La ricerca delle proprie origini. Supplemento alla RB 1/2018

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SUPPLEMENTO della RIVISTA

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA INFANZIA e ADOLESCENZA

PERCORSO TEMATICO la RICERCA delle PROPRIE ORIGINI: un PERCORSO di LETTURA e FILMOGRAFICO

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2018

ISSN 1723-2600

CENTRO NAZIONALE DI DOCUMENTAZIONE E ANALISI PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA REGIONE TOSCANA

NUOVA SERIE n. 1-2018

ISTITUTO DEGLI INNOCENTI FIRENZE


SUPPLEMENTO della RIVISTA

RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Direttore responsabile Aldo Fortunati Coordinatore Comitato di redazione Antonella Schena Comitato di redazione Adriana Ciampa, Alfredo Ferrante, Alessandro Salvi Segreteria di redazione Paola Senesi Progettazione grafica e impaginazione Rocco Ricciardi Immagine di copertina Artesania (particolare), Milagros Lecaros, 13 anni (Pinacoteca internazionale dell’età evolutiva Aldo Cibaldi del Comune di Rezzato - www.pinac.it)

INFANZIA e ADOLESCENZA

PERCORSO TEMATICO la RICERCA delle PROPRIE ORIGINI: un PERCORSO di LETTURA e FILMOGRAFICO

NUOVA SERIE n. 1-2018

Istituto degli Innocenti Piazza SS. Annunziata, 12 - 50122 Firenze tel. 055 2037363 - fax 055 2037205 email: biblioteca@istitutodeglinnocenti.it www.minori.gov.it www.minoritoscana.it www.istitutodeglinnocenti.it

CENTRO NAZIONALE DI DOCUMENTAZIONE E ANALISI PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA

Periodico trimestrale registrato presso il Tribunale di Firenze con n. 4963 del 15/05/2000 pubblicato online nel mese di dicembre 2018 Ultimo accesso alle risorse elettroniche 13/11/2018

CENTRO DI DOCUMENTAZIONE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA REGIONE TOSCANA

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA PERCORSO TEMATICO

PERCORSO DI LETTURA

p. 5

L’accesso alle informazioni sulle proprie origini di Raffaella Pregliasco

PERCORSO FILMOGRAFICO

p. 23

Radici: bambini e ragazzi alla ricerca delle origini familiari, culturali e geografiche nel cinema contemporaneo di Anna Antonini

INDICE

PERCORSO TEMATICO LA RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI: UN PERCORSO DI LETTURA E FILMOGRAFICO

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LET TU

PERCORSO DI LETTURA

PERCORSO DI LETTURA L’ACCESSO ALLE INFORMAZIONI SULLE PROPRIE ORIGINI

PERCORSO DI LETTURA

PERCORSO TEMATICO LA RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI: UN PERCORSO DI LETTURA E FILMOGRAFICO

Raffaella Pregliasco, ricercatrice Istituto degli Innocenti e giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Firenze

INTRODUZIONE Il tema dell’accesso alle origini da parte di coloro che per diverse ragioni sono stati separati o allontanati dalla propria famiglia biologica da sempre è presente all’attenzione delle nostre società. Nel tempo, è stato percepito in modo diverso ed è stato di conseguenza interpretato e regolamentato differentemente all’interno dei sistemi normativi interni alle singole società, ma il bisogno di conoscere le proprie radici, di scoprire, di dare continuità alla propria storia e senso al proprio divenire è stato costantemente espresso dall’essere umano come persona. Il nostro Paese presenta una posizione par ticolare con riferimento al tema dell’accesso alle informazioni sulle origini: se infatti da una parte, con la L. 149/2001, è stato riconosciuto il diritto – sia pure a determinate condizioni – ad accedere alle informazioni riguardanti l’identità dei genitori naturali, dall’altra tale accesso non è ancora – almeno secondo il diritto positivo – consentito nei confronti della madre che abbia partorito in anonimato1. 1 Art. 28 L. 184/1983 così come modificato da L. 149/2001: «1. Il minore adottato è informato di tale sua condizione ed i genitori adottivi vi provvedono nei modi e termini che essi ritengono più opportuni. 2. Qualunque attestazione di stato civile riferita all’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione

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Il parto anonimo – nell’interpretazione di un’autorevole –ormai non più recente – giurisprudenza italiana – rispondeva all’esigenza specifica di assicurare il diritto alla vita del bambino2. La norma italiana tutelerebbe – secondo questa interpretazione – la madre la quale in situazioni di difficoltà personale, economica o sociale, abbia ritenuto di non tenere con sé il bambino. Attraverso la garanzia del diritto all’anonimato della madre naturale, la norma permette che il parto avvenga in condizioni ottimali e che il genitore biologico sia distolto dall’eventualità di assumere decisioni irreparabili per il figlio3. Questa è la ragione che ha indotto il legislatore italiano a non porre limitazioni temporali all’efficacia della dichiarazione di anonimato della madre naturale. Proprio con riferimento al riconoscimento del diritto di accedere alle informazioni sulle proprie origini, l’Italia è stata, d’altra parte, negli ultimi anni oggetto di critiche e di raccomandazioni da parte di organismi internazionali e di esperti del settore.

PERCORSO DI LETTURA

IL QUADRO INTERNAZIONAZIONALE DI RIFERIMENTO In particolare, nelle raccomandazioni espresse dal Comitato ONU sui diritti del fanciullo4, più volte il nostro Paese è stato chiamato a rivedere la propria disciplina interna in direzione più garantista rispetto all’esercizio del diritto di cui all’ art. 7 della CRC (Convention on the rights of the child)5. Ma la tutela del diritto all’accesso delle informazioni sulle proprie origini non deriva solo dall’art. 7 della CRC ma anche da altre disposizioni interne alla CRC6 stessa e da un insieme di richiami normativi contenuti in altri strumenti internazionali, in particolare riferibili alla disciplina dell’adozione. Ricordiamo, innanzitutto, quanto previsto dalla Convenzione de L’Aja del 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di cooperazione internazionale che – all’art. 16, comma 1 lett. a, e agli artt. 30 e 31 – dedica un’articolata disciplina della materia prevedendo un’idonea archiviazione e conservazione dei dati inerenti l’identità del minore in adozione e le informazioni sulla sua storia personale e l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge dello Stato7. A livello europeo, anche la Convenzione sull’adozione dei minori del 1967 – così come modificata nel 2008 – pone un accento particolare sul diritto all’identità riconoscendo ai minori adottati il diritto di accedere alle informazioni sulle proprie origini e precisando che, in caso di richiesta di anonimato, siano le autorità competenti a decidere se e quali informazioni siano accessibili per gli adottati8. 4 Organo con sede a Ginevra a cui è stato attributo dall’ONU il compito di verificare l’attuazione della Convenzione sui diritti del fanciullo siglata a New York nel 1989 da parte degli stati ratificanti. L’Italia ha ratificato la Convenzione con legge 27 maggio 1991, n. 176.

di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità del minore e dell’annotazione di cui all’articolo 26, comma 4. 3. L’ufficiale di stato civile, l’ufficiale di anagrafe e qualsiasi altro ente pubblico o privato, autorità o pubblico ufficio debbono rifiutarsi di fornire notizie, informazioni, certificazioni, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell’autorità giudiziaria. Non è necessaria l’autorizzazione qualora la richiesta provenga dall’ufficiale di stato civile, per verificare se sussistano impedimenti matrimoniali. 4. Le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, quali esercenti la potestà dei genitori, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l’informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e della urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore. 5. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni, può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Può farlo anche raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. L’istanza deve essere presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza. 6. Il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste. 7. L’accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396. 8. Fatto salvo quanto previsto dai commi precedenti, l’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili». 2 Corte cost., sent. n. 425/2005, in «Giur. cost.», 2005, p. 4601 con nota di A.O. Cozzi, La Corte costituzionale e il diritto di conoscere le proprie origini in caso di parto anonimo: un bilanciamento diverso da quello della Corte europea dei diritti dell’uomo? 3 Ibidem.

5 Art. 7 CRC: «1. Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi. 2. Gli Stati parti vigilano affinché questi diritti siano attuati in conformità con la loro legislazione nazionale e con gli obblighi che sono imposti loro dagli strumenti internazionali applicabili in materia...». 6 Art. 8 CRC: «1. Gli Stati Parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni famigliari, così come sono riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. 2. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati Parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile. 7 Art. 16, comma 1, lett. A: «[...]. L’Autorità centrale dello Stato di origine redige una relazione contenente informazioni circa l’identità del minore, la sua adottabilità, il suo ambiente sociale, la sua evoluzione personale e familiare, l’anamnesi sanitaria del minore stesso e della sua famiglia, nonché circa le sue necessità particolari». Art. 30: «1. Le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all’identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua famiglia. 2. Le medesime autorità assicurano l’accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l’assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge dello Stato. Art. 31: «Salvo quanto previsto dall’art. 30, i dati personali raccolti o trasmessi in conformità alla Convenzione, in particolare quelli indicati agli articoli 15 e 16, non possono essere utilizzati a fini diversi da quelli per cui sono stati raccolti o trasmessi». 8 L’art. 22 – Accesso e divulgazione di informazioni – della Convenzione europea sull’adozione di minori del 1967 modificata nel 2008 afferma che: 1. Possono essere previste delle disposizioni per consentire che l’adozione sia portata a termine senza rivelare l’identità dell’adottante alla famiglia di origine del bambino. 2. Saranno adottate delle disposizioni per autorizzare o prescrivere che la procedura di adozione si tenga a porte chiuse. 3. Il bambino adottato ha accesso alle informazioni in possesso delle autorità competenti relativamente alle proprie origini. Quando i suoi genitori di origine hanno il diritto legale di non rivelare la loro identità, sarà facoltà delle autorità competenti, nei limiti consentiti dalla legge, determinare se negare tale diritto e divulgare informazioni

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In questo senso si è espresso più volte anche il Parlamento Europeo invitando gli stati ad eliminare ogni disposizione contraria al diritto degli adottati di conoscere le proprie origini una volta raggiunta la maggiore età9.

identificativi della propria madre naturale12. La vicenda, arrivata a Strasburgo, ha preso il via dal ricorso avviato da una donna Anita Godelli, 69 anni, che, abbandonata alla nascita, era stata adottata, cercando poi invano di avere notizie sulla propria madre biologica.

In ambito europeo convivono due diversi orientamenti sulla questione: una prima posizione riconosce prevalente il diritto dell’adottato ad accedere a tutte le informazioni disponibili riferibili alla sua storia biologica e familiare a partire dal pieno riconoscimento dell’art. 7 CRC, una seconda posizione, invece, ritiene che, anche ai fini di una effettiva tutela della salute e del benessere del nascituro, prevalga il diritto della madre biologica all’anonimato del parto. Tra i Paesi dell’Unione Europea vi sono infatti quelli in cui la persona adottata, perdendo qualsiasi collegamento con la famiglia di origine, non può accedere ad informazioni sull’identità del genitore biologico (Austria, Francia, Principato di Monaco, Bulgaria, Russia, Macedonia) e normative nelle quali il diritto a conoscere la propria origine è parzialmente garantito a partire da una certa età (Germania, Croazia, Ungheria, Lettonia, Portogallo). Altri Stati, invece, concedono il diritto ad un’ampia informazione, subordinato, tuttavia, a valutazioni e autorizzazioni da parte dei giudici al fine di apprezzare i differenti interessi in gioco (Bulgaria, Estonia, Lituania, Svizzera, Spagna, Regno Unito e Irlanda)10.

La signora, si legge in una nota diffusa dalla Corte: «… afferma di aver vissuto un’infanzia molto difficile a causa del fatto di non poter conoscere le proprie radici. All’età di 63 anni, la ricorrente ha avviato nuovamente dei passi in questo senso, ma è stata respinta dal momento che la legge italiana garantisce il segreto delle origini e il rispetto della volontà della madre»; la Corte europea rileva anche che la signora, inoltre, non ha chiesto di sapere nome e cognome della vera madre, ma soltanto di conoscere «… elementi non identificanti delle sue origini biologiche».

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) si è più volte espressa sulla questione, riconoscendo quale violazione dell’art. 8 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo (da qui in avanti denominata CEDU), e quindi quale violazione del diritto alla vita privata e familiare, il mancato riconoscimento da parte del legislatore interno del pieno diritto all’accesso alle informazioni sulle origini. Già nel caso Odievre c. France11 la Corte europea si era pronunciata nel senso di garantire fin dove possibile l’accesso alle informazioni sulle origini. Se da una parte infatti riconosceva come la conoscenza delle informazioni sulla propria storia biologica e famigliare non metteva in discussione la relazione tra persona adottata e genitori adottivi, dall’altra evidenziava con forza come l’identità del genitore biologico rappresenta un modo per scoprire le circostanze in cui un soggetto è nato ed è stato abbandonato, elementi che fanno parte della vita privata e dell’identità personale di un individuo e che risultano fondamentali per lo sviluppo e la realizzazione della propria personalità. Più di recente, la Corte Europea ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea, in quanto non ha consentito ad una cittadina italiana adottata di accedere ai dati di identificazione, tenuto conto delle circostanze e per i rispettivi diritti del bambino e dei suoi genitori di origine. Orientamenti adeguati possono essere forniti ad un bambino adottato che non abbia raggiunto la maggiore età. 4. L’adottante e l’adottato devono essere in grado di ottenere un documento che contiene estratti di registri pubblici che attestino la data e il luogo di nascita del bambino adottato, ma che non rivelino espressamente il fatto dell’adozione o l’identità dei suoi genitori di origine. Gli Stati contraenti possono decidere di non applicare questa disposizione alle altre forme di adozione di cui all’articolo 11, comma 4, della presente Convenzione. 5. Visto il diritto di una persona a conoscere la sua identità e l’origine, le informazioni riguardanti l’adozione devono essere raccolte e conservate per almeno 50 anni dopo che l’adozione sia divenuta definitiva. 6. I pubblici registri devono essere conservati e, in ogni caso, il loro contenuto riprodotto in modo tale da impedire alle persone che non hanno un interesse legittimo a conoscere se una persona è stata adottata o no, e se le informazioni sono rese, l’identità del suo o dei suoi genitori di origine». 9 Raccomandazione 1443 (2000) dell’Assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa per il rispetto dei diritti del bambino in materia d’adozioni internazionale, punto 5- vii. 10 D. Butturini, La pretesa a conoscere le proprie origini come espressione del diritto al rispetto alla vita, in Note a sentenza, «Forum di quaderni costituzionali rassegna», 2012, p. 1-5. 11 Corte eur. dir. uomo, sent. Odievre c. Francia, 13.02.2003, ric. n. 42326/98, p.to 45, in www.echr.coe.int.

Ad avviso della Corte di Strasburgo, è vero, infatti, che in questo settore esiste un ampio margine di discrezionalità attribuito agli Stati, ma a patto che le autorità nazionali tengano conto dei diversi interessi in gioco e siano in grado di bilanciare le diverse esigenze al fine di garantire a tutti il pieno rispetto del diritto alla vita privata e familiare di cui all’articolo 8 della Convenzione europea. Nel sistema italiano, invece, secondo la CEDU, è solo il diritto della madre all’anonimato ad essere oggetto di tutela: il bambino abbandonato, una volta cresciuto in caso di rifiuto della madre, non può conoscere le circostanze della propria nascita e dell’abbandono. Necessaria, invece, una valutazione delle circostanze del caso e il raggiungimento di un giusto equilibrio tra i diritti contrapposti, evitando ogni automatismo. Tanto più che il desiderio di conoscere le proprie origini non cessa con l’età e che il mancato soddisfacimento di questa esigenza procura sofferenze psicologiche e fisiche. La pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha però semplicemente portato alla condanna del nostro Paese al pagamento di una somma di denaro a risarcimento del danno subito dalla ricorrente per non aver potuto raccogliere almeno quelle informazioni di carattere non identificativo così importanti per la costruzione della propria identità personale. Lo Stato italiano, al di là del risarcimento, non è tenuto giuridicamente alla modifica della propria legge interna che regola l’istituto. Dall’esame di questo insieme di disposizioni di rilievo sovranazionale si evidenza quindi come il tema in esame sia stato oggetto di continua e specifica attenzione e confronto che hanno portato a ritenere l’importanza di avvicinarci quanto più possibile a rendere concreta la possibilità, per coloro che sono stati adottati, di recuperare notizie sulla propria storia biologica e familiare. Sarebbe allo stato attuale auspicabile che le disposizioni internazionali venissero ratificati da tutti gli stati europei in modo da uniformare un aspetto tanto delicato di una materia già complessa, quale è quella dell’adozione. Va ricordato, infatti, che gli strumenti normativi di carattere internazionale sono vincolanti solo qualora le disposizioni che contengono entrino a far parte degli ordinamenti interni grazie agli strumenti di ratifica elaborati da ogni legislatore nazionale. Non sono quindi di per sé vincolanti. E anche qualora le disposizioni in essi contenuti non siano integralmente riprese dai Paesi ratificanti non esiste allo stato attuale uno strumento che obblighi il legislatore interno al loro rispetto. Sono per la verità presenti strumenti alternativi, quali raccomandazioni e linee guida provenienti da organismi sovranazionali, che possono contribuire a dirigere 12 Sentenza Godelli contro Italia (ricorso n. 33783/09) depositata il 25 settembre 2012 (AFFAIRE GODELLI c. ITALIE),.

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l’attenzione politica e l’opinione pubblica su questi temi, generando pressioni perché il diritto interno si adegui a quello internazionale. Ma rimane in ogni caso, come è pur giusto che sia, una discrezionalità del legislatore interno. Va d’altra parte rilevato, come vedremo nei prossimi paragrafi che il nostro Paese ha in parte accolto gli inviti rivolti a modificare la disciplina interna in materia, soprattutto grazie all’intervento innovatore e coerente della giurisprudenza di corti di merito e di legittimità13.

PERCORSO DI LETTURA

L’EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE Da un punto di vista generale, va osservato che l’intero settore privatistico ha subito, nel corso dei secoli, una vera e propria “antropologizzazione”: la persona – sia nella sua prospettiva individuale, che nell’ambito delle formazioni sociali in cui estrinseca la propria identità – ha assunto una posizione centrale, per cui tutti gli istituti tradizionali del diritto civile sono stati riletti in senso personalistico e si è assistito alla nascita di “nuovi diritti” soprattutto nella categoria dei c.d. diritti della personalità. I diritti della personalità, intesi quale nucleo di diritti soggettivi assoluti che attengono ad aspetti essenziali della personalità umana e che hanno ad oggetto beni immateriali e immanenti dell’uomo, sono tutelati sia dalle norme costituzionali (in particolare dagli artt. 2 e 3 Cost.), sia dalle norme sovranazionali (si pensi alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, alla Dichiarazione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sottoscritta a Roma nel 1950, al Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, c.d. Carta di Nizza del 2000). Tra i diritti personalissimi, nel contesto attuale ha assunto una particolare rilevanza il diritto all’anonimato quale manifestazione del più ampio diritto alla privacy. Il diritto positivo stabilisce, in particolare, come abbiamo visto sopra, il diritto della madre a non essere nominata sul certificato di assistenza al parto o nella cartella clinica; inoltre, prevede espressamente che i suoi dati possano essere rilasciati soltanto dopo che siano decorsi cento anni dalla formazione del documento. L’accesso alle informazioni sulle proprie origini è quindi consentito, in base alla normativa vigente, solo a coloro che sono stati riconosciuti alla nascita o il cui nominativo della madre naturale sia comunque stato inserito nell’atto di nascita. Tale disciplina ha determinato, per lungo tempo, un’inevitabile prevalenza del diritto all’anonimato della madre, su quello del figlio a conoscere le proprie radici. I primi scossoni all’impianto normativo che attualmente ancora regola – da un punto di vista del diritto positivo – l’accesso alle informazioni sulle origini sono stati rappresentanti dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel caso Godelli c. Italia del 25 settembre 2012 – a livello sovranazionale – e dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 278 del 2013 con la quale si è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 28 comma 7 della L. 184/1983 così come modificato da successivi interventi legislativi nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice – su richiesta del figlio – di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata.

13 Ricordiamo ad esempio che recentemente è stato presentato all’esame del Parlamento italiano un progetto di legge nel quale si prevede che il Tribunale per i minorenni, valutata la richiesta di accesso ai documenti da parte della persona adottata che ha compiuto 25 anni, verifichi se la volontà di anonimato della madre sia attuale o sia mutata. Nel caso in cui la madre naturale revochi la volontà di anonimato, il Tribunale per i minorenni è legittimato ad autorizzare l’accesso dell’adottato alle informazioni sulle proprie origini.

A seguito di tale pronuncia si è venuto a creare un contrasto tra i giudici di merito per quanto attiene alle modalità per interpellare la partoriente, al fine di dare corso alla richiesta del figlio di conoscere le proprie origini. Da un lato c’è stato chi ha ritenuto necessario attendere l’intervento del legislatore; dall’altro chi, invece, in attesa di un intervento normativo, ha preferito dare attuazione ai principi enunciati a livello sovranazionale e nazionale, prendendo come riferimento le pratiche in uso in vari tribunali per i minorenni. In particolare, i diversi orientamenti poggiano sulla necessità o meno di un intervento del legislatore in ordine alle modalità dell’interpello riservato alla madre naturale, fermo restando che l’attuale dispositivo dell’art. 28 comma 7 è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale. Il contrasto tra i giudici di merito per quanto attiene alle modalità per interpellare la partoriente non si verifica invece tra i giudici di legittimità, per i quali, invece, non ci sono incertezze in

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materia. Infatti, la recente giurisprudenza di legittimità ha mostrato di dare per scontato il diritto all’interpello da parte del figlio adottivo di madre che abbia chiesto di non essere nominata, anzi, ha cercato una soluzione anche al caso più complesso che si verifica allorquando la madre sia deceduta. A tale proposito nelle pronunce Cass. I sez. n. 15024/2016 e Cass. I. sez. n. 22838/2016 si stabilisce che, in caso di morte della madre, il figlio possa legittimamente accedere alle informazioni sulla sua identità, divenendo inoperante l’art 93 del Codice della privacy. Non si può, infatti, continuare a garantire il diritto di una persona che non c’è più comprimendo quello di chi è ancora in vita. Basandosi in prevalenza sulla sentenza della Corte Costituzionale del 2013 che ha dichiarato la norma incostituzionale, il giudice ha ritenuto di dover comunque dare, ai soggetti coinvolti, la possibilità concreta di esercitare i loro diritti fondamentali: alla madre, di eventualmente ritrattare, sul versante dei rapporti relativi alla genitorialità naturale, la scelta per l’anonimato, se è messa in condizione di cambiarla allorché il figlio si dichiari interessato a conoscere le sue origini; al figlio, di accedere alle informazioni sulle sue origini e di definire così la sua identità naturale, con tutto ciò che sul piano personale questo può significare, sempre che la portatrice dell’interesse all’anonimato intenda revocare, per effetto di una scelta rimessa alla sua valutazione e alla sua coscienza, la dichiarazione iniziale. Le Sezioni Unite stabiliscono, che, in attesa di una disposizione legislativa ad hoc, il giudice ha la possibilità di procedere, in seguito a sollecitazione del figlio, ad interpellare la madre, affinché venga accertata la sua volontà di una eventuale revoca alla dichiarazione di anonimato espressa al momento del parto, con l’ausilio di modalità tali da garantire la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della madre; in sintesi, il diritto del figlio viene ad essere tutelato, ma non in modo assoluto, in quanto trova il suo limite insuperabile nella conferma da parte della madre di voler continuare a rimanere anonima nonostante la richiesta del figlio. La Suprema Corte il 20 marzo 2018 con sentenza n. 6963 è tornata ed esprimersi, ampliandone i confini, sulla possibilità di accedere alle informazioni sulle proprie origini e, in particolare, sul proprio nucleo famigliare di nascita; in accoglimento del ricorso presentato da un adulto adottato da famiglia diversa da quella che aveva adottato le sorelle biologiche con cui desiderava riprendere i contatti, ha osservato che un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 28, comma 5, Legge n. 184 del 1983 può ampliare e valorizzare il diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre ai genitori biologici, in particolare nell’ipotesi in cui non sia possibile risalire ad essi, anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle ancorché non espressamente menzionati dalla norma. Deve, tuttavia, rilevarsi che l’esercizio del diritto nei confronti dei genitori biologici e nei confronti degli altri componenti il nucleo familiare biologico-genetico originario dell’adottato, non può realizzarsi con modalità identiche. Mentre, quindi, nei confronti dei genitori biologici si configura un diritto potestativo dell’adottato, nei confronti delle sorelle e dei fratelli deve, invece, ritenersi necessario procedere, in concreto, al bilanciamento degli interessi tra chi chiede di conoscere le proprie origini e chi, per appartenenza al medesimo nucleo biologico familiare, può soddisfare tale esigenza, ancorché riconosciuta come diritto fondamentale.

PERCORSO DI LETTURA

IL BISOGNO DI CONOSCERE: ASPETTI PSICO-SOCIALI La spinta al riconoscimento delle istanze di accesso alle informazioni sulle proprie origini deriva da esigenze e bisogni di matrice psico-sociale sempre più diffusi e strutturati oltre che da specifici filoni di ricerca che quasi esclusivamente all’estero, marginalmente anche nel nostro Paese, hanno preso in esame questo fenomeno. In primo luogo molti figli adottivi, divenuti adulti, hanno avanzato la richiesta di poter accedere alle informazioni sulle loro origini, talvolta organizzandosi in associazioni e dando vita ad apposite iniziative per vedere riconosciuto il loro diritto a conoscere. Poi vi è stata l’esperienza di molti addetti ai lavori che si sono confrontati, nella loro attività professionale, con genitori e figli adottivi impegnati a portare avanti un’istanza di conoscenza del loro passato molto pregnante. Infine, ma non certo in ordine di importanza, l’avvento dei social network e il collocamento in adozione di un numero crescente di bambini “grandicelli”, ha reso oggettivamente più difficile, e talora impossibile, l’instaurarsi di un confine insuperabile tra il prima e il dopo dell’evento adozione. Tutto ciò ha causato una progressiva consapevolezza che conoscere la propria storia personale costituisce un fattore protettivo molto importante per assicurare un armonico sviluppo psicologico dell’individuo, spingendo un numero crescente di operatori a considerare opportuno, se non necessario, che i figli adottivi possano accedere alle informazioni disponibili relative alla loro storie iniziali, ivi incluse quelle inerenti l’identità dei genitori biologici. A sostegno di questa opzione vi è, soprattutto, l’idea che per costruire una personalità integra e completa sia necessario conoscere le proprie origini, sapere da chi si è nati e quali circostanze hanno portato all’interruzione del rapporto con la famiglia biologica e, successivamente, all’adozione. In altre parole, si considera penalizzante e da evitare che il figlio adottivo debba confrontarsi con un’assenza di informazioni che andando a costituire il famoso “buco nero”, ne mina alle radici la possibilità di strutturarsi in maniera equilibrata e sicura. Naturalmente, non mancano coloro che continuano a pensare che stabilire una cesura tra passato e presenta rappresenti una condizione importante per la tutela del minore e la buone riuscita dell’adozione, portando argomentazioni che non sono per niente banali. Innanzitutto, quando parliamo di ricerca delle origini si deve precisare che esistono diversi gradi di ricerca e di acquisizione delle informazioni14. Possiamo, infatti, distinguere tre livelli successivi: il primo è quello relativo alla possibilità di avere le informazioni disponibili sulla propria storia (fatti, persone, date, ecc.), quella che potremmo chiamare la “trama” degli eventi che hanno preceduto l’adozione; il secondo è riferibile alla conoscenza dell’identità dei genitori di nascita e/o di altri familiari biologici; il terzo alla ricerca di contatti diretti con i familiari biologici. Riteniamo che tale distinzione sia utile e importante, in quanto non di rado si mettono insieme, trattandoli come se fossero la stessa cosa, il desiderio di acquisire informazioni sul proprio passato, quello di conoscere l’identità dei propri familiari biologici con il tentativo di stabilire un contatto con loro, pervenendo a conclusioni qualitative e quantitative assai discutibili sulle caratteristiche e sui significati del fenomeno. 14 Vedi Chistolini, M., Pistacchi, P., L’accompagnamento all’accesso alle origini nelle più recenti esperienze di studio, ricerca e intervento in Pregliasco, R. (a cura di), Alla ricerca delle proprie origini, Carocci, 2013.

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Generalmente i figli adottivi desiderano avere informazioni relative ai genitori biologici come il loro aspetto fisico, i tratti di personalità, gli interessi, la storia sanitaria, il background etnico e il nome. Frequentemente viene citato il desiderio di riempire un vuoto, il fatto di sentirsi incompleti e di voler conoscere le proprie origini biologiche. In un certo numero di casi la ricerca di informazioni o contatto è innescata da un evento importante, quale la nascita o l’adozione di un figlio, il matrimonio, la morte dei genitori adottivi. Vi è, però, consenso nel dire che l’evento scatenante ha un valore relativo e che il desiderio era presente da tempo in modo latente. Quando la ricerca si pone l’obiettivo di rintracciare i familiari biologici, la persona con la quale si vuole più spesso entrare in contatto è la madre. L’eventuale incontro con i fratelli viene sentito come meno impegnativo del punto di vista emotivo, mentre la figura paterna suscita scarso interesse. Domandiamoci ora quali sono le motivazioni che spingono un numero significativo di figli adottivi a cercare di avere informazioni sulle proprie origini o a tentare di rintracciare i loro genitori biologici. In letteratura troviamo tre diversi modelli esplicativi: • Modello fisiologico, che considera la ricerca un normale compito evolutivo, che non ha significati particolari in quanto è ovvio che un figlio adottivo desideri conoscere la propria storia e ritrovare la famiglia biologica. • Modello psico-patologico, che vede nel desiderio di ricerca la dimostrazione di una condizione di malessere nel figlio adottivo. Malessere riconducibile al senso di mancanza e di incompletezza causato dal non conoscere la propria storia e/o da problemi con la famiglia adottiva con la quale non si sarebbe instaurata una relazione di appartenenza sufficientemente buona e compensativa. • Modello socio-culturale, che sottolinea l’influenza del contesto sociale nell’indurre il bisogno di cercare informazioni. In altre parole i figli adottivi verrebbero sollecitati in vario modo dal contesto culturale, ad avere interesse nei confronti della loro famiglia biologica.

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• Il timore di essere intrusivi nella vita di altri (familiari biologici). • La paura di fallire nella ricerca e/o di scoprire problemi non previsti. • La preoccupazione di irritare i genitori adottivi e il senso di colpa nei loro confronti. • Il “disinteresse” per la questione adottiva. • La consapevolezza della impossibilità di avere ulteriori informazioni rispetto a quelle già conosciute. • L’aver compreso e accettato al propria condizione adottiva. In concreto ciò vuol dire che le informazioni che il figlio adottivo riuscirà ad avere sulla propria storia non rappresentano una verità assoluta e certa, ma andranno considerate come tasselli di un puzzle che necessitano di un’apposita chiave interpretativa per essere ricostruito in modo sensato. Possiamo, pertanto, sostenere che la ricerca delle origini vada considerata come una tappa, eventuale, di un percorso di conoscenza e riflessione sulla propria storia che deve cominciare fin dall’inizio dell’esperienza adottiva. In questa prospettiva al minore adottato dovranno essere fornite tutte le informazioni disponibili sulla sua storia incoraggiandolo ad esplorarne i significati, ad esprimere emozioni e pensieri connessi, a porsi domande, favorendo un clima comunicativo aperto e sincero sull’argomento15. Inoltre, è necessario che insieme alle informazioni sia offerta al bambino una chiave interpretativa che gli consenta di dare senso e valore alle informazioni che potrà acquisire. È facile comprendere come un cammino di conoscenza iniziato precocemente ponga le basi per integrare la propria storia gradualmente e farne parte coerente con la propria identità, se poi il figlio adottivo deciderà di cercare altre informazioni e/o contatti lo farà a partire da un livello di consapevolezza che gli consentirà di gestire l’acquisizione di altre notizie o l’incontro con i familiari di nascita con maggiori strumenti.

Possiamo affermare che tutti e tre questi modelli hanno una loro validità evidenziando una parte delle cause che stanno alla base del desiderio di cercare informazioni e/o contatti. Quanto riportato in merito ai modelli teorici che cercano di spiegare il fenomeno della ricerca ci fa comprendere quanto il fenomeno sia complesso e debba essere osservato da diverse prospettive per essere compreso in modo più completo. È ragionevole affermare che tutti e tre i modelli siano validi e che ciascuno di essi sia in grado di spiegare una parte del fenomeno. È altrettanto vero che abbiamo ancora bisogno di approfondire la conoscenza di questa realtà per poter pervenire a paradigmi interpretativi più attendibili e aggiornati. Infine, è importante ricordare che dalle ricerche effettuate soprattutto a livello internazionale emerge che circa la metà dei figli adottivi adulti decidono di non attivarsi in alcun modo per avere informazioni sulla loro storia e circa il 75% di non cercare i familiari di nascita. Naturalmente non attivarsi non significa necessariamente non avere alcun interesse per il proprio back-ground. Sicuramente esiste un significativo numero di figli adottivi che, pur avendo interesse ad avere maggiori informazioni sulle proprie origini, decide di non attivarsi per provare a reperirle. Vale, quindi, la pena chiedersi quali possano essere le ragioni di tale atteggiamento. Ebbene, i risultati delle ricerche e l’esperienza sul campo permettono di individuare, tra le motivazioni principali, le seguenti:

15 Brodzinsky D.M., J. Palacios (a cura di), Lavorare nell’adozione:dalle ricerche alle prassi operative, a cura di M. Chistolini, Milano, Franco Angeli, 2010.

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PERCORSO FILMOGRAFICO

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PERCORSO TEMATICO LA RICERCA DELLE PROPRIE ORIGINI: UN PERCORSO DI LETTURA E FILMOGRAFICO

R ADICI: BAMBINI E R AGA ZZI ALL A RICERCA DELLE ORIGINI FAMILIARI, CULTURALI E GEOGRAFICHE NEL CINEMA CONTEMPORANEO Anna Antonini, studiosa di cinema, ha insegnato presso l’Università degli studi di Trieste e collabora con le mediateche provinciali di Udine e Gorizia

PREMESSA La ricerca delle origini è un tema narrativo tanto antico quanto diffuso in luoghi ed epoche diverse. Ogni cultura ha proposto diverse variazioni sul tema, raccontando di bambini allontanati dal proprio nucleo familiare dal caso, dagli eventi storici o dalla crudeltà umana, oppure di orfani e di coppie di fratelli cresciuti in contesti diversi che, cedendo al così detto “richiamo del sangue”, partono alla ricerca di un mondo perduto che continua a vivere dentro di loro. L’agnizione, il riconoscimento di sé e del proprio ruolo nel mondo, è uno dei momenti più emozionanti delle fiabe, del teatro e della letteratura, non solo popolare. La momentanea libertà che dà l’essere sottratto al controllo dell’autorità genitoriale (o dei suoi sostituti) sono il motore universale per l’inizio di un’avventura in cui i protagonisti, anche molto giovani, possono misurare le proprie forze e confrontarsi con la natura o con la società: da Pelle d’Asino a Tarzan, da Pinocchio a Tom Jones, dagli sfortunati eroi dei romanzi di Dickens fino a Harry Potter. Analogamente, la maggior parte delle genesi dei supereroi americani contemporanei non solo si basa su un evento traumatico ma tale evento è nella maggior parte dei casi la perdita dei genitori e, a

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seguire, di uno o entrambi i surrogati degli stessi (Batman, Spider-man). A questa perdita si aggiunge a volte la distruzione del pianeta di origine e la conseguenza migrazione forzata (Superman). Simbolicamente lo straordinario potere del supereroe (ovvero l’irripetibilità di ciascuno) si attiva nel momento in cui la realtà quotidiana si sgretola rivelando la vera natura (ovvero l’origine) di individui funzionali al contesto sociale in cui operano ma destinati a restarne estranei: come l’orfano ottocentesco o lo straniero contemporaneo essi incarnano la presenza del diverso tra gli uguali. Con queste premesse ritrovare la strada verso l’origine del proprio potere (della propria diversità) diventa cruciale e trascina con sé generazioni di lettori. Lettori e spettatori, perché la fama e il fascino di queste storie hanno spinto a produrne più e più versioni cinematografiche e televisive, senza contare gli adattamenti e le trasposizioni animate. Se tutti i bambini e gli adolescenti possono identificarsi in chi, coetaneo, si trova a prendere le misure del proprio posto nel mondo e a chiedersi quanto il passato determinerà il futuro, si può immaginare con facilità quanto vivo sia questo richiamo nei bambini adottati o nei bambini degli emigrati, spinti a compiere un viaggio a ritroso che spesso si trasforma nella consapevolezza di possedere un’identità ibrida, costruita a cavallo tra ciò che si è lasciato e ciò che si è acquisito anche a dispetto della propria volontà. Su queste cruciali domande (Chi sono? Da dove provengo? Dove sono diretto?) la narrazione classica incontra le esigenze narrative di un mondo in movimento e di realtà che si disgregano in un luogo per aggregarsi e mescolarsi in un altro. Il cinema può parlare della ricerca delle proprie radici familiari o culturali anche ricorrendo a metafore e narrazioni simboliche capaci, se adeguatamente presentate, di introdurre il tema per un pubblico composto da spettatori che non vivono direttamente tali esperienze ma anche di fornire esempi positivi a chi li sperimenta in prima persona.

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DAL FEUILLETON OTTOCENTESCO ALLA DISTOPIA POSTMODERNA: LA RICERCA DELLE RADICI NELL’ANIMAZIONE GIAPPONESE Spesso gli adulti, quale che sia il loro ruolo, restano stupiti, quando non allarmati, dalla grande popolarità che l’animazione giapponese ha acquisito a partire dagli anni Settanta del Novecento presso i bambini e gli adolescenti di tutto il mondo. Gran parte di questa popolarità si basa sulle tematiche affrontate da anime1 televisive e cinematografiche in cui non vengono omessi i drammi e le difficoltà della vita dei più o meno giovani protagonisti ma in cui non si manca di fare appello a principi e valori positivi quali la lealtà, l’amicizia e l’impegno. La ricerca delle proprie origine è una tematica frequente e cruciale. Paradossalmente, le serie più note, e che hanno sollevato le più aspre critiche per il tono melodrammatico della narrazione, sono ricavate da classici europei per ragazzi pubblicati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando la figura dell’orfano raggiunge l’apice della fortuna letteraria. Tra tutti si possono ricordare Remi-Le sue avventure (adattamento di Senza famiglia di Malot), Heidi (adattamento del romanzo di Johanna Spyri), Marco (ispirato al deamicisiano Dagli Appennini alle Ande), Anna dai capelli rossi (adattamento dei romanzi di Lucy Maud Montgomery). Negli adattamenti giapponesi si conservano gli aspetti drammatici e le potenzialità narrative contenute nei romanzi occidentali, insieme alla denuncia, di matrice occidentale, relativa alle condizioni di sfruttamento dei minori orfani o abbandonati; a queste tematiche si aggiunge la forte pressione sociale e familiare autoctona, una pressione esercitata su tutti i cittadini, minori inclusi, durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Essere separati dalla protezione del nucleo familiare o dalla comunità di appartenenza permette così una maggiore libertà di mettersi alla prova, di conoscere il mondo e seguire le proprie inclinazioni, diventando un modello di indipendenza anche per chi non ha un motivo esplicito di porsi domande sulle proprie origini. Emblematica in questo senso è la rilettura del personaggio di Heidi: la docile e bionda bambina che nel romanzo si affida alla Provvidenza diventa una ragazzina mora e intraprendente, con uno spiccato senso della giustizia, un carattere indomito e un atteggiamento assolutamente laico. Se la condizione dell’orfano alla ricerca della propria famiglia può essere un’opportunità nelle storie di finzione, essa si mostra in tutta la sua crudeltà in alcune opere ispirate a fatti testimoniati o vissuti dagli autori, come nel caso del romanzo di Akiyuki Nosaka Una tomba per le lucciole, adattato nel 1988 dal regista di animazione Isao Takahata; o del manga Gen di Hiroshima di Keiji Nakazawa, oggetto di due versioni cinematografiche animate. Nel film di Takahata la condizione degli orfani di guerra è mostrata in tutta la sua tragica crudezza e i protagonisti non cercano più le loro radici, ormai strappate, ma si aggrappano al ricordo della madre morta e alla speranza di rivedere il padre prima di soccombere alle privazioni e all’indifferenza degli adulti che li circondano. In Gen di Hiroshima la questione identitaria è ancora più complessa, soprattutto se si considera che il protagonista ha solo 6 anni. Sopravvissuto con la famiglia al bombardamento di Hiroshima, Gen deve decidere a quale comunità appartenere: da un lato c’è la scuola, che sostiene gli ideali nazionalistici e li inculca inesorabilmente negli studenti; dall’altro c’è l’esempio del padre, estremamente critico verso l’imperatore e l’aristocrazia militare che hanno portato il Giappone in guerra. Il bambino si trova così nella posizione di uno straniero in patria e vive il lancinante conflitto che prova chi mette quotidianamente a confronto il sistema di valori con cui è stato educato con quello, opposto e ostile, della società 1 Il temine giapponese deriva dalla contrazione dell’inglese animation.

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in cui vive. Si tratta di una dicotomia con cui chiunque può doversi confrontare nel corso della vita ma che può essere particolarmente dilaniante per chi sta cercando di rafforzare la propria identità personale pur non allontanandosi dalla famiglia o dal Paese d’origine. Non è difficile vedere una continuità tra Gen e bambini di altre epoche o Paesi, obbligati a mediare tra il contesto familiare e quello sociale. Certo la soluzione, quando c’è, può essere creativa e non drammatica, come nel caso di Laura Halilovic, giovanissima documentarista torinese rom di origine bosniaca che in Io, la mia famiglia rom e Woody Allen descrive con umorismo il passaggio dalla vita nomade a quella stanziale, il desiderio di diventare regista e di usare il cinema per mediare tra due culture che le appartengono egualmente ma che si guardano da sempre con reciproco sospetto. La sua ricerca identitaria abbraccia le comunità a cui appartiene e le obbliga a confrontarsi in modo costruttivo, trasformando l’esperienza intima della ricerca identitaria in un percorso collettivo in cui la giovane protagonista si fa carico di ricostruire la memoria di un’intero nucleo familiare, se non di un’intera nazione. Qualcosa di analogo avviene ne La città incantata di Hayao Miyazaki, in cui Chihiro, una ragazzina fragile e insicura, deve compiere un viaggio segnato dal più profondo ritorno alle origini: resa momentaneamente orfana da un incantesimo che l’ha privata del nome e ha trasformato gli ottusi genitori in maiali, la protagonista dovrà salvare se stessa e la propria famiglia contando su un’intraprendenza che ignorava di possedere e su alcuni ricordi cancellati da tempo. Per spezzare l’incantesimo Chihiro deve riscopre il significato di simboli, gesti, riti e luoghi legati alla tradizione shintoista di cui i genitori (e un’intera nazione insieme a loro) hanno scordato il senso e l’esistenza. Il riconoscimento di questo legame con la cultura agraria e la religione tradizionale non si esprime nei toni retorici del nazionalismo ma in quelli sommessi dell’intima appartenenza individuale a un organismo sociale collettivo, un humus necessario per la sopravvivenza di qualsiasi radice culturale sociale o familiare. Se nelle animazioni giapponesi tratte dai romanzi occidentali ottocenteschi le principali linee narrative rimangono intatte è anche vero che al tema dell’orfano o del figlio di emigranti alla ricerca delle proprie origini se ne aggiunge un terzo che estende la tematica a un tipo di bambini o adolescenti ulteriormente eccezionali. Si tratta infatti di alieni fuggiti dal pianeta natale, di esseri dotati di un corpo meccanico e un’intelligenza umana o ancora di individui completamente artificiali ma in grado di sviluppare sentimenti e ragionamenti autonomi e articolati. Si potrebbe vedere in questo filone una variante sul tema del burattino Pinocchio, con la differenza che l’androide vuole essere considerato un bambino a tutti gli effetti senza desiderare di diventarlo, un diritto che è anche quello di chi viene adottato: essere accettato e amato per quello che è e non per quello che i genitori adottivi vorrebbero che fosse. Astro Boy, il robot dai tratti infantili immaginato dal padre dell’animazione giapponese contemporanea Osamu Tezuka, o Tima, la bambina protagonista di Metropolis di Rintarō, nascono come macchine da guerra, come strumenti nelle mani degli adulti, ma si affrancano man mano che definiscono se stessi e accettano la loro origine, un passaggio necessario per superarla e costruire una personalità autonoma e consapevole. Se nelle trasposizioni dei romanzi classici l’agnizione (che in genere colloca i protagonisti su un gradino della scala sociale più alto di quello da cui sono partiti) rimane un momento cruciale, nelle serie più recenti e di ambientazione distopica, ad esempio Serial Experiments Lain o Ergo Proxy, il protagonista, dimentico di se stesso e della propria origine a seguito di un evento traumatico, intraprende un viaggio a ritroso per riconoscere (e sconfiggere) l’origine di una drammatica ingiustizia sociale; ma al termine di un percorso irto di pericoli scopre di essere lui stesso la causa del male che cerca di estirpare. Lungi dal colpevolizzare chi cerca la propria origine perché orfano

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o straniero, l’accusa lanciata da queste opere è rivolta a coloro che creano un’ingiustizia per poi riversarne la responsabilità su chi è diverso o straniero, un comportamento simile a quello dei lettori dei romanzi dickensiani (o deamicisiani) a cui non arrivava, insieme al piacere della lettura, la volontà di denuncia dell’autore.

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UNA FAMIGLIA PER OGNI BAMBINO O UN BAMBINO PER OGNI FAMIGLIA? Forse, il pericolo maggiore dell’andare alla ricerca delle proprie origini è scoprire di essere stati vittime di un atto di egoismo più o meno consapevole da parte della famiglia biologica o di quella adottiva. A volte il bene del minore è confuso con la gratificazione dell’adulto, compreso nel ruolo del salvatore che ha cancellato le tracce di un passato di svantaggio economico o affettivo. Ma persino un passato di privazioni è preferibile a una tabula rasa. Questo è, ad esempio, il tema di Cronaca familiare (1962) di Valerio Zurlini, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo biografico di Vasco Pratolini. I due fratelli Enrico e Lorenzo vengono separati alla morte della madre: il maggiore resta con la famiglia d’origine mentre il più giovane è adottato da una famiglia agiata e senza figli, in grado di garantirgli educazione e sicurezza economica ma incapace di un affetto autentico. Per quanto aderisca al modello imposto dalla famiglia adottiva Lorenzo resta sempre un estraneo, un povero ragazzino graziato dalla magnanimità dei suoi salvatori. Diventato maggiorenne egli preferirà la compagnia del fratello perché questo rapporto possiede la gratuità e il calore della sincera accettazione dell’altro. Una vicenda per alcuni aspetti simile a quella raccontata da Gianni Amelio ne Il piccolo Archimede (1979), tratto dall’omonimo racconto breve di Aldous Huxley. Il film risulta di particolare interesse perché mette al centro del racconto il bisogno del bambino protagonista di coltivare il proprio talento nelle condizioni che lo hanno fatto nascere, condizioni economicamente difficili ma affettivamente presenti e capaci di garantirgli la protezione a cui ogni minore ha diritto. Guido, orfano di madre, è un bambino di sette anni, non scolarizzato ma intelligente e particolarmente dotato per la musica. Vive in una famiglia di mezzadri nella campagna toscana e viene adottato dai Bondi, i proprietari delle terre coltivate dalla famiglia di Guido. Il suo mentore è Heines, un professore di storia dell’arte inglese travolto dall’entusiasmo per aver scoperto un talento puro, assoluto e rivoluzionario come poteva essere quello di Leonardo. Simile a una pianta selvatica rinvasata in una terra troppo ricca, Guido è chiamato a soddisfare una spropositata quantità di aspettative: quelle affettive dei coniugi Bondi, privati di un figlio biologico, e quelle di Heines, incapace di proteggere il bambino dalla possessività della signora Bondi. Come in Cronaca familiare anche ne Il piccolo Archimede l’esito di tanta aridità affettiva è tragico: Guido infatti ritrova se stesso e la libertà solo attraverso la morte. In entrambi i film viene ribadita con forza la necessità di non recidere le radici familiari, di non sopprimere i luoghi, i gesti e le presenze che costituiscono l’identità di ciascuno. Il desiderio di radicamento dei bambini e dei ragazzi si scontra e si incontra con il desiderio degli adulti di affermare e superare la propria origine generando e accudendo un figlio, sia esso biologico o adottato. Essere scelti, d’altra parte, significa dare alle proprie radici una seconda possibilità per attecchire e svilupparsi, rimandando all’età adulta il momento delle domande sulla propria origine. Molti film si concentrano sul dramma della genitorialità mancata oppure affrontano il trauma, o il senso di sollievo, che può seguire la scoperta delle proprie origini da adulti (Segreti e bugie, Ogni cosa è illuminata) mentre è più difficile trovare un titolo che affronti entrambi i temi dal punto di vista di un bambino scaraventato nell’indistinto mondo dell’oblio quando ai genitori si offre una scelta migliore. AI - Intelligenza artificiale potrebbe apparire come una versione occidentale del filone dedicato agli androidi dall’animazione giapponese; oppure potrebbe sembrare una versione infantile di Blade Runner perché entrambi i film sono segnati dalla necessità di costruirsi un’origine, un passato e una memoria, elementi fondamentali per poter sopravvivere nel mondo umano. Ma l’unità di intelligenza artificiale

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David non può riprogrammarsi e non è consapevole di essere un sofisticato robot, quindi vive ogni azione dei genitori come le vivrebbe un bambino in carne e ossa. Non essere all’altezza delle aspettative, non sapersi mescolare agli altri bambini, non riuscire a farsi accettare dal figlio biologico della coppia sono tutte esperienze che decretano il destino di David: il piccolo robot viene abbandonato e rischia la rottamazione così come può accadere al bambino adottato rifiutato e obbligato a riscrivere una nuova storia di sé di cui conservare memoria. È questo il caso dei protagonisti di Piccola peste e Matilda 6 mitica: il primo film racconta le avventure di un ragazzino tanto indisciplinato da essere rifiutato da ben trenta famiglie; il secondo descrive la vita di una ragazzina intelligente e studiosa, rifiutata dalla rozza famiglia naturale e ben accolta dalla propria maestra che finisce con l’adottarla, a riprova che le radici sono tenute in vita dall’affetto e dalla comprensione, non importa se la famiglia è stata dato dal caso o è stata scelta consapevolmente.

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I GUARDIANI DELLA GALASSIA E LION: LO SCONCERTO E IL SOLLIEVO DI RITROVARE LE PROPRIE RADICI La necessità di conoscere il proprio passato per vivere consapevolmente il presente, tanto viva nelle persone che sono state adottate o che sono state obbligate a cambiare lingua, cultura e abitudini per altre ragioni, al cinema si sgancia da un preciso contesto storico e geografico e diventa condivisibile da chiunque abbia quesiti irrisolti sul proprio passato. Al di là dell’aspetto avventuroso e di divertente intrattenimento, I Guardiani della Galassia è, ad esempio, un’eccellente e complessa definizione del concetto di appartenenza, di radicamento in una comunità, biologica o di elezione, e delle delusioni e delle speranze che ognuno attribuisce alla ricerca della propria origine. I due capitoli diretti da James Gunn, adattamento di un fumetto Marvel, si aprono con la morte della madre del protagonista e con il successivo rapimento dello stesso: una luce avvolge Peter Quill e lo trasporta su un’astronave dove verrà allevato da una ciurma di pirati spaziali. A Peter restano solo due ricordi della famiglia terrestre: una musicassetta con le canzoni preferite dalla madre e dei racconti confusi sull’origine aliena del padre. Diventato adulto e conosciuto in tutta la galassia per le sue imprese prima come ladro e poi come eroe, Quill, che ora si fa chiamare Star Lord, non ha smesso di cercare il padre. Tanta ostinazione finisce per ferire sia i Guardiani, l’eterogenea squadra di eroi sui generis che di fatto costituisce la famiglia d’elezione di Peter, sia Yondou, il capitano pirata che ha rapito e poi cresciuto il piccolo terrestre, finendo per affezionarsi al ragazzino in una burbera e ruvida maniera. Alla fine sarà il padre a trovare Peter, confermando le storie della madre sulla sua origine aliena ma rivelando anche una natura spietata ed egotica: tutti quei figli disseminati nella galassia, fratelli morti prima che Quill potesse incontrarli, sono stati concepiti solo per essere sacrificati e permettere al padre di vivere in eterno. Fuori dalla metafora fantastica, la storia di Star Lord è tragicamente realistica e statisticamente probabile: la conoscenza comporta anche l’apprendimento di informazioni più destabilizzanti di un’origine imprecisata e obbliga a confrontarsi con l’egoismo e la follia di chi ha messo al mondo un figlio non per un atto disinteressato d’amore ma per una mera gratificazione personale. Nel film il tema è ripreso da un altro punto di vista attraverso il personaggio di Gamora, sorta di opposto simmetrico di Star Lord. Gamora sa chi è e da dove proviene: la sua famiglia è stata uccisa da Thanos il quale, colpito dalla fermezza della bambina, decide di adottarla e crescerla non come un individuo autonomo ma come una proiezione di se stesso, la pericolosa tentazione implicita in ogni desiderio di genitorialità, biologica o acquisita. Una famiglia spietata è pur sempre meglio che nessuna famiglia e Gamora si adatta alla nuova vita fino a quando non cresce abbastanza per potersi ribellare. Pur scettica verso il bisogno di conoscere di Quill e convinta che sia più importante ciò che si sceglie di essere rispetto alla mera discendenza familiare, è innegabile che Gamora sia così resiliente proprio perché sa chi è, da dove ha origine e cosa è successo alla sua famiglia e al suo popolo. La delusione di Peter e il dolore di Gamora non diventano mai un invito a demordere o a rifugiarsi nell’inazione e nel cinismo ma sono piuttosto un invito a risalire alle proprie radici senza eccedere nelle aspettative e a superarle senza cadere nel fatalismo. Eppure la tentazione di evocare il fato avverso è forte vedendo Lion-La strada verso casa e conoscendo la storia vera e incredibile di Saroo Brieley, protagonista di un viaggio dall’India all’Australia (e ritorno) che non ha nulla da invidiare a quello interplanetario di Star Lord. Alla

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fine degli anni Ottanta Saroo ha 4 anni quando segue in fratello al lavoro ma si perde e sale su un treno che dall’India centrale lo porta a Calcutta, una città inconcepibile per un bambino cresciuto in un minuscolo villaggio e in cui tutti parlano bengali, una lingua sconosciuta per Saroo. A salvarlo dal pericolo di vivere così piccolo per strada è un uomo che parla hindi e che lo porta a un commissariato in modo da diramare un comunicato sul suo ritrovamento. Ma le possibilità che nel villaggio di Saroo qualcuno veda la sua foto sul giornale sono remote e infatti il bambino viene ospitato in un orfanotrofio. Da quel luogo di privazioni materiale e affettive Saroo è sottratto quando una coppia australiana lo adotta e lo porta in Tasmania. La sua vita procede in modo sereno ma Saroo vorrebbe ritrovare la famiglia d’origine e i propri fratelli. I suoi ricordi sono molto vaghi e sulla base di pochi dettagli inizia a scandagliare con Google Earth la zona da cui proviene. Da questo viaggio virtuale inizia il ritorno a casa di Saroo: un concreto viaggio nello spazio e un simbolico viaggio nel passato di un uomo che non ha mai dimenticato la propria origine. Il viaggio di Saroo ricorda, non nelle premesse storiche ma nel desiderio di ricongiungersi con le proprie origini, il viaggio a ritroso descritto in Radici da Alex Haley, discendente del principe africano Kunta Kinte deportato negli Stati Uniti come schiavo nel Settecento. In entrambi i casi la necessità di ricostruire l’origine della propria famiglia e di se stessi non sottrae valore a ciò che si è diventati ma è un completamento di sé e della propria identità, il riconoscimento di un cammino lungo e tortuoso, compiuto volontariamente o per forza, per caso o per necessità. Ed è anche l’ammissione che ogni persona nata in un luogo e cresciuta in un altro resterà per sempre “un’anima divisa in due”. Per quanto difficile sia questa condizione, riconoscerne la ricchezza, la complessità e l’importanza significa far emergere quanto di positivo e di vitale contiene non solo per chi la vive in prima persona ma per tutta la comunità che lo circonda.

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FILMOGRAFIA

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Lion – La strada verso casa, Gar th Davies,Australia/Usa/Uk 2016.

Cronaca familiare, Valerio Zurlini, Italia 1962. Astro Boy, Osamu Tezuka, Giappone 1963. Heidi, Isao Takahata. Giappone 1974. Marco, Isao Takahata, Giappone 1976. Remi - Le sue avventure, Osamu Dezaki, Giappone 1977. Anna dai capelli rossi, Isao Takahata, Giappone 1979. Il piccolo Archimede, Gianni Amelio 1979. Gen di Hiroshima, Mori Masaki, Giappone 1983. Gen di Hiroshima, Akio Sakai, Toshio Hirata, Giappone 1986.

BIBLIOGRAFIA Anna Genni Milotti, Ci vuole un paese: adozione e ricerca delle origini, Milano, Franco Angeli, 2011. Giovanna Gianturco, Gaia Peruzzi, Immagini in movimento: lo sguardo del cinema italiano sulle migrazioni, Reggio Emilia, Junior, 2015. Guido Tavassi, Storia dell’animazione giapponese: autori, arte, industria, successo dal 1917 a oggi, Latina, Tunué-Editori dell’immaginario, 2012.

Una tomba per le lucciole, Isao Takahata, Giappone 1988. Piccola peste, Dennis Dugan, Usa 1990. Un’anima divisa in due, Silvio Soldini, Italia 1993. Matilda 6 mitica, Danny De Vito, Usa 1996. Segreti e bugie, Mike Leigh, Gran Bretagna 1996. Serial Experiments Lain, Ryutaro Nakamura, Giappone 1998. A. I. - Intelligenza artificiale, Steven Spielberg, Usa 2001. Metropolis, Rintarō, Giappone 2001. La città incantata, Hayao Miyazaki, Giappone 2003. Ergo Proxy, Shuko Murase, Giappone 2006. Ogni cosa è illuminata, Liev Schreiber, Usa 2006. Io, la mia famiglia rom e Woody Allen, Laura Halilovic, Italia 2009. I Guardiani della Galassia voll. 1 e 2, James Gunn,Usa 2014 e 2017.

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