Per la comunitĂ cristiana PrincĂŹpi dell'ordinamen to sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli
PRESENTAZION E Il bisogno di definizioni e di formulazioni, la urgenza di «prendere posizione» di fronte alle più vive e dibattute questioni sociali ed economiche si fa ogni giorno più sentire nel campo cattolico, a mano a mano che si fa strada la convinzione che la distruttiva crisi di civiltà che andiamo attraversando trova la sua prima ragione nell' abbandono e nella negazione dei principii che il messaggio cristiano pone a fondamento della umana convivenza e dell'ordine sociale, così come del comportamento e della morale personale. Il riconoscimento di questa verità, che costituisce la più eloquente apologia del Cristianesimo, avrebbe tuttavia solo un valore negativo e di pura constatazione storica, se non fosse açcompagnato da una immediata istanza e da un positivo impegno di ricerca, di ricostruzione, di affermazione di un ordine sociale che elimini e riformi gli elementi di dissoluzione, di involuzione, di incoerenza rispetto ai fini essenziali dell'uomo e della società. Per questo gli spiriti più attenti, gli animi più appassionati, fra i quali fermentano i germi di quel profondo rivolgimento sociale che batte alle porte dei tempi nuovi, guardano oggi con grande fiducia e speranza all'idea cristiana, come all'unica capace di difendere insieme le ragioni dell'uomo e quelle della comunità, le esigenze della libertà e quelle della giustizia. L'augusta voce del Papa si è levata con accorata insistenza ad ammonire, ad illuminare, ad indirizzare, e il Magistero della Chiesa si è espresso con una ricchezza di motivi, una profondità e una vastità di insegnamenti, una efficacia ed una rispondenza di argomentazioni, quali poche volte nella storia della Chiesa e della umana civiltà si è potuto riscontrare. Le encicliche, i radiomessaggi, i discorsi che si sono susseguiti in questi anni travagliati, e pur ricchi di una intensa vitalità per la Chiesa di Roma, offrono al mondo e ad ogni coscienza cristiana le grandi linee per la ricostruzione di un mondo più umano e più giusto. Tutti i principali problemi del consorzio civile sono af-
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., Per la comunzta orzstzana frontati e risolti nelle loro linee essenziali alla luce penett nte della verità rivelata, con una larghezza di visione ed una uni valori che sta al di sopra di ogni contingenza di singoli particolari situazioni storiche. Il corpo di dottrine e di insegnamenti di cui il Pan efice ha così poste le basi, pur mantenendosi sempre nell'alta sfera di supremo Magistero che gli è propria, costituisce una preziosa ~ dicazione per lo studioso, per il sociologo, per il giurista, per l'economista, per il politico, per l'uomo d'azione, per chiunque insomma sia in grado di partecipare, qualunque posizione egli abbia nella comunità sociale, al chiarimento e alla affermazione concreta dei princìpi: così esplicitamente ed esaurientemente esposti, facendone viva materia della storia umana. Tradurre in atto quei princìpi luminosi e fecondi, farne non solo norma di vita, ma specifica forma di vita individuale e sociale è il grande compito che spetta ai cristiani di oggi e, con loro, a tutti gli uomini di buona volontà. Orbene: tra l'enunciazione dei princìpi e la loro traduzione in atti del concreto operare dell'uomo e della società, si pone un importantissimo compito al quale sono più specialmente chiamati gli studiosi e tutti coloro che, in ragione delle loro funzioni nell'organismo sociale, sono i meglio indicati per adempierlo. Si tratta anzitutto di illustrare, di commentare, di spiegare nei modi più confacenti a particolari ordini di ascoltatori quei princìpi onde facilitarne lo studio, la piena comprensione, l'accoglimento consapevole; si tratta altresì di scegliere nella ricca miniera della dottrina che è contenuta nel Magistero della Chiesa le enunciazioni che più si attagliano alle concrete situazioni storiche, alle necessità contingenti, alle esigenze psicologiche del momento; si tratta soprattutto di sviluppare nei loro logici corollari, nelle loro possibili, giustificabili illazioni, nelle loro feconde applicazioni quei princìpi; si tratta infine di sforzarsi p,er mettere a contatto con quelle enunciazioni tutta la complessa problematica che si presenta in concreto a chi consideri oggi la vita economica e sociale, il cui studio ne riceverà illuminazioni spesso inaspettate e risolutivi chiarimenti. Un compito dunque di esegesi, di commento, di esposizione, ma anche di elaborazione scientifica, e poi di sviluppo e di applicazione; compito che è un tradizionale titolo di gloria della scuola sociale cattolica, che è fiorita e si è sviluppata appunto attorno alle prime grandi encicliche. sociali dei Papi. Con questi intendimenti già molti anni fa, in un periodo non meno travagliato , e non meno carico di responsabilità per i cattolici di quello attuale, l'Unione Inte~ionale di Scienze Sociali, fondata a Malines nel 1920, si era accinta ad un fecondo lavoro che portò a quel Codice Sociale, pubblicato nel 1927, e tradotto e più volte ristampato, anche recentemente in Italia, che costituisce il più notevole contributo degli ultimi decenni all'unità e alla vitalità della dottrina
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Presentazione sociale cattolica. Da allora molto cammino è stato compiuto: la vita economica e la realtà sociale hanno, da un lato, assunto forme di una complessità e di una drammaticità di problemi e di contrasti che il mondo non aveva finora conosciuto. Dall'altro le fonti più autentiche del Magistero sociale si sono arricchite di fondamentali documenti, quali, per non dire di altri, la Quadragesimo anno e i radiomessaggi di Pio XII. Il compito che spetta alla scuola sociale cattolica è dunque, anche oggi, immenso. Nell'intento di collaborare, nel limite della propria sfera di azione, a questo altissimo compito, la Sezione Laureati di A. C. e l'Istituto Cattolico di Attività Sociale si sono resi promotori, fin dal gennaio del 1943, di una iniziativa mirante a raccogliere un primo nucleo di studiosi cattolici di scienze sociali e giuridiche e di economia per uno scambio di vedute mirante alla formulazione concorde di enunciati sintetici, ma esaurienti, sui fondamentali problemi di un ordine sociale ispirato alla dottrina e al magistero della Chiesa. A tale scopo, malgrado le difficoltà contingenti e progressivamente crescenti, venne organizzato per il periodo 18-24 luglio 1943 un convegno nella raccolta e suggestiva sede dell'Ospizio di Camaldoli, nel Casentino, ove a più riprese negli anni precedenti si erano tenute le «Settimane di teologia per laici». Ivi per quasi una settimana di intenso lavoro si raccolsero oltre una trentina di studiosi laici ed ecclesiastici sotto la guida e la presidenza effettiva di S. E. Mons. Adriano Bernareggi, Vescovo di Bergamo ed Assistente Centrale della Sezione Laureati Cattolici. Il programma stabilito dai promotori mirava soprattutto a dare inizio ad un lavoro i cui concreti sviluppi sarebbero stati meglio determinati col procedere del lavoro stesso, tenendo conto delle esigenze, delle possibilità, dei primi risultati. L'incontro, come veniva opportunamente chiarito in alcune «norme e direttive» dettate dalla Presidenza, non aveva la pretesa di arrivare a formulazioni estese e a conclusioni definitive, ma voleva offrire l'occasione per un primo largo contatto fra studiosi cattolici onde avviare la precisazione in forma organica del pensiero comune. In particolare la Settimana si proponeva di concordare un programma per il lavoro da svolgere in seguito, e di stabilire il metodo da seguire, nominando dei Comitati di redazione sui singoli argomenti, distribuendo fra essi la elaborazione degli enunciati da sottoporre poi alla comune discussione, affidando precisi incarichi personali ai presidenti ed ai membri di detti Comitati. Per avviare il lavoro, che mira a raccogliere la collaborazione di tutti coloro che ad una sincera ed autentica ispirazione cristiana e ad una assoluta purezza di intenti uniscano una specifica approfondita competenza sui problemi da discutere, si pensò di servirsi in un primo tempo della traccia offerta dal già citato Codice di Malines, ben noto a tutti gli studiosi cattolici, allo scopo soprattutto di avere un punto di riferimento e un ordine nella distribuzione della materia. Ciò non signifi-
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., Per la comunzta crzstzana cava che scopo della Settimana fosse quello di formulare una nuova edizione aggiornata di detto codice, nè tanto meno di te tarne una revisione, nè, infine, di ambire a un Codice sociale del tip,o di quello di Malines, da servire per i cattolici italiani. Si trattava p ù semplicemente di raccogliere in una serie di brevi enunciati, desunti direttamente dal Magistero della Chiesa, ed in sede esclusivamente di dottrina, i princìpi essenziali del pensiero sociale cattolico quale si presenta nell'ora attuale. In pratica i lavori avviati nella Settimana di Camaldoli si proponevano: a) di dare forma organica e scientifica, e il più possibile sintetica, collazionando e coordinando i testi ufficiali, alle enunciazioni delle encicliche sociali e degli altri documenti del Magistero della Chiesa che si riferiscono ai principali problemi dell'ordine e della vita sociale ed economica; b) di sceverare fra le affermazioni del pensiero ufficiale della Chiesa, che nella generalità del suo Magistero si rivolge a tutti i tempi e a tutti i popoli, quelle che risultino particolarmente adatte alle contingenze storiche del nostro tempo, con particolare riguardo ai problemi della ricostruzione di un ordine sociale dopo il collasso della guerra; c) di tentare una prudente opera di esegesi e di interpretazione, e, se necessario, di integrazione e sviluppo del pensiero espresso nei documenti ufficiali, collaborando secondo il preciso appello rivolto dal Pontefice agli esperti e ai competenti di buona volontà, al progressivo chiarimento e sviluppo della dottrina sociale cattolica e al suo sempre migliore affermarsi come adeguato ed efficace fondamento di un ordine sociale non solo astrattamente giusto ed umano, ma anche concretamente e storicamente possibile.
Durante i lavori della Settimana, malgrado la eccezionalità del momento, si poterono svolgere nutrite e feconde discussioni, a conclusione delle quali si giunse alla redazione di una prima serie di brevi enunciati di carattere provvisorio sulla vita familiare e l'educazione, sulla vita civica, sulla vita economica, sulla vita internazionale (1 ). (') Dal saggio di P. GJUNTELLA Una rilettura. Il Codice di Camaldoli, in «Appunti», 1, 1976, pp. 21 sgg. si ha un preciso quadro dei lavori della settimana camaldolese desunto direttamente dalle carte dell'archivio privato Paronetto. In particolare il programma preparato inizialmente per la settimana di Camaldoli dal 18 al 24 luglio 1943 , prevedeva: 1° giorno «Vita familiare - pedagogica, diritti di famiglia» ; 2° giorno - «Vita civica»; 3°. giorno - «Vita economica»: a) «Vita economica in generale, in specie l'impresa e la produzione »; b) «Proprietà: parte giuridica»: «parte economica»; 4° giorno - e) « Organizzazione sindacale e rapporti di lavoro»; d ) «Intervento statale: 1) nella vita economica; 2) nella finanza»; 5° giorno - «Vita internazionale»; 6° giorno - «Redazione degli enunciati conclusivi». Fra _i circa cinquanta partecipanti alla settimana di Camaldoli del luglio 1943-, ricordiamo: Mons. Adriano Bernareggi, Vittorino Veronese, Augusto Baroni, Ludovico Montini, Mons. Franco Costa, Mons .. Emilio
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Presentazione Nella riunione camaldolese venne altresì deciso l'ulteriore programma dei lavori, che comportava la designazione di vari Comitati di redazione, col compito di procedere, in base ai risultati delle discussioni, alla formulazione degli enunciati da sottoporre poi alla approvazione comune in un nuovo convegno che si pensava di poter riunire entro breve termine. Questo programma ha subito, per forza di cose, una profonda modificazione date le gravi circostanze sopravvenute: gli enti promotori, allo scopo di non rinviarne l'attuazione sia pure parziale fino al ritorno della normalità e per non tardare ulteriormente ad offrire agli studiosi, agli amici ed al pubblico una prima concreta formula zione, possibilmente completa, almeno quanto alla materia trattata, hanno ritenuto giunto il momento di mettere a comune disposizione il lavoro sin qui compiuto da un gruppo di studiosi per la più parte partecipanti od invitati alla Settimana di Camaldoli, i quali hanno potuto assiduamente riunirsi in Roma a partire dallo scorso settembre '43 sotto gli auspici dell'Icas. Essi hanno lavorato e discusso intorno alle prime provvisorie elaborazioni di Camaldoli ed hanno potuto tener conto, se pur non con tutta la desiderabile ampiezza, anche del contributo di altri studiosi, anche non romani, che malgrado le difficoltà di ogni genere, hanno avuto modo di far pervenire le loro osservazioni e i loro rilievi. Si è così pervenuti ad una prima formulazione di una serie completa di enunciati sui principi di un ordinamento sociale cristiano che investono i punti fondamentali del problema della comunità umana, con particolare riguardo ai più vivi e urgenti problemi del lavoro e della vita economica. Il testo che viene ora presentato al giudizio degli studiosi e del pubblico, pur essendo il risultato di lavori assidui e di discussioni spesso laboriose e pur essendo di molto allargato, sia per gli argomenti trattati che per il modo della trattazione, rispetto alle prime elaborazioni di Camaldoli, manca per ora della · collaborazione di studiosi e teologi che in altre circostanze avrebbero potuto offrirla largamente, e non rappresenta quindi che un primo passo, mentre il contenuto degli enunciati viene lasciato, come è ovvio, alla personale responsabilità dei redattori. I compilatori, che amano designarsi dal nome di Camaldoli, luogo della prima riunione, hanno lavorato in piena armonia ed affiatamento, se pure in circostanze molto difficili durante l'occupazione tedesca di Roma, per cui non sempre ciascuno ha potuto pienamente apportare tutto il possibile suo contributo. Pur assumendo la piena responsabilità delle proprie affermazioni essi preferiscono presentare Guano, Orio Giacchi, Ferruccio Bergolesi, Paolo Emilio Taviani, Guido Gonella, Giorgio La Pira, Vittore Branca, Franco Feroldi, Antonio Boggiano Pico, Augusto Solari, Angela Gotelli, Aurelia Bobbio, don Carlo Colombo, Giorgio Balladore Pallieri, Antonio Amorth.
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Per la comunità cristiana collettivamente il frutto del loro lavoro, nella fiducia che per questa via sia possibile addivenire al più presto ad una organica formulazione da parte di un nucleo concorde di studiosi cattolici regolarmente convocati, secondo il primitivo programma della Settimana di Camaldoli. Il testo così elaborato viene ora diffuso sotto gli auspici dell'Icas, onde servire di base alla raccolta dell'ulteriore contributo degli studiosi e dei maestri di teologia, chiamati a collaborare dagli enti promotori. Al tempo stesso si offre al pubblico con questo testo un primo sommario che potrà fin d'ora servire come schema di orientamento e di studio per chiunque si interessi alla formazione di una viva ed attuale coscienza sociale. Quanto alla materia trattata il lettore vedrà da sè: occorre tuttavia avvertire che data la natura e lo scopo del lavoro i compilatori si sono sforzati in genere di astenersi dall'affrontare questioni tecniche e dottrinali in materia opinabile, bene inteso quando ciò non nuocesse alla affermazione e alla applicazione alla realtà attuale dei princìpi fondamentali della dottrina sociale cattolica, o quando il mantenere il silenzio di fronte a questioni di urgenza improrogabile, se pure ardue, sarebbe sembrata una evasione ai compiti dello studioso cattolico (2). (2) Hanno in varia guisa curato la redazione del testo l'avv. LUDOVICO MoNTINI, il dottor SERGIO PARONEITO, il prof. PASQUALE SARACENO, il prof. EzIO VANONI. La redazione del cap . III (sulla Educazione) è stata curata particolarmente dal prof. GESUALDO NosENGO con l'ausilio del dott. SERGIO PARONEITO. Il lavoro è stato g uidato ed assistito dal punto di vista teologico, oltre che - fino a che è stato possibile comunicare regolarmente - da S. E. mons. ADRIANO BERNAREGGI, vescovo di Bergamo ed assistente ecclesiastico della Sezione Laureati di A. C., dal vice assistente mons. EMILIO GUANO e dal rev. p. ULPIANO LoPEZ S. ]. della Pont. Università Gregoriana. H anno variamente collaborato o sono stati consultati su specifici argomenti di loro competenza : dott. GIULIO ANDREOITI, Roma; prof. AURELIA BoBBIO, Roma ; prof. VrITORE BRANCA, Firenze; prof. GIUSEPPE CAPOGRASSI, Roma ; prof. FRANCO FEROLDI, Brescia; dott. MARIO FERRAR! AGGRADI, Roma; prof. Gu rno GoNELLA, Roma; prof. GIORGIO LA PIRA, Firenze; prof. GIUSEPPE MEDICI , Roma; prof. ALDO MoRo, Roma; prof. FERRU CCIO PERGOLESI, Bologna; prof. P. EMILIO TAVIANI , Genova; prof. Gurno ZAPPA, Roma, ed altri. Hanno rivisto il testo, per intero o parzialmente, o sono stati consultati in diverse fasi della elaborazione i Reverendi Teologi: p. RENATO ARNOU S. J., della Pont. Univ. Gregoriana, p. CARLO BoYER S. J., della Pont. Università Gregoriana, p. ANGELO BRuCCULERI S. ]., della «Civiltà Cattolica », prof. don CARLO COLOMBO, del Seminario di Venegono, p. GrusEPPE CREUSEN , della Pont. Università Gregoriana, S. E. mons. ANTONIO LANZA, arcivescovo di Reggio Calabria, mons. FRANCESCO RoBERTI , del Pont. Ateneo Lateranense. Al coordinamento del materiale raccolto hanno infine provveduto il prof. PASQUALE SARACENO e il dott. SERGIO PARONETIO , il quale ha altresì curato la presente edizione. Fin qui la nota originale al Codice. «La testimonianza orale della signora Paronetto Valier - nota P. GIUNTELLA in Una rilettura, cit., p. 39 - e un appunto dello stesso Paronetto conservato nel suo archivio personale aiutano a meglio mettere in luce alcuni aspetti dell'elaborazione del Codice: il capitolo sulla famiglia fu in particolare curato da Ludovico Montini , i capitoli sulle questioni economiche e finanziarie da Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni e Sergio Paronetto; i capitoli sullo Stato e la vita internazionale dal professor Capograssi, che, peraltro, non partecipava mai alle riunioni. Erano gli stessi Saraceno e Vanoni che, recandosi da lui , sintetizzavano e quindi redigevano le conversazioni del Capograssi e poi gli sottoponevano le singole formulazioni. Il capitolo III sulla educazione fu oggetto di discussioni serrate e sottopo-
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Presentazione Si sono del pari astenuti i compilatori dal prender posizioni, atteggiamenti e indirizzi di natura specificatamente politica, la cui materia esula completamente dai fini del presente lavoro, che mira esclusivamente al chiarimento e alla miglior formulazione del pensiero sociale cattolico, in vista di offrire alla coscienza del cittadino e dell'uomo sociale, ed in particolare al cattolico, quali che siano le sue preferenze politiche, le basi per un giudizio morale sulla vita della comunità. È poi necessario avvertire che non è stato intendimento dei compilatori offrire un complesso di formule apodittiche e un corpo di dottrina definito e definitivo per gli studiosi e per gli uomini di azione: non si tratta quindi di un Codice nè di un catechismo, ed anche in ciò il presente lavoro si distingue da quello, ben più autorevole, dell'Unione Internazionale di Malines. Si è piuttosto mirato ad approfondire i complessi problemi che presenta la odierna società e ad offrire al lettore e all'uomo d'azione gli elementi per un orientamento sicuro e al tempo stesso adatto alla contingente concretezza della fase storica e politica che attraversiamo. Di questo dichiarato proposito risente, in più di un caso, la redazione stessa del testo, che spesso si sofferma sulla genesi storica di certe situazioni per meglio chiarirne gli sviluppi e giustificare così gli indirizzi proposti; in altri casi si è rinunciato volutamente alla esigenza di definizioni precise che, se pur tradizionalmente accolte da autorevoli rappresentanti del pensiero cattolico, non raccolgono però l'unanimità dei consensi e, quel che è più, non sempre sono sufficienti a spiegare una realtà sociale in profonda evoluzione. Malgrado questi chiarimenti, la materia trattata è così vasta ed impegnativa, la elaborazione dottrinale da parte degli studiosi cattolici più autorevoli spesso - non dobbiamo nasconderlo - ancora così scarsa e poco aggiornata di fronte alla ricchezza, alla profondità, alla novità delle più recenti definizioni del Magistero Pontificio, e di fronte alla complessità e alla difficoltà dei problemi che una realtà in evoluzione radicale continuamente ripropone, che il presente testo non mancherà di dare luogo a discussioni e dibattiti. È questo anzi uno degli scopi della attuale pubblicazione. Ben vengano dunque osservazioni, rilievi, critiche, proposte (3 ). Voglia il Signore ispirare tutti coloro che sono e saranno chiamati a portare la luce delle loro intelligenze e il dono delle loro esperienze, a che i loro contributi giovino alla unità, alla profondità, alla concretezza, alla chiarezza del sto ad aspre critiche. Capograssi, Saraceno e Vanoni, ricorda la signora Paronetto, volevano addirittura sopprimerlo, ritenendo eccessiva la parte concessa al tema dell'educazione in un codice sociale». (3) La raccolta del materiale e l'ulteriore elaborazione fanno capo a una apposita sezione del «Centro' Studi» dell'Istituto Cattolico di Attività Sociale. Così la nota originale al testo. I successivi tentativi per una revisione critica del Codice di Camaldoli non avrebbero avuto esito positivo. Cfr. a riguardo P. GruNTELLA, Una rilettura, cit., p. 43.
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Per la comunità cristiana
comune lavoro, onde presto sia possibile offrire all'attesa di molti, attraverso l'appassionato lavoro del gruppo di studiOsi raccolto dall'Icas e dai Laureati Cattolici un documento efficace della perenne ricchezza e vitalità del Magistero sociale della Chiesa e della sua presenza profondament e novatrice di fronte ai bisogni della società nel1' ora presente (4 ). L ' ISTITUTO CATTOLICO DI ATTIVITÀ SOCIALE
Roma, Pasqua 1945
( 4 ) Sul Codice di Camaldoli, oltre al più volte citato saggio di GruNTELLA, Cfr. anche: l'Archivio personale di SERGIO PARO NETTO e il saggio di M. L. PARONETTO VALJER, Il Codice di Camaldolt tra storia e utopia, in « Studium», 1, 1978, pp. 3 sgg. Della stessa autrice si veda anche la comunicazione sul Codice al Convegno «Democrazia cristiana e Costituente», i cui atti sono stati, nel 1980, pubblicati dalle edizioni Cinque Lune, voi. I, pp. 239 sgg. Nello stesso volume si possono anche confrontare G. B. SCAGLIA, Il ruolo dell'Adone Cattoltca, pp. 139 sgg. e G. MAGGI, L'Icas dal 1943 al 1948. Ampi riferimenti al Codice sono anche. in R. MORO, I movimenti intellettualt cattolici, a sua volta in Cultura politica e partiti nel!' età della Costituente, Ed. Il Mulino, 1979, tomo I, pp. 159 sgg. Il testo del Codice è stato anche ristampato in «Appunti», 21, 1979, numero della rivista dedicato al sistema delle partecipazioni statali. «Civitas», come è noto, ha curato la ripubblicazione del Codice, insieme con quello di Malines, nel n. I. 1982.
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PREMESSA SUL FONDAMENTO SPIRITUALE DELLA VITA SOCIALE 1. La società e il destino dell'uomo. L'uomo è per sua natura un essere socievole: sussiste cioè fra gli uomini una naturale solidarietà, fratellanza e complementarietà per cui le esigenze delle singole personalità non possono essere pienamente soddisfatte che nella società. I fenomeni sociali non sono pertanto che attività umane. Per conoscerli e per trattarli è necessario conoscere la natura umana, l' origine, il valore, il destino dell'uomo, e i fattori di ordine fisico, psicologico, morale, sociale, che operano su di lui. Tutte le forme dell'attività umana, quella economica come quella scientifica, come tutte le altre, sono regolate da leggi proprie intrinseche a ciascuna: ma ognuna di esse è ordinata alla vita spirituale dell'uomo e al suo fine ultimo; perciò tutte rientrano nell'ordine morale e sono soggette alle sue leggi. E tutte debbono operare in modo da non porre ostacolo al compimento del destino soprannaturale dell'uomo e debbono quindi rispettare le esigenze della morale cristiana che a quel compito è ordinata. Perciò ogni ricerca e ogni soluzione dei problemi sociali ed economici deve ispirarsi, soprattutto per i cattolici, in primo luogo ai princìpi fondamentali della dottrina della Chiesa che è custode della verità e della carità e perenne assertrice nella storia della vocazione soprannaturale dell'uomo e della civiltà.
2. Dignità dell'uomo. L'uomo creatura intelligente e morale per propria duplice specifica prerogativa ha la capacità di dominare sè stesso e di avere per proprio fine il fine ultimo dell'universo: conoscere ed amare Dio e quindi conoscere ed amare la creazione di Dio e soprattutto gli altri esseri intelligenti e morali, compagni e fratelli nella stessa origine e nello stesso fine. In questa duplice prerogativa consiste la dignità dell'uomo. Solo nell'ordine della grazia e sul piano della redenzione questo fine è realizzato oltre la capacità della nostra natura, perché lo stesso Figlio di Dio, amando gli uomini, sino ad incarnarsi, ad assumere la forma di servo, a morire sulla Croce, ha fatto gli uomini partecipi del
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Per la comunità cristiana Suo sacrificio con la Chiesa e i sacramenti, ha dato la forza di imitarlo, di essere ognuno «alter Christus » e arrivare quindi per la Sua grazia a partecipare alla natura, santità e beatitudine di Dio e ad essere secondo la promessa divina e consortes naturae. 3. Fondamenti della coscienza individuale e sociale dell'uomo. Da questa intrinseca dignità e finalità dell'uomo si deducono alcune conseguenze che costituiscono i princìpi stessi della coscienza umana e cristiana della società: 1) che l'individuo umano in qtitlnto essenzialmente ordinato a Dio, ha un valore assoluto il quale è la radice e il fondamento di tutti i suoi doveri e diritti e della sua inalienabile libertà; 2) che è dovere fondamentale dell'individuo mantenere illesa in se stesso questa dignità, rispettarla e ricordarsi in ogni azione del suo valore, cioè del suo fine, cioè di Dio; 3) che origine e scopo della società è unicamente la conservazione, lo sviluppo e il perfezionamento dell'uomo e che pertanto fine di ogni sistema educativo e politico è di far conoscere praticamente all'individuo questa dignità e abituarlo a rispettarla in sè e negli altri e a farla rispettare; 4) che rispettare negli altri la eguale dignità dell'uomo significa obbedire alla parola dell'Apostolo «fiat aequalitas » (1), sentire che tutti gli altri uomini qualunque sia la loro condizione sono eguali, aventi la stessa natura, capaci delle stesse virtù, chiamati allo stesso destino, destinati alla stessa salvezza. Perciò l'unica superiorità che è tra gli uomini singoli è la superiorità nel bene e nella virtù, e le differenze nelle qualità personali di cultura, di condizioni sociali, di ricchezza e simili, non solo non alterano la fondamentale uguaglianza tra gli uomini, ma sono una ragione di maggior responsabilità verso gli altri e verso la società, essendo ogni superiorità in questo senso al servizio degli altri e quindi una vera e propria funzione di carattere sociale. 5) che perciò il «fiat aequalitas » dell'Apostolo non è qualcosa di negativo ma di essenzialmente positivo: significa amare gli altri in modo da fare ognuno di essi uguale a noi, cercando per quanto in noi di procurare agli altri gli aiuti perché le prove della vita possano essere da ognuno affrontate con proporzionalità di mezzi ed eguale possibilità di sviluppo; 6) che il fine di questa volontà piena e cordiale di aiuto fraterno è che l'altro possa realizzare nella sua pienezza la sua inalienabile libertà, cioè che l'altro sia messo in condizione di svolgere la sua natura e compiere con piena responsabilità il suo destino; 7) che tutto questo porta a un concetto preciso e chiaro della ( 1)
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II Cor. , VIII, 14.
Fondamento spirituale vita, che il nostro grande poeta cristiano moderno ha espresso così: «la vita non è destinata a essere un peso per molti e una festa per alcuni, ma per tutti un impiego del quale ognuno renderà conto» (2 ) . 4. Natura e fine della società. Tali princìpi ed il concetto della vita che ne discende si svolgono nel mondo della vita associata, il quale non è altro che questo incrociarsi dei destini degli individui, questa partecipazione e comunione di sforzi e di carità, questo reciproco amore. In questo senso attivo l'individuo deve dirsi essenzialmente socievole, cioè soggetto alla profonda legge etica «dilata cor tuum ». In questo senso la vita sociale, nella quale si accentra la carità verso il prossimo e verso Dio, fa parte necessaria ed integrale del destino naturale e soprannaturale dell'individuo. La società è l'insieme o complesso di tutte le libere iniziative degli uomini dirette a realizzare i loro interessi e fini umani e delle istituzioni ed opere a cui queste iniziative danno vita. Come tale la società è molteplicità di forme, di sfere, di esperienze e di fìni umani, e perciò è per sua intrinseca sostanza libertà. Perciò è verità fondamentale che tutta la vita della società è continuamente ed essenzialmente subordinata al supremo fìne e destino dell'individuo di cui essa non è in sostanza che la esplicazione, la graduale e ordinata realizzazione e il campo di prova. Come tale la società ha per legge intrinseca e per assoluta esigenza di mantenere illeso e salvaguardare in ogni momento e qualunque sia la combinazione dei suoi interessi l'individuo in questo suo valore supremo e nel suo destino infinito; in questo senso fine della convivenza sociale è la pace, «tranquilla convivenza nell'ordine» (3). La vita sociale è perciò sorretta dalla duplice legge della giustizia e della carità: della giustizia per la quale l'individuo è tenuto a riconoscere, garantire, promuovere il « suum » degli altri individui e dei gruppi e cioè la vita, la dignità, la libertà, la possibilità del compimento del proprio destino di ognuno: e della carità, per la quale l'individuo è tenuto ad amare Dio negli altri e gli altri in Dio e perciò a mettere in comune con gli altri che ne hanno bisogno tutti i beni, dal bene dell'intelligenza ai beni economici così come sono comuni i beni soprannaturali. Questa duplice legge è così necessaria nella vita sociale, che senza di essa la società stessa si dissolve nella terribile crisi della questiorie sociale, la quale è nata perché troppi uomini anche fra i cristiani hanno, malgrado i richiami della Chiesa e il grido e l'esempio dei Santi, dimenticato questi princìpi. In particolare la legge della giustizia e della carità deve ispirare la vita economica, cioè tutto quanto si riferisce alla destinazione e al(2) MANZONI, Promessi Sposi, cap. XXII. (3) S. ToMASO, Th' Il' n•e, Q. 21, 1.1.
s.
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Per la comunità cristiana l'uso dei beni materiali, che nella attuale fase della civiltà ha assunto una importanza essenziale per l'ordine sociale. Gli atti e i giudizi economici, in sè regolati dalle leggi proprie dell'ordine economico, sono atti e giudizi umani e come tali vanno anche essi ordinati al fìne spirituale dell'uomo. 5. Unità e fraternità delle genti. La vita sociale, nel senso qui precisato, esiste anche fra le varie genti e nazioni nelle quali la Provvidenza ha voluto che l'umanità si dividesse nella storia perché fossero esplicate in tutti i modi le immense capacità della natura umana. Tra queste genti, composte di individui, vale il principio fondamentale della unità di origine e di fìne di tutti gli uomini e la legge etica dell'uguaglianza e quindi della giustizia per cui ognuna deve essere rispettata nella sua individualità, cioè nella sua libertà, e della carità, pèr cui ognuna deve essere aiutata nella sua povertà e nelle sue deficienze dalle genti più ricche di cultura e di mezzi e quindi più obbligate e più responsabili verso le altre, la Storia e Dio. È esigenza fondamentale della civiltà che tale profonda comunità di origine e di fìni entri a far parte della coscienza etica degli Stati e domini la loro politica in modo che sia rigettata e considerata· come peccato contro l'umanità la pretesa della disuguaglianza e della superiorità naturali dell'una gente sulle altre e quindi l'ostinata e fatale tendenza a ridurre i rapporti tra le genti o gli Stati a rapporti di violenza e di frode. È esigenza e principio indeclinabile della civiltà che la coscienza della essenziale comunità e fraternità delle genti diventi sempre più chiara e imperativa, così che sia adombrata anche nel mondo della Storia quella «societas humani generis» che la Chiesa realizza sul piano soprannaturale dell'unum ovile e dell'unus pa,stor. 6. Ordine e autorità nella società. L'ordine della società è espresso, concretato, fatto valere dall'autorità, la quale è perciò parte necessaria della vita della società e come tale deriva dalla legge divina del1' ordine e della giustizia che regge il mondo della Storia. L'autorità è per conseguenza per la società e non la società per l'autorità; la sua essenza è di servire il bene degli individui e della società in conformità al divino precetto, fondamento di ogni politica veramente libera: «quicumque voluerit inter vos maior fieri sit vester minister, et qui voluerit inter vos primus esse, sit vester servus» (4 ) . 7. Vita cristiana e civiltà umana. I princìpi qui sopra esposti costituiscono le uniche e imprescindibili condizioni perché la coscienza pratica degli uomini mantenga la sua umanità, e il mondo della Storia parimenti si mantenga mondo umano cioè degno dell'uomo e non 4 ( )
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MATH. ,
xx, 26.
Fondamento spirituale
lotta selvaggia. Questi princìpi sono i «postulati della genuina umanità» : ed è proposizione centrale, che costituisce uno dei maggiori insegnamenti e una delle più alte aspirazioni del presente Pontificato, che «tra le leggi che regolano la vita del fedele cristiano e i postulati di una genuina umanità non c'è contrasto ma comunanza e mutuo appoggio» (5 ) il che è conforme alla ragione profonda delle cose perché «l'autore del Vangelo è l'autore dell'uomo». Ma se le leggi della vita cristiana e i postulati dell'umanità coincidono, solo la vita cristiana può dare all'uomo la forza, la spinta, lo slancio per sopportare i sacrifici che costa la vittoria su se stesso e quindi il realizzare quei postulati. Perciò dalla violazione di quelle leggi nascono come l'esperienza dimostra le peggiori catastrofi e la 'rovina della civiltà. (5)
Pro XII, Summi Pontificatus, Encicliche Sociali, Ed. Studium, Roma 1942, p. 489.
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I
LO STATO 8. Essenza dello stato. La società si compone di tante attività caratteristiche dell'uomo e della famiglia, che mettono capo a princìpi e interessi fondamentali, quali principalmente la religione, la morale, la scienza, la politica, il diritto, l'economia, l'arte, la tecnica, ecc. (1). Queste attività costituiscono delle forze e danno luogo a realtà di gruppi e di istituzioni sociali nei cui riguardi nasce il duplice problema: a) di assicurare le condizioni generali perché possano svolgersi in piena libertà e secondo le proprie leggi per la realizzazione dei propri fini umani e sociali; b) di creare tra di loro un'armonia. Per realizzare questi due scopi si dà vita ad un modo di organizzazione di tutte le forze sociali - individui, famiglie, gruppi ed istituzioni - che si chiama lo stato. Ad assicurare l'unità del complesso di iniziative e di istituzioni che compongono la società, è destinato l'ordinamento giuridico, che costituisce l'esplicazione e determinazione concreta delle esigenze della giustizia (2). 1 ( ) È significativo sottolineare la differenza di struttura espositiva e argomentativa che, sul tema dello Stato, è riscontrabile tra i Codici di Malines e di Camaldoli. Punto di partenza del primo testo è la tradizionale dottrina giuridica dei tre «elementi costitutivi dello Stato» (società, territorio, autorità), da cui scaturisce la giustificazione teorica dell'essenza e della funzione dell'autorità. Solo a questo punto interviene la considerazione della «libertà-attività dei governanti» e della dinamica della vita sociale, pur ricondotta nei limiti della «organizzazione cristiana delle classi ». Diversa è la struttura argomentativa che sottende il Codice di Camaldoli. In essa il punto di partenza della riflessione è la vita sociale nelle molteplici forme in cui si articola e si dispiega l'attività degli individui e dei gruppi. Lo Stato risulta allora come il «modo di organizzàzione » di questa stessa dinamica delle forze sociali. Emerge una visione « strumentalista » dello Stato, realtà, a un tempo, garante e promotrice del pluralismo e delle autonomie. Sulla differenza . di struttura fra i due testi svolge utili riflessioni C. VASALE in I cattolici e la laicità. Un contributo alla storia del movimento cattolico in Italia, Dehoniane, Napoli-Roma-Andria 19.80, pp. 135 sgg. (2) L'ordinamento giuridico non è primariamente finalizzato alla limitazione delle libertà ma alla promozione dell'unità della comunità politica secondo le esigenze della giustizia, e dunque a riconoscere, a tutelare, a regolare e ad accomunare le libere volontà. È rinvenibile in questo accenno ma, si potrebbe dire, in tutta l'orditura di qu esto capitolo sullo Stato, la presenza di Giuseppe Capograssi. Nell'op. àt. Vasale (p. 128 , n. 44 ) riporta il cesto di una lettera di Pasquale Saraceno ove questi afferma che «si devon o a lui [Capograssij i capi 1, 2 [ossi a il cap.
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Lo Stato Lo stato e l'ordinamento giuridico hanno appunto per fine di instaurare l'ordine nella molteplicità della società, vale a dire di mettere ciascuna iniziativa, istituzione, esperienza di vita associata al suo posto, ordinandole secondo il proprio valore rispetto al fine ultimo e organizzando fra di loro l'umana convivenza. 9. Fini dello stato. Deriva da quanto è esposto nell'articolo precedente che tutte le attività umane per lo sviluppo e l'armonizzazione delle quali si dà vita allo stato, sono indipendenti nella loro natura dallo stato stesso; questo le suppone, non le crea, e per conseguenza non può nemmeno ingerirsi in esse in modo da alterare le esigenze e .r le leggi fondamentali della loro natura (3 ). Deriva altresì che lo stato ha dei suoi fini specifici, che, qualunque siano gli altri fini che le circostanze storiche gli impongono di assumere, è tenuto a realizzare. E cioè esso deve: a) garantire i diritti di tutti gli individui e delle comunità e società che essi formano dirette a realizzare i loro interessi e fini umani, onde assicurare l'armonia e l'azione reciproca degli individui, delle famiglie e delle forze sociali; b) provvedere agli interessi che sono comuni a tutti, e che sol-
sullo Stato J e 7 », seppure nella forma di una trascrizione «in bella copia» - a opera di Vanoni e Saraceno stesso - di proposizioni formulate originariamente da Capograssi. Il fatto che nella nota sui promotori e collaboratori del codice contenuta nella presentazione del testo, il nome di Capograssi non appaia fra i redattori, ma soltanto tra i collaboratori e consulenti è motivato da Saraceno con l'insoddisfazione che Capograssi stesso - già originariamente non favorevole all'idea di un «distillato della sapienza cattolica italiana» - avrebbe provato di fronte alla redazione definitiva del Codice. Segnatamente l'insoddisfazione di Capograssi si rivolgeva ai ca· pitali sull'educazione e la famiglia (non - è interessante osservarlo - al capitolo sullo Stato). Fu l'intelligente mediazione di Sergio Paronetto, il quale introdusse opportune modifiche nei due capitoli in discussione, che riguadagnò il consenso di Capograssi, consenso che tuttavia non si estese fino ad accettare di figurare tra i redattori dell'opera. Cfr. anche il saggio di M. L. PARONEITO VALIER, Il codice di Camaldoli fra utopia e storia, in «Studium», I, 1978, pp. 61-90. L'idea dello Stato come forma dell'esperienza giuridica nella totalità dell'esperienza comune, come atto consapevole di unificazione delle volontà per la comune produzione di quelle condizioni e di quei beni che sono necessari a tutte le vite, è un aspetto peculiare e qualificante del pensiero etico-giuridico di Capograssi dal giovanile Saggio sullo Stato (1918), alle Riflessioni sull'autorità e la sua crisi (1921), a La nuova democrazia diretta (1922), ad Analisi dell'esperienza comune (1930), alle, pubblicate postume, Considerazioni sullo Stato (1958), per non citare che alcuni fra i testi più rilevanti. Si può dire che lattenzione a individuare i nessi e le implicanze fra dinamica dell'azione e istituirsi storico della realtà dello Stato rappresenta un interesse centrale di Capograssi, interesse da cui restano segnate anche queste pagine del Codice di Camaldoli. Sull'idea capograssiana di Stato si vedano F. TESSITORE, L'idea «umana» dello Stato nel primo Capograssi, in In., Dimensioni dello storicismo, Morano, Napoli 1971 , pp. 271 -3 10; C. VASALE, Società e Stato nel pensiero di Giuseppe Capograssi, Roma 1972; In., Stato e individuo in Giuseppe Capograssi, in «Civitas», IV-V, 1966, pp. 3-40. ( 3 ) Come è nella tradizione del pensiero politico di ispirazione cristiana viene respinta una concezione monistica dell'essenza dello Stato. Lo Stato non crea ma suppone la dinamica della vita sociale (ossia è il popolo il protagonista principale della vita del corpo politico). Lo Stato non istituisce ma riconosce e ottempera, nelle forme che gli sono proprie, mirando al bene comune, la legge morale (distinzione tra etica e politica e, insieme, evidenziazione del livello proprio dell'etica politica). Fra i pensatori cristiani del nostro secolo che con maggiore vigore hanno approfondito questo tema, occorre rammentare Luigi Sturzo e Jacques Maritain.
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Per la comunità cristiana tanto con la collaborazione di tutti possono essere soddisfatti, onde assicurare le condizioni fondamentali del libero sviluppo e della pienezza di vita degli individui, delle famiglie e delle forze sociali che da essi legittimamente nascono.
In quanto lo stato ha per sua funzione essenziale di tutelare i diritti degli individui, delle famiglie e delle forze sociali e di promuovere interessi comuni mediante l'impiego delle forze di tutti, lo stato ha per proprio connaturale fine il bene comune (4 ). Per realizzare questo fine lo stato deve riconoscere come legge ' indeclinabile di agri.i attività umana, e quindi anche della sua, la legge morale, e in particolare i princìpi fondamentali dell'ordine giuridico, cioè della giustizia . Per conseguenza esigenze fondamentali a cui l'attività dello stato deve congiuntamente corrispondere sono: 1) lasciare a tutte le forze e attività che compongono il mondo sociale la libertà nella loro vita, cioè la possibilità di svolgersi secondo le leggi della propria natura ; 2) mantenere, perché questa libertà possa esplicarsi, la più esatta eguaglianza degli individui, delle famiglie e dei gruppi dinanzi alla legge; e cioè impedire che si stabiliscano e si mantengano privilegi positivi o negativi a favore di alcuni e a danno degli altri per ragioni di razza, classe, opinioni politiche, condizioni economiche e sociali e simili. Sono contrari all'essenza stessa dell'uomo e al suo fine, alla legge morale e alla natura stessa dello stato tutti i tentativi diretti a dar vita a differenze di trattamento tra individuo ed individuo per le suddette ragioni e quindi a differenze di posizioni e di capacità giuridiche sia di fronte alle possibilità d'impiego, di lavoro e di professione, sia di fronte all'uso dei beni materiali, sia di fronte al diritto dell'unione matrimoniale e della famiglia, sia di fronte al diritto di cittadinanza e conseguente godimento dei diritti politici;
4 ( ) Il riconoscimento dell'autonomia e della libertà dei soggetti sociali non conduce gli estensori del Codice ad abbracciare un'idea di Stato come semplice cornice giuridica garante dell'estrinsecarsi dei soggetti al di fuori di ogni vincolo e di ogni orientazione comuni. Se per un verso è criticata una visione monistica dello Stato, viene per altro verso contestata una teoria atomistico-individualistica dello Stato stesso. La prospettiva del Codice è quella dello Stato come organismo promotore e strumento del bene comune, inteso quest'ultimo come «buona vita umana della moltitudine» (cfr. MARITAIN, I diritti dell'uomo e la legge naturale del 1942: «li bene comune della àvitas non è né la semplice collezione di beni privati, né il bene proprio di un tutto che (... ) frutti soltanto per sé e sacrifichi a sé le parti; è la buona vita umana della moltitudine, di una moltitudine di persone (... ), comune dunque al tutto e alle parti») . Non si vuole qui sostenere un influsso diretto di questa elaborazione maritainiana sul testo del Codice, ma sottolineare una comunanza di motivi e di interessi che connota significativi settori del pensiero politico di ispirazione cristiana a orientamento antifascista e democratico negli anni della seconda guerra mondiale. È forse possibile asserire che il Codice esprime un suggestivo punto di sintesi fra aspetti della riflessione politica di matrice tomista e aspetti della tradizione filosofica nazionale (Rosmini) nonché delle novecentesche filosofie dell' azione. La personalità filosofica di Capograssi, lettore acuto di Tommaso D 'Aquino e libero discepolo, per sua stessa affermazione, di Vico, Rosmini, Bionde!, ha senza dubbio ricoperto una funzione significativa nella realizzazione di questa sintesi.
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Lo Stato 3) fare che ogni altro fine concreto che lo Stato si proponga sia subordinato e ordinato al bene comune; e specialmente che sia subordinato e ordinato al bene comune così inteso, l'interesse del corpo sociale preso nel suo tutto: infatti ogni tentativo di tirannia (la quale non è altro che la politica che sopraffà il diritto) si riduce facilmente al concetto di corpo sociale come totalità avente sovranità assoluta su tutti gli altri fini dell'uomo, il che è il massimo ostacolo per gli individui «nel tendere all'acquisto dei supremi e immutabili beni a cui tendono per natura » (5 ) . Questa indeclinabile esigenza e legge del bene comune che presiede a tutta la vita dello stato pone necessariamen te una gerarchia e un ordine intrinseco nelle attività che lo stato deve svolgere per raggiungere i suoi fini. Non può quindi ammettersi che talune attività dello stato tendenti a particolari obiettivi, come quello della potenza nazionale o della attuazione di particolari forme di organizzazione produttiva - obbiettivi contingenti, condizionati a determinate situazioni storiche e pertanto soggetti ad evoluzione e modificazione - improntino di sè l'azione dello stato in modo da andare a detrimento e sovrapporsi ai veri fini dello stato e quindi d eterminare una invasione o restrizione o peggio soppressione delle sfere di libertà proprie alle forze sociali. 10. Stato e diritto. La ragione di essere dello stato e la condizione fondamentale della sua legittimità è il riconoscimento, il rispetto e la garanzia del diritto della persona umana di conseguire liberamente la sua perfezione fisica, intellettuale e morale (6 ) cioè della libertà individuale intesa sia come diritto dell'individuo di essere salvaguardato dalle arbitrarie limitazioni nelle proprie facoltà moralmente lecite di muoversi, di agire, di pensare, di vivere e quindi da arbitrari arresti o molestie o offese, sia come diritto di adempiere a tutte le lecite esigenze e tendenze delle attività umane e a tutte le obbligazioni della propria coscienza morale e religiosa. Il diritto consiste nella piena esistenza ed affermazione di questa fond amentale libertà per tutti gli uomini e quindi per le forze sociali; funzione essenziale dello stato è proteggere e tutelare il diritto così inteso. ( 5 ) L E O NE
XIII, Immortale Dei, E ncicliche Sociali, Ed. Siudium, Roma 1942, p . 87. Il primato della persona umana nell'ordine sociale e politico è principio costitutivo di una riflessione sulle realtà terrene e sulla città temporale condotta secondo intelligenza e illuminata dalla fede cristiana. Basti, a questo proposito, il riferimento al Concilio ecumenico Vaticano Il: « L'ordine sociale e il suo progresso debbono sempre lasciare prevalere il bene delle persone, giacch é nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all 'ordine delle persone e non il contrario » (Ga udium et spes, n. 26). Nell 'evidenziare la centralità del « diritto della persona umana», il Codice riprende, molto probabilmente attraverso la mediazione di Capograssi, un tema cruciale e caratteristico della filosofi a del diritto di Rosmini, il tema della persona come « diritto sussistente». (6)
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Per la comunità cristiana 11. La giustzzza sociale compito e fin e dello stato. Poiché la vera ricchezza e la sola forza della società è nelle energie degli individui, l'interesse massimo della società è di fare che tutte queste energie siano portate al massimo sviluppo di cui sono capaci ed impedire che rimangano non svolte e puramente potenziali, per modo che ciascuno eserciti le sue facoltà individuali e sociali ora dando e ora ricevendo per il bene suo e quello degli altri. A questo fine deve cooperare tutta la vita sociale e quindi anche lo stato che ne fa parte. Lo stato vi tende con l'attività con cui mira a realizzare la giustizia sociale, la quale può dirsi compito e fine dello stato, che vi provvede: 1) con la sua funzione di tutela dei diritti degli individui, dei gruppi e delle società; 2) con la cura esatta e la esatta gestione di tutti gli interessi comuni a cui è sua funzione provvedere; 3) con la creazione di condizioni generali di aiuto e di sostegno di tutti gli sforzi particolari degli individui, delle famiglie, dei gruppi e delle società, in modo che siano eliminate le situazioni di privilegio derivanti da differenze di classe, di ricchezza, di educazione e simili. Tutto ciò deve essere diretto a rendere individui, famiglie e gruppi capaci di risolvere per proprio conto e con le proprie forze e nella propria autonomia i propri problemi, evitando che le organizzazioni che all'uopo sono create siano volte a trattare e a mahtenere gli individui come incapaci di vivere con la propria volontà e sotto la propria responsabilità la propria vita. Deve altresì essere volto a procurare che le naturali diseguaglianze - di attitudini, di capacità, di volontà - fra gli uomini si riflettano quanto più possibile in una organica varietà di funzioni delle persone e delle categorie sociali, evitando che lo sviluppo delle possibilità individuali e l'attribuzione delle funzioni sociali sia ostacolato dalla esistenza di privilegi di classe (7). 12 . Il dovere di obbedienza. Poiché ogni autorità viene da Dio, verso la legge giusta si ha non solo il dovere di obbedienza passiva, ma l'obbligo di favorirne l'attuazione con una adesione di coscienza,
(7) È interessante osservare come il Codice non enuclei la sua prospettiva politico-sociale muovendo da una concezione di separazione fra società civile e Stato, fra sistema di produzione e riproduzione della vita e istituzioni. Punto di partenza delle riflessioni del Codice è la vita del corpo politico, nella variegata molteplicità dei suoi rapporti e delle sue attività. È questo corpo politico - che Aristotele definiva comunità politica (koinonia politichè ) - che esprime dal suo interno lo Stato, organizzazione centrale del potere, della tutela dei diritti , della promozione del bene comune. Lo Stato è allora la stessa comunità politica « che autorevolmente si autoamministra » (come ad esempio ha affermato - a conferma indiretta nei nostri giorni dell'attualità della prospettiva del Codice - FRANCO CASAVOLA nella relazione Novità e mutamenti della società italiana, tenuta al Convegno ecclesiale « D alla Rerum novarum a oggi », ottobre 198 1, pubblicata in «Coscienza », XI, 1981, supplemento) .
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Lo Stato che è il primo dovere del cittadino e l'aspetto interiore della sua sociale moralità. L'obbedienza alle leggi non è cieca, ma ragionevole e consapevole. Perciò è diritto e spesso obbligo di coscienza non obbedire e resistere alla legge positiva ingiusta. La legge positiva è ingiusta quando è in contrasto con la legge divina e con la legge morale, quando si trova in opposizione al bene comune e quando emana da persone e gruppi che non sono depositari dell'autorità legittima. Resta salvo il diritto insopprimibile di difesa quando l'autorità intende attuare la legge ingiusta e viola i diritti e i princìpi della verità, della moralità, della giustizia che fanno umano il mondo dell' esperienza. Tale diritto deve esercitarsi, riuscito vano ogni altro mezzo nelle condizioni e con le cautele insegnate dal pensiero cristiano, e costituisce un dovere di. responsabilità per la partecipazione alla vita sociale (8 ).
13. Principi dell'organizzazione statale. Nessuna fortna concreta di organizzazione statale può essere condannata a priori, perché il modo di organizzarsi a stato dipende dalle concrete condizioni di un dato momento storico. Deve tuttavia essere sempre fatta salva la legittimità delle singole forme, fondata sul rispetto delle esigenze prime dello stato, sopra definite. Nella nostra epoca storica e nelle condizioni di civiltà dei Paesi più progrediti è richiesto un ordinamento il quale sia fondato: a) sopra il diritto di tutti indistintamente i cittadini e delle forze sociali a partecipare in forme giuridiche all'attività legislativa, amministrativa e giudiziaria dello stato;
( 8 ) L'autorità ha origine in Dio creatore dell'essere e del suo ordine, che ha posto il fondamento di essa nella natura umana; insieme e inscindibilmente - come risulta evidente anche dal successivo art. 13 - l'autorità risiede nel popolo, il quale riceve da Dio il diritto di gover· narsi a titolo di agente principale e non strumentale e transitorio e che decide via via le forme storiche dell'esercizio dell'autorità e designa i suoi rappresentanti, conservando insieme e in modo permanente il diritto di autogovernarsi. La Gaudium et spes al n. 74 fornisce una esplicazione di questo passo del Codice, propositore di una filosofia dell'autorità che individua una soluzione alternativa e superiore sia al totalitarismo che all'anarchismo: « È dunque evidente che la comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all'ordine prestabilito da Dio, anche se la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini». Esiste allora un criterio razionale per valutare sia dell 'esercizio dell 'autorità che della legge positiva: esso è offerto dalla legge morale, ossia da quel dover essere che deriva dalla struttura ontologica stessa della persona umana e che, a sua volta, è partecipazione alla legge e alla sapienza di Dio. Risiede qui il fondamento ontologico-etico dei diritti umani. La legge morale non viene presentata dal Codice come una tavola statica e astratta di valori ma - e qui è fortemente avvertibile la presenza di Capograssi - come insieme di princìpi di verità, moralità , giustizia, che, scaturendo incondizionatamente dall'umanità dell'uomo, ne permeano l'azione e si concretano nel «fare umano il mondo del!' esperienza».
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Per la comunità cristiana b) sopra il diritto dei cittadini di scegliere e designare gli investiti della pubblica autorità; c) sopra la responsabilità anche giuridica degli esercenti la pubblica autorità verso gli altri cittadini, a prescindere dalle responsabilità morali e storiche che sono connesse coll'esercizio della sovranità, qualunque sia la forma di stato (9 ). 14. Le libertà politiche. Come condizione imprescindibile di questo diritto di partecipazione dei cittadini alla formazione e all' esercizio delle funzioni dello stato e di quest'obbligo di responsabilità, nasce l'esigenza delle indispensabili libertà politiche del cittadino e delle forze sociali, da esercitarsi in armonia con la legge morale: il diritto di non vedersi imposte opinioni politiche e di essere protetto da violenze ed arbitri, a causa delle medesime; il diritto di essere protetto e, se necessario, assistito, nell'esercizio effettivo della libertà di stampa, di riunione e di associazione; il diritto di discutere e deliberare in seno e per mezzo delle rappresentanze politiche sull'indirizzo generale della politica dello stato e sugli atti del governo. 15. La libertà delle coscienze. Essendo l'uomo il fine della società, ed essendo primari per l'uomo i beni di natura spirituale, condizione fondamentale per il perfezionamento intellettuale e morale, e quindi per il bene comune, è la possibilità di aderire spontaneamente alla verità, in quanto merito morale vi è solo per l'azione coerente con le verità personalmente raggiunte. La libertà delle coscienze è quindi una esigenza da tutelare fino all'estremo limite delle compatibilità col bene comune, in quanto dal dovere di ogni uomo di comportarsi secondo la sua personale coscienza, anche se errante in buona fede, consegue il diritto di non esserne impedito, nei limiti compatibili con le necessità della convivenza sociale. Così dal diritto di ogni uomo a non essere «spinto suo malgrado ad abbracciare la fede cattoli( 9 ) L'art. 13 e i successivi artt. 14-18 delineano i concetti centrali di una carta democratica di organizzazione del corpo politico e dello Stato. Non può infatti sfuggire come le caratteristiche essenziali del!' ordinamento prospettato dal Codice (i cittadini come soggetto del!' attività politica, legislativa, amministrativa, giudiziaria, il regime rappresentativo, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri, le libertà politiche e sociali, la libertà di coscienza, la partecipazione, la lotta attraverso mezzi giuridici contro la violenza e larbitrio ) rappresentino la sostanza di un assetto e di un governo democratici della comunità politica. Si tratta di princìpi e di criteri etico-giuridico-politici che opereranno fecondamente nella costruzione della nuova Italia e nella Costituz10ne. Alcuni documenti clandestini della Democrazia cristiana nel periodo della Resistenza sono in questo senso assai significativi. Si veda, a riguardo, il numero monografico di « Civitas », n. 2, 1984 Idee e programmi della Dc nella Resistenza, con introduzione e note di G. B. Varnier e testi di De Gasperi, Malvestiti, Olivelli, Taviani, Rumor, Sabadin, Gui, Dossetti. Dell'ampia letteratura storiografica e teoretica sul tema dr., ira i testi recenti, il quadro anche b1bliograficamente dotato che fornisce G. CAMPANINI, Cristùmesimo e democrazia. Studi sul pensiero politico cattolico del '900, Morcelliana, Brescia 1980. Si veda anche AA. Vv., Cristianesimo e democrazia, Ed. Civitas, Roma 1965.
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Lo Stato ca» (10 ), ma di pervenirvi di libera e spontanea volontà consegue il principio di una schietta tolleranza in argomento di religione. 16. Dovere fondamentale di partecipazione alla vita dello stato. Poiché lo stato è il modo con il quale gli individui e le forze sociali organizzano la loro vita ai fini di una convivenza tale da aiutare e potenziare la loro libera attività, è fondamenta le il dovere degli individui, gruppi e forze sociali di essere parte attiva nella vita dello stato e considerare questa vita come un interesse concreto ed immediato tra i più importanti. L'esercizio di questo dovere costituisce un punto essenziale della vita etica dell'individ uo ed uno dei più vivi obblighi di coscienza, avendo l'esperienza dimostrato che dall'indirizzo politico impresso allo stato dipende la salvaguardia dei beni più preziosi della umanità e della civiltà. Disertare da questo obbligo morale è per ogni individuo una vera colpa morale. È verità eterna, del resto controllata dall'esperienza per le catastrofi che nascono dalla sua violazione, che sia questo dovere del cittadino sia il correlativo dovere di coloro che esercitano l'attività pubblica, debbono essere adempiuti sotto il continuo, costante, pieno rispetto dei princìpi morali. Tali princìpi trovano la loro più alta espressione nel Decalogo e nella legge evangelica. Rientra a far parte del dovere dei governanti il perentorio obbligo che loro incombe di essere consapevoli in tutta la loro attività politica e specialmente nelle relazioni con gli altri stati, che anche dalle loro decisioni dipende la sorte dello stato e quindi di tutto il popolo e della società a loro affidata, il destino storico ed anche la reputazione morale della nazione e conseguente mente e congiuntam ente la sorte e la vita dell'umanità di un dato momento storico. 17. Limiti dei sacrifici per lo stato. Individui, famiglie, gruppi e forze sociali devono partecipare anche col proprio sacrificio alla vita dello stato. Tali sacrifici sono di carattere patrimonial e e personale: essi devono essere esattamente , determinata mente e preventivam ente stabiliti nei loro limiti dalle leggi discusse ed approvate dalle rappresentanze politiche. I sacrifici di carattere patrimonial e devono essere commisurat i alla capacità delle forze economiche nazionali ed alla effettiva e sperimentata utilità dell'azione pubblica, il tutto secondo le esigenze ed i princìpi della giustizia distributiva. I sacrifici personali richiesti ai cittadini sono dominati nei loro limiti dagli stessi princìpi e possono arrivare fino a quello della vita nel caso di una guerra giusta deliberata in forme giuste e dalle rappresentanze competenti. ( 10 )
Pio XI, Non abbiamo biso11.no, in «Civiltà Cattolica», 1937 , II, 308.
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Per la comunità cristiana 18. L'attività dello stato come lotta contro la violenza e l'arbitrio. Dai princìpi enunciati consegue il criterio, principio fondamentale e' riassuntivo, che tutta l'organizzazione della vita politica deve essere ordinata al fìne di eliminare la violenza e l'arbitrio nei rapporti politici e sociali. Sotto questo riguardo è esigenza fondamentale di una costituzione - che intende preservare in modo effettivo e garantito la libertà come principio della vita politica - organizzare gli istituti e mezzi giuridici perché sia impedita una instaurazione di violenza e di arbitrio che prenda forme legali ad opera sia di minoranze armate sia e soprattutto della stessa maggioranza (11 ) .
19. Chiesa e stato. Poiché la Chiesa rigenera gli uomini alla vita della Grazia nel tempo e li guid~ al pieno possesso di Dio nell'eternità, mentre lo stato mira a garantire agli uomini la tutela e lo sviluppo della loro terrena personalità, frequenti e necessarie relazioni si hanno fra la Chiesa e lo stato, perché in un medesimo territorio le due società reggono gli stessi soggetti e l'attività dei due poteri si estende su certi oggetti comuni. Lo stato pur esercitando la sua piena autorità nelle cose meramente temporali deve riconoscere la missione divina della Chiesa, consentirle piena libertà nel suo · campo e regolare di comune accordo e lealmente le materie miste (quelle in cui gli interessi e i fìni delle due società, Chiesa e stato, sono impegnati e lo spirituale e il temporale sono indivisibilmente commisti, come per esempio la materia del matrimonio e della proprietà ecclesiastica). 20. Esigenza generale di giustizia e di carità. È verità assoluta, alla quale debbono essere riportati tutti i punti finora enunciati, che qu alunque organizzazione di vita politica, qualunque escogitazione di forme di stato e qualunque partecipazione di cittadini alla vita dello stato, non vale a salvare l'umanità della vita sociale, se gli individui non sentono quelle esigenze di giustizia e di carità, le quali mentre attingono le più alte vette dello spirito umano, costituiscono la vita delle anime che credono in Cristo. (1 1) Situando il criterio «fondamentale e riass untivo» dell'organizzazione della vita politica nel dovere - suggellato da una costituzione - di eliminare la violenza e l'arbitrio dai rapporti sociali, il Codice di Camaldoli riassume ed esprime un'esigenza fondamentale del pensiero politico europeo moderno nel suo filone più autenticamente umanistico. Che una Ver/assung sia proiezione politico-giuridica del dovere degli esseri razionàli finiti di istituire i loro rapporti socia li come relazioni di esseri liberi che reciprocamente si riconoscono come persone, che tale costituzione sia insieme garanzia e strumento di pace, è persuasione radicata e tema centrale della riflessione moderna sul politico di matrice etico-umanistica da Kant a Humboldt. Nel!' affermazione del principio di libertà e delle sue implicazioni intersoggettive, l'anima moderna accoglie ed esprime l'imp ulso di quelle energie evangeliche all'opera nella storia terrena che sospingono la coscienza razionale a scoprire e a vedere essenziali verità sull'uomo. Il Codice di Camaldoli, capograssianamente, è anche il risultato di questo punto di incontro, non compromissorio ma radicato nei «semi di verità » presenti nella storia e nelle culture umane, fra fermento evangelico e coscienza moderna.
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II LA FAMIGLIA 21. Natura e fine della società familiare. La famiglia, sorgente di vita, cellula della struttura sociale, prima scuola e primo tempio, è una istituzione naturale, di origine divina, ordinata alla procreazion e e alla educazione della prole e costituisce il primo sussidio dato agli uomini per il perfezionam ento della propria personalità. Pertanto la famiglia è necessaria per il raggiungime nto dei fini naturali, individuali e sociali, degli uomini e costituisce la base di ogni sano ordinament o sociale (1). 22. La famiglia e le altre società (2). La famiglia è una istituzione naturale anteriore ad ogni altra, ma non è estranea alla società: il suo fine non può dunque essere subordinato quale mezzo ai fini di altre società, ma esso deve armonizzare con i fini delle due società perfette
( 1 ) Nella Pacem in terris ( 1963 ) di Giovanni XXIII si ribadisce il «diritto a creare una famiglia, in parità di diritti e doveri tra uomo e donna»; «la famiglia, fondata sul matrimonio, contratto liberamente, unitario e indissolubile è e deve essere considerata il nucleo naturale ed essenziale della società». Il Concilio Vaticano II sottolinea (Apostoltcam actuositatem, n. 11, Gaudium et Spes, nn. 47-52) la particolare importan za e la missione del matrimonio e della famiglia sia per il singolo, sia per la società che per la Chiesa e si definisce la famiglia cristiana «Chiesa domestica» (Lumen gentium, n. 11 ) e «tirocinio di apostolato» (Apostolicam actuositatem, n. 30). La Gaudium et Spes ha tutto un capitolo (il primo della II parte) dal titolo: «Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione». Per quanto riguarda Paolo VI si vedano, in particolare l'enciclica Humanae vitae (1969) e la Famiglia comunità educ~nte (1972). La Conferenza episcopale italiana ha pubblicato i seguenti documenti: Matrimonio e /amzglza in Italia (3 settembre 1969); Evangelizzazione e sacramento del matrimonio (20 giugno 1975). Si vedano inoltre gli atti dell 'Incontro ecumenico patrocinato dal Consiglio mondiale delle chiese (Milano, novembre 1979) e dal Sinodo dei Vescovi 1980, Il compito della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. Nel magistero di Giovanni Paolo II ritorna frequentemente il tema della «famiglia al centro del bene comune della società » (3 gennaio 1979) il cui «ruolo è nella società e nella Chiesa» (1 aprile 1979), «punto di riferi: mento per la promozione integrale dell'uomo» (5 maggio 1981 ) «sede della giustizia e dell'amore (5 giugno 1979) (Insegnamento di Giovanni Paolo II, Roma 1979). Il 22 novembre 1981 è, infine, la data di stesura dell'ultimo fondamentale documento dell'attuale Pontefice, l'esortazione Familiaris consortio in cui la Chiesa è «al servizio della famiglia». L 'esortazione è presentata come la proposta culturale del Vangelo sul matrimonio e la famiglia e dedica ampio spazio alla pastorale per la famiglia pur inserendosi nel «pluralismo di ini ziative». (2) Cfr. in Malines gli artt. 11 , 16 e 17.
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Per la comunità cristiana alle quali per titoli diversi appartengono pure tutti gli uomini: la Chiesa e lo stato. Il migliore ordinamento sociale deriverà pertanto dalla collaborazione fra Chiesa e stato nei riguardi della famiglia. La Chiesa ha il diritto e il dovere di sviluppare nella famiglia cristiana la vita soprannaturale secondo i precetti di Gesù e con i mezzi dettati dal suo Magistero santificandola con la grazia sacramentale: l'opera della Chiesa per la formazione e lo sviluppo della famiglia cristiana rappresenta una collaborazione che deve ritenersi utilissima alla società stessa. Lo stato deve riconoscere la famiglia come è stata costituita da Dio; proteggerla contro tutti i suoi nemici, rimovendo dall'ambiente pubblico ogni elemento di perversione e creando una atmosfera morale sana e conveniente; aiutarla al compimento della sua missione; spingerla all'adempimento dei suoi doveri e in caso di necessità supplire alle sue deficienze e completare la sua opera nell'ordine civico (3 ). 23 . Il matrimonio (4 ). La famiglia ha come base e sorgente il matrimonio nel senso di unione giuridica e spirituale di persona a persona: unione una ed indissolubile, avente come fini oggettivi in primo luogo la procreazione e l'educazione della prole, e subordinatamente il mutuo aiuto ed il rimedio alla concupiscenza (5 ). Quindi: a) nell'unione matrimoniale si raggiunge la complementarità fisiologica, psicologica e spirituale dei due sessi, secondo la legge morale e razionale che presiede ai loro rapporti (6 ) . Secondo questa
(3) Cfr. nella Costituzione della Repubblica Italiana il titolo II, parte I, art. 29 (c. 1): « La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fo ndata sul matrimonio». Nonché l'art. 30 (c. 2) «Nei casi di incapacità dei genitori la legge prowede a che siano assolti i loro compiti». Cfr. inoltre i lavori del!' Assemblea Costituente: discussione generale dal 15 al 23 aprile 1947 . Tra i punti maggiormente discussi: la definizione della famiglia «società naturale» - opportunità o meno di sancire nella Costituzione la indissolubilità del matrimonio ordinamento familiare - tutela ai figli nati fuori del matrimonio. ( 4 ) Cfr. Malines, artt. 11, 13, 14, 18 e 19. ( 5 ) Sulla essenza e la gerarchia dei fini del matrimonio in diritto canonico e la soluzione offerta nella Gaudium et Spes tra la dottrina tradizionale e le idee dei «novatores»: « L'amore conduce gli sposi al libero dono di sé ... abbraccia il bene di tutta la persona ... è espresso con gli atti del matrimonio» (49); «il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e educazione della prole ... l'amore coniugale è assunto nell'amore divino» (48). Cfr. il I volume degli Annali di dottrina e giurisprudenza canonica. L'amore coniugale, Roma 1971. G1qv. PAOLO II, Familiaris Consortio cit.: «Compito fondamentale della famiglia è il servizio alla vita» (29-35 ). ( 6 ) Pio XII, pur confermando l' indicazione contenuta nella Casti Connubii di Pio XI , le ha dato un senso nuovo, affermando che latto coniugale deve esprimere la sua virtù procreatrice, espressiva di «paternità responsabile». Allocuzioni di Pzo X II (Aas 37, 1945, 284-295; 44, 1952, 779-789) . Il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 50) non ha indicato la sola norma del dovere morale, ma ha espresso una indicazione spirituale e una dimensione personale-comunitaria. Cfr.
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La famiglia legge soltanto nel matrim onio c'è il diritto ali' esercizio della facoltà generativa e alla procreazione (7); b) il vincolo indissolubile nasce solo da un volontario consenso dei contraenti che trova i' suoi limiti e i modi della sua espressione tanto nel diritto naturale che in ogni diritto positivo legittimamente definito (8 ) : né l'individuo con la sua volontà, né la legge positiva . possono modificare la natura della istituzione dando vita ad una unione diversa per il suo contenu to o per le sue proprie tà essenziali da quella da Dio stabilita (9 ) ; e) il divorzio, come scioglimento del matrim onio per umana volontà od autorità è inammissibile in qualsiasi ordinam ento giuridico come contrar io alla legge naturale e divina e ai fini stessi del matrim onio (10 ); d ) fra matrim onio, procrea zione ed educazi one esiste un nesso naturale costituito da Dio, che impone ai coniugi la missione, la responsabilità e quindi il diritto inalienabile e inviolabile ali' educazione della prole. Dato il carattere di sacrame nto del matrim onio fra cnstlani esso è soggetto ali' esclusivo regime della Chiesa salva la compet enza dello stato per gli effetti merame nte civili di esso (11 ). 24. L'amore nella f amiglia (12 ) . Poiché la famiglia è naturalm ente ordinat a non al bene particolare dell'individuo, ma · a quello dei coniugi, e della prole nonché al bene comune della società, essa non
TULLIO G OFFI, La enciclica 'Casti Connubii' di Pio X I cinquant'anni dopo, in « La famiglia», n. 8 1, 1980. Sui temi della corporeità dell'amore e della sessualità vedi WoYTYLA K. , Amore e responsabilità , Torino 1969, e l'insegnam ento di G IOVANNI P AOLO II, Catechesi del mercoledi su Genesi; matrimonio e famiglia, G enesi cap . 1-3, 1980; e soprattutto Familiaris Consortio , cit. 1-2. (7) « Matrimon io luogo ' unico ' della donazione »: G wv . PAOLO II, Familiaris Consortio, cit. , 11. (8) Uno dei capitoli più important i dei testi Conciliari sul matrimoni o e la fa miglia (Gaudium et Spes, n. 48) richiama il principio del consenso personale irrevocabi le come base del p atto coniugale, sugellato in piena libertà e in p iena coscienza. (9) L'art. 29 (c. 2) della Costituzio ne della Repubblica Italiana, così recita: « Il matrimonio è ordinato sulla uguaglianz a morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia della unità familiare» . D i particolare rilevanza il d ibattito parlament are e il testo della «Riforma del diritto di fa miglia» (legge n. 151 del 19 maggio 1975). (1° ) Con l'opposizio ne dei parlament ari della Democrazia cristiana, il divorzio è stato introdotto in Italia con la legge 1 dicembre 1970, n. 898 « Disciplina dei casi di sciogliemento del matrimonio ». La legge fu sottop osta a referendu m popolare in data 13- 14 maggio 1974 con questo risultato: sì all'abrogazione 13. 157.558; no all'abrogaz ione 19.138.300 . La legge , pertanto, risultò confermata. ( 11 ) Nella legge 898 la dizione usata è «scioglime nto o cessazione degli effetti civili del· matrimonio» . 12 ( ) Cfr. Malines, arte. 12 e 19.
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Per la comunità cristiana può rettamente fondarsi sulla associazione di due egoismi, cospiranti a ricercare il proprio tornaconto, ma si fonda sull'amore (13 ). L'amore coniugale, che comporta il generoso e definitivo coraggio della rinunzia alla indipendenza personale e la reciproca fede nella mutua donazione (14 ) corporale e spirituale, e che trova il suo completamento e il suo perfezionamento nella dedizione dei genitori verso i figli , e il suo naturale prolungamento nella riconoscente affezione dei figli verso i genitori (15 ), costituisce il migliore e più efficace avviamento per la vittoria contro ogni egoismo individuale, di gruppo, di nazione o di razza (16 ) e per l'educazione al senso sociale della fraternità e della solidarietà fra gli uomini, primo elemento della carità civile, insostituibile fondamento del consorzio umano. La famiglia cristiana, fecondata e vivificata dalla grazia, liberata da ogni egoismo, elevata sul piano dei valori spirituali, costituisce nella sua rinnovata vitalità, accessibile a tutti i battezzati, il più valido presidio della personalità individuale -- dei genitori e dei figli -- e la via più naturale ed efficace per il necessario profondo rinnovamento delle coscienze e del costume morale, e quindi per la conquista della pace fra i popoli. 25. Deviazioni della famiglia (17 ). La negazione o la dimenticanza dei principi fondamentali sopra enunciati hanno portato necessariamente all'attuale grave decadimento della famiglia, nella cui degene( 13 ) Cfr. l'art. 144 Codice civile (modificato dalla legge 151 del 1975) che recita: «i coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle della famiglia stessa». 14 ( ) Cfr. ]. MARITAIN, Matrimonio e f elicità, in Riflessioni sull'America, Brescia 1970, pp. 108-112, e Amore e amicizia, Brescia 1964. Cfr. anche il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, n. 40): «l'amore coniugale abbraccia il bene di tutta la persona». PAOLO VI nella Humanae vitae definisce l'amore coniugale come «amore pienamente umano .. sensibile e spirituale ... atto della volontà libera ... amore totale ... fedele ed esclusivo». ]EAN GuITTON nel Saggio sull'amore umano, Brescia 1954, e sull'Osservatore Romano del 17 novembre 1968, commentando la H umana e vitae, esamina il rapporto tra donazione degli sposi e fecondità. Sulla problematica del rapporto tra amore coniugale e procreazione vedi le opere di HERBERT, Doms vom Sinn und Zweck der Ehe, Breslau 1935, fino alla più recente: Bisexualidad y matrimonio, in Mysterium salutis, voi. II, tomo II, Madrid 1969. GIOVANNI PAOLO II, nell'omelia del 31 dicembre 1978, ha ripreso il tema dell'amore coniugale e della vita, valori fonda mentali della famiglia; vedi anche parte 2' e 3' della Familiarzs consortio, cit.: «senza l'amore la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone». 15 ( ) Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 30 (c. 1): «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire, educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio». Nonché l'art. 31 (c. 2): la Repubblica «protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». E inoltre il Codice civile, art. 147 (modificato dalla citata legge 151 ): «Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». E ancora l'art. 315 del Codice civile «il figlio deve rispettare i genitòri e deve contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con
essa». ( 16 ) È evidente la condanna alle leggi razziali emanate dal fascismo a tutela della «razza ariana» comprendenti il divieto di matrimonio con gli ebrei : «Provvedimenti per la difesa della razza italiana (Rd 17 novembre 1938, n. 1728 , convertito in legge 5 gennaio 1939, n. 274). ( 17 ) Cfr. Malines, artt. 16 e 18.
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La famiglia raz10ne è la pnma ongme della diffusa corruzione e dell'abbassamento del costume morale privato e pubblico. Indipenden temente da tale degenerazio ne che riflette la violazione delle leggi divine e naturali in ordine all'istituto familiare, altre pericolose e gravi deviazioni dello spirito familiare possono verificarsi, e di fatto si verificano nella attuale compagine familiare, quando l'egoismo, il desiderio di privilegio, la eccessiva preoccupaz ione del benessere fisico, la sopravvalutazione della sicurezza economica, il timore delle responsabilità, trovino rifugio e pretesto in una falsa concezione della famiglia. Viene così sconvolto il retto criterio delle virtù familiari della prudenza, della previdenza, della giustizia, dello stesso amore coniugale e filiale e si manifesta un malinteso ed esclusivistico senso di tutela dei diritti della famiglia e della posizione economica e sociale dei suoi membri. In senso stretto la famiglia è formata dai genitori e dai figli fino a che questi, raggiunta la pienezza del loro sviluppo fisico e spirituale, siano in grado di formarsi a loro volta una nuova famiglia e abbiano assolto pienamente ogni debito di amore filiale; ogni ulteriore ampliamento della struttura e della coscienza familiare non è, rispetto alla natura né essenziale, né necess;:irio, ma è il portato della vita storica della famiglia in un determinato ambiente sociale. Fondare su tale ampliament o la difesa e l'apologia della famiglia (18 ) può essere fonte di deviazioni e degenerazio ni dello spirito familiare in contrasto col bene comune e dannose alla necessaria autonomia, libertà e responsabilità individuali ed alla formazione di uomini moralmente e socialmente preparati. 26. Diritto alla famiglia e prescrizioni eugenetiche . Il diritto naturale di ciascun uomo fisicamente e psichicamen te idoneo a formarsi una famiglia atta a conseguire i suoi altissimi fini individuali e sociali deve essere rispettato e tutelato in una società bene ordinata (19 ), con la eliminazione degli ostacoli di natura legale, sociale ed economica alla formazione di nuove famiglie , Qualsiasi norma di diritto positivo che impedisca il matrimonio
(1s1 Si risente in questi termini il dissenso dalla «politica demografica» del fascismo che si fondava sul «culto della razza» e sul « numero come potenza». (19) Il Sinodo dei Vescovi del 1980 (Proposizione 42 ) nel messaggio indirizzato alle famiglie cristiane «auspica la redazione di una Carta dei diritti della famiglia che stabilisca e renda sicuri in tutto il mondo i suoi diritti fondamentali». L'auspicio è che la Santa Sede ne curi la pubblicazione e la presenti all'approvazione delle Nazioni Unite (vedi «Re~~o doc':'menti~: 1981 , 86). Ripreso da Familiaris çonsortio, cit., n. 46. Un appello a1 pubblici poten era g1_a contenuto nella Humanae vitae, Q. 23 , che richiamava la Popolorum progressio per quanto riguarda i Paesi in via di sviluppo. Dal canto suo GIOVANNI PAOLO II, a Puebla nel 1979, ha rinnovato l'appello del Concilio Vaticano II affinché «tutti coloro che esercitano un'influenza su comunità e gruppi sociali agiscano in modo efficace per la prosperità del matrimonio e della famiglia». Vedi anche Familiaris consortio cit. circa la «partecipazione allo sviluppo della società» (42-48).
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Per la comunità cristiana per considerazioni di razza (20 ), di nazionalità, di profession e o altro, e a maggior ragione sotto pretesto eugenetico, è contraria al naturale diritto al matrimon io di ogni creatura umana. Impedime nti giuridici al matrimon io possono fondarsi solo su circostanze quali l'età, l'impotenza, la stretta parentela, la professione religiosa, che sono alla base stessa del vincolo matrimon iale e come tali rigorosam ente definite dal diritto divino ed umano (2 1 ). Ogni forma di matrimon io così detto di «prova» e di « esperimento» o a tempo è illecita e contraria alla natura dell'istitut o matrimoniale (22 ) . In ogni caso intrinseca mente illecita è ogni forma di sterilizzazione (2 3 ), volontaria o coatta, ed ogni altra positiva e volontaria diminuzione della capacità generativa non giustificata da necessità terapeutica imposta da gravi malattie del paziente (24 ). 27. Provviden ze a f avore del matrimonio ( 25 ) . Poiché nella odierna società le condizioni economic he inducono spesso a protrarre il matrimonio assai oltre l'età fisiologica mente e psicologicamente più 20 ( ) Cfr. Il Concilio Vaticano II : « Nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso » (Lu men gentium n: 32). « Ogni genere di discriminazio ne nei diritti fondam entali della persona ... in ragione del sesso, della stirpe, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato come contrario al disegno di Dio; (Ga udium et Spes , n. 29); « I fedeli .. . evitando ogni form a di razzismo ... debbono promuovere l'amore universale tra i popoli » (Ad gentes, n. 15). PAOLO VI ha condannato ancora una volta il razzismo nella Populorum progressio , n. 63. ( 2 1 ) Art. 84 Codice civile (modif. dalla citata legge n. 15 1): « I minori di età non possono contrarre matrimonio ». La maggiore età è stabilita in anni 18 dalla legge 8 marzo 1975, n. 39. Vedi inoltre gli artt. 84-90 dello stesso Codice. Il vecchio art. 94 « diversità di razze e nazionalità» è stato abrogato. ( 22 ) Cfr. «matri monio per esperimento » in Familiaris consortio, cit., n. 80. ( 23 ) PIO XII nel Discorso ai partecipanti al XXVI Congresso della Società Italiana di Urologia (3 ottobre 1953 , in Aas 1953, 674) ha condannato ogni forma di sterilizzazione . PAOLO VI ribadisce l esclusione della sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, sia dell'uomo quanto della donna, H umanae vitae, 14. Così anche G IOVANNI PAOLO II in Familiaris consortio, cit. 32 . ( 24 ) PIO XII nel Discorso alle ostetriche del 29 ottobre 1951 conferma la dottrina di Pio XI della Casti connubii (Aas 13 , 1951 , 843 ). Successivamente (1958) PIO XII si pronuncia contro la 'p illola' (Aas 50, 1958, 736). PAOLO VI (1969), dal canto suo, dichiara che la Chiesa « ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi, mentre condanna come sempre illecito l'uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione» (H umanae vitae, 14). G IOVANNI PAOLO II, nella Familiaris consortio, cit., conferm a, infine, la dottrina precedente e motiva la « differenza antropologica e morale tra la contraccezione e il ricorso a ritmi temporali ». ( 2 5) Cfr. Malines, artt. 32 e 33. Il Concilio Vaticano nella Apostolicam A ctuositatem afferma: « nella legislazione civile siano sanciti e difesi ... la dignità e la legittima autonomia della fa miglia; nel governo della società si tenga conto delle esigenze famili ari per quanto riguarda l'alloggio, le condizioni di lavoro, leducazione dei fanciulli, la sicurezza sociale e gli oneri fiscali». GIOVANNI PAOLO II (Familiaris consortio , 45 ) dice che la società e lo Stato «sono gravemente obbligati al principio di sussidiarietà» . Il Codice di Camaldoli riprende e svolge ampiamente i temi di questo capitolo nei successivi artt. 37 (orientamento professionale ); 59 e 61 (abitazione per la famiglia); 60 (salario famigliare); 72, 73 e 83 (proprietà della famiglia); 83 e 86 (successione dei beni); 55 , 58, 59, 66 e 67 (assistenza e beneficenza).
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La famiglia adatta, risponde al bene comune l'adozione di provviden ze che, senza divenire un artificioso incentivo al matrimon io e senza favorire l'irrespons abilità economic a degli sposi, permettan o la costituzio ne di famiglie giovani e bene ordinate (26). 28. Controllo sulle nascite e leggi sull'aborto (2 7 ). La legge morale secondo la quale è illecito e contro natura qualsiasi uso del matrimonio che artificialmente privi l'atto della sua naturale destinazio ne alla procreazio ne, non può patire negli ordiname nti sociali alcuna eccezione, qualunque sia la pretesa giustificazione di bene privato o pubblico. Del pari qualsiasi diretto attentato alla vita e alla integrità del nascituro, sotto qualsiasi forma, anche nel caso delle così dette «indicazioni terapeutic he» è intrinseca mente illecito: è dovere dell'autorità pubblica statuire adeguate sanzioni per gli inadempie nti (28 ). La procreazio ne come atto umano è regolata dalla legge morale, che non si oppone, anzi spinge i genitori a regolare, mediante una virile e cristiana continenza, la nascita dei figliuoli, adattando la alle necessità della sistemazione ed educazion e della prole. (2 9 ). ( 26 ) Cfr. Costituzione della Repubblica italiana art. 31 (c. 1): «La Repubblica agevola con misure economiche e le altre prowidenze la formazione della famiglia e l'adempimen to dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». 27 ( ) Cfr. Malines, artt. 17, 76, 77 e 78. Cfr. ancora la costituzione conciliare Gaudium et Spes: «La vita, una volta concepita deve essere protetta con la massima cura, e l'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti» (n. 51 ); GIOVANNI XXIII, nella Mater et magistra dichiara : «La vita umana è sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l'azione creatrice di Dio»; afferma PAOLO VI nell'Humanae vitae (14): «è assolutamente da escludere come sia lecita per la regolamentazione delle nascite, l'interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l'aborto direttamente voluto e procurato, anche se per ragioni terapeutiche». Cfr. inoltre la S. Congregazione per la dottrina della fede: Dichiarazione sull'aborto procurato (18 novembre 1974); Conferenza episcopale italiana: Il diritto a nascere (1972), Aborto e legge dell'aborto (1975) , L'accoglienza della vita umana nascente e la comunità cristiana (1978). Nell'enciclica Dives in misericordia (dicembre 1980) GIOVANNI PAOLO II denuncia il declino di molti valori fondamentali e considera laborto una delle cause che portano dalla desacralizzazione alla disumanizzazione: «l'uomo e la società, per i quali niente è sacro, decadono moralmente, nonostante ogni apparenza». Cfr. cap. Il: «Servizio alla vita» , in Familiaris consortio; cit.: «Contro il pessimismo e l'egoismo, la Chiesa sta dalla parte della vita». ( 28 ) L'aborto è stato introdotto in Italia, con lopposizione dei parlamentari democratici cristiani, dalla legge 22 maggio 1978, n. 194 «Norme per la tutela della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza». La legge è stata sottoposta a doppio referendum abrogativo (17-18 maggio 1981): uno (radicale) tendeva a liberalizzare totalmente l'aborto ed è stato sconfitto con 27.395 .909 voti contro e 3.558.995 a favore; l'altro (Movimento per la vita) riduceva l'aborto alla motivazione terapeutica. Anch'esso è stato respinto con 25.505.323 voti contro 10.119.797. La legge 194 è stata così confermata. (2 9 ) Cfr., più sopra, la nota 24. Nell'enciclica Populorum progressio PAOLO VI afferma: «È certo che i poteri pubblici, nell'ambito della loro competenza, possono intervenire, mediante la diffusione di una appropriata informazione e l'adozione di misure opportune, purché siano conformi alle esigenze della legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia: perché il diritto al matrimonio e alla procreazione è un diritto inalienabile, senza del quale non si dà dignità umana» (n. 37). CLAUDIUS DuPUY, arcivescovo di Albi, negli Approcci pastorali (1966) documento approvato da una maggioranza di vescovi della Commissione pontificia sul controllo delle nascite, suggerisce al Papa il modo per rendere facilmente comprensibili gli sviluppi della dottrina cattolica sul controllo delle nascite (« The National Catholic Reporter» , 19 aprile 1967).
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I Per la comunità cristiana Ogni forma di propaganda e di diffusione pubblica concernente la limitazione antinaturale delle nascite deve essere comunque impedita dalle autorità (30 ). 29. L'autorità nella società famigliare (3 1 ) . L'ordinamento gerarchico nella società familiare è fondato sull'amore e sulla condizione naturale delle persone vincolate nella comunità della vita coniugale. Il padre è il capo naturale della famiglia, la madre è associata a questa autorità, la esercita solidalmente col padre e può esercitarla da sola in mancanza del padre (32 ). Il grado e il modo della soggezione della moglie al marito possono variare secondo la varietà delle persone, dei luoghi e dei tempi. Tuttavia la natura stessa del vincolo coniugale e la assoluta identità di natura e di destino dell'uomo e della donna impediscono di assegnare alla donna una posizione essenzialmente inferiore a quella dell'uomo o tale che la privi di quelle libertà che le competono in ragione della sua personalità e della sua maturità «Se l'uomo infatti è il capo, la donna è il cuore; e come l'uno tiene il primato del governo, così l'altra può e deve attribuirsi come suo prorpio il primato dell'amore» (Pio XI Casti connubit~ ed. cit., p . 306) (33 ). Parimenti l'autorità paterna non può concepirsi come un potere di Il tema della paternità responsabile è trattato al punto 10 della Humanae vitae con richiami alla Gaudium et Spes, nn. 50-51 (Aas 58, 1966, 1070-1073 ). GIOVANNI PAOLO II nella Familiaris consortio, cit. , 33, invita alla «conoscenza della corporeità» alla «educazione e autocontrollo», alla educazione alla castità che non è «né rifiuto né disinteresse della sessualità» ma piena valorizzazione umana. E p arla (35) di «onesta regolazione della natalità» impegnando la comunità cristiana e civile all'aiuto concreto a «quanti vogliono vivere la paternità e la maternità in modo veramente responsabile». ( 30 ) La Corte Costituzionale, con sentenza n. 49 del 10 marzo 1971, ha dichiarato illegittimo il divieto di propaganda anticoncezionale contenuta nell'art. 553 del Codice penale. Nell'art. l della legge 29 luglio 1975, n. 405 (Istituzione dei consultori familiari) si indicano gli scop i di questo servizio: assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità e alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia; somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti; tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento; divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza. (3 1 ) Cfr. Malines, artt. 12 , 13 e 19. (3 2 ) Cfr., sopra, la nota 9. Inoltre l'art. 143 del Codice Civile (modif. dalla citata legge n. 151): «Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà , all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia». E ancora cfr. la Costituzione della Repubblica Italiana, art. 37 (c. 1): «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione». ( 33 ) PIO XII (14 ottobre 1956) nel discorso radiofonico «Dignità e missione della donna» alle socie del Centro Italiano Femminile, ricorda i titoli che si riferiscono alla vita economica e sociale e quelli che si riferiscono alla vita spirituale concludendo che nell'unità di essi sta la dignità vera della donna. GIOVANNI XXIII nella Mater et Magistra indica la emancipazione della donna come «segno dei tempi». Per il Concilio Vaticano II: « l'unità del matrimonio ..
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La famiglia
coazi~ne e di dominio, ma come un rapporto gerarchico che trova i suoi limiti nei diritti dei soggetti su cui si esercita e la sua ispirazione nel costante amore e nel rispetto più geloso per la personalità dei soggetti stessi.
30. Diritti dei figli illegittimi (34 ). La distinzione tra figli legittimi ed illegittimi è una distinzione giuridica, che trova però il suo fondamento naturale nell'istituto del matrimonio, per cui la pienezza dei diritti familiari appartiene ai figli legittimi; gli illegittimi hanno certamente il diritto al nutrimento ed alla educazione conveniente a carico dei genitori (3s). Altri diritti, come il nome, il riconoscimento, la successione ereditaria ecc. possono essere oggetto di determinazione da parte della legge, salvo il diritto dei legittimi e della società coniugale (36 ). Nulla vieta la ricerca della paternità (37 ) e della maternità da parte dei figli naturali, purché dall'esercizio di tale diritto non derivino danni individuali e sociali non proporzionati ai fini che la ricerca stessa si propone (38 ). appare ... dalla uguale dignità dell 'uomo e della donna (Gaudium et Spes, 49). Nella lettera apo· stolica Octogesima adveniens (14 maggio 1971) PAOLO VI, dopo aver ricordato i tentativi ef. fettuati in molti Paesi per uno «statuto della donna che faccia cessare una discriminazione effettiva e stabilisca dei rapporti di uguaglianza nei diritti, e il rispetto della sua dignità », auspica che «l'evoluzione delle legislazioni vada nel senso della protezione della vocazione propria della donna stessa e, insieme. del riconoscimento della sua indipendenza e dell'uguaglianza dei suoi diritti ... ». Il tema è ripreso dallo stesso PAOLO VI (che aveva istituito una commissione pontifìcia per la donna il 3 maggio 1973, segretario mons. E. Bartoletti) in: Interventiones occasione celebrationis anni internationalis de muliere (Aas 67, 1975; Aas 68, 1976). Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia (1980) riafferma la uguale dignità tra uomo e donna e quindi « affronta gli sviluppi attuali avanzando la richiesta di una nuova teologia del lavoro che, rispetto alla discriminazione dell'attività della madre e del lavoro nella famiglia, dovrebbe nuovamente valorizzare la dignità umana di questa professione nella nostra società». Afferma poi che «per le donne occorre lasciare aperto laccesso agli incarichi pubblici allo stesso modo che per l'uomo purché rimanga intatta la libertà di decisione per esercitare la funzione di madre». (Dalla Lettera pastorale del card. Joseph Ratzinger, a conclusione dei lavori del Sinodo). Lo stesso concetto è espresso da GIOVANNI PAOLO II parlando della donna lavoratrice nella Laborem exercens, 19 (1981) e in Familiaris consortio, cit., 22, 23 e 24, sui diritti, i compiti, la dignità della donna e la condanna della mentalità che la considera «non come persona, ma come cosa».
Cfr. Malines, artt. 15 e 18. Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 30 (c. 3) : «La legge assicura ai fìgli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima». Gli artt. 250 e 252 del Codice civile (modifìcati dalla citata legge n. 151 ) prevedono che il fìglio naturale possa essere riconosciuto dal padre e dalla madre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona, e non possa essere rifìutato ove il riconoscimento risponda all'interesse del fìglio. L'eventuale inserimento del fìglio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all'interesse del minore e sia accertato il consenso dell'altro coniuge. ( 36 ) Cfr. l'art. 566 del Codice civile (modif. dalla citata legge n. 151): «Al padre e alla madre succedono i fìgli legittimi e naturali in pani· \Jguali». L'art. 537 (c. 3): «i ·fìgli legittimi possono soddisfare in danaro o in beni mobili la porzione spettante ai fìgli naturali che non vi si oppongono». (37) Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, art. 30 (c. 4): «La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità». ( 38 ) GIOVANNI PAOLO II in Familiaris consortio, cit., 85: «A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna ancor più aprire le porte della grande famiglia che è la Chiesa». (3 4 ) ( 35 )
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III L'EDUCAZIONE (1) 31. Essenza e fine dell'educazione. L'educazione consiste nella formazione dell'uomo, quale egli deve essere e quale deve comportarsi in questa vita terrena per conseguire il fine per il quale fu creato: essa opera su un soggetto che possiede solo in potenza la scienza e la virtù per dirigerlo, condurlo, guidarlo ad attuare in questa vita la sua più alta perfezione. L'educazione è quindi rivolta a tutte le facoltà umane, considerando l'uomo nello stato presente di provvidenza non dimenticando né il peccato originale, né la grazia ridonata all'uomo per la redenzione. L'unica educazione perfetta è quella cristiana, perché la sola che si rivolge a tutto l'uomo, quale è nella sua realtà e nella totalità dei suoi doni naturali e soprannaturali. Fine proprio ed immediato dell'azione dell'educatore cristiano è quello di cooperare con la Grazia di Dio alla formazione del vero e ( 1 ) Il Codice di Malines si occupa dell'educazione nel capitolo dedicato a «La vita famigliare »: considerandola come un diritto del fanciullo «alla formazione fisica, intellettuale, morale e religiosa» (art. 19), afferma che «la scuola mira a compiere l'opera educativa dei genitori e a supplirvi nell'insegnamento, quanto è necessario» (art. 20) e indica «l'armonia tra i fattori che contribuiscono all'educazione: famiglia, scuola, Chiesa, Stato, professione» come «condizione primordiale dell'ordine sociale ». Il Codice di Camaldoli dedica invece un proprio capitolo al tema «L'educazione », con un'ampiezza (24 articoli) che non trova riscontro in nessuno degli altri capitoli; inoltre solo per esso viene indicato l'autore che ne ha «curato particolarmente la redazione» (sulle controverse vicende di questo capitolo si veda P. GIUNTELLA, Una rilettura, cit., pp. 39 sgg.); abbondano aspetti particolari (artt. 41-54 ) con indicazioni programmatiche ed accentuazioni pedagogiche e didattiche relative soprattutto alle istituzioni scolastiche. Ma il nucleo fondamentale della tematica concernente l'educazione, globalmente considerata, è contenuto nella «Premessa sul fondamento spirituale della vita sociale» e, in particolare, nell'affermazione di cui ali' art. 3 che «fine di ogni sistema educativo e politico è di far conoscere praticamente all 'individuo» la dignità dell'uomo. « e abituarlo a rispettarla in sé e negli altri e a farla rispettare». È questa la prospettiva sostanziale nella quale si vedevano i problemi della ricostruzione di un ordine sociale più umano e più giusto dopo il collasso della guerra che stava per concludersi. Si ritiene, pertanto, di poter valutare onestamente la posizione dei compilatori del Codice quale sensibile posizione di cerniera, che avverte la tensione verso il nuovo che sta per maturare, come sembra si possa dimostrare individuando una certa linea negli sviluppi conseguenti che si propongono, sia pure riassuntivamente, nelle due successive note sul soggetto del!' educazione e sulla missione educativa della Chiesa.
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L'educazione
perfetto cristiano. L'educazione cristiana si dirige a tutta la vita umana sensibile e spirituale, intellettuale e morale, individuale, domestica e civile, per elevarla, regolarla e perfezionarla secondo gli esempi e la dottrina di Gesù Cristo. 32. Necessità della educazione soprannaturale. Essendo l'uomo per sua colpa decaduto dalla primitiva dignità ed integrità ed avendone riportate ferite ed inclinazioni cattive, è errato affermare la sua bontà nativa e naturale. Ogni forma di naturalismo pedagogico che in qualsiasi modo escluda o menomi la formazione soprannaturale cristiana nella educazione e proponga come fìne il benessere temporale della vita presente, escludendo il fìne oltremondano non può mancare di generare illusioni, sofferenze, malessere e rovine sociali; erroneo ed inefficace è quindi ogni metodo che, negando o dimenticando in tutto o in parte il peccato originale e l'azione della Grazia, poggi sulle sole forze della natura. 33. Il soggetto dell'educazione (2): riconoscimento della sua dignità e responsabilità. Ogni azione educativa che voglia essere ispirata da un
( 2 ) Il soggetto attivo dell'educazione, così come ribadisce la Dichiarazione finale della XIX Settimana sociale dei cattolici d'Italia sul tema Costituzione e Costituente (Firenze, 22-28 ottobre 1946, in Costituzione e Costituente, Atti della XIX Settimana sociale dei cattolici d'Italia, Icas, Roma 1946, pp. 326), è la persona umana, della dignità della quale si chiede «che sia pieno ed invincibile il rispetto»; e non a caso, nella 'Presentazione degli Atti', si riconosce «il loro precedente nel lavoro 'Per la comunità cristiana' degli studiosi amici di Camaldoli». A sua volta, la Costituzione della Repubblica italiana «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» (art. 2). Prima tra le formazioni sociali è la famiglia; onde si afferma « dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli» (art. 30), mentre si distingue dal diritto-dovere originario della famiglia il dovere etico-politico dello Stato di dettare «norme generali sull'istruzione», come componente dell'educazione, e quello di istituire scuole per tutti gli ordini e gradi, riconoscendosi coerentemente ad «enti e privati il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione» (art. 33). Le statuizioni costituzionali ora richiamate possono essere illustrate con l'intervento svolto da Aldo Moro all'Assemblea costituente il 18 ottobre 1946. «Intesa l'educazione come sviluppo progressivo della personalità mediante una adeguata cognizione del proprio io e del mondo», Moro sottolinea che il diritto dell'uomo alla istruzione e all'educazione «è un diritto che spetta in proprio al fanciullo come uomo in fieri , senza che la sua incompleta formazione devii verso terzi, famiglia o stato, la sua titolarità». (Cfr. AA. Vv., Il segno di A. Moro, Roma, «Appunti», 20, 1979; S. AccARDO, Moro alla Costituente: istruzione ed educazione, «Studium», 4, 1980). Analoghe prospettive si riconoscono nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, (Cedam, Padovu, 1957, p. 56), approvata un anno dopo la Costituzione italiana dall'Assemblea generale dell'Onu con 48 voti favorevoli ed 8 eloquenti astensioni (Urss, Polonia, Cecoslovacchia, Jugosfavia, Ucraina, Bielorussia, Sud Africa, Arabia Saudita). GIUSEPPE CAPOGRASSI illustrandone il significato afferma che la concezione sottostante a tale Dichiarazione «coincide con le spontanee certezze della coscienza comune. Valore supremo è la persona umana; e quindi fine inviolabile, non riducibile per nessun modo a mezzo; e tutto il resto, realtà naturali e collettive, politiche e sociali, società e Stato sono mezzi e valori strumentali per questo fine». Un ulteriore sviluppo e specificazione di tali prospettive in sede mondiale si trovano nella Dichiarazione dei diritti del fanciullo e nella Dichiarazione dei diritti delle persone handicap -
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Per la comunità pratico riconoscimento della natura, della libertà e dei fini della ersona umana dell' educando deve tendere a risvegliare in esso la coscienza della propria dignità, della sua libertà, del suo fine, e /delle responsabilità ad essa legate, chiamando a collaborare all'azione educativa il soggetto stesso, onde guidarlo a divenire consapevolmente membro delle società da Dio destinate al suo perfezionamento, e a collaborare alacremente al bene comune. Ogni dottrina educativa che, ignorando o negando la dignità, il valore ed il fine della persona umana, proponesse come fine della educazione o l'uomo per se stesso o una qualunque collettività classe, razza, nazione, stato, umanità, - sarebbe da rigettarsi come essenzialmentente erronea e lesiva della persona, e come negatrice del suo fine trascendente, e gravemente perniciosa per la società. 34. Il diritto di educare. Essendo l'educazione il doveroso compimento della generazione (v. art. 23) il compito di educare non può spettare, secondo l'ordine naturale delle cose, se non a chi è principio dell'essere e della vita dell' educando e cioè alla paternità, che è naturale nei genitori e soprannaturale nella Chiesa. Tuttavia, poiché l'uomo nasce in seno a tre società: la famiglia, la Chiesa e lo stato, l'educazione, opera necessariamente sociale, « appartiene a tutte e tre queste società in misura proporziona ta e corrispondente - secondo il presente ordine di provvidenza - alla coordinazione dei fini» (3). Il diritto della famiglia di educa.re i figli è anteriore a qualsiasi diritto della società civile e dello stato, è inviolabile in quanto è naturale, è inalienabile in quanto è inseparabilmente congiunto ad un dovere, è vincolato alle direttive della legge naturale e divina, è sottoposto alla autorità della Chiesa e alla vigilante tutela dello stato per pate, votate dall'Assemblea generale dell'Onu, queste volte all'unanimità, rispettivamente il 20 novembre 1959 e il 9 dicembre 1975. Un'altra specificazione del diritto alla istruzione-educazione si veda nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottata il 4 novembre 1950 e ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848. Il Protocollo addizionale n. 1, all'art. 2, stabilisce: «Il diritto all'istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell'esercizio delle funzioni che assume nel campo dell'educazione e dell'insegnamento , deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento in modo conforme alle loro convinzioni religiose e filosofiche». Infine, una significativa documentazione , volta a illustrare «l'universalità nel tempo e nello spazio dell' affermazione e della rivendicazione del diritto di essere un uomo» è stata raccolta, nel ventesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1968), a cura dell'Unesco, in un volume intitolato appunto Le droit d'etre un homme. Nella raccolta, scrive il direttore generale dell'Unesco, René Maheu, «l'umanità appare essenzialmente al livello dei suoi ideali nelle loro espressioni più nobili, non nella realtà, passata o presente, delle sue condizioni e del suo comportamento ». In sostanza si può documentare una tensione spirituale permanente dell'uomo verso la pienezza dell'essere ed il suo irresistibile bisogno di manifestarsi ogni qual volta le diverse situazione locali o temporali sembrano poterla o volerla mettere in dubbio per confermarne la realtà e la validità esistenziale. 3 ( ) PIO XI, Divini illius Magistri, cit., p. 262.
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L'educazione
quanto riguarda il bene comune. «Sarebbe andare contro la giustizia naturale se il fanciullo avanti l'uso di ragione fosse sottratto alla cura dei genitori o di lui in qualche modo si disponess e contro la volontà dei genitori» (4 ) . 35. L'educazion e nella famiglia. Nella famiglia, prima cellula sociale, principale energia educatrice e primo ambiente naturale e necessario, ed a ciò destinata dal Creatore, l'uomo inizia lo sviluppo delle sue capacità e trova i primi fondamen tali elementi del suo completam ento, «onde di regola l'educazio ne più efficace è quella che si riceve in una bene ordinata e disciplinata famiglia cristiana» (5 ). I genitori, che sono in vero senso i vicari della autorità loro data da Dio, non per loro proprio comodo, ma per la retta formazion e dei figli , sono gravemen te obbligati a curare, con ogni potere a loro disposizione, l'educazio ne sia morale che religiosa, sia fisica che civile della prole, oltre che a provveder e anche al bene temporale della prole stessa (C.]. Can. 1113 ). I genitori devono insistentem ente sforzarsi per impedire ogni attentato al loro diritto di educare cristianam ente i figli e per assicurarsi che rimanga loro questo potere (6 ). 36. Necessità di rinforzare la capacità educativa dei genitori. L'insoddisface nte condizion e della odierna educazion e giovanile è dovuta in gran parte al « lagrimevole scadiment o della educazion e familiare». Per riparare a questo male non solo non si deve agire in modo da sottrarre i figli all'educaz ione dei genitori, ma si deve mettere in opera ogni espedient e per rinforzarn e l'autorità e accrescern e la capacità pedagogic a. A tale scopo è necessario - assicurati i mezzi adeguati ad un sufficiente livello di vita ~ promuove re nei genitori: - una più chiara consapevolezza del dovere, del compito, e dei problemi relativi alla educazion e dei figli ed un più vivo senso di responsabilità di fronte a Dio, ai figli, a se stessi e alla società; - un meglio ordinato amore per i figli, che di essi veda soprattutto gli interessi spirituali e non solo materiali e sia illuminato dalle verità soprannat urali; - una più profonda conoscenza dei figli stessi in tutti i loro aspetti fisici, psicologici, spirituali e religiosi; - una maggiore capacità di esercitare l'autorità con fermezza 4 ( )
S.
TOMMASO,
S. Th ., IP,
n•e, da
(S) Pro XI, Divini.. ., cit., p. 283.
( 6 ) LEONE
10 a 12.
XIII, Sapientiae Chrù tianae, cit., p. 150.
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Per la comunità cnStiaf amorosa e con risultati di persuasione perché essa sia davvero liberatrice; - una vita esemplare nei pensieri, negli affetti, nella condotta esteriore da tutti i punti di vista: personale, familiare, professionale, sociale, morale e religiosa; - una più ampia conoscenza di una elementare tecnica educativa volta a promuovere lo sviluppo di tutte le facoltà del fanciullo e ispirata dall'amore. 37. L'avviamento e l'orientamento professionale dei figli. Nel quadro degli obblighi religiosi e civici della famiglia le appartiene l'avviamento scolastico e professionale dei figli. Essa ha il diritto di scegliere in proposito quella istituzione scolastica che le dà maggior fiducia; ha il diritto di tutelare di fronte alla scuola e alla comunità le giuste esigenze della personalità individuale dei figli. L'orientamento professionale appartiene alla famiglia con la cooperazione della scuola e della comunità per lo studio e la valutazione delle capacità effettive e delle reali inclinazioni del giovane cui è giusto consentire, e per la conciliazione del rispetto alla sua volontà ed alle sue attitudini con le esigenze del bene comune, che richiedono un armonico ed ordinato afflusso alle varie professioni e mestieri in relazione ai bisogni della società, salvo sempre il diritto del giovane a seguire la vocazione alla quale si senta chiamato da Dio. Ogni azione della scuola ed ogni intervento della comunità miranti all'orientamento e alla selezione professionale debbono limitarsi ad illuminare il giovane e la famiglia sulle attitudini e sulle condizioni generali e specifiche di accesso alle varie professioni e mestieri, senza vincolare la libera scelta degli interessati. 38. Scuola e famiglia. Non avendo la famiglia i mezzi per realizzare integralmente l'istruzione e l'educazione dei figli essa fa ricorso alla scuola, la quale, da chiunque sia istituita, resta sempre un'ausiliare della famiglia e non ha un potere originario, ma delegato dalla famiglia stessa, che aiuta, integra e supplisce. L'insegnante è un mandatario e un collaboratore del padre di famiglia il quale da parte sua deve secondare, nelle finalità sue proprie e nella disciplina, l'opera della scuola. La famiglia è quindi a sua volta chiamata a dare alla scuola apporti preziosi in ordine alla educazione fisica, intellettuale, morale e religiosa. Complementarità della scuola non equivale a servitù o a subordinazione:· anzi non contrasta con la dottrina cristiana la posizione di superiorità di competenza che la scuola ha assunto nei riguardi della famiglia quanto alla disciplina del contenuto, del tempo e della successione degli insegnamenti. Essendo la famiglia direttamente responsabile della educazione dei 88
L'educazio ne fìgli, essa può e deve sorvegliare e controllare la scuola sia quella privata che quella pubblica.
39. Missione educativa della Chiesa e insegnamento della religione (7). La perfezione è l'ideale dell'educazi one, e nessuno è perfetto senza Dio. Gesù Cristo, venuto nel mondo per salvare gli uomini, è insieme la sorgente ed il modello esemplare di ogni umana perfezione. Per insegnare agli uomini la via della loro perfezione ed aiutarli a raggiungerla Egli stabilì la sua Chiesa, col compito di modellare in tutto il mondo, fìno alla fìne dei secoli, uomini completi e perfetti, secondo l'esemplare venuto dal cielo. La Chiesa è pertanto l'ambiente educativo più strettamente e più armoniosam ente congiunto con quello della famiglia cristiana, alla quale la sua opera reca immenso giovamento. Alla Chiesa, per la missione conferitale dal suo divin Fondatore e per la sua maternità soprannatur ale, si deve riconoscere il diritto di vigilare su l'educazion e religiosa e morale e sull'insegna mento della religione dei suoi fìgli. Essa ha inoltre il diritto di erigere scuole non soltanto di grado elementare, ma eziandio medie e superiori. (Can. (7) Il tema della missione educativa della Chiesa e, più in generale, dell'educazione religiosa, pur nella permanenza delle tesi fondamentali della dottrina cattolica, trova una migliore correlazione con la situazione storica attuale alla luce dei documenti conciliari, e particolarmente della Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (7 dicembre 1965), con la quale si deve confrontare attentamente la situazione italiana, sia per quanto contenuto nel Proemio, nell'Esposizione introduttiva e in tutta la Prima parte, sia per quanto contenuto nel secondo capitolo della Seconda parte, dedicato specificamente alla Promozione del progresso della cultura. Si debbono considerare inoltre le due Dichiarazioni: quella sulla libertà religiosa (7 dicembre 1965) e quella sull'educazione cristiana (28 ottobre 1965). A proposito della quale ultima non si può ignorare il significato del percorso compiuto per la sua elaborazione: da uno schema di Costituzione sulle scuole cattoliche , 22 aprile 1963, per il quale furono presentate proposte di emendamenti da 24 Conferenze episcopali e da 64 padri, a uno schema di Proposizioni sulle scuole cattoliche, 27 aprile 1964, a un ultimo schema col titolo finale di Dichiarazione sull'educazione cristiana, messa in discussione e votata nell'autunno del 1964 , rielaborata e promulgata dal Concilio il 28 ottobre 1965. E sembra anche importante riflettere sul numero degli emendamenti proposti: in minima quantità (rispettivamente 4 e 2) per i numeri 2 (l'educazione cristiana) e 3 (i genitori primi educatori), in quantità massima, ben 32 , per il numero 7 {la scuola non cattolica). Sembra cioè risultare chiaramente l'accordo generale pacifico sulle questioni fondamentali, non suscettibili di modificazioni neppure nei più diversi contesti, mentre emerge evidente l'incidenza delle varie realtà situazionali o storiche nelle quali si incarnano le Chiese particolari. La questione resta tuttora aperta per la Chiesa italiana in relazione al cambiamento delle condizioni di vita che si va verificando nel nostro Paese, come appare chiaro dall'ultimo documento del Consiglio permanente della Cei, 23 ottobre 1981, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, nonché dalla citata esortazione di GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio , particolarmente il n. 40 che afferma «La famiglia è la prima, ma non l'unica ed esclusiva comunità educante: la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia e articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste · forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri. Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale orga· nica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante».
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., . . Per la comunzta cristiana '
13 75). Nessuna potestà civile può legittimamente impedire la educazione in scuole cattoliche per la gioventù cattolica. La missione educativa della Chiesa si estende anche ai non fedeli, essendo tutti gli uomini chiamati ad entrare nel Regno di Dio ed a conseguire l'eterna salvezza ed essendo la Chiesa costituita da Gesù per comunicare a tutte le genti la dottrina del Vangelo. I diritti dei singoli, della famiglia e dello stato non sono in opposizione, ma in perfetta armonia colla sopraeminenza spirituale della Chiesa. Dalla educazione cristiana la retta formazione del cittadino riceve grandissimo giovamento. Queste verità, di valore trascendente ed universale, rivestono un'importanza capitale, quando si tratta dell'ordinamento giuridico dell'educazione in un paese composto nella sua quasi totalità di cristiani. In esso tutto l'insegnamento deve tendere ad essere governato dallo spirito cristiano . . L'insegnamento della religione comunque impartito in ogni grado della scuola frequentata da cattolici deve essere guidato e controllato dall'autorità ecclesiastica, in quanto alla Chiesa è stato affidato dal suo Fondatore il mandato di insegnare la verità della fede, e d'altra parte lo stato non può essere maestro di dottrina religiosa. 40. Diritto educativo e doveri dello stato. Lo stato, perché privo del titolo della paternità, nel fare le sue leggi e nell'esercitare le sue funzioni dovrà sempre riconoscere il diritto anteriore e naturale della famiglia e quello soprannaturale della Chiesa sull'educazione cristiana dei figli. In nessun caso lo stato può ledere i diritti della Chiesa e della famiglia in quello che loro spetta. Essendo l'istruzione primariamente un servizio reso alla persona e, attraverso questa, alla comunità, lo stato può esigere e quindi procurare che tutti i cittadini abbiano la necessaria conoscenza dei loro doveri civili e nazionali e un certo grado di cultura intellettuale, morale e fisica, che attese le condizioni dei tempi, sia richiesto dal bene comune. Peraltro è ingiusto e illecito ogni monopolio educativo e scolastico che costringa fisicamente o moralmente le famiglie a frequentare determinate scuole contro gli obblighi della coscienza cristiana o anche contro le loro legittime preferenze. Lo stato, quale espressione della volontà dei genitori e quale promotore del bene comune della società deve anzitutto aiutare il sorgere spontaneò di istituzioni educatrici per iniziativa delle famiglie e della Chiesa, creando per loro condizioni favorevoli e concorrendo al loro sostentamento secondo le esigenze della giustizia sociale. Dove questo si renda necessario e l'iniziativa delle famiglie non possa provvedere convenientemente, lo stato può e deve istituire in numero sufficiente scuole per la formazione dei cittadini. Il riconoscimento del principio della libertà della scuola implica il riconoscimento non solo del diritto della Chiesa di impartire l'!nse90
L'educazione namento religioso, ma pure del diritto della famiglia e della Chiesa di creare delle organizzazioni religiose, culturali e ricreative per i figli, senza che lo stato possa pretendere che tutti frequentino una determinata organizzazione. 41. Insufficienza della scuola laica. La scuola neutra e laica è assurda e cioè contraddittoria in termini perché «scuola» dice educazione totale dell'uomo, e «laica» dice volutamente ignoranza, trascuratezza e disinteresse dell'aspetto più nobile che ci sia da educare nell'uomo : la sua vita spirituale e religiosa. Scuola laica è dunque scuola incompleta e programmaticamen te deficiente. Essa è ingiusta contro i giovani ed è lesiva del loro diritto; è oppressiva della libertà degli scolari e del diritto dei genitori di esigere che lo stato non imponga ai loro figli un'educazione contraria alla loro fede. 42 . La giustizia sociale nell'educazione. È debito di giustizia sociale procurare a ciascun membro della collettività indipendentemente dalle sue condizioni economiche un grado di istruzione e di educazione confacente ai suoi bisogni e alle ·sue capacità, in relazione alle · condizioni ambientali ed alle esigenze dei tempi. Lo stato, in virtù della stessa giustizia sociale, deve favorire l'elevazione sociale, morale ed intellettuale delle classi più umili procurando se necessario la piena gratuità dell'insegnamento primario e medio per i non abbienti. Per quelli tra i non abbienti che si mostrassero ben dotati di capacità e meritevoli lo stato dovrà disporre di aiuti economici in modo che l'accesso alla cultura superiore non sia impedito a nessuno di essi per mancanza di mezzi. 43 . L 'educazione religiosa e morale. Inizio e fondamento di una salda educazione religiosa è la progressiva e costante educazione della fede. L'insegnamento non deve quindi limitarsi a far conoscere le verità cristiane, ma deve proporsi di farle divenire coronamento dell'educazione nella vita vissuta dall' educando. Si deve tenere presente che il fanciullo e l'adolescente hanno, a proposito di vita religiosa, dei preziosi germi vitali che non solo non devono essere soffocati con una educazione formalistica, ma devono essere accuratamente aiutati a svolgersi con gradualità naturale, per evitare nausee e ribellioni che compromettono la vitalità religiosa del periodo successivo. 44. L 'educazione sociale. Poiché la persona non giunge alla sua perfezione se non attraverso l'esercizio delle virtù sociali, affinché lo educando superi l'egoismo istintivo dell'età, la famiglia, la scuola e le altre istituzioni educative devono provvedere a educare in lui un'alta coscienza sociale e a dare un orientamento sociale a tutta la sua col-
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Per la comunità cristiana tura, che deve essere considerata oltre che mezzo di perfezione personale anche come preparazio ne a rendere un servizio alla comunità. L'indicare o il perseguire esclusivamente nell'inseg namento o nel1' apprendim ento del sapere o del mestiere un fine in qualunque modo egoistico, costituisce un atteggiam ento antisociale da condannarsL Non si raggiunge una effettiva educazion e sociale con la semplice sostituzione del concetto di collettività a quello di individuo, in quanto essa può essere un semplice trasferime nto di egoismo dall'individuo alla categoria, alla classe, alla razza, alla nazione. Occorre invece che il giovane liberamen te pervenga a vedere in ogni altra creatura umana un valore uguale al proprio, un altro figlio di Dio, un essere che ha bisogno di lui e del quale ha egli stesso bisogno per completarsi e perfezionarsi. In pratica la famiglia e la scuola possono e devono adottare mezzi concreti ed espedient i educativi che, investend o anche il sentiment o, muovano o almeno sollecitino la volontà ad agire in senso sociale. L'azione educativa, sia familiare che scolastica, pertanto può e deve attraverso il compimen to di servizi sociali abituare a contrarre l'abito delle virtù eminentem ente sociali della giustizia, della carità, della generosità, della collaborazione, della responsab ilità e della disciplina. La più benefica e verace educazion e sociale si può raggiungere solo alimentan do un retto amore soprannat urale di Dio e del prossimo per amore di Dio. Per questo un precipuo contribuit o alla educazione sociale dell'adole scente e del giovane è recato dalla consapevole partecipaz ione alla vita liturgica della Chiesa cattolica. 45. Educazion e czvzca. L'amore alla pat ria come comumta spmtuale, politica, culturale, alla quale ci unisce la nascita come ai genitori, e dalla quale, come dai genitori, riceviamo taluni elementi costituivi del nostro essere sociale, deve nella educazion e della gioventù, essere volto a far considera re il patriottism o come una virtù morale che ci obbliga a rendere alla intera comunità umana ed alla patria il dovuto omaggio ed i richiesti servigi, con spirito di amore e d'intima unione con tutti gli uomini e in particolar e con coloro che insieme a noi appartengOno allo stesso popolo. L'educazi one al vero amor di patria deve tendere a formare cittadini coscienti delle loro responsabilità civiche, atti a compiere i loro doveri verso la comunità con cristiana dedizione, e ad esercitare i loro diritti politici in modo da vegliare perché un giusto e benefico governo sia assicurato alla patria, sovrappon endo agli interessi personali, di gruppo, di classe, di partito, l'interesse superiore della comunità organizzata e subordina ndo quest'ultim o al bene comune di tutti gli uomini.
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L'educazione 46. L'educazione filosofica. Con l'educazio ne filosofica il giovane deve essere messo in grado di porre e risolvere i massimi problemi della vita e del mondo ragionand o sulle realtà e sviluppan do coll' esercizio le sue facoltà di critica e di giudizio. L'educazi one filosofica non deve ridursi a far studiare, senza aver data una preparazi one sistematica fondamen tale, gli svariati sistemi discordan ti, opposti, spesso difficili ad intendersi , avulsi dalla vita e dalla realtà ed incapaci di darne esauriente spiegazione. L'educazi one filosofica, a chiunque impartita nelle scuole, comprenderà l'insegnam ento delle verità necessarie alla vita morale e sociale dell'uomo , fra le quali per generale consenso sono riconosciu te fondamen tali l'esistenza di Dio, la libertà e responsab ilità dell'uomo , l'immorta lità dell'anima. Impugnar e queste verità fondamen tali davanti ai giovani, che ancora non si sono impossessati attivamen te di un criterio valido di giudizio, significa comprom ettere il fondamen to della loro formazion e morale. I giovani cattolici che frequenta no una scuola di filosofia hanno il diritto di apprender e una sistematica filosofia cristiana e la comunità ha il dovere di offrire loro la possibilità di tale insegname nto. Coll'educa zione filosofica cristiana si deve badare a far raggiunge re quella robustezza razionale e nello stesso tempo quella umiltà che accompag nate dalla illuminazione della Grazia servono di preambol i e di preparazio ne ad un sempre più maturo e pieno atto di fede. 47. Fondamenti e didattica della educazione letteraria e scientifica. Perché l'educazio ne letteraria e scientifica rispondan o ai loro fini personali e sociali, esse devono accompag narsi ad una corrispondente ed adeguata formazione filosofica e religiosa e ad una informazione storica seria e approfond ita. a) educazione letteraria. L'educazi one letteraria promuove la perfezione della persona in quanto la stimola e l'abitua alla scelta sapiente della parola nella sua funzione di indicare con esattezza la realtà esterna ed interiore, la induce a contempla re e ad amare i valori ideali attraverso la parola trasparent e e suggestiva degli scrittori e specialmente dei poeti, e finalmente ne coltiva l'attitudin e a esprimere a sua volta con particolar e efficacia i valori ideali eh' essa coglie nella realtà quando giunga a viverli nel sentiment o e nella fantasia, cioè poeticame nte. Nelle due prime funzioni, una educazion e letteraria, proporzio nata alle mansioni di ciascuno, è necessaria per tutti. Nella terza è necessaria a quelle persone le quali, o perché si preparano a una missione educativa, o perché dotate di una singolare capacità sentiment ale e fantastica sono chiamate a comunica re agli altri o con l'insegnam ento o con la forza suasiva dell'eloqu enza o con l'incanto della contemplazione poetica i valori ideali da esse colti e originalm ente rivissuti. 93
Per la comunità cristiana Attraverso questa azione formativa l'educazione letteraria avvicina la persona al suo fine ultimo, Dio, sia direttamente, sia mediante il servizio reso alla società. Nell'educazione letteraria occorre evitare che la suggestione della parola comunichi verità dannose o inutili a sapersi, e persuada ad amare e ad ammettere come bello e buono ciò che è moralmente brutto e cattivo. b) educazione scientifica. Nella educazione scientifica degli adolescenti dev'essere tenuto presente che la natura è opera di Dio e da Lui, insieme con l'uomo, dipende; che attraverso la natura l'uomo deve adorare Dio; che l'uomo domina la natura perché dotato di facoltà spirituali e di fronte al misterioso ordine della natura esso deve tenere un atteggiamento di umiltà; che l'ansia continua che si manifesta nella ricerca della verità scientifica è un aspetto ed un riflesso del moto dell'anima verso Dio. La conoscenza scientifica deve essere considerata non come un godimento o un privilegio individuale, ma come una conquista che mentre aiuta il perfezionamento personale mira a rendere un servizio agli uomini in quanto li porta al dominio delle forze naturali e, per mezzo di questo dominio, alla liberazione da fatiche e da pene e alla elevazione del tono di vita. 48. L'educazione tecnica e il lavoro nel!' educazione. Essendo la tecnica scienza ed arte dei mezzi, l'educazione tecnica deve avere, come fine immediato, quello di far prendere possesso del fondamento strumentale delle capacità professionali dei singoli, per renderli così veramente idonei ad adempiere, nel modo migliore possibile, il loro compito nella società. L'educazione tecnica non deve perciò essere fine a se stessa, ma poggiando su un solido fondamento scientifico ed accompagnandosi ad una specifica preparazione spirituale, deve mirare a far intendere ai tecnici la funzione finalistica della loro professione, la sua sottomissione alle leggi morali e la grande responsabilità personale nell'impiego della medesima al servizio della società. Nell'educazione tecnica si deve evitare sia il pericolo di indurre alla idolatria del mezzo, proponendolo come fine o celebrandone smodatamente la potenza, sia quello di farla considerare come strumento per l'acquisto di ingiuste ricchezze, di privilegi o di un potere egoistico che prescinda dalla giustizia e dalla carità . Uno dei mezzi per attuare l'educazione tecnica è il lavoro introdotto nella educazione in forme concrete comportanti attività manuali e tecniche: esso favorisce con l'acquisto di esperienze dirette e con lo stimolo vivo alla riflessione, l'apprendimento di fondamentali nozioni ed atteggiamenti pratici circa la natura e i compiti dell'uomo nella società ed offre all'educatore l'occasione per servirsi di preziosi valori educativi; il lavoro come attività fisica e spirituale dell'uomo 94
L 'educazione impegna nella sua esecuzione l'intelligenza , la volontà, la libertà, la responsabilità; comporta il conseguimento di conoscenze più profonde e sicure, sottoponendole al vaglio immediato della realtà pratica; risveglia nell'esercizio e nelle sue esigenze organizzative abitudini di ordine, di precisione, di disciplina, di collaborazione; promuove le virtù della giustizia e le altre virtù sociali. L'organizzazione didattica della attività lavorativa deve poter disporre di adeguati sussidi strumentali e tecnici e di insegnanti professionalmente preparati; essa deve evitare la adozione di forme dilettantesche, male organizzate, monotone, eccessivamente elementari o complesse o faticose, atte più a provocare il disinteresse degli alunni che la loro attiva partecipazione. I principi suddetti si applicano, con i necessari adattamenti, anche a tutte le scuole di carattere professionale, tecniche, di addestramento, di specializzazione per le maestranze ed agli apprendistati per giovani operai, e simili, organizzati da associazioni e da aziende singole, nelle quali il lavoro occupa una parte preponderante o costituisce il fine principale della scuola: in ogni caso tale fine non deve mai essere esclusivo, ma deve sempre tenersi presente l'educazione umana e sociale degli allievi. 49. L 'educazione fisica. L'educazione fisica è l'esercizio ordinato, proporzionato e progressivo delle forze fisiche del fanciullo, dell'adolescente e del giovane affinché esse possano conseguire il loro pieno ed armonico sviluppo. Serve il perfezionamento della persona umana in quanto lo spirito, sostanzialmente congiunto al corpo, si avvantaggia della sanità e dello sviluppo del corpo e riceve danno dal suo malessere, dalla sua debolezza e dal suo mancato sviluppo; essa perciò deve essere diligentemente curata e svolta con criteri medici scientifici. Dagli ordinamenti che riguardano l'educazione fisica deve essere bandito ogni eccesso che distolga dal raggiungimento della sua prima finalità, come sono l'atletismo precoce, l'esibizionismo, il malsano antagonismo, e ogni forma sportiva che faccia perdere invece che acquistare la salute. Del pari da escludere è ogni precoce forma di educazione militaristica che si valga della educazione fisica come mezzo. 50. Compito, doveri e formazione dell'insegnante. L'educatore che voglia tradurre in pratica didattica i princìpi enunciati deve costantemente e in tutti i modi convenienti fare appello alla collaborazione attiva del suo discepolo e servirsi dell'insegnamento di ogni disciplina, più che per condurre al possesso di nozioni staccate, poco durevoli e poco formatrici , per far raggiungere al suo alunno un grado di perfezione interiore ed umana e di libertà che ne aumenti il valore spirituale. 95
Per la comunità cristiana Il maestro è nella scuola per provocare l'atto vitale e personale col quale il discente reagisce all'insegnam ento, per renderlo più profondamente vitale e più intelligentem ente personale. Per non · offendere la persona umana e lo spirito educativo cristiano ogni educatore deve attentament e escludere dalla sua condotta sia nell'insegna mento come nell'esercizio dell'autorità ogni forma di ingiusta o esagerata coercizione, poiché essa è sempre causa di mortificazione per l'intelligenza, di ribellioni da parte della libera volontà del soggetto e di nausea nella pratica della vita religiosa. Il miglior maestro sarà sempre colui che si ispirerà agli esempi del Divino Maestro e ricaverà dalla miniera sempre nuova del Vangelo le risorse pedagogich e per la sua attività didattica. Perché gli insegnanti di ogni grado abbiano consapevolezza dei loro doveri e siano in grado di assolverli è necessario che sia data loro, oltre a quella propriamen te scientifica e tecnica, anche una formazione morale e religiosa lungo tutto il corso dei loro studi preparatori; ad essa porterà un efficace contributo lo studio della teologia durante gli anni universitari. 51. Educazione alla castità. Riprovato il metodo così detto dell'iniziazione sessuale specie se collettivamente impartita, l'istruzione personale sulle intimità della vita sessuale e l'educazion e e direzione dei singoli giovani alla consapevole e virile virtù della castità, appartiene di pieno diritto ai genitori ed a coloro che ne fanno le veci, in rapporto alla ·loro corrisponde nza alla missione famigliare. Questo compito delicatissimo richiede nei genitori ed educatori della gioventù, soprattutto nei convitti, una accurata preparazion e, una comprensio ne amorosa e sollecita per le inquietudin i dei giovani, una oculata vigilanza per allontanare da un lato dai giovani tutti quei precoci stimoli ed eccitamenti ambientali che vengono a turbare la serenità della loro vita e dall'altro per soddisfare con sincerità e verità, ma con cauta prudenza, i dubbi e il desiderio di apprendere che l'età man mano va suscitando nella mente dei giovani, ispirando loro quell'avvers ione alla colpa e quel rispetto sacro per il mistero della vita che il concetto cristiano della castità e dei fini del matrimonio comportano .
52. L'educazione della donna. Nella educazione della donna è necessario tener conto sia degli elementi comuni all'uomo in quanto propri della comune natura umana, sia di quelli che la differenzian o per la condizione del suo sesso e per la missione che naturalment e gliene deriva nella famiglia e nella società. Gli elementi comuni esigono che sia assicurata alla donna piena parità di diritti, come negli altri campi della vita civile, così in quello educativo, e più precisamen te scolastico. Nessun corso di studi, come nessuna professione o nessun mestiere possono, in linea di
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L'educazione princ1p10, essere preclusi alla donna, (salvo naturalme nte specifici casi di impedime nto o di inopportu nità, analogamente validi anche per gli uomini) senza ledere i fondamentali diritti della natura umana di svilupparsi e di perfezionarsi in servizio di Dio e della società, secondo le particolari tendenze di ogni individuo. In pratica, in determina te circostanze, tenendo conto che la donna coniugata esercita nella famiglia la sua naturale funzione anche nei riguardi della società, sono talora opportune determina te restrizioni nei casi di professioni e mestieri meno adatti alla natura femminile, o per ovviare a temporan ei inconvenienti, come quello della disoccupazione maschile in certe professioni. Tuttavia nelle attuali c.ondizioni della società, grave ingiustizia sarebbe qualunqu e sistematica e permanen te discriminazione, poiché un numero considerevole di donne, o non si forma una famiglia propria, o deve contribuir e a mantenere la famiglia d 'origine, o, anche nel matrimonio, è costretta a svolgere, oltre alle mansioni domestiche, un'altra attività direttamente retribuita (v. art. 60). Gli elementi differenziali del sesso femminile pongono problemi particolari. Lo sviluppo più precoce e le diverse caratteristiche psicologiche della donna, richiedono un'educaz ione diversa e quindi distinta da quella dei maschi. Occorre dunque procurare che le alunne siano educate in istituti o per lo meno in classi separate da quelle maschili, dal momento che i pochi vantaggi presentati dalle classi miste sono in genere superati dagli svantaggi, non solo morali, ma didattici. Inoltre se tutte le carriere scolastiche e le professioni devono essere di diritto aperte alle donne non meno che agli uomini, tuttavia la funzione speciale della donna come moglie e come madre nella famiglia e di riflesso nella società deve avere un posto primario nella sua educazione, e richiede perciò l'istituzione di corsi speciali che indirizzano le giovani alla direzione della famiglia ovvero ai mestieri più convenienti alla natura psico-fisiologica della donna. 53 . L'educazione del popolo: stampa, teatro, radiodzffusion e, cinematografo, pubblicità. Oltre l'ambito della famiglia si svolge con particolare intensità nella attuale fase della vita sociale l'azione di potenti mezzi collettivi di espressione (quali la stampa, il teatro, la radiodiffusione, il cinematografo, la pubblicità) capaci di incidere profondam ente sulla formazione intellettuale morale e sociale dei singoli e del popolo e in particolare della gioventù. Di fronte a possibili invadenze nella sfera della autonomi a personale e agli abusi che i privati, i gruppi e la stessa autorità possono compiere, avvalendosi come strumento di propagan da dei suddetti mezzi espressivi è dovere di ciascuno e in particolare dei genitori e degli educatori difendersi, coltivando un assiduo abito critico e vigilando con ogni cura le letture, le radioaudizioni, la partecipazione
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Per la comunità cristiana agli spettacoli sia proprie che delle persone della cui educazione si è responsabili. Ogni forma di difesa collettiva, quale può aversi mediante adatte associazioni di segnalazione e vigilanza, specialmente fra padri di famiglia ed educatori, va con ogni possibile mezzo promossa e favorita . Un compito di primaria importanza spetta tuttavia in questo campo alla comunità che deve ispirare la sua azione ai seguenti princìpi: a) non porre ostacolo alla libera manifestazione dei mezzi espressivi individuali o collettivi e alle attività economiche e industriali che vi sono connesse nella modernà organizzazione sociale, quando sia da escludere ogni forma di tendenziosa efficacia o di propaganda suggestionatrice non rispettosa della libertà individuale di pensiero e di opinione o contrastante col bene comune; b ) vietare, mediante un attivo e organizzato controllo, nel quale • abbiano parte, oltre alla pubblica amministrazione, legittime e organiche rappresentanze degli interessati, le manifestazioni contrarie alla legge, alla morale e al buon costume, i più gravi attentati alla buona fede del pubblico o l'impiego per fini particolari di mezzi di diffusione e propaganda che per il loro carattere collettivo debbono essere considerati destinati all'uso nell'interesse comune; e) non fare dei moderni mezzi collettivi di espressione e diffu sione lo strumento per una pregiudizievole e unilaterale opera di propaganda dello stato verso le masse e particolarmente verso la gio- · ventù : tale indirizzo anche se apparentemente volto a fini di interesse generale, si risolve nella suggestione dei vari particolarismi di nazione, di razza o di classe e contrasta col compito di educazione e formazione alla libertà e alla responsabilità individuale e al sentimento della comunità umana che spetta ad ogni bene ordinata organizzazione sociale.
Per raggiungere in concreto le finalità suddette lo stato potra mtc' r\·enire in casi determinati e sotto il controllo degli organi rappre~entativi :
a ) per garantire la necessaria indipendenza da vincoli e legami finanziari alla espressione - specialmente mediante la stampa quotidiana - di forze e di interessi culturali o politici debitamente riconosciuti, con particolare riguardo a quelle correnti che, per fare capo ai ceti meno abbienti, vengono a trovarsi per questo solo motivo in condizione di grave e spesso insuperabile disparità rispetto ad altre correnti che si valgano del loro potere economico per monopolizzare i più efficaci mezzi di propaganda; b ) per sottrarre alla iniziativa privata determinati mezzi collettivi di espressione, quali la radiodiffusione, che, anche per ragioni tecniche, non comportano la libera coesistenza di varie iniziative private e
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d'altra parte debbono essere sottratte a ogni influenza particolaristica e indirizzate esclusivamente ai fini del bene comune; c) per controllare e disciplinare le attività industriali connesse con lo sviluppo dei mezzi collettivi di espressione, quali soprattutto il cinematografo (produzione ed esercizio), onde evitare che il perseguimento dei soli fini di lucro o di un puro attivismo produttivo porti a trascurare e a violare i princìpi sopraesposti. 54. Ricerca scientifica e cultura superiore . La cultura superiore, in quanto vengono per essa a mancare talune funzioni proprie della famiglia e della scuola ed in rapporto allo sviluppo sempre più largo della ricerca organizzata, alla adozione sempre più estesa di metodi di studio collettivi, alle esigenze sempre maggiori di grandiosi e costosi strumenti di ricerca, specialmente nel campo delle scienze tecniche, richiede un particolare intervento della comunità. L'azione comunque volta al coordinamento delle iniziative e al promuovimento della cultura intesa come mezzo di perfezione individuale al servizio della comunità, deve far salvi in ogni caso gli incomparabili valori legati alla libertà della cultura e della ricerca scientifica. In particolare l'autorità potrà disporre ed organizzare - qualora l'iniziativa privata o associata non vi abbia già provveduto - la istituzione di organismi di studio e di ricerca collettiva e di alta cultura scientifica, tecnica, storica, economica e politica, assicurandone peraltro la possibilità di vita autonoma e la indipendenza da ogni indebita influenza politica o della pubblica amministrazione. Lo stato dovrà poi tendere a far sì che l'accesso e il compimento degli studi superiori siano resi indipendenti dalle condizioni economiche e sociali dei singoli e avvengano esclusivamente in base alle attitudini e alle capacità, in armonia con i dettami della giustizia sociale e con i veri interessi della cultura.
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IV IL LAVORO (1 ) 55. Diritto al lavoro (2 ): sua dignità. Risponde a un princ1p10 di giustizia naturale che ogni uomo possa attingere ai beni materiali disponibili sulla terra quanto necessario per un pieno sviluppo delle sue energie individuali e di quelle dei familiari ai quali egli deve provvedere. Una società bene ordinata deve dare perciò a ciascun uomo la possibilità di esplicare nel lavoro la sua energia e di conseguire un reddito sufficiente alle necessità proprie e della propria famiglia (3 ). 1 ( ) Estensori di questo capitolo furono Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni e Sergio Paronetto (dr. P. GIUNTELLA, Una rilettura, cit., p. 39). Il capitolo s'integra con l'art. 86 del capitolo VI «L'attività economica pubblica». (2) La ' dottrina sociale' classica partiva dall'affermazione del «dovere personale del lavoro imposto dalla natura» cui «corrisponde e consegue il diritto naturale di ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli» (Pro XII, Radiomessaggio e commemorazione del 50° della «Rerum Novarum », 1 giugno 1941, n. 18). Qui invece il procedimento è inverso: dal diritto di ogni uomo al lavoro ne deriva il dovere. Ritornerà all'impostazione tradizionale G. GoNELLA nella sua relazione, tenuta al I Congresso nazionale della Dc nell'aprile 1946 (cfr. Atti e documenti della Democrazia Cristiana 1943 -1967 , a cura di A. Damilano, Cinque Lune, Roma 1959, voi. I, p. 198): «il diritto al lavoro deve essere considerato in rapporto all'imperativo della legge naturale che impone all'uomo di lavorare. Ognuno ha il diritto di compiere il proprio dovere» . { 3 ) Per il Codice di Malines il diritto « del» lavoro discendente dall'obbligo di lavorare imposto a ciascun uomo non è da confondersi con il « diritto al lavoro », concetto condannato in quanto «consiste nel preteso diritto dell'individuo senza lavoro di rivolgersi allo Stato per esigere un'occup azione remuneratrice e un salario» (art. 88) . Anche Pio XI affermava limitativamente: «a coloro i quali possono e vogliono lavorare, si dia opportunità di lavorare» (Pro XI, Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, n. 75). Ma nel radiomessaggio natalizio del 1942 Pio XII dichiarava - fra gli altri diritti della persona umana - anche «il diritto di lavorare come mezzo indisp ensabile al mantenimento della vita .familiare». Commentava P. E. T A VIANI (Prospettive sociali, 1" ediz. cit.): «Questo principio del diritto di lavorare non può confondersi con quello quarantottesco di Louis Blanc. Infatti già nel radiomessaggio della Pentecoste il Papa aveva detto: ' Notate che .. . il diritto al lavoro viene imposto e concesso all'individuo in primo appello dalla natura, e non già dalla società, come se l'uomo altro non fosse che un semplice servo o funzionario della comunità. Dal che segue che il dovere e il diritto a organizzare il lavoro del popolo appartengono innanzitutto agli immediati interessati: datori di lavoro e operai '. Questa chiara discriminazione non risolve affatto la formula del messaggio pontificio in una mera affermazione di principio, la quale obblighi sì moralmente chi ha oggi il compito di dividere e distribuire il lavoro - cioè i capitalisti - ma che in concreto - ogni qualvolta i singoli facciano il loro comodo - non possa realizzarsi mediante l'intervento della società e
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Il lavoro Il lavoro, come mezzo voluto da Dio per il perfezionam ento della persona umana e per il dominio dell'uomo sul mondo ha una sua dignità che non può essere sminuita né dalla fatica che esso comporta né dalle particolari modalità con le quali esso deve essere svolto (4 ). Dal posto assegnato al lavoro nell'umana società, deriva all'uomo il dovere del lavoro, e ciò in via indipendent e dal fatto che egli possa trarre da altre fonti i mezzi che gli occorrono. Le nobili prerogative del lavoro, la sua funzione al tempo stesso individuale e sociale, il fatto che il rapporto di lavoro riguarda direttamente la persona umana, possono richiedere interventi della comunità (5 ) diretti a: 1) regolare l'esercizio dei diritti e in particolare del diritto di proprietà in modo da indurre anche quei membri della comunità che si limitano a trarre dalla loro proprietà i mezzi di sussistenza loro
dello Stato. I princìpi sociali del radiomessaggio del Natale, interpretato alla luce delle affermazioni contenute in quello della Pentecoste, sono molto di più che semplici moniti alla buona volontà e al senso di giustizia dei singoli, o inviti alla pubblica e privata beneficenza». Nel capitolo I delle Prospettive sociali dal titolo appunto «Il diritto di lavorare » Taviani così conclude: « Di fronte a questa situazione di fatto il problema investe tutto il regime economico della società (il Pontefice usa una espressione ancor più estensiva: ordine sociale): è il problema di una migliore giustizia sociale, di una migliore generale distribuzione economica». Altrettanto nette le Idee sulla Democrazia Cristiana, scritte per l'Italia settentrionale sulla montagna ligure piacentina da Taviani, allora membro del Cln, il governo clandestino della Liguria (autunno 1944) e riviste da Don Franco Costa, che collaborava con il movimento cospirativo. Le Idee sulla Democrazia Cristiana si trovano riprodotte nel già citato numero monografico di « Civitas », n. 2, 1984, pp. 57 sgg. Diffuse clandestinamente dalla Dc ligure in fascicoli ciclostilati, furono inviate anche in Piemonte, Lombardia e Veneto. Risulta che 300 copie ciclostilate vennero inviate il 18 febbraio 1945 da Taviani a Bo e Brusasca, che stavano a Milano nel Clnai (cfr. l'introduzione al numero di «Civitas » 2, 1984, cit. di G. B. Varnier, p. 26, nota 88). La loro diffusione, come pure il libro Prospettive sociali, diffuso pur esso cland estinamente, contribuirono (così G. BAGET Bozzo, Il Partito cristiano al potere, Vallecchi, Firenze, 1974, pp. 102-103) a orientare a sinistra sul piano sociale la linea della Dc dell'Italia settentrionale. Un altro documento significativo in proposito è il programma clandestino della Dc del Veneto: Essenza e programma della Democrazia Cristiana, dicembre 1944, di cui è autore GAVINO SABADIN, intimo amico e collega di cospirazione di Taviani con il quale si ritrovavano nelle periodiche riunioni clandestine della Dc Alta Italia a Milano. Cfr. la ristampa più recente in «Civitas », n. 2. 1984, cit., pp. 69 sgg. La linea della Dc dell'Alta Italia veniva ripresa da DE GASPERI, La parola dei democratici cristiani, (ora in G. DE RosA, I partiti politici in Italia, Minerva Italica, Bergamo 1980, p. 522): «Dall'universale riconoscimento del diritto al lavoro [... ] deriva che compito primario della politica economica deve essere quello di garantire a tutti la possibilità del lavoro» . Evidente l'influsso di queste impostazioni sul!' art. 4 della Costituzione: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società ». ( 4 ) L'art. 1 della Costituzione (« L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro») trova anch e qui le sue radici. (5) PIO XII aveva già detto (radiomessaggio del 1° giugno 1941, cit., n. 19) che «rientra nell'ufficio dello Stato l'intervento nel campo della divisione e della distribuzione del lavoro », ma solo nel caso in cui «datori di lavoro ed operai (... J non adempiano il loro compito [di organizzare il lavoroj e ciò non possano fare per speciali straordinarie contingenze».
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Per la comunità cristiana occorrenti ad assumere il peso e la responsabilità di un lavoro, ferma restando la libertà di adempiere al dovere del lavoro attraverso una libera scelta dello stato professionale; 2) creare condizioni perché ogni individuo professionalmente capace abbia possibilità di conveniente occupazione nei casi in cui tali condizioni vengano durevolmente a mancare indipendentemente dalla volontà dei lavoratori disoccupati; 3) consentire al lavoratore di partecipare effettivamente ed att~ vamente, attraverso appropriati istituti, alla formulazione delle .condizioni di lavoro ed alla determinazione dei criteri di retribuzione. Detti interventi sono giustificati da esigenze che attengono alla funzione individuale e sociale assolta dal lavoro e non soltanto da ri6 levanti, seppure opinabili, motivi di convenienza economica ( ). 56. Il lavoratore nella organizzazione produttiva: agricoltura e industria. Il lavoro è in sé in ogni caso mezzo di elevazione e di perfezionamento della persona; tuttavia questa provvidenziale possibilità varia notevolmente da lavoro a lavoro a seconda delle diverse modalità tecniche con le quali il lavoro stesso deve essere svolto. Tra le forme di attività economica nelle quali si armonizzano più naturalmente e più comunemente le esigenze tecniche ed economiche della produzione con le esigenze di sviluppo della persona del lavoratore, vanno ricordate quelle agricole, specie là dove il lavoratore è titolare di una impresa agraria familiare, dalla quale, con il concorso delle forze di lavoro disponibili nell'ambito della famiglia, egli può trarre un reddito adeguato ai suoi bisogni. Lo stesso può dirsi per le attività artigianali svolte nell'ambito della famiglia e della bottega. Si realizzano così quelle forme ideali di lavoro che trasformano l'attività economica, da mera ed impersonale applicazione di uno sforzo inteso a realizzare un particolare atto produttivo, in un'attività dove l'atto economico è perennemente vivificato e permeato dal senso di una piena responsabilità personale. Nella attività agricola così intesa, nella quale il lavoro manuale è accompagnato da una molteplicità di decisioni prese in piena indipendenza e da una intensa attività intellettuale e può anche integrarsi più facilmente con la meditazione e con lo studio, tutte le facoltà dell'uomo possono più spontaneamente applicarsi e svilupparsi. Appare quindi possibile realizzare in essa nel modo più esteso forme moralmente elevate di vita economica (7).
(6) Si lascia cadere del tutto il discorso sul «lavoro forzato» che ancora il Codice di Malines sviluppava con una certa ampiezza (art. 90) giungendo ad ammetterlo in determinati casi, per esempio nelle colonie. ( 7 ) Cfr. DE GASPER I, La parola, cit. , p. 524 e GoNELLA, Atti e documenti, cit., pp. 202-203.
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Il lavoro La natural e aspiraz ione dell'uo mo ad ottener e con minor sforzo e in maggio r copia i prodot ti atti a soddis fare le moltep lici esigenz e della sua vita h a peraltr o dato luogo in ogni tempo a forme di organizzazi one della produz ione nella quale gruppi anche molto numer osi di lavorat ori sono associati in una attività svolta second o una sola direttiva. L 'accent ramen to della produz ione di una collettività di lavorat ori in una sola unità produt tiva è fatto che se non può assume re, per ragioni natural i, rilevan ti propor zioni nell 'attività agricola, domin a invece la produz ione industr iale, nella quale detto accent rament o pèrme tte di moltip licare il rendim ento del lavoro umano . Sorgon o così stru tture organiz zative nelle quali, special mente quando esse compo rtano l'impie go di macch ine costose e comple sse, i compit i del lavorat ore devono essere analitic amente predet ermina ti e rigoros amente control lati: in tale situazi one l'uomo può esplica re solo una parte, talvolta molto piccola , delle moltep lici facoltà di cui Dio lo ha dotato. Ed il lavoro nella sua monot onia non è più efficac e strume nto di affinam ento della personalità del lavorat ore e in particolare del suo senso di iniziativa e di respon sabilità. Inconv enienti non lievi derivan o anche dall'ac centram ento nel1' ambito di una sola organiz zazion e di grandi masse di lavorat ori e dal collettivizzarsi della loro vita in una anonim a uniform ità . Tali gravi inconv enienti posson o essere elimina ti - come è testimoniat o dalla evoluz ione in corso nelle condiz ioni di molte classi lavoratri ci dei paesi più progre diti - attrave rso la riduzio ne delle ore di lavoro , l'integr azione del riposo festivo con period i più lunghi di vacanz e retribu ite e median te una approp riata organiz zazion e sociale che dia modo al lavorat ore di dedica re il tempo non impegn ato nel lavoro in attività atte ad elevare sempre più la sua person alità . In questa opera, che dovrà perme ttere anche al lavorat ore inserito in una rigida organiz zazion e produt tiva di svilupp are la sua vita personale e che dovrà quindi , in contra sto con le manife stazion i più moder ne della organiz zazion e produt tiva, rifuggire dalla uniform ità e dal livellam ento collettivistico , si manifesterà il senso di solidar ietà cristian a di tutti; essa costitu isce uno dei princip ali campi d 'azione delle comun ità interm edie (in partico lare delle associazioni profess ionali) e deve richiam are l'intere sse a ottener e il contrib uto delle aziende. E lo stato, quale suprem o tutore del bene comun e, deve promu overe e integra re questa comple ssa azione diretta a difend ere e a potenz iare la personalità del lavorat ore (8 ), concili andone le esigenze con quelle, pure confor mi al bene comun e, di trarre dalle risorse terrestr i, con i metodi più efficienti la maggio r copia possibi le di beni materiali. ( 8 ) Già Malines attribuiva allo Stato il compito della «protezio ne della vita umana» attra· verso la legislazio ne sociale (art . 153 ).
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Per la comunità cristiana 57. Elementi del giusto salario (9 ). La natura dei bisogni umani non consente di indicare in via assoluta la quantità di sussistenze indispensabile all'uomo, e quindi la retribuzione minima del lavoratore; non vi è dubbio, d'altro canto, che in una data situazione storica, le condizioni economiche generali indicano il livello di retribuzione 10 al di sotto del quale la giustizia sociale non permette di scendere ( ) . Quando vicende economiche o particolari andamenti aziendali non permettono di mantenere tale livello nei riguardi di gruppi di lavoratori, è doveroso un intervento dell'autorità inteso a modifìcare la ripartizione del reddito complessivo tra i membri della comunità, così da riportare le retribuzioni insuffìcienti a un livello non inferiore a quello giudicato equo. Risponde a giustizia che la differenziazione delle retribuzioni al disopra del livello minimo avvenga in rapporto al rendimento del lavoratore (11 ). Questo principio è il meglio atto a sviluppare le qualità individuali del lavoratore e concorre potentemente a fare del lavoro un effettivo mezzo di elevazione dell'uomo. Le condizioni in cui presentemente si svolge l'attività produttiva spesso non permettono ai singoli lavoratori di differenziarsi individualmente nell'esplicazione del proprio lavoro e dare così l'intera misura delle loro possibilità; in molti casi poi è diffìcile procedere a una concreta valutazione delle differenze di rendimento. Nel primo caso il passaggio a compiti meglio retribuiti dovrà essere agevolato ai lavoratori più meritevoli; nel secondo caso si dovranno adottare indici sostitutivi del rendimento quali sono l'età e l'anzianità nel lavoro. Ogni cura deve comunque essere data perché si addivenga a obbiettive valutazioni individuali delle prestazioni di ciascun lavoratore, onde alimentare in ogni momento il suo naturale senso di responsabilità individuale e permettere tra l'altro di commisurare la sua retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro fornito (12 ) . ( 9 ) Nell'argomentazion e è del tutto assente il riferimento alla necessità di un giusto salario in funzione, tra laltro, di «efficace difesa dell'ordine pubblico e della tranquillità sociale contro i seminatori di novità sowersive» (Pro XI, Quadragesimo anno, n. 63 ). ( 10 ) Pro XI (Quadragesimo anno, n. 67), ripetendo Leone XIII, scriveva che «il determinare la mercede secondo giustizia dipende da molte considerazioni» e accusava di «legge· rezza » chi pensava di aver trovato la formuletta per risolvere una volta per tutte il problema. Malines aveva definito il «salario vitale» come quello «che comprende la sussistenza del lavoratore e della sua famiglia, l'assicurazione contro gli infortuni, la malattia, la vecchiaia e' la disoccupazione » (art. 136). ( 11 ) Il discorso sui differenziali retributivi va ben oltre il generico cenno .di Pio XI a una indeterminata «giusta proporzione tra i salari» (Quadragesimo anno, n. 76). 12 ( ) «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro», recita la Costituzione all'art. 36. Il Codice di Malines (art. 138) e Pro XI (Quadrage· simo anno, nn. 70-76) avevano tentato, in modo però assai vago per quanto analitico, di individuare i fattori in base ai quali determinare il «giusto salario». Sulle complesse difficoltà di definire nella pratica il concetto di «giusto salario», permanendo il regime liberalcapitalistico, aveva insistito TAVIANI con articoli sui giornali cattolici L'Avvenire d'Italia di Bologna e Il Prospettive sociali, cit .. pp. 39-53. nuovo cittadino di Genova, ripresi
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Il lavoro Infine, in quanto i lavoratori di una azienda formano una comunità ordinata ad un obbiettivo comune, i lavoratori che volontariamente hanno accettato di farne parte hanno il dovere di adoperarsi per il buon andamento aziendale, anche al di fuori dello specifico compito ad essi assegnato; corrispondente mente occorre tendere a render partecipe la comunità dei lavoratori, con opportune forme tecniche, dei sopraredditi conseguiti dalla azienda (13 ). 58. Risparmio individuale e provvidenze della comunità per la disoccupazione, invalidità e vecchiaia del lavoratore. Il senso di responsabilità personale che manifesta nell'uomo l'autonomia e la dignità della sua persona impone al lavoratore di tener conto, nel distribuire tra i vari consumi i propri redditi, della necessità di provvedere per sé e per la propria famiglia alle eventualità non favorevoli che potranno verificarsi nella sua vita, in particolare per far fronte alle diminuzioni di reddito e agli aumenti di spese derivanti dalla mancata o inadeguata occupazione o da minorazioni fisiche che a motivo di vecchiaia, malattia o infortuni diano luogo a inabilità al lavoro temporanea o permanente, parziale o totale. Peraltro tali sfavorevoli situazioni nella vita del lavoratore comportano molto spesso degli oneri che eccedono le disponibilità finanziarie che può ragionevolmente accumulare un lavoratore anche congruamente retribuito, e che pure abbia fatto il possibile per coprirsi autonomamen te dai rischi che incombono su di lui. Le difficoltà che incontra il lavoratore a fronteggiare con le sole sue forze le avversità della vita sono rilevanti e spesso insormontabili nell'attuale stadio di organizzazione produttiva nel quale, per gran parte degli uomini, la prestazione di un lavoro è disgiunta dalla proprietà dei relativi beni strumentali. L'accumulazione dei frutti del lavoro non può risolversi in tal caso per il lavoratore in un potenziamento dei propri strumenti di lavoro e dà luogo invece, sempre che il salario lo consenta, a risparmio di denaro, che il lavoratore non può che affidare alla perizia e all'onestà di terzi, sul cui conto egli non ha modo di farsi direttamente un esauriente giudizio. In relazione a tali circostanze è doveroso l'intervento dell'autorità volto a: 1) tutelare il risparmio della comunità assicurando una corretta gestione degli istituti bancari, assicurativi e finanziari che hanno il compito di convogliare il risparmio monetario della collettività verso impieghi produttivi, assumendo con ciò la funzione che in una economia più semplice veniva svolta dallo stesso risparmiatore (14 ) ;
13 ( ) Non si prende in considerazione il caso, contemplato da PIO XI (Quadragesimo anno , n. 73) e dal Codice di Malines (art. 138), degli «esagerati salari ». 14 ( ) Questa notazione pare risentire della specifica, personale esperienza di P aronetto, che
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Per la comunità cristiana regolare il processo di ripartizione del reddito della comunità in vista di assicurare al lavoratore, anche con suo contributo, un complesso di prestazioni integrative della retribuzione che siano adeguate al grado di sviluppo civile ed economico della comunità e che consentano al lavoratore di superare in caso di disoccupazi one involontaria, malattia, infortunio e durante la vecchiaia situazioni avverse per sé e per la propria famiglia cui non ci si può ragionevolm ente 15 attendere che egli possa provvedere con :le sole sue forze ( ). E ciò alla privata e indipenden temente dall'opera della carità pubblica situazioni e diffìcoltà quale imprevidenz e e insufficienze di singoli, particolari e in genere gli infiniti casi che non possono rientrare in una considerazione d'insieme del problema, offriranno in ogni tempo 16 e in ogni luogo occasioni per provvidame nte esplicarsi ( ) . 2)
Le pensioni, gli assegni, i sussidi di invalidità, disoccupazi one involontaria e vecchiaia, dovrebbero tendere a che il lavoratore possa continuare a disporre del reddito di cui precedentem ente fruiva in via normale. Il loro ammontare dovrebbe in ogni caso tanto più avvicinarsi a tale livello quanto più basso esso era e quindi minori le riserve che il lavoratore, con il risparmio, avrebbe ragionevolm ente potuto costituire durante il periodo di piena occupazion e. In quanto tale risparmio venga obbligatoria mente conv-0gliato verso istituzioni di carattere assicurativo , queste, con l'applicazio ne del principio sopra detto, potranno garantire al lavoratore in ogni contingenza la continuità dei suoi redditi normali. L'opera degli istituti assicurativi, i quali per ragioni tecniche e finanziarie raggiungono spesso cospicue dimensioni, sarà tanto più provvida ed efficiente quanto più saranno adottate strutture organizzative decentralizzate, atte a consentire ai lavoratori di partecipare alla gestione dei fondi raccolti nel loro interesse e con il loro contributo (17 ) : con ciò verrà conseguito anche il risultato di affinare il senso di responsabilità individuale e di solidarietà sociale dei lavoratori e di esercitarli a una sempre più intensa partecipazio ne alla vita sociale.
all 'Iri , come collaboratore di MenicheUa, si era a lungo occupato anche del «riordinamento » del sistema bancario. spetta una fun( 15 ) È qui superata l affermazione secondo cui, in questo camp o, allo Stato zione di mera supplenza (cfr. Codice di Malines, art. 161 ). Anche DE GASPERI (La parola, cit. , p. 523 ) aveva sostenuto che l assistenza sociale dovesse essere «contrattualmen te garantita ». moderno che qui si ( 16 ) È concettualmente assai interessante, e nuovo, il raccordo tutto istituisce tra carità e previdenza sociale. sostenute e ( 17 ) Il Codice di Malines aveva proposto «Casse professionali di assicurazione, gestite insieme da padroni e operai di professione, sotto l'ispirazione e l'appoggio dei poteri pubblici » (art. 137). Il principio dell '« organismo semplifi cato » e della «gestione decentrata » per le assicurazioni sociali è presente in tutti i documenti programmatici della Dc: cfr. a esem pio Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, ora in «Civitas», n. 2, 1984, cit., pp. 33 sgg.
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Il lavoro 59. Tutela della salute fisica del lavoratore. È dovere ed in genere è anche interesse della comunità tutelare e rafforzare la salute fisica dei suoi membri. È dovere in linea generale per il rapporto di solidarietà sociale che lega gli uomini tra di loro, in linea particolare perché la comunità beneficia spesso di prestazioni che i lavoratori sono costretti a dare in condizioni non favorevoli alla loro salute per quanto riguarda sia le modalità del lavoro prestato, sia le abitazioni disponibili nel luogo ove il lavoro viene effettuato. È poi interesse della comunità, in quanto il costo sociale di una illuminata opera di tutela della salute pubblica può risultare inferiore al costo sociale del minore rendimento economico di una popolazione fisicamente minorata . La comunità deve quindi tener conto che le vaste possibilità di cure offerte dal progresso della scienza medica non possono essere utilizzate dai singoli se non sopportando spese rilevanti, che spesso eccedono le disponibilità finanziarie del lavoratore anche se congruamente retribuito e che pur si faccia carico, come è suo dovere, di tener conto, nella erogazione dei propri redditi, delle eventualità non favorevoli della sua vita. La comunità deve quindi adoperarsi affinché tutti i propri membri siano posti in condizioni di tutelare la propria salute e di ricevere, quando questa sia compromessa, la necessaria assistenza medica e chirurgica (18 ) . L'organizzazione che a tale fine sarà predisposta dovrà rifuggire da ingiustificate centralizzazioni; ed opponunamente essa potrà essere enucleata intorno alle minori comunità professionali, aziendali e locali alla cui vita il lavoratore è direttamente interessato. Per la vita degli enti così creati, ai lavoratori non si dovrà chiedere soltanto un contributo economico, ma si dovrà consentire loro ed anche chiedere una attiva personale partecipazione: ciò oltre che ridurre le inefficienze degli organismi all'uopo creati, varrà ad esercitare in una attività concreta lo spirito di solidarietà e il senso di responsabilità di coloro che vi partecipano. 60. La donna e il lavoro svolto fuori dell'ambito familiare - Il salario e la famiglia. L'accentramento della produzione nella fabbrica, alla cui attività i lavoratori non possono partecipare che individualmente, ha avuto tra l'altro come conseguenza di diminuire l'importanza della famiglia considerata come unità produttiva. Il fatto che il capo di famiglia debba ricercare le fonti di sostentamento all'infuori dell' ambito familiare, diminuisce per gli altri
{ 18 ) La Costituzione stabilisce che « la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» (art. 32).
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Per la comunità cristiana membri della famiglia la possibilità di svolgere att1v1ta produttiva nell'ambiente della famiglia stessa e limita spesso alle sole cure domestiche l'attività che le donne possono svolgere (19 ). Le famiglie dei lavoratori impiegati presso terzi utilizzano solo parzialmente le forze di lavoro di cui la comunità familiare dispone: il reddito del capo famiglia può risultare allora insufficiente ai bisogni familiari. Per di più, ove manchi per morte, malattia od altro motivo il reddito di lavoro del capo di famiglia, la donna non può in alcun modo supplire a tale mancanza sostituendosi, sia pure parzialmente, nell'attività svolta dal capo di casa. Il dovere che compete ad ogni persona di procurarsi i mezzi necessari per la propria vita e per quella dei familiari si risolve quindi oggi in misura sempre più larga nella necessità per la donna di ricercare una occupazione all'infuori dell'ambito familiare. Questo fenomeno, in quanto toglie la donna dalla casa, nella quale essa deve svolgere la sua missione di madre e di educatrice, in quanto le attribuisce in certi casi dei compiti cui essa per la sua natura è fisicamente e spiritualmente inadatta ed in fine in quanto priva la personalità della donna, per buona parte della giornata, dell'impareggiabile presidio costituito dalla propria casa, trasferendola nei più svariati ambienti a lei estranei, suscita un problema tra i più gravi e delicati del tempo presente (20 ) . L'impiego della donna fuori della propria casa, ove non vengano osservate certe condizioni, può infatti compromettere lo sviluppo e la vita stessa della famiglia e con esso l'instauraziòne di un sano ordinamento sociale, del quale l'integrità della famiglia è condizione pnma. L'obbiettivo di tutelare sopra ogni altra cosa la missione che la donna è chiamata a svolgere nella propria casa, si pone quindi come esigenza essenziale di difesa del bene comune: tale fondamentale presupposto esige che la donna madre di famiglia non sia costretta ad abbandonare il focolare domestico per ricercare in una occupazione presso terzi un'integrazione del reddito del capo famiglia. E poiché, ove alla madre di famiglia fosse preclusa la possibilità di conseguire un reddito fuori di casa, non si potrebbe esigere dall'azienda che il salario del capo famiglia fosse commisurato sempre alle sue necessità familiari, la difesa del bene comune richiede che la collettività intervenga nel processo di distribuzione del reddito so19 ( ) Va rilevata la consapevolezza che il lavoro casalingo della donna non consiste solo nella buona tenuta della casa e nella cura dei figli, ma è stato per tempi immemorabili svolgimento di certe attività economiche che ora la mutata struttura produttiva aveva fa tto tramontare. Cercare quindi un lavoro fuori casa è il modo obbligato per ricostituire una cessata fonte di reddito. In questa luce, e non solo in punta di principio, il fatto deve essere valutato. (2°) Il tono è diverso da quello usato da Pro Xl nel definire il lavoro extra-domestico delle donne «una pessima abitudine, che si deve con ogni sforzo eliminare» (Quadragesimo anno , n. 71 ).
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Il lavoro ciale con il fine di attribuir e al capo famiglia una integrazi one di retribuzion e adeguata alle sue necessità familiari (21 ), tale da non costringere la madre ad abbando nare la sua casa e a trascurar e la missione cui è chiamata. La collettività deve inoltre assicurare una · nuova fonte di reddito alla famiglia quando a questa venga a mancare quella fornita dal lavoro del suo capo, e altri membri della famiglia stessa non siano in grado di sostituirsi al capo con il proprio lavoro. Motivi così gravi di incompa tibilità con una occupaz ione svolta fuori della propria casa non sussistono evidente mente per la donna che non sia madre di famiglia o che per l'età dei figli possa ritenere esaurita la parte più delicata della sua missione di educatric e. Assume in questo caso importan za premine nte la consider azione che anche la donna, non meno dell'uom o, trova nella vita operosa un mezzo di elevazione e un presidio all'auton omia della propria persona, mentre nell'ozio di una vita non intensam ente impegna ta neppure da cure domestic he sta il rischio di gravi cadute. La comunità , che nell'unit à produtti va famigliare ha chiesto anche alla donna il concorso del suo lavoro, non potrebbe senza danno, avendo mutato la organizzazione produtti va, rinuncia re a chiedere in altre forme tale concorso. Infine non va dimentic ato che molte attività caratteri stiche dell'econ omia produtti va moderna e non assolvibili che lontano dal focolare domestic o possono più opportun amente essere assunte dalla donna che dall'uom o. L'impieg o della donna isolata dalla famiglia alle dipenden ze di terzi è fatto quindi abituale nella società moderna : esso deve però avvenire in condizio ni che tutelino la personal ità fisica e morale della donna in vista di conservare intatte le prerogat ive che la donna ha ricevuto da Dio per assolvere la missione familiare. 61. La casa, elemento di difesa e di sviluppo della personalità del lavoratore. La disponib ilità da parte del lavorato re di una casa nella quale egli possa vedere degname nte allogata la propria famiglia e adempie re adeguata mente al suo compito di capo e di educator e della società familiare e alla quale si senta attratto oltre che dal legame familiare e dalla prospetti va di un sano riposo, anche dalla possibilità di sviluppa re la propria naturale operosità in occupaz ioni alle quali egli sia particola rmente portato, costituisce il mezzo più efficace per tutelare e potenziare la personal ità del lavoratore, che l'or-
( 21 ) Il Codice non si limita all 'affermazion e del «salario fa miliare» come salario «in ogni caso sufficiente ad assicurare [al lavoratore] e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa » (Costituzione italiana, art. 36; cfr. anche Quadragesimo anno, nn. 71-72). Il problema viene anche affrontato dal punto di vista dell'azienda, e allora emerge la soluzione degli «assegni familiari» , cui era già dedicato un cenno nel Codice di Malines, art. 13 7, e che sarebbe poi stato riproposto anche da GoNELLA, Atti e documenti, cit., p. 199.
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Per la comunità cristiana ganizzazione produttiva moderna talvolta mortifica nei propri vincoli livellatori. Il lavoratore staccato dalla famiglia per la parte migliore della giornata e aggregato a masse in genere numerose e fluttuanti di altri lavoratori spesso a lui estranei, può applicare nel lavoro una parte soltanto delle molteplici facoltà di cui Dio ha arricchito la persona umana; per questo egli deve poter trovare nella propria casa elementi sufficienti per ridare una armonia fisica e spirituale alla sua vita: fra tali elementi importanza rilevante assume per molti la disponibilità di un terreno nel quale la famiglia del lavoratore possa svolgere una certa attività agricola, stimolatrice sempre di elementi fisicamente e moralmente risanatori, fonte spesso di apprezzabili integrazioni del reddito principale del capo famiglia. Ai vantaggi attinenti alla disponibilità da parte del lavoratore di una degna abitazione, altri se ne possono aggiungere dando modo al lavoratore di divenire proprietario di una casa adeguata ai bisogni della sua famiglia: la proprietà del luogo nel quale il lavoratore gode i frutti del suo lavoro consente all'uomo di ofdinare più stabilmente gli elementi da cui dipendono l'affermazione della sua personalità e il benessere della sua famiglia e costituisce quindi uno stimolo ulteriore a sviluppare i propri valori individuali. Alla soluzione del problema, particolarment e grave nell'attuale situazione storica, di dare al lavoratore la disponibilità di una degna abitazione devono essere rivolte le migliori energie sia delle aziende sia della collettività, che dovrà favorire e promuovere ogni iniziativa in tal senso e, se occorre, provvedere direttamente. E le soluzioni adottate dovranno tener conto della opportunità che delle case così apprestate i lavoratori possano divenire proprietari, evitando peraltro che ciò avvenga a condizioni che menomino la libertà del lavoratore di cessare il suo rapporto di lavoro con l'azienda e di ricercare in una nuova occupazione un campo che egli ritenga più adatto. 62. Il decentramento urbano, condizione per una sana vita familiare e sociale del lavoratore. L'accentramen to di gran numero di attività produttive e di organismi pubblici e privati in un solo luogo non permette di dare soddisfacente soluzione al problema dell'abitazione del lavoratore oppure rende inefficaci le soluzioni adottate in quanto, ponendo la casa del lavoratore in luoghi lontani da quelli di lavoro, lo costringe ad impiegare in estenuanti trasferimenti quotidiani il maggior tempo lasciato a sua libera disposizione dalle riduzioni di orario consentite dalla organizzazione produttiva moderna. L'urbanesimo è fonte poi di altri gravi, dolorosi inconvenienti: tra l'altro esso, isolando il lavoratore dalle varie comunità locali e professionali alle quali egli dovrebbe interessarsi, ne mortifica il naturale senso di socialità e d'altro canto impedisce quel fervido sviluppo delle minori 110
Il lavoro comunità intermedie che costituiscono il più valido presidio della libertà (2 2 ). Accentrame nto della produzione nella fabbrica e urbanesimo , se sono due fatti storicament e legati, il secondo come effetto in gran parte del primo, non sono due fenomeni necessariam ente connessi. L'urbanesim o comporta anzi dei costi sociali che in molti casi eccedono certamente il totale dei benefici che le singole aziende ritengono di conseguire, ognuna dal proprio punto di vista, accentrando si in determinate località: in tali casi un decentrame nto o quanto meno un arresto del processo accentratore è senza dubbio anche economicamente conveniente. Tale convenienza, non potendo essere sentita dalle singole aziende, legittima sotto ogni riguardo e quindi impone interventi dell'autorità . In altri casi la convenienza economica del decentrame nto appare dubbia o addirittura inesistente, in quanto i costi sociali dell' accentramento urbanistico sono reputati inferiori ai benefici che le aziende conseguono accentrando si in un solo luogo. Anche in questo caso peraltro un intervento dell'autorità che, prescindendo dai risultati di un calcolo di stretta convenienza economica, sia inteso a limitare od anche a invertire la tendenza accentratrice può essere giustificato dalla esigenza del bene comune, minacciato, a prescindere dagli altri gravi inconvenien ti sopra ricordati, in uno dei suoi elementi essenziali: l'integrità fisica e moràle dei lavoratori e delle loro famiglie ostacolati nella naturale aspirazione di attuare una sana vita familiare. 63. L'uomo e la macchina. La naturale tendenza dell'uomo ad ottenere con minor sforzo e in maggior copia i prodotti occorrenti per soddisfare i suoi bisogni si è manifestata, in gran parte dei settori produttivi, attraverso continue invenzioni di nuovi tipi di beni strumentali e un progressivo aumento delle dimensioni e della complessità dei beni strumentali preesistenti . Ricerca scientifica, progresso tecnologico , evoluzione nelle concezioni organizzative, indicano sicuramente che tali due tendenze sono tuttora in atto: e la seconda, l'aumento di dimensioni, potrebbe anzi potentemen te svilupparsi quando cadendo o anche attenuandos i le barriere che impediscon o a tutti i popoli di partecipare alla utilizzazione dei beni della natura, sorgesse la convenienza di costruire beni strumentali aventi dimensioni in cui tutte le risorse della scienza, ( 22 ) Compare una originale connessione fra due temi tipici del movimento sociale cattolico, la polemica (normalmente però svolta su toni moralistici) contro l'urbanesimo e la forte rivendicazione delle autonomie locali. Va pure osservato che l'intero articolo, come quelli immediatamente precedenti e seguenti, investono i varii aspetti del problema fondamentale di « deproletarizzare la classe operaia»: verranno ripresi dal Codice di Camaldoli con un preciso richiamo all'esigenza dell'intervento pubblico, all'art. 86 del capitolo VI.
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Per la comunità cristiana delle tecnologie e della tecnica organizzativa possano essere pienamente applicate. Il contributo dei beni strumentali all'ottenimento dei beni di consumo va quindi continuamente aumentando rispetto al contributo rappresentato dall'opera dell'uomo: d'altra parte tale opera viene richiesta con modalità nuove e continuamente mutevoli, mentre vengono a cadere taluni ordini di compiti che tradizionalmente erano svolti dall'uomo e che gradualmente sono assunti dalla macchina. La diffusione della macchina ha effetti molteplici sulla natura del lavoro umano: da un lato l'uomo viene sollevato da compiti gravosi che erano nocivi alla sua personalità fisica e spirituale, mentre fra i compiti nuovi molti ve ne sono che indubitatamente affinano le facoltà più elevate del lavoratore in misura non minore delle più nobili attività artigianali. D'altro lato le condizioni in cui si svolge talvolta l'industria moderna e la natura di taluni ordini di compiti che sono affidati al lavoratore hanno dato luogo e potranno ulteriormente dar luogo a situazioni di grave pericolo per l'integrità fisica e spirituale del lavoratore (23) . In tale situazione sterile astrattismo è deprecare genericamente le ricordate tendenze della tecnica industriale moderna ed ostacolarne le manifestazioni più vistose, quali sono il taylorismo, la razionalizzazione, l'organizzazione scientifica del lavoro, la normalizzazione ecc. Di fronte all'aumento della popolazione terrestre, alla entità e alla natura dei bisogni fondamentali che restano tuttora insoddisfatti presso vasti ceti della popolazione, non sarebbe lecito condannare o contrastare una tendenza che consente di utilizzare più completamente i beni da Dio profusi sulla terra. Nella situazione complessa, ricca di elementi contrastanti e soggetta tuttora a una profonda evoluzione, un obbiettivo assume importanza pregiudiziale su ogni altro: la tutela della persona umana. In relazione a tale fondamentale presupposto ·i vantaggi portati nel campo del lavoro dalle nuove strutture produttive non possono far dimenticare né considerarsi un compenso degli svantaggi che, nello stesso tempo, esse recano ad altri lavoratori. Ove quindi le condizioni in cui si svolge l'attività produttiva siano specificatamente dannose per determinati lavoratori si deve far opera ' perché esse siano modificate in vista di eliminare tale danno, quali che ne siano gli effetti sulla produzione. Inoltre, nella organizzazione del lavoro di fabbrica, nella determinazione delle sue modalità di esecuzione e della sua durata, e nello sfruttamento delle possibilità offerte dalle tecnologie, la ricerca dei massimi rendimenti deve conciliarsi con l'esigenza di creare un am(
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art. 91.
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Cenni assai più sommari su questa problematica si trovano nel Codice di Malines,
Il lavoro biente nel quale sia favorita una sana oltre che efficiente esplicazione dello sforzo produttivo, si tenda ad annullare il rischio di infortuni e in genere si tuteli prima di ogni altra cosa l'integrità fisica del lavoratore. 64. Orientamento professionale del lavoratore. La moltiplicazione dei tipi di beni strumentali e la loro crescente complessità fanno continuamente sorgere per il lavoratore nuovi tipi di compiti che comportano spesso prestazioni psichiche e fisiologiche diverse da quelle tradizionali: può così avvenire, ed è spesso avvenuto, che tali compiti si rivelino nocivi alla salute del lavoratore oppure richiedano, per poter essere svolti senza danno, determinate attitudini, oppure un particolare addestramento o allenamento. Deve assolutamente evitarsi, quali ne siano gli effetti sulla produzione, che al lavoratore siano richiesti compiti che eccedano le sue capacità psichiche e fisiologiche : con il sussidio della psicologia e della fisiologia del lavoro, e in generale della medicina del lavoro, tale obbiettivo si consegue sia fornendo al lavoratore indicazioni utili ad orientarlo nella scelta della professione, sia procurando lo sviluppo delle attitudini richieste per la esecuzione dei compiti comportati dalla professione alla quale è stato ammesso. L'azione dello stato e delle altre comunità volte a orientare l'avviamento professionale dei giovani, ferma restando la libertà della famiglia e dei singoli nella scelta della professione, può essere in tale situazione di grande vantaggio per il bene comune.
65. Specializzazione dei lavoratori e piena utilizzazione delle loro capacità. La moderna organizzazione della produzione comporta una grandissima differenziazione nei compiti assegnati ai lavoratori e la necessità di una selezione per le specifiche attività che essi devono svolgere. A tale specializzazione si perveniva un tempo esclusivamente per via empirica attraverso un tirocinio fatto dall'apprendista al suo posto di lavoro sotto la guida di capi: ora invece le specializzazioni sempre più numerose e sempre più profonde vengono in buona parte conseguite attraverso l'istruzione professionale (24 ) impartita prima ai giovani in apposite scuole, poi al lavoratore in specifici corsi di tirocinio svolti specialmente nell'ambito aziendale, interaziendale o ad opera delle associazioni professionali (25 ). La gamma delle specializzazioni si è fatta estesissima e tende a ( 24 ) Anche DE GASPERI, La parola, cit., p. 524, chiede di « dare il massimo incremento all'istruzione tecnico-professionale per giovani operai e contadini, per specializzati e capo-tecnici». ( 25 ) Il Codice di Malines poneva la formazione professionale al primo posto fra le attribuzioni dei «raggruppamenti corporativi», affermando che in questo campo «lo Stato non può esercitare che una funzione ausiliaria» (art. 66 ).
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Per la comunità cristi'ana svilupparsi sempre più: sorge così un nuovo elemento di delicatezza nella posizione del lavoratore che spesso fin dai banchi della scuola viene orientato verso una particolare professione. Col passare del tempo e l'accumularsi delle cognizioni e delle esperienze, mentre si approfondiscono le sue attitudini, si restringe sempre più il campo nel quale queste possono essere pienamente applicate. Dalla profonda conoscenza di un particolare mestiere il lavoratore trae indubbiamente motivi per valorizzare la sua persona; peraltro la lunghezza del periodo occorrente per apprendere un altro mestiere limita in maniera molto grave le sue possibilità di cambiare di occupazione senza peggiorare la sua posizione nell'organismo sociale e senza veder annullati i frutti di lunghi artni di studio e di esperienza. Alla situazione di maggior rischio in cui si trova sotto questo riguardo il lavoratore dell'industria moderna non deve essere dedicata minor attenzione che agli altri due fenomeni della monotonia del lavoro e della sua eventuale insalubrità: e ciò specialmente per valutare il fenomeno della disoccupazione e della inadeguata utilizzazione delle forze di lavoro disponibili. Tali fatti della vita del lavoratore non sono attribuibili a sua ignavia, ma alla maggiore rigidità ·dell' organizzazione odierna della produzione, incapace di assorbire senza gravi ripercussioni economiche e sociali le fluttuazioni della produzione e in particolare di utilizzare in tali fasi, fuori del loro campo, parte dei lavoratori disponibili. Tale situazione oltre che richiedere l'interessamento della comunità nei problemi dell'orientamento professionale, può imporre nelle fasi di profonda e rapida trasformazione economica e sociale un intervento dello stato e delle altre comunità inteso a facilitare un assestamento delle forze di lavoro disponibili in strutture produttive diverse da quella esistente o di essa più confacenti al bene comune. 66. Azionariato del lavoro, cooperazione e partecipazione dei lavoratori. La attribuzione ai lavoratori della proprietà dell'azienda nella quale sono occupati - manifestazione integrale dell'azionariato del lavoro - o la loro associazione in cooperative di produzione e lavoro sono istituzioni auspicabili in quanto portano al più alto grado la solidarietà fra lavoratori e azienda e al tempo stesso, elevando il lavoratore al grado e alla funzione di proprietario, ne affinano il senso di responsabilità. L'istituzione e l'avviamento di cooperative di produzione e lavoro devono pertanto essere favorite con opportune provvidenze tutte le volte che le condizioni tecniche del processo produttivo lo consentano e a condizione che siano salvaguardate in ogni caso le norme di una sana gestione e che la vita economica delle aziende cooperative non sia fondata sulla concessione di privilegi di diritto o di fatto. Le altre forme di organizzazione aziendale nelle quali i lavoratori anziché attribuirsi la totalità dei redditi e della responsabilità di ge114
Il lavoro stia e vi partecipano secondo combinazioni varie insieme ai capitalisti, sono da favorire in confronto della forma dominante che attribuisce redditi e responsabilità, nella loro interezza, ai soli capitalisti. Una sostanziale èffettiva partecipazione dei lavoratori al governo dell'azienda può attuarsi con carattere di generalità solo nella produzione agraria, nella quale, quando non convenga senz'altro promuovere la formazione della piccola proprietà coltivatrice, si può, sia attraverso la cooperazione sia con altre forme di conduzione agricola (mezzadria, colonìa parziaria, compartecipazione collettiva, ecc. ) portare direttamente il singolo lavoratore ad occuparsi efficacemente dei problemi generali della gestione aziendale. Nella produzione industriale invece la generalizzazione dell'azionariato del lavoro può incontrare maggiori difficoltà e riuscire meno efficace: nelle grandi aziende dove migliaia di lavoratori collaborano a un'attività estremamente complessa che sfugge alla loro diretta esperienza, esso può ridursi a manifestazione poco più che formale; e d'altra parte nelle piccole e nelle medie aziende l'azionariato del lavoro può sminuirne l'efficienza, in quanto ne menoma l'unità di comando e il carattere personale che costituiscono gli elementi di maggior forza di tali aziende. Attraverso l'azionariato del lavoro non si perviene quindi facilmente a stimolare il senso di responsabilità del singolo lavoratore in forme che in qualche modo ricostituiscano nel salariato gli elementi più favorevoli allo sviluppo della persona che si ravvisano nella figura del proprietario e dell'artigiano. · In tale situazione, occorre evitare che auspicando genericamente una larga adozione dell 'azionariato del lavoro, si rinunzi a realizzare altre forme di rapporti tra azienda e lavoratori, che interessando individualmente ciascun lavoratore alla gestione dell'azienda nell'ambito della sua personale esperienza, diano effettivamente modo alla sua personalità di affermarsi e di perfezionarsi e alla comunità aziendale di ricevere da ciascun lavoratore, in un clima di maggiore solidarietà, un sostanziale contributo per un migliore andamento (2 6 ). (26) La rivendicazione dell'azionariato operaio fu un punto tipico del programma del cattolicesimo sociale. Essa compare ancora nella Quadragesimo anno , di Pw XI, n. 66: «Nelle odierne condizioni sociali, stimiamo sia cosa più prudente che, fin dove è possibile, il contratto del lavoro venga temperato alquanto col contratto di società ... Così gli operai diventano cointeressati o nella proprietà o nella am ministrazion e, compartecipi in qualche misura degli utili ri-
cavati».
La posizione del Codice di Camaldoli è invece, in proposito, chiaramente critica. È questa una grossa, importante novità, che dimostra il realismo e lo spirito innovatore a cui Paronetto, Saraceno, Vanoni e i loro amici e collaboratori decisero di improntare il nuovo Codice. Una posizione ancora più critica nei confronti delle proposte di azionariato operaio veniva espressa nettamente in S. PARONETTO, Prospettive sulla partecipazione operaia alla gestione dell'azienda, in «Studium», a. XL (1944), n. 1-2 , pp. 36-37. Tali proposte vi erano giudicate, nella migliore delle ipotesi, « illusorie mete la cui conquista lascerà insoddisfa tti e delusi i lavoratori per la sua inconsistenza economica e morale » e, nella peggiore, «espedienti accettati o propugnati da taiuni datori di lavoro o da loro più o meno consapevoli interpreti, per eludere altre più vere e sostanziali rivendicazioni dei lavoratori, o per meglio assicurarsi, con mezzi politici, la difesa di
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)
Per la comunità cristz1a a pos1z10ni di privilegio». Un effetto di queste posiz10ni di Paronetto s1 scorge anche nei ocumenti programmatici della Dc, ricordando come De Gaspen tenesse m conto i consi li del giovane funzionario dell'Iri. Mentre le Idee ricostruttive, cit. promettevano seccamente che sarebbe stata «attuata la panecipazione con titolo giuridico dei lavoratori agli utili , alla gestione e al capitale dell'impresa» (p. 37 ), La parola , cit., pur continuando a indicare nell 'azionariato operaio <<Una meta degna dei nostri sforzi più costanti», affermava che esso «trova specie in alcuni amici dell'alta Italia, salariati e imprenditori, degli apostoli convinti, mentre altri sono meno certi della sua efficacia o per lo meno dubitano della possibilità di applicarlo su vasta scala» (p. 523 ). Ma anche nell'Italia del Nord c'era - fra i democratici cristiani - chi aveva messo in guardia contro posizioni troppo fideistiche circa la partecipazione al profitto e lazionariato operaio. Già P. E. TAVIANI, in articoli su L 'Avvenire d'Italia e nelle Prospettive sociali, cit. scriveva (pp. 37-38): «L'azionariato operaio e la partecipazione al profitto possono anche riuscire, sul piano del capitalismo individualista, un buon criterio per una meno ingiusta ripartizione degli utili; possono contribuire a elevare una determinata categoria di lavoratori e favorirne laccesso degli elementi migliori alla classe superiore; ma non possono essere la chiave di volta per risolvere la questione sociale». Questa posizione, condivisa da Ferrari Aggradi, si differenzia da quella dei neoguelfi di Malvestiti, e risente dell'infhienza di Paronetto e Saraceno, considerati da Taviani e da Ferrari Aggradi « maestri esperii e geniali». Di questa posizione si ha traccia nelle già citate Idee sulla Democrazia Crùtiana , che accennano anche al diritto del lavoratore industriale di partecipare, dove sia possibile, agli utili dell'impresa (partecipazione al profitto) o alla sua proprietà (azionariato operaio). Quella precisa limitazione «dove sia possibile», in un tempo di euforia socializzatrice risente chiaramente dell'insegnamento di Paronetto e di Saraceno. Si tenga conto che le Idee sulla Democrazia Cristiana dei democristiani liguri erano largamente più aperte sul piano sociale delle Idee ricostruttive. Nonostante ciò, si manteneva con quel « dove sia possibile» una posizione di maggiore prudenza circa la partecipazione al profitto e l'azionariato che non nelle stesse Idee ricostruttive. È da notare che, mentre il Codice di Malines si diffonde sulle prospettive, peraltro assai poco realistiche, dell'azionariato operaio, il Codice di Camaldoli, come vedremo più avanti, nel capitolo V sul!' economia, all'art. 77, ultimo comma, è in proposito assai cauto e perfino dubitativo. Meno dubitativo, ma pur sempre cauto, sarà infine GoNELLA (Atti e documenti, cit., p. 199). Egli afferma che «devono essere promosse forme concrete di parteczpazione dei lavoratori... all'amministrazione, alla gestione e ai benefici dell'impresa, senza scardinare le imprese né scoraggiare quella libera iniziativa di cui beneficiano gli stessi lavoratori». Insomma è un mito che coraggiosamente viene abbandonato, come si vedrà anche in altri articoli dei capitoli sulla economia (per esempio quello sulle cooperative). Bisogna peraltro fare attenzione a non confondere questo tema specifico della partecipazione operaia agli utili e dell'azionariato operaio con l'argomento di ben altro respiro della «partecipazione». I problemi della partecipazione o, più esattamente, della democrazia partecipativa in politica e del solidarismo partecipativo nell'economia, investono ormai, specie dopo gli sviluppi delle discussioni, delle proposte e degli approfondimenti degli anni settanta, tutto i] sistema politico ed economico dello Stato e della società, e non possono certo risolversi e ridursi nei due citati istituti particolari e semplicistici, che negli attuali sistemi economici risultano, almeno in moire delle grandi aziende industriali, inapplicabili. Sul complesso e fondamentale problema della « panecipazione », che investe tutto il sistema politico sociale, si veda: A. FANFANI, Capitalismo, soczalità, parteczpazione, Mursia, 1976 e l'enciclica di GIOVANNI PAOLO II, Laborem exercens, in particolare III, 14. Sempre a proposito di «partecipazione », e per restare nel campo dell'economia , deve osservarsi che il Codice di Camaldoli è stato scritto - come rileveremo più avanti, nella nota all'art. 94 - alla vigilia di quella che fu giustamente definita la «rivoluzione industriale». Sottolineiamo questo aspetto, perché le prospettive della partecipazione si presentano ben più ampie e soprattutto più facili nel settore del terziario, che ormai oggi ( 1982) sta già prorompendo e, secondo le ulrime statistiche, supera largamente, come numero di lavoratori impiegati, i] numero dei lavoratori dell'industria. Gli istituti della partecipazione agli utili e dell'azionariato compartecipe dei lavoratori risultano spesso utopie quando si pensi di applicarli, in un sistema democratico, ai grandi complessi industriali. Invece, così come sono sempre stati applicabili nel vetero artigianato, nella piccola industria e nell'agricoltura intensiva specializzata, risulrano sempre più applicabili ed efficaci nelle infinite espressioni del moderno terziario. Qui sta, e non in anacronistiche resurrezioni di dottrine, prospettive, esperimenti ormai superati, il vero grande awenire della partecipazione, del solidarismo partecipativo in economia.
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Il lavoro
Tra le forme atte a far partecipare effettivamente il lavoratore alla gestione aziendale si ricordano (27 ): 1) l'istituzione di organi quali i consigli di azienda e di sistemi atti a promuovere il senso di iniziativa dei singoli lavoratori e ad utilizzare i contributi che per tale iniziativa possono venire al miglior andamento della produzione; 2) la partecipazione alla nomina degli organi di controllo del1' amministrazione, nomina che è ora generalmente riservata alle stesse forze che già designano gli amministratori; 3) l'istituzione più estesa possibile ed il perfezionamento continuo di forme di salari a rendiment_o, sia individuali che collettivi, tali che i lavoratori vedano una chiara ed equa corrispondenza tra la retribuzione e il lavoro da ognuno di essi svolto, non siano posti in posizione di antagonismo rispetto ai compagni di lavoro e non vedano devoluto solo all'azienda, attraverso variazioni delle tariffe di cottimo, il frutto della loro maggiore laboriosità; 4) la partecipazione alla formazione delle norme disciplinari e dei regolamenti interni ed agli organi incaricati di applicare le norme stesse; 5) la gestione degli istituti aziendali che hanno per fine l'elevazione e l'assistenza dei lavoratori, quali le istituzioni mutualistiche di cura, le mense, gli spacci, gli istituti di educazione, i luoghi di svago e di riposo e le opere sociali in genere.
Tutte le forme di partecipazione e di collaborazione tra i divàsi protagonisti del fatto produttivo dovranno tendere a costituire nell'azienda una operante comunità di lavoro nella quale siano rispettate le singole personalità, attribuendo a ciascuno una sua sfera di autonomia e perciò di responsabilità e siano al tempo stesso soddisfatte le esigenze della organizzazione, della gerarchia e della disc~plina. 67 . Fini delle associazioni professionali (28 ). La libertà di associazione per tutte le categòrie professionali di datori di lavoro, lavora(2 7 ) Questi ulteriori suggerimenti di « forme atte a far partecipare effettivamente il lavoratore alla gestione aziendale» dimostrano come gli estensori del Codice di Camaldoli e i loro amici e collaboratori, nel momento stesso in cui abbandonarono coraggiosamente i vecchi miti della fine Ottocento, superati dalla realtà del!' economia industriale, intendevano tenere ben fermi i princìpi e gli ideali del partecipazionismo e del solidarismo. Le finalità del Cristianesimo sociale non potevano cambiare, perché si rifanno ai princìpi fondamentali della sociologia cristiana; il problema che cominciava a porsi era quello di escogitare mezzi nuovi e adeguati alle condizioni dell'economia moderna, che già s' era sviluppata, al momento della stesura del Codice di Camaldoli, come prevalentemente industriale e si svilupperà ulteriormente in seguito anche sul piano del terziario fino alle odierne anticipazioni d'un sempre meglio caratterizzato quaternario. Per quanto poi riguarda la democrazia partecipativa sul piano politico si veda, nello stesso Codice di Camaldoli, il capitolo sullo Stato, part. l'art. 16 sgg. 28 ( ) Sparisce completamente la formula di schietta tradizione corporativa, «i sindacati nella professione organizzata» ancora sostenuta dal Codice di Malines, art. 112.
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Per la comunità cristiani I
tori ed esercenti libere professioni è riconosciuta come particolare manifestazione della libertà generale di associazione per scopi non contrari ai princìpi della morale, del bene comune e dell'ordine pubblico (29 ). Gli aggruppamenti professionali debbono considerarsi espressione autonoma di libere forze sociali e di naturale solidarietà fra i loro membri e sono perciò dotate di autorità nei limiti riconosciuti dall'ordinamento giuridico (30 ). L'istituzione di associazioni professionali, mediante le quali lavoratori di determinate categorie perseguono collettivamente finalità comuni di tutela economica e di elevazione sociale (31 ) , non contrasta d'altra parte con la libertà individuale del lavoratore ma è anzi strumento idoneo a ordinare e a potenziare le attività individuali dei membri di ciascuna categoria, oltre che a promuovere il bene comune nel campo dei rapporti di lavoro. Le associazioni sindacali possono stipulare contratti collettivi per regolare i rapporti di lavoro ed economici in generale tra i membri delle categorie, rappresentati dalle associazioni stesse attraverso libere elezioni (32 ) . Inoltre dal concetto cristiano di comunità sociale deriva la opportunità di promuovere forme di collaborazione fra le associazioni di lavoratori e quelle di datori di lavoro, come pure di favorire per mezzo di tali associazioni il raggiungimento di comuni scopi di assistenza sociale, di istruzione professionale e simili (33 ). Oltre le funzioni proprie, le associazioni sindacali possono esercitare quelle funzioni che ad esse siano delegate dallo stato o da altri enti (34 ). Esse potranno inoltre essere rappresentate negli organi legislativi e amministrativi (35 ).
(2 9 ) Sulla libertà di associazione sindacale dr. Pw XI, Quadragesimo anno, n. 86; DE GASPERI, Idee ricostruttive, cit., p. 40; Idee sulla Democrazia Cristiana, cit., p. 6.3; GoNELLA , Atti e documenti, cit., pp. 206-207. Il Codice di Malines considerava «i raggruppamenti professionali come gli organi naturali della società civile» (art . 58). 30 ( ) La richiesta del riconoscimento di diritto pubblico per le associazioni sindacali è tradizionalmente presente nel cattolicesimo sociale, e nel secondo dopoguerra cestituì un caposaldo delle concezioni democratico-cristiane in materia di organizzazione sindacale. Cfr. DE GASPERI, La parola, cit., p. 521 e GoNELLA, Atti e documenti, cit., pp. 206-207. Tale richiesta troverà anche accoglimento, del resto poi non attuato, nell'art. 39 della Costituzione italiana. (3 1 ) Ai sindacati non si assegna più come scopo preminente il «perfezionamento religioso e morale» degli operai (come faceva la Rerum Novarum ripresa da Pio XI nella Quadragesimo anno, n. 32) né si chiede di sottostare «ai principii del cattolicesimo e alle direttive della Chiesa» (come diceva il Codice di Malines, art. 114). 32 ( ) Il meccanismo ~stituzionale qui adombrato pare assai vicino a quello disegnato da De Gasperi nelle idee ricostruttive, cit. , p. 40. Sui contratti collettivi cfr. il Codice di Malines, n. 113. · 33 ( ) È l'unico, tenue residuo delle impostazioni corporative, che il Codice di Malines aveva assai robustamente riproposto (cfr. art. 67) nella sua seconda stesura del 1933. (3 4 ) Questa proposta è ben diversa rispetto ai «sani rapporti di dipendenza » dei sindacati dallo Stato richiesti da Malines, art. 63. (3 5 ) Non pare improprio cogliere qui un collegamento con il progetto democratico-cristiano di una «rappresentanza istituzionale degli interessi » da attuarsi prima nella Regione e poi, per il tramite di questa, nella seconda Camera. Cfr. DE GASPERI, Idee ricostruttive, cir., p. 40 e GoNELLA , Atti e documenti, cit., p . 209. ·
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Il lavoro 68. Organizzazione delle professioni intellettuali e tecniche. Tutte le categorie di lavoratori hanno, in ragione della pari dignità (36 ) e della funzione sociale di ogni genere di lavoro, dei doveri verso la società. Particola re importanza nella moderna organizzazione sociale ed economica spetta alle professioni che richiedo no l'esercizio di attività intellettuali, quali le professioni libere, quelle tecniche e quelle dei pubblici funzionari. Per tali professioni è prevalen te il carattere di servizio reso alle altre categorie di lavoratori e alla comunità , rispetto al lavoro svolto a semplici fìni personali. Inoltre il necessario carattere di libertà che deve essere lasciato all'esercizio delle facoltà intellettuali, impeden do ed anzi sconsigliando ogni controllo , facilita le deviazio ni e l'irrespo nsabilità individuale. Discend e da tali princìpi che le associazioni di pubblici impiegati, quelle di esercenti libere professioni, i corpi professionali di tecnici, nel tutelare gli interessi particola ri dei propri associati debbono considerarsi al servizio della comunit à e non di partiti, di classi, o di gruppi particola ri, ivi compres i quelli dei propri associati . È pertanto legittimo l'interve nto della autorità volto a garantire nel comune interesse e nel rispetto della naturale autonom ia dei corpi professionali, una adeguata attuazion e di tale principio. Fra i compiti accessori di tali associazioni, oltre al perfezio namento tecnico e alla preparaz ione professionale, deve porsi la formazione e lo sviluppo di un'etica e di una deontolo gia professionale, onde rendere sempre meglio consapevoli i loro membri dell'alta funzione e delle correlative responsabilità spettanti alla tecnica e alla professio ne per realizzare i fìni dell'ordi ne e della giustizia sociali (37 ). 69. Unicità e pluralità delle associazioni professionali (38 ). L'unicità o la pluralità delle associazioni professionali è condizio nata dalle tradizioni e dalla situazione dell'amb iente e delle singole professioni. Tuttavia, in linea generale, l'associazione professionale, se dotata della necessaria autorità ed autonom ia e di un appropri ato ordinamento che ne faccia genuina espressione della volontà degli interessati e delle aspirazioni degli apparten enti alla categoria, può assurgere - tra le collettività intermed ie che debbono trovar posto tra l'individ uo e lo stato - ad elemento di primaria importan za, con ri-
( 3 6 ) Era caratteristic a di Paronetto la polemica con chi considerava il lavoro intellettuale socialmente superiore a quello manuale (dr. S. P .", Postilla per i laureati e i professionis ti cattolici, in «Studium» , a. XL [1944], n. 11 -12 , pp. 241-242 ). Vedi an che, a questo proposito, P. E. TAVIANI , L'esigenza etica della questione sociale, art. in L'Osservatore Romano, ripreso in Prospettive sociali, cit. , pp. 159 sgg. 37 ( ) È qui riassumo quanto assai più diffusament e Paronetto aveva trattato, all'inizio del 1944, su «Studium » nell 'articolo Professione e rivoluzione (riprodotto in S. PARONETTO , A scetica dell'uomo d'azione, Studium, Roma 1948, pp. 105-130). ( 38 ) Del tutto scomparsa è la necessità di «organizzaz ioni interprofess ion ali sul piano regionale, nazionale e anche internazion ale » proclamata da Malines, art. 62.
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Per la comunità cristiana
conosciuto carattere pubblicistico. Le associazioni professionali possono in tal caso legittimamente ed utilmente svolgere in via esclusiva - vincolante cioè tutti gli appartenent i alla categoria anche non aderenti all'associazione - determinate funzioni sociali, quali la stipulazione dei contratti collettivi e la soluzione dei conflitti di lavoro. In tal caso potranno rimanere attribuite alle associazioni professionali libere funzioni di assistenza sociale, mutualità, istruzione professionale, cultura, diporto e simili. A fianco delle associazioni professionali con finalità sindacali, dovranno dai cattolici promuoversi dei liberi sodalizi fra lavoratori che si adoperino con diligenza ad educare profondame nte i loro soci nella parte religiosa e morale, affinché questi possano di poi compenetrare le associazioni professionali di quello spirito cristiano con cui si devono reggere in tutta la loro condotta (39 ). 70. I conflitti di lavoro. Lo sciopero e la serrata, come ogni altro mezzo violento di difesa del proprio diritto, possono essere esclusi soltanto in uno stato rettamente ordinato, nel quale il ricorso a questi atti di forza possa onestament e proibirsi senza menomare i diritti e i legittimi interessi di alcuno (40 ). A tale scopo i conflitti di lavoro sia individuali che collettivi potranno essere sottoposti per legge in primo luogo a un obbligatorio tentativo di conciliazione e demandati quindi, in caso di mancata conciliazione, a magistrature dello stato con apposito ordinamento (4 1 ).
( 39 ) Queste atfermazioni sembrano attagliarsi al problema, proprio del 1944, del rapporto fra sindacato unitario (la Cgil) e associazione dei lavoratori cattolici (Acli) e seguono in effetti lo schema anche della Comunicazione aggiuntiva dei sindacalisti democratico- cristiani al Patto di Roma (dr. G. P ASINI, Le Acli delle origini, Caines, Roma 1974, p. 227 ). Ma sarebbe del tutto errato legarle solo a questa contingenza. La frase è una citazione testuale di Pro XI (Quadragesimo anno , n. 35) che a sua volta rimanda alla Singularz quadam di Pro X, 24 settembre 1912. ( 40 ) Non si sviluppa affatto il tema, tradizionalment e delicato, della legittimità dello sciopero nei pubblici servizi, come pure aveva diffusamente fatto Malines, artt. 117-119. 4 1 ( ) La proposta dell 'arbitrato obbligatorio nelle vertenze di lavoro è anch'essa tipica del cattolicesimo sociale. Cfr. a esempio Malines, art. 120 e GoNELLA, Atti e documenti, cit. , p. 207.
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V DESTINAZIONE E PROPRIETÀ DEI BENI MATERIALI PRODUZIONE E SCAMBIO 71. La giustizia sociale princzpzo direttivo della vita economica. I beni materiali sono destinati da Dio a vantaggio comune di tutti gli uomini. Nel campo economi co, la giustizia sociale si risolve, fondamentalm ente, nella attuazion e di questo principio . Appartie ne quindi alla giustizia sociale di prpmuov ere una equa ripartizio ne dei beni per cui non possa un individu o o una classe escludere altri dalla partecipa zione ai beni comu'il.i. A fondame nto di tale equa distribuz ione deve porsi una effettiva e non solo giuridica uguaglianza dei diritti e delle opportun ità nel campo economi co, per cui, tenuto conto delle inelimina~ili differenze nelle doti personal i, nell'intelligenza, nella volontà, sia attribuit o a ciascuno il suo secondo giustizia e non- secondo privilegi precostit uiti o conferiti da un ordinam ento ·che ostacoli taluni individui o gruppi sociali nello sforzo di migliorare le loro condizioni. È proprio della giustizia sociale instaurar e un ordine nel quale i singoli diano tutto quanto essi sono in grado di apportar e al bene comune e ottengan o quanto è necessario per un armonic o sviluppo delle energie individuali, quale sia consenti to dalle condizio ni di ambiente, di tempo e di luogo. In particola re, nel campo della produzio ne, è debito di giustizia sociale tendere a produrre tutti i beni necessari o utili ai fini sopradetti che si possono ottenere dalle risorse naturali, con l'impieg o del lavoro umano e dei mezzi tecnici che l'uomo ha saputo appresta re. Il raggiung imento dei fini comuni, propri della convivenza sociale, comport a una necessaria solidarietà e una sostanziale comunan za di interessi fra gli individu i e tra i gruppi sociali fra i quali si distribuiscono le diverse funzioni sociali. È quindi dovere di giustizia sociale, necessario alla attuazion e del bene comune, mantene re uno spirito di attiva e consapevole collabora zione in tutti i rapporti economi ci e in particola re nelle relazioni fra i diversi gruppi sociali e, nell'amb ito delle singole unità produttiv e, fra tutti coloro che in varie posizioni vi collaborano. 121
Per la comunità cristiana La giustizia sociale si pone, percio, quale concreta espressione del bene comune, come fìne primario dello stato e di ogni altra autorità. Le esigenze della giustizia sociale legittimano dunque, in via primaria, l'intervento positivo dell'autorità nella vita economica, sia per promuovere, coordinare e limitare nell'interesse del bene comune le attività degli individui e delle comunità locali, regionali e professionali, sia per svolgere una diretta attività economica (1 ) . 72. Proprietà privata e proprietà collettiva. I beni materiali, la cui destinazione primaria è chiarita nell'articolo precedente, sono legati per natura all'uomo da due specie di rapporti: a) la proprietà privata, spettante ad una persona fìsica, a una famiglia, ad una società volontaria di individui aventi fìni privati; b) la proprietà collettiva, spettante allo stato e a persone eticogiuridiche distinte dai privati e aventi finalità generali e durature o di utilità pubblica, quali le comunità intermedie tra l'individuo e lo 1 ( ) Gli obiettivi di politica sociale che una società si deve porre sono sempre stati un punto della massima importanza sia per gli economisti che per i filosofi. Bentham sosteneva che si doveva badare ai seguenti obiettivi che così elencava in ordine di importanza : 1) sussistenza; 2) abbondanza; 3) sicurezza ; 4) uguaglianza. Il pensiero cattolico ha sempre prediletto la giustizia alla sicurezza pur non trascurando del tutto lobiettivo della sussistenza e dell'abbondanza . In questo articolo l'estensore del Codice di Camaldoli mette l'accento sulla giustizia sociale la quale assomma in sé una serie di significati: essa è equa ripartizione di beni, intesa però nel senso di quanto basta per far lievitare i 'talenti' assegnati a ciascuno; è inoltre massimizzazione della produzione e aumento della solidarietà fra le classi. Ciò che è importante sottolineare, al di là dei forse troppo numerosi significati attribuiti al termine giustizia sociale, è il fatto che la giustizia sociale non pu ò scaturire dall'ordinament o economico lasciato a sé stesso, ma da un intervento regolatore dello Stato. Questa dichiarazione fondamentale fu il risultato di un ampio dibattito svoltosi, non senza qualche voce discorde, nella Settimana di Camaldoli del luglio 1943. Essa costituisce il cardine della nuova impostazione del Codice di Camaldoli, che sarà ancor più evidenziata negli articoli seguenti di questo capitolo e soprattutto nel capitolo successivo significativamente intitolato «Attività economica pubblica». Nella prima edizione delle Prospettive sociali cit., 1943 , pp. 85 e 88, TAVIANI rilevava «Una soluzione del problema sociale mediante l'opera spontanea dei datori di lavoro s'è dimostrata utopistica; d'altra parte l'opera dei lavoratori urta contro ostacoli spesso insuperabili, o minaccia pericolosamente di sovvertire, non solo l'organizzazione economica del lavoro, ma tutto lordine della società, con le sue tradizioni e le sue leggi naturali. Questa è la situazione di fatto, che caratterizza il nostro tempo ». Di qui l'esplicita affermazione che non si risolve la questione sociale «senza la direzione, il controllo, l'ordinamento di tutta l'economia da parte della società, senza una regolamentazione o - con parola oggi di moda - una pianificazione dell'economia: una pianificazione tempestiva e di volta in volta aderente alle esigenze tecniche, ambientali, politiche, contingenti e di continuo mutevoli. Economia programmatica, dunque, e non programmata, intendendo la distinzione nel senso d'una dinamica aderenza della programmazione al dinamismo della realtà economica, in contrapposto alla statica pesantezza dei piani fissi , quinquennali o quadriennali , mediante cui si pretende - e non è detto non sia lecito in casi eccezionali, ma solo in casi eccezionali - forzare e inquadrare entro rigidi schemi il fluido corso della vita economica». Dopo una più che trasparente critica del corporativismo fascista, Taviani giungeva a fissare come base delle «prospettive sociali» un regime di economia mista. Questo della «economia mista» assunta come modello rispetto ·ai modelli della «economia liberalcapitalistica » e della «economia socialista» è uno degli aspetti più interessanti e nuovi del pensiero sociale cristiano. I grandi maestri di questo nuovo orientamento dottrinale dei cattolici vengono solitamente riconosciuti in Sergio Paronetto e Pasquale Saraceno, ai quali appunto si devono, per la massima parte, gli articoli sulla vita economica del Codice di Camaldoli.
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Proprietà, produzione e scambio stato, le università di diritti e di persone, le associazioni professionali e di categoria e simili. 73. Fondamento della proprietà privata: suo aspetto personale e sociale. Poiché la radice stessa della società è costituita dall'uomo come tale, primo soggetto del diritto originario di appropriazi one dei beni materiali è la persona singola, che fa propri i risultati del suo lavoro. Tale primato della proprietà privata rispetto alla collettiva deriva inoltre dal fatto che la cura e la responsabilità dell'esistenza, della libertà e del benessere dei membri della società spetta anzitutto alle singole persone e trova il suo principale fondamento nella possibilità di consolidare nel tempo i frutti del lavoro personale. Il diritto di proprietà privata che ne deriva comporta la facoltà di trasferimen to ad altro soggetto. Esso trova i suoi limiti naturali nel1' eguale diritto di tutti gli uomini e nel dovere di ciascuno di promuovere la giustizia sociale evitando di escludere altri dalla partecipazione ai beni comuni. La proprietà privata così intesa ha pertanto per sua natura un duplice aspetto: personale e sociale. Personale, in quanto costituisce un presidio al libero manifestarsi della persona e della famiglia, e un incentivo allo sviluppo delle facoltà individuali . Sociale, in quanto, contribuend o a stimolare la naturale operosità dell'uomo, favorisce lo sviluppo nello sfruttament o e nella utilizzazione dei beni materiali posti da Dio a disposizione di tutti gli uomini. Le norme giuridiche positive regolanti la proprietà privata debbono tendere non solo a definire e tutelare il diritto dei singoli, ma anche ad assicurare l'adempime nto della funzione sociale spettante ai proprietari. Esse possono accordare un uso più o meno circoscritto a seconda delle condizioni ambientali e storiche, a seconda della natura e quantità dei beni che ne sono oggetto e a seconda della persona fisica o giuridica titolare del diritto di proprietà. Norme giuridiche che negassero qualsiasi riconoscime nto del diritto di proprietà privata dei beni sarebbero in contrasto colla legge naturale (2 ). ( 2 ) L'impostazione del Codice di Camaldoli sul tema della proprietà si tiene su di una linea mediana che, da un lato, respinge in quanto «contrastanti con la legge naturale » un sistema di norme che «negasse qualsiasi riconoscimento del diritto di proprietà privata» e d'altro lato, reclama, come risulta chiaramente dal testo dell'art. 73, «norme giuridiche positive regolanti la proprietà privata che debbono tendere non solo a definire e tutelare il diritto dei singoli, ma anche ad assicurare l'adempimento della funzione sociale spettante ai proprietari. Esse possono accordare un uso più o meno circoscritto a seconda delle condizioni ambientali e storiche, a seconda della natura e quantità dei beni che ne sono oggetto e a seconda della persona fisica o giuridica titolare del diritto di proprietà». È, nel complesso, una posizione che logicamente deriva e si armonizza con il principio ispiratore dei testi del Codice sulla vita economica: il principio sopra citato dell'economia mista. Per i nuovi orientamenti degli estensori del Codice di Camaldoli sul tema della proprietà privata è fondamentale il volume di P. E. TAVIANI, La proprietà, ed. Studium, Roma 1946. Si veda inoltre in proposito il saggio della vedova di P aronetto, MARIA L. PARO NETTO V ALIER pubblicato sul n. 5, ottobre 1975 di «Studium», Esami di coscienza (pp. 743-760). In tale saggio l'autrice ricostruisce la storia di una iniziativa sorta nell'ambito dei laureati cattolici tra il
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Per la comunità cristiana 74. La funzione sociale della proprietà dei beni strumentali (3 ). Riguardo alla proprietà dei beni occorre distinguere tra beni di consumo e di godimento destinati a soddisfare bisogni personali, familiari e collettivi, e beni strumentali destinati invece alla produzione di nuova ricchezza. La proprietà privata dei beni strumentali ha una funzione sociale tanto più accentuata quanto più è rilevante la quantità e la qualità dei beni che l'impiego di detti strumenti permette di ottenere. Tale funzione sociale si manifesta, da un punto di vista tecnico, nella ricerca della più appropriata utilizzazione dei mezzi di produzione, nel loro sviluppo in relazione a bisogni comuni, e nella cessione a un giusto prezzo dei prodotti ottenuti.
75. Funzione sociale della proprietà dei beni strumentali in situazione di concorrenza. Quando i proprietari di beni strumentali concorrenti tra loro per l'ottenimento di un dato prodotto sono numerosi e indipendenti e la produzione possa adeguarsi rapidamente alla domanda, si può, sulla base della osservazione storica e della deduzione logica, fondatamente presumere che detti proprietari siano dal loro stesso interesse spontaneamente portati all'adempimento della funzione sociale che loro compete. In tal caso può ritenersi che alla autorità non spetti altro compito che quello di garantire, nell'ambito del diritto comune, il mantenimento della situazione di effettiva concorrenza e di normali condizioni di mercato.
1941 e il 1944. «Esami di coscienza» era il titolo della collana editoriale a cui la «Studium» diede corso in quell 'epoca e che doveva raggruppare in alcuni agili libretti il frutto dell'impegno culturale degli intellettuali cattolici. Soltanto sei furono , però, i titoli della collana pubblicati: il già citato La proprietà di TAVIANI (marzo 1946); A. BARONI, La famiglia (aprile 1946); F. MONTANARI, Il peccato (marzo 1946); U. RADAELLI, Stato e società (gennaio 1948); C. DAVENSON, Fondamenti di una cultura cristiana (aprile 1948); A . BARONI, La famiglia (settembre 1948). (3) Sulla funzione sociale della proprietà privata e sui limiti che ad essa possono e devono in casi determinati essere imposti dallo Stato insistono tutti i testi elaborati dalla Democrazia cristiana durante la Resistenza. Si vedano, in proposito, fra gli altri, 1944: pensando al dopo, testo diffuso daf!a Dc di Padova, scritto da LUIGI GuI nell'autunno del 1944; Essenza e programma della Democrazia Cristiana, documento della Dc veneta, scritto da GAVINO SABADIN; Idee sulla Democrazia Cristiana, documento della Dc ligure, scritto da P. E. TAVIANI , documenti oggi tutti insieme ripubblicati nel più volte citato n. 2, 1984 di «Civitas». Particolarmente interessante il capitolo VII della relazione di Gonella al Congresso della Dc dell'aprile 1946 dal titolo significativo: «Libertà di possedere». Contiene una serie di proposte all'insegna dello slogan «Non tutti proletari, ma tutti proprietari». La Costituzione della Repubblica italiana risente chiaramente sia dell'impostazione di Camaldoli, sia di quelle correlative dei documenti democratici cristiani della Resistenza. Nella III Sottocommissione della Costituente lo stesso Taviani, autore, come s'è detto sopra, del saggio dell' ed. Studium su La proprietà, fu il relatore per gli articoli sulla proprietà, sulla sua funzione sociale, sui limiti, sugli interventi dello Stato e sulla riforma agraria. Cfr. in proposito M. FALCIATORE, Costituente e Costituzione: La proprietà, in «Civitas», febbraio-marzo 1978, pp. 43-59.
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Proprietà , produzione e scambio 76. Funzion e sociale della proprietà dei beni strumentali in situazione di non concorrenza. Quando manchi la remora di una effìcace concorrenza tra i proprietar i di beni strumenta li, l'adempim ento della funzione sociale dipende dalla volontà e dalla possibilità del proprietar io di orientare l'impiego degli strumenti produttivi in vista di conciliare i propri interessi con quelli della comunità. Tale conciliazio ne dipende dunque da due elementi, uno morale, la volontà del proprietar io di autolimitarsi nel perseguim ento del proprio interesse; uno tecnico, la consapevolezza nel proprietar io della situazione produttiva in relazione alle esigenze del bene comune e la sua capacità di usare dei mezzi concreti per conciliare i due ordini di esigenze. Ove tale conciliazione non si effettui, l'interven to della autorità è legittimo e spesso anche necessario . Tale intervento può svolgersi in due modi principali : 1) escludend o che date categorie di beni strumenta li possano essere oggetto di proprietà privata; 2) ponendo delle limitazioni all'esercizio del diritto di proprietà di determina ti beni strumenta li quale era in precedenz a concepito o quale è in atto per altri beni strumenta li. L'interven to della comunità nella attività produttiva può altresì aversi quando l'iniziativa privata si mostri manchevole o insuffìciente a soddisfare determina ti interessi collettivi. T ale intervento potrà svolgersi, a seconda dei singoli casi, sia agevoland o l'iniziativa privata, sia associandosi ad essa con forme di proprietà mista, sia infìne mediante la gestione diretta di beni strumenta li posti nell'ambit o della proprietà collettiva. L'attribuz ione del diritto di proprietà di beni strumenta li ai lavoratori occupati nell'azien da che utilizza i beni stessi (v. art. 66) è da auspicare in quanto porta al più alto grado la solidarietà fra lavoratori ed azienda; ma essa risponde ad esigenze che interessano direttamente la sola comunità dei lavoratori dell'aziend a, esigenze diverse da quelle che inducono lo stato e le altre comunità intermedi e ad intervenir e nella vita economic a allo scopo di conciliare gli interessi dei produttor i con il bene comune e in particolar e con gli interessi dei consumat ori (4 ). 4 ( ) Per ben comprendere questo e i due precedenti articoli è necessario premettere che l'attività dell'imprendi tore consiste non nel produrre in un modo qualsiasi, ma nel produrre in modo 'economico ', nel produrre, cioè, cercando di rendere minimi i costi, i quali altro non sono che consumi di un fondo limitato di risorse. P rodurre in modo economico non è però un'azione a cui l' uomo sia naturalmente inclinato. Lo può fare, secondo l'estensore, perché la concorrenza ve lo indu ce minacciando di esp ellerlo dal mercato; lo può fare, mancando la concorrenza, per una sua virtù o coscienza personale; lo può fare infine lo Stato espropriando gli strumenti produttivi p rivati quando il singolo anziché cercare di ridurre i costi si adagi su ricavi monopolistici. La produzione economica (al costo minore possibile) è definita funzione sociale perché consiste in un uso parsimonioso e oculato delle risorse della natu ra.
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Per la comunità cristiana 77. La produzione agraria. L'esistenza e il permanere della piccola impresa agraria familiare condotta dal proprietario del suolo oppure da un affittuario o da un mezzadro, mentre costituisce una forma di produzione rispondente tanto alle esigenze della persona quanto a quelle del bene comune, non contrasta necessariamente con il progresso della tecnica agricola (5 ). Infatti quando tali forme di organizzazione della produzione siano assistite da efficienti forme di cooperazione tra i piccoli produttori e siano dedicati mezzi sufficienti all'istruzione professionale esse possono s,~stenere, a differenza di quanto generalmente accade per la produzione industriale, la concorrenza delle imprese capitalistiche. Ciò sia perché il piccolo imprenditore si dedica a produzioni che richiedono lavoro assiduo, diligente, interessato, sia perché la piccola impresa agricola può in generale superare più facilmente i punti morti delle crisi economiche. La piccola azienda agraria rappresenta quindi oltre che il campo di applicazione di forme tra le più nobili e complete del lavoro umano (vedi art. 56) anche un elemento di stabilità sociale e un organismo tecnico ed economico efficiente: là dove essa può tecnicamente realizzarsi senza diminuire sensibilmente il rendimento della produzione né ostacolare il progresso agrario, la piccola impresa agraria va tutelata e promossa, e se occorre imposta dalla autorità, sia pure con la gradualità comportata dalle esigenze tecniche di una trasformazione agraria; e ciò specialmente per conseguire la forma più alta rappresentata dalla piccola proprietà coltivatrice che meglio soddisfa le esigenze della persona umana. Mentre da un lato è da promuovere la formazione della piccola impresa familiare, anche là dove continua a permanere la grande proprietà terriera allo scopo di preparare le condizioni per il frazionamento fondiario, d'altro lato è da evitare l'eccessiva suddivisione Questa impostazione del problema economico data d all'estensore chiarisce la sua ben nota posizione verso l'istituto della partecipazione operaia agli utili. Il fatto che le risorse produttive siano impiegate dall'imprenditore tradizionale (proprietario) oppure dall'imprenditore nuovo (proprietario insieme all 'operaio) non è di per sé una garanzia del loro economico utilizzo. La partecipazione operai a avrà rilevanza - sostiene l'estensore - perché instaura una più elevata solidarietà fra le classi, ma niente ha a che fare con il problema di un oculato impiego delle limitate risorse della società. D~ ciò si è già ampiamente trattato nelle note al precedente art. 66. In altra occasione P asquale Saraceno esprimerà in modo ancor più deciso la sua avversione per l'istituto della partecipa zione operaia agli utili dell'impresa (cfr. La partecipazione dei lavoratori alla condotta e agli utili dell'azienda, « Studium » 1943, nn. 5, 6 e 7, pp. 131 sgg.). ( 5 ) Il risparmio di risorse nella produzione è normalmente il risultato dell'avanzamento tecnologico, un progresso che permette di ottenere lo stesso volume di produzione con l'impiego di minori ri sorse. La piccola imp resa è, parlando in generale, la meno adatta all'innovazione tecnologica che di solito richiede investimenti di capitale non indifferenti. Questo è il motivo dell 'attegg iamento di prudente ri serbo dell 'estensore nei riguardi della piccola impresa agricola. Tuttavia - in coerenza con la tradizione della dottrina sociale cattolica - si riconosce la preminente importanza d ella piccola proprietà contadina sul piano della valorizzazione della personalità del lavoratore. I differenti risvolti di questo compl esso problema riemergeranno all a Costituente nelle discu ssioni, anche fra gli stessi democratici cristiani , quando la III Sottocommissione dovrà affronta re il tema della riforma fo ndiaria. Si veda in proposito M. F ALCIATORE, Costituente e Costituzione, cit., pp. 56-59.
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Proprietà, produzione e scambio dei fondi, che mette le unità aziendali in condizioni di non assorbire tutto il lavoro della famiglia e di non offrire un reddito adeguato a un normale tenore di vita. Sono quindi da promuovere istituti giuridici atti ad impedire l'eccessivo frazionamento e a ricostituire unità più efficienti là dove tale frazionamento sia già avvenuto. Nelle zone dove l'alto progresso tecnico è associato con un regime produttivo che richiede rilevanti capitali e grandi dimensioni delle unità aziendali, è da favorire, nei confronti del salariato, la diffusione dei contratti con retribuzione in natura e con compartecipaz ione dei lavoratori alle colture; cosicché là dove condizioni tecniche non consiglino la formazione della piccola impresa familiare, si possano creare condizioni atte a favorire la gestione collettiva da parte dei lavoratori addetti al fondo stesso, particolarment e se riuniti in forma cooperativa con efficiente direzione tecnica. 78. Funzione sociale della proprietà dei beni di consumo. Il proprietario dei beni di consumo deve poterne scegliere l'impiego entro l'ambito del diritto vigente e l'autorità - una volta stabiliti i limiti del diritto di proprietà - non può costringere il proprietario a un impiego determinato. L'autorità peraltro, quando lo richieda il bene comune: 1) può delimitare l'uso che i proprietari pot;anno fare dei propri beni di consumo; 2) deve apprestare o procurare, a spese della comunità, beni di consumo, facendone oggetto di proprietà collettiva per porli ove necessario a disposizione gratuitamente o contro compenso, dei membri della collettività. Tale proprietà collettiva può avere per oggetto sia beni di uso durevole, come case di abitazione, luoghi di riposo, di ricreazione e di cura, ecc., sia beni di consumo immediato in vista di favorire un ordinato svolgersi del processo di distribu zione e un razionale approvvigiona mento dei beni stessi da parte dei singoli membri della collettività. 79. La cooperazione nel processo di distribuzione dei beni di consumo. La istituzione di cooperative per l'acquisto e la distribuzione fra i soci di beni di consu mo può costituire un notevole apporto per una più equa ripartizione della ricchezza e per difendere il consumatore dalle conseguenze di un difettoso funzionamento del mercato. L'autorità può pertanto favorire con opportune provvidenze l'istituzione e l'avviamento di cooperative fra consumatori, a condizione che siano salvaguardate in ogni caso le norme di una sana gestione, e che non abbiano a costituirsi a favore dei soci situazioni di privilegio che non potrebbero che ripercuotersi a danno del complesso degli altri consumatori e cioè del bene comune. 127
Per la comunità cristiana 80. Inconvenienti degli eccessivi accentramenti di ricchezza. L'adempimento della funzione sociale della proprietà privata riguarda tutti i beni, ma in modo particolare e diretto i beni non necessari al proprietario. Rilevanti accumulazioni di beni nelle mani di singoli in quanto determinino lo strapotere di pochi, ovvero la loro coalizione per la difesa politica del privilegio così acquistato, ostacolano un libero ed ordinato svolgersi della vita sociale, alterano una razionale destinazione delle risorse naturali, degli strumenti tecnici e del risparmio della collettività alla produzione dei più necessari beni di consumo e impediscono infine una equa distribuzione dei beni di consumo disponibili. Se questo stato di cose non si ritiene possa essere rapidamente corretto attraverso una naturale evoluzione della struttura economica, un razionale intervento dell'a utorità atto ad eliminare gli eccessivi accentramenti di ricchezza e le maggiori disparità economiche è imposto dalla tutela del bene comune ed è quindi pienamente legittimo. 81. Funzione sociale della proprietà costituita con capitali presi a
prestito. Gli odierni ordinamenti economici e finanziari e lo sviluppo assunto dal risparmio monetario di cui il risparmiatore non è in grado di curare direttamente l'investimento, permettono a singoli membri della collettività di attribuirsi la proprietà e il controllo di grandi concentrazioni di beni con un apporto relativamente modesto di capitale proprio: le banche, gli istituti di assicurazione, le grandi aziende e i gruppi industriali e finanziari rappresentano le manifestazioni più importanti di questo fenomeno. La funzione sociale della proprietà assume in questi casi preminente rilievo, anzitutto perché tale proprietà è formata in gran parte con risparmio che in effetti appartiene a terzi ed è stato affidato a persone o ad enti che ne dispongono come proprietari per l'investimento; in secondo luogo perché tali proprietari, valendosi di opportuni meccanismi finanziari, influiscono, spesso con limitato rischio personale, sullo sviluppo dei mezzi di produzione a disposizione della comunità e quindi sul modo di soddisfare i bisogni della comunità stessa, nonché sull'impiego delle forze di lavoro e dei beni strumentali disponibili (6 ). È ammesso quindi l'intervento della comunità , volto sia a porre riparo alle conseguenze di una cattiva gestione di tale proprietà, sia a vigilare perché la funzione sociale di tale proprietà sia tenuta sempre 6 ( ) L'estensore coglie in questo paragrato la centrale importanza del credito per un'economia moderna. Le banche, se libere di fissare il saggio di interesse, incoraggiano o scoraggiano i nuovi investimenti che si fanno con il denaro preso a prestito. Gli effetti sulla collettività di tutto ciò, sia in termini di quantità di beni prodotti, sia in termini di occupazione messa in movimento, consigliano l'intervento e il controllo da parte dello Stato di questo delicato settore dell'economia.
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Proprietà, produzione e scambio ben presente e soddisfatta da coloro che hanno la grave responsabilità di esercitarla. Possono legittimamente estendersi a tali beni le forme di intervento della collettività ammesse per i beni strumentali in situazioni non di concorrenza di cui all'art. 76. 82 . La proprietà non acquistata con adeguato e lecito lavoro. In quanto il lavoro è all'origine di ogni proprietà, l'acquisizione di beni che non trovi corrispondenza in un adeguato e lecito lavoro o nella legittima e libera volontà del precedente proprietario rappresenta un indebito arricchimento effettuato impoverendo altri uomini (7). Un ordinamento giuridicamente ed economicamente sano non deve consentire il formarsi di tali possibilità di arricchimento; e nel caso in cui tali arricchimenti non si siano potuti evitare è legittimo l'intervento dell'autorità atto a correggere gli effetti che ne sono risultati nella ripartizione dei beni esistenti tra i membri della comunità e mirante ad impedire il loro rinnovarsi.
83. La trasmissione ereditaria dei beni. Dal diritto che ha l'uomo di far propri nel tempo i frutti del suo lavoro e dalla naturale solidarietà che lo lega alla comunità familiare, deriva il diritto di trasmissione ereditaria e di donazione, il quale altro non è, pertanto, che un particolare aspetto del diritto di proprietà. In relazione al fatto che l'uomo ha interessi limitati nel tempo e che, d'altra parte, occorre evitare che la possibilità di ricevere intatto il patrimonio accumulato con il lavoro altrui renda meno sentito, specie in chi già dispone di mezzi materiali, il dovere di assumere la responsabilità di un lavoro, risponde a giustizia che i beni di proprietà privata siano trasmissibili ad altri solo con limitazioni determinate dalla legge. Nei casi poi in cui motivi di giustizia sociale esigano di correggere l'esistente ripartizione dei beni oggetto di proprietà privata, una conciliazione degli interessi di ogni singolo proprietario con l'interesse generale può essere ottenuta rinviando tale correzione al momento in cui la proprietà dei beni si trasferisce per successione o per donazione. Molteplici elementi legittimano quindi il trasferimento alla . comunità di una parte dei beni che sono oggetto di trapasso a titolo gra(7) Il diritto dello Stato a intervenire in quelle proprietà che siano originate da fonti diverse dal lavoro è la conclusione di un sillogismo la cui premessa maggiore è di natura morale: la proprietà privata è proiezione della persona umana in q uanto frutto del suo lavoro. Vedremo più avanti come verrà affrontato il tema dell'eredità. Qui intanto viene riaffermato il diritto-dovere dello Stato di ristabilire la giustizia sociale intervenendo sulle proprietà che siano originate dalla speculazione. Si tenga presente che nel periodo in cui il Codice di Camaldoli vide la luce la questione dei prpfitti di guerra era assai sentita e anch e dibattuta fra gli economisti. Fu pro· posta anche una i'mposta per riassorbirli, ma la cosa non ebbe seguito.
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Per la comunità cristiana tuito (8 ). Il regolamento giuridico di tali trasferimenti deve tener presenti congiuntamen te i seguenti ordini di circostanze: a) i rapporti intercorrenti tra le persone tra le quali si effettua il trasferimento, dovendosi riconoscere un trattamento più favorevole ai trasferimenti tra parenti e in particolare a quelli tra i componenti la comunità familiare in senso stretto; b) l'entità della quota che è oggetto del trasferimento, essendo giustificati da parte della comunità prelievi più elevati quanto più ingente è il patrimonio del testatore; e) l'entità del patrimonio del beneficiario della successione o della donazione, essendo legittima una devoluzione alla comunità di quote tanto più rilevanti, quanto più è ingente tale patrimonio; d) la situazione generale economica e sociale, in relazione alla quale variano le modalità con cui si debba procedere alla correzione dell'esistente distribuzione dei beni oggetto di proprietà privata. Data la natura della comunità familiare, il diritto personale del proprietario di disporre dei suoi beni è limitato altresì dal diritto della famiglia di averne riservata una quota in caso di trasferimento di proprietà a titolo gratuito: tale quota è stabilita dai singoli ordinamenti giuridici in relazione agli ordini di circostanze sopra indicate e alle condizioni della organizzazione familiare. Nel caso di trasferimento delle piccole aziende e delle minori unità terriere, è opportuno evitare con mezzi vari, quali le agevolazioni fiscali e creditizie, il loro frazionamento . Nel caso di aziende di vaste dimensioni, che occupano ingenti forze di lavoro, impiegàrio rilevanti capitali altrui e soddisfano a im( 8 ) È interessante ricordare come proprio questa parte deU' art . 83 del Codi ce di Camaldoli sia stata citata in una seduta plenaria deU ' Assembl ea costituente come sicuro punto di riferimento della dottrina sociale della Dem ocrazia cristiana. Il comma della Carta costitu zionale sulla trasmissione ereditaria giunse in Aula dalla III Sottocommissione (relatore Taviani) nella seguente versione: «Sono per legge stabi lite le norme e i limiti della successione legi ttima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità ». Taviani, dal canto suo, fece in aula la seguente dichiarazione: « La maggioranza del Gruppo democristiano ha aderito al testo della Commissione proposto da commissari democristiani come espressione del pensiero cristiano sociale. Vi possono essere differenze di interp retazione che riguardano p articolari tecnici e punti di vista di dettaglio. Nel complesso peraltro non si può mettere in dubbio che con questo terzo comma, mentre si stabilisce chiaramente il diritto naturale all 'eredità sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, si stabilisce anche ch e quella parte, che lo Stato preleva sotto forma di imposta di successione, ha uno scopo sociale oltre che fi scale. Un pensiero di questo genere è sancito dal Codice di Camaldoli che dichiara esplicita mente ... ». E qui Taviani citava per esteso il 3° e il 4° comma dell 'art. 83 del codice di Camaldoli, così conclu dendo: « Per questi motivi noi riteniamo, votando il terzo comma dell'art. 38, di essere sulla linea integrale del pensiero sociale cristiano» (A tti dell'A ssemblea Costituente del 13 maggio 1947, p. 3955). Secondo FALC IATORE, in Costituente e Costituzion e, cit., è sintomatico « l' esplicito richiamo nell'Assemblea di Montecitorio, al Codice di Camaldoli. Certo tale pu bblicazione, come già si è avuto modo di ricordare, ha assunto col tempo un valore storico rilevante , ma è sorprendente come i! Taviani a di stanza di poco più di quattro anni dalla sua stesura io citi a testimoni anza della ortodossia del pensiero cristiano sociale qu asi con la stessa riverenza ch e si usa verso i ' testi sacri ' la cui intangibilità dogmatica è fu ori discussion e ».
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Proprietà, produzione e scambio portanti bisogni della comunità, l'autorità può legittimamente intervenire, sia in linea generale che in linea particolare, per garantire che l'attività economica legata alla proprietà della azienda stessa continui a svolgersi efficacemente, pur quando essa venga per successione ereditaria o per donazione trasmessa ad altra persona. 84. La giustizia sociale e la comunità internazionale dei beni: commercio internazionale ed emigrazione. I beni materiali da Dio posti sulla terra sono destinati al soddisfacimento dei bisogni di tutta la famiglia umana; data questa comune destinazione delle risorse terrestri e la loro varia distribuzione nelle diverse regioni del mondo, risponde a un principio di diritto naturale l'aspirazione degli uomini di partecipare direttamente o per mezzo di scambi alla utilizzazione di tutti i beni della terra. Tale principio implica da un lato la libertà per gli uomini di trasferirsi là dove la disponibilità di materie prime permette loro di applicare più profittevolmente la loro operosità, dall'altro la possibilità di scambiare materie prime e prodotti ottenuti dalla elaborazione delle materie stesse. In relazione al dovere di solidarietà che incombe su tutti gli stati ed alla sempre più accentuata interdipendenza dei fenomeni economici, la vita economica internazionale deve tendere ad essere ordinata in un organismo nel quale l'attività economica risulti ripartita tra i vari paesi in vista di farne delle parti complementari nelle quali le capacità della popolazione e le materie prime disponibili ricevano la più efficace utilizzazione. Gli sviluppi assunti dalla economia produttiva ed i progressi delle comunicazioni hanno più largamente integrato e avvicinato le varie regioni della terra ed hanno reso profondamente solidali e strettamente interdipendenti le varie economie nazionali; si fa quindi sempre più sentita l'esigenza di dare un assetto giuridico a quell'aspetto della società naturale degli stati che è costituito dalla economia internazionale. Finché tale auspicato assetto giuridico non sarà efficacemente realizzato, una maggiore attuazione della giustizia sociale sul piano internazionale riposa solo su un sentimento di solidarietà cristiana che, illuminando l'azione dei singoli stati, li renda consapevoli sia dell'esigenza di un generale bene comune, sia del vero contenuto del bene comune nazionale che essi più particolarmente perseguono. Il complesso problema di dare una autorità alla società naturale degli stati nel campo economico può essere avviato a soluzione mediante accordi fra stati miranti a regolare la vita economica internazionale o taluni suoi settori, e tendenti a creare appositi istituti di carattere internazionale alle cui decisioni e direttive gli stati aderenti si impegnino lealmente di ordinare sia i rapporti economici con gli altri stati, sia la politica economica interna . L'attività che detti istituti potranno svolgere in campi molteplici
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Per la comunità cristiana (quali la regolamentazione del lavoro, il credito e la moneta, il movimento dei capitali, l'utilizzazione delle materie prime, lo scambio dei prodotti, le comunicazioni, il sostegno alle economie più arretrate e a quelle colpite da particolari crisi e calamità) dovrà anche tener conto dell'utilità che gli scambi internazionali non siano monopolizzati da organi statali, ma diano modo alle singole persone di liberamente esplicare iniziative individuali anche al di là dei confini nazionali e ciò sia per meglio promuovere la messa in valore, a vantaggio comune, delle risorse terrestri, sia per favorire una diretta e reciproca conoscenza e comprensione anche fra i membri più lontani della famiglia umana. Dalla soluzione che ogni stato ritiene di dare al proprio particolare problema di bene comune deriva tra l'altro una determinata possibilità per gli uomini di trasferirsi da uno stato all'altro, e per le merci di essere scambiate; e poiché mezzo essenziale per realizzare il bene comune è procurare ai lavoratori disponibili una adeguata occupazione e tale obbiettivo, mancando la libertà di trasferimento, si raggiunge specialmente rinunciando ad acquistare in altri stati prodotti consumati nel paese, la limitazione nel movimento degli uomini e la limitazione degli scambi sono due fatti legati da relazione di causa ad effetto (9 ). Questa correlazione unitamente alle diverse caratteristiche demografiche dei vari popoli dà luogo al problema dell'emigrazione, nei confronti del quale si manifesta pure la opportunità di accordi internazionali, in attesa che una più diffusa coscienza del bene comune internazionale permetta di riconoscere incondizionatamen te il naturale diritto di ogni uomo di trasferirsi ove meglio egli possa esplicare la sua personalità. Tali accordi dovranno fondarsi sul principio che al paese di origine deve essere riconosciuto il diritto di assistere e tutelare i suoi emigranti nel periodo della loro prima sistemazione e del loro avviac mento, mentre il paese di destinazione deve tendere ad abolire per gli immigrati ogni trattamento giuridico ed economico deteriore rispetto a quello dei suoi propri cittadini. Limitazioni e condizioni poste tanto alla emigrazione quanto alla immigrazione, che si fondassero sulla difesa di interessi particolari o sull'egoismo nazionale o di classe sono contrarie anche al bene comune rettamente inteso, che non può prescindere d al bene comune internazionale e dalle esigenze della pacifica convivenza dei popoli.
9 ( ) La visione del commercio internazionale che caratterizza il Codice di Camaldoli è assai diversa da quella di Malines: se per quest'ultimo è la nazione che deve cercare di massimizzare le esportazioni e rendere minime le importazioni ricorrendo anche a una politica doganale protezionistica, in Ca maldoli prevale una visione del commercio internazionale più ampia e che potremmo dire già europeista. Il Codice è infa tti favorevole a una libera circolazione di lavoratori e di prodotti fra i vari Paesi.
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VI L'ATTIVITÀ ECONOMICA PUBBLICA 85. Attività economica privata ed attività economica pubblica. I princìpi della giustizia sociale (art. 71) esigono che le singole attività economiche private, mediante le quali individui e gruppi tendono a realizzare i propri particolari fini, vengano armonizzate in relazione al comune interesse di impedire che le energie individuali rimangano puramente potenziali o siano ostacolate nel loro sviluppo. L'armonizzazione nel senso sopra indicato dei contrastanti interessi economici deve attuarsi mercé l'azione delle stesse forze sociali, adeguatamente organizzate, nonché mediante l'attività economica pubblica ed in particolare dello stato; spetta a questo provvedere agli interessi comuni, sia curando gli interessi che soltanto con la collaborazione di tutti possono essere soddisfatti, sia intervenendo in relazione a determinate circostanze storiche per coordinare e per integrare l'azione degli individui e delle forze sociali al fine di realizzare particolari obbiettivi, non conseguibili per la mancanza di uno spontaneo od automatico adattamento dei singoli interessi privati all'interesse generale. 86. Fini specifici della attività economica pubblica (1 ). Gli obbiettivi di interesse comune cui nella vita sociale del nostro tempo deve ten( 1 ) In questa parte dedicata alla «attività economica pubblica» il Codice di Camaldoli riprende temi già trattati nell'articolo 71 con il quale ha inizio la sua parte economica. Fra i vari compiti dello Stato è interessante notare come l'estensore includa quello di creare condizioni favorevoli all'occupazione (art. 86, punto 2). La notazione, come si precisa poi nel proseguimento del testo, va intesa nel senso che lo Stato possa promuovere attività trascurate dalla iniziativa privata e non, come invece avremmo potuto aspettarci, nel senso di un'azione di stampo keynesiano sulla domanda aggregata. In realtà il Codice, pur successivo di 7 anni alla Teoria generale di Keynes, non ha nelle sue pagine tracce di consapevolezza keynesiana. Un secondo punto importante è il compito di mantenere le condizioni concorrenziali, l'opporsi al sorgere delle formazioni monopolistiche: come si è già notato il monopolio è visto come una situazione nella quale non è possibile un uso ottimale delle risorse economiche. Dal punto 15 dell'art. 86, che collega !'opposizione all'inflazione con la protezione del risparmio, pare potersi intravvedere un sistema di pensiero che fa affidamento sulla formazione del risparmio, sull'investimento e sullo sviluppo economico tutto pensato dalla parte dell' offerta, un sistema di pensiero che non considera le condizioni della domanda. Ciò sembra ancora una volta confermare il carattere non keynesiano del documento.
133 6.
Per la comunità cristiana dere l'attività economica pubblica, ed ai quali conviene che anche l'attività economica privata sia ordinata, possono così riassumersi: 1) indurre la generalità dei membri della società ad assumere la responsabilità di un lavoro (art. 55) e far sì che le condizioni nelle
quali i lavoratori danno la loro opera siano tali da consentire, pur nell'accentuarsi delle specializzazioni, un armonico sviluppo di tutte le facoltà di cui Dio ha arricchito l'uomo (art. 56); 2) creare condizioni perché le forze di lavoro disponibili trovino un'adeguata occupazione (art. 55), promuovendo eventualmente attività economiche trascurate dalla iniziativa privata, giudicate profittevoli al bene comune (art. 7 6); 3) influire a favore dei capi di famiglia, nel processo di ripartizione dei redditi della comunità così da assicurare alla famiglia la base economica necessaria al suo sviluppo e considerare l'attività della donna nella vita economica in modo che essa non venga impedita di svolgere la sua primaria funzione di madre e di educatrice (art. 60); 4) creare condizioni atte a costituire intorno al lavoratore, al termine del suo lavoro, un clima e un ambiente tale che gli consentano di ritrovare, secondo le sue individuali concezioni ed inclinazioni, un equilibrio di vita fisico e morale rispondente alla sua dignità di uomo (art. 57); ed in particolare dedicare ogni cura e mezzi adeguati perché al lavoratore capo famiglia sia concesso di disporre e possibilmente di essere proprietario di una abitazione adeguata ai suoi bisogni (art. 61); 5) assicurare un complesso di prestazioni integrative con carattere di generalità per tutti i lavoratori, che consenta in caso di disoccupazione involontaria, di malattia, di infortunio e durante la vecchiaia, di mantenere un sufficiente livello di vita al lavoratore ed alla sua famiglia (art. 58) ; 6) impedire, quali che siano gli effetti sulla produzione, che al lavoratore siano richieste prestazioni nocive alla sua salute fisica e morale (art. 59) ed assicurare a tutti la possibilità di tutelare adeguatamente la propr;a salute fisica e di ricevere la conveniente assistenza medica e chirurgica (art. 63 ); 7) disciplinare il processo di distribuzione territoriale delle attività produttive allo scopo di eliminare e prevenire gli inconvenienti dell'urbanesimo e in particolare di consentire al lavoratore una piena vita familiare e la partecipazione alla vita delle comunità intermedie, professionali e locali (art. 62); 8) orientare il libero avviamento professionale dej giovani in vista di favorirne la migliore utilizzazione nell'inter~sse ·singolo e collettivo delle forze di lavoro disponibili (art. 64)'; 9) favorire nelle fasi di profonda e rapida trasformazione eco134
Attività economica pubblica nomica e sociale i processi di assestamento delle forze di lavoro (art. 65); 10) favorire la formazione di una conveniente struttura agraria, fondata, a seconda delle esigenze tecniche, principalmente sulla piccola proprietà e sulla cooperazione tra i lavoratori addetti all'azienda agraria (art. 77); 11) correggere le eccessive disparità economiche (art. 80), influire sull'ordinamento economico in vista di evitare eccessive accumulazioni di ricchezza ed ingiusti impoverimenti di alcuni a vantaggio di altri e riassorbire le situazioni di indebito arricchimento che si siano eventualmente verificate (art. 82); 12) disciplinare nell'interesse comune la trasmissione ereditaria dei beni (art. 83); 13) regolare l'uso e la distribuzione dei beni di consumo nei casi in cui non si svolgano in modo confacente all'interesse comune (art. 78); 14) regolare nell'interesse dei consumatori l'attività produttiva che si svolge in situazione di non concorrenza (art. 76) e curare, negli altri casi, il mantenimento di condizioni di effettiva concorrenza (art. 75); 15) tutelare il risparmio affidato a terzi per l'impiego (art.. 59 e 81) ed evitare variazioni nel valore economico dell'unità monetaria esistente (art. 89); 16) promuovere e regolare i rapporti con l.e altre economie nazionali affinché i beni della terra raggiungano attraverso un'equa distribuzione la loro fondamentale destinazione a vantaggio di tutti gli uomini (art. 84). Altro importante aspetto della attività economica pubblica è costituito dalla attività finanziaria dello stato e degli altri enti pubblici, mediante la quale si raccolgono e si impiegano i mezzi necessari per organizzare e per sostenere l'azione pubblica (2 ) . · 87. Coordinamento delle attività economiche pubbliche. L'attività economica pubblica nei suoi vari aspetti condiziona l'intera vita economica ed ha fini prossimi e remoti che sono realizzati da molteplici soggetti pubblici mediante molteplici forme e strumenti. Per questo lo svolgimento della attività economica pubblica rende _necessario:
· ( 2 ) Questo art. 86 è forse il più importante della parte del Codice di Camaldoli dedicata all'economia. Gli estensori ne furono Paronetto, Saraceno e Vanoni. L'articolo riassume. in sintesi molti articoli precedenti riportandoli tutti, con un filo conduttore logico, chiaramente percepibile, alla giustizia sociale: che deve essere scopo fondamentale dell'attività economica pubblica e al quale «conviene che anche lattività economica privata sia ordinata». In questo articolo vengono praticamente a emergere gli aspetti più salienti che caratterizzano il notevole e incisivo rinnovamento del nuovo Codice rispetto a quello di Malines (prima e seconda edizione).
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Per la comunità cristiana a) di coordinar e l'azione dei diversi enti, rimanend o sempre salva la naturale autonomia degli stessi, imprescindibile presidio della libertà e fondamen to di definite responsabilità; b) di coordinare tra di loro i fini prossimi che vengono perseguiti nello stesso tempo, in modo da graduarli secondo la loro rispondenza al fine ultimo dell'attività economica pubblica; c) di tener conto degli effetti immediati e mediati delle varie attività, onde eliminare le eventuali incompatibilità ed evitare gli attriti, le fasi di inerzia e altri motivi di dispersione.
Posta questa sua struttura l'attività economica pubblica va sempre indirizzata secondo una visione unitaria, la quale deve ispirarsi al fine ultimo di ogni pubblica azione, che consiste nel creare le condizioni più favorevoli di vita sociale per un pieno sviluppo delle energie degli individui e dei gruppi.
88. Criteri informatori dell'attività economica pubblica. L'attività economica pubblica deve inspirarsi al principio fondamentale di procurare una utilità sociale maggiore di quella che i mezzi che l'alimentano avrebbero determina to se lasciati nelle mani dei singoli. A questo fine si richiede una accurata valutazione dei vantaggi attuali e prospettivi dell'impiego dei mezzi a disposizione della azione pubblica. In particolare devono essere tenuti in evidenza: 1) il necessario equilibrio tra investimenti produttivi e consumi,
perché se una programmatica compressione dei consumi può portare a gravi danni sociali, un eccesso di consumi sull'accumulazione di nuovi mezzi di produzfone prepara squilibri economici e quindi sociali alle generazioni future; mentre d'altro lato quanto più si accresce la sfera economica pubblica tanto più si afferma la responsabilità dell'azione pubblica per l'accumulazione del risparmio; 2) un'equa attribuzio ne dei vantaggi offerti dall'azione pubblica ai vari individui ed alle varie classi e categorie sociali, da realizzarsi con particolare riguardo alle necessità dei singoli e delle categorie che meno sono in grado di soddisfarvi con le loro forze autonome, con l'esclusione di qualsiasi privilegio nel godiment o delle utilità pubbliche; 3) un armonico contempe ramento fra la naturale autonomia ed indipendenza della sfera di libertà individuali, con particolare riguardo alla varietà delle aspirazioni, dei gusti, delle occorrenze dei singoli, e la valutazione sociale dei bisogni che si agitano nella società; 4) una prudente scelta delle forme tecniche di organizzazione della azione pubblica sotto il profilo della rispondenza allo scopo, della semplicità e della economicità. 136
Attività economica pubblica 89. Moneta e manovre monetarie. L'importanza fondamentale della moneta come strumento di scambio e di trasferimento dei valori nel tempo e nello spazio, rende necessario l'intervento dell'autorità pubblica nel suo governo, sia per fissarne il tipo e renderne così più sicuro e più facile l'impiego, sia per difendere la generalità dei cittadini contro l'abuso, la frode e l'inganno dei pochi, sia per valersene con le necessarie cautele per promuovere il bene comune. Le forme tecniche e le regole di tale intervento devono essere determinate e giudicate in rapporto alle condizioni concrete di ambiente e di tempo: ma devono in ogni caso considerarsi con particolare cura tutti gli effetti immediati e mediati dell'azione pubblica sulla moneta soprattutto allo scopo di far sempre salva l'uguaglianza nella distribuzione dei benefici e dei sacrifici. In particolare debbono essere decisamente condannate le manovre dirette a procacciare entra.t e all'ente pubblico attraverso la riduzione del potere di acquisto della moneta, perché fondate sull'indiscriminato sfruttamento della pubblica fiducia esercitato nei confronti di chi difficilmente può difendersene e perché importano una distribuzione disuguale ed irrazionale del sacrificio tra gli individui e tra le categorie sociali. Se in particolari circostanze si sia prodotta una sensibile riduzione del potere di acquisto della moneta, vi è l'obbligo di riparare, mediante adeguati provvedimenti, alle ingiustizie che ne siano derivate per la illecita azione dell'autorità. 90. Patrimonio pubblico. La proprietà di beni patrimoniali da parte dell'ente pubblico si presenta sia come mezzo immediato per la prestazione di pubblici servizi, sia come strumento per attuare determinati interventi della collettività nella economia, sia infine come fonte di entrate finanziarie per l'ente stesso. Le esigenze della giustizia sociale e del rispetto delle naturali autonomie nella società richiedono però: 1) che ove la proprietà riguardi beni di produzione, si ottenga da essi il massimo rendimento non potendosi giustificare eventuali inefficienze insite nell'esercizio pubblico con i vantaggi che attraverso tale esercizio si vogliono conseguire; 2) che siano adottate forme di organizzazione della proprietà pubblica che facciano salva la naturale autonomia e responsabilità delle forze sociali e che consentano di ridurre agevolmente l' estensione della proprietà dell'ente pubblico non appena questa non interessi più l'azione che esso deve svolgere.
91. Natura dell'attività finanziaria : il principio di uguaglianza e di generalità. La necessità di sostenere ed alimentare l'azione degli enti pubblici giustifica e spiega come una esigenza dell'esistenza stessa di
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Per la comunità cristiana quegli enti l'attività finanziaria, cioè l'attività diretta alla raccolta ed alla distribuzione di mezzi economici tra i vari impieghi pubblici. L'attività finanziaria in quanto agisce sulla vita economica sia nel momento della raccolta dei mezzi sia attraverso le forme e i modi del loro impiego, deve essere improntata alle esigenze della giustizia sociale. Risponde a tal fine in primo luogo il principio di uguaglianza, secondo il quale ogni individuo deve concorrere ai carichi pubblici in rapporto alla propria capacità ed in modo che ad eguale situazione corrisponda eguale incidenza della finanza. Per lo stesso principio l'azione finanziaria deve prestare le utilità da essa procurate in rapporto al bisogno di ognuno, in modo che al maggiore bisogno corrisponda una maggiore prestazione di servizi pubblici. Costituisce un particolare aspetto del principio di uguaglianza il canone della generalità, per il quale i sacrifici e le utilità recati dall' azione finanziaria spettano a tutti gli individui appartenenti alla comunità organizzata dall'ente pubblico in rapporto alla loro capacità ed al loro bisogno: vanno pertanto evitati i privilegi e le ingiustificate differenze sia nel sacrificio che nel godimento dei vantaggi da parte di individui e di categorie sociali (3 ): 92. Limiti dell'azione finanziaria . Risponde a giustizia che i sacrifici richiesti dall'azione finanziaria siano mantenuti entro i limiti strettamente necessari per il conseguimento degli scopi di utilità sociale che la stessa si propone di raggiungere: Dipende da ciò: 1) che i sacrifici debbono essere chiesti ed imposti nelle forme e nei tempi che ne rendono meno grave la sopportazione da parte dei soggetti. Le formalità, le prestazioni accessorie, le sottigliezze di applicazione, devono essere ridotte al minimo, onde evitare inutili aggravi e sofferenze; 2) che nella esazione e nell'amministrazione del denaro pubblico devono seguirsi i sistemi meno complessi e più economici possibili; 3) che l'altezza dell'imposizione deve essere regolata in niodo da non opprimere il soggetto e da lasciargli in ogni caso la possibilità di provvedere onestamente ai bisogni suoi e della sua famiglia ed alla elevazione:; propria e dei propri familiari, secondo le necessità del1' ambiente in cui vive (4 );
( 3 ) In un saggio del 1940 Ferrari Aggradi poneva in rilievo l'esistenza di sperequazioni a danno dell'agricoltura nel sistema tributario italiano. Cfr. M. FERRARI AGGRADI , Studi sulla finanza italiana, Zanichelli, Bologna 1940, in particolare lo studio IV: «L'incidenza dei tributi · diretti in agricoltura», pp. 63-93. 4 ( ) Cfr. in FERRARI AGGRADI, Studi sulla finanza italiana, cit., p. 62, una trasparente critica sui pesi eccessivi concentrati sui settori produttivi.
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Attività economica pubblica .4) che gli investiti della pubblica amministrazione debbono in ogni momento inspirare la loro azione al principio fonqamentale che il denaro pubblico è inviolabile ed alla considerazione essenziale che chi disperde, male amministra o si appropria il denaro pubblico pecca contro la giustizia.
93. Funzione extra-fiscale del tributo. Il tributo, determinando il passaggio di beni economici dal privato all'ente pubblico e quindi sottraendo beni alla spesa privata per sostenere la spesa pubblica, opera per sua natura una redistribuzione di beni disponibili tra i vari impieghi e consumi. Pertanto il tributo, accanto alla sua funzione immediata di procurare mezzi per la spesa pubblica, esercita la funzione mediata di concorrere a modificare secondo i principi della giustizia sociale la distribuzione della ricchezza e l'organizzazione della vita economica e sociale. Questa funzione mediata può essere di proposito esercitata quando si tratta: 1) di correggere ed attenuare ingiustificate disuguaglianze nella ripartizione della ricchezza ed eccessive accumulazioni di beni; 2) di reprimere e di limitare manifestazioni di lusso o di prodigalità moralmente e socialmente dannose, o di indurre a graduare i consumi secondo una scala di utilità sociale; 3) di disciplinare, proteggendole od ostacolandole, determinate attività in funzione della loro utilità sociale.
L'importanza e la delicatezza dei compiti extra-fiscali del tributo impongono peraltro: 1) che la valutazione delle utilità sociali, che si vogliono conseguire, sia fatta dalla legittima rappresentanza politica tenendo rigoroso conto delle necessità e condizioni delle singole forze sociali e del rispetto delle naturali libertà di esse, cioè della necessità del loro autonomo sviluppo secondo le leggi proprie alla loro natura; 2) che nella determinazione del tributo anche se diretto a fini extra-fiscali sia sempre salvo il principio dell'uguaglianza e della generalità, sia in senso . assoluto, in quanto individui che si trovano in uguale condizione siano ugualmente soggetti all'imposizione, sia in senso relativo, in quanto l'imposizione di individui che si trovano in diverse condizioni sia graduata in ragione di tafe diversità.
94. Dovere tributario. È dovere morale, oltre che giuridico, di soddisfare alle imposte esattamente, entro i limiti fissati dalle leggi: l'evasione tributaria contrasta a tale dovere e deve essere condannata. La legge non deve però nell'ordinamento del tributo e soprattutto nella fissazione delle aliquote, essere ispirata al pensiero che le eva139
Per la comunità cristiana
sioni sono inevitabili, ma deve stabilire aliquote giuste e provvedere ad accertamenti regolari. In caso contrario l'ipocrisia del legislatore giustifica l'evasione e l'inadempienza del contribuente e mette in pericolo l'ordinata disciplina del tributo, che viene sopportato in misura diversa dai contribuenti onesti o timidi e da contribuenti scaltri o poco coscienziosi. Le sperequazioni che nascono in tal modo tra contribuente· e contribuente inficiano nella sua applicazione qualsiasi piano, per quanto ben congegnato, di distribuzione delle imposte. 140
VII LA VITA INTERNAZIONA LE 95. Sviluppo internazionale delle forze sociali. La maggior parte degli interessi dal cui complesso nasce la vita sociale hanno natura e capacità di svolgimento che superano l'ambito delle realtà nazionali e dei singoli stati e possono trovare piena applicazione o appagamento solo in soluzioni conformi alla loro natura e cioè di carattere internazionale. Per conseguenza le forze sociali che provvedono a questi interessi sono per loro natura libere di dare vita a forme di organizzazione internazionale nelle quali i vari popoli possano comunicare in una libera esperienza comune, la quale costituisce il primo passo per la creazione di una vera comunità internazionale. 96. La comunità internazionale delle forze sociali. La creazione di una vita comune internazionale operata attraverso la cura e la gestione di interessi comuni ai vari popoli è la premessa ed il supposto indispensabile per la formazione di una società politica internazionale avente per finalità la armonia e la solidale e ordinata convivenza di queste libere forze e la loro azione comune e quindi la creazione di un vero e non fittizio o formale ordine giuridico che subordini o conformi la politica degli stati alla superiore esigenza della comune vita dei popoli. Solo e soprattutto con la formazione di questa libera società internazionale delle forze sociali nella piena espansione della loro natura, potrà essere superato effettivamente e nella realtà storica il falso dogrria della sovranità assoluta dello stato, fonte e premessa di ogni ingiustizia e di ogni violenza internazionale e ragione precipua delle crisi e dei fallimenti avvenuti in tutti i tentativi di organizzazione di una comunità internazionale (1 ).
(1) Questi due articoli sulle libere organizzazioni internazionali delle forze sociali risultano piuttosto ambigui. Non si comprende se si riferiscono a collegamenti internazionali fra partiti (come, in funzione dell'unificazione europea, auspica il programma cospirativo della Dc veneta, Programma della Democrazia Cristiana, ristampa, cit., in «Civitas», n. 2, 1_984, cit., p. 2.0), o comunque fra associazioni confluenti sul piano ideologico, oppure fra assoc1az1om professionali e sindacali. Assai più chiara è a questo proposito l'opera fondamentale di G. GoNELLA, f'.resupposti di un ordine internazionale, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma, 1942. Quest'opera costttul
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Per la comunità cristiana 97. Fondamento morale e prindpi dell'ordine internazionale. Secondo l'altissimo monito di Pio XII «il nuovo ordinament o che tutti i popoli anelano di vedere attuato, dopo le prove e le rovine di questa guerra, ha da essere innalzato sulla rupe incrollabile ed immutabile della legge morale. Una legge morale la cui osservanza deve venir inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante» (2 ). Tale suprema legge morale della vita internazionale si concreta nei 3 seguenti principi fondamentali dettati da Pio XII ( ): 1) deve essere assicurata la libertà, l'integrità, l'indipenden za di
tutte le nazioni, quale che sia la loro estensione territoriale e la loro capacità di difesa: la volontà di vivere di una nazione non deve mai 4 corrispondere alla sentenza di morte per un'altra ( ); 2) deve abbandonar si il funesto principio che i rapporti internazionali siano rapporti di forza, che la forza crei il diritto e che l'utilità sia la base e la regola dei diritti e della politica delle nazioni. Deve invece subentrare il riconoscimento della solidarietà giuridica ed economica e della collaborazione fra le nazioni, fatte sicure della loro autonomia e della loro indipendenza. Tale riconoscimento comporta la definitiva rinuncia a sistemi e pratiche che mirino a diffondere l'odio fra i popoli, rappresenta ndo le altre nazioni sotto una luce falsa e oltraggiosa (5 ); 3) tenendo conto delle esperienze del passato e delle loro lacune e deficienze, occorre dar vita ad adatte istituzioni internazionali, che sappiano acquistarsi il generale rispetto, mirino ad organizzare in molteplici forme la necessaria cooperazione che nasce dalla solidarietà e dalla interdipendenza fra i popoli, servano a garantire la leale e fedele attuazione delle convenzioni e, in · caso di bisogno, a rivela base per lo sviluppo del pensiero democratico cristiano nella politica internazionale durante la Resistenza e fino alla Costituente. Essa raccoglieva in volume una serie di articoli di Guido Gonella, che furono pubblicati sull'Osservatore Romano dal gennaio al maggio 1942 ed ebbero largo eco sulla stampa internazionale. La trama dell'opera era costituita da uno studio comparativo dei cinque punti di ciascuno dei Messaggi iniziali del 1939, 1940, 1941 in cui sono fissati quei «presupposti essenziali di un ordine internazionale» dai quali non potranno prescindere quanti cercheranno di ricostruire, dopo il turbine della guerra, un nuovo ordine internazionale fondato su prinàpi morali. A tali radiomessaggi e ali' opera di Gonella si rifaranno gli artt. 97, 98 e 99 del Codice di Camaldoli. Per quanto riguarda il tenore degli artt. .95 e 96, che permangono poco chiari nella loro stesura, si veda nel volume di Gonella il capitolo VII della parte I : «Egoismi nazionali e solidarietà &a i popoli»: un testo assai più analitico e approfondito e lucido nei suoi intendimenti (op. cit., pp. 106-124). (2) PIO XII, Radiomessaggio natalizio 1941, Encicliche Sociali, p. 515. natalizi ( 3 ) I commi che seguono sono tratti da alcuni punti essenziali dei tre radiomessaggi di PIO XII, del 1939, del 1940 e del 1941. Presupposti di un 4 ( ) Cfr., a questo proposito, un ampio approfondiment o in G. GoNELLA, ordine internazionale, cit., parte II, cap. VIII, pp. 127-138. 5 ( ) Cfr. G. GoNELLA, op. cit., parte . I, cap. V,. pp. 83-96.
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Vita internazionale derle e correggerle, per evitare arbitrarie e unilaterali lesioni ed interpretazioni (6 ); 4) occorre tener conto dei veri bisogni e delle giuste richieste delle nazioni e dei popoli, come pure delle minoranze etniche, anche se esse non bastano sempre a fondare uno stretto diritto quando siano in vigore trattati riconosciuti e sanciti o altri titoli giuridici che vi si oppongano; ·a tali richieste occorre venire incontro in vie pacifiche e, ove appaia necessario, anche per .mezzo di una equa, saggia e concorde revisione aperta dei trattati. Deve in ogni caso evitarsi la oppressione aperta o subdola delle peculiarità culturali e linguistiche delle minoranze nazionali per l'impedimento e la contrazione delle loro capacità economiche, per la limitazione o l'abolizione della loro naturale fecondità (7); 5) eliminati i più pericolosi focolai di conflitti armati, le nazioni debbono venir liberate dalla pesante schiavitù degli armamenti, procedendo con serietà ed onestà ad un effettivo disarmo mutualmente consentito, organico, progressivo, sia nell'ordine pratico che in quello spirituale (8 ); 6) occorre superare ogni ristretto calcolo egoistico, eliminando quei germi di conflitto che derivano da divergenze troppo stridenti nel campo economico, per giungere ad un assetto dell'economia internazionale che dia a tutti gli stati i mezzi per assicurare ai propri cittadini di ogni ceto un conveniente tenore di vita. Deve essere condannata perciò ogni tendenza ad accaparrare le fonti economiche e le materie di uso comune in maniera che le nazioni meno fornite dalla natura ne restino escluse (9); 7) poiché per la ricostruzione dell'ordine internazionale si richiede così dall'uomo di stato come dall'ultimo dei cittadini la vittoria sull'odio e sulla sfiducia e il massimo di energie morali, la fede cristiana con la sua legge di amore e di fratellanza fra gli uomini potrà portare un contributo prezioso e insostituibile. Per questo non vi è posto in un nuovo ordinamento -fondato sui principi morali per alcuna persecuzione della· religione e della Chiesa (10 ).
98. Doveri delle nazioni civili rispetto alle genti meno progredite e primitive. Importanza fondamentale per la formazione di un ordine ( 6)
Ctr. G. GoNELLA, op. cit., parte Il, capp. XV, XVI e XVII, pp. 223-272.
(7) Cfr. G . GoNELLA, op. cit., parte Il, capp. I e Il, pp. 127 -150. ( 8 ) L'efficace espressione «pesante schiavitù degli armamenti» si trova in G. GoNELLA, op. cit., p. 223. Gonella, dopo aver tracciato la triste storia della «vicenda della limitazione degli armamenti» fra la prima e la seconda guerra mondiale (op. cit., pp. 211-222) indica, secondo l'insegnamento di Pio XII, nel rispetto dei trattati la condizione essenziale affinché i popoli possano liberarsi dalla pesante schiavitù degli armamenti . . ( 9 ) I temi divenuti oggi tanto attuali della fame nel mondo e dei rapporti fra Paesi industrializzati e Terzo Mondo sono qui chiaramente anticipati con un'ispirazione profondamente cristiana e . con proposte di soluzione assai avanzate per il tempo m cui vennero stilate. ( 10 ) Cfr. G. GoNELLA, op. cit., cap. XX: «Ii Cristianesimo e la ricostruzione dell'ordine internazionale», pp. 309-323.
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Per la comunità cristiana internazionale hanno i rapport i delle nazioni socialmente progred ite con le popolazioni coloniali, primitive o meno progredite. In questi rapporti, benché storicamente consueti, non sono inevitabili, tanto e forse più per la popolazione dominatrice quanto per quella soggetta, il metodo dello sfruttamento e l'uso della violenza. È trattam ento di violenza anche il volere intervenire nel processo di sviluppo di una popolazione per imporle un ordine di vita civile non adeguato alle sue attuali capacità spirituali e sociali. È esigenza essenziale di giustizia non meno che di convenienza di fare ogni sforzo per conoscere, rendersi certi e compenetrarsi delle vere condizioni spirituali, religiose, civili, economiche di una popolazione cosiddetta inferiore, in modo da sceverare quelle idee di verità e leggi di moralità e di ragione che sono in ogni coscienza umana anche primitiva e in ogni ordinam ento anche arretrato. Sopra questi punti positivi di umanità, le nazioni più progred ite debbon o fondare la propria azione civilizzatrice, evitando i suddett i violenti interventi sovversivi che anche fatti con la intenzione di attuare forme superiori di vita sociale non hanno altra conseguenza che ordine che non distruggere l'ordine esistente, senza creare un nuovo 11 ). trova terreno adatto per nascere e per vivere ( 99. L'azione personale per l'ordine internazionale e per la pace. La premessa fondamentale per formare un ordine internazionale e quindi assicurare positive condizioni di pace all'umanità è di rifarsi alla vera idea dello stato e alla pratica della vita sociale e politica conforme alla legge del Decalogo e ai princìpi della verità, della giustizia e della libertà. Questa meta suppon e ed implica la ricristianizzazione dei popoli civili, cioè la volontà degli individui di vivere in spirito e verità la vita di Cristo, il che è altresì la premessa per ogni opera civilizzatrice e missionaria a favore delle popolazioni primitive e non cristiane. Ogni cristiano deve sentirsi di fronte a quest'o pera suprem a di salvezza della civiltà un apostolo e un martire cioè un testimone, e quindi sentire in sé la responsabilità non solo della sua vita e di quella della sua famiglia o del suo gruppo , ma della salvezza della intera comunità umana. Ogni cristiano deve perciò mostrare con la sua condott a nella vita privata, professionale e pubblic a la sua convinzione che l'idea ,evan11 adombrarsi il principio dell'indipendenza di ) Mentre nel comma I dell'art. 97 sembrava ( in questo art. 98 si «tutte» le nazioni, quindi anche di quelle soggette a regime coloniale, ; e ci si limita a prende atto dell'esistenza di popolazioni coloniali, primitive o meno progredite verità e leggi di «di quanto tutto rispetti che ce civilizzatri 'azione un per criteri fissare rigorosi ordinamen to ogni in e primitiva anche umana coscienza ogni in sono moralità e di ragione del Codice di Malianche arretrato» . Siamo assai più avanti rispetto alle norme in proposito emergendo, fin dalnes. Ma il problema della eliminazione del colonialismo, che pure stava ione del Co- · l'immediato dopoguerra, non era ancora pervenuto , al momento della pubblicaz dice di Camaldoli, a completa maturazione.
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Vita internazionale
gelica può essere strumento di affermazione, liberazione e giust121a per i singoli come per i popoli e che la cattolicità al di sopra delle distinzioni di razza e di nazionalità, tende a realizzare concretamente 12 la comunità del genere umano nella fraternità di tutti gli uomini ( ). ( 12 ) Questo articolo di generico impegno morale sembra troncare un discorso che risulta così privo delle prospettive concrete e ben determinate che resero allora, per tanti punti, e rendono ancor oggi valido ed efficace il Codice di Camaldoli nei sei capitoli precedenti. Manca, per esempio, qualsiasi accenno alla prospettiva di unificazione europea. Essa si trova invece nei documenti che, negli stessi mesi in cui a Roma si prowedeva alla stesura del testo definitivo di Camaldoli, i democratici cristiani, che ancora combattevano al Nord nella Resistenza, proclamavano chiaramente nei loro documenti cospirativi. Per es. nell'opuscolo 1944: Pensando al dopo, di L. Gm , cit., si dice senza mezzi termini: «È venuto il tempo di creare una Confederazione d'Europa, Inghilterra compresa», (p. 100). Nella Essenza e programma della Democrazia Cristiana, di G. SABADIN cit., si auspica che «una organica comunità di nazioni crei le basi di una Federazione degli Stati europei» (p. 90) . Nelle Idee sulla Democrazia Cristiana cit. (p. 65) TAVIANI anticipa già esplicitamente la tesi dell'insufficienza dell'unità di misura nazionale del mondo contemporaneo: «Le recenti dolorose esperienze ci mostrano da un lato come molte delle cosiddette grandi potenze di qualche decennio fa non possano - perché prive di certe materie prime indispensabili e di una adeguata attrezzatura industriale - reggersi, neppure per breve tempo, in una competizione armata di fronte a organismi statali che abbracciano ormai quasi interi continenti; d'altra parte la coscienza dei popoli, attraverso le inimmaginabili sofferenze di due guerre imperiali e nazionalistiche, si è elevata verso una maggiore comprensione dell'esigenza di superare il nazionalismo, coordinandolo - senza negarlo in un più vasto concetto della comunità statale. E perciò si prospetta necessario il rinnovamento della suddivisione dei continenti in unità federative internazionali che, senza misconoscere le libertà e le autonomie delle nazioni federate, possano meglio adempiere la loro missione attraverso una più vasta collaborazione di masse umane e un più ampio sfruttamento di territori e di materie prime». Su questi temi il Codice di Camaldoli tace. Eppure, nell'art. 96, auspicando una «libera società internazionale delle forze sociali nella piena espansione della loro natura (sic)», aggiungeva che soltanto così «potrà essere superato effettivamente e nella realtà storica il falso dogma della sovranità assoluta dello Stato, fonte e premessa di ogni ingiustizia .e di ogni violenza internazionale e ragione precipua della crisi e dei fallimenti awenuti in tutti i tentativi di organizzazione di una comunità internazionale». Ma sono dichiarazioni che non trovano ulteriore concreto sviluppo. L'art. 99 si limita a riaffermare l'impegno morale individuale per la diffusione dell'idea cristiana affinché sia «strumento di affermazione, liberazione e giustizia per i singoli come per i popoli». «La cattolicità al di sopra delle distinzioni di razza e di nazionalità tende a realizzare concretamente la comunità del genere umano nella fraternità di tutti gli uomini». Questa frase conclude l'art. 99, conclude il capitolo sulla vita internazionale, conclude l'intero Codice di Camaldoli. Se si approfondisce il significato di questa frase sembra che si possa awalorare l'ipotesi che nella stesura finale della parte riguardante i rapporti internazionali abbiano prevalso quei settori che poi aderirono come «stato di necessità» all'alleanza atlantica e considerarono troppo limitativo l'ideale dell'unità europea. L'altra ipotesi, che può legittimamente avanzarsi è quella che tiene conto del momento (il 1945) in cui il Codice fu pubblicato. Volgeva al termine la guerra, ed era facile prevedere che i cristiani impegnati nella politica attiva della nuova Italia avrebbero dovuto affrontare gravissime e delicate congiunture, prima fra tutte il trattato di pace. Era difficile e forse anche dannoso per gli interessi della Nazione anticipare prospettive per il «dopo pace». Lo stesso De Gasperi, nelle Idee ricostruttive della Democrazia Cristiana, cit., p. 41, si limita ad auspicare la promozione di «organismi confederali con legami continentali e intercontinentali» e a indicare norme nuove per una «nuova comunità internazionale» che dovrà succedere alla Società delle Nazioni «fallita per inadeguatezza d'istituzioni e di mezzi». Si comprende quindi come un saggio e prudente riserbo possa avere fermato la penna degli estensori nel punto in cui si sarebbero potute offrire prospettive meglio definite e concrete: ciò che - lo ripetiamo e ribadiamo - era stato fatto con realismo, con spirito di apertura e di preveggenza, e con tanta lodevole efficacia, nei capitoli
precedenti.
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