Rassegna Bibliografica 3/2014

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Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza

Centro di documentazione per l'infanzia e l'adolescenza Regione Toscana

Guida alla lettura Tavola dei contenuti Segnalazioni bibliografiche Focus internazionale I nostri antenati Indice degli approfondimenti Info credenziali

Istituto degli Innocenti Firenze


Guida alla lettura Rassegna bibliografica, pubblicata per la prima volta nel 2000, a partire dall’annualità 2013 si pre­

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senta in una nuova veste con un formato di tipo elettronico. L’intento è quello di rispondere alle mutate esigenze dei lettori che sempre più ricorrono all’uso di strumenti disponibili on line e in particolare a Internet, per ottenere produzioni di rapida consultazione e accesso, maggiormente interattive e operabili all’interno della rete. La rivista, pur ponendosi in continuità con la precedente versione cartacea di cui mantiene i tratti gra­ fici, in quanto ancora frutto della collaborazione tra l’Istituto degli Innocenti, il Centro nazionale di do­ cumentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza e il Centro regionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Toscana, si arricchisce oggi di nuove sezioni e soprattutto di nuove funzionalità. Scopo della rivista rimane quello di favorire l’aggiornamento professionale degli operatori e la cono­ scenza tra amministratori locali e studiosi della documentazione bibliografica prodotta sull’infanzia e l’adolescenza, ma tale informazione viene ora proposta utilizzando nuove modalità e nuovi percorsi di approfondimento. In particolare, utilizzando una serie di simboli specifici (riportati di seguito), si sono voluti fornire strumenti di approfondimento ipertestuali che rimandano ai seguenti elementi: ricerche bibliografiche (che possono essere effettuate nel Catalogo unico della Biblioteca Innocenti Library) e percorsi di lettura in download ricerche filmografiche (che possono essere effettuate nel Catalogo unico della Biblioteca Innocenti Li­ brary) e percorsi di visione in download raccolta di norme e commenti giuridici (tratti dai siti minori.gov.it e minoritoscana.it e dal Cata­ logo unico della Biblioteca Innocenti Library) documenti in download link ad altri siti Le Segnalazioni bibliografiche si presentano ordinate secondo lo Schema di classificazione sull’infanzia e l’adolescenza realizzato dall’Istituto degli Innocenti. All’interno di ogni voce di classifi­ cazione l’ordinamento è per titolo. Le pubblicazioni monografiche e gli articoli segnalati sono corredati di abstract e della descrizione bibliografica che segue gli standard internazionali di catalogazione. Per quanto riguarda la descrizione semantica, l’indicizzazione viene effettuata seguendo la Guida all’indi­ cizzazione per soggetto, realizzata dal Gris (Gruppo di ricerca sull’indicizzazione per soggetto) dell’As­ sociazione italiana biblioteche. Il Focus internazionale vuole concentrare l’attenzione su alcune esperienze particolarmente signifi­ cative nell’ambito delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza che si sviluppano a livello internazionale attraverso la segnalazione di alcuni volumi e articoli specializzati di settore. La nuova sezione denominata I nostri antenati, con un richiamo all’opera di Italo Calvino e al suo tentativo di comprendere la propria contemporaneità attraverso lo sguardo di chi ci ha preceduto, si prefigge di valorizzare, attraverso le segnalazioni commentate di alcuni volumi pubblicati in un recente passato, quelle opere che hanno contribuito a determinare un “sapere comune” di nozioni e conoscenze. Queste pubblicazioni mantengono ancora oggi un interesse per la comunità scientifica, in quanto costi­ tuiscono le radici su cui poter basare la propria attività professionale. Alcuni di questi volumi pro­ vengono dai fondi Alfredo Carlo Moro, Angelo Saporiti e Valerio Ducci, acquisiti nel corso del tempo dalla Biblioteca Innocenti. Tali fondi si sono formati in base agli interessi e ai percorsi culturali intrapresi da queste importanti personalità che molto hanno studiato e operato per migliorare la condizione dei bambini in Italia. Per facilitare, inoltre, la consultazione dei materiali e il loro utilizzo in occasioni di convegni e semi­ nari formativi, si è pensato di realizzare i percorsi tematici in maniera separata dal corpo delle segnala­ zioni, prevedendoli come supplementi alla rivista. La documentazione presentata costituisce parte del patrimonio documentario della Biblioteca Inno­ centi Library Alfredo Carlo Moro, nata nel 2001 da un progetto di cooperazione fra l’Istituto degli Inno­ centi e l'UNICEF Office of Research, in accordo con il Governo italiano, e deriva da un’attività di spoglio delle più importanti riviste di settore e da una ricognizione delle monografie di maggiore rilievo pubblicate di recente sugli argomenti riguardanti l’infanzia e l’adolescenza. Tutti i libri e i documenti di questo numero sono ricercabili nel Catalogo unico dell’Istituto degli Innocenti e disponibili per la consultazione e il prestito. È possibile, inoltre, richiedere informazioni e assistenza tramite il servizio on line Chiedi al bibliotecario. Eventuali segnalazioni e pubblicazioni possono essere inviate all’indirizzo email: rassegnabibliografica@istitutodeglinnocenti.it


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Segnalazioni bibliografiche


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Le bambine e le ragazze, costrette a subi­ re una doppia discriminazione, di età e di ge­ nere, sono più vulnerabili e quindi più esposte alla violenza, nelle sue diverse forme. Il dossier La condizione delle bambine e delle ragazze nel mondo 2014, curato da Terre des hommes e realizzato nell'ambito della campagna Indifesa, traccia un quadro aggiornato della condizione delle giovani donne in Italia e nel mondo, proponendo dati e ana­ lisi su fenomeni come i matrimoni e le gravi­ danze precoci, le mutilazioni genitali femminili, gli aborti selettivi, ma anche le nuove forme di violenza e abuso, come il turismo sessuale tra­ mite webcam. Il dossier è suddiviso in dieci capitoli. Nel primo si affronta il tema degli aborti selettivi e delle discriminazioni alla nascita. Le bambi­ ne mai nate, risultato dell'atroce pratica degli aborti selettivi in Cina, India e altri Paesi del Sud­Est asiatico e Caucaso, sono oltre 100 milioni. Ma gli aborti selettivi raccontano so­ lo una parte delle discriminazioni subite dalle bambine, che in molti Paesi continuano anche dopo la nascita, come rivelano i dati eccessi­ vamente alti di mortalità tra le piccole con me­ no di cinque anni. Altri dati che fanno riflettere sono quelli che riguardano le bambine vittime di mutila­ zioni genitali femminili, riportati nel secondo capitolo. Il fenomeno si concentra soprattutto in 29 Paesi dell'Africa centrale e del Medio Oriente, ma riguarda anche le bambine e le ragazze residenti in Europa. Il terzo capitolo è dedicato all'accesso all'istruzione. In questo ambito resta molta strada da fare, soprattutto per le bambine e le ragazze; per molte di loro, infatti, potersi se­ dere sui banchi di scuola è ancora oggi una sfida molto impegnativa. Il capitolo successivo tratta un altro tema importante: la doppia discriminazione subita dalle ragazze disabili. Complessivamente si parla di circa 93 milioni di bambini e ragazzi che soffrono di diverse forme di esclusione e discriminazione, come il mancato accesso ai servizi sanitari e scolastici. Per le bambine la situazione può essere peggiore: sesso e disa­ bilità, infatti, contribuiscono a creare una condizione di doppia discriminazione partico­

larmente penalizzante. Le ragazze disabili ri­ cevono meno cure e meno cibo rispetto ai maschi, vengono più facilmente escluse dalle relazioni familiari e dalle attività quotidiane e hanno più difficoltà a completare gli studi. Il lavoro minorile, a cui è dedicato il quinto capitolo, coinvolge oltre 68 milioni di bambi­ ne nel mondo. Di queste, 30 milioni sono co­ strette a eseguire lavori pericolosi e oltre 11 milioni sono domestiche in casa d'altri. Una parte del quinto capitolo si sofferma sul tema del turismo sessuale tramite webcam. Nel sesto e nel settimo capitolo si parla, rispettivamente, di matrimoni precoci (feno­ meno che coinvolge, ogni anno, circa 14 mi­ lioni di bambine e ragazze) e di bambine e disastri naturali. L'ottavo capitolo approfondisce il tema delle gravidanze precoci, grave violazione dei diritti fondamentali delle bambine che non ri­ guarda solo i Paesi in via di sviluppo. La violenza contro le bambine e le ragazze è l'argomento al centro del nono capitolo, che contiene anche un focus sui minori vittime di reati in Italia. I dati delle forze dell'ordine ri­ portati nelle pagine che riguardano il nostro Paese rivelano un incremento del numero di minori vittime di reati: dal 2004 al 2013 si è passati, infatti, da 3.311 vittime (63% femmi­ ne) a 5.162 (61% femmine). L'ultimo capitolo, dedicato al tema della violenza e degli stereotipi di genere, propone una serie di dati tratti da alcune indagini sul tema. La campagna Indifesa, lanciata l'11 otto­ bre 2012 in occasione della prima Giornata mondiale delle bambine, sostiene progetti volti a prevenire e contrastare le violenze e le discri­ minazioni contro le bambine e le ragazze.


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Il questo numero della rivista gli autori hanno focalizzato la loro attenzione nell'ana­ lisi dettagliata di un'età difficile e complessa, quale è l'adolescenza. All'interno del dossier monotematico molti autori con i loro contri­ buti hanno cercato di andare al di là delle de­ finizioni negative che spesso i media danno degli adolescenti. I media, infatti, presentano il mondo adolescenziale come una generazio­ ne vuota, in balia di sostanze stupefacenti, con comportamenti sessuali promiscui e co­ sì via. Tali contributi mettono in evidenza inve­ ce quanto il mondo adulto sia assente: a parole le istituzioni, la politica, la cultura sono a fa­ vore dei giovani, ma nei fatti ciò non si verifi­ ca, tanto che di solito i ragazzi e le ragazze non vengono coinvolti in alcuna discussione o decisione pubblica. Eppure, in un periodo in cui tutto sta cambiando in modo rapido e veloce a vari livelli (comunicativo, relaziona­ le­affettivo, personale e sociale) gli interpreti più importanti di questo cambiamento sono proprio gli adolescenti, che sembrano avere le competenze per muoversi, cercare e trova­ re direzioni nel mondo futuro. Oltre a essere nativi digitali, sono anche nativi nella crisi e mostrano spesso delle qualità che non appartengono, se non marginalmente, al mondo adulto. Le qualità e le competenze degli adole­ scenti sono verificabili nella capacità di muo­ versi per tentativi senza certezza sulle mete, di valorizzare gli errori perché ricchi di informa­ zioni, di diversificare e moltiplicare i campi dell'esperienza, di scambiarsi e condividere saperi e scoperte in modo orizzontale per mi­ gliorarle. Gli adolescenti sembrano in grado di crescere in modo spontaneo insieme ad altre culture, di mostrarsi, in grande maggio­ ranza, pacifici e tranquilli, a dispetto dell'aggressività e competitività esasperata del mondo adulto. Anche nei percorsi dell'identità di genere gli adolescenti sembrano escludere una de­

scrizione scontata; la sessualità viene speri­ mentata con nuovi segni affettivi e di tenerezza. Gli adulti dovrebbero aiutare gli adolescenti ad agire una sessualità consapevole e riferi­ bile a situazioni relazionali, emozionali e co­ gnitive contestualizzabili, dando senso e significato. Il ruolo degli adulti appare quindi inso­ stituibile nell'aiutare i giovani ad affrontare i percorsi tortuosi della vita, favorendo nei ra­ gazzi la capacità di diventare individui re­ sponsabili e maturi. Gli adulti dovrebbero loro aprire le porte e appassionarli alla conoscenza, affiancandoli nelle scelte, valorizzando le po­ tenzialità e non sottolineando soltanto gli aspetti critici, che se pur presenti devono di­ ventare motivo di crescita consapevole e di cambiamento. In una società così complessa diventa insostituibile l'apporto dei giovani, la loro spinta innovativa e le nuove sensibilità che essi incarnano.


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Segnalazioni bibliografiche

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Il presente lavoro ha l’obiettivo di far riflettere sui compiti e le responsabilità dell’assistente sociale nei procedimenti di adozione che riguardano minori pro­ venienti da minoranze svantaggiate e, più in generale, considerare il ruolo assunto dal servizio sociale nei pro­ cessi di integrazione socioeconomica di tali minoranze e nella tutela e promozione del benessere degli indivi­ dui che le compongono. Il ruolo dell’assistente sociale pertanto dovrebbe essere sempre più intesto come principale nella tutela e promozione dei diritti umani. L’articolo si compone di due parti. La prima consi­ ste nella presentazione dei dati della ricerca condotta dall’Associazione 21 luglio presso il Tribunale per in minorenni di Roma, che evidenzia come le procedure di adottabilità e le effettive dichiarazioni di adottabili­ tà a carico dei minori rom siano risultate essere una percentuale non proporzionata al numero complessi­ vo di minori rom presenti nel territorio della regione Lazio. Emerge come dato rilevante che un minore rom ha circa il 50% delle possibilità in più rispetto a un mi­ norenonromcheunprocedimentodiadottabilitàvenga aperto a suo carico e circa il 40% di possibilità in più di essere dichiarato adottabile. Le ragioni di una simile sproporzione, come evi­ denziato dalla ricerca, deriverebbero dal numero di se­ gnalazioni di minori rom che giungono al tribunale soprattutto da parte dei servizi sociali. Spesso le se­ gnalazioni sono dovute a fattori diversificati che si intrecciano tra loro quali le pessime condizioni abitati­ ve, le condotte devianti, la mancanza di integrazione lavorativa e la scarsa integrazione sociale, la mancata scolarizzazione di minori, la violenza domestica, il disinteresse da parte dei genitori a tutelare i propri rapporti con il figlio ecc. La seconda parte evidenzia come la situazione ri­ portata mostri chiaramente uno squilibrio di potere tra la società maggioritaria non rom e quella minoritaria dei rom. In questo contesto emerge come il ruolo dell’as­ sistente sociale, che si colloca e agisce sul micro livello

rappresentando cioè il punto di contatto diretto delle istituzioni con l’utenza, dovrebbe poter estendere la propria azione anche ai livelli meso e macro, andando perciò a lavorare sui contesti locali, nazionali e interna­ zionali. In relazione ai minori rom è necessario che l’as­ sistente sociale si mantenga pienamente informato ri­ guardo al vasto contesto politico, storico e culturale nel quale il “caso specifico” si colloca. Inoltre, per eliminare il senso di frustrazione de­ rivato dal lavoro in solitudine, per riscoprire il senso e la funzione dei servizi entro cui l’operatore sociale è collocato e opera, è necessario trovare spazi di rifles­ sione in cui riconnettere il proprio lavoro alla realtà so­ ciale e valutare gli effetti del proprio agire sulla vita delle persone “utenti” e della società nel suo complesso. Il fenomeno delle adozioni di minori rom ha rive­ lato, non solo nel Lazio, un’aspettata percentuale di bambini e famiglie rom che giungono all’attenzione de­ gli assistenti sociali e dei giudici. Una percentuale che assume connotazioni preoccupanti tanto più se consi­ derata in relazione a un atteggiamento di forte pregiu­ dizio. La posizione occupata dall’assistente sociale, nelle organizzazioni istituzionali e non, lo mette in condizioni di operare come tessuto connettivo tra la sfera privata e quella politica, di studiare il disagio indi­ viduale e reinterpretarlo eventualmente come disagio sociale, ricercandone le cause e impegnandosi per il cambiamento di quelle condizioni strutturali che ge­ nerano ingiustizia sociale, discriminazione e oppres­ sione.


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Segnalazioni bibliografiche

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Il Quaderno 57 illustra il Progetto nazio­ nale per l'inclusione e l'integrazione dei bambi­ ni rom, sinti e caminanti, promosso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la colla­ borazione del Ministero dell'istruzione, dell'uni­ versità e della ricerca, nell'annualità 2013­2014. Il progetto si occupa di bambini e bambine rom, sinti e caminanti, delle loro famiglie, della scuola che li accoglie e dei contesti in cui vi­ vono. Si tratta di un progetto sperimentale che nei suoi obiettivi pone l'inclusione dei bambi­ ni e delle bambine rom sinti e caminanti a partire da un presupposto innovativo: rende­ re accoglienti i contesti e lavorare per l'empo­ werment delle famiglie e della popolazione Rsc, per realizzare l'incontro tra popolazione Rsc e territorio (scuola, servizi, associazionismo, realtà del territorio) su basi di mutuo ricono­ scimento e rispetto delle differenze. Un incontro che il progetto sostiene attraverso percorsi che mirano all'autonomia e all'empowerment delle famiglie Rsc, ma anche attraverso un percorso di sostegno e formazione agli insegnanti, agli operatori sociali, ai decisori politici e ai re­ sponsabili tecnici per lo sviluppo di compe­ tenze utili allo sviluppo di relazioni proficue e solide con la popolazione Rsc. Il progetto spe­ rimentale si sviluppa in 13 città riservatarie ex lege 285/1997, prevede due ambiti di atti­ vità: da una parte la scuola, dall'altra i conte­ sti abitativi dei bambini Rsc. Le attività nel contesto scolastico ruotano attorno allo svi­ luppo di competenze all'interno della scuola, valorizzando il capitale umano e di conoscenze di cui la scuola è portatrice, attraverso percorsi di formazione per insegnanti e sostegno alla metodologia cooperativa, la realizzazione di attività laboratoriali basati sulla metodologia di learning by doing, il sostegno alla relazione tra famiglie e scuola. Nei contesti abitativi le attività si concentrano sul sostegno socio­di­ dattico ai bambini Rsc e sul sostegno ai percorsi di autonomia e avvicinamento ai servizi delle famiglie Rsc dei bambini. A cornice delle attività il progetto prevede un coordinamento pensato su più livelli: a li­ vello “verticale” il coordinamento tra il Comi­ tato scientifico nazionale e le realtà locali sono garantite dalla figura del tutor nazionale,

mentre a livello locale il coordinamento “orizzontale” è garantito dalla costruzione di équipe multidisciplinari, composte da inse­ gnanti, operatori del privato sociale, servizi sociali e sanitari, che garantiscono, oltre al coordinamento delle attività, una riflessione multi­professionale che mira a costruire una cornice di senso condivisa per la realizzazio­ ne degli obiettivi. Attraverso la voce di tutti gli attori coinvolti (i progettisti e il comitato scientifico, gli ope­ ratori che hanno lavorato nel campo e nella scuola, gli insegnanti, i tutor di progetto, i bambini…), il Quaderno realizza un racconto corale, nel quale si esplicano obiettivi e pre­ supposti metodologici, strumenti e attività rea­ lizzate, specificità dei contesti, strumenti utilizzati per la valutazione di risultato e di processo, criticità e risultati raggiunti dal pri­ mo anno di attività. Tra i risultati raggiunti vi è un aumento importante della presenza dei bambini Rsc a scuola, una partecipazione più attiva dei ge­ nitori Rsc alla vita scolastica, ma anche l'avvio di processi di riflessione multi­professionale su pratiche innovative di inclusione dei bambi­ ni Rsc e delle loro famiglie.


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Il Rapporto giovani 2014 rappresenta il secondo appuntamento di quello che, nel pro­ getto dell'Istituto Toniolo, intende costituirsi come un osservatorio continuo sulla condizio­ ne giovanile in Italia, con l'obiettivo di colma­ re un'effettiva carenza di dati e informazioni sulla realtà oggettiva e soggettiva delle giova­ ni generazioni. I dati presentati in questa seconda edizio­ ne del rapporto emergono dalla ricerca longi­ tudinale messa in campo con la collaborazione di Ipsos a partire dal 2012, a seguito di una prima ingente indagine a cui avevano parte­ cipato circa 9000 individui tra i 18 e i 29 anni presentata nel rapporto 2013. Le indagini successive, condotte con tecnica Cati­Cawi su un panel numericamente inferiore e su temi diversi, sono divenute oggetto del presente rapporto e degli approfondimenti resi dispo­ nibili sul sito www.rapportogiovani.it. Analizzando i temi del lavoro e della forma­ zione, della famiglia e del rapporto con i geni­ tori, del benessere e della felicità, dei valori e della fiducia nelle istituzioni, della partecipa­ zione e dell’impegno sociale, il Rapporto gio­ vani mette in luce le specificità degli under 30, ma anche le differenze che si registrano al lo­ ro interno. Da vari indicatori ufficiali (Ocse, Banki­ talia) emerge come l'attuale crisi economica abbia corroso la capacità dei giovani italiani, già precedentemente bassa, di immettersi in un percorso virtuoso di arricchimento della propria vita e di produzione del benessere per la nazione. Il Rapporto giovani mostra però, come da parte delle giovani generazioni, emerga una forte volontà di non rassegnarsi, soprattutto nei cosiddetti Millennials, cioè coloro che so­ no divenuti maggiorenni dopo il 2000, che ormai diverse ricerche hanno dimostrato diffe­ renziarsi dalle generazioni precedenti per la spiccata fiducia in se stessi, la capacità di fa­ re rete, la propensione all'innovazione e al cambiamento. Dai dati emergono tuttavia anche gli effetti negativi derivanti all'esposi­ zione in età giovanile a una situazione pro­ lungata di crisi e di frustrazione delle proprie potenzialità, affiancata da una politica inca­ pace di tutelare e migliorare il bene comune.

Sono tutte condizioni che rischiano di sfocia­ re in una crisi di appartenenza e di sfiducia sociale, oltre che nel risentimento verso le ge­ nerazioni precedenti, accusate di aver ipote­ cato il futuro per la salvaguardia di un benessere che non è più alla portata di tutti. La reazione dei giovani alla complessità del contesto economico e sociale sembra es­ sere polarizzata: da una parte coloro che con maggiore energia e ottimismo reagiscono mi­ gliorando la propria formazione e producendo innovazione e dall'altra chi, oltre a perdere la fiducia nelle istituzioni e nella società, perde anche la fiducia in se stesso e nelle proprie possibilità e necessita quindi di sostegno per l'orientamento e la qualificazione. I dati mostrano comunque un panorama complesso, all'interno del quale spiccano i concetti di reversibilità delle scelte, riadatta­ mento delle prospettive (soprattutto in campo lavorativo, dove non esiste più una corri­ spondenza diretta tra titolo di studio e soddi­ sfazione) e fiducia nelle relazioni più strette, che non va necessariamente a scapito della fi­ ducia negli altri, anche se in generale il calo di fiducia nelle istituzioni è evidente. Nel complesso il Rapporto presenta una serie di indicatori interessanti che potranno essere perfezionati e monitorati in prospetti­ va longitudinale nelle successive waves dell'indagine.


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La nozione di “famiglia” e la sua evoluzio­ ne sono al centro dell'analisi dell'autrice. La definizione dell'art. 29, c. I, Cost., famiglia co­ me "società naturale fondata sul matrimonio", si rivela oggi inadeguata a caratterizzare gli altri tipi di convivenze, che pur non essendo basate sul vincolo di coniugio sono comunque unioni stabili e durature. Una pluralità di mo­ delli familiari che affiancano la tradizionale famiglia eterosessuale fondata sul matrimo­ nio sui quali è sicuramente necessario riflette­ re, in particolare relativamente alle relazioni giuridiche che all'interno di esse possono na­ scere. L'autrice afferma che la paura di intacca­ re l'istituto del matrimonio ha fatto sì che si creasse uno schema estremamente rigido che ha limitato la libertà di scelta dei modelli alternativi. La Corte europea dei diritti dell'uomo so­ stiene invece un concetto ben più ampio di fa­ miglia, basato sull'art. 8 della Cedu (Carta europea dei diritti dell'uomo) che sancisce il diritto al rispetto della vita privata e familia­ re, che considera anche i legami de facto fuo­ ri dal legame coniugale e non solo quelli matrimoniali. Anche l'art. 9 della Carta dei di­ ritti fondamentali dell'Unione Europea espri­ me la volontà di una scelta pluralista del legislatore europeo che eleva al rango di princi­ pio la pari dignità di ogni convivenza. La Corte di Strasburgo si è inoltre espres­ sa sul delicato tema delle unioni omosessua­ li, sulla base della lettura combinata degli artt. 8 e 14 Cedu, sostenendo che «la relazione sentimentale e sessuale tra due individui dello stesso sesso rientra pienamente nel concetto di vita familiare» ed estendendo, sulla base dell'art.12 Cedu, il diritto al matrimonio anche alle persone dello stesso sesso senza però l'obbligo di riconoscimento in capo agli Stati membri. Tuttavia il Parlamento europeo si è raccomandato affinché gli Stati non "non interpongano ostacoli al matrimonio di coppie omosessuali, garantendone la genitorialità, e attribuendo loro gli stessi diritti spettanti alle

tradizionali famiglie eterosessuali fondate sul matrimonio". L'autrice sottolinea poi che di­ versi sistemi giuridici nazionali non si sono allineati a tali raccomandazioni. In particola­ re affronta la situazione italiana: la Corte co­ stituzionale nel 2010 ha ribadito l'unicità del modello di famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio; nel 2012 la Corte di cassazione, pur sostenendo il diritto ex art. 2 Cost. al matrimonio omosessuale, ha negato la tra­ scrizione di un matrimonio validamente contratto in uno Stato membro dell'Unione Europea, perché contrario all'ordine pubbli­ co alla luce della "ostativa e inadeguata legi­ slazione ordinaria"; nel 2013, ancora la Cassazione afferma che non è possibile soste­ nere che sia dannoso per il minore crescere in una famiglia formata da una coppia omo­ sessuale senza che vi siano "certezze scienti­ fiche o dati di esperienza". In conclusione, l'autrice sottolinea come i mutamenti sociali e culturali abbiamo mo­ dificato la nozione di famiglia ed è dunque ormai innegabile la necessità di un inquadra­ mento giuridico degli altri modelli familiari, anche in considerazione di un maggiore alli­ neamento con molti altri Paesi europei.


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La genitorialità omosessuale non è di per sé disfunzionale: la letteratura straniera in merito ha evidenziato come il benessere psico­ fisico dei bambini, nell'apprendimento scola­ stico e nell'adattamento sociale, non è correlato al genere genitoriale. Altri elementi sono de­ terminanti: la qualità della relazione tra i partner e delle loro interazioni con i figli nonché il grado di accettazione sociale e di riconosci­ mento pubblico dell'unione dei genitori fin dall'infanzia dei figli. Le configurazioni di queste famiglie non sono omogenee e risultano particolarmente complesse e inedite per le forme che possono assumere rispetto alla genitorialità e alle re­ lazioni tra generazioni al loro interno. Con il variare della composizione della famiglia, dal punto di vista sia strutturale che relazionale, variano anche le modalità di esercizio della responsabilità dei genitori verso i figli. Le fa­ miglie omogenitoriali si confrontano con spe­ cifici problemi psicologici e sociali dovuti all’assenza di schemi di regolazione dei rapporti tra genitori e figli coerenti con le pratiche effettive della genitorialità, all'assenza di re­ gole predeterminate e condivise alle quali far riferimento. Gli autori riferiscono di una ri­ cerca da loro effettuata riguardo alle rappre­ sentazioni e le pratiche della responsabilità genitoriale nelle famiglie omogenitoriali in Ita­ lia (in Guido Maggioni, et. al. (a cura di), Bambi­ ni e genitori, Donzelli, 2013). Il campione intervistato è stato reperito tramite l'Associa­ zione famiglie arcobaleno e ha interessato oltre alle madri lesbiche, anche padri gay con figli in età compresa tra i 18 mesi e i 10 anni nati da fecondazione eterologa. I risultati delle interviste hanno evidenziato che i compiti e le responsabilità nell'ambito della cura dei figli e delle attività connesse alla gestione della vita familiare sono equamente distribuite e negoziate tra i partner. Inoltre, ciò che è permesso ai figli viene stabilito me­ diante una discussione tra adulti e bambini.

In merito alle questioni attinenti la discipli­ na, si rileva che i genitori omosessuali ricorro­ no alle punizioni molto raramente e che i figli dichiarano di avere un'ampia libertà nella scelta delle attività del tempo libero. Altro tema affrontato dalle autrici riguarda il mancato riconoscimento giuridico delle fa­ miglie omogenitoriali, giudicato dagli intervi­ stati fortemente lesivo degli interessi dei figli. A tale proposito, le coppie, per sopperire a ta­ le assenza, si sono rivolte a consulenti legali per tutelare la propria famiglia attraverso de­ leghe dal genitore biologico al genitore socia­ le di alcune funzioni genitoriali, alla stipula di polizze vita, a disposizioni testamentarie. Di qui, secondo gli studiosi, l'importanza di un intervento di riconoscimento e di regola­ zione da parte del diritto, che contribuirebbe senza dubbio nella costruzione della famiglia anche per quei bambini che hanno genitori omosessuali.


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L'articolo di Marianna Giordano mette in risalto e fa riflettere sul grande significato de­ gli interventi di sostegno domiciliare alla geni­ torialità come prevenzione al maltrattamento sui minori, grazie al quale è possibile ridurre gli allontanamenti e rispettare così, in linea con le indicazioni dell’Organizzazione mondia­ le della sanità, il diritto del bambino di cresce­ re nella propria famiglia. Certo sono necessari requisiti indispensabili affinché questo intervento sia possibile, perché non è di per sé sempre buono in tutte le situazioni. Fondamentali alla sua efficacia sono: la precocità del suo inizio, quindi l’attivazione alla fase del rischio e non del danno conclamato, con una valutazione preliminare e in itinere della situazione; quando inoltre i problemi so­ no di gravità lieve­media, vi deve essere una disponibilità dei genitori alla cooperazione e l'intervento si deve infine poter collocare in un progetto di rete più ampio. Determinante è la fase di valutazione pre­ liminare multidisciplinare per stabilire se sia­ no presenti, nella situazione in esame, delle risorse attivabili che possano disinnescare i fattori di rischio registrati. A volte più fattori di rischio aggiuntivi (gravità delle esperienze sfavorevoli dei genitori, presenza di psicopato­ logie gravi, ecc.) determinano situazioni così altamente vulnerabili e pericolose che rendo­ no insufficiente l'intervento domiciliare nonché pericoloso esso stesso concorrendo alla croni­ cizzazione della sofferenza. Si comprende co­ me questa prima fase d'avvio all'intervento sia molto delicata. Una volta stabilito che la situazione in esa­ me può beneficiare dal sostegno professiona­ le domiciliare, punto successivo è la definizione del progetto dell'intervento che deve essere ela­ borato in équipe integrata tenendo conto dell'apporto di tutte le professionalità coinvolte nella valutazione, nonché ovviamente con il coinvolgimento dei genitori. La co­progettazio­ ne consente di definire obiettivi realistici e permette un monitoraggio costante per affronta­ re le criticità.

Un importante nodo critico che va affrontato è il fatto che le famiglie non scelgono in prima persona l'intervento, ma viene loro proposto su segnalazione dei servizi sociosanitari. Da qui si dovrà arrivare a far sì che la famiglia maturi una consapevolezza e una disponibili­ tà a trattare dei problemi fino ad arrivare a co­ struire un'alleanza, punto essenziale all'efficacia dell'intervento. È la casa stessa che diventa il setting principale dell’intervento e l’operatore si deve immergere totalmente in essa con un ruolo molteplice, comportando al tempo stesso un'os­ servazione partecipe, un sostegno per fronteggiare le difficoltà, una condivisione dell'accudimento, per proporre modalità di­ verse di allevare i figli, una mediazione relazio­ nale nelle tensioni con i figli e nella coppia e soprattutto un rinforzo all'autostima e alle ri­ sorse nascoste. Si comprende come i rischi in cui l'ope­ ratore si pone non sono da poco sul piano personale­professionale, trovandosi al centro di identificazioni multiple ed esponendosi a coinvolgimenti emotivi. Per questo, condizioni necessarie alla tutela dell'operatore sono: il la­ voro in équipe per poter condividere il proprio vissuto professionale, la supervisione per po­ ter meglio evidenziare i nodi critici della situa­ zione e la formazione, ovvero l'approfondimento delle competenze grazie alle quali è possibile rafforzare i fattori protettivi che favoriscono il benessere professionale e un lavoro più efficace.


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L'adozione è una realtà sociale, psicologi­ ca, culturale che sfida alcuni dei cardini fondanti su cui si basa l'ordinamento umano: il valore attribuito al legame biologico, il signi­ ficato dell'essere madri e padri, il senso della storia personale. Gli autori hanno provato a raccontare, partendo dai vissuti, quanto senti­ to dagli adolescenti adottati, attraverso linguaggi scientifici, filosofici, pedagogici. Il volume è stato scritto per dare voce ai ragazzi, racconta­ re il loro punto di vista, per essere ascoltati e visti. L'esperienza adottiva, in particolare du­ rante l'adolescenza, muove inevitabilmente e sconvolge la vita di chi accoglie, oltre che di chi è accolto. Uno sconvolgimento atteso, so­ gnato, che nel momento in cui si concretizza, provoca sempre qualcosa di imprevisto e nuo­ vo. Le ricerche internazionali evidenziano che in questa fase della crescita possono verifi­ carsi crisi adottive significative. Diventare genitori adottivi è una sfida uni­ ca. Arrivare a trovare una sintonia nella rela­ zione adottiva è complesso ma determinante. Il cercarsi, per trovarsi in qualche luogo condi­ viso, non solo è fondamentale per il primo ri­ conoscimento, ma lo è a maggior ragione durante l'adolescenza. Sappiamo dalle ricerche che la riuscita del percorso adottivo dipende da numerosi fattori che sono riconducibili a: le caratteristi­ che del bambino, la sua storia, le esperienze passate, gli attaccamenti. Anche le particola­ rità degli adulti adottanti assumono un'importanza basilare, così come le loro sto­ rie e i loro vissuti, le motivazioni che spingo­ no ad adottare un bambino. Anche gli operatori non sono esclusi da questo processo di riusci­ ta adottivo: la loro competenza professionale, la loro capacità di sostenere le relazioni e la gestione delle emozioni dei bambini, dei geni­ tori e degli stessi operatori sono determinanti per un esito positivo dell'adozione. Il testo è suddiviso in due parti: nella pri­ ma, dopo un primo capitolo sull'intersoggetti­ vità, ne seguono altri due sull'adolescenza e sul gruppo dei genitori e degli stessi adole­

scenti, nei quali gli autori oltre a proporre sti­ moli di riflessione preziosi sul tema, raccontano attraverso aneddoti la vita dei due gruppi attra­ verso lo scambio di esperienze, pensieri ed emozioni. Nella seconda parte del volume, gli auto­ ri pongono l'attenzione sul ruolo del corpo nell'incontro adottivo. Già dal primo incontro il rapporto tra figlio e genitore si costruisce attraverso l'esperienza fisica e sensoriale, che attiva una comunicazione non verbale fonda­ mentale per la creazione della relazione tra ge­ nitori e figli. Viene così proposto un percorso di conoscenza sull'esperienza adottiva, basato sui cinque sensi e come ognuno svolga un ruo­ lo importante nell'adozione, soprattutto in ado­ lescenza, quando la fisicità diventa ancora più significativa e contribuisce a definire l'identi­ tà. Le percezioni sensoriali fanno parte della storia dei figli adottivi e non solo contribuisco­ no a creare ricordi, sensazioni e appartenenze, ma orientano anche le relazioni.


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Il volume raccoglie gli interventi del conve­ gno, svoltosi a Roma il 20 novembre 2013, sul tema delle adozioni e degli affidi dei minori. I saluti di Michela Vittoria Brambilla, presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, danno avvio ai lavori. L'indi­ rizzo di saluto del presidente del Senato, Pie­ tro Grasso, evidenzia come la legge garantisca il diritto del bambino a crescere in una fami­ glia ovvero, sostiene, in un «contesto di amo­ re, rispetto e cura» e dunque il sostegno alle famiglie diventa imprescindibile per qualsia­ si progetto rivolto alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza. Nel suo intervento introdutti­ vo la presidente Brambilla riferisce che la Commissione ha svolto recentemente un'ampia indagine conoscitiva riguardante l'attuazione della normativa in materia di adozioni e affi­ do e che da essa risulta innanzitutto una marcata flessione in negativo della richiesta di adozioni nazionali e internazionali. Da ciò che risulta, molte coppie rinunciano all'ado­ zione perché l'idea che passa, vista la vasta discrezionalità di chi ne decide l'idoneità, è che mentre «per generare dei figli basti essere normali, per adottarne occorre essere eccezio­ nali». Inoltre l'iter lungo e i costi contribuisco­ no a scoraggiare chi vorrebbe fare le domande. L'intervento del direttore generale per l'Inclusione e le politiche sociali, Raffaele Tan­ gorra, si concentra sull'affidamento e, in parti­ colare, sui dati che risultano essere inco­ raggianti poiché, specie dopo la L.149/2001, il numero dei minori costretti a vivere fuori dalla propria famiglia si è ridotto a 30mila contro gli oltre 200mila degli inizi degli anni ’70. Tangorra evidenzia come questo sia stato possibile grazie alla promozione di politiche mirate e di progetti specifici e come il compi­ mento di questo processo storico debba rappre­ sentare per il nostro Paese un motivo di orgoglio. La vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali, Daniela Bacchetta, affronta poi il delicato tema delle adozioni internazionali, evidenziandone le difficoltà e le particolarità. L'intervento del garante na­

zionale per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora, tocca anche un altro tema molto importante, quello della privazione, intesa co­ me la mancanza di opportunità derivante dalla povertà, che incide sempre più fortemente sulle famiglie che spesso non sono in grado di garantire uno standard di vita ideale ai bambi­ ni e si ritrovano conseguentemente in situa­ zioni di grandissima difficoltà. Interessante anche l'ultimo spunto di ri­ flessione offerto dal Capo del dipartimento politiche per la famiglia della Presidenza del consiglio, Caterina Cittadino, il tema della so­ lidarietà verso i minori e le loro famiglie, che risente sempre più pesantemente della crisi economica: se le famiglie non vengono suppor­ tate economicamente in maniera adeguata il problema della solidarietà diventerà ancora più grave. Il volume si conclude con le testimonianze di due studentesse minorenni e con la raccolta degli interventi delle due successive Tavole ro­ tonde su Adozioni nazionali e internazionali a confronto e Affidi oltre la crisi.


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Chi o cosa siamo noi? La questione “identi­ tà” attraversa l’intera nostra esistenza: domi­ na il dibattito contemporaneo ed è tema centrale e strategico nel dibattito educativo della pri­ ma infanzia. L’approfondimento della rivista Bambini, articolato in sei diversi contributi, intende proporre ai lettori alcuni punti di vi­ sta e orientamenti al pensiero relativi ai pro­ cessi di costruzione individuale e sociale delle identità: identità plurale, composita, che racchiude ruoli differenti; identità che si conta­ minano, si contrappongono, dialogano, cre­ scono, cambiano. Nel primo contributo, con un approccio filosofico­antropologico, Francesco Remotti concepisce l’identità come un susseguirsi e sostituirsi di copie di noi stessi che prendono forma attraverso continui rapporti di somi­ glianze e differenze con sé e con gli altri. La formazione (e trasformazione) di qualsiasi soggetto, individuale e collettivo avviene attra­ verso un viluppo di interazioni con gli altri nel quale agiscono processi di “somigliamento” e “differenziamento”. Stefano Laffi, nell’articolo che segue, affronta la questione identità da una prospetti­ va sociologica: «Si nasce… e subito inizia il lungo e pressante assedio e condizionamento di società e scuola alla libera manifestazione ed espansione delle identità bambine». Si tratta di un assedio a 360 gradi, che va dal controllo del regime medicalizzato della salute, all’abdi­ cazione della scuola alla conformazione dell’infanzia, dalla sovrascrittura del marke­ ting sui desideri dei bambini, alle attese dei genitori sui destini dei figli; è un assedio che attacca il corpo, la mente le emozioni nel lo­ ro corso evolutivo naturale. «L’ipotesi è quella di rompere l’assedio, lasciare i bambini esse­ re bambini, aprire dialoghi infiniti con loro, fidarci senza riserve, lasciarci guidare per li­ berare tutti». La psicologa e pedagogista Nice Terzi, nel suo intervento, colloca la questione identità all’interno dei servizi educativi per la prima

infanzia connotandola sia in relazione ai bambi­ ni sia agli adulti. Sottolinea il valore che il ruo­ lo dell’educatore assume nel processo di costruzione dell’identità dei bambini. Il suo gesto che viene “frenato” per non sostituirsi al bambino è un elemento che sa dare ricono­ scimento e sostenere l’identità e può diventa­ re un paradigma dello stare insieme ai bambini in un senso più lato. L’articolo mette a fuoco anche l’identità professionale delle educatri­ ci, connotata dalla consapevolezza della pro­ pria appartenenza a un’istituzione. L’approfondimento sull’identità comprende, inoltre, un racconto di Sandra Dema – scrittri­ ce e animatrice socioculturale –: la “storia de­ gli armadietti” che racconta di come l’identità dei bambini e degli armadietti si possano connotare e contaminare a vicenda. L’articolo Laila e lo specchio è una docu­ mentazione fotografica «dell’essere e il fare di una bimba alle prese con la scoperta, la co­ noscenza e l’affermazione di sé in un “ambiente in divenire”» realizzata dalle educatrici del Ni­ do d’infanzia Arcobaleno di Sanremo. Infine, chiude l’approfondimento, il contri­ buto delle insegnanti Marianna Vaccaluzzo e Laura Faso, che riportano in forma di dialo­ go il proprio pensiero sull’identità, confrontando­ si dialetticamente e riflettendo sulla loro identità professionale. Ne consegue una sorta di arcipelago delle identità nel quale le singo­ le individualità sfumano e si confondono, il tempo si dilata e l’io assume ruoli diversi e molteplici. Le insegnanti percorrono un viaggio interiore portando alla luce elementi fondanti l’identità professionale ma anche aspetti inti­ mistici.


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Il volume presenta lo sviluppo psicologi­ co umano nei suoi tratti essenziali, dalle teo­ rie classiche agli aspetti applicativi, con l'obiettivo di fornire le indispensabili cono­ scenze di base necessarie agli operatori sani­ tari che si trovano a lavorare a stretto contatto con i bambini. Comprendere gli aspetti cognitivi e affetti­ vi che entrano in gioco nel momento in cui un bambino incontra un medico, un infermiere, un terapista della riabilitazione risulta di estre­ ma importanza al fine di instaurare la miglio­ re alleanza terapeutica possibile con il bambino stesso e con i suoi familiari. Nei primi nove capitoli del libro, il filo conduttore dell'esposizione riguarda lo svi­ luppo dei comportamenti tipici della salute: iniziando a trattare cosa vuol dire oggi nasce­ re, fino a riconoscere l’importanza per il bambi­ no di frequentare la scuola. Sono stati considerati anche altri temi dello sviluppo infantile: le emozioni, la crescita, lo sviluppo del pensiero, la socialità e la famiglia. Il libro è strutturato in modo da fornire ai lettori gli aspetti più importanti di alcuni argo­ menti e altri che invece devono essere appro­ fonditi in quanto sono di più diretto interesse per chi lavora con i bambini nel campo della salute. Gli autori hanno comunque focalizzato l'attenzione anche sui comportamenti di ma­ lattia dei bambini e sui comportamenti dei fa­ miliari. I comportamenti di malattia riguardano le modalità con cui le persone percepiscono le sensazioni somatiche che potrebbero indica­ re una malattia e reagiscono a esse. I bambi­ ni spesso hanno una concezione della malattia legata a una punizione; i bambini più piccoli ritengono che ci si ammali perché non si so­ no tenuti comportamenti salutari, come anda­ re a letto presto, non mangiare troppi dolci, non sanno ricondurre i sintomi a fattori cau­ sali. Queste idee in genere permangono fino ai sette­otto anni. Man mano che cresce, il bambino riesce a spiegare la salute e la ma­ lattia in termini biologici, fino all'adolescenza,

quando la malattia assume in modo chiaro il significato di interferenza in un normale pro­ cesso biologico. Questi aspetti devono essere tenuti in considerazione per poter aiutare i bambini di fronte alle proprie malattie o alla morte di persone care. Secondo gli autori, per capire meglio il bambino e i suoi comportamenti, bisogna ri­ ferirsi alla psicologia dello sviluppo che può fornire anche strumenti conoscitivi ampia­ mente utilizzati quali: l'osservazione, il dise­ gno, il colloquio. Tali strumenti vengono trattati nelle linee sostanziali, dagli autori, i quali so­ stengono che il loro utilizzo da parte degli ope­ ratori sanitari richiede conoscenze e competenze aggiuntive per poter essere usati in modo corretto, la validità dei risultati deve essere comunque confermata dallo psicologo. In ambito diagnostico, parlare con un bambino richiede non solo conoscenze speci­ fiche rispetto allo sviluppo cognitivo dello stes­ so, ma anche capacità da parte dell'operatore di saper comunicare informazioni, non sempre positive, in modo empatico.


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L'evoluzione umana è stata favorita dalla particolare capacità che hanno gli individui di interagire gli uni con gli altri, attraverso la ri­ sonanza emotiva e la comprensione della mente altrui. Negli ultimi decenni l'oscillazione tra gli interessi e i desideri personali e l'attenzio­ ne e la condivisione con gli altri si è spostata fortemente verso l'individualismo e l'egocentri­ smo. Ognuno è preso da se stesso, alla ricerca dei propri obiettivi personali, al raggiungi­ mento di mete individuali. Il Sé si costruisce fin dall'inizio sulla base delle relazioni signifi­ cative che si stabiliscono nel corso della vita, le quali rimandano continuamente diverse immagini di sé che vengono interiorizzate ed entrano a far parte della propria organizzazio­ ne personale. L'empatia e la comprensione de­ gli altri si riattivano prima nella relazione con i genitori e, successivamente, con i coetanei e il gruppo sociale. Fin dalla nascita, i bambini ricercano l'interazione con gli altri cercando di comprendere i codici delle relazioni sociali. La capacità di cooperazione, evidente nei primi anni di vita, diventa ancora più impor­ tante quando si entra nell'adolescenza, perché il gruppo e le relazioni fra pari sono indispensa­ bili per staccarsi dalla famiglia e iniziare l'esplo­ razione del mondo. Questa sperimentazione comporta rischi e pericoli che possono essere affrontati con maggiore determinazione se si è in gruppo. L'autore esplora le varie sfaccet­ tature del “noi”, utilizzando anche delle esempli­ ficazioni che illustrano i vari aspetti della re­ lazionalità. Il rapporto, la condivisione e la collaborazione con gli altri rappresentano delle caratteristiche specifiche della specie umana. Infatti, solo la cooperazione quotidiana ha consentito agli uomini di sopravvivere e so­ prattutto di muoversi alla conquista della Terra. Tuttavia questa forte propensione so­ ciale può essere favorita o arricchita oppure ostacolata se non addirittura bloccata sia all'interno della famiglia sia a livello sociale. La collaborazione con gli altri si intreccia con la capacità di comprendere gli altri, il lo­ ro punto di vista e le loro intenzioni. In primo

luogo, in famiglia, i genitori possono aiutare i figli ad acquisire una capacità di mentalizza­ zione cercando di leggere gli stati mentali dei figli e di comunicarli, aiutandoli in questo mo­ do a vedere gli altri, non solo osservando i lo­ ro comportamenti, ma anche riconoscendo quello che pensano e provano. Anche la scuo­ la, oltre alla famiglia, può favorire la capacità di mentalizzazione, sia attraverso le interazio­ ni con gli insegnanti e i coetanei sia attraverso la lettura di libri che aiutano a farsi un'idea di personaggi e situazioni diverse. La scuola, infatti, rappresenta un'occasione importante per ogni bambino di entrare in un contesto in cui decentrarsi, riconoscendo punti di vista differenti e intenzioni diverse e giungere a me­ diazioni con gli altri. Il valore dell'amicizia, dello scambio intellettuale con gli altri, ha sempre rappresentato uno dei capitoli più vi­ vi ed emozionanti della vita umana.


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La riflessione presentata in questo arti­ colo prende spunto dalla constatazione di un fenomeno importante nella vita di adulti e ado­ lescenti: la diffusione sempre più estesa di internet, i cui aspetti negativi vengono esami­ nati, in particolare, tra gli adolescenti. La ricerca mostra la relazione tra di­ pendenza da internet e cyberbullismo: si ri­ chiama l'attenzione sul fatto che l'isolamento sociale sembra accomunare i due fenomeni. Il dibattito sul tema ha permesso di os­ servare un particolare importante, confermato anche da studi più recenti, il bullismo è un fenomeno di gruppo, declinato in varie forme. Il cyberbullismo conferma questo dato attraverso la stessa modalità di gestione della violenza, che trova nell'utilizzo delle tecniche multimediali una sorta di “gogna gruppale condivisa”. Il modello teorico di riferimento del pre­ sente contributo si rifà a una spiegazione data dai ricercatori per analizzare il comportamento del bullo stesso, che non viene visto come indi­ viduo di scarsa intelligenza, come afferma uno stereotipo, al contrario, i ricercatori sostengo­ no che molti bulli possono essere degli abili manipolatori, quindi con buone capacità so­ cio­cognitive. Il comportamento aggressivo che viene messo in atto può derivare da diversi fattori, tra i quali i più studiati sono l'ambiente fami­ liare, l'influenza dei coetanei e dei media. Da notare che nel cyberbullismo, a diffe­ renza dal bullismo tradizionale, i “persecuto­ ri” fanno ciò che non farebbero nella vita reale, aumentando l'effetto di depersonalizzazione con conseguente mancanza di ogni possibile empatia verso le vittime, che comunque molto frequentemente subiscono in silenzio, senza poter contare peraltro nemmeno sull'empatia degli spettatori, che risulta mancante. Que­ sto fenomeno risulta particolarmente impla­ cabile poiché non è limitato da confini di spazio, in quanto le vittime possono essere trovate in qualsiasi luogo con l'utilizzo della rete e la lo­ ro umiliazione può divenire pubblica.

Per contrastare il cyberbullismo, posso­ no essere efficaci strategie che tengano conto delle dinamiche di gruppo. La peer education è una metodologia formativa che si avvale appunto delle dinami­ che relazionali spontanee tra i ragazzi e della loro possibile efficacia educativa, per aiutare il gruppo nella formazione dell'identità dei soggetti con un'azione di prevenzione, promo­ zione e orientamento. A questo proposito può essere utilizzata la video peer education, che integra la peer education con le nuove forme di comunicazio­ ne multimediale per contrastare il cyberbulli­ smo con modalità educative e preventive attraverso la rete. Affinché la video peer education possa rappresentare un’efficace forma preventiva contro il cyberbullismo, dovrebbe essere incentivata l'apertura della scuola in tal senso, tenendo conto che l'applicazione di un mo­ dello gruppale a un fenomeno gruppale richie­ de approfondimenti teorici e operativi. Conviene ricordare che la comunicazione tra adolescenti e giovanissimi può costituire una grande ri­ sorsa in termini di spazio formativo coerente e costante. La video peer education rappresenta una possibilità di creare nuovi linguaggi per una diversa strategia antibullismo tra pari.


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Nel saggio in oggetto, l’autrice riflette su diverse narrazioni delle donne rom, evidenziando una tensione tra tradizione e cambiamento alla luce delle teorie degli studi femministi postco­ loniali e del metodo intersezionale. Nella prima parte del saggio, l’autrice prende in esame te­ stimonianze di donne rom che descrivono e ri­ flettono su questioni di genere, raccolte nella rivista Roma cultural magazine e in testi pubbli­ cati dalla cooperativa editoriale Sensibili alle foglie. Nella seconda parte, invece, il focus vie­ ne posto su razzismo e sessismo, "romafobia" e questioni di genere attraverso l’analisi di una serie di ricerche e rapporti sull’argomento. Le narrazioni raccolte delle donne rom propongo­ no versioni molto diverse del proprio vissuto femminile che vanno dall’esaltazione del pro­ prio ruolo femminile, fondato sulla maternità e sulla devozione al proprio uomo, a una criti­ ca dei ruoli di genere prevalenti nelle famiglie rom che assegnano alle donne un carico di la­ voro domestico molto grande e un ruolo subordi­ nato. Alcune testimonianze sottolineano l’orgo­ glio di appartenere a un gruppo che dà un va­ lore centrale ai sentimenti, all’amore, al desiderio di libertà piuttosto che a elementi materiali e consumistici che l’autrice definisce un «atteggia­ mento anticonformista … precapitalistico e anti­ capitalistico…». Le stesse testimonianze evidenziano anche, a confronto, i reciproci pre­ giudizi nell’educazione dei figli tra rom e gagè per cui, alla classica visione dei rom, che co­ stringono i figli a mendicare, facendoli vivere in condizioni disagiate e poco igieniche, si contrappone la visione dei gagè come ricchi e anaffettivi che lasciano i figli per ore davanti alla televisione. Altre testimonianze di donne sono invece più critiche sui ruoli di genere pre­ valenti all’interno delle comunità rom ed evi­ denziano la fatica che le donne rom devono fare per allevare i figli con pochissimi mezzi. In altri casi si mettono in evidenza una serie di ele­ menti di novità nel vissuto delle donne rom co­

me, ad esempio, l’organizzazione di un gruppo di danza formato da sole donne e svincolato dalle famiglie. Il saggio prende anche in considerazione il tema dei matrimoni combinati, sottolineando i cambiamenti in atto e come questo elemento non rappresenti in ogni caso un tratto squisi­ tamente caratteristico delle comunità rom, in quanto esso è presente in altre culture e lo era anche nella nostra fino a qualche tempo fa. Nell’analisi dei ruoli di genere nelle comu­ nità rom, l’autrice sottolinea la centralità di sfuggire alla retorica della donna rom sotto­ messa nell’ambito della cultura patriarcale delle proprie comunità, atteggiamento proprio anche di un certo femminismo occidentale accademi­ co che non si è interrogato sul proprio privile­ gio etnico, bianco e di classe. Occorre infatti spostare il focus dell’analisi dai gruppi minoritari alla nostra cultura maggioritaria ponendosi verso di essa in maniera autoriflessiva e critica. È questo l’invito centrale che ci viene dagli studi postcoloniali e dal saggio in esame oltre all’importanza di adottare un metodo inter­ sezionale che analizzi la dimensione di genere in relazione a quelle etniche e di classe. Il saggio si conclude sottolineando come il cambiamento nei rapporti di genere e familiari nelle comunità rom abbia senso solo se inteso come percorso endogeno. Al tempo stesso si evidenzia come i percorsi femministi delle donne non bianche ci costringono a riflettere non solo sul concetto di tradizione, ma anche su quello di modernità in particolare svelandone le possibili «complicità di classe e le derivazioni coloniali».


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L'adolescenza viene ritenuta in molte cultu­ re un periodo particolarmente delicato sia per i ragazzi sia per gli adulti che stanno loro vi­ cino. È infatti una fase della vita straordina­ ria, di grande vitalità, ma allo stesso tempo fonte di incertezza e disorientamento. Proprio durante l'adolescenza i ragazzi apprendono abilità importanti: l'autonomia dalla famiglia, la capacità di correre rischi per affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Infatti, il mo­ do con cui vengono affrontati gli anni dell'ado­ lescenza influisce direttamente sul modo in cui verrà vissuto il resto della vita. L'autore nella prima parte del libro evidenzia l'adole­ scenza nei suoi tratti essenziali, sfatando alcu­ ne false credenze che possono complicare la vita, sia agli adolescenti che agli adulti. La se­ conda parte del libro è dedicata allo sviluppo del cervello durante l'adolescenza: queste informazioni possono aiutare a capire il com­ portamento degli adolescenti che secondo Sie­ gel è influenzato dall'intenso sviluppo cere­ brale che avviene in questa particolare fase della vita. Questo accrescimento predispone a cambiamenti che riguardano: la memoria, il pensiero, il ragionamento, la concentrazio­ ne, le capacità decisionali e le relazioni inter­ personali. Nella terza parte viene approfondi­ to il tema dell'influsso delle relazioni inter­ personali e come sia possibile creare legami più forti con se stessi e con gli altri. Nella quarta e ultima parte, l'autore evidenzia i cambia­ menti e le sfide adolescenziali, focalizzando l'attenzione su un particolare atteggiamento di apertura e ricettività verso la vita che consente di essere consapevoli verso gli aspetti interiori e interpersonali. Al termine di ogni parte, basandosi sulle più recenti scoperte nel campo della neurobiologia interpersonale, Sie­ gel propone una serie di strategie per un'appli­ cazione pratica delle conoscenze riguardanti il funzionamento cerebrale: sono attività che aiutano gli adolescenti a rendere più gratifi­ canti i rapporti con gli altri e che servono ad alleviare il disagio e la solitudine che a volte assalgono genitori e figli in egual misura.

Le modificazioni a livello cerebrale che avvengono nell'adolescenza comportano rischi e opportunità. Il modo con cui gli adulti signi­ ficativi e i ragazzi navigheranno le acque del­ l'adolescenza può contribuire a dirigere la na­ ve della vita verso lidi pericolosi o entusia­ smanti. Gli anni dell'adolescenza possono certa­ mente presentare delle sfide, ma i cambia­ menti a livello mentale aiutano a favorire la creazione di qualità che possono essere d'aiu­ to durante l'adolescenza, ma anche nell'età adulta, per vivere con pienezza l'esistenza. Il testo può essere considerato una guida per comprendere la mente dei ragazzi e si pro­ pone di contribuire alla comprensione e alla valorizzazione delle caratteristiche basilari dell'adolescenza, per favorire quanto più pos­ sibile il benessere anche oltre questa fase della vita.


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Gli uffici di garanzia nascono a partire da­ gli anni ’90 a seguito della ratifica da parte dello Stato italiano della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, siglata a New York il 20 novembre 1989, che rappresenta il nucleo fondante della loro attività. Oggi, a livello mondiale, operano circa 200 istituzioni pubbli­ che in 70 Paesi per monitorare e tutelare i diritti dell’infanzia in modo indipendente rispetto alla pubblica amministrazione. Le denominazioni so­ no diverse (difensore civico per l’infanzia, garante per l’infanzia, commissione per l’infanzia e l’ado­ lescenza); ciò che li accomuna è la funzione, rappresentata dal monitoraggio delle azioni dei governi e di altri enti, dalla promozione dei di­ ritti dell’infanzia e dalla formulazione di soluzio­ ni e strumenti per prevenire ed eliminare eventuali violazioni e offrire uno spazio di dialogo su bambi­ ni e adolescenti all’interno della società e fra i minorenni e lo Stato. Il nostro Paese ha istituto il Garante nazio­ nale per l’infanzia e l’adolescenza con L. 112/2011, a seguito di un complesso iter legislativo e dopo che molte regioni avevano già legiferato da tempo in tal senso. Tra le caratteristiche che tale orga­ no deve possedere vi è quella dell’indipendenza e dell’autonomia dalla pubblica amministrazio­ ne, con competenze distinte e non sovrapponi­ bili – seppur opportunamente coordinate – a quelle delle istituzioni esistenti che si occupano di infanzia e adolescenza. Nell’ambito delle attività e delle funzioni attribuire alla figura del Garante, ampio spazio viene dato al discusso tema della partecipazio­ ne dei bambini. Viene infatti espressamente pre­ visto che ai minori debbano essere dati spazi e forme di partecipazione alle attività dell’Autori­ tà e alla redazione delle sue proposte tramite forme idonee di consultazione. L’esigenza di parte­ cipazione si pone quindi come necessità giuridi­ ca della stessa azione di tutela che la comunità opera sulle nuove generazioni. A livello regionale, la figura del garante dei diritti dei minori di età è prevista attualmente in 17 regioni italiani e in due province attraverso

l’emanazione di leggi regionali e provinciali isti­ tutive che coprono un arco temporale che va dal 1988 al 2011. Tali soggetti hanno avuto e hanno tuttora forme e modalità di lavoro differenti, che si sono oltretutto modificate con l’andare del tempo. Dalla lettura degli atti è comunque pos­ sibile cogliere un nucleo di elementi che acco­ munano le funzioni dei diversi garanti quali vigilanza, accoglienza, segnalazione, promozio­ ne, partecipazione, erogazione di prestazioni, interventi in amministrazioni pubbliche e auto­ rità giudiziarie. All’interno di queste aree le normative dettagliano in misura diversa le atti­ vità e i compiti previsti per l’attuazione di dette funzioni. Rispetto al ruolo e alle funzioni del Garante nel nostro Paese rimangono tuttora aperte molte questioni: in particolare si evidenzia l’importanza che le leggi istitutive dei garanti regionali preve­ dano degli strumenti di raccordo con il Garante nazionale; inoltre che ci sia un generale interes­ se per la promozione – da parte di queste figure – di iniziative formative dirette alla preparazio­ ne di persone idonee a svolgere attività di tutela e di curatela e di attività di consulenza e soste­ gno ai tutori e ai curatori poi nominati. Infine, molto si discute sui rapporti di queste figure con l’autorità giudiziaria e con le amministrazioni competenti dello Stato. Sebbene infatti le dispo­ sizioni normative di livello nazionale e regionale siano esplicite nella suddivisione delle compe­ tenze, nel lavoro quotidiano sono ancora molte­ plici i possibili ambiti di sovrapposizione.


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L'articolo descrive uno studio di verifica degli effetti di un progetto di educazione alla cultura della legalità nel determinare dei cambiamenti in un campione di studenti per quanto concerne le loro rappresentazioni mentali della legalità, delle istituzioni e del fe­ nomeno della criminalità organizzata. Il pro­ getto si chiama Radio Kreattiva ed è caratte­ rizzato dall'utilizzo di una web radio scolasti­ ca ascoltabile sul sito www.radiokreattiva.net associato a degli interventi di educazione alla legalità realizzati nelle scuole. Radio Kreatti­ va è un progetto finanziato dell'Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità orga­ nizzata del Comune di Bari che, a partire dal 2005, ha coinvolto più di 3.500 studenti e 200 docenti operando in 60 istituto scolastici. Si tratta di un progetto di prevenzione primaria: l'utilizzo di un vero e proprio programma ra­ diofonico da un lato permette agli studenti di esprimere le proprie riflessioni sul tema trattato, dall'altro rende tangibili e riproducibili gli effetti degli interventi negli incontri condotti dagli operatori in classe. L'ipotesi della ricerca era quella di verifi­ care se il progetto poteva determinare negli studenti dei cambiamenti significativi per quanto riguardava la valutazione del feno­ meno della criminalità organizzata, la perce­ zione dello Stato e degli organi atti a contrastare la criminalità organizzata. La ricerca è stata condotta su un campione di 285 studenti di 28 scuole medie inferiori della città di Bari che sono stati coinvolti nel progetto Radio Kreattiva nell'anno 2011­2012. Lo strumento di rilevazione utilizzato è stato un questiona­ rio costruito da Paolo Diana e Claudio Marra, presentato nell'ambito della ricerca Rappre­ sentazioni pratiche della legalità negli adole­ scenti: una comparazione Nord­Sud implemen­ tata nel 2009 dall'Università di Messina e dal Centro universitario per le ricerche sulla so­ ciologia del Diritto, dell'informazione e delle istituzioni giuridiche. La rilevazione è stata effettuata attraverso la somministrazione del

questionario in test e retest all'inizio e al termine del progetto. Dai dati emergono un aumento significativo della fiducia negli uo­ mini politici, un atteggiamento maggiormente favorevole verso istituzioni e forze dell'ordine, una più netta discriminazione fra comporta­ menti leciti e illeciti, una maggiore conoscenza riferita della Costituzione e un decremento ri­ ferito della cosiddetta “omertà”. Restano, tutta­ via, alcune aree critiche come la scarsa fiducia verso il prossimo e una sorta di atteggiamento di non interferenza nelle scelte altrui, anche quando queste si palesano in comportamenti devianti. Dai dati emersi, gli autori suggeri­ scono di sviluppare il progetto Radio Kreatti­ va in una modalità che dia maggiore spazio a una dimensione educativa peer to peer che possa essere complementare a quella fornita da operatori e insegnanti e che possa agire come valido strumento di prevenzione e intervento primario in ambito scolastico.


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L'adolescenza è un'età che vede emerge­ re bisogni e affetti che richiedono da sempre risposte pertinenti. Tali bisogni adolescenzia­ li si collocano nell'area della definizione di un'identità che non si rispecchia soltanto con i genitori, ma richiede anche il confronto so­ ciale. Il raffronto con gli altri non riguarda più soltanto i compagni di classe o la compagnia del pomeriggio, ma coinvolge i gruppi virtua­ li tramite internet. I ragazzi, infatti, comuni­ cano attraverso le foto postate sui social e i video. Intorno al gruppo si snodano le dina­ miche più salienti e rilevanti, ed è proprio nel gruppo che l'adolescente stesso comincia a co­ struire l'identità, esso funziona anche come un contenitore naturale dei suoi scenari interni. Il gruppo come strumento di lavoro rappre­ senta un luogo privilegiato dove poter favori­ re la costruzione di una relazione in cui aspetti consapevoli del comunicare e aspetti incons­ ci possono essere messi a fuoco. Ciò che vie­ ne colto in gruppo è il suo cambiamento sempre in divenire e considerare il pensiero generato nel gruppo come strumento di trasformazione. Gli psicologi, gli educatori, gli insegnanti e i genitori devono confrontarsi con i ragazzi, che talvolta mostrano forme di sofferenza che sembrano assumere sfumature sempre più complesse. In alcuni casi questo disagio as­ sume un significato clinico, che richiede una precoce individuazione dei fattori di rischio di psicopatologia e di comportamenti devianti. Gli adulti si confrontano con i silenzi degli ado­ lescenti, sentono messa in discussione la lo­ ro possibilità di comunicare con ragazzi ora inibiti, ora aggressivi e provocatori nel difende­ re le loro posizioni rispetto alle limitazioni imposte dalla famiglia e dalla comunità edu­ cante. La prima parte del volume raccoglie i contributi teorici di clinici esperti, che da molti anni si confrontano sul tema del disagio ado­ lescenziale, la cui conoscenza è fondamenta­ le per una piena comprensione della scelta e delle modalità dell'intervento descritto.

La seconda parte del volume è dedicata alla presentazione del modello di intervento sul disagio adolescenziale fondato su tecniche semplici ed efficaci di tipo ludico, insieme all'utilizzo di stimoli specifici e all'elaborazio­ ne del gruppo delle riflessioni e dinamiche pre­ sentate dai ragazzi secondo le tecniche esperienziali. Le tecniche ludiche consentono un accesso dinamico profondo attraverso la possibilità di esporsi personalmente anche senza riferire in maniera diretta episodi privati. Il testo vuole rispondere all'esigenza di mettere a disposizione di studenti, psicologi e operatori coinvolti nella gestione dell'educa­ zione e della cura degli adolescenti un modello di intervento di gruppo, declinato in specifi­ che tecniche descritte e applicabili nella scuo­ la e nei contesti all'interno dei quali è necessario un intervento sul gruppo di adolescenti, nelle comunità o nei diversi settori formativi, incentrato su un vertice integrato psicoanali­ tico e psicoeducazionale.


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Ogni individuo ha un proprio modo di apprendere. Ogni bambino ha una propria sto­ ria di vita che rende il suo modo di guardare il mondo in maniera unica e particolare. Alcu­ ni linguaggi facilitano l'attenzione, la memo­ rizzazione o la comprensione e altri le rendono difficili. Ogni persona ha dei tempi di apprendi­ mento differenti da quelli di un'altra e delle preferenze verso certi tipi di spazi di cono­ scenza. Ogni individuo ha un suo personale stile nel reagire a un input, nell'organizzare informazioni e nell'approcciarsi alla risoluzio­ ne di un problema. Alle differenze individuali la didattica risponde con la differenziazione dei percorsi di apprendimento nelle modalità e nei traguardi da raggiungere. Una didattica efficace sa quindi progettare uno spazio complesso degli apprendimenti che tenga conto delle diversità individuali. In classe, gli alunni dovrebbero trovare, pur condividendo un ambiente comune, una risposta individua­ lizzata al loro stile di apprendimento. La di­ dattica inclusiva crea le condizioni di ap­ prendimento attraverso le quali ogni alunno possa esprimere e realizzare al massimo il pro­ prio potenziale. Il tema delle differenze tra alunni può essere affrontato a vari livelli. Nel testo vengono presentati cinque approcci che contribuiscono alla realizzazione della didatti­ ca inclusiva nella scuola primaria: l'approccio autobiografico, il metodo Montessori, la di­ dattica aperta, la didattica delle intelligenze multiple e l'apprendimento cooperativo. Ogni proposta è presentata nelle sue linee genera­ li ed è accompagnata da spunti operativi che ne facilitano l'applicazione in classe. Dalle pro­ poste metodologiche emergono alcuni capi­ saldi. Un primo aspetto molto importante della didattica inclusiva si fonda su cercare, comprendere, utilizzare e valorizzare tutte le differenze individuali, non solo quelle inno­ cue, ma anche quelle scomode. Un secondo aspetto riguarda la differenziazione delle atti­ vità didattiche: in uno stesso momento, alunni diversi fanno cose diverse. L'apprendimento assume forme e modalità differenti in soggetti

diversi. Le varie proposte metodologiche de­ scritte nel libro si fondano su questo denomi­ natore comune. Un terzo aspetto importante riguarda l'autonomia e la responsabilità dell'alunno che impara gradualmente a nego­ ziare in modo attivo con l'insegnante per co­ struire le sue competenze. In una didattica inclusiva gli alunni hanno una destinazione da raggiungere insieme e ogni alunno ha, responsabilmente, un suo personale ruolo e obiettivo, che lo attende ogni mattina. Per fare in modo che la didattica inclu­ siva si realizzi sono necessarie tante risorse che devono essere attivate dagli alunni e da­ gli insegnanti, attraverso un processo che pro­ muova altre forme di insegnamento e appren­ dimento, dove si preveda una maggiore attenzione alle differenti caratteristiche indi­ viduali, proponendo un'organizzazione degli spazi, dei tempi e dei materiali e favorendo la creazione di percorsi mirati e personalizzati.


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Negli ultimi anni i cosiddetti Disturbi spe­ cifici di apprendimento (Dsa) hanno ricevuto molta attenzione da parte della comunità scientifica, della scuola e delle associazioni. Tuttavia potrebbe essere ancora difficile, per un docente o un familiare, orientarsi su cosa fare per un bambino con una diagnosi di disturbo specifico di apprendimento (disles­ sia, disortografia, discalculia, disturbo misto). Sappiamo che una precoce e sistematica individuazione/rilevazione dei Dsa rappre­ senta, nella scuola, un fattore determinante per gli interventi educativo/didattici degli inse­ gnanti e un elemento di importanza centrale per la valorizzazione degli apprendimenti de­ gli alunni. Nel volume, previo tentativo di chia­ rimento delle ipotesi eziologiche, viene analizzato il quadro normativo e giurisprudenziale di ri­ ferimento, nonché le principali tecniche di trattamento riabilitativo/educativo di tali disturbi e i primari strumenti di valutazione. Alla luce del quadro teorico così delineato, e del dibattito pedagogico sui disturbi oggetto di riflessione, vengono proposte delle indica­ zioni operative sulla didattica individualizzata e personalizzata, sulle strategie educativo­di­ dattiche di potenziamento e di aiuto compen­ sativo, sulla didattica inclusiva. Il volume – ri­ volto a docenti, educatori, psicopedagogisti, operatori sociosanitari e ai genitori – pone l’attenzione sulla necessità di promuovere una preparazione specifica degli insegnanti, e più in generale degli operatori, in tema di Dsa e di favorire una costante collaborazione scuo­ la/famiglia nell’affrontare le problematiche, comprese quelle emotivo/relazionali connes­ se a tali disturbi. Lo scopo del lavoro è quello di tratteggia­ re le diverse sfaccettature, implicazioni di ta­ li disturbi senza trascurare un inquadramento normativo e giuridico del fenomeno. Una pro­ posta, quest'ultima, che può sembrare azzardata per un testo elettivamente di carattere peda­ gogico e didattico ma che, in realtà, risulta imprescindibile data la finalità stessa del te­

sto che nasce, e si propone, come uno stru­ mento operativo di intervento nella scuola, oltre che come un percorso di acquisizione di conoscenze e di competenze rivolto a tutti co­ loro che, a vario titolo, sono impegnati nel la­ voro con soggetti che presentano Dsa. Sempre questa ratio ha ispirato il prendere in consi­ derazione nella prima parte del testo i princi­ pali strumenti di valutazione e diagnosi funzionale e il proporre le principali tecniche di trattamento riabilitativo/educativo dei Dsa. Nella seconda parte del lavoro si propone una chiave di interpretazione e di intervento squisitamente didattica che sviluppa il tema della didattica inclusiva per i Bisogni educati­ vi speciali (Bes), e per i Dsa in modo particolare. Infine, nella terza parte del testo, non vie­ ne trascurato il sempre attualissimo tema dell'utilizzo della valutazione come strumento di insegnamento e in un certo senso come fa­ cilitatore dei meccanismi di apprendimento.


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La legge 170/2010 ha portato vantaggi a tutela degli alunni con diagnosi di Dsa, so­ prattutto per coloro che non vedevano rico­ nosciuta la propria problematica. Questo, se da un lato ha finalmente posto fine alle ingiu­ stizie esercitate su studenti capaci ma limi­ tati in una specifica difficoltà, portando anche rapidi cambiamenti culturali, dall'altro ha de­ terminato alcune criticità per quello che ri­ guarda l'ambito clinico. I clinici italiani hanno fruito nella loro pratica dei documenti della Consensus Confe­ rence e in particolare delle precisazioni conte­ nute nell'ultimo documento Raccomandazioni cliniche sui Dsa ­ Parcc (2011). Tale docu­ mento riporta le raccomandazioni cliniche ela­ borate da un gruppo di lavoro multidisciplinare e interdisciplinare. È il risultato di un ampio e lungo percorso di confronto, di riflessione e rappresenta una sintesi condivisa sullo stato attuale delle conoscenze scientifiche. L'interpre­ tazione clinica del disturbo dell'apprendimento è la risultante di un complesso equilibrio tra profilo neuropsicologico, ricaduta nell'adatta­ mento di tale profilo, risorse psichiche gene­ rali, fattori di contesto, risorse familiari e tutto questo in una prospettiva dinamica di cresci­ ta e sviluppo. Tuttavia, questi documenti hanno lasciato zone d'ombra e punti di incertezza che sono venuti a costituire elementi di dubbio e di pro­ blematicità nella pratica quotidiana. Gli au­ tori hanno quindi proposto delle linee guida provvisorie ai maggiori esperti nazionali, aprendo così un dibattito. Le linee guida sono state parallelamente sviluppate per dislessia e disortografia e affrontano alcuni punti fondamentali. Gli au­ tori, infatti, mettono in luce alcuni elementi di criticità che qui riportiamo. Il primo aspetto critico si riferisce ai clinici italiani che utilizza­ no il sistema di codifica ICD10 e si richiama­ no però anche ai documenti della Consensus Conference e alla legge 170. Questi tre docu­ menti non contengono indicazioni del tutto

sovrapponibili e quindi il percorso condiviso non è semplice, anche perché le diverse fonti si basano a volte su prove scientifiche e altre volte sull'accordo tra esperti. La questione di­ venta ancora più complessa se prendiamo in esame il DSM­5 che considera in modo uni­ tario i disturbi dell'apprendimento. Altri pro­ blemi riguardano l'evoluzione nel tempo dei profili dei disturbi e dei parametri che si uti­ lizzano per individuarli, le diagnosi in età ado­ lescenziale e adulta nelle quali ci si trova di fronte a un'organizzazione cognitiva diversa da quella del bambino. Le riflessioni e i contributi che hanno fornito gli esperti coinvolti hanno creato un dibattito con molteplici spunti di riflessione e una serie di preziose indicazioni per quanti operano nell'ambito dei Dsa. Gli esperti concordano comunque che, per evidenziare i disturbi specifici dell'apprendimento e definire le procedure diagnostiche, saranno necessa­ ri ulteriori occasioni di confronto negli anni a venire.


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I disturbi alimentari sono patologie clini­ che difficili da trattare, il cui andamento tende alla cronicizzazione. Rispetto alla prevalenza, gli studi evidenziano che i Disturbi alimenta­ ri (DA) colpiscono maggiormente la popolazio­ ne femminile, in particolare nei Paesi occidentali. Molte recenti ricerche hanno ri­ levato un incremento dei DA nei maschi. In particolare, alcune di queste ricerche hanno riscontrato differenze tra maschi e femmine per quanto riguarda la preoccupazione per l'immagine corporea. I maschi risultano me­ no preoccupati per il peso corporeo e più fo­ calizzati sul raggiungimento di una forma corporea ispirata a un ideale di mascolinità e sono maggiormente concentrati sul desiderio di aumentare la massa muscolare. La lette­ ratura scientifica ha individuato in questi disturbi la presenza di molti fattori di rischio psicologici e ambientali quali: fattori socio­ culturali, familiari e individuali. Tra i fattori individuali, gli studiosi hanno enucleato il perfezionismo. Tale caratteristica è stata rite­ nuta come uno dei costrutti principali sia nella genesi che nel mantenimento dei DA. In lette­ ratura non sono presenti molte ricerche che analizzano il perfezionismo come fattore di ri­ schio e mantenimento di DA nel sesso ma­ schile. Esistono, infatti, pochi strumenti specifici per valutare i comportamenti ali­ mentari disfunzionali nella popolazione ma­ schile. La maggior parte delle ricerche sull'argomento ha coinvolto prevalentemente campioni femminili. La ricerca, che viene ri­ portata dagli autori, si propone di esaminare le differenze di genere sia rispetto al rischio di sviluppare un disturbo alimentare sia ri­ spetto a variabili psicologiche correlate alla sintomatologia alimentare in un campione non clinico di adolescenti. Inoltre, intende va­ lutare il ruolo del perfezionismo come fattore di rischio per lo sviluppo del disturbo alimenta­ re e come questo influisca differentemente sul rischio di sviluppare una sintomatologia ali­ mentare nei due sessi. Il campione proviene

da una popolazione di adolescenti che fre­ quentano le scuole secondarie di secondo gra­ do di diverso indirizzo. Questo ha reso possibile approfondire le differenze di genere riguardo a variabili psicologiche associate alla psico­ patologia alimentare. I risultati mostrano co­ me le femmine hanno riportato punteggi significativamente più elevati dei maschi in tutte le scale, tranne quella del perfezionismo. L'analisi delle differenze di genere evidenzia che i soggetti maschi con elevato perfezioni­ smo sono più numerosi delle femmine con ele­ vato perfezionismo, ma queste ultime sono maggiormente a rischio di DA. Tenendo conto del recente aumento della prevalenza dei disturbi alimentari negli adolescenti maschi, i risultati mettono il luce l'esigenza di ulterio­ ri studi volti ad approfondire la peculiarità dello sviluppo dei disturbi alimentari nei ma­ schi.


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In un contesto sociale in cui «l’entropia dei diritti senza doveri ci presenta un conto insostenibile» è necessario un radicale cambio di prospettiva. Quella del welfare generativo richiede un ribaltamento culturale nell’inter­ vento professionale e un approccio parteci­ pativo dei destinatari delle risorse, valorizzando­ ne il contributo a trasformarle in soluzioni capaci di promuovere esiti e valore per gli indi­ vidui, ma anche per la società in cui vivono. Alla base c’è la necessità di superare la logica “prestazionistica”, incapace di valorizzare le capacità degli aiutati, aprendo la strada a una maggiore responsabilizzazione di chi offre (servizi, meglio che risorse economiche) e di chi riceve. È una sfida complessa ma necessaria in una situazione di profonda crisi, sofferenza sociale e scontro generazionale attentamente delineato nei primi capitoli del rapporto 2014 della Fondazione Zancan su La lotta alla po­ vertà. Uno scenario dalle tante disuguaglianze in cui lo scotto maggiore è stato e viene pagato dalle giovani generazioni e che rende ormai insostenibile la semplice affermazione di di­ ritti, anche quando non sono presenti i biso­ gni relativi. Eppure è anche questo, per quanto paradossale, uno dei risultati prodotti dalle soluzioni di spesa sociale attuati in via maggio­ ritaria, come ben emerge attraverso un appro­ fondito esame delle condizioni socioeconomiche e degli interventi attuati nel nostro Paese per contrastare crisi e povertà drammaticamente acuitesi negli ultimi anni. Le risposte tradizionali hanno unificato le soluzioni prevalentemente sotto la cappa dei trasferimenti economici, misure passive che pure determinano un enorme flusso di dena­ ro, spesso non adeguatamente finalizzato, mentre la nostra spesa pubblica non può più sopportare ulteriori inefficienze come ben de­ lineato dai contributi della prima parte del vo­ lume. Il welfare generativo si propone quindi come una possibile soluzione, dato il suo pre­ supposto nel coinvolgimento attivo delle perso­

ne, del loro capitale umano, attraverso il concorso al risultato. Raccogliere solidaristicamente, distribui­ re equamente le risorse disponibili in base ai bisogni effettivi, rigenerare capacità e responsa­ bilizzare le persone sono le parole chiave, i va­ lori di riferimento di un approccio nuovo al welfare, in una prospettiva generativa. Il contri­ buto di Vecchiato approfondisce i rapporti condizionali e per così dire sintattici fra tali valori. Se in tale prospettiva i costi possono di­ ventare investimenti, è anche vero che le so­ luzioni possibili sono esigenti e devono essere sottoposte a verifiche di esito e di impatto so­ ciale, una condizione imprescindibile in quanto solo la misurabilità del rendimento effettiva­ mente generato è in grado di alimentare la fi­ ducia in ciò che viene proposto. L’ultimo capitolo si sofferma quindi sulla necessità di introdurre meccanismi valutativi, evidence based, con metriche diverse necessarie per misurare gli esiti in modo adeguato, diversamente dagli approcci tradizionali, di processo più che di esito, concentrati a misurare risultati gestio­ nali di breve periodo. La parte conclusiva del volume si concentra quindi sulle modalità con cui valutare effettivamente le risposte dei servi­ zi ai bisogni, l’impatto e gli esiti degli investi­ menti.


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La Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 285/1997 per l'anno 2012, pubblicata nel Quaderno 56 del Centro nazionale, dà conto dei risultati di due pro­ getti sperimentali (Pippi, Programma di intervento per la prevenzione dell'istituziona­ lizzazione, e il Progetto nazionale per l'inclu­ sione e l'integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti) e presenta un'analisi dettagliata dei progetti realizzati dalle quindici città con le risorse finanziarie del fondo istituito dalla legge 285, messe a disposizione per il 2012. La relazione, curata dall'Istituto degli Inno­ centi di Firenze, è articolata in cinque parti. La prima offre un quadro sullo stato dell'arte dei due progetti sperimentali (che so­ no finanziati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e coinvolgono le città riservata­ rie), mentre la seconda è dedicata alle attività del Tavolo di coordinamento tra il Ministero e le città riservatarie, spazio di confronto importante sui progetti finanziati con il fondo 285, e all'analisi dei progetti realizzati dalle quindici città nel corso del 2012 (dimensioni, caratteristiche e utilizzo del fondo 285). Un approfondimento specifico è dedicato al tema dell’ascolto: rispetto alle esperienze realizzate localmente, si esamina quale attenzione venga attribuita al tema del protagonismo di bambi­ ni e ragazzi nel panorama differenziato degli interventi attivi. La terza parte presenta un'analisi della programmazione zonale e, in parte, regiona­ le, con un focus specifico sui servizi struttu­ rati o sperimentali per l'infanzia e l'adolescenza presenti nelle città riservatarie; offre, inoltre, una sintesi degli esiti della sperimentazione sul Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali (nella versione 2009), e ri­ porta tre studi di caso a Torino, Bologna e Bari. La quarta parte propone un'analisi sulle condizioni di benessere dell'infanzia e dell'ado­ lescenza partendo da tre dimensioni di senso indagate: struttura sociale, salute e sicurezza, diffusione e uso dei servizi. In tale sezione vie­ ne restituita, oltre alle principali dinamiche

demografiche che attraversano le città ri­ servatarie e allo stato di salute della popola­ zione minorile in esse residente, anche una panoramica dei principali indicatori capaci di descrivere interventi e servizi erogati dagli enti locali a favore di bambini e famiglie. Con la stessa ottica è stato indagato il tema dei mi­ nori fuori famiglia offrendo un’analisi quanti­ tativa finalizzata a evidenziare quanta parte del fenomeno complessivo nazionale sia ascri­ vibile all’aggregato delle città riservatarie, e un’analisi qualitativa sulle caratteristiche dei minorenni accolti. L'ultima parte, infine, è dedicata al tema dell'ascolto dei bambini e degli adolescenti. In particolare, la relazione propone un appro­ fondimento mirato a comprendere se la pro­ mozione del protagonismo di bambini o ragazzi venga preservata, oltre che nelle classiche occasioni di “normalità”, anche in situazioni problematiche come nei percorsi di cura e pro­ tezione.


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La nostra società è ormai completamente permeata dalle nuove tecnologie, ma nonostante l'estrema diffusione dei device tecnologici molti miti circondano i ragazzi e le ragazze e il loro rapporto con i media digitali. Dana Boyd, ricercatrice e docente presso la New York University, presenta in questo volume materiale qualitativo ed etnografico raccolto tra il 2003 e il 2012 e interviste realizzate tra il 2007 e il 2010. Il risultato è una riflessione e un abbattimento di molti luoghi comuni diffusi dai media e temuti dagli adulti. Il primo a cadere è il dualismo digitale, ovvero il divario fra “online” e "vita reale". Le pratiche online dei ragazzi costituiscono un'estensione di ciò che fanno e che, prima dell'affermazione dei media digitali, avrebbero storicamente fatto offline. Non solo, i nativi digitali stessi sono un altro mito da sfatare, infatti non è sufficiente ai giovani essere sempre connessi per comprendere automaticamente le tecnologie che utilizzano. Molti adolescenti non sono così abili con le tecnologie digitali come il luogo comune dei nativi digitali potrebbe far pensare. Gli adolescenti incontrati dall'autrice sanno andare su Google ma non sanno usarlo bene, non sono capaci, per esempio, di scegliere delle chiavi di ricerca che restituiscano delle ricerche di qualità. Sanno usare Facebook ma non sanno configurare le impostazioni per la privacy. Proprio la privacy è uno dei concetti cardine del volume poiché gli adolescenti la cercano e al tempo stesso la rifuggono. Potremmo dire che gli adolescenti desiderano godere dei vantaggi di partecipare e di stare in uno spazio pubblico, ma al tempo stesso cercano di controllare la propria situazione sociale e la propria immagine in rete. Al contrario di quello che si pensa comunemente fanno di tutto per sviluppare strategie innovative per gestire la propria privacy. La maggior parte di loro cifra i propri messaggi sui social media utilizzando una grammatica creativa che solo i loro amici sono in grado di comprendere e che taglia fuori gli adulti. Uno dei problemi che più sentono i ragazzi intervistati in maniera trasversale è la restrizione degli spazi sociali. La maggior parte di loro preferirebbe di gran lunga vedersi di persona, ma i tanti impegni quotidiani, gli spostamenti e le paure dei genitori hanno reso impossibili queste interazioni faccia a faccia.

I giovani, quindi, usano i social media non perché non resistono alle lusinghe della tecnologia, ma perché gli adulti controllano e limitano le loro abitudini e le loro attività ritenendo che questo sia necessario per la loro sicurezza. Ma la paura non è certo una soluzione, mentre potrebbe esserlo l'empatia degli adulti nei confronti dei ragazzi. I social media svolgono un ruolo essenziale nella vita degli adolescenti in rete, formano uno spazio per passare il tempo e comunicare con gli amici. Le interazioni digitali completano e integrano gli incontri faccia a faccia. La novità è il modo in cui i social media alterano e amplificano le situazioni sociali, usare i diversi strumenti esistenti aiuta a creare nuove dinamiche sociali. Le sfide che gli adolescenti affrontano in rete non sono per niente nuove (diseguaglianze economiche, sociali e razziali). Anche il bullismo non è stato alterato radicalmente nelle sue dinamiche dai social media, ma questi hanno reso tali dinamiche visibili a più persone. Questa visibilità dovrebbe portarci non a un inasprimento delle punizioni, ma a dare un aiuto ai ragazzi bulli e vittime che stanno gridando la loro sofferenza. Infine, una delle grandi speranze legate a internet era che questo avrebbe livellato le diseguaglianze sociali. Le ricerche condotte sulla cultura dei giovani e i social media hanno, invece, reso evidente che non si è concretizzato quel mondo socialmente egualitario che internet avrebbe dovuto realizzare. Internet si limita a rispecchiare, amplificare e rendere più visibili ciò che di buono e di cattivo c'è nella vita quotidiana.


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Il disegno infantile è un'attività privile­ giata nel bambino e su questo tema, da alcu­ ni decenni, studiosi di diverse discipline (psicologi, pedagogisti, filosofi, antropologi) pongono l'attenzione attraverso studi e ri­ cerche. Anche genitori e insegnanti mostrano un vivo interesse. Tale importanza nel passato non è stata sempre costante: la psicologia ha considerato il disegno infantile un argomento minore, mentre è stato scarsamente apprezzato dalla pedagogia e dalle altre discipline uma­ nistiche. Anche l'universo scolastico ha mo­ strato un interesse non sempre approfondito, a volte addirittura poco valorizzato. In realtà, il disegno del bambino è qualcosa con cui un po' tutti abbiamo a che fare, anche se con mo­ tivazioni anche molto diverse. Il disegno è pensiero e lavoro del pensiero, è una risorsa straordinaria di costruzione delle conoscenze e delle rappresentazioni del mondo: esso tende a cercare la rappresentazione degli oggetti attraverso criteri di somiglianza, ma nello stes­ so tempo gli oggetti vengono trasformati ed elaborati dall'intelligenza. Il disegno infantile è stato anche ritenuto un linguaggio dei senti­ menti, attraverso il quale il bambino rappre­ senta le emozioni che non sempre riesce a esprimere con il linguaggio verbale. Inoltre, attraverso questa attività egli dà forma alla realtà che vive nei vari contesti della sua vita. Molti studi mettono in evidenza che i bambini hanno preferenze stilistiche perso­ nali già in età precoce, mentre i canoni di giu­ dizio estetico sarebbero influenzati dal contesto sociale, come confermano ricerche sulla valu­ tazione della bellezza di un disegno in diffe­ renti culture. Il bisogno di creare, di esprimersi è vivo in tutto il percorso di vita dell'uomo, ma è molto attivo nell'infanzia. Se opportunamente sti­ molato dagli adulti può diventare un mezzo privilegiato di raccontarsi attraverso il gesto grafico. Nell'età infantile il bambino, infatti, lo utilizza come strumento espressivo primario anche nelle relazioni sociali con gli adulti e gli altri coetanei.

Il bambino è attratto in modo istintivo dal lasciare una traccia di sé, che si trasforma e modifica al punto da diventare forma concre­ ta che lo coinvolge e gli procura un piacere espressivo che tende a ripetere nel tempo. Il tema del disegno infantile viene trattato dall'autrice con un approccio globale: vengo­ no indagate le complesse radici storico­cultu­ rali, chiariti i motivi per cui esso coinvolge tante discipline, analizzate le teorizzazioni più accreditate e, infine, viene proposta un’origi­ nale interpretazione. Il testo può essere considerato un riferi­ mento epistemologico che va al di là dell'argo­ mento specifico, che diviene un pretesto di riflessioni psicopedagogiche più ampie, creando un'opportunità di rivedere criticamente l'atteg­ giamento degli adulti e degli educatori verso la didattica, la conoscenza e il sapere.


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Questo volume esamina la possibilità di costruire valide proposte educative attraverso le attività motorie e sportive, viste come mo­ mento importante nei processi di formazione dell'identità corporea e personale degli adole­ scenti. L'autore introduce delle premesse di inqua­ dramento storico del fenomeno sportivo, dal punto di vista filosofico, socio­antropologico e pedagogico. Vengono poi esaminati i concetti di corpo e di sport secondo le visioni attuali, caratte­ rizzate da aspetti come la secolarizzazione, manifestazione che riflette la perdita di fidu­ cia nei modelli tradizionali di riferimento di ti­ po religioso, e la globalizzazione, che sottolinea la diffusione a livello mondiale dell'attività sportiva. In questa ottica lo sport può essere visto come una sorta di surrogato del sacro, oltre che a un fenomeno trasversale che veicola un valore “universale”. Si avverte quindi la necessità di gestire lo spazio educativo dello sport in modo responsa­ bile e consapevole da parte degli operatori, coinvolgendo il più possibile coloro che si muo­ vono in questo ambito: educatori, ricercatori, studenti e insegnanti. Una crescita della professionalità in senso educativo è particolarmente necessaria alla luce delle significative potenzialità che le atti­ vità motorie e sportive hanno nel sostenere i processi di crescita sia individuali che colletti­ vi degli adolescenti, in particolar modo nella direzione dell'autoemancipazione. Il testo rileva la necessità, da parte degli adulti di riferimento, di vedere i ragazzi come soggetti attivi, in grado di superare in manie­ ra appunto emancipativa le problematiche le­ gate al loro sviluppo. A questo proposito vengono citate ricerche psicologiche che appro­ fondiscono le modalità con le quali gli adole­ scenti affrontano i loro problemi e le strategie comportamentali che possono essere messe in atto e come l'attività sportiva, opportuna­ mente intesa, possa essere un elemento faci­

litatore in tal senso. In conclusione emerge la necessità di ri­ pensare la componente relazionale dei conte­ sti sportivi che coinvolgono gli adolescenti, poiché spesso gli allenatori e gli stessi atleti adulti sottolineano principalmente la compo­ nente della prestazione, tralasciando di coglie­ re gli aspetti educativi. La relazione tra allenatore e i giovani atle­ ti dovrebbe offrire a questi ultimi delle opportu­ nità di sviluppo individuale e sociale, solle­ citandoli a sperimentare in modo nuovo il rapporto con il proprio corpo, a confrontarsi in modo costruttivo con se stessi e con l'am­ biente circostante e imparare a utilizzare in modo efficace delle risorse cognitive e com­ portamentali importanti per il processo di cre­ scita.


Focus internazionale


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Focus internazionale

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Il presente studio analizza una serie di campagne e iniziative volte ad affrontare il problema dei discorsi volti all'incitamento all'odio (hate speech) su internet al fine di identificare suggerimenti e raccomandazioni per il progetto del Consiglio d'Europa Young people combating hate speech in cyberspace (Giovani che combattono l'incitamento all'odio nel cyberspazio). Tale progetto è stato concepito in rispo­ sta al preoccupante aumento di discorsi volti all'incitamento all'odio su internet sulla base dell'idea che lo spazio pubblico online dovrebbe essere soggetto alle stesse regolamentazioni sui diritti umani che si applicano allo spazio pubblico reale. Inoltre, il progetto prende le mosse dalla campagna europea online No hate speech movement (www.nohatespeechmovement.org) promossa e implementata da organizzazioni giovanili. Prima di entrare nel merito dei risultati dell'analisi di campagne e iniziative, lo stu­ dio si sofferma sul concetto stesso di incita­ mento all'odio, sottolineando la difficoltà di arrivare a una definizione condivisa come pure a una regolamentazione internaziona­ le. In particolare si evidenzia come il concetto di incitamento all'odio sia di per sé un'idea complessa e controversa in quanto prevede la presenza di diritti in conflitto e viene regolamentato in maniera diversa nelle varie tradizioni e giurisdizioni legali europee. In generale, le definizioni del concetto di “incitamento all'odio” fanno rife­ rimento alle seguenti componenti: il conte­ nuto e il tono del discorso; una valutazione della natura del discorso; il target e le po­ tenziali conseguenze o le implicazioni del discorso stesso. Il testo riporta la seguente definizione di Raphael Cohen­Amalgor: «discorso malevolo rivolto a una persona o un gruppo di perso­ ne a causa di alcune delle reali o percepite caratteristiche innate. Esprime atteggia­

menti discriminatori, intimidatori, di disapprovazione, e/o pregiudizievoli rispetto a quelle caratteristiche, incluso genere, razza, religione, etnia, colore, origine nazio­ nale, disabilità o orientamento sessuale. I discorsi volti all'incitamento all'odio sono destinati a danneggiare, disumanizzare, molestare, intimidire, avvilire, degradare e perseguitare i gruppi target e a fomentare l'insensibilità e la brutalità contro di essi». Gli autori sottolineano, tuttavia, come l'estensione di tale definizione ponga una serie di questioni rispetto alla natura e lo scopo dei discorsi volti all'incitamento all'odio, tra cui il concetto stesso di “ca­ ratteristiche innate”, vale a dire chi e per quale motivo è o può diventare oggetto di incitamento all'odio. Mentre la definizione di Cohen­Amalgor fa riferimento a un ampio spettro di dimensioni, nella pratica delle definizioni legali l'incitamento all'odio tende a concentrarsi soprattutto su questioni di “razza”, e origine etnica, convinzioni religio­ se o filosofiche con una crescente attenzione rispetto al tema dell'orientamento sessuale, mentre scarsa attenzione viene gene­ ralmente prestata alla dimensione del gene­ re e della disabilità. Data la centralità dell'elemento della discriminazione razziale nella definizione di incitamento all'odio, la ricerca evidenzia, tuttavia, la difficoltà nel definire la discriminazione razziale in un'epoca in cui gli eventi storici aperta­ mente razzisti, quali ad esempio schiavitù e apartheid, sono stati superati, ma rimango­ no processi di “razzalizzazione” basati sull'idea, non più esplicita, ma implicita di supremazia bianca. Ulteriore elemento di complessità è l'intersezione tra il concetto di “razza” e altre dimensioni, come quella reli­ giosa. In particolare si mette l'accento sui crescenti fenomeni di islamofobia, in base ai quali l'idea del musulmano assurge in quanto tale a rappresentazione di fanati­


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smo, fondamentalismo, oppressione nei confronti delle donne, pre­modernità. La ricerca presenta quindi il punto di vista del Consiglio d'Europa e della Corte europea dei diritti umani sul tema, sottoli­ neando come tali organismi abbiano evi­ denziato e proposto soluzioni rispetto al potenziale contrasto tra il diritto alla libertà di espressione, sancito all'articolo 10 della Convenzione europea sui diritti umani, e i discorsi basati sull'incitamento all'odio. Ad esempio, la Corte europea ha sottolineato come la tolleranza e il rispetto per l'eguale dignità di tutti gli esseri umani può portare alla necessità di sanzionare o addirittura prevenire tutte le forme di espressione che incitano all'odio a patto che tali restrizioni o sanzioni siano proporzionali al legittimo scopo perseguito. Viene, inoltre, riportata la definizione della Raccomandazione 97(2) del Comitato dei ministri che identifica il concetto di hate speech con tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l'odio razziale, la xenofobia, l'antisemitismo o altre forme di odio basate sull'intolleranza incluso l'in­ tolleranza espressa da nazionalismi ed etnocentrismi aggressivi e ostilità contro le minoranze, migranti e persone di origine migrante. Il testo presenta, quindi, i ri­ sultati dei tre studi realizzati sull'incita­ mento all'odio nel cyberspazio. Per quanto riguarda l'analisi delle campagne online sul tema vengono identificate tre macro catego­ rie: campagne di sensibilizzazione volte a dare informazioni su come comprendere ed evitare i contenuti nocivi su internet, campagne affermative volte a promuovere un'immagine positiva dei gruppi target più frequenti, quali minoranze etniche, mu­ sulmani, ebrei, persone gay, e campagne oppositive volte a promuovere la crimina­ lizzazione dell'incitamento all'odio su internet oltreché l'individuazione degli stes­ si siti aventi contenuti nocivi. Rispetto a quest'ultima tipologia di campagne, si sottolinea come attualmente sia partico­ larmente difficile identificare e proibire tali siti e tali contenuti online in quanto esisto­ no approcci legali diversi al tema nei vari Paesi europei. Infine lo studio riporta le raccomanda­ zioni che emergono dalla mappatura rea­

lizzata nei tre studi dalla quale emerge, innanzitutto, una chiara e urgente necessi­ tà di azione in questo ambito. Si evidenzia, inoltre, come una strategia internazionale di regolamentazione del fenomeno, per quanto altamente desiderabile, sia difficile da raggiungere a causa di normative e punti di vista nazionali differenti sui temi della libertà di espressione e della censura. L'opzione che rimane è quindi quella di educare il pubblico ai valori della tolleranza e dell'accettazione di credenze diverse. La strategia migliore viene identificata nella realizzazione di diverse campagne e progetti che, da un lato, preparino i ragazzi ad affrontare siti con contenuti di incitamento all'odio, dall'altro sostengano i gruppi gio­ vanili nella conduzione di campagne basate su azioni positive volte a modificare atteggiamenti stereotipati e malevoli. Per quanto riguarda invece le campa­ gne oppositive, queste vengono giudicate come potenzialmente pericolose in quanto non esiste una soluzione definitiva per una proibizione generalizzata di contenuti ba­ sati sull'odio su internet. Inoltre ai ragazzi che le conducono deve essere fornita un'adeguata protezione giuridica. Si sottolinea anche come le metodolo­ gie utilizzate da dieci anni a questa parte nella media education dei giovani siano oggi largamente inadeguate. In particolare l'uti­ lizzo di filtri appare non solo del tutto inefficace da un punto di vista tecnico ma anche limitativo in quanto non promuove le necessarie capacità di lettura critica sia dei testi che delle immagini utilizzate nei siti in questione. È proprio questa capacità critica che viene considerata l'elemento principale da promuovere nell'educazione giovanile nell'affrontare i discorsi volti all'incita­ mento all'odio.


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Il testo raccoglie i risultati di una ricerca condotta dall'Institute for Culture and Society at the University of Western Sydney in collaborazio­ ne con il Berkman Center for Internet & Society della Harvard Univesity e l'Unicef. In particolare, l'indagine cerca di rispondere all'esigenza – emersa anche durante i lavori della 2014 Day of general discussion del Comitato Onu per i diritti dell'infanzia – di come dare voce ai bambini e agli adolescenti nel dibattito sull'impatto che l'accesso e l'utilizzo di strumenti digitali hanno sull'esercizio dei loro diritti. Il progetto ha coinvolto oltre 140 ragazzi di età compresa fra i 6 e i 18 anni, provenienti da 16 Pae­ si diversi, ai quali è stato proposto di riflettere su quanto e come utilizzano i media digitali nella loro vita quotidiana e su quali siano le motivazioni del loro utilizzo; inoltre, è stato loro chiesto come pos­ sono essere definiti e articolati i loro diritti nell'era digitale e, infine, come i loro diritti possano essere potenziati dall'uso di strumenti digitali. Partendo da metodologie di ricerca e di pro­ gettazione partecipativa, il progetto si è posto quindi come obiettivo l'acquisizione e l'analisi dello speci­ fico punto di vista sull'argomento dei minori stes­ si, portando a tre diversi prodotti finali: ­ un cortometraggio che documenta il punto di vista dei bambini in relazione all'esercizio dei lo­ ro diritti nell'era digitale, utilizzando filmati cro­ wdsourcing provenienti dalle organizzazioni partner del progetto; ­ un rapporto di analisi sulle considerazioni raccolte attraverso le interviste ai ragazzi; ­ una raccolta di esperienze che mostrano co­ me alcune organizzazioni che lavorano con i bambi­ ni stanno usando la tecnologia, al fine dello sviluppo e del potenziamento dei loro diritti in diverse loca­ lità in tutto il mondo. La finalità generale del progetto è quella di sensibilizzare i governi nazionali, le agenzie interna­ zionali, la società civile, le università, l'industria su nuove modalità di garanzia e di tutela dei diritti dell'infanzia nell'era digitale. Nella prima parte del volume sono stati inse­ riti, in forma chiara e sintetica, i fondamentali mes­ saggi che emergono dalla ricerca condotta e che

sono diretti non solo ai ragazzi, ma anche ai geni­ tori, agli educatori, ai politici e a tutti coloro che possono positivamente incidere sul fenomeno in esame. Il lavoro di ricerca realizzato ha dimostrato che maggiori livelli di accesso ai media digitali non comportano necessariamente una maggiore consa­ pevolezza di quali siano i diritti dei bambini nell'era digitale. Se, quindi, si intende sostenere l'esercizio di tali diritti, è evidente la necessità di uno sforzo e di un impegno condiviso tra i tutti i soggetti po­ tenzialmente coinvolti. A oggi, sembra doversi concludere che ai bambini e agli adolescenti venga data una scarsa opportunità di riflettere su come i media digitali possono influenzare positivamente i loro diritti, anche se è evidente che la maggior parte di essi ha una chiara concezione di come, invece, li potrebbero violare. Il presente lavoro, nelle intenzioni delle orga­ nizzazioni che lo hanno promosso, deve essere inte­ grato da ulteriori ricerche sul ruolo che gli strumenti multimediali occupano nella vita dei bambini a li­ vello mondiale, in modo che gli interventi e le espe­ rienze in quest'ambito possano essere valutati e sostenuti alla luce di una forte base di conoscenze. Diventa inoltre necessario, allo stato attuale, capi­ re meglio i fattori che rendono certi bambini maggiormente esposti ai rischi connessi all'utilizzo di internet e imparare a come sfruttare le potenzia­ li opportunità dei media per sviluppare i diritti dei bambini. Questi approfondimenti consentiranno a chi è impegnato in quest'ambito di muoversi ben oltre l'obiettivo di contenere il rischio e di accresce­ re la sicurezza, arrivando a sviluppare altresì poli­ tiche e programmi che realmente rispondano al ruolo complesso e alle nuove sfide che i nuovi stru­ menti possono giocare nella vita dei bambini.


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Il volume fa parte di un'opera in due vo­ lumi in cui sono pubblicati gli atti del conve­ gno internazionale La famiglia ieri e oggi. Trasformazioni demografiche e sociali dal XV al XX secolo, svoltosi a Bari nel 1988; in que­ sto primo volume si riportano gli interventi relativi ai secoli XV­XIX. Giovanna Da Molin, da molti anni docente di Demografia storica e sociale e importante studiosa della famiglia italiana, ha curato il volume e introdusse il convegno. Il convegno aveva l'obiettivo di fare il punto sugli studi della famiglia e le sue trasforma­ zioni, studi che in quegli anni videro collabo­ rare i ricercatori di molte discipline: storici, demografi, sociologi, antropologi, statistici. Il libro si apre con un intervento di carattere ge­ nerale sulle nuove direzioni della ricerca sulla storia della famiglia in Europa e negli Usa, scritto da Tamara Kern Hareven, storica so­ ciale studiosa degli effetti dei cambiamenti sociali sulla vita familiare. Anche il secondo contributo di Antoinette Fauve­Chamoux, anch'essa storica sociale della famiglia, è di carattere generale e meto­ dologico e punta l'attenzione sugli studi france­ si dell'epoca. Seguono numerosi contributi che con­ fermano l'importanza avuta in quegli anni da un approccio multidisciplinare allo studio della famiglia – in particolare dalla demogra­ fia storica – e che illustrano ricerche su spe­ cifici argomenti riconducibili alla storia della famiglia italiana. Tuttavia, come afferma la stessa Da Molin nell'introduzione al volume, l'ampio arco cronologico indagato, la varietà dei temi e le molte discipline utilizzate (ba­ sandosi quindi anche su diverse tipologie di fonti), non consentirono di fare un bilancio complessivo sull'argomento, ma offrirono co­ munque un contributo per meglio comprende­ re le trasformazioni demografiche e sociali della famiglia.

Si inizia con Andrea Menzione che tratta delle trasformazioni della famiglia contadina toscana del '400, partendo dal censimento delle anime del 1481. Ancora la Toscana è oggetto d'indagine di Cinzia Bucciantini e Carlo Corsini che, con il loro studio sul censi­ mento della popolazione del 1841, mettono in relazione le strutture familiari con le realtà economiche locali. Il collegamento fra profes­ sioni e strutture familiari è indagato anche da altri studiosi come Amalia De Francesco, che si occupa dell'Appennino apulo­campa­ no del '700, e da Gerard Delille che mette a confronto i dati disponibili su massari e braccianti di diverse zone del Nord e del Sud dell'Italia nei secoli XVI­XVIII. Un'ulteriore ri­ flessione sulle professioni è fatta dalla stessa Da Molin che, attraverso lo studio dei catasti onciari del '700 di alcune località pugliesi, studia il legame fra mestieri dei padri e me­ stieri dei figli. Le strategie economiche fami­ liari sono anche al centro dello studio di Antonio Ciuffreda, che le mette in relazione con le regole del reclutamento ecclesiastico a Manduria tra XVI e XVIII secolo. La precarietà sociale e la fragilità familia­ re nella Roma dei secoli XVII­XVIII sono inda­ gate da Eugenio Sonnino, attraverso lo studio del ruolo avuto dalle istituzioni di assistenza ai poveri e alle orfane. Proprio dalle fonti archi­ vistiche di un'istituzione di assistenza, i “mo­ vimenti degli esposti” e i “baliatici degli esposti” dell' Ospedale di Santa Maria della Miseri­ cordia di Perugia, parte lo studio di Luigi Titta­ relli per vedere le caratteristiche delle famiglie delle balie a metà '800. L'analisi di Francesco Benigno su Noto si basa sul “rivelo di frumenti” del 1647 e conferma quanto già altri studi hanno evi­ denziato per la Sicilia, cioè la prevalenza della famiglia nucleare. Tale prevalenza è rilevata anche a Parma nel '700 da Lamberto Soliani e Aldo Nelli, che ne esaminano le strutture fa­


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miliari con il classico approccio demografico delle categorie di Laslett. Olivier Faron e Flores Reggiani studiano le dinamiche familiari nell'ambiente urbano milanese dell'800, partendo dai fogli di fami­ glia dell'anagrafe basati sul principio della coabitazione, che però non rendevano conto della frequente mobilità delle persone per il lavoro, motivo che spinse l'amministrazione a porre dei correttivi a questo tipo di rileva­ zione. E proprio gli effetti della mobilità della popolazione sulle famiglie sono indagati da Annunziata Berrino che studia la realtà di Torca nel XIX secolo, quando la crisi agru­ mentaria delle località vicine spinse numero­ se persone verso questo luogo dove vantavano lontane parentele. L'ultimo contributo di Agnese Sinisi ri­ flette anch'esso sulle strategie economico­fa­ miliari dei vari gruppi sociali di Gensano fra '800 e '900, periodo di crisi agraria, partendo dai protocolli notarili.


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La rappresentazione del mondo nel fanciullo fu pubblicata per la prima volta nel 1926 in lingua francese e rappresenta una delle più importanti opere di Piaget. Fin da subito questo libro ebbe un'immediata riso­ nanza dall'Europa all'America, suscitando consensi e critiche. Piaget in questo libro descrive alcune ricerche studiando diretta­ mente le convinzioni presenti nei bambini. La ricerca utilizzata dall'autore è di tipo cli­ nico ed è impostata sulla base di alcune ipotesi. Tali ipotesi riguardano le caratteri­ stiche fondamentali del pensiero del bambi­ no e sono quelle del realismo e dell'egocen­ trismo. Le ricerche sono condotte mediante l'impiego di materiale concreto, sul quale il bambino è invitato a compiere delle mani­ polazioni o esprimere delle valutazioni. Per realismo l'autore intende una tendenza molto viva nel bambino a dare un peso maggiore agli aspetti concreti, visibili, di una certa realtà per rapporto ad altri aspetti che non hanno tale carattere. Per egocentrismo Piaget si riferisce a una ca­ ratteristica presente nel bambino molto piccolo secondo la quale egli non si rende conto che la sua esperienza della realtà è solo una delle tante possibili. Entrambe queste tendenze caratterizzano i primi livelli dello sviluppo mentale infantile. I risultati delle ricerche esposte nel te­ sto hanno evidenziato un certo numero di differenze tra il pensiero del bambino e quello dell'adulto, differenze qualitative che riguardano sia il modo di funzionare del pensiero (realismo, egocentrismo), sia il suo contenuto (le convinzioni espresse, le spie­ gazioni date). In particolare Piaget ha sotto­ lineato che nel bambino al di sotto dei 18 mesi di età, è presente un’estrema povertà dell'attività rappresentativa. Nei bambini di età inferiore ai 6­7 anni si rileva irreversibi­ lità del pensiero, scarsa sensibilità alla con­ traddizione, egocentrismo, realismo, sincre­

tismo. Nei bambini al di sotto dei 12 anni sono evidenti caratteristiche che riguardano l'incapacità di sviluppare un ragionamento deduttivo sulla base di ipotesi in contrasto con i dati di esperienza o di svolgere in forma rigorosa un ragionamento induttivo. Le ricerche di Piaget hanno inoltre permesso di inserire la psicologia infantile in un sistema organico di rapporti con l'antropologia culturale, la storia del pen­ siero scientifico, la logica, la matematica e la fisica. Sono discipline apparentemente molto diverse, ma l'autore ha sempre tentato di istituire un rapporto diretto tra queste, tanto che, a partire dal 1953, ne fe­ ce un motivo conduttore della sua opera. Questo lavoro ha occupato l'autore qualche decina d'anni, durante i quali egli ha raccolto una grande mole di dati di grande valore scientifico per la psicologia. Egli ha dato un carattere di sistematicità alle ricerche e ha consentito di chiarire tanti aspetti dello sviluppo mentale la cui cono­ scenza era prima molto frammentaria. La lettura del libro, oltre a permettere la cono­ scenza diretta di alcuni importanti aspetti del mondo mentale infantile, può essere un punto di partenza per un ampio studio dell'opera di Piaget.


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