaci di equilibrare la carica sentimentale insita nella vicenda dell’orfano, il tutto per esprimere la visione profondamente critica nei confronti della società e l’anarchia di fondo che, come anticipato, innervano la comicità di Chaplin. In Il monello tutti i luoghi comuni del feuilleton sono puntualmente rispettati ma altrettanto puntualmente smentiti da sequenze di irresistibile invenzione comica come, ad esempio, quelle in cui Charlot tenta di nascondere il piccolo alle dame di carità che vogliono condurre il trovatello in orfanotrofio. O, meglio ancora, quelle in cui avviene un vero e proprio ribaltamento dei ruoli tra l’adulto e il bambino, con quest’ultimo che si ritrova ad accudire il vagabondo: si veda la straordinaria sequenza della preparazione della colazione in cui il piccolo Jackie Coogan assume un ruolo autoritario nei confronti del padre adottivo, obbligandolo a scuotersi dalla sua indolenza. La carica comica dispiegata del clown-Charlot, dunque, non funziona soltanto come blando lenitivo della tristezza dell’orfano e, per assonanza, dello spettatore che con quest’ultimo si identifica, ma si pone, tanto sul piano narrativo (interrompendo continuamente il tono patetico del racconto) quanto su quello contenutistico (come sberleffo concreto agli avversari), in quanto contestazione dello status quo. Anche Guido di La vita è bella di Benigni, costretto a mettere in scena un’ilarità del tutto posticcia di fronte al figlioletto con il quale è stato rinchiuso in un campo di concentramento, gioca sullo stesso

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registro. In fondo, l’universo aberrante al quale il protagonista oppone il suo disperato buon umore non è altro che una mostruosa degenerazione dell’universo di regole adulte che irreggimentano la vita di tutti i giorni e, la risposta data dall’uomo a questa aberrazione, è la sua trasformazione, il rovesciamento (in puro stile clownesco) nel suo contrario: un gioco avvincente – con regole assurde ma perfettamente funzionali alla dinamica del gioco stesso – al termine del quale il vincitore riceverà un meraviglioso premio. A differenza che in Chaplin, l’insegnamento che il clown impartisce al figlio qui non è tanto di tipo eversivo quanto, piuttosto, di natura consolatoria: “la vita è (comunque) bella” anche qui dentro, pare voler dire al bambino il clown Guido che deve dispiegare tutta la propria abilità e il proprio coraggio per condurre a buon fine la propria missione. In questo caso la carica eversiva del film risiede nel riuscire a parlare di una realtà tremenda usando i toni della commedia, sfidando per la prima volta un tabù universalmente accettato. Dunque, è nei confronti del solo spettatore che Benigni attua il ribaltamento comico – giustificato, tuttavia, dalla buona causa del non far conoscere la verità a un innocente – dato che non può esserci identificazione con il bambino, ignaro – a differenza del pubblico in sala – della tremenda realtà dei campi di concentramento. Non di sberleffo nei confronti del principio di autorità si tratta, ma di un’impostura a fin di bene: data la sua condizione, il clown qui deve fare di necessità virtù ed essere straordinariamente abile per far apparire divertente e piacevole ciò che è doloroso e rivoltante. Rassegna bibliografica 1/2009

Non è da meno lo yakuza maldestro e attaccabrighe protagonista eponimo di L’estate di Kikujiro di Takeshi Kitano: il ribaltamento, in questo caso, avviene decisamente a monte della storia narrata, riguardando lo stesso attore-regista, divenuto celebre presso il pubblico occidentale con i suoi noir violenti, disperati e allo stesso tempo malinconici, ma anche autore e interprete di programmi televisivi comicodemenziali molto in voga in Giappone. All’immagine del killer spietato o del poliziotto violento che lo spettatore ha imparato a riconoscere anche grazie alla sua maschera impassibile (quasi un’inversione del sorriso stampato sul volto del clown), si sostituisce quella di un Kitano/Kikujiro dapprima riluttante nel portare a termine la sua missione (far incontrare il piccolo Masao con la madre che l’ha abbandonato anni prima), poi persuaso di dover strappare con ogni mezzo un sorriso al coprotagonista, una volta compreso il fallimento della missione stessa. La parte finale del film, in cui Kitano e altri tre improbabili personaggi fanno di tutto per rallegrare la breve vacanza consolatoria di Masao, che ha ormai compreso l’impossibilità di ricongiungersi con la madre (la donna ha un’altra famiglia e altri figli), è piena di gag esilaranti e di trovate geniali che, tuttavia, non mettono in discussione il corso degli eventi. La comicità, in questo caso, è fine a se stessa, non accresce la consapevolezza dei personaggi (come in Chaplin) e nemmeno li salva da un destino segnato (come in Benigni) ma ha la sola funzione di creare un’alternativa surreale al patetico che rischierebbe di portare il film fuori strada. Non c’è rivolta sociale o personale in questo film tenerissimo gira-

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to da un regista creduto da tutti un duro, bensì semplicemente voglia di risarcire caparbiamente attraverso la comicità un dolore troppo forte da sostenere. Un dolore che è certamente quello di Masao e forse anche quello dello stesso Kikujiro, ma soprattutto quello di ogni spettatore che, proprio grazie all’assenza di messaggi e happy end posticci, torna a guardare con ingenuità un film semplice, fatto di segni, figure e spazi, in un ritorno all’astrazione e a una comicità originaria, depurata da ogni elemento posticcio, da ogni giustapposizione e giustificazione “culturale”. Un’astrazione simile a quella del film di Kitano la ritroviamo anche in Mon oncle di Jacques Tati, anche se in questo caso un messaggio, e anche molto forte, lo si può facilmente rintracciare nella critica alla società moderna, ai suoi ritmi di vita, ai suoi falsi valori. L’universo in cui Hulot introduce il nipote, annoiato dalla vita tra le quattro mura tecnologiche della casa borghese e ultramoderna dei suoi sofisticatissimi genitori, è una realtà priva di qualunque affettazione, uno spaccato in cui incontrare gli altri è ancora possibile grazie alla spensieratezza e spontaneità presente in ogni essere umano. Hulot è il personaggio dalla fanciullezza irriducibile, dall’innocenza insopprimibile, e i tentativi compiuti dalla sua famiglia di irreggimentarlo, di integrarlo alle norme esistenziali borghesi, si risolvono tutti in uno scacco. Sarà piuttosto l’altezzoso cognato a recuperare il rapporto con il figlio Gérard quando riuscirà ad assumere alcune delle caratteristiche dello strambo Hulot. Quella di Tati, tuttavia, è una comicità che emerge essenzialmente dall’osservazione degli ambienti e delle situazioni in cui i Rassegna bibliografica 1/2009

personaggi si muovono e spesso Hulot si limita semplicemente a esaminare la realtà assurda vissuta dagli altri per demistificarla pur senza commentarla. Se è vero che nell’ottimistico finale del film riesce addirittura a “redimere” colui che gli si contrappone fin dall’inizio come il rappresentante della razionalità (il cognato), molto più significativo risulta il rapporto di muta complicità con il nipote, basato su semplici scambi di sguardi e paziente osservazione del mondo circostante. Le gag, insomma, sono esempi in negativo, che funzionano non in quanto elementi di disturbo ma come conferma dell’inutile affannarsi dell’uomo contemporaneo. Più complesso il caso del padre-clown, burlone, cialtrone, in Big fish di Tim Burton, una figura destinata a restare irrimediabilmente incompresa dal figlio proprio perché, quella che per gli altri è soltanto una maschera divertente, per un figlio può diventare uno schermo opaco che non lascia intravedere al di là di essa la reale natura dell’uomo. Edward Bloom, per il figlio Will che lo ha “conosciuto” unicamente ascoltando i suoi bizzarri racconti, è un’ombra simile a quella che campeggia sul muro della stanza da letto in cui l’uomo è costretto dalla vecchiaia: indefinita nei suoi veri connotati, sfocata nei suoi contorni. Will, che da anni ha interrotto i rapporti con il padre, accusa Edward di aver ritenuto sempre più importante la complessa mitologia che lo ha immancabilmente accompagnato nella gestione degli affetti familiari, sacrificando il rapporto reale con il figlio per un’immagine splendida e ipnotica quanto si vuole, ma non corrispondente al vero. Per Will, Edward non ha mai mostra-

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to il suo vero volto, la sua vera indole, ciò che si trova oltre quell’immagine pubblica nutrita di viaggi avventurosi, riti d’iniziazione, storie d’amore coloratissime e invidiabili e mondi paralleli sospesi nel tempo. Ma, alla fine del film, si comprende come tutte le storie narrate, se non proprio vere erano altresì verosimili e che l’unico torto del padre è stato quello di rendere la realtà più piacevole e indimenticabile di quanto non fosse in realtà e come, in fondo, il suo intento fosse quello di valorizzare una serie di figure mostruose, emarginate dalla società, alle quali, attraverso la forza della fantasia e una grande capacità di affabulazione, lui è riuscito a donare nobiltà e rispetto. Non è in fondo distante dalla figura di Edward Bloom quella di John Leary, protagonista del meno conosciuto Un eroe piccolo piccolo di Marshal Herskowitz. Si tratta, ancora una volta, di una figura capace di evidenziare il rischio di un’omologazione degli individui a una logica eccessivamente seria e “adulta”: in questo caso la clownerie non si dispiega esclusivamente attraverso l’uso della parola ma anche per mezzo del travestimento e della messa in scena di un vero e proprio spettacolo. John, infatti, è un comico che conduce un programma televisivo in cui vengono riproposti spezzoni di vecchi film di paura, intervallati da brevi sketch dal sapore comico-orrorifico durante i quali l’uomo si maschera assumendo le sembianze dei personaggi che hanno fatto la storia del cinema horror. Anche qui il mascheramento è un meccanismo che si propone di demistificare un mondo apparentemente troppo normale che, al contrario, nasconde i propri veri mostri Rassegna bibliografica 1/2009

tra le pieghe del conformismo e dell’indifferenza: «I mostri esistono soltanto dentro di noi, essi vivono nelle oscure e anguste cavità dei nostri cuori», ripete John ai bambini del vicinato che si affollano alla sua porta per godere della sua incontenibile simpatia. Proprio come il clown, capace di portare tra gli uomini un po’ di follia che si vorrebbe per sempre eliminata dall’orizzonte sociale, John mette in scena l’orrore con ironia: metabolizzato, filtrato da una serie di strutture simboliche e mitiche che la società ha elaborato proprio per difendersi dal pericolo di lasciare che il male la pervada liberamente, l’orrore del suo spettacolo si colloca a metà strada tra il gesto catartico e liberatorio e l’avviso di non abbassare mai la guardia nei confronti del male.

Conclusioni Qual è, infine, l’immagine del clown che emerge dalla nostra carrellata cinematografica? È colui che denuncia il pericolo della banalità, ovvero della spersonalizzazione, di una riduzione dell’uomo ad automa, a marionetta, mostrando sul corpo del bianco gli effetti di questa omologazione attraverso il suo perseguire ostinatamente un’idea fissa e su quello dell’augusto il suo contrario, il cedere agli istinti primari, l’impossibilità di incasellare la forza vitale che ogni individuo, anche il più impassibile, conserva dentro di sé. Allo stesso tempo il clown (tanto nella “versione” bianco quanto in quella augusto) è un bambino, un individuo appena abbozzato, non ancora corrotto: il bianco ha l’eleganza, la serietà e la coc-

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ciutaggine tipica dei bambini intenti a giocare con passione, l’augusto ha tutta la libertà, l’anarchia, l’inconsapevolezza che connota l’infanzia. Mettendo in relazione quanto emerso finora con la clownterapia, ci sembra possibile affermare che il clown-dottore, perseguendo il motto “curare la persona, non la malattia”, porta a compimento proprio quella che abbiamo individuato come funzione principale del clown in rapporto al contesto sociale: opporsi alla standardizzazione, a una riduzione dell’individuo a semplice “paziente” che deve sottostare a una serie di regole. Il corpo (tanto più quello di un piccolo paziente) non è cosa da gestire e da incasellare in una serie di dettami terapeutici validi per chiunque e, oggi forse più di ieri, in una serie di meccanismi burocratici alienanti atti a gestire correttamente la malattia. Proprio attraverso l’uso disarticolato e alterato del proprio corpo il clown-dottore mette in scena una demistificazione del falso mito (oggi più di ieri presente) del corpo perfetto, in salute, competitivo, sempre efficiente e pronto per ogni evenienza, affermando allo stesso tempo il diritto di ognuno alla salute e alle cure ma, anche e soprattutto, il rispetto – cui tutti, medici compresi, sono tenuti – dei tempi e dei modi di guarigione singolari e personalissimi di ogni paziente. Giova ricordare, al termine di questo excursus attraverso molti capolavori del cinema comico, un piccolo film italiano del 2001, A.A.A. Achille di Giovanni Albanese: a guarire gli ospiti di una clinica specializzata in disturbi del linguaggio, più dei metodi del primario – che, al contrario di quanto promette, rischia di Rassegna bibliografica 1/2009

emarginare definitivamente i balbuzienti – può la presenza di Remo, un ex balbuziente appassionato di costruzioni e di giocattoli. Nella stanza assegnatagli, l’uomo crea un vero e proprio laboratorio creativo nel quale i malati – compreso il piccolo Achille, anch’egli balbuziente – si rifugiano per divertirsi, giocare, sperimentare e, soprattutto, imparare a prendersi meno sul serio. La malattia del protagonista e degli altri piccoli ospiti della clinica è, in fondo, alla base di un meccanismo comico tra i più diffusi e scontati, quello in cui un personaggio non riesce a comunicare con gli altri, suscitando l’ilarità generale e, il metodo escogitato dal primario della clinica (il “cantoparlare”), più che guarire i pazienti, sembra volerli ridicolizzare, ridurli a figure da circo o, peggio, da barzelletta. Da una parte assistiamo alla canzonatura dei pazienti, alla trasformazione dei balbuzienti in soggetti da deridere, dall’altra abbiamo invece un sistema educativo ludico, che concepisce il gioco come momento di formazione e di inclusione. Le altre due produzioni italiane che vogliamo ricordare sono, forse non a caso, ambientate all’estero. La prima è il documentario sociale intitolato Clown in Kabul di Enzo Balestrieri e Stefano Moser (2002), uno dei primi lavori ambientati nell’Afghanistan in guerra, martoriato dall’invasione statunitense del 2001 e dagli scontri tra le milizie talebane e quelle della NATO. Si descrive la missione di 25 medici-clown, guidati dal celebre Patch Adams, in viaggio per i campi profughi e gli ospedali da campo di Kabul e dintorni. Già dalle prime immagini mediorientali è evidente la posta in gioco del docu-

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Percorso filmografico

mentario: mostrando, senza celare alcunché, le ripercussioni della guerra sul corpo dei bambini (mutilazioni, ferite, abrasioni, deformazioni) e giustapponendole a nasi rossi, pantaloni larghi e magliette colorate dei clown si punta a istituire un conflitto di simboli prima ancora che di valori e idee di mondo e istanze. In queste condizioni così radicali, il medicoclown infatti non è soltanto un professionista che mette al primo posto la persona e cerca di affermare un altro concetto di terapia, ma si pone come una diversa configurazione dell’esistente, come un’alternativa visiva e fisica a una strategia politico-militare che cagiona le conseguenze più strazianti proprio sul corpo delle persone più indifese. Colori sgargianti contro colori grigi, comunicazione attraverso i sorrisi e gli sketch contro silenzio e incomunicabilità, vestiti anacronistici contro assenza di abiti (o abiti squarciati). Al di là dell’importanza sociale del film, Clown in Kabul mette in evidenza l’idea che l’alternativa alla guerra possa affermarsi attraverso immagini, suoni, colori e gesti, prima che di discorsi, pensieri, convinzioni. L’altra è Pa-ra-da di Marco Pontecorvo (2008), film che racconta l’esistenza di

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Miloud, celebre clown di strada che nel 1992 arriva a Bucarest e convince, non senza fatica, un gruppo di bambini sbandati e senza futuro della città (i cosiddetti “Boskettari”, bambini dei tombini) a creare una piccola compagnia di saltimbanchi. Camera a mano e stile documentarista, Pontecorvo racconta una ulteriore faccia sociale del clown, non più legata al mero intrattenimento o all’affermazione di una diversa idea di malattia e cura, ma legata mani e cuore a un territorio cittadino, culturale, storico (qui quello della Romania post Ceaucescu) che contribuisce, con la sua presenza, a modificare nelle sue logiche e nelle sue gerarchie. I bambini sbandati del film accettano di assumere la maschera di una delle figure di emarginato e sbandato per eccellenza senza sapere che otterranno quello che la società “naturale” e “seria” non saprebbe come offrire loro: un futuro di autonomia, viaggio, autodeterminazione. Alterare la monotonia delle cose, colorare i grigiori, cospirare contro la mediocrità: la figura del clown, da qualsiasi prospettiva la si voglia vedere e qualsiasi ruolo incarni, è tale solo se attiva in chi coinvolge veri e propri processi di conoscenza.

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La figura del clown nel cinema, tra verità della scena e menzogna della vita

Filmografia essenziale

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Il monello (The kid), Charlie Chaplin, USA 1921 Il circo (The circus), Charlie Chaplin, USA 1928 The cocoanuts, Robert Florey, Joseph Santley, USA 1929 Monkey business, Norman Z. McLeod, USA 1931 La guerra lampo dei fratelli Marx (Duck soup), Leo McCarey, USA 1933 Una notte all’Opera (A night at the Opera), Sam Wood, USA 1935 Tre pazzi a zonzo (At the circus), Edward Buzzell, USA 1939 Dumbo, Ben Sharpsteen, USA 1941* Amanti perduti (Les enfants du paradis), Marcel Carné, Francia 1945 Luci del varietà, Federico Fellini, Alberto Lattuada, Italia 1951 Lo sceicco bianco, Federico Fellini, Italia 1951 Luci della ribalta (Limelight), Charlie Chaplin, USA 1952 Le vacanze di monsieur Hulot (Les vacances de Monsieur Hulot), Jacques Tati, Francia 1953 Il circo a tre piste (Three ring circus), Joseph Pevney, USA 1954 La strada, Fedrerico Fellini, Italia 1954 Mio zio (Mon oncle), Jacques Tati, Francia/Italia, 1958* 8 e 1/2, Federico Fellini, Italia/Francia 1960 Ragazzo tuttofare (The bellboy), Jerry Lewis, USA 1960 Dove vai sono guai (Who’s minding the store?), Frank Tashlin, USA 1963 Le folli notti del dottor Jerryll (The nutty professor), Jerry Lewis, USA 1963 Jerry 8 e 3/4 (The Patsy), Jerry Lewis, USA 1964 I sette magnifici Jerry (The family Jewels), Jerry Lewis, USA 1965* Uccellacci uccellini, Pier Paolo Pasolini, Italia 1966 La Terra vista dalla luna (episodio di Le streghe), Pier Paolo Pasolini, Italia/Francia 1967 Che cosa sono le nuvole? (episodio di Capriccio all’italiana), Pier Paolo Pasolini, Italia 1968 I clowns, Federico Fellini, Italia/Francia/RFT 1971 Il circo di Tati (Parade), Jacques Tati, Francia/Svezia, 1974 Bentornato picchiatello! (Hardly working), Jerry Lewis, USA 1981 La voce della luna, Federico Fellini, Italia/Francia 1990 Un eroe piccolo piccolo (Jack the bear), Marshal Herskowitz, USA 1993* La vita è bella di Benigni, Italia 1997* L’estate di Kikujiro (Kikujiro), Takeshi Kitano, Giappone 1999* Patch Adams, Tom Shadyac, USA 1999 A.A.A. Achille, Giovanni Albanese, Italia 2001* Clown in Kabul, Enzo Balestrieri, Stefano Moser, Italia 2002* Big fish, Tim Burton, USA 2003* Pa-ra-da, Marco Pontecorvo, Italia/Francia 2008*

I film contrassegnati con asterisco sono disponibili presso la Biblioteca Innocenty Library. Per ulteriori informazioni sulle possibilità di utilizzo dei film e sulle attività di CAMeRA: • www.minori.it

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Segnalazioni bibliografiche


Avvertenza Le segnalazioni bibliografiche si presentano ordinate secondo lo Schema di classificazione sull’infanzia e l’adolescenza realizzato dall’Istituto degli Innocenti. All’interno di ogni voce di classificazione l’ordinamento è per titolo. Le pubblicazioni monografiche e gli articoli segnalati sono corredati di abstract e della descrizione bibliografica che segue gli standard internazionali di catalogazione. Per quanto riguarda la descrizione semantica, l’indicizzazione viene effettuata seguendo la Guida all’indicizzazione per soggetto, realizzata dal GRIS (Gruppo di ricerca sull’indicizzazione per soggetto) dell’Associazione italiana biblioteche. La documentazione qui di seguito presentata costituisce parte del patrimonio documentario della Biblioteca Innocenti Library, nata nel 2001 da un progetto di cooperazione fra l’Istituto degli Innocenti e l’Innocenti Research Centre dell’UNICEF, e deriva da un’attività di spoglio delle più importanti riviste di settore e da una ricognizione delle monografie di maggiore rilievo pubblicate di recente sugli argomenti riguardanti l’infanzia e l’adolescenza. Il focus internazionale vuole focalizzare l’attenzione su alcune esperienze particolarmente significative nell’ambito delle politiche per l’infanzia che si sviluppano a livello internazionale attraverso la segnalazione di alcuni articoli e volumi specializzati di settore.


110 Infanzia monografia

Bambini e società Claudio Baraldi

Il volume preso in esame fa parte della collana Le bussole, all’interno della quale rientrano quei libri che affrontano i principali temi che caratterizzano la cultura contemporanea: in questo specifico caso vengono descritte le nuove politiche sociali ed educative rivolte ai bambini. Questi ultimi hanno suscitano e destano ancora grande interesse, sia nella ricerca scientifica che nel dibattito politico, in quanto saranno i futuri cittadini del domani: l’infanzia, dunque, appare uno dei momenti della vita più significativi ai fini della costituzione della vita sociale. È opportuno sottolineare che i bambini non hanno sempre ricevuto tale attenzione, infatti ancora oggi, nonostante la dichiarazione della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti del fanciullo sancita nel 1989 e ratificata in 192 Stati, la condizione dell’infanzia è ignorata in varie parti del mondo: l’interesse verso questa fascia di età deriva quindi non dall’esistenza naturale dei piccoli cittadini, ma da un’evoluzione sociale che alcuni Paesi hanno raggiunto e conquistato nel tempo. I bambini sono i protagonisti attivi della società, instaurano relazioni con i coetanei e con gli adulti nei diversi contesti sociali e quindi risultano rilevanti non solo per il loro futuro ma anche per il loro presente. L’infanzia è sempre stata definita e interpretata in una dimensione temporale per tre motivi: 1) è una fase dell’esistenza umana; 2) appare la premessa per una futura età adulta; 3) è il presente dei processi che formano la personalità del bambino. Si tratta, dunque, di un fenomeno non solo biologico e psicologico, ma anche culturale e sociale. Fino a venti anni fa, le uniche discipline ritenute in grado di occuparsi dell’infanzia erano la psicologia e la pedagogia, oggi, invece, si è sviluppato anche un approccio sociologico che ha proposto nuovi modi di “vedere” i bambini all’interno della società: il singolo bambino è osservato sia per il suo agire autonomo, sia in quanto membro della categoria generale dei “bambini” all’interno della collettività “infanzia”. La ricerca sociologica, dunque, affianca Rassegna bibliografica 1/2009

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110 Infanzia

e sostiene le teorie psicopedagogiche e va anche oltre quello che è stato l’ambito degli interventi educativi e terapeutici nei confronti dei bambini. Come evidenzia Claudio Baraldi, c’è stato un giro di boa significativo: «la nuova riflessione sociologica si è infatti accompagnata a un’opera di nuovi interventi sociali rivolti a promuovere la partecipazione sociale dei bambini». Il volume ha l’obiettivo di divulgare il dibattito sociologico su infanzia e bambini sia del nostro Paese che a livello internazionale, cercando di mettere a fuoco i motivi e i significati in merito al ruolo sociale e culturale dei bambini di oggi. Negli ultimi decenni ha preso sempre più corpo l’idea che i bambini siano attori sociali, infatti l’infanzia prende vita nei diversi contesti sociali attraverso le azioni dei singoli bambini. Questa riflessione ha portato a sottolineare due aspetti principali: che i bambini sono socialmente competenti quanto gli adulti nel partecipare a interazioni sociali e nel costruire significati culturali e che essi sono capaci di modificare creativamente i vincoli strutturali entro i quali agiscono, cioè sono soggetti attivi nel cambiamento. In questo modo l’analisi sposta l’attenzione dall’esperienza del divenire adulto a quella dell’essere bambino, introducendo una metodologia di ricerca centrata sul bambino. All’interno di una prospettiva di questo tipo, il testo offre alle varie e diverse figure professionali che si occupano dell’infanzia una lettura delle nuove politiche sociali ed educative rivolte ai più piccoli, un quadro riassuntivo dei principali progetti avviati per promuovere la loro partecipazione e un’attenzione particolare verso le interazioni sociali rilevanti che li coinvolgono.

Bambini e società / Claudio Baraldi. — Roma : Carocci, 2008. — 128 p. : 20 cm. — (Le bussole. Scienze sociali ; 337). — Bibliografia: p. 125-128. — ISBN 9788843047529. Infanzia – Sociologia

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120 Adolescenza monografia

Diritti in crescita Terzo-quarto rapporto alle Nazioni unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia

Presidenza del Consiglio dei ministri et al. Il terzo-quarto rapporto alle Nazioni unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia ci aggiorna su molti aspetti del processo di riconoscimento in atto dei diritti del fanciullo nei suoi contesti educativi e di vita. A partire dalla ratifica della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo avvenuta in Italia nel 1991 fino ad arrivare alla Convenzione sulle relazioni personali riguardanti i bambini e la Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento sessuale e gli abusi sessuali, rispettivamente del 15 novembre 2003 e del marzo 2007, si vede che il nostro Paese, dal punto di vista normativo, ha fatto molti progressi verso l’attuazione dei diritti dei bambini, anche se i passi da fare per far diventare la legge cultura sociale sono ancora tanti. I diritti relativi all’infanzia sono molteplici e ognuno ha un suo valore specifico, motivo che porta a prestare attenzione a tutti i bambini e adolescenti: a quelli disabili, a quelli appartenenti a gruppi minoritari come rom, sint, e camminanti, a quelli appartenenti a famiglie immigrate, ai minori stranieri non accompagnati, ai minori vittime di violenza, a quelli appartenenti a nuclei familiari economicamente svantaggiati. Per poter realmente attuare i diritti promossi dalle convenzioni – il superiore interesse del bambino, la non discriminazione, il rispetto delle sue opinioni, la cittadinanza per nascita, la preservazione della propria identità, la libertà di espressione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di associazione e riunione pacifica, la protezione da interferenze arbitrarie o illegali, l’informazione, l’essere preservati da tortura o pene inumane – devono essere realizzate politiche che intervengano in modo significativo sui diversi contesti di relazione del bambino e dell’adolescente. Uno dei principali ambiti è quello del sostegno alla genitorialità, sia come supporto economico che di servizi per la famiglia e di opportunità di natura educativa. Uno degli interventi più significativi è stato fatto dalla legge finanziaria promossa dal Governo Prodi del 2007 che ha destinato riRassegna bibliografica 1/2009

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120 Adolescenza

sorse stimate in tre miliardi di euro all’anno a favore di famiglie con figli con reddito medio bassi, così come interventi specifici per le famiglie numerose. Intorno alla famiglia si sviluppano anche la maggior parte delle attenzioni rivolte all’infanzia, soprattutto quando la famiglia è adottiva o disgregata o separata per problemi di detenzione di uno dei genitori. Allo stesso tempo, una grande responsabilità sociale è data alle attività educative, culturali e di svago. Come per altri settori pubblici, un cambiamento che ha inciso significativamente nei servizi è stato dato dal decentramento delle competenze relative agli enti territoriali relative al diritto allo studio. Proprio per questo il quadro sulle attività educative, culturali e di svago, così come quello relativo dell’istruzione e della formazione professionale non si presenta in modo omogeneo a livello nazionale, ma risulta differenziato e ricco, rispondente ai bisogni e alle capacità strettamente connesse al territorio locale. Minori disabili o sottoposti a provvedimenti giudiziari o stranieri, hanno tutti pari diritto all’istruzione e al successo formativo e molti progetti interni alla scuola sono mirati a perseguire tali obiettivi. Alcune misure speciali devono essere adottate per quei bambini in situazioni di emergenza, quali i minori a rischio non accompagnati, per i quali è stato costituito un organo competente demandato a decidere sulla questione, il Comitato minori stranieri, ma anche per i bambini in situazione di sfruttamento, per i quali sono previste misure per la promozione di un lavoro tutelato e legale. Attualmente si sta lavorando per le prospettive di riforma che dovranno essere realizzate entro il 2010 e sulle indicazioni programmatiche per dare piena attuazione alla Convenzione ONU nei prossimi anni.

Diritti in crescita : terzo-quarto rapporto alle Nazioni unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia / Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Ministero degli affari esteri, Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. — Firenze : Istituto degli Innocenti, 2009. — X, 261 p. ; 24 cm. — ISBN 9788863740042. Bambini e adolescenti – Condizioni sociali – Italia – Rapporti di ricerca – 2009

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122 Bambini e adolescenti stranieri articolo

Il diritto a essere regolari e a realizzare il proprio progetto di vita in Italia Articoli tratti da Minori giustizia, n. 3, 2008

La sezione monotematica di Minori giustizia qui presentata è composta da quattro brevi saggi che, muovendo dalla tematica dei diritti dei minori stranieri accompagnati in situazione di irregolarità, arrivano a toccare il tema più ampio dei diritti di cittadinanza dei minori stranieri in generale. Elena Rozzi punta il dito sulla carenza di protezione dei minori stranieri, comunitari ed extracomunitari, accompagnati da genitori irregolari. Il diritto a seguire il genitore allontanato dal territorio italiano, previsto dalla legge, spesso viene fatto prevalere sul principio fondamentale del maggior interesse del minore. Mentre per i minori stranieri non accompagnati, con l’affidamento o la tutela, si apre un percorso che ne garantisce la regolarità, almeno fino alla maggiore età, per quest’altra tipologia di minori il diritto al permesso di soggiorno è reso inefficace dall’irregolarità dei genitori. Un discorso analogo vale per le cure sanitarie, ambito in cui i minori comunitari con genitori in situazione di irregolarità sono ancor più penalizzati degli extracomunitari. Pure il diritto all’istruzione, formalmente riconosciuto a tutti i minori, può essere negato ai figli di genitori irregolari, in rapporto ai segmenti scolastici precedenti e posteriori la scuola dell’obbligo. È quanto avvenuto di recente per le scuole materne del Comune di Milano, che hanno vietato l’iscrizione di bambini stranieri privi di permesso di soggiorno. Proprio per ovviare a queste situazioni accade che il minore straniero venga separato dai genitori e affidato ad altri adulti, in palese violazione della legge. Difficoltà e discriminazioni rispetto ad altre tipologie di minori immigrati incontrano poi anche quei minori che, pur essendo accompagnati da genitori regolari, si trovano in condizione di irregolarità. Lorenzo Miozzi segnala come sia i minori che vivono con genitori regolari, ma ricongiunti con essi in modo irregolare, sia i minori irregolari affidati a parenti di quarto grado regolari incontrino ostacoli ai fini della loro regolarizzazione particolarmente ardui quando l’affidamento non è formale, ma solo di fatto. In questo caRassegna bibliografica 1/2009

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122 Bambini e adolescenti stranieri

so sono considerati come minori non accompagnati, ledendo il loro diritto all’unità familiare. In molti casi poi il rilascio del permesso di soggiorno per minore età evita il proseguimento nell’irregolarità, ma non costituisce una soluzione soddisfacente, trattandosi di un dispositivo giuridico solo temporaneo. Anna Cattaruzzi chiarisce che la normativa vigente privilegia deliberatamente i minori nati o giunti in Italia prima dei 14 anni rispetto a quelli entrati nel nostro Paese dopo il compimento di quest’età. I primi hanno di fronte un percorso più facile in vista della prosecuzione degli studi o dell’inserimento regolare nel mondo del lavoro al compimento della maggiore età. Solo recentemente un adeguamento della normativa ha ridotto le difficoltà che i secondi incontravano, compiuti i 18 anni, nella conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso per studio o per lavoro. Nell’intervento di chiusura, Antonietta Picardi rinviene già nella Convenzione di New York un primo limite al proclamato diritto del bambino a una cittadinanza universale, laddove in essa si scrive che gli Stati parti vigileranno all’attuazione dei diritti lì enunciati in conformità con la loro legislazione nazionale, di fatto concedendo a quest’ultima di limitarne la portata. Anche il diritto del minore all’unità familiare, declinabile come diritto al ricongiungimento “al contrario”, è vincolato da una serie di requisiti che i genitori o i parenti devono dimostrare per potersi ricongiungere con il minore solo in Italia. Sul piano dell’acquisizione della cittadinanza, infine, gli impedimenti al suo acquisto da parte del minore sono notevoli, e senza dubbio maggiori rispetto ad altri Paesi europei come la Francia.

Il diritto a essere regolari e realizzare il proprio progetto di vita in Italia. — Contributi di: Elena Rozzi, Lorenzo Miazzi, Anna Cattaruzzi, Antonietta Picardi. In: Minori giustizia. — 2008, n. 3, p. 218-254. Bambini e adolescenti immigrati – Diritti – Italia

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122 Bambini e adolescenti stranieri monografia

Separated children I minori stranieri non accompagnati

Rita Bichi (a cura di)

Il volume raccoglie i risultati di una ricerca condotta per conto della Fondazione ISMU (Iniziative e studi sulla multietnicità) sui minori stranieri non accompagnati in Italia, con particolare attenzione per la realtà lombarda. Composto da contributi di autori diversi, il libro si apre con un intervento volto a fornire un quadro legislativo sullo status, sui diritti e sulle tutele relativi a questa specifica tipologia di minori immigrati. In effetti è stato il legislatore italiano a coniare l’espressione “minore straniero non accompagnato” e a riservare a questa categoria giuridica una normativa ad hoc, mentre negli altri Paesi europei questi minori sono soggetti alle leggi sui richiedenti asilo. In Italia invece la richiesta di asilo politico esclude il minore emigrato da solo dall’essere incluso tra i minori stranieri non accompagnati e lo avvia a un percorso di tutela differente da quello riservato ai non richiedenti asilo. Inoltre, la normativa include tra i non accompagnati anche quei minori stranieri che, pur avendo dei parenti in Italia, sono privi di una tutela ufficiale. Le difficoltà di conversione del permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore età, tali da precludere a questi minori l’inserimento nel mercato del lavoro regolare, mostrano che la normativa in vigore non è ancora adeguata a facilitare il percorso di inserimento di questi ragazzi nella società di accoglienza. La presenza di una disciplina giuridica riservata a questa categoria di minori non ha poi neppure impedito che a livello operativo vengano avviate procedure che di fatto applicano in maniera differenziata le norme, creando disparità a livello territoriale nei percorsi di accompagnamento e tutela di questi ragazzi. È quanto viene confermato dalla comparazione, effettuata in uno degli interventi principali del testo, tra alcune realtà lombarde (Bergamo, Brescia, Cremona, Milano). Ad esempio solo alcuni Comuni prevedono forme di aggancio dei minori non accompagnati che vivono per strada e solo certe realtà stanno sperimentando innovative forme di affido Rassegna bibliografica 1/2009

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122 Bambini e adolescenti stranieri

familiare omoculturale o eteroculturale con il coinvolgimento di connazionali. La ricerca mostra anche la forte disparità a livello lombardo nelle modalità di intervento dei tribunali per minorenni e dei giudici tutelari, confermando quanto già evidenziato da indagini precedenti per altre regioni italiane. Nel complesso emerge l’insufficienza degli interventi messi in atto sul territorio per far fronte alle situazioni di emergenza in netta crescita. Se la differenziazione di tipologie di accoglienza praticata in modo diffuso a livello regionale permette di studiare modalità specifiche di accompagnamento e di tutela, l’elevato numero delle fughe pone l’esigenza di risposte ancor più efficaci per garantire a questi minori l’effettiva tutela dei loro diritti. Considerando che, come emerge dalla ricerca, Milano e la Lombardia sono le zone di maggior afflusso di questi minori, le criticità rilevate dall’indagine risultano particolarmente significative e trasferibili all’intera realtà nazionale. Di notevole interesse, per i medesimi motivi, sono pertanto anche le buone pratiche, come quella dell’estensione dello strumento giuridico della tutela a connazionali, messa in atto a Milano, così da impedire che al raggiungimento della maggiore età il minore si trovi abbandonato a se stesso senza che il Comune possa direttamente farsi più carico della sua tutela. Proprio alla realtà milanese la ricerca ha riservato un approfondimento che ha previsto interviste dirette ai protagonisti del fenomeno stesso, dagli operatori dei servizi, ai ragazzi ospiti delle strutture di accoglienza comunali, e pure a una serie di ragazzi presi in carico dalle strutture cittadine quando erano adolescenti e attualmente residenti nel milanese in maniera stabile.

Separated children : i minori stranieri non accompagnati / a cura di Rita Bichi. — Milano : F. Angeli, 2008. — 187 p. ; 23 cm. — (Collana Ismu ; 24). — Bibliografia: 183-187. — ISBN 9788856801446. Minori stranieri non accompagnati – Italia

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125 Giovani monografia

Avanti giovani, alla riscossa Come uscire dalla crisi giovanile in Italia

Massimo Livi Bacci

Una parola che torna spesso quando si parla di giovani oggi è “ritardo”. Non vi è ricerca, indagine, analisi su questo target di individui che non accenni alla lentezza e al dilatarsi dei tempi della crescita e della maturità nella società contemporanea. Il caso italiano è inoltre spesso citato come emblematico di una situazione stagnante da parecchi anni. Anche questo volume concentra l’attenzione sulle difficoltà del diventare adulti e individua nei giovani stessi le basi da cui partire per curare questa malattia sociale. Il saggio si apre con la ricerca di una definizione “critica” della gioventù, con lo scopo di andare oltre il mero criterio anagrafico, e mettendo quindi in discussione i tipici luoghi comuni che emergono ogni qualvolta si faccia un paragone tra i giovani di oggi e quelli del passato. Tenendo conto di altre dimensioni, quali il non aver ancora generato propri figli, avere il padre o i genitori ancora vivi, non avere ancora acquisito una propria autonomia economica, la situazione dei giovani nel mondo attuale assume colori molto più variegati e diversificati, e il confronto con le generazioni precedenti diventa più complesso. Resta in ogni caso il fatto incontrovertibile che in passato gli individui di età compresa tra i 15 e i 30 anni venivano investiti di maggiori responsabilità e nonostante le risorse economiche, culturali, di salute fisica, fossero inferiori a quelle di oggi, i giovani adulti di un tempo godevano di un ruolo sociale migliore, riconosciuto e importante. Il triste panorama del presente sembrerebbe fatto invece di pochi giovani, considerati tali per un arco di vita sempre più lungo e con meno potere decisionale. Se la gioventù fosse una qualità valorizzata, non ci sarebbe, forse, nulla di male, nel restare “adolescenti” per 15 anni. Invece troppo spesso l’essere ragazzo/a, o peggio ancora bambino/a, pone gli individui in una condizione di inferiorità e stallo che si ripercuote su tutta la società. A questo si aggiunge il fatto che anche l’accresciuto benessere rischia di essere minato dalle nuove problematiche della società Rassegna bibliografica 1/2009

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125 Giovani

dell’opulenza, quali obesità e depressione, la cui diffusione va aumentando proprio tra i più “piccoli”. Se si guarda allo scenario europeo, emerge come la peculiartià dell’Italia il fatto che nel nostro Paese il passaggio da una fase all’altra dell’età evolutiva segue una progressione lineare, così che il ritardo di ogni singolo livello si accumula ai successivi. Negli altri Paesi europei sono invece più diffuse le contaminazioni, per cui molte fasi si sovrappongono e alcuni step fondamentali si compiono indipendentemente dagli altri. Se i fattori che determinano questa situazione sono potenzialmente molti e su di essi ancora molto ci sia da discutere, gli studiosi di tutte le discipline concordano invece sulle conseguenze, sia di tipo psicologico per i singoli individui, che ti tipo economico, sociale e demografico per la collettività. Rispetto alle proposte per un effettivo cambiamento, l’autore di questo libro sostiene l’idea che sia lo Stato a doversi assumere per gran parte l’onere della trasformazione, investendo sugli “adolescenti”. Originale è la proposta di un “Fondo per i neonati e dotazione per l’autonomia”, ovvero la destinazione per ogni bambino che nasce di un importo massimo di 1.000 euro all’anno disponibile all’uso al raggiungimento della maggiore età. L’obiettivo è quello di garantire al giovane una somma da investire nel proseguimento degli studi o nell’avvio di una impresa: se così destinato, l’ammontare sarebbe integrabile da un “prestito di autonomia” da parte di un ente creditizio, con la garanzia dello Stato e la possibilità di un lungo tempo di restituzione. Misure come questa dovrebbero servire a rendere effettivo e spendibile il capitale umano maturato nell’ultimo secolo, che si trova oggi in uno stato di immobilità legato alla controversa condizione giovanile.

Avanti giovani, alla riscossa : come uscire dalla crisi giovanile in Italia / Massimo Livi Bacci . — Bologna : Il mulino, c 2008. — 118 p. ; 21 cm. — (Contemporanea ; 184). — ISBN 9788815126535. Giovani – Italia

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130 Famiglie monografia

Famiglie e vita quotidiana Una ricerca sull’educazione dei bambini da zero a sei anni in Veneto

Elena Pegoraro

Le profonde trasformazioni che ha subito la famiglia e le nuove problematiche vissute sollecitano, con sempre più urgenza, di mettere l’educazione al centro dell’attenzione collettiva. Una prospettiva educativa che tenga conto di tutte le realtà sociali e che pensi ad una progettazione pedagogica che coinvolga tutti gli attori sociali, a partire dai genitori, dagli insegnanti, dagli operatori dei servizi per l’infanzia, ma anche gli architetti e gli urbanisti che organizzano la città, le imprese e i terziari che definiscono gli orari di lavoro, ecc. Guardando alla famiglia come “ecosistema” nella società postmoderna, si vede in modo chiaro come le nuove caratteristiche che ha assunto ne hanno modificato quasi tutte le funzioni, a partire dalla struttura fino ad arrivare alla gestione della vita quotidiana. Una famiglia molto più paritetica e democratica, basata sui legami affettivi, ma con sempre più difficoltà a integrare bisogni degli adulti e necessità dei bambini. Nuovi ruoli e progressivi modelli di emancipazione da quelli propri della tradizione familiare, comportano relazioni che ancora devono trovare una loro capacità educativa che risponda efficacemente a quelli che sono da sempre i compiti di sviluppo del bambino e quelli che sono oggi i desideri e le opportunità offerte dalla società ai genitori. La grande conquista dell’uomo di poter essere un padre affettuoso e attento, capace di cura e di accudimento del proprio figlio, così come la rivoluzionaria conquista della donna di poter avere una propria vita lavorativa e un’attenzione a sé come donna e non solo come madre, comportano necessariamente una rivisitazione dei modelli educativi intrafamiliari e sociali. La ricerca pedagogica è sempre più impegnata su questo fronte e si sta muovendo su due piani: uno più teso ad aumentare il senso di comprensione del ruolo parentale e il sentimento di competenza del genitore, secondo il modello dell’autodeterminazione della famiglia e del partenariato con le famiglia, in modo da rispettare le competenze e i saperi dei genitori e costruire una relazione basata sulla reciprocità tra genitori e operatori dei Rassegna bibliografica 1/2009

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130 Famiglie

servizi per l’infanzia; l’altro più centrato sulla resilienza, ovvero sulla capacità di comportarsi in modo socialmente accettabile, nonostante alcune forme di stress che normalmente implicano un esito negativo e che invece vengono dal soggetto immunizzate emotivamente, permettendogli di restare se stesso anche quando l’ambiente opprime. Analizzando i risultati di una ricerca su Una giornata tipo con bambini da 0 a 6 anni realizzata nella regione Veneto, emerge che la frenesia e l’ansia del ritardo sono una delle caratteristiche principali nei vissuti genitoriali. Il tempo da dedicare a figli e famiglia è al primo posto nel desiderio degli adulti, anche se poi a dettare i tempi della giornata è il lavoro, relegando il gioco tra genitori e figli a prima di andare a dormire, o poco più. I genitori avvertono un forte sconvolgimento nella propria vita di coppia con la nascita del figlio e si rendono conto che spesso è poco anche il tempo che dedicano al confronto rispetto all’educazione dei figli. I bambini vengono visti come “nuovi re”, avendo concentrati su di sé l’attenzione di tutta la famiglia, la quale mostra anche una certa tendenza a chiudersi come nucleo rispetto all’esterno. Da quanto emerge dagli studi e dalle ricerche, vi è, quindi, una necessità sempre più forte di promuovere un sostegno al compito genitoriale, sia in termini di nuovi percorsi di educazione alla genitorialità, sia dal punto di vista delle opportunità offerte dai nonni e dai servizi educativi per la prima infanzia. La frequenza di nido, scuola materna, ludoteca, centri di servizio per bambini, sono tutte occasioni per uno sviluppo delle competenze genitoriali e per l’incontro con operatori qualificati che possono dare ai genitori quel contenimento e quella sicurezza che gli permetta di vivere con più serenità il nuovo modo di essere padri e madri.

Famiglie e vita quotidiana : una ricerca sull’educazione dei bambini da zero a sei anni in Veneto / Elena Pegoraro. — Azzano San Paolo: Junior, 2008. — 219 p. ; 24 cm. — (Pedagogia). — Bibliografia: p. 195-201. — ISBN 978888434431X. Famiglie – Vita quotidiana – Veneto

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130 Famiglie monografia

La resilienza familiare Froma Walsh

La resilienza familiare si riferisce ai processi che intervengono in seno alla famiglia, intesa come unità funzionale, consentendole di resistere e reagire a situazioni problematiche potenzialmente disgreganti e creare legami più saldi, ripristinare un funzionamento armonioso e andare avanti nella vita. La resilienza implica l’esistenza di energie utili in condizioni di stress che vengono temprate dalla crisi: quando costruiscono una resilienza relazionale, le famiglie stabiliscono legami più forti e acquisiscono competenza per affrontare le sfide future. Pertanto ogni intervento sulla resilienza familiare presenta dei vantaggi in termini di prevenzione. L’accento sulla resilienza sposta la prospettiva di osservazione e di intervento sulle famiglie in difficoltà da quelli che sono gli aspetti disfunzionali al loro potenziale di evoluzione e di recupero. Ciò che viene presentato è un modello di intervento e di prevenzione teso a rinforzare i processi familiari fondamentali connessi alla gestione delle avversità. Il modello adotta un approccio evolutivo sistemico che valuta i sintomi attuali alla luce degli eventi critici pregressi, attuali e potenziali nonché dei significati che tali eventi hanno assunto e delle risposte che le famiglie hanno sviluppato per fronteggiarli. L’offerta terapeutica si sintonizza sulle specifiche difficoltà incontrate da ogni famiglia in modo da mobilitare le risorse del sistema familiare stesso per fronteggiare la crisi e si fonda sulla ferma convinzione che la resilienza è alimentata dalla forza dei legami familiari e sociali, comunitari e culturali. Nello sforzo di riconoscere e rinforzare i processi interattivi fondamentali sottesi alla resilienza familiare, vengono individuati tre ambiti essenziali: i sistemi di credenze, i modelli organizzativi e i processi comunicativi. I sistemi di credenze familiari, influenzati dalle credenze culturali, comprendono i valori, le convinzioni, gli atteggiamenti che rappresentano il nucleo essenziale della nostra comprensione del mondo e del significato che attribuiamo alla nostra esperienza; essi costituiscono un insieme di premesse di base Rassegna bibliografica 1/2009

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che influenzano notevolmente il modo in cui la famiglia valuta i problemi e le opportunità e, conseguentemente, il modo di affrontare le avversità. Le credenze fondamentali che facilitano la resilienza familiare sono quelle che implicano uno sforzo finalizzato a dare un senso alle avversità, ad assumere un atteggiamento costruttivo e a elaborare credenze di natura spirituale o trascendente. Per affrontare in modo efficace una crisi e adattarsi ai cambiamenti in atto, le famiglie devono darsi un assetto funzionale e organizzativo improntato alla stabilità (continuità, affidabilità, rituali e routine) ma anche alla flessibilità, attivare relazioni sia in famiglia che nel contesto sociale in modo da condividere e distribuire le responsabilità, e poter fare affidamento su sufficienti risorse economiche. Infine, nell’affrontare le avversità è importante che in famiglia esista una comunicazione efficace, basata sul chiarire il più possibile la situazione, esprimere e rispondere alle emozioni l’uno dell’altro, impegnarsi in modo collaborativo nella risoluzione dei problemi. Vengono inoltre illustrati una serie di approcci orientati alla promozione della resilienza per favorire i processi di recupero in seguito a disastri naturali, attentati terroristici, guerra, persecuzioni.

La resilienza familiare / Froma Walsh. — Milano : R. Cortina, 2008. — XV, 475 p. ; 23 cm. — (Psicoterapia con la famiglia). — Bibliografia: p. 445-464. — Trad. di: Strengtheining family resilience. — ISBN 9788860302182. Famiglie – Resilienza

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135 Relazioni familiari monografia

Contesti comunicativi e genitorialità Per un linguaggio educativo tra genitori e figli

Marco Piccinno

Il volume qui presentato tratta un argomento assai attuale all’interno della ricerca pedagogica contemporanea, quella cioè della relazione tra genitori e figli all’interno della famiglia. La prospettiva è quella di un completamento e arricchimento reciproco tra la dimensione teorica e quella dell’esperienza pratica, con un lavoro che consta di una prima parte di taglio più teorico analitico e di una seconda più pratica e sperimentale. In particolare il focus dell’intero lavoro è da ricercare in una delle possibili manifestazioni esplicite della relazione tra genitori e figli, cioè nella dimensione dell’interazione linguistica, cercando in particolare di cogliere potenzialità e limiti dei modelli di interazione verbale utilizzati dai genitori nella relazione educativa coi propri figli. Partendo dal presupposto che i ragazzi adolescenti manifestano in maniera più o meno chiara continui bisogni di natura relazionale, la ricerca si occupa appunto di indagare le modalità di risposta dei genitori proprio a questi bisogni. Nella prima parte l’autore, a partire da una presa in considerazione delle teorie di Watzlawick sulla comunicazione umana, compie una ricognizione di quelli che sono i possibili modelli di interazione verbali finalizzati a rispondere al bisogno di riconoscimento, bisogno che sappiamo essere assolutamente primario nell’età adolescenziale. I meccanismi del rifiuto, della conferma e della sollecitudine sono considerati quindi dall’autore indispensabili nel processo di personalizzazione tipico dell’età adolescenziale. Considerando, sulla scia di Bruner, l’identità personale come un’istanza essenzialmente intersoggettiva, ecco che le dinamiche relazionali precedentemente delineate prendono forma e assumono la loro importanza assolutamente irrinunciabile proprio all’interno degli stili educativi scelti dai genitori. La ricerca esposta nella seconda parte del volume vuole quindi andare proprio a scavare all’interno delle interazioni tra genitori e figli, e lo fa compiendo una complessa analisi di tipo statistico-semantico sulle frasi elaborate dai Rassegna bibliografica 1/2009

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135 Relazioni familiari

genitori in risposta a stimoli proposti dal ricercatore rispetto ad alcune ipotesi di fatti che possono accadere ai ragazzi. La ricerca vuole quindi proprio capire quanto le verbalizzazioni dei genitori siano effettivamente efficaci e utili per contribuire a quel processo di personalizzazione indispensabile per fondare un saldo e sicuro senso del sé. La seconda parte del volume quindi si rivela particolarmente utile e interessante per tutti coloro che lavorano nel campo dell’adolescenza, oltre che per i genitori, in quanto offre un interessante strumento di analisi delle più frequenti tipologie di risposte e di verbalizzazioni utilizzate con i ragazzi, e induce quindi una riflessione profonda circa l’opportunità di sceglierne uno piuttosto che un altro. In particolare il libro prova a costruire un ponte ideale tra bisogni espressi in maniera più o meno esplicita dai ragazzi e strumenti adottati dagli adulti per rispondere a questi bisogni, rivelandone in molti casi l’inadeguatezza, anche legata alla difficoltà profonda di riconoscere i bisogni stessi. La ricerca di un canale di sintonizzazione emotiva con i propri figli passa inevitabilmente, secondo l’autore, dalla necessità di calibrare e perfezionare i propri stili comunicativi, nella direzione di una sempre maggiore capacità di individuare prima e rispondere poi ai bisogni espressi o anche non espressi dei ragazzi.

Contesti comunicativi e genitorialità : per un linguaggio educativo tra genitori e figli / Marco Piccinno. — Roma : Bulzoni, 2008. — 195 p. ; 21 cm. — (L’uomo e la società ; 136). — Bibliografia: p. 173-195. — ISBN 9788878703315. Figli adolescenti – Rapporti con i genitori

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135 Relazioni familiari monografia

Nuovi nonni per nuovi nipoti La gioia di un incontro

Silvia Vegetti Finzi

Il volume qui presentato affronta un tema di grande attualità e di indubbio interesse per tutti coloro che, a vari livelli e con ruoli diversi, gravitano intorno all’universo “infanzia”. La “nonnità”, infatti, costituisce oggi una frontiera di studio sia in campo sociologico che in campo pedagogico, densa com’è di implicazioni anche relativamente alla crescita e alla cura delle nuove generazioni. L’autrice affronta l’argomento scegliendo un taglio analitico caratterizzato da un doppio binario di riflessione. Nella prima parte cerca infatti di delineare un quadro il più possibile esaustivo dell’argomento oggetto di studio, mentre nella seconda riporta direttamente le parole di un gruppo di nonni interpellati direttamente proprio sull’argomento “nonnità”. La prima parte quindi, più analitica e di approfondimento, si pone come sfondo integratore in cui collocare poi le testimonianze della seconda parte. Nonostante il taglio più da saggio anche la prima parte consta però di riferimenti e di riflessioni caratterizzate da un’originale taglio di tipo personale. Il volume si apre, infatti, con il punto di vista dell’autrice in quanto nonna, e di suo marito in quanto nonno, a voler da subito chiarire come il libro voglia prendere le distanze da scopi meramente statistici e descrittivi. Il punto di vista dell’autrice è infatti quello in base al quale, al di là delle cifre e delle statistiche, ciascuno debba configurare in maniera personale il proprio modo di esercitare la nonnità, fuori dagli schemi e dalle aspettative. I capitoli successivi della prima parte offrono poi un approfondimento relativo prima al mondo dell’infanzia, poi a quello dei nonni stessi. L’idea dell’autrice è quella di inquadrare le problematiche relative a queste due diverse epoche della vita a partire da un considerazione degli elementi di differenza e di quelli di continuità con il passato. Essere bambini oggi significa quindi muovere i propri passi in una realtà urbanistica ma anche sociale molto diversa rispetto a quella di quindici anni fa. Spesso soli in un mondo di adulti i bambini investono spazi nuovi, diversi da Rassegna bibliografica 1/2009

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135 Relazioni familiari

quelli del passato, e hanno sempre minori occasioni di confrontarsi con gruppi allargati di pari. Restano però intatti ed essenzialmente immutati i bisogni e i desideri profondi che animano il vissuto dei bambini, comunque sempre alla ricerca di ascolto e attenzione autentici in un mondo di adulti molto “presenti” ma poco sintonizzati proprio con quegli stessi bisogni. Ecco allora che i nonni di oggi, spesso ancora giovani o comunque “giovanili” grazie al miglioramento degli stili di vita, possono costituire un ponte unico e insostituibile tra il mondo dell’infanzia e il mondo adulto, liberi delle responsabilità educative tipiche della dimensione genitoriale ma attenti a offrire ai loro nipoti quell’ascolto e quell’attenzione profonda che spesso i genitori non sanno o non hanno tempo per dare. Dalle parole dei diretti interessati, attentamente analizzate nella seconda parte del volume, emerge quindi una molteplicità di figure di nonni diversi tra loro, ma contraddistinti tutti dall’ammissione di una grande soddisfazione nel ricoprire il nuovo ruolo che la vita li chiama a ricoprire. Si tratta di nonni ancora attivi sul piano della gratificazione personale, ancora “in navigazione”, per dirla con le testuali parole dell’autrice, ma non per questo distratti o lontani, anzi. Emerge in molti casi la tendenza a mettere a disposizione dei nipoti il proprio bagaglio di esperienza, configurandosi quindi come elementi di necessaria continuità tra un passato e un presente così lontani eppure così interessanti l’uno per l’altro.

Nuovi nonni per nuovi nipoti : la gioia di un incontro / Silvia Vegetti Finzi. — Milano : Mondadori, 2008. — 258 p. ; 23 cm. — (Saggi). — ISBN 9788804572671. Nonni

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150 Affidamento familiare monografia

Linee guida 2008 per i servizi sociali e sociosanitari L’affido familiare in Veneto Cultura, orientamenti, responsabilità e buone pratiche per la gestione dei processi di affidamento familiare

Regione del Veneto Le Linee guida del 2008 sull’affido familiare proseguono il lavoro avviato dalla Regione Veneto nel 2005 con le Linee guida per i servizi sociali e sociosanitari riguardo alla presa in carico, la segnalazione e la vigilanza dei minori. In primo luogo, questo percorso di lavori muove dalla consapevolezza che ogni innovazione normativa rischia di restare irrilevante sul piano operativo se non è accompagnata da procedimenti, risorse, attività e competenze orientate alla gestione delle esigenze dei cittadini e se non è suscettibile di valutazione, implementazione e validazioni continue. In secondo luogo, le Linee guida si muovono sulla base della considerazione che la responsabilità professionale si realizza in un rapporto dinamico e collaborativo tra le agenzie del territorio, fondato non solo sul dialogo, e sul parlarsi tra soggetti distinti e autonomi rispetto al proprio mandato, ma soprattutto sulla condivisione di linguaggi, obiettivi e procedimenti che costruiscano sinergie tali da realizzare un sistema organico e integrato di servizi territoriali. Rispetto a ciò le Linee guida del 2005 e del 2008 costituiscono la cornice istituzionale entro cui i servizi del territorio possono esercitare la loro autonoma ed efficace azione e, al contempo, impegnarsi, in rete, ad assolvere a un mandato che è proprio di ciascun servizio, ovvero la promozione della salute dei cittadini. Le Linee guida del 2008 che riguardano l’affido familiare nascono sulla scorta di un investimento che la Regione Veneto ha inteso porre nei confronti del “fare” ed “essere” famiglia in generale e, in particolare, delle famiglie vulnerabili, creando forme per favorire la deistituzionalizzazione attraverso la promozione dello strumento dell’affido familiare. Da qui nascono i centri per l’affido e la solidarietà familiare (CASF), con l’intento di creare nelle comunità locali luoghi di prossimità tra famiglie e, più in generale, un progetto di sostegno alla genitorialità, cosiddetta “sociale”, che ha visto l’articolazione di tre azioni sul territorio: in prima istanza la formazione degli operatori dei nascenti centri per l’affido e la solidarietà familiare, in Rassegna bibliografica 1/2009

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secondo luogo, il monitoraggio e l’implementazione dell’attività di questi centri e, infine, l’elaborazione delle presenti Linee guida attraverso la costituzione di un apposito gruppo di lavoro. Le Linee guida 2008 si articolano intorno a due domande di fondo: come deve funzionare un centro per l’affido al fine di garantire l’effettivo diritto del minore a vivere nella propria famiglia? Come si deve articolare il processo dell’affido al fine di garantire l’efficacia dell’intervento rispetto all’esito? Nella prima parte del volume vengono delineati i principi a partire dai quali si realizza il processo di affido, andando a presentare quale è la cultura dell’affido, quali sono i soggetti al centro del percorso di affido e il quadro normativo entro cui rientra tale strumento. La seconda parte descrive, invece, il processo dell’intervento ripercorrendone le diverse fasi che lo caratterizzano: dalla promozione alla raccolta delle informazioni, per passare poi alla fase della conoscenza e della valutazione dell’abbinamento famiglia affidataria - famiglia di origine e alla fase di accompagnamento e chiusura del progetto. La terza parte raccoglie, infine, le esperienze e le buone pratiche messe in atto dai CASF negli ultimi anni e riporta le riflessioni e i temi che gli operatori attualmente ritengono rilevanti sull’argomento. Le Linee guida 2008 si rivolgono a tutti gli operatori dei CASF, agli operatori dei servizi alla persona, sia pubblici che del privato sociale, nonché agli amministratori pubblici degli enti locali, che siano interessati ai processi di promozione e realizzazione dell’affido familiare.

Linee guida 2008 per i servizi sociali e sociosanitari : l’affido familiare in Veneto : cultura, orientamenti, responsabilità e buone pratiche per la gestione dei processi di affidamento familiare / Regione del Veneto, Assessorato alle politiche sociali volontariato e non profit, Osservatorio regionale nuove generazioni e famiglia, Ufficio del pubblico tutore dei minori. — [Mestre : Regione del Veneto, Ufficio del pubblico tutore dei minori], 2008. — 204 p. ; 22 cm. — (Linee guida e orientamenti per la promozione e la cura dell’infanzia e dell’adolescenza. Quaderni ; 02/08). — Bibliografia: p. 197-204. — ISBN 8890227168. Affidamento familiare Rassegna bibliografica 1/2009

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160 Adozione articolo

Il sostegno sociale all’adozione Articoli tratti da Minori e giustizia, n. 2, 2008

Relativamente alle problematiche poste dall’adozione, Chiara Pasqualini discute il primo passo del percorso adottivo costituito da lo “studio di coppia”. Tale studio viene svolto su mandato del tribunale per i minorenni, che deputa ai servizi sociosanitari l’acquisizione di informazioni sulla situazione personale e sociale degli aspiranti genitori, al fine di valutarne l’idoneità all’adozione. Le indagini riguardano la capacità di educare il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare, i motivi che spingono all’adozione. La funzione di valutazione, tuttavia, per quanto corretta ed essenziale, non esaurisce il compito dello studio di coppia, che ha anche una funzione di consulenza e di formazione. È necessario che lo psicologo ascolti la coppia che si propone per l’adozione in modo partecipe, non neutrale, con una silenziosa condivisione del dolore e delle gioie del suo interlocutore, e stimoli il dialogo con rispettosa curiosità. Nel corso di questo approfondimento è importante che l’operatore comprenda e riconosca all’aspirante genitore le sue buone ragioni per essere divenuto come è oggi. Tuttavia è importante riconoscere quali sono le difese utilizzate e valutarne la funzionalità. Sono evidentemente pericolose difese primitive, che comportano una scarsa capacità di riconoscere sé e l’altro nella loro complessità e articolazione. Processi di scissione e proiezione, ad esempio, sono attivi in chi divide bene e male in modo rigido, in chi differenzia schematicamente chi dà e chi riceve. Processi di questo tipo possono impedire di leggere la realtà nella sua complessità e rischiano di “fissare”, rendendole stabili nel tempo, le difficoltà che inevitabilmente si presenteranno nel costituirsi della famiglia adottiva. Assieme allo studio del funzionamento della coppia si configura quello dello spazio che il bambino ha nell’immaginario dei coniugi. Laura De Nobili e altri argomentano come il “colloquio di accoglienza” sia divenuto per l’Équipe adozioni di Padova una tappa Rassegna bibliografica 1/2009

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160 Adozione

fondamentale del percorso adottivo. Tale colloquio costituisce il segno del passaggio da un’ottica prettamente valutativa a una maggiormente orientata ad accompagnare le coppie nella chiarificazione e nella maturazione personale. Presupposto questo necessario per cogliere le positività, ma anche le criticità insite nell’adozione, e per operare scelte ponderate e consapevoli. Lia Chinosi sposta il focus sulla permanenza del bambino in comunità, con particolare riferimento all’incontro che potrà avere con i suoi possibili genitori adottivi. Quando si prospetta nell’immediato la possibilità che il bambino possa essere adottato da una famiglia, la preoccupazione fondamentale è, in primo luogo, quella di permettergli di staccarsi dalla comunità senza riattivare i fantasmi della separazione traumatica vissuta precedentemente. Il dilemma affettivo degli operatori si dipana tra l’avere interiorizzato che la comunità non è per il bambino il luogo del futuro e l’organizzare questo momento di passaggio evitando che questi sperimenti una modalità espulsiva, o che inneschi il gioco delle coppie di separati, dove entrambi i genitori – la comunità da un lato e la famiglia adottiva dall’altro – sono e cercano di essere seducenti ai suoi occhi. Secondariamente si tratta di aiutarlo a entrare in contatto con la nuova possibilità di vita e canalizzare la sua speranza di contenimento verso un nuovo gruppo familiare stabile, che non si “turna” come le operatrici della comunità e che non abbandona. Nella pratica si è delineata l’utilità di lasciare sempre più spazio alle nuove e ancora indifferenziate figure genitoriali adottive nell’espletamento delle cure del quotidiano del bambino. Gli adottandi sono legittimati a investire affettivamente e con tutta la pienezza della passione umana del piccolo bambino a loro sconosciuto, iniziando in tal modo il lavoro genitoriale necessario per transitare dal figlio fantasmatico a quello reale.

Il sostegno sociale all’adozione. — Contributi di: Chiara Pasqualini, Laura De Nobili, Marta Drago, Susanna Ferro, Michela Franchetti, Simonetta Valentini, Maura Zanetti, Lia Chinosi. In: Minori giustizia. — 2008, n. 2, p. 257-280. 1. Adottanti – Sostegno 2. Bambini adottati – Sostegno da parte delle comunità per minori

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167 Adozione internazionale monografia

I modelli organizzativi regionali in materia di adozione internazionale Commissione per le adozioni internazionali, Istituto degli Innocenti

Il testo fa parte della collana Studi e ricerche della Commissione per le adozioni internazionali (CAI), la quale, avvalendosi anche della collaborazione dell’Istituto degli Innocenti, documenta e monitora gli interventi realizzati sul territorio italiano per sostenere bambini e genitori di famiglie adottive. Qui si riportano i risultati di una ricognizione sugli strumenti implementati dalle Regioni in adempimento ai compiti che la legge in materia di adozione internazionale loro attribuisce, tra cui quello di aiutare gli attori locali nella conoscenza del fenomeno e nello sviluppo di politiche di supporto e informazione ai soggetti interessati. La prima sezione del volume raccoglie le schede di sintesi dei modelli organizzativi regionali, ricostruite sulla base dei documenti normativi forniti dalle Regioni e delle risposte alle interviste semi strutturate sottoposte ai referenti della legge 476/1998. Le informazioni sono state inoltre arricchite da quanto emerso nel corso dei focus group appositamente realizzati. Accanto alle leggi locali che danno operatività alla normativa nazionale, le schede sintetizzano in quale forma le singole Regioni stanno organizzando la rete di soggetti coinvolti nel processo adottivo, che sono: i servizi sociali, le figure professionali specifiche, le autorità amministrative provinciali e comunali, la scuola, nonché le famiglie aspiranti e i bambini stranieri quali protagonisti chiave dell’evento. Vengono poi descritti i servizi di orientamento, di preparazione delle coppie e di sostegno nella fase di postadozione. La seconda parte del quaderno offre un’analisi comparativa dei quadri regionali. Nella varietà delle situazioni, emergono alcune criticità diffuse, tra cui la necessità di valorizzare maggiormente il lavoro di rete, dando avvio a tavoli di coordinamento stabili, nei quali dovrebbe essere dato più spazio anche al ruolo della scuola, quale soggetto istituzionale le cui funzioni paiono sottovalutate. Ancora carenti risultano pure le attività di analisi dei bisogni dei Rassegna bibliografica 1/2009

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167 Adozione internazionale

bambini e delle famiglie, a partire da monitoraggi quantitativi e qualitativi sulle loro caratteristiche e necessità. Questi nodi non devono però sminuire il grande lavoro messo in piedi negli ultimi anni su tutto il territorio nazionale, in risposta all’impennata di domande da parte di coppie che richiedono di poter adottare bambini di cittadinanza straniera. Si rileva dunque in generale un forte slancio dato all’accompagnamento delle famiglie nel delicato cammino verso l’adozione di minori che provengono da altri Paesi. Un percorso che non è facile e richiede continuità di accompagnamento, la quale a sua volta va supportata da una presenza costante dei servizi a essa finalizzati. Nella complessità dell’iter, è facile che alcuni momenti rischino di rimanere “scoperti”. Tra essi viene segnalata la fase di attesa del bambino, una volta che la coppia sia stata valutata idonea all’adozione. Sebbene riconosciuta come fase particolarmente densa di trasformazioni e evoluzioni dal punto di vista affettivo, emotivo, psicologico e relazionale, non vi sono a oggi esperienze particolarmente significative, mirate proprio a sostenere gli aspiranti genitori in questo momento del loro percorso. Un altro aspetto che richiede maggiori sforzi riguarda i bambini con bisogni speciali, affetti da gravi problemi di salute: la loro integrazione nella famiglia e nella società, in particolare nella scuola, necessita chiaramente di strutture operative idonee e accuratamente preparate. Il volume si chiude con la presentazione delle tavole statistiche fornite dalla Commissione, che informano sul numero di bambini e coppie che in Italia hanno visto realizzato il loro desiderio reciproco di trovare e formare una famiglia.

I modelli organizzativi regionali in materia di adozione internazionale / [Commissione per le adozioni internazionali, Istituto degli Innocenti]. — Firenze : Istituto degli Innocenti, 2009. — XI, 161 p. ; 24 cm. — (Studi e ricerche ; 9). — ISBN 9788863740035. Adozione internazionale – Italia

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180 Separazione coniugale e divorzio articolo

Genitori separati e significatività del nuovo partner nella vita dei figli Annamaria Dell’Antonio

L’articolo tratta della presenza nel nucleo familiare di un nuovo partner adulto che si rende disponibile nei confronti di figli non suoi e cerca di esercitare una funzione di tipo genitoriale. L’avvio di una nuova esperienza coniugale da parte di un genitore può essere per il bambino che vive con lui un’opportunità per lasciarsi alle spalle un passato dominato dalla conflittualità dei genitori e trovare un adulto capace di essere per lui un punto di riferimento. Tuttavia, l’assunzione di un ruolo genitoriale da parte del nuovo partner è un processo assai complesso: in primo luogo, ciò dipende dallo spazio che gli viene lasciato da parte dei figli. Alcuni bambini stabiliscono con lui, in tempo relativamente breve, un rapporto di confidenza perché hanno bisogno di appoggio e di cura che non riescono ad avere né dall’uno né dall’altro dei genitori, soprattutto se essi sono ancora invischiati in dinamiche di tipo conflittuale. Altri invece non tollerano il nuovo venuto perché non hanno elaborato appieno il lutto della separazione dei genitori o hanno con il genitore convivente un forte legame di interdipendenza e temono il suo sostanziale abbandono per il nuovo venuto. L’età dei bambini potrebbe incidere sull’instaurarsi di queste dinamiche. In realtà tale accettazione sembra legarsi, più che all’età del bambino, alla sua percezione mentale di appartenenza al nucleo familiare in cui è vissuto in precedenza o a quello attuale. Studi recenti hanno evidenziato che i minori che hanno saputo o potuto stabilire con il nuovo partner del genitore una rapporto significativo, riconoscendogli un ruolo nella propria vita, sono quelli che si sentono chiaramente appartenenti sia nel nucleo precedente che nel nuovo nucleo. Le dinamiche interpersonali che possono svilupparsi nel nuovo nucleo sono rese ancora più complesse dalla presenza di fratelli o fratellastri: possono generarsi, infatti, atteggiamenti di solidarietà, gelosia o invidia che possono condurre uno dei fratelli o tutti verso un rifiuto del nuovo nucleo familiare. Rassegna bibliografica 1/2009

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180 Separazione coniugale e divorzio

Il modo del bambino di porsi di fronte al nuovo venuto dipende, inoltre, dal tipo di relazione che egli ha con il genitore non più presente. Questi, infatti, potrebbe rendere più difficile l’assunzione dei compiti allevanti da parte del nuovo venuto sia cercando di intensificare il proprio rapporto con il figlio, creando alleanze e complicità, sia accentuando il conflitto con l’ex coniuge. Da parte sua, il nuovo partner del genitore deve assumere all’inizio ruoli poco determinati e flessibili, tali da poter essere modellati alle reazioni e stati d’animo del bambino e ai suoi tempi di rielaborazione. Per il benessere del bambino diventa determinante che egli si senta inserito e accettato in ambedue i nuclei in cui si collocano i genitori separati; ma perché ciò possa realizzarsi occorre che gli adulti che fanno parte del nuovo nucleo sappiano riconoscere e tener conto dei vissuti del bambino, rispettare i tempi di cui ha bisogno per elaborarli e che venga aiutato nell’adattarsi a questa nuova situazione dal genitore che non vive con lui. Ciò presume che entrambi i genitori separati riescano a vivere la nuova situazione come un sistema allevante bifamiliare, senza competizione tra adulti, che si propone di gestire la cura e l’educazione del bambino. Ciò a sua volta è legato al fatto che il bambino percepisce la reciproca accettazione e valorizzazione dei due nuclei. Data la difficoltà di tale percorso si auspica la possibilità che le famiglie possano ricevere aiuto tramite una rete sociale allargata ma anche servizi opportunamente attrezzati a tal fine.

Genitori separati e significatività del nuovo partner nella vita dei figli / di Annamaria Dell’Antonio. In: Minori giustizia. — 2008, n. 2, p. 231-238. Genitori separati – Figli – Rapporti con i padri e le madri acquisite

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270 Psicologia applicata monografia

Il counselling analitico transazionale Una risorsa per gli educatori

Nadia Murgioni

L’analisi transazionale (AT) ha origine dalle idee e dagli studi di Eric Berne, e si presenta come un complesso integrato di teorie e strategie di intervento, per il quale l’intera struttura della personalità è fonte di comportamenti creativi e motivanti. L’AT dà ragione e significato alle diversità e alla riconoscibilità del sé, che muta, e si esprime con libertà in edizioni diverse, identificando Stati dell’Io che hanno capacità proprie di leggere il contesto e di pensarlo per attivare risorse molteplici. Sulla base di questi assunti, l’AT applicata nei molteplici contesti educativi, con i costrutti e le strategie che la caratterizzano, è volta a facilitare la creazione di sistemi capaci di armonizzare il nuovo e il diverso, in grado di autocrearsi con elementi molteplici, aumentando il livello di accettazione dell’eterogeneità. Si tratta di un processo che si basa sulla qualità propria delle relazioni umane e sociali, caratterizzate da un dialogo significativo, dalla curiosità e dalla consapevolezza della necessità vitale di apprendere costantemente. Nell’ambito sociale, l’analisi transazionale ha avuto con il counseling una particolare espansione in Europa: ha consentito a professionisti quali educatori, formatori e operatori di acquisire competenze funzionali a supportare il potenziale e la crescita dell’autonomia delle persone. All’interno di tale cornice il presente testo è un compendio delle diversificate applicazioni che può assumere l’approccio teoricometodologico dell’analisi transazionale in ambito educativo, con particolare riferimento al counseling. Il testo intende rispondere all’esigenza dei professionisti del settore sociale di imparare a individuare punti di riferimento teorici e percorsi osservabili e verificabili nella molteplicità delle richieste educative che nascono da una società globalizzata. In particolar modo, l’autrice intende rispondere all’esigenza di un’acquisizione di competenze professionali che mettano i professionisti del sociale nella condizione di saper leggere stimoli molteplici, categorie di Rassegna bibliografica 1/2009

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270 Psicologia applicata

pensiero diverse tra loro e valori lontani che si avvicinano per la coesistenza delle persone in medesimi territori. La prima parte del testo presenta uno stato dell’arte riguardo all’educazione e al rapporto con la molteplicità che caratterizza la società contemporanea, definendo l’analisi transazionale come un approdo elettivo, ovvero uno spazio di riflessione per i professionisti del settore sociale. La seconda parte presenta un’analisi del counseling in generale, considerando i diversi approcci teorici e definendone lo statuto epistemologico di cui è coerente emanazione e la competenza strategica che lo caratterizza. Da qui vene preso in analisi il counseling analitico transazionale, definendone la cornice teorico-operativa che consente di dialogare con altri professionisti, anche nello stesso contesto, ma con approcci teorici e differenti strategie. Per il counselor AT la persona con cui stabilire un relazione professionale è un cliente o un gruppo di clienti, capaci di mettere in atto cambiamenti nel pensare, sentire, agire per vivere in modo sano e creativo con spirito di responsabilità nei confronti della comunità di appartenenza. A fronte di questa cornice, l’intervento di counseling è segnato dalla prospettiva interpersonale, in cui la transazione costituisce lo scambio di informazioni, esperienze, riferimenti valoriali per costruire significati. A integrazione del testo sono presentati alcuni interventi nel settore educativo e nei processi di integrazione con persone con disabilità, mettendo in luce l’efficacia dell’applicazione di tale strumento per aiutare le persone a sviluppare il loro potenziale e a crescere costruendosi con consapevolezza la propria autonomia.

Il counselling analitico transazionale : una risorsa per gli educatori / Nadia Murgioni. — Roma : Aracne, 2008. — 318 p. ; 24 cm. — (A14 ; 170). — Bibliografia: p. 281-318. — ISBN 9788854818255. Counseling

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314 Popolazione - Migrazioni articolo

Diritti declamati e diritti praticati Articoli tratti da Minori giustizia, n. 3, 2008

La parte monotematica della rivista Minori giustizia qui presentata è composta da un corpus di quattro saggi brevi sull’universo dei minori stranieri in Italia e sui diritti loro riconosciuti di fatto. Ne diamo qui conto seguendo un percorso logico-tematico. Angela Silvestrini nella sua panoramica sottolinea il forte incremento di questi minori negli ultimi anni, con un’alta incidenza nel Nord-est del Paese. Ciò per via della stabilizzazione degli immigrati nelle aree con migliori opportunità lavorative e con servizi capaci di rispondere alle esigenze di chi ha figli. Dei quasi 700 mila minori regolarmente presenti all’inizio del 2007, 6 su 10 erano nati in Italia, gli altri 4 vi erano giunti in un secondo tempo. Da una ricerca sulle seconde generazioni coordinata dall’Università di Padova emerge che l’apprendimento della lingua italiana è tra le condizioni più favorevoli alla loro integrazione. Le difficoltà che questi minori incontrano crescono con il livello scolastico, condizionando anche la scelta della secondaria superiore. Giuliana De Marco ricostruisce l’iter normativo italiano concentrandosi sulla complessa dinamica delle prassi amministrative e della loro ricezione da parte della normativa nazionale. Fino alla legge 40 del 1998 il legislatore ha recepito le buone prassi avviate a livello locale, mentre a partire dai decreti attuativi della successiva legge Bossi-Fini il processo si è invertito, danneggiando in particolare i minori non accompagnati al momento del compimento della maggior età. Le cose vanno meglio per le vittime della tratta, a cui da qualche anno è garantito l’ottenimento del permesso di soggiorno anche se non denunciano i loro sfruttatori. Violazioni dei diritti alle cure sanitarie riguardano invece i minori irregolari con permesso di soggiorno per cure mediche e fino a due anni fa forti penalizzazioni colpivano i genitori di minori stranieri malati, giunti in Italia per assistere i figli. Il quadro legislativo è completato da Alessandra Algostino, che mostra la grave erosione dei diritti fondamentali degli stranieri irregolari compiuta Rassegna bibliografica 1/2009

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con l’introduzione della direttiva europea sui rimpatri del giugno 2008. Salute, diritto alla coesione familiare e tutela del minore sono tenuti in considerazione, ma non costituiscono di per sé motivo che ne impedisca il rimpatrio. La direttiva prevede la privazione del diritto alla libertà personale con il trattenimento nei centri di permanenza temporanea fino a 18 mesi. L’intervento del giudice, che dovrebbe pronunciarsi sul provvedimento di trattenimento, diventa facoltativo, ovvero su domanda. La direttiva prevede poi esplicitamente l’allontanamento e la detenzione del minore, sia al seguito della famiglia, sia nel caso di minori soli non accompagnati. Questi ultimi possono essere ricondotti persino in uno Stato terzo rispetto all’Italia e a quello di origine. Di carattere propositivo è il contributo di Paolo Ferrero, che sostiene l’esigenza di tutelare la salute di tutti, immigrati compresi, in nome dei doveri costituzionali e anche per mantenere lo standard raggiunto dagli italiani. L’autore suggerisce la costituzione di un fondo per i minori stranieri, per sgravare i bilanci di Comuni e associazioni, e la ristrutturazione del Comitato che si occupa di essi, risultato inefficace dal momento che il 90% dei non accompagnati rimane clandestino. Su un piano generale Ferrero sostiene un welfare rivolto a tutti i cittadini. Per gli immigrati vanno previsti servizi specifici esclusivamente perché possano superare il gap linguistico che li ostacola nell’accesso ai servizi per tutti. Due infine i pilastri su cui impostare una politica che impedisca la formazione di un’identità coatta presso gli immigrati: la lingua e la Costituzione. L’ottica è un pluralismo inteso come accettazione e modificabilità, per evitare di generare un conflitto d’identità nelle seconde generazioni che ne blocchi l’integrazione sociale.

Diritti declamati e diritti praticati. — Contributi di: Alessandra Algostino, Paolo Ferrero, Angela Silvestrini, Giulia De Marco. In: Minori giustizia. — 2008, n. 3, p. 13-51. Immigrati – Diritti- Italia

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314 Popolazione - Migrazioni monografia

Immigrazione e cittadinanza locale La governance dell’integrazione in Italia

Francesca Campomori

Il volume affronta il tema dell’immigrazione in Italia da una prospettiva insieme teorica ed empirica. Sul primo fronte l’analisi muove da una ricognizione degli studi sui processi di decisione politica in materia di immigrazione, a livello sopranazionale, nazionale e locale. È questa la quarta generazione di studi sulla tematica generale dell’immigrazione, dopo i lavori sui flussi di immigrati in un’ottica di comparazione europea, le ricerche sull’integrazione economica degli immigrati e sulle dinamiche della loro integrazione sociale, e le indagini sulle politiche di integrazione degli immigrati, svolte però senza riservare attenzione agli aspetti processuali di tali politiche. La discussione della letteratura scientifica sui processi di policy consente di mettere a fuoco i confini e i contorni delle politiche pubbliche relative all’immigrazione così come gli attori in esse coinvolti. Risalta una doppia distinzione: tra politiche per l’immigrazione e politiche per gli immigrati, da un lato, e tra politiche nazionali e politiche locali, dall’altro. All’interno del quadro di riferimento fornito dal governo centrale, gli enti locali e le specifiche realtà territoriali sviluppano misure e interventi che vanno al di là di una mera applicazione delle normative nazionali. Per la messa in atto di tali politiche è poi necessaria l’articolazione di competenze differenziate che ne rendano trasversale sia la formulazione sia l’attuazione. Di fatto la realtà dell’immigrazione va a costituire un agente di stimolo e di flessibilizzazione delle politiche sociali, all’interno di un’interazione diretta tra i servizi e gli utenti, che di norma produce effetti positivi sull’organizzazione dei primi. Nell’analisi dei processi decisionali locali pesa però anche il tipo di subcultura politica prevalente nel territorio, in genere “bianca” o “rossa”. L’interventismo tipico della seconda contrasta con il non interventismo della prima. Anche le organizzazioni che operano a favore degli immigrati appartengono a tipologie diverse, tanto che si parla di associazionismo caritativo, rivendicativo, imprenditivo ed etnico. Rassegna bibliografica 1/2009

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314 Popolazione - Migrazioni

Sul fronte della ricerca empirica, il volume presenta i risultati di una comparazione tra le città di Prato, Vicenza e Caserta. Si tratta di contesti assai rappresentativi della realtà italiana, ove prevalgono i centri medi. Nell’area pratese prevalgono i cinesi, nella vicentina gli immigrati balcanici, mentre nella casertana gli stranieri irregolari. Sul piano della strutturazione dei servizi, a Prato spicca il coordinamento rappresentato dal Centro ricerche e servizi per la comunità cinese, a Vicenza la prassi del rincorrere le emergenze, a Caserta la giunta delle associazioni. A Prato e Vicenza, al contrario di Caserta, le reazioni delle istituzioni politiche locali sono tempestive. Nella città toscana sono però strutturate in base a un approccio di lungo periodo, mentre in quella veneta secondo un approccio reattivo ed emergenziale. Nell’area pratese domina il protagonismo dell’amministrazione comunale, la cui azione politica è segnata da un latente paternalismo che ne indebolisce l’incisività. Nel caso vicentino, invece, a una prima fase di delega della gestione dell’immigrazione da parte dell’amministrazione comunale a una realtà associativa, è seguita la riappropriazione della gestione diretta da parte dell’ente locale. Domina il discorso pubblico una visione schizofrenica dell’immigrato come povero da assistere e insieme come deviante da cui difendersi. A Caserta, infine, la sensibilità della curia vescovile si accompagna con una situazione di carenza di fondi pubblici che ha favorito dapprima la cooperazione e la collaborazione con l’associazionismo, per poi lasciare il posto alla separatezza rispetto alle associazioni da parte del governo locale.

Immigrazione e cittadinanza locale : la governance dell’integrazione in Italia / Francesca Campomori. — Roma : Carocci, 2008. — 255 p. ; 22 cm. — (Biblioteca di testi e studi ; 462). — Bibliografia: p. 243-255. — ISBN 9788843047819. Immigrati – Integrazione sociale – Italia

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330 Processi sociali monografia

La rivoluzione nella culla Il declino che non c’è

Francesco C. Billari e Gianpiero Dalla Zuanna

Nell’ultimo decennio, la popolazione italiana ha vissuto un periodo di crescita demografica maggiore di quello che aveva avuto negli anni Settanta dello scorso secolo. Una controtendenza netta rispetto all’andamento degli anni Ottanta e Novanta, quando la popolazione stava invecchiando molto rapidamente e sembrava destinata a un vero e proprio declino. Non solo si ha un incremento delle nascite, ma si può perfino parlare di rivoluzione demografica per quelle che sono le proiezioni delle percentuali di incremento. Per i prossimi venti o trenta anni saranno attivi potenti meccanismi che permetteranno all’Italia di rinnovarsi, senza invecchiare in modo socialmente non sostenibile. La popolazione aumenta, ma la composizione sarà molto diversa da quella attuale. Cinque sono le caratteristiche che stanno determinando questo cambiamento: l’immigrazione veloce, i forti legami di sangue, la lunga gioventù, i genitori attempati, la lunga sopravvivenza. La Divisione della popolazione dell’ONU prevedeva un decremento significativo della popolazione di qui al 2028, ma questi dati non tengono di conto di variabili necessarie per comprendere il fenomeno demografico italiano che è diverso da quello delle altre nazioni europee. Il numero che maggiormente crea difficoltà di valutazione è quello legato alle immigrazioni, che dal punto di vista dello sviluppo socioeconomico è fondamentale per una popolazione come quella italiana. Molti economisti non vedono di buon occhio l’immigrazione, sostenendo che la bassa mano d’opera rallenta la crescita, ma vi sono regioni della Francia, della Germania e degli Stati Uniti dove ormai da decenni si combinano i più alti tassi di sviluppo e di innovazione tecnologica, con i più alti tassi di immigrazioni di lavoratori non qualificati. In tutte le regioni d’Italia, le immigrazioni straniere degli ultimi venti anni sono state indotte da strategie familiari di bassa fecondità e alta mobilità sociale, che si intrecciano strettamente con le modalità di sviluppo socioeconomico del Paese. Le grandi immiRassegna bibliografica 1/2009

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330 Processi sociali

grazioni avvenute in alcune regioni italiane nella seconda metà del Novecento sono state sospinte da tre motivazioni principali: la prima “braccia a buon mercato” disposte dagli spostamenti, la seconda per consistenti e duraturi processi di sviluppo ad alta intensità di lavoro e la terza da strategie familiari che riducevano il numero degli abitanti locali a svolgere lavori poco prestigiosi e poco remunerati. Per poter mantenere un costante numero di persone in età 20-59 è necessario che nei prossimi vent’anni, entrino in Italia almeno altri 280 mila immigrati all’anno. Questo è un dato inconfutabile e la storia delle nostre regioni più ricche mostra che questa prospettiva può produrre forti spinte alla mobilità sociale degli individui e delle famiglie, e quindi dello sviluppo economico di tutto il Paese. A questo processo si affianca il primato della trasformazione della famiglia, che evidenzia che lo sviluppo passa anche per la messa a frutto degli aspetti positivi dati da quella che può essere definita la famiglia-grappolo, ovvero il radunarsi intorno agli affetti, mettendo in secondo piano le altre forme di aggregazione, generando sicurezza e solidarietà, variabili fondamentali per i processi di sviluppo. Altro aspetto da tenere di conto è la lunga transizione alla vita adulta dei giovani italiani, che comporta un cambiamento radicale nella vita collettiva, che un tempo era facilmente ritmata dal matrimonio, oppure dalla migrazione e dal fatto di avere figli sempre più tardi. Primato che oltre tutto è affiancato all’allungamento della vita, permesso da molti fattori, in primis dall’istituzione della sanità pubblica. Tutto questo movimento in atto chiede di essere affrontato da politiche che sappiano dare risposte significative ai nuovi bisogni della popolazione e sappiano rispondere alle nuove emergenze, per lo sviluppo del presente e il bene delle generazioni future.

La rivoluzione nella culla : il declino che non c’è / Francesco C. Billari, Gianpiero Dalla Zuanna ; prefazione di Gian Antonio Stella. — Milano : EGEA, 2008. — XVIII, 194 p. ; 20 cm. — (Itinerari). — ISBN 9788883501241. Società – Italia

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346 Comportamenti devianti monografia

Hikikomori Adolescenti in volontaria reclusione

Carla Ricci

Hikikomori è il nome che viene dato in Giappone a un fenomeno piuttosto preoccupante che riguarda quasi esclusivamente adolescenti maschi. La parola fa riferimento a una vera e propria autoreclusione, per la quale gli adolescenti si privano delle relazioni sociali esterne alla famiglia e a volte anche di quelle familiari, vivendo semireclusi in camera e prediligendo alle relazioni il gioco con il computer e le relazioni attraverso Internet. Quali sono i motivi che spingono i giovani giapponesi a recludersi, a ritirarsi dal mondo e dalle relazioni? Il fenomeno riguarda un numero che, secondo i dati ufficiali supera il milione di giovani. Secondo stime non ufficiali in possesso delle Organizzazioni non governative si raggiunge il milione e seicentomila ragazzi, oltre il 3% dei giovani giapponesi. Il periodo di segregazione dalla società e dalla famiglia, definito hikikomori, è superiore a 6 mesi e può protrarsi per anni. Questo comportamento prende avvio con una prolungata assenza da scuola. È infatti la scuola uno dei motivi individuati come centrali nell’inizio di questo comportamento, lo scarso rendimento scolastico, la difficoltà a instaurare relazioni efficaci. All’interno di una scuola molto competitiva, come quella giapponese, chi ha scarse capacità comunicative e non ha successo negli studi rischia di rimanere ai margini del gruppo dei compagni ed essere oggetto di una forma di violenza e abusi molto feroce da parte dei compagni. Ma è soprattutto la percezione di una mancanza di ruolo a colpire la fiducia dei ragazzi, i quali, incapaci di ritagliarsi uno spazio nella società corrispondente alle aspettative familiari e sociali, e incapaci di lottare, decidono di ritirarsi dalla competizione e di isolarsi. Molti di questi passano da una passività completa fatta di reclusione in casa a comportamenti violenti rivolti soprattutto verso la madre, ritenuta responsabile della propria situazione. I genitori tendono a non denunciare questa situazione per la vergogna, ma la situazione non si risolve da sola, e le cose peggiorano ulteriormente. Rassegna bibliografica 1/2009

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346 Comportamenti devianti

Alcuni servizi terapeutici hanno creato degli istituti dove questi ragazzi possono recarsi senza doversi confrontare con le difficoltà precedenti. Non esiste competizione, non ci sono differenze di classi, e non ci sono ruoli prestabiliti tra insegnanti e studenti, sono bandite le divise degli scolari. Sembra che in questo contesto indeterminato ma accogliente i ragazzi gradualmente siano in grado di reinserirsi in un contesto sociale. Il percorso è lungo e delicato ma sembra l’unico che ha dato risultati sino a oggi. L’esperienza di hikikomori (sperimentata per un mese dalla ricercatrice) dà una sensazione di libertà assoluta, di non sottomissione a regole e tempi, di possibile tempo di riflessione, che tuttavia diventa un ripiegamento su se stessi che non offre vie d’uscita. È una falsa libertà che tende ad annullare le capacità di confronto e relazione con gli altri. Oltre alle regole sociali molto rigide sembra avere un ruolo importante proprio l’organizzazione della famiglia, nella quale, pur essendo presente il padre, risulta assolutamente non in grado di svolgere una funzione educativa sufficiente nei confronti del figlio. I padri della famiglia media giapponese sono quasi sempre assenti da casa per lavoro, rientrano stanchi e incapaci di stabilire relazioni significative (vengono definiti immondizia in gergo), tutte le altre funzioni domestiche, compresa la gestione del denaro e le relazioni con le altre persone sono deputate alla madre. Il padre da un lato viene idealizzato, e dall’altro se ne evidenzia la grande debolezza e fragilità. Qualcosa a cui non si vuole somigliare assolutamente. Successi terapeutici sono stati ottenuti attraverso un atteggiamento di tolleranza e accoglienza che restituisce ai ragazzi la fiducia e la speranza di essere accettati da parte della famiglia e della società.

Hikikomori : adolescenti in volontaria reclusione / Carla Ricci ; prefazione di Antonio Piotti. — Milano : F. Angeli, c 2008. — 88 p. ; 23 cm. — (Adolescenza, educazione e affetti ; 34). — Bibliografia: p. 87-88. — ISBN 9788846499998. Adolescenti maschi – Comportamento deviante – Giappone

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350 Violenza monografia

Volere o violare? La percezione della violenza di genere negli adolescenti: stereotipi e processi di legittimazione

Ilaria Marchetti (a cura di) La violenza alle donne pone in risalto non solo il problema dell’assenza di norme nei soggetti che ne sono protagonisti, ma anche questioni ben più ampie e forse oggi meno dibattute di un tempo. Facciamo qui riferimento a tematiche centrali che riguardano il rapporto uomo donna e che concernono atteggiamenti e ruoli sociali assunti da maschi e femmine; tematiche queste spesso confinate entro politiche sociali settoriali, come l’aiuto alla donna che lavora, gli asili nido che mancano, il disimpegno dei padri nei lavori domestici e di cura. La ricerca presentata nasce all’interno di un ampio progetto di prevenzione alla violenza contro le donne che da anni il Centro antiviolenza di Piacenza sta portando avanti. Le iniziative entro le quali essa si inserisce hanno il comune obiettivo di promuovere la conoscenza del fenomeno della violenza di genere e diffondere una cultura capace di cogliere i segni di disagio al di là degli stereotipi diffusi sul tema. A questo scopo, il Centro utilizza principalmente progetti di sensibilizzazione realizzati nelle scuole superiori, incontri con la cittadinanza e proposte di formazione per gli operatori. Il tema della ricerca è la percezione tra gli adolescenti della violenza di genere. Nonostante questi siano molto più liberi di accedere alle informazioni relative ai rapporti con l’altro sesso attraverso Internet e i mass media, e abbiano più possibilità di sperimentarsi in rapporti interpersonali, esprimono tuttavia una diffusa difficoltà nello stringere relazioni soddisfacenti, amicali e sentimentali. “Molestia”, “minaccia”, “abuso di correzione” e “violenza sessuale” sono i termini utilizzati per indagare le rappresentazioni sociali che improntano il mondo giovanile. L’analisi dei dati riscontra l’esistenza di una relazione tra le rappresentazioni della violenza dichiarate dagli adolescenti, maschi e femmine, e gli stereotipi cui essi si riferiscono, soprattutto quando si chiede loro di valutare l’entità della responsabilità da attribuire Rassegna bibliografica 1/2009

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350 Violenza

alla vittima. Gli adolescenti colgono, seppure a un livello intuitivo, la relazione distorta dentro la quale le donne sono irretite. Tuttavia essi non sono aiutati dal mondo degli adulti a elaborare questa intuizione, e finiscono così per attribuire una consapevolezza e una quota di volontà, nel senso di desiderio, alla donna-vittima, che viene così per gran parte colpevolizzata. Di fatto gli adolescenti non arrivano a distinguere con una certa chiarezza i confini tra un sano legame in cui maschi e femmine si confrontano e una relazione patologica violenta; tutto viene confuso e mescolato dentro una sorta di black box che viene riempita disordinatamente di affetti, amori, desideri, bisogni, crisi, bene e male, senza che alcuno faccia ordine e operi opportune differenze. Si riscontra inoltre una correlazione tra il grado di adesione agli stereotipi, la legittimazione della violenza e il senso di sicurezza. Tanto più la violenza è stereotipata e legittimata, quanto meno è riconosciuta come pericolosa. Esprimono maggiore sicurezza coloro che stereotipizzano e legittimano la violenza e, al contrario, si sentono meno sicuri coloro che prendono le distanze dai cosiddetti “luoghi comuni”. Proprio questo gioco di influenza tra gli elementi potrebbe alimentare quella distorsione cognitiva della percezione del rischio, già di per sé peculiare nella fase di crescita adolescenziale, alimentando l’irrealistica fantasia di essere invulnerabili. Scardinare gli stereotipi non solo può restituire il quadro di realtà del rischio a discapito dell’immagine pregiudizievole del pericolo, ma risulta anche indispensabile affinché i giovani possano davvero porsi al sicuro e scegliere la verità invece che l’illusione. In definitiva si enfatizza la responsabilità delle istituzioni nei confronti di azioni di prevenzione, di crescita culturale e di sensibilizzazione verso temi che toccano trasversalmente i processi di crescita e, in particolare, la costruzione di una relazione positiva tra uomini e donne, base e futuro della nostra società.

Volere o violare? : la percezione della violenza di genere negli adolescenti : stereotipi e processi di legittimazione / a cura di Ilaria Marchetti. — Milano : Unicopli, c2008. — 188 p. ; 21 cm. — (Prospettive. Ricerche ; 15). — Bibliografia: p. 177-186. — ISBN 9788840012759. Donne – Violenza – Rappresentazione da parte degli adolescenti

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357 Violenza sessuale su bambini e adolescenti monografia

Oltre il maltrattamento La resilienza come capacità di superare il trauma

Bianca Bertetti (a cura di)

Il volume raccoglie esperienze e riflessioni dell’équipe di psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, coordinatori ed educatori del Centro di aiuto al bambino maltrattato e alla famiglia in crisi di Milano, che da anni si interroga su come intervenire in modo sempre più efficace per aiutare i bambini, gli adolescenti e i loro genitori a superare i momenti di grave crisi relazionale che hanno portato a maltrattamenti e abusi. Comprendere i segnali di malessere e i fattori di rischio cui sono esposti i minori non è più sufficiente, occorre intervenire sui fattori protettivi presenti nell’ambiente familiare, creare situazioni sociali di supporto e potenziare le risorse individuali. Questa prospettiva è tanto più valida se rivolta ai bambini e agli adolescenti che hanno subito gravi maltrattamenti e abusi nell’ambito delle loro stesse famiglie, e che sono quindi più esposti al rischio di essere travolti dal dolore e dalle ferite relazionali. Nella prospettiva dell’intervento è essenziale potenziare i fattori di protezione familiari. L’obiettivo è costruire intorno ai minori un’articolata rete di supporto che comprenda interventi sociali, educativi, scolastici e, quando necessario, psicologici e giuridici, improntati a incentivare i tre fattori che stanno alla base del processo di resilienza: il senso di sicurezza interno, la buona stima di sé e la sensazione di operare in modo efficace. La sfida della resilienza induce a proporre un approccio globale, che favorisca il più possibile un dialogo armonico tra i vari aspetti del sé, dove gli aspetti emotivi non vengano mantenuti scissi da quelli cognitivi, o considerati estranei rispetto al corpo e alle capacità sociali e artistiche. A tal fine vengono accolte e discusse le indicazioni di Gardner riguardo all’uso creativo dell’intelligenza, considerata anche come capacità di comprendere i propri sentimenti, di controllarli adeguatamente e di stabilire relazioni empatiche. L’intelligenza emotiva e l’intelligenza sociale permettono di sviluppare essenziali fattori di protezione, quali la consapevolezza Rassegna bibliografica 1/2009

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357 Violenza sessuale su bambini e adolescenti

di sé, il controllo delle emozioni, la capacità di trovare motivazioni nel realizzare i propri obiettivi e la possibilità di entrare in relazione con gli altri. Una serie di ulteriori annotazioni riguarda l’invito a promuovere un altro fattore di resilienza, che fa anch’esso perno sulle capacità creative: l’umorismo, che in modo immediato permette di mantenere una distanza dalle situazioni in cui si è coinvolti, mentre favorisce la socializzazione. Viene, infine, presentato un percorso dettagliato di prevenzione e di sostegno alla resilienza che, facendo perno sul potenziamento dell’intelligenza emotiva e sociale, si è rivolto contemporaneamente ai ragazzi, alle loro famiglie e insegnanti. L’intervento, realizzato all’interno di una scuola media in cui alcuni ragazzi sono stati coinvolti in un grave caso di pedofilia, si è proposto come contenitore delle difficili emozioni suscitate dall’evento traumatico. A tal fine sono stati predisposti incontri con i genitori, spazi di riflessione e condivisione per gli insegnanti, uno sportello di ascolto per i ragazzi, incontri di rete con gli operatori del territorio, unitamente a uno specifico progetto di sostegno alle emozioni in cui sono stati coinvolti, divisi per gruppi classe, tutti i ragazzi della scuola. Il lavoro nelle classi ha affrontato le emozioni connesse all’esperienza traumatica a partire da un discorso più ampio sui cambiamenti legati alla crescita (nei sentimenti, nei pensieri, nel corpo, nelle relazioni con i pari e con gli adulti). Tale lavoro ha permesso di conoscere i ragazzi e di stabilire una relazione sufficientemente confidenziale, che ha permesso di modulare l’intervento in rapporto alle dinamiche in atto in ciascuna classe. La metodologia, che viene descritta dettagliatamente, ha previsto l’utilizzo del gioco psicologico, del role playing e della discussione di gruppo.

Oltre il maltrattamento : la resilienza come capacità di superare il trauma / a cura di Bianca Bertetti ; prefazione di Alberto Pellai. — Milano : F. Angeli, c 2008. — 191 p. ; 23 cm. — (Adolescenza, educazione e affetti ; 35). — Bibliografia: 182-191. — ISBN 9788856800067. Vittime di violenza sessuale : Bambini e adolescenti – Resilienza

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402 Diritto di famiglia monografia

Diritto di famiglia e Unione europea Sergio M. Carbone e Ilaria Queirolo (a cura di)

Non trattandosi di una realtà statica, ma bensì di una realtà dinamica la famiglia in maniera sempre più evidente è diversamente definita non solo per quanto riguarda la percezione sociale, ma anche con riferimento al contesto giuridico, in cui essa è intesa e disciplinata. Tale variegato approccio alla famiglia in quanto entità a sé stante e di conseguenza le diverse modalità di definizione e di regolamentazione sono destinate a incrementare a causa delle evoluzioni socioeconomiche, etiche e culturali che hanno impattato e impattano sulla percezione e conseguente definizione di questa. Il diritto di famiglia è tradizionalmente ritenuto un ambito di competenza esclusiva degli ordinamenti giuridici dei singoli Stati. Di conseguenza, non vi è alcuna disposizione che materialmente attribuisca o riconosca in capo all’Unione europea una competenza su tale ambito normativo o su aspetti particolari di questo. Tuttavia, nonostante l’Unione europea non abbia competenza esplicita in materia e operi esclusivamente per il mantenimento e sviluppo del mercato comune e della sempre più ampia libertà di circolazione di merci, capitali, persone e servizi, questa pone in essere degli interventi che sono destinati a influire pesantemente, anche se solo indirettamente, sul diritto di famiglia in vigore nei singoli Stati membri. In tale ambito va a collocarsi il volume qui presentato. Questo, infatti, mira a descrivere in che maniera l’operato dell’Unione europea continua a esercitare un’influenza crescente sul diritto di famiglia in vigore nel nostro Paese. In particolare, si sottolinea che il diritto di famiglia nell’ordinamento italiano è caratterizzato attualmente da due interventi ricorrenti. Si mira da una parte a garantire le autonomie personali dei vari componenti del nucleo familiare all’interno della famiglia, mentre dall’altra, si assiste al tentativo del legislatore di equiparare o quasi le forme emergenti di aggregazione sociale, che gli autori del volume definiscono parafamiliari e prive di elementi di continuità e stabilità. Rassegna bibliografica 1/2009

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402 Diritto di famiglia

Per gli autori sono tre sostanzialmente gli interventi dell’Unione europea che producono delle conseguenze sul diritto di famiglia, si tratta delle previsioni comunitarie relative: 1) alle libertà fondamentali e alla libertà di circolazione in particolare; 2) alla tutela dei diritti fondamentali; 3) all’armonizzazione del diritto internazionale privato al diritto comunitario. A ognuno di questi ambiti il volume collettaneo qui presentato dedica un’attenzione particolare passando in rassegna per ognuno, non solo gli atti normativi vincolanti adottati dall’Unione, ma quelli di soft-law, non vincolanti da un punto di vista giuridico, ma in cui si rinvengono gli indirizzi generali della politica comunitaria. A questi due elementi si accompagna l’analisi del ruolo svolto dalla Corte di giustizia europea, che attraverso le sentenze ha comportato un ampliamento delle stesse competenze dell’Unione attraverso la teoria dei poteri impliciti e cioè l’inclusione tra le competenze comunitarie di tutte quelle materie che possano concorrere alla realizzazione degli obiettivi cardine dell’UE. Si precisa che il ruolo svolto dalla Corte di giustizia va ben al di là dell’attuazione della teoria dei poteri impliciti, bensì questo si spinge ben oltre fino ad arrivare alla determinazione delle modalità attraverso le quali vanno eventualmente risolte situazioni di conflitto tra ordinamenti nazionali che prevedano nella loro domestic jurisdiction assetti di regolamentazione diversi per la stessa questione. La Corte, a tale proposito, ribadisce la necessità di fare sì che le norme di diritto internazionale privato trovino applicazione in maniera tale da consentire l’esercizio pieno, da parte del cittadino comunitario, della libertà di circolazione e di soggiorno.

Diritto di famiglia e Unione europea / a cura di Sergio M. Carbone e Ilaria Queirolo. — Torino : Giappichelli, c 2008. — XIII, 446 p. ; 24 cm. — (Remor project). — ISBN 9788834884195. Diritto di famiglia – Paesi dell’Unione Europea

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403 Diritto minorile monografia

Manuale di diritto minorile Alfredo Carlo Moro

L’opera è la versione rivista della terza edizione del Manuale di diritto minorile di Alfredo Carlo Moro, magistrato ampiamente conosciuto per il suo forte impegno nella promozione dei diritti dell’infanzia. Scomparso prima di riuscire a finire il libro, al suo completamento si è dedicato un suo collega e amico, Luigi Fadiga. La revisione ha consentito di aggiornare i materiali già ampiamente raccolti da Moro, alla luce delle recenti riforme e cambiamenti normativi intervenuti in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Come nelle sue edizioni precedenti, quest’opera risulta di particolare interesse e utilità per tutti gli operatori che lavorano per e con i bambini e adolescenti, se non altro perché la normativa che fa riferimento a questi soggetti è sparsa nelle numerose leggi e disposizioni dell’ordinamento italiano. Ma non solo per questo. Il volume non è unicamente un testo giuridico che spiega cosa dice la legge, bensì offre una panoramica della promozione e della tutela del bambino dal punto di vista della cultura dei diritti dell’infanzia, dando perciò una lettura critica della normativa e introducendo riflessioni e proposte di attualizzazione della stessa, sulla base della encomiabile esperienza maturata dall’autore e dal curatore come giudici e studiosi della materia. La suddivisione del testo in capitoli per argomenti facilita la consultazione e l’approfondimento delle tematiche inerenti la vita del bambino. Si comincia con la definizione e la storia dell’origine dei diritti dell’infanzia, cosa essi hanno significato e significano tutt’oggi, come vengono tutelati sul piano giurisdizionale ma anche applicati su quello amministrativo, volgendo lo sguardo alle competenze degli enti responsabili nel territorio nazionale e locale. Significative le osservazioni sui limiti del diritto, nel soddisfare i bisogni degli individui, che possono trovare risposte complete solo all’interno dei contesti familiari, comunitari e relazionali in cui il soggetto creRassegna bibliografica 1/2009

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403 Diritto minorile

sce e matura la propria personalità. Le istituzioni non possono sostituirsi alle persone e qui entra in gioco l’importanza del creare una cultura di rispetto dell’infanzia, che insieme agli strumenti del diritto e dei servizi può contribuire a sensibilizzare e responsabilizzare adulti e minori. Vi è poi la sezione sul diritto di famiglia, che negli ultimi anni ha visto notevoli sviluppi nel nostro Paese, per quanto riguarda in particolare l’affidamento familiare e l’adozione, a seguito dell’implementazione delle disposizioni della legge 149 del 2001 e della legge 54 del 2006. La normativa viene presentata con un occhio ai dibattiti e alle evoluzioni in corso nella società odierna. La terza parte del libro è dedicata alla vita del minore nella società, evidenziando la difficoltà ancora diffusa nel riconoscere ai minori un tempo presente che non sia fatto solo di tutela e controllo, ma nel quale poter far valere diritti di cittadinanza completi, senza discriminazioni di età. I tanto declamati diritti dell’infanzia rischiano di essere svuotati di senso quando diventano una miniatura dei diritti degli adulti, o rispondono, più che alle necessità dei bambini, alle esigenze degli adulti. La questione è estremamente complessa e non a caso proprio nella dimensione sociale si trovano alcuni aspetti tuttora controversi, relativi alla presenza di bambini e adolescenti nel mondo del lavoro, nei mezzi di informazione e comunicazione, nel procedimento giudiziario. In questi e altri contesti, il confine tra diritto del minore all’ascolto e alla partecipazione, e quello del rischio di sfruttamento o di esposizione a situazioni di pericolo e disagio, può essere molto sottile. L’ultima sezione affronta il tema della devianza minorile e del recupero sociale del ragazzo. Per citare le parole dello stesso Moro nella prefazione del testo, l’augurio è che questo suo lavoro «possa rendere meno grama la vita di tutti i cittadini di età minore».

Manuale di diritto minorile / Alfredo Carlo Moro ; a cura di Luigi Fadiga. — 4. ed. — Bologna : Zanichelli, 2008. — XVIII, 606 p. ; 27 cm. — ISBN 9788808169600. Diritto minorile – Italia

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404 Bambini e adolescenti – Diritti monografia

Bambini e diritti Una relazione problematica

Isabel Fanlo Cortés

La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989 rappresenta, allo stesso tempo, il punto di incontro di due posizioni antitetiche in materia di diritti dell’infanzia: la posizione paternalista e quella liberazionista. In essa, infatti, sono presenti contemporaneamente due immagini del fanciullo: quella di stampo tradizionale, che vede il bambino rappresentato come soggetto non responsabile e della cui cura si fa carico il genitore e quella liberazionista che lo descrive come soggetto responsabile e autonomamente in grado di assumere decisioni che riguardano la propria esistenza. Prendendo il via da tale prospettiva e sottolineando la carica morale-emotiva che caratterizza il dibattito sui diritti dell’infanzia, l’autrice passa in rassegna le diverse riflessioni e teorizzazioni a favore o contro il riconoscimento del bambino come soggetto autonomo titolare di diritti. Mutuando riflessioni formulate da discipline diverse, tale rassegna, o, come la stessa autrice la definisce, metanalisi, propone un esame in chiave critica di alcune delle incongruità implicite al dibattito sui diritti del fanciullo ed evidenzia alcuni degli aspetti più problematici che caratterizzano la relazione tra bambini e diritti. Obiettivo finale è quello di giungere a realizzare una riflessione sulle criticità connesse alle titolarità dei diritti da parte dei minorenni e all’effettiva possibilità da parte di questi ultimi di poterli esercitare e fruirne nella loro pienezza. Nel tracciare tale percorso si ritiene necessario approfondire il significato della terminologia utilizzata partendo dal significato della parola “bambino” e del termine “diritto”. Per quanto riguarda il termine “diritto” ci si sofferma sull’analisi dell’elemento soggettivo che lo caratterizza e si evidenzia quanto tale termine sia stato elaborato in relazione al soggetto ritenutone storicamente il titolare: un uomo bianco e di sesso maschile. Mentre, per quanto riguarda la parola bambino si ricostruiscono le tappe dell’evoluzione storica della posizione del bambino nella società, che dalla “indiffeRassegna bibliografica 1/2009

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404 Bambini e adolescenti – Diritti

renza” sociale, alla cosiddetta “differenza” che lo vedeva opposto e contrapposto all’adulto, approda, attraverso la sociologia dell’infanzia, al riconoscimento di “pieno attore sociale”, che in quanto tale interagisce all’interno del contesto sociale di appartenenza e lo caratterizza sulla base delle proprie capacità. L’autrice mette in risalto quanto quest’ultimo approccio abbia contribuito a influenzare la cultura giuridica e di conseguenza la valutazione sui contenuti e le finalità dei diritti riconosciuti ai minorenni. Si pone l’accento sulle problematiche connesse al parlare di diritti in relazione a un gruppo di soggetti così particolarmente variegato e si propone l’impiego dell’approccio della dottrina giuridica francese attraverso la quale si pratica una distinzione tra petits enfants e grands enfants. Tuttavia anche nel fare riferimento ai grands enfants, l’autrice sottolinea l’impossibilità per il bambino di poter efficacemente esercitare i diritti a lui attribuiti a causa della mancata predisposizione di strumenti di “azionabilità” adeguati. A supporto di tale valutazione conduce la stessa Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996. Questa, così come formulata, non obbliga, bensì invita gli Stati ratificanti a introdurre modifiche agli ordinamenti nazionali in modo da consentire ai grands enfants di esercitare i loro diritti processuali costituendosi parte nei procedimenti concernenti la famiglia di appartenenza e/o usufruendo di un’assistenza legale qualificata. Tale operato, secondo l’autrice, contribuisce a riportare questa categoria di diritti nell’alveo dei diritti cosiddetti deboli o morali, in quanto la presenza o meno di strumenti che ne consentano la “giustiziabilità” dei diritti del fanciullo non mette in questione l’esistenza dei diritti giuridici di questi, bensì ne costituisce un essenziale parametro di efficacia.

Bambini e diritti : una relazione problematica / Isabel Fanlo Cortés. — Torino : Giappichelli, c 2008. — X, 253 p. ; 23 cm. — (Analisi e diritto. Serie teorica ; 79). — Bibliografia: p. 225-253. — ISBN 9788834887486. Bambini e adolescenti – Diritti

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404 Bambini e adolescenti – Diritti monografia

La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali Gianni Ballarani

La questione relativa alla capacità di autodeterminazione del bambino e dell’adolescente occupa da sempre un rilievo particolare nella letteratura contemporanea che con diversi approcci e in diverse discipline sviluppa riflessioni sugli aspetti che caratterizzano il riconoscimento di tale capacità e il suo effettivo esercizio in una società adultocentrica. Il volume in questione affronta, da un punto di vista giuridico, una valutazione della particolare posizione del minorenne con riferimento alla titolarità e all’esercizio dei diritti cosiddetti personalissimi con l’obiettivo ultimo di mettere a raffronto la disponibilità e l’esercizio dei diritti della personalità del minorenne con il diritto all’informazione. L’autore, dopo aver presentato le varie teorie elaborate dalla dottrina in merito alla capacità giuridica e di agire, passa ad analizzare la posizione e il ruolo degli adulti di riferimento – i genitori o rappresentanti legali – in confronto alle posizioni soggettive personalissime dei figli minorenni, ponendo in evidenza i limiti e gli obiettivi della potestà genitoriale. In particolare, per quanto riguarda la soggettività e i diritti della personalità, ci si sofferma sulle teorie afferenti alla capacità giuridica attribuita per il solo fatto della nascita e la si definisce come presupposto primo per il riconoscimento della capacità d’agire attribuita nel nostro ordinamento convenzionalmente al compimento del diciottesimo anno d’età. L’autore a tale proposito sottolinea che per quanto riguarda gli atti personalissimi, per i quali si vieta ogni forma di rappresentanza, il minorenne non avendo la possibilità di poterli esercitare in quanto privo della capacità di agire sarebbe da ritenersi un non-soggetto di diritti a causa della coincidenza fra capacità giuridica e soggettività. La dottrina maggioritaria esclude tale conversione e pertanto l’autore propone, a soluzione della scissione tra titolarità ed esercizio, il ricorso alla cosiddetta capacità naturale di discernimento a cui fanno riferimento le convenzioni internazionali in materia di diritti del fanciullo. Su tale Rassegna bibliografica 1/2009

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404 Bambini e adolescenti – Diritti

assunto, l’autore riconosce al minorenne il diritto all’autodeterminazione e consolida questa sua affermazione nell’analisi delle situazioni esistenziali di cui il minore è titolare sia nella relazione con i genitori che in merito alla tutela della sua riservatezza in relazione alla cronaca e all’informazione. Con riferimento alla potestà genitoriale si individua un compito tutoriale in capo ai genitori per l’esercizio dei diritti patrimoniali di cui il minorenne è titolare, mentre si configura un ruolo di curatela da parte dei genitori per quanto riguarda l’esercizio dei diritti personali da parte del minorenne. Tale funzione di curatela si svolge nel rispetto da parte dei genitori dello sviluppo psichico e della capacità naturale di discernimento del minorenne. Il genitore affianca il bambino e/o l’adolescente con l’obiettivo di incrementarne la consapevolezza in merito all’atto personale che andrà a compiere e alle conseguenze di questo. Sempre sulla base della capacità di discernimento naturale trova riconoscimento in capo al minorenne il diritto alla riservatezza da ravvisare, secondo l’autore, nell’art. 82 comma 2 del codice della privacy in cui, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni, al fanciullo va riconosciuto il diritto a esprimere il proprio consenso al trattamento dei dati personali dato l’esplicito riferimento della norma alla capacità di discernimento, che racchiude l’ambito di esclusione del consenso ai casi di incapacità d’agire patologica.

La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali / Gianni Ballarani. — Milano : Giuffrè, 2008. — VI, 174 p. ; 24 cm. — (Il diritto di famiglia e delle persone ; 20). — ISBN 8814141347. Diritti dei bambini – Tutela – In relazione al diritto all’informazione – Italia

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404 Bambini e adolescenti – Diritti monografia

Diritti umani e diritto allo sviluppo La promozione dei diritti dei minori da una prospettiva di genere

Nicola Boccella e Paola Viero (a cura di)

Il volume raccoglie numerosi contributi che forniscono un quadro internazionale sulle violazioni dei diritti dei minori e sulle forme di intervento a loro favore e nello stesso tempo delineano la figura del minore come soggetto di diritti e risorsa per lo sviluppo stesso, proponendo di guardare all’infanzia e all’adolescenza in un’ottica di genere. Il nodo dell’istruzione e dell’educazione è cruciale: le giovani che si vedono negato questo diritto sono più esposte alla povertà e alla fame, agli abusi e alle violenze, allo sfruttamento e alle malattie. Le giovani istruite accedono al lavoro formale e aumentano la ricchezza della famiglia, evitano malattie e complicazioni derivanti da gravidanze precoci, hanno figli più sani e che sono in grado di crescere meglio, creando un circolo virtuoso che ha nell’empowerment femminile il suo punto di forza. Perché l’investimento sull’istruzione delle giovani dia i suoi frutti sono necessarie però un paio di generazioni. Gli sforzi degli enti internazionali negli ultimi decenni hanno avuto buoni effetti, ma in molti Paesi, soprattutto africani, la parità di accesso all’istruzione non è ancora raggiunta e sono basse le percentuali dei bambini e delle bambine che raggiungono livelli di istruzione accettabili. Una delle sfide consiste nella difficoltà di conciliare l’empowerment femminile con un sistema di valori generalmente maschilista. Per disarticolare genere e cultura è dunque necessario coinvolgere l’intera comunità locale, sensibilizzandola circa i vantaggi dell’istruzione delle bambine e delle ragazze. Ma si tratta anche di conoscere in profondità le trasformazioni sociali di molti Paesi in via di sviluppo, in particolare proprio in Africa, dove le migrazioni verso le grandi città e l’influenza di stili di vita occidentali sottraggono molte giovani al controllo della famiglia, esponendole ai rischi di contagio da AIDS nel quadro di legami con partner maschili destrutturati rispetto ai modelli tradizionali. Se la conoscenza della malattia è diffusa nei Paesi africani, vi è un gap nel passaggio alle pratiche di prevenzione. Anche in questo caso non è tanto la loro Rassegna bibliografica 1/2009

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404 Bambini e adolescenti – Diritti

conoscenza a mancare, quanto la capacità di armonizzare modelli di salute sessuale inediti con comportamenti tradizionali, a loro volta modificati dalle nuove condizioni sociali. Un discorso simile vale anche per le mutilazioni genitali femminili: l’educazione delle bambine e delle ragazze ha una ricaduta positiva sull’intera comunità locale, a patto che l’istruzione ricevuta possa diventare uno strumento spendibile per la loro autonomia economica nel contesto di origine, senza esporle a un rifiuto assoluto da parte di familiari e compaesani. L’operato delle organizzazioni internazionali che lavorano sul campo della prevenzione e della cura delle violenze sulle donne mostra dunque quanto sia importante agire sull’educazione delle bambine, più plastiche e disposte a forzare le barriere che le rendono schiave dello sfruttamento familiare o sociale. Ma si tratta anche di conoscere e combattere nuove forme di violenza e di sfruttamento delle bambine e delle adolescenti: dalle pandilleras delle bande giovanili salvadoregne, che hanno abbandonato la famiglia d’origine violenta per cadere nelle mani di compagni altrettanto violenti e maschilisti, dalle bambine-domestiche senegalesi sfruttate dalle famiglie agiate di Dakar sia economicamente sia sessualmente, fino alle bambine-soldato in molti Paesi del mondo o alle bambine e adolescenti nei bracci della morte delle carceri asiatiche e africane. Sul piano legislativo gran parte dei Paesi ove avvengono queste terribili violazioni dei diritti dei minori hanno fatto passi avanti, ma su quello dell’attuazione delle norme vi è ancora molto da fare, come traspare da molti interventi che compongono il volume.

Diritti umani e diritto allo sviluppo : la promozione dei diritti dei minori da una prospettiva di genere / a cura di Nicola Boccella e Paola Viero. — Milano : LED, 2008. — 281 p. ; 22 cm. — (Scienze sociali). — Bibliografia ed elenco siti web: p. 271-276. — ISBN 9788879163934. Bambine e adolescenti femmine – Diritti

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405 Tutela del minore articolo

La valutazione del minore a rischio Sarah Miragoli (a cura di)

L’obiettivo del focus monotematico di questo numero della rivista Maltrattamento e abuso all’infanzia (n. 3, 2008) è fornire una panoramica sul concetto di rischio nell’ambito della tutela all’infanzia e sul processo valutativo. De Roma et al., tramite un’indagine svolta su 51 operatori sociali identificano alcuni elementi di rischio che contribuiscono maggiormente nella decisione da parte dei servizi sociali di separare il minore dal proprio nucleo familiare, ritenuto inadeguato e deficitario, per proteggerlo dal rischio di subire ulteriori danni psicofisici. I risultati suggeriscono che gli operatori sociali attribuiscono valore al grado i cui un genitore è individuato come sufficientemente capace di stabilire confini volti a prevenire un danno diretto al bambino o, per quanto possibile, un danno a un altro membro della famiglia, di cui il bambino potrebbe essere testimone. Una carenza del genitore nel prendere le difese del bambino e nell’affrontare l’abusante potrebbe essere connessa a deficit delle abilità assertive, bassa autostima, a problemi di dipendenza. La disponibilità, strettamente collegata all’accettazione della propria responsabilità, ad accettare aiuto dai servizi sociali e di cooperare con essi costituisce il secondo fattore, per grado di importanza, nei criteri di valutazione di una condizione di grave rischio per il minore. Miragoli e Verrocchio centrano l’attenzione sull’analisi degli elementi che caratterizzano le situazioni valutate ad alto rischio (che hanno condotto alla decisione di allontanare il minore dal proprio nucleo familiare e di inserirlo in comunità) versus basso rischio (in cui si sceglie di attuare interventi di monitoraggio e di sostegno delle capacità genitoriali). A fronte della carenza di strumenti operativi di valutazione del rischio fruibili da parte degli operatori sociali, obiettivo principale della ricerca consiste nel perfezionamento del Protocollo sui fattori di rischio e sui fattori di protezione di Di Blasio (2005) e nella valutazione delle sue capacità di diRassegna bibliografica 1/2009

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405 Tutela del minore

scriminare tra famiglie ad alto versus basso indice di rischio. L’indagine ha utilizzato le cartelle di 400 nuclei familiari, per i quali è stato richiesto l’intervento dei servizi sociali. L’analisi dei risultati verifica la validità del protocollo elaborato da Di Blasio. In particolare, in linea con la letteratura sull’argomento, emerge la rilevanza dei fattori distali. Tra essi si configurano i seguenti: la carenza di supporto e di integrazione sociale; una pregressa storia di abuso/maltrattamento esperita da uno o entrambi i genitori nell’infanzia; la sfiducia nelle norme sociali e nelle istituzioni; l’accettazione della violenza come pratica educativa e della pornografia infantile; il disinteresse per lo sviluppo del bambino. Verrocchio e Miragoli, infine, tramite un’analisi critica della letteratura, forniscono le coordinate concettuali fondamentali per la comprensione della cornice teorica entro cui si pone il costrutto di rischio in ambito psicosociale. Nello specifico si illustra l’evoluzione storica del costrutto e le attuali prospettive di ricerca, esplicitando gli aspetti più concreti e applicativi dell’indagine sociale, dell’organizzazione e del processamento delle informazioni che conducono alla decisione di pianificare determinati interventi per evitare il perpetrarsi dell’azione maltrattante. Accanto al concetto più generale di “rischio” viene presentata la più attuale nozione di “sicurezza”, che fa riferimento all’elevata probabilità di subire un danno grave nell’immediato futuro e, di conseguenza, all’urgenza di operare un intervento mirato. In particolare vengono analizzati gli attuali strumenti e i modelli di valutazione del rischio, utili nel determinare se l’abuso si sia verificato e/o quale sia la probabilità di recidiva. La letteratura classifica questi modelli i due categorie principali: gli strumenti consensus based – i cui item si basano sul giudizio clinico di esperti e gli strumenti actuarial – i cui item vengono definiti empiricamente attraverso lo studio di casi segnalati ai servizi e delle conseguenze maleadattive del maltrattamento.

La valutazione del minore a rischio / a cura di Sarah Miragoli. — Contributi di: Virginia De Roma, Maria Lynn Kessler, Ryan McDaniel, Cesar Soto, Sarah Miragoli, Maria Cristina Verrocchio. In: Maltrattamento e abuso all’infanzia. — V. 10, n. 3 ( dic. 2008), p. 7-71. Bambini e adolescenti a rischio – Tutela

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454 Tribunali per i minorenni monografia

Minori, famiglia, persona Quale giudice?

Antonietta Picardi

Il saggio fa seguito al 25° Congresso nazionale dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia (AIMMF), che si è tenuto a Taranto nel 2006 e ha visto la partecipazione di diverse figure professionali impegnate nel mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Il tema dibattuto nel corso del congresso, e ripreso dunque nel presente testo, si riferisce all’annosa questione di un giudice specializzato nella competenza dei casi giudiziari relativi ai minorenni e alla famiglia, al fine anche di superare la struttura ormai vetusta del tribunale per i minorenni, rimasto intoccato da tutte le riforme giudiziarie intervenute nel corso di quasi un secolo dalla sua istituzione. Dopo un’introduzione sul disagio e la devianza minorile nel contesto di Taranto dove si è svolto l’incontro, si descrivono i diversi tentativi portati avanti dai vari guardasigilli, a partire dagli ultimi anni del Regno d’Italia fino alla XV legislatura della Repubblica, per riformare l’assetto dei tribunali in materia di diritto minorile e di famiglia. I contributi di vari esperti di diritto, di procedimento giudiziario, di educazione, affrontano il problema nei suoi diversi aspetti, tra cui: la terzietà del giudice, gli interventi rieducativi, l’avvocato del minore, l’ordinamento penitenziario per i minori, la mediazione penale. Rinnovare gli apparati di tutela giudiziaria del minore sembra dunque improcrastinabile, considerando anche il contesto internazionale in cui l’Italia, attraverso la ratifica di convenzioni e trattati di respiro europeo e mondiale, si inserisce a pieno titolo (basti ricordare al proposito gli impegni che derivano dalla Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996). La specializzazione della figura giudiziale in questo campo di diritti va inoltre a toccare la formazione del giudice e le sue relazioni con i servizi del territorio. La rete di figure che ruotano attorRassegna bibliografica 1/2009

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454 Tribunali per i minorenni

no al processo minorile rappresenta una dimensione da valorizzare e arricchire, così come già garantisce la collegialità degli organi, composti da membri sia togati che onorari, ovvero esperti nell’ambito sociologico, psicologico ed educativo. Di fronte alla latenza del legislatore, nel volume viene sottolineato come di fatto, seppure con i limiti degli strumenti a disposizione, sia il giudice minorile che quello ordinario della famiglia risultano profondamente mutati negli ultimi venti anni e hanno sviluppato forme di comunicazione e raccordo tra di loro. Questo dimostra che dal punto di vista culturale, il sistema di giustizia pare essere pronto ad accogliere l’attesa riforma. Il nodo centrale, ancora da sciogliere, resta: quale riforma? Ci si muove infatti tra la richiesta di soppressione del tribunale per i minorenni, e la consapevolezza di non voler annullare il patrimonio di esperienza e conoscenza tuttavia da esso accumulato; tra l’esigenza di non decentrare troppo gli organi, che in tal caso non potrebbero specializzarsi – anche a causa delle scarse risorse disponibile – e all’opposto, il bisogno di avvicinarsi all’utenza e di uniformare le competenze in materia di famiglia e minori. Si arriva così alla proposta dell’AIMMF, di un tribunale per la persona, per i minorenni e le relazioni familiari, al quale andrebbe garantita autonomia e in seno al quale andrebbero riunite le competenze oggi parcellizzate in una pluralità di uffici giudiziari. Una siffatta giurisdizione dovrebbe inoltre poter essere “mite”, non nel senso di debole capacità decisionale, ma che scaturisca da percorsi condivisi e compresi dai soggetti interessati. In questa cornice acquisisce pieno senso il ruolo conciliativo di tale giudice – come suggerito da diversi contributi del libro – che necessita di essere sostenuto nell’esercizio delle sue funzioni di mediazione da figure professionali specifiche, che aiutino a creare un ambiente dove possa trovare spazio la pacificazione dei conflitti familiari e la tutela dei soggetti più deboli.

Minori, famiglia, persona : quale giudice? / a cura di Antonietta Picardi. — Milano : F. Angeli, c2008. — 347 p. ; 23 cm. — (Puer ; 10). — ISBN 9788856801866. Giustizia minorile – Italia

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490 Giustizia penale minorile monografia

1° Rapporto sulla devianza minorile in Italia Isabella Mastropasqua, Tiziana Pagliaroli, Maria Stefania Totaro (a cura di)

Il rapporto si propone come strumento di approfondimento conoscitivo della realtà del lavoro di recupero socioeducativo dei minori devianti che si realizza presso i servizi minorili della giustizia italiana, in particolare di quel segmento che si occupa del settore penale e quindi della risposta istituzionale all’evento reato. I contenuti più salienti del rapporto sono rappresentati dai dati statistici, aggiornati al 2007, sul numero degli utenti che i servizi prendono in carico, dalla descrizione del funzionamento del sistema integrato degli interventi, delle specificità locali in cui si realizza, ma anche dalle riflessioni che ne scaturiscono attraverso il contributo degli operatori che direttamente lavorano con i minori nelle diverse realtà territoriali finalizzate a cogliere le direzioni dei cambiamenti emergenti dalle realtà territoriali. Il rapporto è pensato per svolgere una pluralità di funzioni che vanno da quella di informazione e comunicazione a quella di relazione e promozione della trasparenza, a sostegno di una riflessività interna sul ruolo della giustizia minorile, in grado di generare conoscenze capaci di apportare miglioramenti sia sul piano strutturale, organizzativo che etico e valoriale. Dopo un capitolo introduttivo nel quale si individuano cinque possibili traiettorie di sviluppo per il sistema della giustizia minorile nel nostro Paese, la prima parte del volume descrive il sistema e il ruolo della giustizia minorile, illustrandone in termini generali i principi, le funzioni, l’organizzazione e le prospettive. L’attenzione è di seguito posta alla presentazione del quadro della giustizia minorile nel nostro Paese. Si evidenzia come il fenomeno della devianza degli adolescenti si ponga in una posizione di interdipendenza formale e sostanziale rispetto alle molteplicità dei fenomeni sociali e alle esigenze, bisogni, domande che sorgono dalla stessa. L’obiettivo è visualizzare le realtà con cui i servizi minorili della giustizia si misurano e le soluzioni di risposta messe in atto. Il quadro è stato sviluppato prima in modo generale e comRassegna bibliografica 1/2009

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490 Giustizia penale minorile

plessivo a livello nazionale e di seguito con un’analisi ragionata nelle realtà regionali, che ha permesso di evidenziare peculiarità e caratteristiche del fenomeno della devianza e delle risposte individuate a livello locale. L’analisi a livello regionale, supportata da quadri sinottici riepilogativi nell’ultima parte del volume, alcune volte parte dai dati statistici che introducono la riflessione in ogni regione, altre volte costituisce un contributo quasi autonomo e aggiuntivo a livello di conoscenze che integra il dato statistico nazionale di elementi informativi, riportando dati di dettaglio del fenomeno locale della devianza che non sono rilevati a livello nazionale. Emerge complessivamente uno scenario nazionale per grandi linee omogeneo seppure fortemente differenziato a livello regionale. Un sistema flessibile in grado di recepire nel tempo i considerevoli mutamenti che si sono prodotti nelle teorie e orientamenti criminologici e negli approcci al trattamento della devianza. Un sistema che ha come strumento principale di lavoro la cultura stessa degli operatori, intesa non solo nella dimensione più astratta della conoscenza e delle competenze ma come cultura che si esplica nella progettazione e negli interventi dei servizi, nella loro modalità di coordinamento e integrazione a vari livelli creando una circolarità di informazioni tra tribunale e servizi sociali della giustizia, enti locali, comunità e tutte le forme di presenza attiva del privato sociale e del volontariato in genere. Si delinea in altre parole un modello italiano di giustizia penale minorile, centrato sulle peculiarità del nostro sistema di welfare e dei relativi cambiamenti in corso, sul ruolo del terzo settore, coprotagonista di progetti di attenzione alla devianza degli adolescenti, sulla capacità di tenuta delle comunità professionali interne al sistema dei servizi.

1° rapporto sulla devianza minorile in Italia / a cura di Isabella Mastropasqua, Tiziana Pagliaroli, Maria Stefania Totaro. — Roma : Gangemi, stampa 2008. — 348 p. ; 24 cm. — (I numeri pensati). — In testa al front.: Ministero della giustizia, Dipartimento per la giustizia minorile, Ufficio I del capo dipartimento, Ufficio IV del capo dipartimento — CEUS. — Bibliografia: p. 345-348. — ISBN 9788849215762. Giustizia penale minorile – Italia – Rapporti di ricerca – 2008

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612 Educazione familiare monografia

Bricolage educativi Verso una teoria e una pratica pedagogica con la genitorialità

Maria Gaudio

Il contesto sociale attuale rende particolarmente ardua l’esperienza genitoriale per una concausa di motivi che spesso portano di fatto le famiglie ad affrontare le proprie sfide in solitudine. Essere genitore, spesso, finisce poi per voler dire assumere un ruolo così impegnativo da indurre a dimenticare che si è prima di tutto “persone”. Così, accade spesso che, assunto il ruolo di genitore, ci si comporti come se non si fosse più liberi di essere se stessi, sentendo quasi il dovere di essere sempre all’altezza della situazione, sempre tolleranti e disponibili. Per quanto comprensibili e ammirevoli, queste buone intenzioni finiscono per ridurre l’efficacia del genitore, invece di accrescerla, dal momento che un genitore “sufficientemente buono” è proprio colui che si concede di essere persona, concedendo implicitamente anche al figlio di fare altrettanto. In uno scenario di questo tipo diventa fondamentale che i servizi per la prima infanzia offrano alle famiglie occasioni di incontro e confronto tra genitorialità differenti, in modo da incentivare la messa in comune di significati e da fornire un sostegno al non lineare cammino che mamme e papà si trovano ad affrontare. Il volume di Maria Gaudio riflette su questi temi in maniera profonda, accostando al concetto di genitorialità quello di transizione, nell’intento di considerare il divenire genitori come un processo evolutivo e plurale, frutto di una sorta di bricolage non imbrigliabile semplicemente in un ante e in un post. In questo senso l’autrice invita a sostituire all’espressione “essere genitore” l’idea di genitore “diveniente”, di becoming parent, proponendo un approccio non lineare ma complesso al tema in questione. Il libro è composto da cinque capitoli suddivisi in due parti. I tre capitoli della prima parte prendono le mosse dall’etimologia del termine “transizione”, declinandolo in transitum, transire, transeo al fine di evidenziare i diversi volti della transizione ma anche la loro profonda interconnessione. Le tre declinazioni della “transizione” esplicitano infatti, da un lato, il legame della famiglia con Rassegna bibliografica 1/2009

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612 Educazione familiare

la società e le sue istituzioni, l’attraversamento a cui è sottoposta, spesso sotto sguardi etichettanti legati a una lettura pregiudiziale del mondo; dall’altro esse evidenziano mutamenti di ruoli e intime trasformazioni che riguardano la capacità di ripensarsi e ridefinirsi, di farsi domande e andare avanti “navigando a vista”. In ogni capitolo viene inserito un paragrafo intitolato “Genitori in situazione” che racconta esperienze concrete vissute con le famiglie e raccolte dall’autrice durante la sua esperienza professionale nei servizi per l’infanzia. La seconda parte del volume, dedicata appunto alle “Famiglie al nido”, suggerisce una lettura della quotidianità dei servizi per l’infanzia legata al concetto di transizione genitoriale e alle sue diverse declinazioni, al fine di individuare pratiche educative capaci di sostenere il percorso delle famiglie che frequentano i nostri servizi. Vengono dunque presi in considerazione alcuni elementi che caratterizzano la vita del nido e che influenzano la relazione: dall’organizzazione degli spazi e dei tempi, alla rilevanza dei momenti routinari, all’attenzione verso strategie comunicative accoglienti e non giudicanti, esplicitate anche nel quinto e ultimo capitolo attraverso il racconto di un’esperienza di incontro con la genitorialità realizzata presso l’asilo nido AltroSpazio di Vimercate. Il testo, caratterizzato da una profonda ed efficace interconnessione tra teoria pedagogica e pratica educativa, appare particolarmente utile non solo per gli studiosi del settore, ma per tutti coloro che, a titolo diverso, lavorano con le famiglie.

Bricolage educativi : verso una teoria e una pratica pedagogica con la genitorialità / Marta Gaudio. — Milano : Unicopli, 2008. — 232 p. ; 21 cm. — (Testi e studi ; 212). — Bibliografia: p. 223-232. — ISBN 9788840012926. Educazione familiare

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612 Educazione familiare monografia

Contatto La consulenza educativa ai genitori

Francesco Berto e Paola Scalari

Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a profonde trasformazioni a livello economico, sociale e culturale, che hanno inciso fortemente sull’istituzione familiare e di conseguenza sulle condizioni di vita dei bambini e dei ragazzi: il passaggio dalla coppia coniugale alla coppia parentale ha destato dubbi e perplessità che spesso non hanno ricevuto una risposta adeguata. Oggi più che mai i genitori si trovano soli in una società in cui il senso e lo spirito di condivisione appare molto scarso: occorre sostenere la coppia genitoriale, in modo che possa educare il figlio senza paure e insicurezze. Il mestiere del genitore è senza ombra di dubbio uno dei più difficili, ma anche uno dei più gratificanti ed entusiasmanti, per questo è necessario offrire ai genitori delle consultazioni all’interno delle quali possano essere aiutati a raggiungere valide competenze educative: i percorsi all’esperienza genitoriale, in cui teoria e pratica si fondono e si danno forza a vicenda, possono rivelarsi degli ottimi strumenti per capire e interpretare le dinamiche della relazione adulto-bambino. Il volume preso in esame, come afferma Silvia Vegetti Finzi nella prefazione, si presenta come una sorta di copione in cui i due autori, Francesco Berto, pedagogista, e Paola Scalari, psicologa, mettono in scena da una parte il punto di vista della richiesta di aiuto, rappresentato dai genitori spesso insicuri, afflitti e delusi perché il figlio non corrisponde alle loro aspettative, e dall’altro il punto di vista della risposta competente, rappresentato dallo psicologo ma anche dall’insegnante, ossia dalle persone che cercano e devono aiutare la coppia genitoriale. Si tratta di una risposta avalutativa, che non si concentra sul giudizio ma sull’ascolto attivo di chi chiede aiuto e che, quindi, pone al centro non chi sa ma chi chiede: i veri protagonisti sono infatti i genitori, i quali raccontano episodi e avvenimenti vivificandoli attraverso i loro sentimenti, emozioni e stati d’animo, sia positivi che negativi, nei confronti dei propri figli. Rassegna bibliografica 1/2009

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612 Educazione familiare

Secondo Francesco Berto e Paola Scalari il modello teorico migliore per leggere le dinamiche del mondo familiare appare quello gruppale, all’interno del quale ogni genitore, madre o padre, può avviare un processo di cambiamento basato sull’incontro-confronto con altri individui che stanno vivendo una situazione similare. I due autori prendono come riferimento la tecnica operativa ideata dallo psicoanalista e psichiatra argentino Armando J. Bauleo, secondo il quale «un gruppo è reso operativo attraverso l’esplicitazione di un compito che ne dichiara l’obiettivo e la conduzione di un esperto che ne svela il latente». Essi pongono estrema attenzione non tanto sul bambino ma sulla relazione adulto-bambino, in modo da far risaltare la corrispondenza tra i due, la stretta correlazione e reciprocità: la percezione di sé del padre e della madre influenza e incide su quella del figlio. Si tratta di due facce di una stessa medaglia ed è proprio grazie all’analisi degli affetti vissuti all’interno del vincolo familiare che i genitori possono e riescono ad attivare una trasformazione insieme al figlio. Questo volume è un testo di formazione, un manuale utile non solo agli psicologi e agli insegnanti, ma anche agli assistenti sociali, agli educatori professionali, ai medici e a tutti coloro che lavorando nel sociale vogliono confrontarsi con le dinamiche genitoriali per cogliere i nuovi bisogni e ideare opportune risposte.

Contatto : la consulenza educativa ai genitori / Francesco Berto, Paola Scalari ; prefazione di Silvia Vegetti Finzi. — Molfetta : La Meridiana, c 2008. — 239 p. ; 24 cm. — (Premesse...per il cambiamento sociale). — Bibliografia: p. 235-239. — ISBN 9788861530683. Educazione familiare

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616 Educazione in base al soggetto monografia

Educare alle emozioni con le artiterapie o le tecniche espressive Ottavia Albanese e Manuela Peserico (a cura di)

Il complesso tema dello sviluppo emozionale e delle relative competenze che il bambino apprende nei diversi stadi evolutivi è al centro di numerose ricerche, sia in campo psicologico che cognitivo. Uno stretto legame tra emozioni e cognizione si evidenzia sempre con più chiarezza e di particolare interesse diventa la comprensione del riconoscimento delle emozioni e dei significati che queste assumono nel comportamento e dell’agire nelle relazioni interpersonali e sociali. Nei soggetti che sono stati vittima di abuso o con difficoltà legate alle relazioni primarie, un settore di studi molto significativo è quello delle artiterapie che pongono la loro attenzione su come le emozioni vengono veicolate da indicatori verbali e non verbali. Se è vero che il linguaggio verbale può descrivere e comunicare l’esperienza emotiva, tuttavia non può esprimerla in maniera diretta. Sono le forme espressive del linguaggio artistico, quali quello musicale, visivo, poetico, ecc. e quello del comportamento espressivo non verbale, come la gestualità, la mimica facciale, la postura, ecc. che permettono l’elaborazione dell’emozione vissuta. La peculiarità delle artiterapie risiede nella possibilità di passare da pratiche dal carattere e con funzione puramente espressive a esercizi di comunicazione simbolica delle emozioni. Una terapia molto utile negli anziani perché alimenta la creatività e stimola la vitalità e il mantenimento di pensieri e sentimenti che aumentano il benessere e la qualità della vita. L’arteterapia è al centro anche di progetti scolastici finalizzati allo sviluppo dell’area emotivo-affettiva attraverso il gioco e le attività espressive. Il valore dell’arteterapia è poi indubbio sul versante riabilitativo delle forme di sofferenza psichica, soprattutto di natura psicotica, oppure come strumento di prevenzione e riabilitazione delle disfunzioni cognitive. La musicoterapia, la danzaterapia, la teatroterapia, la eidoterapia, la drammaterapia, ecc. sono tutte terapie che lavorano sugli aspetti emotivi e cognitivi attraverso i diversi linguaggi propri del corpo e del mondo interno del soggetto. Attraverso la visualizzazione creativa e l’apprendimenRassegna bibliografica 1/2009

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to delle tecniche proprie di ogni diverso linguaggio, il soggetto rielabora i propri vissuti e le proprie esperienze, imparando a dare nome alle proprie emozioni e al proprio sentire. Lavorare con queste metodologie in ambito scolastico permette di passare da una visione individuale dello star bene a una condizione più allargata che coinvolge oltre all’individuo l’intero sistema classe. Queste attività assumono la conformazione di laboratori didattici che vedono anche la partecipazione attiva dell’insegnante, il quale ha la possibilità di sperimentarsi in modo differente da quello quotidiano, ridefinendo il proprio stile comunicativo e relazionale e le proprie modalità di insegnare, imparando a riconoscere i diversi segnali comunicativi che vengono emessi dai propri allievi. In tale contesto l’alunno invece ha la possibilità di “dar voce” alle emozioni e alle esperienze relazionali e di apprendimento, riconfigurandole, attraverso una rielaborazione collettiva che vede anche la partecipazione dell’adulto, in pattern più adeguati. L’arteterapia aiuta la capacità di pensare, di imparare e di collaborare con i propri compagni, favorendo l’autoconsapevolezza e la capacità di padroneggiare le emozioni e i propri sentimenti. Il disegno, il fumetto, le tavole pittoriche, le metafore, diventano tutti mezzi per comunicare gli stati d’animo interni, sia quelli relativi alle proprie paure, la propria rabbia, la propria tristezza così come quelli di serenità, gioia, desiderio. Attraverso una relazione empatica, fondata sull’ascolto e la riflessione, chi svolge il lavoro terapeutico incide in modo significativo sui livelli di sviluppo del soggetto e sull’acquisizione di competenze che permettono una maggiore padronanza di sé e della realtà in cui vive.

Educare alle emozioni con le artiterapie o le tecniche espressive / a cura di Ottavia Albanese e Manuela Peserico. — Azzano San Paolo : Junior, 2008. — 512 p. ; 24 cm. — (Ricerche ; 12). — Bibliografia. — ISBN 9788884344492. Educazione socioaffettiva – Ruolo delle artiterapie

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616 Educazione in base al soggetto monografia

Imparare a gestire i conflitti Un gioco di carte per migliorare le relazioni sociali

Alessandra Neri

La gestione dei conflitti in ambito educativo e formativo necessita di una adozione teorica e di una metodologia a essa coerente: il passaggio da una visione agonistica del conflitto, secondo la quale vi è un vincente e un perdente, a una visione del conflitto come processo ecologico, reversibile e negoziabile, risulta un obiettivo primario per l’educazione alla pace. Al fine di disporre di metodologie efficaci è necessario effettuare uno scarto in termini conoscitivi, che presupponga la pace non più come connotato ideologico per diventare una forma di apprendimento, una necessità per la salvaguardia della specie, per sapere vivere in una società dove la differenza e la diversità assumano la connotazione di valore e non di limite. Da ciò la pace, come il conflitto, non è tanto una meta quanto piuttosto un processo, ovvero il risultato di progetti realizzati. All’interno di questa cornice, durante il corso di specializzazione “Consulente maieutico in gestione dei conflitti”, tenuto dal Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza, è nata l’idea di realizzare uno strumento concreto e ludico per lavorare sul tema del conflitto con i preadolescenti e gli adolescenti. Il testo propone il gioco denominato “le carte dei conflitti”, quale strumento per realizzare percorsi di educazione alla pace e che muovono da una definizione di conflitto inteso come uno stato della relazione, che riguarda due o più persone, in cui si presenta un problema (il contenuto) che crea un disagio (il significato emotivo). L’approccio da cui emana tale proposta educativa è quello del “so-stare nel conflitto” in cui il sostare ha una doppia accezione di saper stare, e porta con sé l’idea della competenza strumentale, ma anche nel senso di indugiare. Tale approccio premia la visione del conflitto come una relazione tra due o più soggetti, implicando la necessità che l’accettazione della necessità della relazione rappresenti l’occasione per ciascuno di esprimere parti di sé. Infatti, è proprio a partire dalla relazione tra le due parti in conflitto che il riconoscimento delle differenze personali implica la Rassegna bibliografica 1/2009

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trasformazione della relazione stessa in modo da attenuare gli effetti legati al conflitto. Le carte dei conflitti si propongono quindi come uno strumento efficace per proporre attività educative e formative ai ragazzi e ragazze preadolescenti e adolescenti, in quanto sono realizzate partendo dal presupposto che le situazioni di conflitto abbiano una funzione positiva nello sviluppo della personalità, e saper affrontare i conflitti sostando nella relazione abbia come ricaduta la costruzione di un Sé abbastanza solido e al contempo duttile, sufficientemente fiducioso nelle proprie risorse e tale da sentirsi in grado di affrontare le difficoltà della vita. Il gioco “le carte dei conflitti” favorisce la creazione di un gruppo dove ognuno trova la possibilità di esprimere le proprie emozioni e interessi, riflette sulle proprie esperienze, ascolta le opinioni altrui e, sperimentando l’arte della negoziazione, si assume la responsabilità delle conseguenze delle proprie scelte e azioni. L’adulto (il genitore, l’insegnante, l’educatore) è parte di questo processo di alfabetizzazione al conflitto e, all’interno della proposta di gioco, la relazione tra adulto e giovane vede come punti di riferimento un tipo di rapporto basato sulla fiducia e non sul potere, sulla reciprocità e sul dialogo e non sull’imposizione, sul confronto riguardo alle differenze più che sulla soppressione dei conflitti. Il gioco comprende 40 carte e più di 60 attività e si propone come strumento per percorsi che intendano adottare un approccio nonviolento alla gestione dei conflitti nelle scuole e nei centri di aggregazione giovanile e in tutti i gruppi educativi formali e informali.

Imparare a gestire i conflitti : un gioco di carte per migliorare le relazioni sociali / Alessandra Neri. — Gardolo : Erickson, c 2008. — 136 p. : ill. ; 30 cm + [10 ] p. di c. — (Materiali per l’educazione). — Bibliografia: p. 281-318. — ISBN 9788861373211. Preadolescenti e adolescenti – Educazione alla pace – Giochi didattici

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620 Istruzione monografia

Perché nessuno si perda La piazza dei mestieri: un modello per contrastare la dispersione scolastica

Elena Ragazzi (a cura di)

Il fenomeno della dispersione scolastica è diffuso in Italia più che nel resto dei Paesi europei ed evidenzia la difficoltà dei percorsi scolastici a dare risposte adeguate a molti ragazzi che hanno un impatto negativo con il sistema scolastico italiano. I primi risultati negativi negli studi creano una catena di insuccessi che porta spesso all’abbandono scolastico. La prospettiva dell’esperienza qui descritta è quella di mettere al centro del percorso formativo la persona e partire dalle sue capacità, le sue passioni e i suoi bisogni per costruire un percorso che conservi contenuti educativi e di formazione per l’inserimento nel mercato del lavoro. La piazza dei mestieri parte dalla ricchezza di esperienze “del fare” che offre il territorio del quartiere San Donato di Torino e le mette in rete come opportunità per i giovani di trovare il proprio percorso. All’interno di una vecchia conceria è stata ricostruita una piazza dalla quale si accede a diversi laboratori attrezzati e multifunzionali, come vere e proprie botteghe artigiane dove l’attenzione è volta essenzialmente alla produzione del sapere e della competenza degli apprendisti, ma dove le attività producono anche beni e servizi che possono essere commerciati in un’ottica di sostenibilità del progetto e di riconoscimento del valore del lavoro in termini educativi e produttivi. Gli spazi, esteticamente gradevoli, sono concepiti anche per accogliere esposizioni e spettacoli, e sono continuamente riadattati per rispondere alle esigenze che via via si manifestano all’interno della piazza. Nel rapporto tra docenti, tutor e aziende che ospitano gli studenti nella pratica di alternanza tra studio e lavoro, si costruisce un percorso di recupero delle competenze e, prima ancora, della fiducia nelle proprie capacità per trovare la propria strada. Costruire questa struttura ha significato far incontrare numerosi soggetti che sono interessati dai processi di apprendimento e dal problema dell’abbandono scolastico, per cui attorno al progetto si sono raccolti i servizi sociali, le agenzie formative, i percorsi istituRassegna bibliografica 1/2009

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620 Istruzione

zionali dell’istruzione e dell’orientamento, e le aziende con un’attenzione alla sostenibilità sociale del processo produttivo, dando vita a forme associative e cooperative che permettono al progetto di funzionare. Lo studio dell’esperienza (frutto di un progetto Equal) sottolinea dal punto di vista etnografico il crogiolo culturale che ha dato vita a essa in un territorio che ha una tradizione storica di attenzione al disagio sociale e alla marginalità dei giovani. Le radici di questa cultura affondano nella metà dell’Ottocento e nell’opera di figure storiche del cattolicesimo sociale come don Bosco, don Cafasso, Giuseppe Benedetto Cottolengo e altri, che hanno dato vita a quella che è stata definita la “fabbrica delle solidarietà”. Dal punto di vista economico poi, il quartiere di San Donato ha una lunga tradizione artigianale (conciaria, tipografica, della produzione di birra e del cioccolato) che ha attraversato i secoli scorsi dando vita a una conoscenza tecnica e a una cultura politica di attenzione al sociale, ed è su queste basi solide che si concretizza questa iniziativa. Questo studio ha come obiettivo quello di poter esportare il modello sperimentato in altre città, per cui sono presentati i dati relativi alla dispersione scolastica a Catania, Milano e Napoli, per capirne le caratteristiche e la possibilità di sviluppare un percorso analogo, poiché la replicabilità del modello richiede un’analisi puntuale delle risorse (economiche e produttive) del territorio puntando sulla flessibilità delle risposte e sulla costruzione di una rete tra soggetti che condividono valori e cultura sociale solidale.

Perché nessuno si perda : la piazza dei mestieri : un modello per contrastare la dispersione scolastica / a cura di Elena Ragazzi ; prefazione di Giorgio Vittadini. — Milano : Guerini, 2008. — 486 p. ; 24 cm. — (Persona, formazione e lavoro ; 1). — Bibliografia. — ISBN 9788862500845. Dispersione scolastica – Prevenzione – Progetti

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630 Didattica. Insegnanti monografia

Scuola e territorio Le politiche educative, per i bambini, gli adolescenti e i giovani

Provincia di Pavia, Fondazione Adolescere

La costruzione di una comunità territoriale richiede un percorso di condivisione degli obiettivi strategici di un documento programmatico promosso dal governo di una determinata realtà. Il progetto Noi in collina della Provincia di Pavia mostra come questo processo di condivisione debba primariamente partire da una progettazione di azioni e di servizi educativi per rendere vive le politiche educative pensate per il territorio. Per facilitare le relazioni e per accompagnare la crescita e il benessere delle persone che vivono in una comunità, è fondamentale lavorare con tutti gli attori che fanno parte del tessuto sociale, ma in particolare è importante lavorare con le giovani generazioni, impostando in primo luogo un lavoro sinergico tra scuola ed extrascuola. Formazione e sviluppo sono inscindibili, considerando ormai l’educazione come una necessità che dura per tutto il corso della vita e lo sviluppo della comunità come un progressivo processo di acquisizioni di consapevolezza e di liberazione di tutti i potenziali in essa contenuti, sia in termini economici, di qualità della vita, di creatività e di innovazione. Per questo scopo, fin dall’infanzia è importante sollecitare il soggetto a un pensiero libero, riflessivo e complesso, capace di concetti e saperi che permettano l’incontro e il dialogo con l’altro. Dal confronto e dal conflitto tra le proprie conoscenze e i propri modi di pensare e quelli degli altri, il bambino si indirizza verso nuove configurazioni conoscitive e verso nuovi assetti cognitivi sempre più articolati e complessi. Ciò chiede anche un’organizzazione didattica, in grado di valorizzare l’integrazione tra curricoli disciplinari e progetti interdisciplinari, tra percorsi di insegnamento-apprendimento individualizzati e lavori di gruppo, tra attività in aula ed esperienze di ricerca sul campo. Viene così a realizzarsi la costruzione di un pensiero complesso e creativo, capace di affrontare l’insorgere di situazioni problematiche attraverso la trasformazione, l’interconnessione e la ricostruzione del proprio orizzonte di significato, facendo dialogare insieme logica e fantasia, ragione e immaginazione. Rassegna bibliografica 1/2009

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630 Didattica. Insegnanti

Il progetto di Pietragavina promosso in un centro montano ha permesso un lavoro in tale direzione. In questo percorso attuato con le quarte e quinte classi della scuola primaria, si è mirato a mettere in atto, attraverso giochi e attività ludiche, delle esperienze che stimolassero l’esplorazione, l’osservazione e la conoscenza ambientale e altre che permettessero l’elaborazione degli eventi vissuti, la riflessione intorno alle conoscenze acquisite e la graficizzazione delle proprie idee e emozioni. Vi è un forte parallelismo tra educazione ambientale ed educazione alle relazioni e, attraverso la conoscenza dell’ecosistema, si comprendono le connessioni profonde tra natura e sistema sociale. Nella natura si sviluppa il riconoscimento di sé e delle proprie origini, di sé come sistema di interazioni e di scambio con l’ambiente esterno, si percepisce che ciascun soggetto è un trasformatore della realtà con le proprie azioni, si leggono le dinamiche di una popolazione propria dell’eco-sistema e le interdipendenze degli esseri che lo compongono. Trasferendo queste conoscenze alle relazioni tra gli esseri umani, il bambino comprende il valore delle relazioni con identità differenti, i comportamenti sociali e le trasformazioni in atto, l’importanza della storia e la responsabilità delle proprie azioni nella determinazione del futuro. Tali percorsi, nell’età infantile, devono poi trovare una corrispondenza e una continuità nell’età adolescenziale, motivo che ha portato a promuovere anche nella scuola media progetti di educazione socio-affettiva, anche attraversi laboratori finalizzati all’aggregazione e alla costruzione di relazioni significative, contribuendo a questo complesso lavoro di costruzione di una comunità territoriale fondata sulla partecipazione e la corresponsabilità.

Scuola e territorio : le politiche educative, per i bambini, gli adolescenti e i giovani / Provincia di Pavia, Fondazione Adolescere ; a cura di Franco Frabboni e Flavio Montanari. — Milano : F. Angeli, c 2008. — 272 p. ; 23 cm. — (La scuola se. Sez. 2, Fare scuola ; 15). — ISBN 9788856803938. Scuole – Progetti educativi – Pavia (prov.)

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644 Scuole dell’infanzia monografia

Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia Giuseppe Nicolodi

Parlare di disagio richiama alla mente le trasformazioni proprie dell’età adolescenziale o le difficoltà di apprendimento della scuola primaria. Difficilmente associamo questo termine alla prima e alla seconda infanzia, quando il disagio si fa spesso “silenzioso” e forse più difficilmente leggibile. Probabilmente l’aurea di “felicità” non di rado attribuita a questa fascia d’età, unita al fatto che l’educazione dei piccolissimi è perlopiù demandata alle mura domestiche, ha fatto sì che anche la letteratura scientifica si occupasse poco di questo argomento. Le classiche sindromi psicopatologiche di cui abbiamo vasta documentazione non sempre spiegano quei disagi comportamentali dei bambini derivanti da specifici “malesseri” emotivi difficilmente etichettabili da un punto di vista clinico, ma non per questo meno rilevanti. Il volume di Giuseppe Nicolodi tenta quindi di rispondere a questa mancanza, offrendo un testo capace di unire in maniera armonica la riflessione teorica a suggerimenti pratici che possono essere messi in pratica nei diversi contesti di vita del bambino, focalizzandosi in particolare sull’asilo nido e sulla scuola dell’infanzia. L’autore cerca di evidenziare le piccoli-grandi difficoltà, non necessariamente da patologizzare, che spesso caratterizzano i percorsi dei bambini. Si affronta in particolare quello che viene definito “disagio educativo”, distinguendolo dal disagio infantile e da quello scolastico. In questo senso, ci si riferisce non solo al bambino, ma anche al problema degli insegnanti o degli educatori di fronte al problema del bambino nel mondo scolastico o educativo, privilegiando dunque una prospettiva di tipo sistemico. L’intento dei sei capitoli che compongono il volume è dunque quello di fornire un sostegno teorico-metodologico a tutti quei professionisti dell’educazione che quotidianamente si trovano a dover affrontare manifestazioni comportamentali differenti messe in atto dai bambini nel tentativo di affrontare gli eventi della vita. In particolare, il primo capitolo esplicita la scelta di campo adottata, proponendo Rassegna bibliografica 1/2009

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644 Scuole dell’infanzia

un modello di tipo “semiotico”, capace cioè di leggere il disagio del bambino nelle istituzioni educative della prima infanzia come una richiesta di aiuto diretta all’adulto. Tali richieste necessitano di una lettura “delicatamente attenta” che abbisogna di una griglia di interpretazione a maglie larghe ma allo stesso capace di entrare nello specifico di ogni situazione. Per questo il secondo capitolo illustra alcune ipotesi teoriche da riprendere poi nei capitoli successivi per analizzare le diverse forme di disagio che vi vengono presentate. In particolare si suggerisce di utilizzare come strumento operativo il modello teorico dei Contenitori educativi che aiuta a leggere i comportamenti dei bambini all’interno dei diversi momenti in cui è scandita la giornata nei servizi per l’infanzia, ponendo l’accento sul grado di presenza che il bambino richiede di volta in volta all’adulto. Il terzo e il quarto capitolo entrano quindi nello specifico, analizzando i disagi della scuola dell’infanzia e dell’asilo nido con il supporto di alcuni esempi chiarificatori che stimolano letture globali e non frammentate dei comportamenti espressi. Vengono dunque prese in considerazione le difficoltà nel momento della separazione dai genitori, il rifiuto del cibo, alcuni disturbi psicosomatici, le difficoltà linguistiche, i comportamenti aggressivi, e non solo. Alcuni dati quantitativi specifici relativi alla rilevazione del disagio nella scuola dell’infanzia vengono infine presi in esame nel quinto capitolo, per poi passare, nel sesto e ultimo capitolo, ad affrontare il tema della prevenzione del disagio nei servizi per la prima e la seconda infanzia, con un’attenzione particolare alla proposta di attività psicomotorie. Il testo offre dunque, all’interno di una ben esplicitata cornice teorico-metodologica, spunti operativi utili a tutti coloro che, dentro e fuori alle istituzioni educative, si occupano di infanzia sul piano della riflessione e dell’azione.

Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia / Giuseppe Nicolodi. — Milano : F. Angeli, c 2008. — 231 p. ; 23 cm. — (Scienze della formazione). — Bibliografia: p. 229-231. — ISBN 9788846499783. Asili nido e scuole dell’infanzia – Bambini in età prescolare – Disagio

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675 Formazione monografia

Esperienze di transizione per l’inclusione sociale di giovani in difficoltà Cesare Bentivogli e Deborah Morgagni (a cura di)

Esperienze di transizione (ET) è un progetto di inserimento lavorativo e di completamento del percorso scolastico rivolto a 240 ragazzi delle province di Bologna e di Imola che hanno abbandonato gli studi. Il progetto coinvolge molti soggetti istituzionali (centri per l’impiego, servizi sociali, servizi per il lavoro) e privati (cooperative, aziende, sindacati, ecc.) che si sono incontrati per costruire un percorso adeguato alle singole necessità formative e di inserimento lavorativo dei giovani, con la finalità di costruire un modello che potesse essere replicato e diventare strumento di lavoro efficace per il territorio nel quale è stato sperimentato. Le necessità e le difficoltà dei ragazzi sono molte e diverse tra loro; oltre alla differenza di età che richiede percorsi diversi per maggiorenni e minorenni, ci sono diverse esigenze tra chi ha assolto almeno in parte l’obbligo scolastico e chi invece deve acquisire un titolo; ma differenze ed esigenze molto diverse sono date anche dalla storia personale dei ragazzi. Molti di questi, usciti precocemente dai percorsi formativi, hanno alle spalle famiglie problematiche e sono da tempo in carico ai servizi sociali, altri manifestano problemi di devianza e ribellione alle regole, altri sono immigrati che non sono riusciti a conseguire un titolo di studio, altri ancora sono giovani con difficoltà di apprendimento e di inserimento lavorativo che completato il percorso formativo non sono riusciti a inserirsi nel mondo del lavoro. Il progetto prevedeva la messa in funzione di un sistema di welfare educativo che mettesse al centro i bisogni di accompagnamento e il potenziamento delle competenze dei giovani, facendo leva sul loro desiderio di affermazione e di inserimento, in linea con quanto previsto dalla normativa regionale che promuove la centralità della persona, e la costruzione di percorsi di tirocinio orientativo, il tutoraggio, e la formazione lungo tutto l’arco della vita come strumenti appropriati all’inserimento lavorativo e alla promozione delle competenze e dell’integrazione sociale. Rassegna bibliografica 1/2009

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675 Formazione

Data la complessità dei bisogni dei ragazzi, e la competenza di diversi attori istituzionali e del privato sociale è stata costituita una partnership tra i diversi attori e sono stati così individuati quei soggetti del territorio che fossero in grado di collaborare alla costruzione di un progetto che offrisse diverse opportunità di inserimento e formazione adeguate alle necessità dei destinatari. È stata approntata una dispensa che chiarisse a tutti gli attori coinvolti obiettivi, metodologia e quadro di insieme del progetto in modo che fosse chiaro a tutti cosa ci si aspettava dal progetto, e affidato a una agenzia di ricerca (PLAN) il compito di progettare e monitorare il percorso nel suo insieme. Nel progetto sono state realizzate 85.000 ore di ET, per una durata media di 500 ore a utente. All’interno di queste erano previste attività di tutoraggio educativo, la formazione e il supporto al tutor aziendale (on the job), un monitoraggio in itinere e la valutazione finale delle competenze acquisite. Un valore aggiunto del percorso è stato il lavoro di preparazione, di avvicinamento e incontro tra le aziende che offrivano possibilità di realizzare l’esperienza e i giovani. Questo ha permesso di fare leva fortemente sulle reciproche motivazioni a portare a termine il percorso in vista del rientro in formazione e di un inserimento lavorativo immediato dei ragazzi. L’analisi dei risultati evidenzia una percentuale di successo delle Esperienze di transizione più elevata rispetto a tutti gli altri tipi di intervento conosciuti, con il 68% dei partecipanti che ha completato il percorso previsto. A distanza di sei mesi dalla conclusione del progetto il 65% dei partecipanti ha ripreso la formazione e il 46% ha trovato lavoro, mentre oltre il 40% si è iscritto nei centri impiego o a percorsi formativi.

Esperienze di transizione per l’inclusione sociale di giovani in difficoltà / a cura di Cesare Bentivogli e Deborah Morgagni. — Milano : F. Angeli, c 2008. — 113 p. ; 23 cm. — (Esperienze formative ; 37). — ISBN 9788856801316. Adolescenti a rischio – Formazione professionale e inserimento lavorativo – Progettti – Bologna (prov.)

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742 Gravidanza monografia

Un tempo per la maternità interiore Gli albori della relazione madre-bambino

Gina Ferrara Mori (a cura di)

Il volume è il frutto del lavoro di un gruppo di psicoterapeuti e di psicoanalisti che si sono dedicati, nell’arco di cinque anni, alla creazione di un Osservatorio della maternità interiore, finalizzato ad esplorare gli eventi mentali che concernono l’esperienza della gravidanza e i processi di trasformazione interna riconducibili alla ricerca di un nuovo statuto identitario di genere. I materiali presentati provengono dai colloqui preliminari all’infant observation, dalle stanze di terapia, dai corsi di preparazione alla nascita, dalle osservazioni continuative di donne durante tutto il percorso della gravidanza (pre-infant observation) e da colloqui e consultazioni di vario tipo. Più specificamente, l’obiettivo è esplorare quella “atmosfera materna” che si instaura nel periodo della gravidanza, che attiva eventi mentali nuovi e trasformazioni nei processi di organizzazione del Sé. Tale atmosfera può restare nascosta o soffocata dalla pratica del necessario, ma a volte eccessivo, monitoraggio preventivo-sanitario, che si svolge in tutto il periodo della gestazione, proprio mentre è in corso la costruzione della futura relazione madre-bambino. Le metodologie esplorative e, in particolare, le indagini ecografiche sottraggono in diversa misura le gestanti dal pensare, dal mettersi in contatto con il bebè “dentro” la propria mente, dall’ascoltare le proprie sensazioni, anche quelle provenienti dal proprio corpo. Nel contesto attuale del monitoraggio biologico si è resa evidente un’oggettivazione immediata del futuro neonato nelle immagini virtuali dell’ecografia, che precede la costruzione di un “bambino interiore”. Ciò che ne deriva è una sorta di “precocità-prematurità” della relazione, mentre si instaurano nuovi assetti percettivi-simbolici le cui problematiche sono tutte da esplorare. I dati acquisiti inducono a considerare la maternità interiore come un concetto molto più esteso rispetto al mondo delle rappresentazioni descritto da molti autori nei vari momenti della gravidanza. Il concetto di maternità interiore, come si è delineato nel Rassegna bibliografica 1/2009

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742 Gravidanza

corso del lavoro clinico e di ricerca, si configura come una sorta di “mappatura”, complessa e articolata, in grado di rendere ragione del mondo delle relazioni interiori della futura madre con se stessa, con la propria madre, con il partner e con il futuro figlio, da quando lo concepisce, a quando ne avverte la piena vita fetale, fino al momento della nascita. Al tempo stesso si pone l’enfasi sull’unicità di ogni costruzione della maternità interiore e – come già era stato evidenziato nei moltissimi studi sull’infant observation – di ogni relazione madrebambino, che si fonda, tra l’altro, sul complesso movimento identificatorio con la propria madre e sul bisogno manifesto di figure di appoggio. La gravidanza è l’esperienza del legame più intimo e durevole che possa esserci tra due esseri viventi: la madre e il bambino portato in grembo. L’intensità del lavoro psichico che caratterizza quest’epoca della vita – che termina, sia nei suoi aspetti psicosensoriali, che nelle sue forme intrauterine, in modo prevedibile ineluttabile, con la rottura del legame – è sorprendente. La gravidanza può essere per questo considerata l’occasione, data alle donne, di giocare con le due spinte fondamentali e contrastanti dell’esistenza umana: il bisogno di stabilire l’unità fusionale e la necessità di evolvere e di diventare un individuo autonomo. Il lavoro del gruppo, protratto nel tempo e svolto con un assetto metodologico ben definito, ha permesso ai partecipanti di acquisire non solo competenze e conoscenze, ma anche una formazione specifica e una sensibilizzazione adatte ad accompagnare una donna incinta nel suo percorso di costruzione della maternità interiore. Se è ancora troppo presto per poterlo testimoniare, è già iniziata una trasmissione del sapere acquisito tramite alcune iniziative promosse da centri di consultazione e preparazione alla maternità.

Un tempo per la maternità interiore : gli albori della relazione madre-bambino / Gina Ferrara Mori (a cura di). — Roma : Borla, c 2008. — 212 p. ; 22 cm. — (Ricerche per il nostro tempo). — Bibliografia: p. 197-208. — ISBN 9788826317267. Gravidanza – Psicologia

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768 Psicoterapia monografia

I gruppi di sostegno Keith Nichols e John Jenkinson

A differenza di qualche anno fa, la tecnica del gruppo di sostegno rappresenta oggi un efficace strumento per contrastare e diminuire gli effetti dovuti allo stress psicologico: il lavoro di gruppo è una metodologia ampiamente diffusa nell’ambito della motivazione al lavoro. La stessa letteratura scientifica si è notevolmente interessata a tale argomento, in effetti è possibile trovare varie e interessanti pubblicazioni che trattano l’approccio gruppale e le dinamiche di gruppo. Il seguente volume è stato scritto con l’intento di spiegare che cosa sono i gruppi di sostegno, come funzionano, come sono formati e perché sono importanti. Per riuscire a descrivere tutti questi aspetti gli autori si sono avvalsi di una serie di esempi concreti basati su dinamiche di conduzione. In questo modo il testo costituisce una guida, una sorta di tutor d’aula che illustra le caratteristiche principali del gruppo di sostegno. Si tratta dunque di un libro utile per tutti i professionisti che lavorano in ambito educativo e che si occupano della relazione di aiuto: psicologi, psicoterapeuti, educatori professionali, insegnanti, consulenti, infermieri e operatori che lavorano nel campo del sociale e della salute. Queste tipologie di professionisti presentano un alto rischio di stress che può portare verso un pericoloso burnout: è proprio in questi casi che la tecnica del gruppo di sostegno appare un ottimo mezzo per combattere l’esaurimento, in quanto aiuta l’individuo ad avere cura di se stesso e a riflettere sul proprio percorso professionale con riferimento anche a un’ottica più prettamente emotiva e personale. Per avviare un gruppo di sostegno è indispensabile tenere presenti alcuni aspetti organizzativi: 1) identificazione e preparazione del conduttore del gruppo; 2) individuazione e scelta dei partecipanti; 3) elaborazione del “contratto” con cui il gruppo si costituirà; 4) istituzione del gruppo, ossia stabilire dove si incontrerà, con quale cadenza, per quanto tempo ecc. Particolare attenzione deve essere rivolta alla conduzione, infatti, pur non facendo riferimento Rassegna bibliografica 1/2009

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768 Psicoterapia

a uno stile particolare né a una specifica tradizione teorica, Keith Nichols e John Jenkinson illustrano con meticolosità e precisione alcuni approcci pratici, in modo da permettere al lettore di capire e interpretare i vari elementi che possono caratterizzare i diversi sistemi di teorie e tecniche di gruppo. Leggendo il libro si evince come l’ultima seduta di gruppo, e quindi la sua chiusura, nonostante rappresenti la fine di un percorso programmato e non improvvisato, sia fondamentale per la buona riuscita del cammino intrapreso: essa infatti sancisce per ciascun partecipante l’inizio di una fase ulteriore, nuova e separata dalla vita del gruppo stesso, pertanto è indispensabile che sia condotta con estrema attenzione e cura. Un altro aspetto da considerare è riuscire a offrire un sostegno anche allo stesso conduttore, altrimenti è impossibile che quest’ultimo riesca a gestire il gruppo. Per questo motivo per coloro che diventeranno conduttori di gruppi è sempre meglio iniziare da un gruppo di sostegno «in cui il lavoro si focalizzi soprattutto sulla conduzione dei gruppi e sul sostegno e lo sviluppo dei membri in quel ruolo». Infine, risulta fondamentale che il conduttore valuti sempre il percorso condotto: la valutazione rappresenta per lui una responsabilità importante e un dovere imprescindibile, perché è solo attraverso un riscontro nella pratica che egli può ottenere un proprio sviluppo interiore e di conseguenza il gruppo stesso può crescere.

I gruppi di sostegno / Keith Nichols, John Jenkinson. — Bologna : Il mulino, c 2008. — 213 p. ; 22 cm. — (Aggiornamenti. Aspetti della psicologia). — Bibliografia: p. 209-213. — ISBN 9788815126610. Psicoterapia di gruppo

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808 Terzo settore monografia

Terzo settore e welfare locale Marco Accorinti

Il volume raccoglie in forma aggiornata saggi già precedentemente pubblicati dall’autore nei rapporti dell’Istituto di ricerche sulla popolazione con l’intento di esplicitare il rapporto tra welfare locale, in particolare quello socioassistenziale, e settore non profit. Dopo un’introduzione di carattere storico evolutivo circa l’affermazione del terzo settore in Italia sul piano culturale e legislativa, si affrontano dapprima le differenti forme organizzative che lo compongono (associazionismo sociale, cooperazione sociale, volontariato sociale, fondazioni sociali, organizzazioni non governative, istituti pubblici di assistenza e beneficenza) e quindi il contributo dato (o ricevuto) dal sistema di welfare. Nel secondo capitolo si considerano i processi di riforma del welfare in atto, collegati alla legge 328/2000 che hanno assegnato al non profit un ruolo di coprogettazione delle politiche sociali, soffermandosi in particolare sui meccanismi di funzionamento e sui nodi della partnership a livello locale tra terzo settore, enti locali e Stato, al loro ruolo nei piani di zona. L’ampliarsi delle organizzazioni del terzo settore viene letto attraverso tre orientamenti: uno economico-privatistico che inneggia al terzo settore come forma gestionale; uno pluralistico che punta a un welfare society; uno politico-istituzionale che riconosce al terzo settore una funzione di programmazione e coordinamento. I vari orientamenti prefigurano possibili scelte per risolvere il nodo dei rapporti tra Stato e terzo settore, originando comunque processi alla base dello sviluppo di nuove politiche sociali. A questo fa seguito, nel capitolo successivo, l’analisi in chiave comparativa nord-sud dei dati delle indagini ISTAT, che forniscono elementi relativi alla distribuzione territoriale, alle caratteristiche strutturali, ai settori di attività e servizi offerti, agli utenti e alla dimensione economica della cooperazione sociale e del volontariato in Italia. Rassegna bibliografica 1/2009

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Sempre in chiave comparativa si introduce nel quarto capitolo quello che da diversi studiosi è stato identificato come il “modello mediterraneo di welfare”, offrendo indicazioni per una lettura del sistema di offerta di servizi e interventi sociali in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia, prendendo come riferimento i meccanismi della partnership tra enti pubblici e organizzazioni di terzo settore nella gestione delle politiche sociali. I due capitoli successivi sono dedicati alla presentazione di due casi locali. Il primo è relativo alla città di Roma e ha lo scopo di mostrare l’evoluzione e il cambiamento della programmazione degli interventi sociali, con particolare riferimento all’analisi degli interventi di sostegno al reddito e delle misure contro la povertà. Nella prima parte si mostra la configurazione formale del sistema romano a seguito dell’attuazione del Piano regolatore sociale, mentre nella parte successiva ci si concentra sul ruolo dei diversi attori locali, le difficoltà incontrate e le modalità di attuazione messe in campo. Il secondo caso descrive l’assetto dei servizi sociali e il ruolo del terzo settore a Barcellona, preceduto da una ricostruzione storica dell’evoluzione del sistema socioassistenziale in Spagna e nella Comunità della Catalunya. Infine, nel capitolo conclusivo, ripercorrendo in sintesi le tappe evolutive e i nodi problematici nel rapporto tra terzo settore e welfare locale, nel contesto di un welfare mix italiano, si prefigurano possibili scenari di sviluppo strategico per il terzo settore, tali da superare le dinamiche di sola relazione economica o anche di riconoscimento di funzione pubblica che finora hanno caratterizzato prevalentemente il rapporto con le istituzioni pubbliche.

Terzo settore e welfare locale / Marco Accorinti. — Roma : Carocci, 2008. — 237 p. ; 22 cm. — (Biblioteca di testi e studi ; 452). — Bibliografia: p. 227-237. — ISBN 9788843046737. Welfare municipale – Ruolo del terzo settore

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810 Servizi sociali monografia

Difendere i legami familiari Storie di conflitti e interventi

Diego Bissacco e Paola Dallanegra (a cura di)

Il libro si presenta come una ricerca e riflessione svolta da undici servizi per il diritto di visita e di relazione, coordinati dalla Provincia di Milano, sull’efficacia dei loro percorsi di intervento che si sono posti l’obiettivo di mantenere o ricostruire la relazione tra genitori e figli, a seguito di separazione o divorzio conflittuali, affido o crisi tra il bambino e uno o entrambi i genitori. La riflessione inizia con uno sguardo approfondito sulle più importanti caratteristiche che contraddistinguono le famiglie contemporanee rispetto a quella tradizionale, sia per quanto ne riguarda la struttura, le strategie di unione e di procreazione, ma anche e soprattutto le dinamiche relazionali e affettive che vengono vissute al loro interno. La famiglia attuale ha essenzialmente una funzione affettiva, retta da relazioni paritetiche sia tra i genitori che tra i genitori e i figli e basata sulla comunicazione libera tra le persone; le aspettative rispetto al ruolo genitoriale si sono sempre più unificate, con compiti oggi sempre più indistinti rispetto ai ruoli di genere. Tali cambiamenti a livello culturale, simbolico e sociale della famiglia e delle sue relazioni hanno favorito una modifica normativa che sancisce il principio della bigenitorialità affermando il diritto dei figli a continuare ad avere rapporti allo stesso modo con il padre e con la madre anche dopo la separazione e la corresponsabilità di entrambi i genitori nell’educazione e crescita dei propri figli, sempre e comunque, nonostante possa esser venuto meno il vincolo matrimoniale tra le persone. Ciò che si vuole, inoltre, sottolineare è che tutte le figure che partecipano alla separazione (giudici compresi) devono agire verso l’appianamento dei conflitti a favore di una separazione matura e ragionata. Da qui si apre l’obiettivo principale degli interventi: garantire la continuità genitoriale. Vengono analizzati i momenti principali degli interventi: i primi colloqui con gli adulti, i momenti riservati alla conoscenza dei bambini, i primi incontri che i bambini hanno con i genitori non più conviventi. Vengono misurati gli esiti degli interventi fondaRassegna bibliografica 1/2009

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mentalmente come possibilità o impossibilità di ripristino della relazione tra bambino e genitore non più convivente. Viene poi affrontato nello specifico il fenomeno del “doppio abbandono”, quando sono soprattutto i genitori che hanno chiesto il riavvicinamento ad abbandonare di nuovo i loro bambini durante l’intervento. Il conflitto tra gli adulti risulta il motivo preminente nell’allontanamento del bambino dal proprio genitore, così come il mantenersi in vita del livello di conflitto tra i due genitori risulta essere il motivo principale che induce uno dei due genitori a non proseguire nell’intervento. Altre riflessioni riguardano la continuità del rapporto del figlio con il genitore sospettato di abuso sessuale. In ogni intervento il tempo gioca un ruolo particolare: è il tempo dell’organizzazione del Servizio e delle procedure, ma è soprattutto il tempo proprio di ogni individuo e dell’evolversi delle relazioni. Gli operatori divengono i testimoni oltre che attori di tali dinamiche; la loro funzione consiste nell’accogliere e riconoscere le ragioni e i sentimenti di ognuno per favorire la trasformazione dei fatti in storie dotate di senso; ciò diventa la premessa indispensabile per ogni cambiamento trasformativo.

Difendere i legami familiari : storie di conflitti e interventi / a cura di Diego Bissacco e Paola Dallanegra, presentazione di Emilio Fava. — Milano : F. Angeli, c2008. — 190 p. ; 23 cm. — (Politiche e servizi sociali ; 246). — Bibliografia: p. 185-187. — ISBN 9788846497222. Luoghi neutri – Milano (prov.)

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810 Servizi sociali monografia

I rapporti di prestazione nei servizi sociali Livelli essenziali delle prestazioni e situazioni giuridiche soggettive.

Viviana Molaschi La pubblicazione affronta, da un punto di vista giuridico, la tematica dei rapporti di prestazione nell’ambito dei servizi sociali, seguendo l’ipotesi che, per quel che riguarda i servizi sociali, l’elemento oggettivo della prestazione possa, unitariamente ad altri fattori, definire fin dalla sua fase costitutiva il rapporto tra erogatore del servizio e utente dello stesso, incidendo sulle situazioni giuridiche degli utenti. Il libro si apre con l’illustrazione delle diverse elaborazioni della dottrina riguardo i rapporti di prestazioni, non solo nell’ambito dei servizi sociali, ma in quello più generale dei servizi pubblici, tracciando l’evoluzione che nel corso del secolo scorso ha portato la ricostruzione dei rapporti di prestazione a seguire strade diverse da quella inerente agli altri servizi pubblici ed evidenziando le tappe essenziali del progressivo divergere delle due forme di servizio, che ha condotto, per i servizi pubblici, alla nascita della figura del contratto d’utenza, all’affermarsi, cioè, di una configurazione in chiave privatistica, mentre per i servizi sociali, trovando essi il presupposto in diritti sociali costituzionalmente protetti, a far riferimento a un quadro pubblicistico. Inizia proprio da qui l’indagine sui rapporti di prestazione nei servizi sociali, concentrandosi particolarmente sull’aspetto che identifica questi ultimi come relativi a “diritti finanziariamente condizionati”, formula che indica la subordinazione di tali diritti a un doppio ordine di fattori condizionanti: il fattore istituzionale e quello economico-finanziario. Non ci si limita a questo ordine di riflessioni, ma si prendono in considerazione una pluralità di situazioni giuridiche soggettive legate ai servizi sociali arrivando ad affermare che le posizioni giuridiche configurabili in relazione alla fruizione delle varie possibili prestazioni non è riconducibile a un’unica tipologia. I diritti sociali si dissolvono in una pluralità di situazioni giuridiche soggettive diverse; la doverosità della prestazione, la condizione soggettiva degli utenti e così via, sono tutti Rassegna bibliografica 1/2009

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elementi che concorrono alla loro determinazione. Pertanto, si rende necessario il ricorso alla cosiddetta teoria della pluriqualificazione o della relatività delle situazioni giuridiche che richiede una valutazione caso per caso. Per tale motivo, si prosegue poi nell’analisi dei “livelli essenziali delle prestazioni” introdotti dalla modifica del titolo V della Costituzione del 2001, analizzando i diversi settori (servizi sanitari, assistenza sociale, istruzione) i quali, pur con un comune riferimento costituzionale, sono connotati da peculiarità che ne giustifica una trattazione separata. In conclusione si affronta l’ipotesi dei livelli essenziali delle prestazioni come garanzia nell’ambito dei servizi sociali e conseguentemente l’impatto sulle posizioni giuridiche soggettive. In quest’ultimo, infatti, si valuta l’influenza sulle aspettative di prestazione degli utenti che la definizione dei livelli essenziali può contribuire a provocare. Nel fare ciò si parte dal contenuto della sentenza costituzionale n. 282/2002 in cui la definizione del livelli essenziali sembra rappresentare il contenuto degli stessi diritti sociali e civili a cui le prestazioni si riferiscono. Di conseguenza, quanto previsto nei livelli essenziali, secondo l’autrice, configurerebbe un diritto da parte degli utenti nei confronti degli erogatori pubblici e privati dei servizi. Alla stessa stregua la definizione dei livelli essenziali identificherebbe la doverosità dei servizi, configurando in capo al fornitore del servizio, privato o pubblico che esso sia, un dovere e un conseguente diritto soggettivo in capo all’utente nei confronti della prestazione attesa.

I rapporti di prestazione nei servizi sociali : livelli essenziali delle prestazioni e situazioni giuridiche soggettive / Viviana Molaschi. — Torino : Giappichelli, c 2008. — XVIII, 310 p. ; 24 cm. — (Nuovi problemi di amministrazione pubblica ; 17). — Bibliografia: p. 285-310. — ISBN 9788834885512. Servizi sociali – Livelli essenziali di assistenza – Italia

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Servizi sociali e giustizia minorile Il quotidiano dell’assistente sociale: tra ascolto e documentazione

Dina Galli

Le politiche sociali partecipano al processo di trasformazione della società in quanto agiscono e si inseriscono in un tessuto vitale rappresentato da persone, gruppi, comunità e istituzioni. Il servizio sociale e il sistema delle prestazioni socioassistenziali sono, al pari di altri settori quali la sanità e la previdenza, rilevanti nel contribuire alla direzione di tali trasformazioni. L’azione professionale è quindi chiamata a riformularsi velocemente, sapendo anticipare e guidare tali processi, e l’assistente sociale è una delle figure cardine del sistema dei servizi. Il lavoro sociale corrisponde a un’attivazione della società mirata alla risoluzione dei bisogni di persone, gruppi e comunità. I cambiamenti sociali comportano nuove e complesse problematiche cui la struttura sociale deve dare risposte. All’interno di questo quadro il lavoro sociale è una scienza che studia le modalità e le tecniche per dare soluzione ai problemi e, al contempo, è una prassi operativa in quanto deve essere in grado di supportare la capacità riflessiva e analitica. All’operatore sociale è richiesto, per far fronte alle nuove sfide provenienti dalla società, di padroneggiare diversificate metodologie, agendo con efficacia rispetto alla singola utenza, alla famiglia, alla comunità nella sua globalità, ma anche progettando e programmando servizi. Il presente testo intende proporre una panoramica di quanto la letteratura mette a disposizione circa il ruolo dell’assistente sociale, in particolar modo focalizzando l’analisi sugli strumenti del colloquio, della visita domiciliare e della documentazione. Il colloquio e la visita domiciliare hanno da sempre rappresentato i capisaldi della professione perché sono gli strumenti che consentono di inquadrare i problemi e di trovare soluzioni. Il contenuto dei colloqui e delle osservazioni emerse nell’ambiente familiare viene rappresentato attraverso la documentazione: colloqui, visite domiciliari e relazioni sono strumenti che caratterizzano la professione dell’assistente sociale, pertanto, tanto più sono applicazione rigorosa di metodologie quanto più la professione è svolta Rassegna bibliografica 1/2009

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con competenza. In questa prospettiva il testo si propone di tratteggiare un quadro dettagliato di tali strumenti, evidenziandone i punti di forza e al contempo gli aspetti critici che possono conseguire da un loro non adeguato impiego. Il colloquio viene posto in analisi da un punto di vista operativo andando a esaminare gli aspetti che un operatore è chiamato a tenere in considerazione nell’attuazione dello stesso, a partire dagli obiettivi che lo contraddistinguono e dalle strategie e tecniche che vengono applicate secondo gli aspetti legati al contesto per gestire l’assetto relazionale. Sulla base di questo sono presi in esame differenti tipologie di colloquio, da quelli di carattere informativo, a quelli finalizzati a una diagnosi psicosociale, da quelli finalizzati al trattamento ai colloqui finalizzati all’indagine psicosociale richiesta dalla magistratura. La visita domiciliare viene esaminata come processo dinamico, articolato in una serie di fasi e reso flessibile dalle competenze dell’operatore sociale sulla base degli obiettivi a cui la visita deve rispondere, dagli interlocutori e dai tempi della visita. Infine, la documentazione è intesa come la raccolta di dati finalizzata a un obiettivo, in cui il ciclo dell’informazione muove dalla raccolta dei dati, intendendo per dato la mera descrizione del fatto, per poi arrivare all’elaborazione, classificazione e organizzazione degli stessi, all’interpretazione dell’informazione e infine alla presa di decisione. A integrazione sono presentate varie tipologie di relazioni con l’intento di far recepire il linguaggio e cogliere come l’operatore ha lavorato, con particolare approfondimento per la documentazione che il servizio sociale invia agli organi della giustizia.

Servizi sociali e giustizia minorile : il quotidiano dell’assistente sociale : tra ascolto e documentazione / Dina Galli. — Milano : F. Angeli, 2008. — 186 p. ; 23 cm. — (Sociologia urbana e rurale ; 51). — Bibliografia: p. 183-186. — ISBN 9788856803952. Assistenza sociale

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I servizi sociali e le Regioni Elena Vivaldi

La riforma del titolo V della parte II della Costituzione, avvenuta con la legge costituzionale 3/2001, ha posto le basi per considerare i diversi livelli di governo su un piano di parità quanto alla loro capacità costitutiva. L’uguale dignità di Stato e Regioni quanto al loro profilo costitutivo può avere come conseguenza una forte differenziazione tra territori della Repubblica nell’ambito delle discipline affidate alle Regioni, con conseguenze importanti sulla tenuta di principi espressi nella prima parte della Costituzione, come quello di unità e indivisibilità della Repubblica o quello di uguaglianza, ad esempio. Tale rischio appare all’autrice ancora più concreto allorché si ragioni di diritti sociali, i quali sono diritti condizionati, non solo finanziariamente (essendoli tutti) ma legislativamente, nel senso che abbisognano più dei diritti di libertà di una decisione intermedia tra quella costituzionale (che ponendo il principio individua il bene giuridico da proteggere) e quella applicativa del giudice. Una decisione intermedia che sia in grado di specificare aspetti quali la titolarità del diritto, il suo contenuto e la relazione giuridica intersoggettiva che lega il soggetto obbligato al destinatario dell’intervento. Tale intermediazione legislativa è determinante per la concreta definizione di tali diritti e per la garanzia del loro effettivo godimento. A partire da queste premesse il volume si propone di valutare quale possa essere l’effetto della rinnovata potestà legislativa regionale sul diritto all’assistenza e ai servizi sociali, attraverso un’analisi della legislazione regionale in materia, delle pronunce della Corte costituzionale in merito al contenuto essenziale del diritto all’assistenza e della dottrina. Il primo capitolo si concentra sulla descrizione delle caratteristiche della potestà legislativa regionale prima e dopo la riforma del titolo V, evidenziando le problematiche lasciate aperte dal passaggio e le soluzioni suggerite dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Rassegna bibliografica 1/2009

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Il secondo capitolo ricostruisce brevemente le tappe legislative e giurisprudenziali che hanno portato all’individuazione della locuzione “beneficenza pubblica”. Si esamina poi nel merito il contenuto delle leggi regionali che si sono susseguite dagli anni Settanta all’entrata in vigore della novella costituzionale del 2001, che hanno dato attuazione al diritto sociale all’assistenza e creato un sistema di welfare regionale. Il terzo capitolo descrive le caratteristiche dei servizi sociali alla luce della legge 328/2000 e della legge di riforma costituzionale n. 3/2001. In particolare si esaminano le modalità con la quale la legge quadro ha inteso tutelare le posizioni soggettive dei destinatari dei servizi sociali. In questo contesto un’attenzione particolare è riservata all’introduzione, nella stessa, della nozione di prestazioni essenziali. Si riflette poi sui meccanismi di finanziamento del sistema integrato di servizi sociali, nonché sulle modalità con le quali è stato declinato il principio di sussidiarietà e i riflessi che esso ha avuto sui rapporti tra i livelli di governo. L’ultimo capitolo si sofferma sulle Regioni a statuto ordinario, esaminando sia gli statuti che le leggi regionali di riordino dei servizi sociali adottate dopo la riforma costituzionale, cercando di operare alcune valutazioni di sintesi sulla situazione attuale in merito alla tenuta della legge 328/2000, ai problemi lasciati aperti dalla riforma costituzionale, alle discipline regionali dei LIVEAS, al sistema di finanziamento, al ruolo del Comune, nonché alle scelte in merito alla sussidiarietà verticale e orizzontale.

I servizi sociali e le regioni / Elena Vivaldi. — Torino : Giappichelli, c 2008. — 226 p. ; 24 cm. — (Quaderni del dipartimento di diritto pubblico ; 44). — Bibliografia: p. 207-226. — ISBN 9788834887011. Servizi sociali – Legislazione regionale – Italia

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810 Servizi sociali monografia

Il servizio sociale Fondamenti e cultura di una professione

Elisabetta Neve

In Italia è recente lo sviluppo di elaborazioni e approfondimenti sugli aspetti che riguardano sia il sapere teorico del servizio sociale che il lavoro operativo degli assistenti sociali. Infatti, il passaggio da un sapere comune intorno ai problemi dell’uomo e della società a una lettura scientifica, e conseguentemente a una concezione professionale dell’aiuto, nonché alla soluzione di tali problemi non è un passaggio immediato nel consesso delle scienze. All’interno di questo scenario, il presente volume rappresenta uno dei contributi che si interrogano sulle basi e le fondamenta teoriche su cui poggia l’identità del servizio sociale. La scelta dei contenuti del testo riflette la convinzione che la natura e gli scopi del servizio sociale si connettono strettamente, da un lato, con le trasformazioni sociali dei bisogni e delle risposte sociali agli stessi, con l’evoluzione delle teorie delle scienze sociali, con certi sistemi di valori e di principi etici presenti nella società e, dall’altro lato, con le realtà storiche della prassi operativa degli assistenti sociali e le richieste concrete e contingenti dei vari contesti in cui operano. L’evoluzione del servizio sociale è fortemente influenzata da questi fattori, e, a sua volta, influenza tali realtà in un processo di continua interdipendenza. Questi elementi costituiscono anche la motivazione che ha spinto l’autrice ad aggiornare il precedente volume uscito nel 2000 e a ridisegnare gli aspetti della fisionomia della professione alla luce del più recente quadro normativo e culturale. I primi due capitoli del testo intendono dare risposta ad alcuni interrogativi: quali concezioni ha sviluppato il servizio sociale circa le ragioni e le modalità di risposta al disagio sociale, sia esso riferito a individui, a gruppi di popolazione o a intere collettività? Qual è la lettura che il servizio sociale dà del disagio, dei problemi sociali, dei bisogni delle persone? Quali meccanismi collegano domanda e offerta di risposte, in relazione a determinati tipi di struttura sociale e istituzionale che caratterizzano i diversi periodi storici? Rassegna bibliografica 1/2009

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La prospettiva adottata è storico-sociologica ed è volta a offrire una cornice generale a partire dalla quale vengono definiti il sistema etico-valoriale e le caratteristiche del suo specifico campo di intervento, nonché gli obiettivi generali e le funzioni del servizio sociale. I successivi tre capitoli descrivono più specificamente le origini e l’evoluzione della professione di servizio sociale in Italia in relazione al modificarsi dei problemi sociali e delle risposte attivate. In primo luogo emerge come il servizio sociale come disciplina non sia da confondere con i servizi sociali di cui usufruiamo in quanto questi sono strutture che erogano determinate prestazioni, e che, inoltre, l’assistente sociale è il professionista del servizio sociale e non semplicemente colui che fa assistenza; cioè, l’assistenza non è la professione del servizio sociale, ma una forma di risposta a certi problemi sociali o, in altri termini, l’insieme delle strutture e mezzi organizzati per rispondere ai bisogni socioassistenziali delle persone. Tali aspetti rendono conto del fatto che il servizio sociale viene a definirsi come una disciplina, analogamente ad altre discipline, come la medicina o la pedagogia, ovvero un sapere complesso non autonomo finalizzato alla operatività che ha per oggetto l’uomo nel suo rapporto con l’ambiente. Il volume si rivolge in questa nuova edizione agli studenti che si accingono a iniziare il percorso curricolare previsto per la formazione al servizio sociale, ma anche per chi desideri rafforzare motivazioni e professionalità in quanto docente, formatore, assistente sociale.

Il servizio sociale : fondamenti e cultura di una professione / Elisabetta Neve. — Roma : Carocci, 2008. — 262 p. ; 22 cm. — (Il servizio sociale ; 117). — Bibliografia: p. 257-263. — ISBN 9788874665532. Servizi sociali

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Welfare locali Studio comparativo sulla programmazione dei servizi sociali nelle regioni italiane

Mara Maretti

L’analisi delle modalità e delle specificità che caratterizzano le dimensioni in cui si articola il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali a livello regionale, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione e del varo della legge 328/2000, è essenziale per comprendere l’evoluzione dello Stato sociale in Italia. A partire da tali premesse il volume offre un contributo di analisi finalizzata a rappresentare in chiave comparativa le caratteristiche dei sistemi di welfare regionali, evidenziando i principali nodi e le prospettive di sviluppo. La prima parte del volume è finalizzata alla ricostruzione dell’evoluzione dei sistemi di welfare: dalla nascita della cittadinanza sociale alla formalizzazione dei modelli di Stato del benessere sviluppatisi nel corso del XX secolo negli Stati moderni. L’attenzione si concentra sull’evoluzione dello Stato del benessere in Italia e culmina nell’analisi dell’attuale legislazione nazionale che definisce il nuovo welfare delle Regioni. Un processo che si connota come sistema di governance multilivello per gli interventi e i servizi sociali che vede nelle Regioni il suo centro strutturante, che vede coinvolti tutti gli attori territoriali, istituzionali e non e che si esprime nella programmazione locale passando attraverso il livello statale e regionale. Nella seconda parte del volume vengono riportati i risultati di un’indagine esplorativa sul campo sviluppata tra il 2005 e il 2007. L’indagine ha avuto l’obiettivo di cogliere aspetti caratterizzanti il processo di strutturazione dei sistemi regionali, nel tentativo di comprendere in che modo e con quali difficoltà le Regioni costruiscono e caratterizzano il proprio sistema di servizi e interventi sociali. La ricerca ha coinvolto tutte le direzioni regionali competenti in materia di programmazione di interventi e servizi sociali. Queste ultime sono state contattate in quanto testimoni privilegiati della strutturazione del sistema di welfare delle Regioni e intervistate grazie all’invio di un questionario semistrutturato. Rassegna bibliografica 1/2009

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810 Servizi sociali

In una prima fase dell’esplorazione sono stati utilizzati documenti normativi (piani sociali e leggi regionali), rapporti di monitoraggio promossi dal Ministero del lavoro e politiche sociali e interviste ai direttori regionali. Questa prima fase ha visto la formulazione di un idealtipo interpretativo, sulla base del quale è stato strutturato il questionario poi inviato alle direzioni regionali. La seconda fase della ricerca si è articolata in più momenti che hanno visto alla fine l’elaborazione di un’analisi multivariata e il raggruppamento dei sistemi regionali di welfare secondo tre fattori: il livello di strutturazione del sistema di welfare regionale, il livello di innovazione nella pianificazione sociale, l’aderenza alle indicazioni della legge 328/2000. Il quadro di insieme che la ricerca consente di delineare mostra una spiccata disomogeneità territoriale con una marcata regionalizzazione del sistema di welfare. Nella parte conclusiva ci si interroga sui fattori che determinano tali disomogeneità. A tal fine, utilizzando la prospettiva mesosociologica del paradigma della strutturazione di Giddens, si formula uno schema interpretativo che puntando a mettere in risalto le funzioni di vincolo e risorsa negli elementi di strutturazione, cerca di offrire una spiegazione del perché di tali disomogeneità territoriali. Infine, in appendice, sono riportate 21 schede di sintesi che descrivono le caratteristiche dei sistemi di welfare regionali, compilate a partire dalle diverse fonti che sono state consultate per l’indagine.

Welfare locali : studio comparativo sulla programmazione dei servizi sociali nelle regioni italiane / Mara Maretti. — Milano : F. Angeli, c 2008. — 223 p. ; 23 cm. — (Temi dello sviluppo locale ; 2). — Bibliografia: p. 215-223. — ISBN 9788846499240. Servizi sociali – Programmazione – Italia

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830 Servizi sociosanitari articolo

La strategia regionale per l’attuazione dei livelli base di cittadinanza sociale in Toscana Maria Bezze, Elena Degli Innocenti, Tiziano Vecchiato

La Regione Toscana, in collaborazione con la Fondazione Zancan, ha realizzato a partire dal 2002 un percorso culturale e operativo sulle modalità di individuazione e attuazione di livelli base di cittadinanza sociale, che ha coinvolto rappresentanti tecnici e politici delle zone sociosanitarie. L’articolo descrive e analizza alcuni risultati di questa esperienza, ancora in corso di svolgimento, soffermandosi sull’esame della spesa sociale e sul monitoraggio della capacità di offerta da parte dei territori. Il percorso si è articolato in cinque fasi. La prima fase ha preso avvio nel 2002 e ha posto le basi per la strategia regionale di definizione dei livelli di cittadinanza in ambito sociale e sociosanitario. La strategia faceva leva su alcuni principi fondamentali del sistema di welfare: appropriatezza, sostenibilità economica, equità, efficacia, efficienza. Sono stati elaborati degli indici sintesi di livello di cittadinanza sociale in grado di rappresentare quanto ciascuna zona esprime in termini di risorse, risposte realizzate ed effetti. Nel 2003 ha preso avvio una seconda fase che ha portato a condividere sul piano istituzionale gli esiti della fase precedente e avviare al contempo alcuni approfondimenti, come ad esempio i regolamenti per l’accesso ai servizi. L’anno successivo con la terza fase ci si è dedicati alla costruzione di un sistema di classificazione dei servizi e degli interventi sociali che, oltre a definire i servizi rispetto al nome, all’area di bisogno, alle finalità e funzioni prevalenti, alla struttura e organizzazione, e agli operatori coinvolti, li ha classificati dal generale al particolare sulla base dei criteri individuati dalla legge 328/2000. Il tutto è stato poi formalmente recepito con una delibera di Giunta regionale, la n. 282 del 2005. La quarta fase si sviluppa a partire dal 2006 e ha visto approfondire l’analisi della spesa sociale dei Comuni, la capacità di risposta dei servizi, in modo da mettere in grado l’amministrazione Rassegna bibliografica 1/2009

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830 Servizi sociosanitari

regionale di determinare un livello minimo di offerta adeguata ai bisogni del territorio e alle risorse esistenti. Il 2007 ha segnato un’ulteriore tappa, finalizzata all’introduzione di una soglia minima di finanziamento e di erogazione di servizi da garantire in ogni territorio. In particolare è stato ipotizzato un livello minimo di finanziamento garantito a livello zonale da parte degli enti gestori, per tipologia di bisogno. Il passo successivo è stato la definizione di livelli minimi di offerta per tipologia di bisogno, definiti su base demografica e di epidemiologia sociale. La parte finale è dedicata alla descrizione del sistema di rilevazione e monitoraggio dell’offerta di servizi e interventi, che è stato avviato nel 2008 e alle prospettive di utilizzo regionale dei risultati. Le attività di monitoraggio stanno producendo: • indici di macro livello, relativi alla capacità di offerta e di spesa per ogni zona riferiti ai livelli di accesso e risposta, domiciliare, intermedia, residenziale, di pronto intervento per diversi bisogni; • indici di livello specifico; • indicatori di capacità di governo, relativi al rapporto tra spesa e capacità di risposta, per ogni zona. L’esperienza toscana si configura come una sorta di modello prototipo per il governo dei differenziali territoriali su basi conoscitive condivise e aggiornate. Un’esperienza capace di offrire un contributo al dibattito nazionale per costruire sistemi di welfare ispirati a principi di sussidiarietà, federalismo e reale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali coinvolti.

La strategia regionale per l’attuazione dei livelli base di cittadinanza sociale in Toscana / Maria Bezze, Elena Innocenti e Tiziano Vecchiato. In: Studi Zancan. — A. IX, n. 5 (sett./ott. 2008), p. 38-48. Servizi sociosanitari – Livelli essenziali di assistenza – Toscana

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922 Tecnologie multimediali monografia

Digital kids Come i bambini usano il computer e come potrebbero usarlo genitori e insegnanti

Susanna Mantovani e Paolo Ferri (a cura di)

L’utilizzo della tecnologia digitale a scuola oggi non è ancora molto diffuso. Gli autori partono dalla considerazione che non è più il tempo di domandarsi se tali strumenti possono essere dannosi o meno, ma che devono essere considerati linguaggi imprescindibili della comunicazione e dell’informazione, e quindi anche dell’apprendimento. Uno dei principali problemi che si incontrano nell’utilizzo delle nuove tecnologie è legata alla diversa provenienza delle persone che ne fanno uso. I ricercatori usano parlare di “immigrati digitali” e “nativi” come di due categorie di persone che hanno modi differenti non solo di utilizzare le tecnologie, ma anche di comunicare, e di utilizzare strumenti logici. I ricercatori individuano nei nati dopo il 1985 nelle società tecnologiche i “nativi digitali”, ma per l’Italia, data la scarsa diffusione nelle famiglie delle nuove tecnologie fino al 2007 (solo il 48% ha un computer), si sposta al 1996 questa data, che coincide con la diffusione delle prime reti Internet. Un nativo digitale predilige i percorsi logici paralleli (sullo stile degli ipertesti) e le rappresentazioni grafiche, mentre si trova in difficoltà con l’uso di logiche lineari e descrizioni alfabetiche dei concetti. Al contrario, gli immigrati digitali, pur utilizzando le nuove tecnologie si limitano a farne un uso sostitutivo degli strumenti analogici non sfruttandone e non comprendendone a pieno la logica. Il contesto nel quale questo contrasto si avverte maggiormente è proprio quello scolastico. I programmi di ricerca internazionale dell’OCSE sui nuovi studenti del millennio (NML), e l’indagine PISA (Programme for International Student Assessment) vuole osservare come cambiano gli stili di apprendimento nei giovani e quali effetti psicologici e sociali ha l’utilizzo delle tecnologie su varie fasce d’età dall’infanzia all’adolescenza. Secondo le ricerche citate i bambini che in casa hanno accesso a un computer hanno risultati di rendimento scolastico migliori rispetto a chi non ha questa possibilità. Chi usa periodicaRassegna bibliografica 1/2009

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922 Tecnologie multimediali

mente il computer a casa ha ottenuto più alti risultati di rendimento ma chi lo usa frequentemente a scuola ha punteggi più bassi, fatto che indica che il contesto e il modo in cui viene utilizzato è importante. Si evidenzia inoltre un uso diffuso da parte degli adolescenti dei media digitali per comunicare, con oltre il 50% che ne fa uso tutti i giorni. Alcuni focus group realizzati in Italia con gli insegnanti di vari ordini di scuola hanno mostrato una generale diffidenza verso i media tecnologici, soprattutto per il timore che la tecnologia possa inibire le capacità creative dei bambini ed estraniarli dalla realtà o rappresentare un pericolo per la loro capacità di scelta. Questo approccio genera una differenza fondamentale con gli stili cognitivi dei bambini che invece fanno uso normale di tali strumenti. Per gli insegnanti più disponibili un errore comune è quello di pensare di poter insegnare il computer come un “fine” mentre per i nativi è solo uno strumento per la comunicazione, per fare ricerche e per giocare, attività tutte importanti e significative sul piano cognitivo. La ricerca italiana ha condotto a una serie di percorsi formativi rivolti agli insegnanti per accedere al mondo della tecnologia digitale, che hanno permesso un confronto tra insegnanti più esperti e meno esperti sulla propria idea di bambino e di apprendimento, e sul ruolo che in questo può avere la tecnologia una volta tolto il pregiudizio che è la tecnologia a fare il bambino, piuttosto che il bambino a stabilire cosa fare della tecnologia. Questa esperienza ha mostrato che una metodologia che contempla il lavoro in piccoli gruppi, il confronto e la discussione, facilita il lavoro tra gli insegnanti i quali possono trasferirla a loro volta nel lavoro con gli alunni.

Digital kids : come i bambini usano il computer e come potrebbero usarlo genitori e insegnanti / a cura di Susanna Mantovani, Paolo Ferri. — Milano : Etas, 2008. — XXXII, 221 p. ; 22 cm. — Bibliografia: p. 193-205. — ISBN 9788845314261. Computer – Uso da parte dei bambini e degli adolescenti

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934 Attività culturali monografia

Dal graffito artistico al graffito vandalico Psicodinamica di una nuova dipendenza compulsiva

Roberto Pani e Samanta Sagliaschi Scrivere in luoghi pubblici, esprimere le proprie emozioni attraverso segni grafici appartiene da sempre alla natura umana, dai graffiti nelle caverne alle pitture e iscrizioni delle grandi civiltà del mediterraneo. La moderna attività di graffiti prende origine alla fine della Seconda guerra mondiale a opera dei soldati americani che siglano il loro passaggio con un’immagine stilizzata e la scritta Kilroy was here. La moda prende piede e sono sempre più le persone che, bomboletta spray alla mano, scrivono sigle che rappresentano il loro nome o immagini artistiche, scritte di protesta o slogan politici. A volte compaiono sui muri della città per segnare il territorio di una banda, o sul pavimento di una piazza, sui vagoni dei treni, o sui cartelloni pubblicitari. Si utilizzano stili e materiali diversi, e si mescolano immagini e scritte. In molti casi si tratta di vere e proprie forme d’arte che sono apprezzate e riconosciute largamente, anche se inizialmente avversate da chi subisce la loro comparsa improvvisa sulle superfici private e pubbliche. A volte il graffito si è associato a una cultura musicale come il rap e l’hip-hop, e i graffitisti più bravi sono riusciti a portare la loro opere dalle strade alle gallerie d’arte. Di tutt’altro genere sembrano essere le abitudini diffuse in gran parte del mondo da quelli che vengono definiti dagli autori, “graffittari”, o tipi “da bomboletta facile”, ovvero coloro che non hanno un’intenzione artistica nel segnare con vernice pareti, pavimenti e persino monumenti. Queste sono definibili come azioni vandaliche che tendono a danneggiare e sporcare ciò che sta sotto alla scritta e attaccare le persone che considerano importanti le cose sulle quali si scrive. L’atto di sporcare con segni e scritte di cui si capisce poco il senso e l’intenzione, sembra legata a un bisogno di esprimere una protesta più che motivata da scopi artistici (graffiti) o politici (murales). Dall’esperienza clinica condotta dagli autori con alcuni di Rassegna bibliografica 1/2009

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934 Attività culturali

questi ragazzi sembra che questi non possano fare a meno di sporcare e riversare sui muri la propria rabbia. Un campione di 77 giovani inseriti in una ricerca a livello nazionale evidenzia il bisogno compulsivo di scrivere e imbrattare che sembra diventare una vera e propria dipendenza. Il gesto risponde alla necessità di avere una visibilità, di essere rappresentati all’esterno da una scritta, di esistere in qualche forma trasgressiva, e proprio la trasgressione è un elemento fondamentale dell‘atto. Infatti, dalle interviste risulta forte la connessione tra rischio ed eccitamento collegato al comportamento illegale come atto di trasgressione verso la legge e i genitori stessi, che non approverebbero i loro gesti. Il gruppo dei graffitari, inoltre, diventa il luogo di protezione ove tali impulsi si possono esprimere e un luogo di identificazione che agevola l’emergere di tali impulsi. Nonostante le famiglie di origine siano descritte dai ragazzi prevalentemente come famiglie normali con entrambi i genitori e relazioni serene, dall’esperienza clinica e dalle interviste risulta evidente come siano i legami affettivi deboli e compromessi ad avere un ruolo nell’emergere di questi comportamenti e che c’è sempre uno stato di sofferenza e di vuoto che suscita una rabbia non controllabile che così si esprime. Le risposte pubbliche a questi comportamenti oscillano tra la repressione dura e l’offerta di spazi pubblici come luoghi destinati alla libera espressione, interventi che risultano entrambi ugualmente inefficaci. Quando la dialettica tra mondo interiore ed esterno diventa creativa questa permette alle angosce di essere oggettivate, ai mostri di prendere forma e al soggetto di trionfare su di essi; la protesta si fa elaborazione e crea uno spazio di crescita dell’autostima e dell’accettazione di sé.

Dal graffito artistico al graffito vandalico : psicodinamica di una nuova dipendenza compulsiva / Roberto Pani, Samanta Sagliaschi. — Novara : UTET, 2008. — X, 128 p. : ill ; 21 cm. — (Psicologia). — Bibliografia ed elenco siti web: p. 119-125. — ISBN 9788860082251. Graffiti

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956 Lettura monografia

Le letture dei piccoli Una proposta di “categorizzazione” dei libri per i bambini da 0 a 6 anni

Enrica Freschi

Negli ultimi decenni l’attenzione degli esperti si è concentrata sulla valorizzazione della lettura anche in età prescolare, evidenziando i molteplici significati che questo tipo di attività può assumere nell’accompagnare la crescita dei piccoli. La lettura, in particolare quella ad alta voce con l’adulto, è infatti in grado di influenzare non solo lo sviluppo cognitivo e linguistico dei bambini, ma anche quello emotivo e relazionale. Le immagini del libro unite alla voce dell’adulto creano una “situazione emotivamente calda” che, oltre ad alimentare il legame, favorisce lo svilupparsi della fantasia, svelando allo stesso tempo il nesso profondo che esiste tra immaginazione e realtà. In questo modo i bambini vengono accompagnati nella conoscenza del mondo e stimolati a rielaborarlo per farlo proprio in maniera creativa. È alla luce di tali consapevolezze che, negli ultimi anni, si è cercato di individuare nuove strategie capaci di stimolare nel bambino il piacere di leggere offrendogli libri vicini alle sue esperienze e ai suoi vissuti. Il volume di Enrica Freschi, articolato in cinque capitoli, si colloca in questo scenario, presentando uno spaccato relativo ai libri che si rivolgono ai bambini da zero a sei anni, con un’attenzione particolare ad aspetti relativi a formato, contenuto, immagini, linguaggio. Il lavoro fa specificatamente riferimento a un genere narrativo, l’albo illustrato, dai contenuti fortemente comunicativi sia per quel che concerne il testo sia per quel che riguarda le immagini. L’autrice sottolinea fin dal primo capitolo il significato di un’educazione alla lettura che abbia inizio sin da piccolissimi, al fine di stimolare, attraverso un approccio ludico e affettivo, il piacere di “vivere” i libri con i cinque sensi. In questo l’adulto assume un ruolo fondamentale, e con lui anche la famiglia e i servizi educativi, asilo nido e scuola dell’infanzia in primis, che sono oggi chiamati a collaborare con le biblioteche per ragazzi al fine di poter usufruire di proposte variegate entro cui orientarsi. Per questo diventa necessario dotare insegnanti, educatori, genitori, di una Rassegna bibliografica 1/2009

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956 Lettura

“cassetta degli attrezzi” capace non solo di direzionare le scelte verso i testi più idonei, ma anche di fornire strategie utili alla lettura ad alta voce. Lettura narrativa e dialogata, ci spiega Enrica Freschi nel secondo capitolo, sono le due principali strategie di lettura di cui l’adulto si può servire durante questa attività, accompagnando la comprensione del testo da parte del bambino. Comprensione che potrà poi essere opportunamente verificata attraverso modalità che siano in sintonia con la cornice di piacere e intrattenimento che sempre la lettura deve saper conservare. Per poter proporre ai bambini libri adatti alle loro esigenze è necessario conoscere le offerte editoriali e sapersi muovere in maniera critica all’interno di questa vasta produzione. Nell’intento di fornire una “guida orientativa” in questa direzione, il volume presenta, nel suo terzo capitolo, una proposta di “categorizzazione” dei libri per la fascia 0-6 anni, mettendo in relazione l’età e gli stadi evolutivi dei piccoli lettori con le caratteristiche principali che un buon libro dovrebbe avere, facendo particolare riferimento alla tipologia di storia narrata, al linguaggio e alle illustrazioni, oltre a soffermarsi sui vari generi che costituiscono la narrativa rivolta all’infanzia. Gli ultimi due capitoli prendono poi in considerazione alcuni specifici albi illustrati che affrontano in maniera originale tematiche legate alla crescita dei bambini. Per la sua veste teorico-pratica, questo volume appare dunque particolarmente utile, non solo per gli studenti universitari, ma anche per tutti coloro che, a diverso titolo, si occupano di infanzia fuori e dentro i servizi educativi.

Le letture dei piccoli : una proposta di “categorizzazione” dei libri per i bambini da 0 a 6 anni / Enrica Freschi. — Tirrenia : Edizioni del Cerro, 2008. — 196 p. ; 22 cm. — Bibliografia: p. 183-194. — (Biblioteca di scienze della formazione ; 28). — ISBN 9788882163143. Bambini – Lettura

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FOCUS INTERNAZIONALE articolo

Articoli su: i servizi di supporto alle famiglie in contesti di accertato o grave rischio di abuso sui bambini; la formazione degli operatori impegnati nei casi di abuso e maltrattamento; la scelta dell’età del bambino da adottare What parents value from formal support services in the context of identified child abuse / Fotina Hardy, Yvonne Darlington In: Child & Family social work. – August 2008, Vol. 13, n. 3, p. 252-261 Vittime di violenza sessuale : Bambini e adolescenti – Sostegno – Valutazione da parte dei genitori – Australia The knowledge of caring : revisiting the need for knowledge support of carers / Jennifer Osmond, Teresa Scott, Julie Clark In: Child & Family social work. – August 2008, Vol. 13, n. 3, p. 262-273 Operatori sociali – Formazione – Temi specifici : Vittime di violenza sessuale : Bambini e adolescenti – Assitenza – Australia An exploration of adopters' views regarding children's ages at the time of placement / Katharine Brind In: Child & Family social work. – August 2008, Vol. 13, n. 3, p. 319-328 Bambini adottati - Scelta da parte dei genitori adottivi

L’articolo di Hardy e Darlington analizza i servizi australiani di supporto alle famiglie in contesti di accertato o grave rischio di abuso e danno per i bambini attraverso un’indagine focalizzata sulle esperienze di fruizione dei genitori. La ricerca integra una prospettiva critica e una ecologica, concentrandosi sia sugli aspetti strutturali e critici del fenomeno, che sui rapporti interrelazionali e sulle relazioni tra gli individui e il loro ambiente. Pur trattando un numero ridotto di esperienze, quattro madri e due padri, l’indagine promuove uno studio in profondità in grado di offrire un quadro sfaccettato di un fenomeno molto complesso, fornendo indicazioni per migliorare la qualità e l’efficacia delle attività di supporto. L’indagine si è rivolta a quei genitori coinvolti in un programma intensivo di supporto, anche basato su interventi domiciliari, volto a limitare la ricorrenza di abuso e gli effetti derivanti da una situazione di grave sofferenza per il bambino. Condotto attraverso interviste in profondità, lo studio si è focalizzato sulle difficoltà dell’essere genitori, sui tipi di sostegni, formali e informali, utilizzati e sulla loro utilità o inefficacia. Centrale nella valutazione dei servizi da parte degli intervistati Rassegna bibliografica 1/2009

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Focus internazionale

è risultato essere il rapporto con gli operatori soprattutto laddove questi si sono rivelati presenti e molto disponibili e pertanto in grado di costruire una solida relazione. Le principali caratteristiche identificate positivamente sono state: l’essere partecipativi e collaborativi, il non essere giudicanti, l’avere fissato degli obiettivi da raggiungere e averli esposti e condivisi chiaramente con i genitori, l’avere previsto un servizio continuativo con dei periodici momenti di confronto. La presenza di un servizio che si impegna positivamente e significativamente con i genitori, che riesce a integrarsi con i servizi di tutela del bambino e garantisce l’accesso universale ai servizi fondamentali risulta avere degli impatti positivi per il bambino e per la famiglia. Sulla base di tali evidenze, e in linea con molta letteratura internazionale, gli autori sostengono pertanto la necessità che i servizi adottino approcci olistici e integrati che prendano in considerazione sia gli aspetti relazionali del disagio che quelli più strutturali, quali povertà e diseguaglianza, evitando interventi singoli e isolati. L’articolo di Osmond, Scott e Clark tratta un tema poco dibattuto nell’ambito della cura e dell’assistenza sociale, quale quello delle conoscenze teoriche e pratiche possedute dagli operatori specialmente nei casi di bambini abusati e maltrattati. Si riportano i risultati di una ricerca condotta in Australia con interviste in profondità a dieci operatori affidatari senza rapporti di parentela con i bambini affidati. Il tentativo dell’indagine è di rilevare quali conoscenze sull’abuso sono possedute e messe in pratica dagli operatori e come, eventualmente, possono essere sistematizzate per essere impiegate in corsi di formazione. La peculiarità dell’indagine risiede anche nella modalità di intervista volta a “mettere in situazione” l’operatore in modo da ricevere resoconti il più possibile aderenti alla sua esperienza lavorativa e poter così conoscere le modalità adottate e le difficoltà incontrate. Dallo studio risulta come gli operatori posseggano differenti livelli di conoscenza, composti da un mix di comprensione personale e convenzionale dell’attività di cura, ma in molti abbiano difficoltà a definire concetti come l’attaccamento, la sofferenza, lo sviluppo infantile e la gestione del comportamento, così come a dimostrarne una conoscenza operativa sul campo. Tali lacune si ritraducono spesso in disagio, senso di inadeguatezza e sofferenza degli stessi operatori per l’incapacità di riuscire ad affrontare la complessità delle situazioni dei bambini abusati. In questo senso gli autori auspicano una professionalizzazione del servizio, con l’attivazione di qualificati percorsi di formazione, anche valorizzando le conoscenze sperimentate da operatori esperti Rassegna bibliografica 1/2009

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Focus internazionale

opportunamente formati, e di attività di sostegno che vadano incontro ai loro bisogni conoscitivi ed emotivi. L’articolo di Brind indaga le ragioni che influenzano gli aspiranti genitori adottivi nella scelta dell’età del bambino. I dati sulle adozioni nel Regno Unito testimoniano infatti una tendenza sempre più diffusa a privilegiare neonati o bambini molto piccoli a discapito di quelli al di sopra di 5 anni. L’autrice presenta una ricerca condotta su piccola scala attraverso questionari e interviste semi-strutturate sia a genitori adottivi che a operatori sociali responsabili in adozione. Dopo aver presentato le motivazioni che portano una coppia ad adottare, molto spesso legate a infertilità o ad altruismo, l’autrice cerca di capire le ragioni che frenano la scelta dei bambini più grandi. Le coppie adottive sembrerebbero preferire un bambino piccolo per la vicinanza di una tale esperienza genitoriale con quella dei genitori naturali; per via di una negativa rappresentazione dei bambini grandi come difficili e problematici; per il desiderio di poter influenzare la personalità del bambino, basato sul convincimento che questo sia più facile con i bambini piccoli. Mostrare video sulle condizioni di vita dei bambini grandi in attesa di adozione, come tentativo di incentivazione, sembra toccare emotivamente molti dei genitori ma non essere sufficiente per modificare i loro desideri iniziali. Le coppie più disponibili ad adottare bambini sopra i 5 anni sono quelle che hanno già figli e che sembrano pertanto motivate dalla volontà di aiutare a migliorare la loro condizione di vita. Tuttavia molte coppie hanno riferito di essere state scoraggiate sin dall’inizio dagli stessi assistenti sociali, spesso divisi tra quanti ritengono di dover rispettare l’autonomia dei genitori richiedenti, solo evidenziandone le difficoltà, e quanti, al contrario, ritengono di doverli controllare verificando la presenza di un certo numero di competenze minime. In conclusione per promuovere l’adozione dei bambini più grandi l’autrice suggerisce di abbandonare strategie di marketing inconcludenti, come quelle dei video, e dirottare quelle energie per la riduzione dei ritardi nelle adozioni. Provare a intercettare coppie senza problemi di fertilità e, allo stesso tempo, avviare un percorso di riflessione con quelle con tali difficoltà procreative. Contrastare le rappresentazioni stereotipate presenti nei media sui bambini grandi come bambini problematici, promuovendo pubblicità in grado di presentarne le reali condizioni.

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Focus internazionale articolo

Articoli su: i bambini con responsabilità di cura; le rappresentazioni del fumare da parte dei preadolescenti; i bambini e l’uso di Internet All work and no play? Understanding the needs of children with caring responsabilities / Jo Aldridge. – Bibliografia: p. 263-264. In: Children & society. – July 2008, n. 4, vol. 22, p. 253-264 Datori di cure : Bambini e adolescenti Kids who smoke think that they can be adults as well: children's smoking and transitions to adulthood / Beth S. Milton, Lindsey Dugdill, Lorna A. Porcellato, R. Jane Springett. – Bibliografia: p. 300-302. In: Children & society. – July 2008, n. 4, vol. 22, p. 291-302 Tabagismo – Rappresentazione da parte dei preadolescenti – Regno Unito Risky experiences for children online : charting European research on children and the Internet / Sonia Livingstone, Leslie Haddon. – Bibliografia: p. 322. In: Children & society. – July 2008, n. 4, vol. 22, p. 314-323 Internet – Uso da parte dei bambini

Questo numero propone una lettura non convenzionale del concetto di infanzia tale da stimolare molti ripensamenti su alcuni tradizionali assunti sui bambini. Nel fare questo presenta alcune ricerche su un argomento di ricerca diffusosi recentemente a livello internazionale e poco o per nulla affrontato nel contesto italiano come la situazione di quei bambini, definiti “young carers”, che si prendono cura dei genitori affetti da permanenti malattie mentali o da gravi disabilità. L’articolo di Aldridge, fondatrice del Gruppo di ricerca sui bambini con responsabilità di cura, con sede all’Università di Loughborough nel Regno Unito, non affronta questo tema soffermandosi su argomenti già ampiamente dibattuti come i motivi della cura o l’impatto che le attività di cura possono avere sullo sviluppo dei bambini e sulla loro infanzia, bensì evidenziando la prospettiva spesso inascoltata dei bambini. Sulla base di fondate ricerche l’autrice sostiene la necessità di allontanarsi da semplicistiche rappresentazioni mediatiche e popolari di questi bambini come “piccoli angeli” o “vittime innocenti” della malattia genitoriale, ma di impegnarsi per comprendere più approfonditamente il significato personale e contestuale del loro agire. L’articolo cerca di dipanare le Rassegna bibliografica 1/2009

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contraddizioni tra la rappresentazione condivisa della cura e del curare come responsabilità e lavoro e quella dell’infanzia come mancanza di responsabilità richiamate dalla figura dei “bambini che curano”, e invita a cogliere la sfida che queste esperienze pongono alla nostra concettualizzazione dell’infanzia unicamente come bene da proteggere. Un approccio solo protezionista nega infatti un riconoscimento al bambino come attore sociale, dotato di agency e di abilità maturata con l’esperienza e, circoscrivendolo nel ruolo di vittima-angelo, rischia di disconoscere un’esperienza che è fatta sia di sofferenza che di affetto. Né la loro situazione sarebbe categorizzabile come lavoro, al pari di altre forme di lavoro infantile, non solo per la maggiore onerosità e responsabilità connessa con la cura di persone gravemente malate ma anche per la mancanza di scelta, di retribuzione e di un reale potere di negoziazione. Secondo l’autrice la ridotta libertà di scelta non sarebbe dovuta a una cattiva relazione con i genitori ma alle stesse caratteristiche delle attività di cura e, soprattutto, all’assenza di adeguati servizi di supporto dall’esterno e di un riconoscimento del reale contributo dato dai bambini. Solo leggendola nei termini di una relazione, più che di un lavoro, si riuscirebbe a comprendere maggiormente la complessità di una situazione in cui il dovere si intreccia all’amore, la fatica alla soddisfazione di aiutare e dove spesso il coinvolgimento del bambino nella cura del proprio genitore non solo mitiga gli effetti negativi della malattia ma ne rafforza il legame. Al fine di poter giungere a una conoscenza più approfondita e per superare le difficoltà di molti bambini a esprimere verbalmente la loro situazione è suggerito l’uso di strumenti di ricerca visuali. Precedenti indagini in cui i bambini hanno realizzato dei diari fotografici del loro quotidiano hanno infatti rivelato la presenza di altre dimensioni, come il gioco, e di ulteriori esperienze affettive che insieme alla cura costituiscono la loro vita. Come il concetto di infanzia sia culturalmente e socialmente costruito è mostrato anche nell’articolo di Milton, Dugdill, Porcellato e Springett riguardante le rappresentazioni sul fumo e le sue ricadute sulla salute possedute da molti preadolescenti inglesi intervistati a 9 e 11 anni. Gli autori indagano i differenti modi in cui i bambini associano il fumo agli adulti e alla transizione alla vita adulta riferendosi ai dati raccolti all’interno di uno studio longitudinale sul fumo a Liverpool. Se nella coorte dei 9 anni il fumo è considerato più nocivo per i bambini che per gli adulti perché quest’ultimi «hanno i polmoni più grandi e sono più robusti» o hanno Rassegna bibliografica 1/2009

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«maggiori abilità nel fumare» oltreché superiori competenze per prendere decisioni e valutare i rischi. Per la coorte degli 11 anni, che ha molto spesso già sperimentato il fumo, fumare non è più visto così negativamente solo per i bambini perché molti hanno consapevolezza delle malattie che può causare anche agli adulti. In generale lo studio rivela come le restrizioni legali al fumo connesse con l’età, seppure volte alla protezione della salute, rischiano di produrre dei comportamenti nei giovani contrari a quelli voluti poiché non fanno altro che rafforzare un’associazione tra il fumo e l’essere adulto. Se in taluni bambini questa associazione può trattenerli dal fumare perché non si sentono “ancora in grado di” o “sufficientemente abili fisicamente e mentalmente”, in altri può al contrario spingere al fumo come dimostrazione di maturità. Poiché all’infanzia sono associate restrizioni alla libertà che non sussistono in età adulta molti bambini utilizzano il fumo come un modo per negoziare un’identità e uno status sfidando le norme sociali che demarcano i confini della vita adulta. In questo senso le iniziali esperienze di fumo potrebbero essere lette anche come una strategia di resistenza rispetto a una società che utilizza il criterio dell’età come strumento ideologico per controllare e restringere l’autonomia dei bambini. L’ultima sezione tematica è dedicata alla presentazione di una rassegna sulle ricerche realizzate in Europa sull’uso di Internet da parte dei bambini. Il resoconto a cura di Livingstone e Haddon adopera le risorse elaborate dal network EU kids online per mappare lo stato della ricerca ed evidenziarne alcuni dei gap conoscitivi ancora esistenti. Alla presenza di ricerche di tipo comparato è legata l’efficacia di politiche europee rilevanti per la vita dei bambini specialmente in un ambito così variamente sviluppato come quello delle nuove tecnologie. A una prima ricognizione sullo stato dell’arte risulta una diseguale diffusione di tali studi (in tutto 235), in parte a causa della recente diffusione massiccia di Internet in alcuni Stati che della mancanza di fondi di ricerca. Tra quelli in cui risulta una maggiore attenzione e sensibilità spiccano i Paesi scandinavi e quelli del Nord Europa, ma in generale sono tutti difficilmente comparabili per la diversità degli obiettivi, dei soggetti intervistati, della metodologia e della scala adottata nella ricerca. Poiché il progetto EU kids online era interessato a mappare le ricerche sui rischi in rete per i bambini, queste sono state codificate in base a quattro categorie di rischio. In termini di frequenza risulta una maggiore concentraRassegna bibliografica 1/2009

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Focus internazionale

zione di studi sul rischio rispetto ai “contenuti”, seguiti da quelli “da contatto” e di “violazione della privacy”, con poco interesse per quelli “commerciali”. Le autrici fanno comunque notare come le ricerche siano “deboli” rispetto alle forme e ai contesti in cui avviene l’accesso a Internet. Poco si conosce del rischio rispetto ai bambini al di sotto dei 9 anni; poco rispetto alle altre piattaforme, oltre al pc, attraverso cui accedono a Internet; poco rispetto alle nuove forme di comunicazione web 2.0 ben più diffuse tra i giovani rispetto a quelle 1.0. Ancora da sviluppare sono gli studi sui rischi commerciali in rete, sull’efficacia della mediazione genitoriale, ma soprattutto sulle risposte dei più giovani alle soluzioni proposte dagli adulti. Rispetto alla metodologia di lavoro in un campo in continuo mutamento le autrici suggeriscono di fare ricerche congiunte a livello internazionale, in modo da condividere le conoscenze nel rispetto delle differenze. Nello specifico della ricerca, suggeriscono di adottare approcci interdisciplinari e multimetodo, oltre che coinvolgere i bambini per evitare che l’agenda sia guidata dalle paure mediatiche che non tengono in considerazione le loro reali preoccupazioni, fatte più di virus, bullismo, violazione d’identità e discriminazioni che di pornografia o pericolo dello sconosciuto.

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Focus internazionale articolo

I diritti umani alla luce dell’infanzia Human Rights in Light of Childhood / John Wall. – Bibliografia: p. 542-543. In: The International Journal of Children’s Rights. – V. 16, 2008, n. 4, p. 523-543. Bambini e adolescenti – Diritti – In relazione ai diritti umani

Il presente numero della rivista The international journal of children’s rights presenta una serie di articoli che approfondiscono diversi aspetti relativi alla teoria e all’applicazione dei diritti dell’infanzia. In particolare vengono analizzati i seguenti temi generali: una rilettura dei diritti umani alla luce dei diritti dell’infanzia; i sistemi di controllo e di misurazione dell’implementazione dei diritti dell’infanzia; un’analisi critica dell’art. 14 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia riguardante la libertà di religione. Vengono poi affrontate una serie di questioni più specifiche quali: il rapporto tra applicazione dei diritti dei bambini e prevenzione della criminalità giovanile in Canada; un’analisi del diritto dei bambini a essere ascoltati in alcune leggi della Scozia e del Galles e infine un approfondimento sulle tecnologie di riproduzione assistita dal punto di vista del benessere dei bambini. Per quanto riguarda il primo tema, nell’articolo qui presentato Human rights in light of childhood (I diritti umani alla luce dell’infanzia), John Wall espone la tesi secondo cui i diritti dell’infanzia potranno realmente trasformare la società solo quando il concetto stesso di diritti umani verrà ridefinito alla loro luce. Per dimostrare la sua tesi l’autore ripercorre la storia della costruzione dei diritti umani fino ad arrivare alla stesura della Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989 e a come questa abbia contribuito a modificare la concezione più ampia di diritti umani. John Wall sviluppa la sua teoria partendo dalla constatazione che il gap esistente tra i diritti dei bambini sulla carta e nella realtà non dipende solo da una loro mancata implementazione da parte degli Stati, ma dalla concezione stessa di diritti umani. Nonostante, infatti, i bambini costituiscano un terzo di tutta l’umanità, i diritti umani continuano a essere fondati sulla prospettiva e sulle esperienze degli adulti. Questo deriva in particolare dalla concezione dell’infanzia presente nelle diverse teorie che in Occidente sono state alla base della formulazione dei diritti umani. L’autore ne Rassegna bibliografica 1/2009

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Focus internazionale

identifica tre: la prima si fonda su una concezione etica dell’infanzia “dall’alto al basso” che prevede che i bambini siano educati e “civilizzati” da parte degli adulti al fine di uscire da uno stato di natura che necessita di essere superato. La concezione opposta “dal basso all’alto” vede i bambini come la prova della originale bontà e purezza dell’umanità e della necessità di incoraggiare e promuovere i talenti e le potenzialità presenti in ognuno di loro, tuttavia questa teoria indulge in una visione sentimentale dell’infanzia. La terza teoria è quella che vede i bambini come soggetti in evoluzione e che enfatizza, quindi, le loro capacità di sviluppo, ma al tempo stesso sottolinea nei bambini ciò che non sono ancora, ovvero degli adulti pienamente sviluppati. L’autore prende poi in esame l’attuale riflessione sui diritti umani mettendo in evidenza come, se da un lato a livello di riflessione teorica l’infanzia venga raramente presa in considerazione, a livello di pratiche, i bambini sono invece spesso al centro dell’interesse. Prova ne è il fatto che la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989 (CRC) è lo strumento internazionale sui diritti umani più ratificato al mondo. Tale Convenzione si pone come una pietra miliare non solo nella storia dei diritti dell’infanzia, ma anche in quella più ampia dei diritti umani in quanto accanto ai cosiddetti diritti di promozione e diritti volti a garantire misure e servizi, si prevedono anche i diritti di partecipazione, quali il diritto a essere ascoltato, la libertà di espressione, di pensiero, coscienza e religione, di riunione e associazione, il diritto alla privacy e ad avere accesso alle informazioni appropriate e ai mass media. Complessivamente la CRC contiene diritti che si rifanno a tutte e tre le concezioni precedente indicate: dall’alto al basso, dal basso all’alto, e centrata sullo sviluppo che, secondo l’autore, sono tutte necessarie e devono essere interrelazionate. Tuttavia l’epoca attuale necessita di un’ulteriore evoluzione fondata sulla presa in considerazione della responsabilità morale verso l’altro e sul riconoscimento che le società sono reti di relazioni umane interdipendenti e responsabili l’uno verso l’altra. Se le società vengono concepite come “reti di diversità” anche l’essere “altro” dei bambini potrà rientrarvi a pieno titolo e i bambini potranno essere riconosciuti come componenti a parte intera della società. Su questa base i diritti umani possono essere interpretati non solo e non tanto come mere espressioni di libertà e interessi individuali, ma come costruzioni sociali che definiscono le reciproche Rassegna bibliografica 1/2009

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responsabilità tra esseri umani con lo scopo finale di costruire delle società più inclusive. Da questo punto di vista la CRC può essere letta non solo come un’estensione dei diritti degli adulti ai bambini, ma come un modello per cominciare a immaginare i diritti umani in modo più inclusivo.

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Focus internazionale articolo

Articoli su: l’obbligo di segnalazione della violenza domestica; la risposta terapeutica alla violenza familiare; l’impatto della violenza domestica sul benessere e lo sviluppo del bambino Problems in the system of mandatory reporting of children living with domestic violence / Cathy Humphreys. – Bibliografia: p. 237-239. In: Journal of family studies. – V. 14, n. 2-3 (ott. 2008), p. 228-239. Vittime di violenza intrafamiliare : Bambini e adolescenti – Tutela – Australia Baby lead the way : mental health group work for infants, children and mothers affected by family violence / Wendy Bunston. – Bibliografia: p. 340-341. In: Journal of family studies. – V. 14, n. 2-3 (ott. 2008), p. 334-341. 1. Vittime di violenza intrafamiliare : Bambini e adolescenti – Psicoterapia – Progetti – Australia 2. Madri in difficoltà – Rapporti con i figli – Sostegno – Progetti – Australia Understanding the impact of abuse and neglect on children and young people referred to a therapeutic programm / Margarita M. Frederico, Annette L. Jackson and Carlina M. Black. – Bibliografia: p. 359-361. In: Journal of family studies. – V. 14, n. 2-3 (ott. 2008), p. 342-361. Bambini e adolescenti – Sviluppo psicologico – Effetti della violenza intrafamiliare

Il volume 14 della rivista Journal of family studies è interamente dedicato alla disamina del problema della violenza familiare sia dal punto di vista normativo che da quello terapeutico di recupero della vittima. Si tratta di un numero speciale che si articola su tre parti rispettivamente dedicate: all’identificazione del fenomeno e delle sue conseguenze; alla predisposizione di una risposta strutturata a tale problematica e all’individuazione di terapie efficaci di contrasto alla violenza familiare. L’articolo di Humphreys mira a delineare la risposta governative alla violenza familiare predisposta dall’ordinamento giuridico australiano, analizzando alcune delle questioni relative all’intervento dei servizi a protezione del minorenne vittima di violenza. In particolare, si far riferimento a tre questioni: le criticità nel rispondere a un diffuso problema sociale; l’interfacciarsi tra i servizi specializzati per la violenza domestica e il sistema di protezione per l’infanzia e l’adolescenza; le problemaRassegna bibliografica 1/2009

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ticità relative alla predisposizione di risposte efficaci alla protezione delle vittime. Con riferimento alle criticità relative alla collaborazione e coordinamento tra i servizi specializzati per la violenza familiare e il sistema di protezione nazionale predisposto dal governo a favore dell’infanzia e l’adolescenza, l’autore ricorda che in Australia i servizi specializzati per la violenza familiare sono sorti con un’approccio essenzialmente concentrato sulla condizione femminile e sul carattere della volontarietà del servizio, mentre il servizio nazionale di protezione dell’infanzia se pur sviluppato con l’intenzione di proteggere e supportare i minorenni in condizioni di disagio, di fatto ha un approccio coercitivo e invasivo. In altre parole, la prima tipologia di servizi interviene solo ed esclusivamente su richiesta della vittima, mentre la seconda va ad azionare i suoi servizi su segnalazione dello stato di necessità a prescindere dalla volontà dell’interessato. Ciò ha fatto sì che il ricorso ai servizi specializzati (community-based) sia andato aumentando nel tempo proprio per la loro connotazione intrinseca, azionando l’intervento dei servizi prescritti per legge (statutory-based) solo a seguito della segnalazione della violenza da parte dei primi. Pertanto, nel tempo è stato necessario identificare le modalità attraverso le quali consentire a questi due settori di servizi di lavorare in maniera integrata. Un passo verso l’efficace collaborazione è stato la predisposizione di un set di principi generali che operassero a garanzia della trasparenza della collaborazione tra agenzie operanti in questo settore. Si tratta di elementi posti in posizione gerarchica e individuati con l’obiettivo di risolvere questioni prevalentemente legate a conflitti di interessi tra le vittime coinvolte nella violenza (donne e bambini) e in cui la sicurezza e protezione del minore ha sempre una prevalenza nei confronti della sicurezza e del rafforzamento della figura femminile. Pertanto, in tutti quei casi in cui la segnalazione al sistema di protezione nazionale della violenza su minorenne è obbligatoria, tale segnalazione, nel rispetto della posizione del fanciullo, deve essere svolta da un professionista a prescindere dell’opinione della donna che si sia rivolta ai servizi specializzati. Proprio a causa delle conseguenze sulla salute fisica e mentale delle vittime, la violenza familiare fu definita già nel 1996 dall’Organizzazione mondiale per la sanità come una priorità nella pianificazione e attuazione d’interventi in materia di salute pubblica. Ciò ha contribuito all’incremento degli interventi in tale direzione e oggi diversi sono gli studi che hanno dimostrato la connessione Rassegna bibliografica 1/2009

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tra la violenza familiare e la salute fisica e mentale, in particolare in relazione al benessere e allo sviluppo armonioso del bambino vittima di violenza e testimone di questa. Su tale scia l’articolo di Bunston affronta l’aspetto terapeutico, presentando due pratiche innovative in materia di recupero delle vittime attraverso la partecipazione attiva dei bambini vittima. I programmi descritti sono stati creati sulla base di studi neuroscientifici che hanno messo in evidenza gli effetti nocivi della violenza nelle iniziali e quotidiane relazioni tra madre e figlio. Si tratta del PARSAK (Parents accepting pesponsibility kids are safe), un programma terapeutico per ragazzi di età compresa tra gli 8 e 12 anni condotto dal Child and adolescent mental health and community health (Australia) in cui si prevede la gestione di due gruppi paralleli, da parte dello stesso team di esperti. I gruppi sono dedicati uno alle madri e l’altro ai bambini e in essi è richiesto ai partecipanti di fornire informazioni in relazione al proprio vissuto attraverso gli strumenti a loro più congeniali. A seguito di tale fase iniziale i due gruppi sono fusi in uno e in questo secondo momento i bambini hanno la possibilità di autorizzare o meno la condivisione con la madre delle informazioni da loro prodotte sulla percezione della loro personale condizione. Si tratta nella sostanza di un programma che mira a fornire a madre e figlio la possibilità di sperimentare modi diversi di comunicazione e interazione. Sulla base dei risultati emersi dall’esperienza del PARSAK è stato sviluppato anche un’altra esperienza quella del peek a boo club, in questo caso si opera su bambini dagli 0 ai 36 mesi di vita e il cambiamento relazionale è prevalentemente basato sul gesto e il contatto. Un aspetto non ancora sufficientemente analizzato è quello che concerne le conseguenze della violenza e della trascuratezza sullo sviluppo e il benessere del bambino. Da tale assunto prende il via il contributo di Frederico, Jackson e Black in cui si sottolinea che un fattore che necessita di essere tenuto in dovuta considerazione al momento della pianificazione degli interventi terapeutici è proprio l’identificazione delle conseguenze della violenza sulla vittima. L’articolo fornisce dati sulle conseguenze della violenza e della trascuratezza su bambini e ragazzi attraverso l’esperienza fatta con il programma terapeutico take-two finanziato dal Victorian department of human services (Australia) istituito nel 2004 per assicurare che i fanciulli vittime di gravi maltrattamenti e abusi avessero accesso ai trattamenti terapeutici adeguati. Si tratta di un progetto terapeutico di sviluppo mentale, in cui i pazienti presentano per la Rassegna bibliografica 1/2009

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gran parte dei disturbi comportamentali multipli e interconnessi a causa della violenza subita. Di questi il 95% dei bambini coinvolti nel programma dal 2004 al 2005 risultano avere due o più problemi, mentre l’81% tre o più disturbi emotivi e comportamentali. In particolare la gran parte di tali disturbi risultano presenti tra gli adolescenti di età compresa tra i 12 e i 18 anni. Per questi sale a 83% il tasso delle violenze e abusi da loro perpetrati a danno di terzi e a 53% quello relativo al rifiuto o abbandono scolastico. Dall’articolo emerge chiaramente la gravità dell’impatto della violenza sul benessere e il corretto sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale del fanciullo. La presenza di disturbi multipli e interconnessi fa sì che per la cura di tali minorenni sia necessario un intervento coordinato e integrato da parte di tutti coloro che si occupano a vario titolo del minore vittima, in casa, negli istituti di cura, a scuola. Affinché ciò sia possibile è necessario secondo gli autori incrementare il numero e la qualità delle ricerche sull’identificazione delle conseguenze del maltrattamento; individuare pratiche positive di intervento basate su dati e informazioni precise; incrementare la raccolta sistematica di dati; supportare una costante azione di ricerca sui programmi terapeutici, inclusi quelli che presentano degli elementi di innovatività.

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Altre proposte di lettura

122 Bambini e adolescenti stranieri L’odissea dei bambini migranti / Jacqueline Bhabha ; a cura di Fabrizia Abbate ; traduzione di Rita Aiezza e Fabrizia Abbate. – [Roma] : Editori riuniti university press, 2008. – 175 p. ; 21 cm. – (Saggi società). – ISBN 9788835960522. Bambini e adolescenti immigrati – Diritti

125 Giovani Dietro ragionevoli scelte : per capire i comportamenti dei giovani adulti italiani / Giuseppe A. Micheli. – Torino : Fondazione Giovanni Agnelli, c2008. – 143 p. ; 21 cm. – Bibliografia: p. 121131. – ISBN 9788878602137.

non coniugati, profili processuali e penali / Marco Peluso Gaglione, Luigi Malfettani. – Napoli : Esselibri, 2008. – 157 p. ; 24 cm. – (Diritto casi e soluzioni ; 17). – Bibliografia: p. 151. – ISBN 9788851305079. Affidamento condiviso – Italia

216 Affettività e attaccamento La dimensione emozionale del curricolo : l’educazione affettiva razionale nella scuola / Massimo Baldacci. – Milano : F. Angeli, c 2008. – 175 p. ; 23 cm. – (Il mestiere della pedagogia). – Bibliografia: p. 171-175. – ISBN 9788856803297. Scuole – Alunni e studenti – Educazione affettiva

Giovani – Comportamento – Italia

314 Popolazione – Migrazioni

160 Adozione Adottare un figlio : guida per i genitori / Monica Toselli. – Firenze : Giunti, 2008. – 140 p. ; 23 cm. – Bibliografia: p. 135-136. – ISBN 9788844034696. Adozione – Psicologia

180 Separazione coniugale e divorzio L’affido condiviso : giurisprudenza e prassi a due anni dall’entrata in vigore della legge 54/2006 : i principi e le innovazioni introdotte dalla legge 54/2006, l’esercizio della potestà genitoriale, mantenimento della prole e assegnazione della casa coniugale, procedimenti relativi ai figli di genitori

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Per un diritto europeo dell’immigrazione / Livia Saporito. – Torino : Giappichelli, c 2008. – 281 p. ; 24 cm. – (Comparazione e diritto civile ; 2). – ISBN 9788834886045. Immigrazione – Paesi dell’Unione Europea – Diritto

321 Persone secondo il sesso Per fare un uomo : educazione del maschio e critica del maschilismo / Raffaele Mantegazza. – Pisa : ETS, c 2008. – 120 p. ; 22 cm. – (Scienze dell’educazione ; 96). – Bibliografia: p. 111-120. – ISBN 9788846720016. Maschi – Educazione

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Altre proposte di lettura

357 Violenza sessuale su bambini e adolescenti

684 Servizi educativi per la prima infanzia

L’abuso sessuale sui minori : valutazione e terapia delle vittime e dei responsabili / Davide Dèttore, Carla Fuligni. – Milano : McGraw-Hill, 2008. – XVIII, 746 p. ; 21 cm. – (Psicologia). – Bibliografia: p. 645-739. – ISBN 9788838628535.

Le relazioni al nido : i percorsi che hanno creato uno stile pedagogico / a cura della cooperativa sociale Zerocento. – Azzano San Paolo : Junior, 2008. – 171 p. : ill. ; 24 cm. – Bibliografia. – ISBN 9788884344468.

Bambini e adolescenti – Violenza sessuale

Servizi educativi per la prima infanzia

Le testimonianze dei bambini nei casi di presunto abuso sessuale / Antonella Colonna Vilasi ; presentazione di Paolo Capri. – Roma : Edizioni universitarie romane, c 2008. – 107 p. ; 22 cm. – Bibliografia: p. 95-107. – ISBN 9788860220745.

712 Igiene e cura del bambino

Bambini violentati – Testimonianza – Valutazione

408 Diritti Pedagogia, intercultura, diritti umani / Clara Silva. – Roma : Carocci, 2008. – 121 p. ; 18 cm. – (I tascabili ; 95). – Bibliografia: p. 111-121. – ISBN 9788843047871. Diritti umani

Nascere genitori : vivere con serenità l’avventura di dare la vita e crescere un figlio / Alessandro Volta. – Milano : URRA, c 2008. – 183 p. ; 21 cm. – Bibliografia: p. 163-183. – ISBN 9788850328277. Neonati e bambini piccoli – Cura – Testi per genitori

740 Controllo delle nascite e procreazione Coppie in attesa : il desiderio di diventare genitori / Giorgia Zaffini. – Roma : Armando, c 2008. – 79 p. ; 22 cm. – (Bambini e genitori). – Bibliografia: p. 79-80. – ISBN 9788860814050.

620 Istruzione

Sterilità – Psicologia

Fare bene scuola : un’impresa possibile? / Franco Frabboni. – Roma : Carocci, 2008. – 124 p. ; 18 cm. – (I tascabili ; 93). – Bibliografia: p. 123-124. – ISBN 9788843047406.

762 Sistema nervoso – Malattie. Disturbi psichici

Uno sguardo sull’educazione : gli indicatori OCSE 2007 / OCSE. – Roma : Armando, c 2007. – 461 p. ; 27 cm. – (I libri dell’OCSE). – ISBN 9788860813930.

La terapia multisistemica in acqua : un nuovo approccio terapeutico per soggetti con disturbo autistico e della relazione : indicazioni per operatori, psicologi, terapisti, genitori / Giovanni Caputo. – Milano : F. Angeli, c 2008. – 152 p. ; 23 cm. – (Strumenti per il lavoro psico-sociale ed educativo ; 99). – Bibliografia: p. 147-152. – ISBN 9788856800951.

Istruzione scolastica – Qualità – Valutazione

Bambini autistici – Psicoterapia

Istruzione scolastica – Italia

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Altre proposte di lettura

764 Disturbi dell’alimentazione

860 Ospedali pediatrici

Con gli occhi dei figli / Fausto Manara. – [Milano] : Sperling & Kupfer, c 2008. – 211 p. ; 21 cm. – (Equilibri). – Bibliografia: p. 203-209. – ISBN 9788820045791.

Quando si ammala un bambino / Michele Capurso. – Roma : Magi, c 2008. – 115 p. ; 21 cm. – (Forma mentis). – Bibliografia: p. 115. – ISBN 9788874872602.

Anoressia e bulimia nervosa

Bambini malati – Sostegno – Testi per genitori

768 Psicoterapia

955 Letteratura giovanile

Coppia e famiglia nella psicoanalisi : soggettività e alterità / a cura di Elvira A. Nicolini ; scritti di: Alberto Eiguer...[et al.]. – Roma : Borla, c 2008. – 169 p. ; 24 cm. – (Quaderni di psicoterapia psicoanalitica). – Bibliografia. – ISBN 9788826316789.

Nati per leggere : una guida per genitori e futuri lettori. – Roma : AIB, c 2008. – 85 p. ; 21 cm. – ISBN 9788878121867. Libri per bambini – Biliografie

Famiglie – Psicoterapia

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Elenco delle voci di classificazione I numeri di classificazione e le relative voci fanno parte dello Schema di classificazione sull’infanzia e l’adolescenza e si riferiscono alle segnalazioni bibliografiche presenti in questo numero.

100 Infanzia, adolescenza. Famiglie 110 Infanzia – Baraldi, C., Bambini e società, Roma, Carocci, 2008. 120 Adolescenza – Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Diritti in crescita: terzo-quarto rapporto alle Nazioni unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2009. 122 Bambini e adolescenti stranieri – Rozzi, E. et al., Il diritto a essere regolari e realizzare il proprio progetto di vita in Italia, in «Minori giustizia», 2008, n. 3, p. 218-254. – Bichi, R. (a cura di), Separated children: i minori stranieri non accompagnati, Milano, F. Angeli, 2008. 125 Giovani – Livi Bacci, M., Avanti giovani, alla riscossa: come uscire dalla crisi giovanile in Italia, Bologna, Il mulino, c 2008. 130 Famiglie – Pegoraro, E., Famiglie e vita quotidiana: una ricerca sull’educazione dei bambini da zero a sei anni in Veneto, Azzano San Paolo, Junior, 2008. – Walsh, F., La resilienza familiare, Milano, R. Cortina, 2008. 135 Relazioni familiari – Piccinno, M., Contesti comunicativi e genitorialità: per un linguaggio educativo tra genitori e figli, Roma, Bulzoni, 2008. – Vegetti Finzi, S., Nuovi nonni per nuovi nipoti: la gioia di un incontro, Milano, Mondadori, 2008.

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150 Affidamento familiare – Veneto. Ufficio del pubblico tutore dei minori, Linee guida 2008 per i servizi sociali e sociosanitari: l’affido familiare in Veneto: cultura, orientamenti, responsabilità e buone pratiche per la gestione dei processi di affidamento familiare, Mestre, Regione del Veneto, Ufficio del pubblico tutore dei minori, 2008. 160 Adozione – Pasqualini, C. et al., Il sostegno sociale all’adozione, in «Minori giustizia», 2008, n. 2, p. 257-280. 167 Adozione internazionale – Italia. Commissione per le adozioni internazionali, Istituto degli Innocenti (a cura di), I modelli organizzativi regionali in materia di adozione internazionale, Firenze, Istituto degli Innocenti, 2009. 180 Separazione coniugale e divorzio – Dell’Antonio, A., Genitori separati e significatività del nuovo partner nella vita dei figli, in «Minori giustizia», 2008, n. 2, p. 231-238. 200 Psicologia 270 Psicologia applicata – Murgioni, N. Il counselling analitico transazionale: una risorsa per gli educatori, Roma, Aracne, 2008. 300 Società. Ambiente 314 Popolazione – Migrazioni – Algostino, A. et al., Diritti declamati e diritti praticati, in «Minori giustizia», 2008, n. 3, p. 13-51.

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Elenco delle voci di classificazione

– Campomori, F., Immigrazione e cittadinanza locale: la governance dell’integrazione in Italia, Roma, Carocci, 2008. 330 Processi sociali – Billari, F.C., La rivoluzione nella culla: il declino che non c’è, Milano, EGEA, 2008. 346 Comportamenti devianti – Ricci, C., Hikikomori: adolescenti in volontaria reclusione, Milano, F. Angeli, c 2008. 350 Violenza – Marchetti, I. (a cura di), Volere o violare?: la percezione della violenza di genere negli adolescenti: stereotipi e processi di legittimazione, Milano, Unicopli, c 2008. 357 Violenza sessuale su bambini e adolescenti – Bertetti, B. (a cura di), Oltre il maltrattamento: la resilienza come capacità di superare il trauma, Milano, F. Angeli, c 2008. 400 Diritto. Organizzazioni internazionali, regionali e istituzioni nazionali 402 Diritto di famiglia – Carbone, S.M., Queirolo, I., Diritto di famiglia e unione europea, Torino, Giappichelli, c 2008. 403 Diritto minorile – Moro, A. C., Manuale di diritto minorile, a cura di L. Fadiga, 4. ed., Bologna, Zanichelli, 2008. 404 Bambini e adolescenti – Diritti – Fanlo Cortés, I., Bambini e diritti: una relazione problematica, Torino, Giappichelli, c 2008. – Ballarani, G., La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, Milano, Giuffrè, 2008. – Boccella, N., Viero, P. (a cura di), Diritti umani e diritto allo sviluppo: la promozione dei diritti dei minori da una prospettiva di genere, Milano, LED, 2008.

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405 Tutela del minore – Miragoli, S. (a cura di), La valutazione del minore a rischio, in «Maltrattamento e abuso all’infanzia», v. 10, n. 3 (dic. 2008), p. 7-71. 454 Tribunali per i minorenni – Picardi, A., Minori, famiglia, persona: quale giudice?, Milano, F. Angeli, c 2008. 490 Giustizia penale minorile – Mastropasqua, I., Pagliaroli, T., Totaro, M.S. (a cura di), 1° rapporto sulla devianza minorile in Italia, Roma, Gangemi, stampa 2008. 600 Educazione, istruzione. Servizi educativi 612 Educazione familiare – Gaudio, M., Bricolage educativi: verso una teoria e una pratica pedagogica con la genitorialità, Milano, Unicopli, 2008. – Berto, F., Scalari, P., Contatto: la consulenza educativa ai genitori, Molfetta, La Meridiana, c 2008. 616 Educazione in base al soggetto – Albanese, O., Peserico, M. (a cura di), Educare alle emozioni con le artiterapie o le tecniche espressive, Azzano San Paolo, Junior, 2008. – Neri, A., Imparare a gestire i conflitti: un gioco di carte per migliorare le relazioni sociali, Gardolo, Erickson, c 2008. 620 Istruzione – Ragazzi, E. (a cura di), Perché nessuno si perda: la piazza dei mestieri: un modello per contrastare la dispersione scolastica, Milano, Guerini, 2008. 630 Didattica. Insegnanti – Pavia (prov.), Fondazione Adolescere, Scuola e territorio: le politiche educative, per i bambini, gli adolescenti e i giovani, Milano, F. Angeli, c 2008. 644 Scuole dell’infanzia – Nicolodi, G., Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia, Milano, F. Angeli, c 2008.

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Elenco delle voci di classificazione

675 Formazione – Bentivogli, C., Morgagni, D. (a cura di), Esperienze di transizione per l’inclusione sociale di giovani in difficoltà, Milano, F. Angeli, c 2008. 700 Salute 742 Gravidanza – Ferrara Mori, G. (a cura di), Un tempo per la maternità interiore: gli albori della relazione madre-bambino, Roma, Borla, c 2008. 768 Psicoterapia – Nichols, Keith, Jenkinson, John, Gruppi di sostegno, Bologna, Il mulino, c 2008. 800 Politiche sociali. Servizi sociali e sanitari 808 Terzo settore – Accorinti, M., Terzo settore e welfare locale, Roma, Carocci, 2008. 810 Servizi sociali – Bisacco, D., Dallanegra, P. (a cura di), Difendere i legami familiari: storie di conflitti e interventi, Milano, F. Angeli, c 2008. – Molaschi, V., I rapporti di prestazione nei servizi sociali: livelli essenziali delle prestazioni e situazioni giuridiche soggettive, Torino, Giappichelli, c 2008. – Galli, D., Servizi sociali e giustizia minorile: il quotidiano dell’assistente sociale: tra ascolto e documentazione, Milano, F. Angeli, 2008.

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– Vivaldi, E., I servizi sociali e le regioni, Torino, Giappichelli, c 2008. – Neve, E., Il servizio sociale: fondamenti e cultura di una professione, Roma, Carocci, 2008. – Maretti, M., Welfare locali: studio comparativo sulla programmazione dei servizi sociali nelle regioni italiane, Milano, F. Angeli, c 2008. 830 Servizi socio-sanitari – Bezze, M., Innocenti, E., Vecchiato, T., La strategia regionale per l’attuazione dei livelli base di cittadinanza sociale in Toscana, in «Studi Zancan», a. IX, n. 5 (sett./ott. 2008), p. 38-48. 900 Cultura, storia, religione 922 Tecnologie multimediali – Mantovani, S., Ferri, P. (a cura di), Digital kids: come i bambini usano il computer e come potrebbero usarlo genitori e insegnanti, Milano, Etas, 2008. 934 Attività culturali – Pani, R., Sagliaschi, S., Dal graffito artistico al graffito vandalico: psicodinamica di una nuova dipendenza compulsiva, Novara, UTET, 2008. 956 Lettura – Freschi, E., Le letture dei piccoli: una proposta di “categorizzazione” dei libri per i bambini da 0 a 6 anni, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2008.

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Indice generale

3 Percorso tematico 5 Percorso di lettura 21 Percorso filmografico 39 Segnalazioni bibliografiche 139 Focus internazionale 153 Altre proposte di lettura 156 Elenco delle voci di classificazione

Rassegna bibliografica 1/2009

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Finito di stampare nel mese di luglio 2009 presso la Litografia IP, Firenze


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