Vol 01 sintesi sociali (1900 1906) unioni professionali

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OPERA OMNIA

L U I G I

S T U R Z O

SECONDA SERIE

SAGGI

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DISCORSI

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VOLUME I

ARTICOLI


LUIGI STURZO

Scritti pubblicati su a LA CULTURA SOCIALE u

11 EDIZIONE I T U A RIVEDUTA

NICOLA ZANICHELLI EDITORE BOLOGNA


L' EDITORE ADEMPIUTI 1 DOVERI

ESERCITER~I DIRITTI SANCITI DALLE LEGU

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Bologna

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Coop. Tip. M i r e g ~ i s n iV-196,


PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL' ISTITUTO LUIGI STURZO

PRIMA SERZE: OPERE

- L'Italia e il fascismo (1926). - La comunità internazionale e il diritto di guerra (1928). 111 - La Società: sua natura e leggi (1935). IV . Politica e morale (1936). - Coscienza e politica. - Note e suggerimenti di politica pratica (1952). V-VI - Chiesa e Stato (1939). VI1 - La Vera vita - Sociologia del soprannaturale (1943). VI11 - L'Italia e l'ordine internazionale (1944). IX - Problemi spirituali del nostro tempo (19451. X - Nazionalismo e internazionalismo (1946). XI - La Regione nella Nazione (1949). XII - Del metodo sociologico (1950). - Studi e polemiche di socioI I1

logia (1940-1950).

SECONDA SERIE: SAGGI

- DISCORSI - ARTICOLI

- L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni profeesionali. Sintesi sociali (1900-1906). I1 - Autonomie municipali e problemi amministrativi (1902-1915). - Scritti e discorsi durante la prima guerra (1915-1918). I11 - I1 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). - Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922). IV - I1 partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924). Y - I1 partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925). La Libertà in Italia (1925). - Scritti critici e bibliografici (19231926). VI - Miscellanea londinese (1926-1940). VI1 - Miscellanea americana (1940-1945). VI11 - La mia battaglia da New York (1943-1946). IX-XIII - Politica di questi anni. - Consensi e critiche (1946-1956). I

TERZA SERIE: SCRITTI VARI

I I1 111 IV V

- I1 ciclo della creazione (poema drammatico in quattro azioni). Versi. - Scritti di letteratura e di arte. - Scritti religiosi e morali. - Scritti giuridici. - Epistolario scelto. -

Bibliografia.

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Indici.



A VVERTENZA

Nel piano del170pera Omnia d i Luigi Sturzo, il presente volume apre la Seconda Serie, destinata a raccogliere Saggi Discorsi Articoli.

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S i è dato ad esso il titolo d i Sintesi sociali, dalla raccolto d i scritti, edita nel 1906, che ne costitniscs parte essenziale. La prima edizione d i Sintesi sociali usci a cura della Società Nazionale d i Cultura, con una breve prefazione d i Romolo Murri, che qui si riproduce. Comprendeva sei saggi, nati originariamente come conferenze o relazioni pronunciate i n anni che vanno dal 1902 al 1905. L'ultimo d i tali saggi, « I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani D, discorso letto da Sturzo a Caltagirone il 24 dicembre 1905, era stato aggiunto come appendice al colume. N o n aveva infalti ottenuto 17imprimatur, poichè la Santa Sede non voleva dare l'impressione d i avallare l'idea d i u n partito d e i cattolici (si veda la nota, elaborata da Gabriele De Rosa su informazioni dirette d i Sturzo, i n LUIGISTURZO,La Croce d i Costantino, Edizioni d i Storia e Letteratura, R o m a , 1958, p. 233). Qui lo si ripubblica come parte integrante d i Sintesi Sociali. S i è ritenuto invece più opportuno, i n questa seconda edizione, omettere il saggio dal titolo Il programma municipale d e i cattolici n , relazione tenuta da Sturzo al I convegno dai consiglieri cattolici siciliani nel novembre del 1902, e riservarlo.


come previsto dal piano dell'opera Omnia, per il secondo vol u m e d i questa serie, insieme con gli altri vari scritti sulle autonomie municipali e sui problemi amministrativi. I n appendice, il presente volume comprende anche il saggio dal titolo u L'organizzazione d i classe e le unioni professionali N, pubblicato i n opuscolo dalla SocietĂ Italiana Cattolica d i Cultura nel 1901, e gli articoli d i Sturzo apparsi, dal 1900 al 1905, sulla rivista di iĂŹfurri, La Cultura Sociale.

M . T . Garutti Bellenzier


INTRODUZIONE

Le Sintesi sociali sono una raccolta di articoli, più o meno brevi, di discorsi, sempre impegnati e di largo respiro, che Sturzo preparò nel periodo della massima espansione della prima democrazia cristiana, quella di ispirazione leoniana, dagli inizi del secolo al congresso di Bologna (1903) e poi alla crisi del luglio 1904, che fu insieme crisi dell'opera dei congressi, e questa definitiva, e crisi del movimento democratico cristiano, delle sue organizzazioni economiche e delle sue speranze. Come scrisse Romolo Murri nella prefazione alla prima edizione dell'opera, gli scritti di Sturzo si presentavano come « animosa affermazione del programma democratico cristiano, ma con un giusto senso della relatività storica di esso n. I1 libro uscì quando le file democratiche cristiane, già sconvolte dallo scioglimento dell'opera dei congressi che aveva annullato il successo riportato dai giovani amici di Murri al congresso di Bologna, promettevano di riprendersi dando vita alla Lega democratica nazionale, movimento intellettuale più che d i popolo, centro di dibattiti ideologici di pochi giovani più che vero e proprio movimento politico. Presi nel mezzo tra gli antichi ideali di una riconquista cristiana della società e la concreta, spregiudicata politica di compromessi dell'età giolittiana, tra l'esigenza di un'autonomia, che oscillava da u n ribellismo pretensioso all'attesa di investiture religiose, e l'incapacità di realizzarla con chiarezza d i prospettive politiche su di u n programma veramente distinto a destra come a manca, i democratici nazionali erano destinati a passare di delusione in delusione. Murri attendeva, quando comparvero l e Sintesi sociali, a ristabilire, come egli scrive. a su più salde basi l'unità dell'azione democratica cristiana n. Eppure Sturzo aveva


già awertito, u n anno prima, in una lettera a G . B. Valente del 25 maggio 1905, che sarebbe stato errore, allora, quando i sospetti erano ancora grandi e la confusione ideologica tra i cattolici più grande ancora, tentare nuovamente « di organizzare il partito d. C. 1). È necessario - aveva scritto a Valente che molta acqua passi sotto i ponti, prima che in Italia si parli di organizzare il partito cattolico. R Secondo me - affermava Sturzo con una sicurezza d i giudizio che dava la misura d i quel suo senso realistico e storico, che gli riconobbe lo stesso Murri - è bene che sia caduta l'Opera dei congressi, anche con Grosoli, che sia caduta la d.c., autonoma o no, non importa, che sia caduto il non expedit. Ora per un po' di tempo raccogliamoci a pensare sulle rovine del passato e del presente, prima di affrettare organizzazioni che riescono chiesuole (la lettera di Sturzo a G. B. Valente in L. STURZO,La Croce d i Costantino, edizioni di « Storia e Letteratura », Roma, 1958, pp. 259261). Raccoglimento, dunque, ecco la parola d'ordine di Sturzo. Nè qualcosa d i diverso Sturzo disse di lì a qualche mese, nel suo discorso d i Caltagirone, vera pietra miliare nella storia del movimento cattolico (da quel discorso, tredici anni dopo sarebbe nato i l partito popolare). Spiegava, inoltre, Sturzo, che il futuro partito non avrebbe dovuto chiamarsi nè cattolico, nè democratico cristiano, proprio per allontanare ogni sospetto che si volesse dare ad esso una bandiera di contenuto religioso: « Per tale ragione - egli disse a Caltagirone - noi ameremo che il titolo d i cattolici (così caro alle convinzioni religiose degli italiani) non fregiasse il nostro partito e i nostri istituti. Che se urta anche a l nostro senso estetico leggere i n cima alle insegne delle nostre banche o delle nostre società di assicurazione e dei nostri giornali i l titolo di cattolici, urta anche, e più che urta confonde i termini, il vedere che domani u n partito politico O amministrativo assuma la ragione d i cattolico. L'uso invalso anche nel campo avverso, come in parte ha fatto cadere il nome d i clericale, così ha sostituito quello, che io vorrei così sacro, d i cattolici. I n Francia si chiamano associazione liberale, i n AUstria cristiani sociali, in Svizzera conservatori; noi speravamo che il nome e il contenuto della democrazia cristiana fosse pas-


sato come insegna d i u n partito militante, ma anche questa rola si volle, per istinto che non si può evitare, far passare campo sociale a quello religioso, e poscia, mantenendo i l contenuto, è rimasta a significare una frazione di cattolici che u n programma di vita ».

padal suo più

I1 discorso d i Caltagirone del dicembre 1905 fu compreso nella raccolta Sintesi sociali. Murri lo conosceva bene, come conosceva bene i l pensiero di Sturzo contrario all'idea che si facesse i n quegli anni il partito e che lo si chiamasse ancora democratico cristiano. Del dissenso però egli non fece parola nella presentazione del volume. E ciò anche si spiega: invero a Murri interessava, attraverso i discorsi di Sturzo, offrire non tanto u n programma, un complesso di idee alla Lega democratica nazionale, quanto l'esempio d i una vitalità, di u n ((sano equilibrio di teoria e di pratica, di audacia e di opportunità », che indubbiamente le conferenze e la pubblicistica di Luigi Sturzo atiestavano ; una ~ubblicistica,qualunque fossero le divergenze tra i due, orientata tutta nel senso della ricerca dei termini civili e politici di un moderno partito democratico. I1 carattere distintivo, del resto, dell'attività sturziana risultava evidente dalla lettura delle Sintesi sociali: la ricerca, lo studio attorno a l divenire del partito non nascevano nel sacerdote di Caltagirone da una teorizzazione interna al problema religioso, non nascevano nemmeno da una negazione assoluta della realtà rivoluzionaria liberale moderna, ma da una chiara volontà di trasformare questa realtà con l'immissione nella vita pubblica di una forza politica organica, capace di restituire al tessuto civile del paese le premesse, gli elementi essenziali d i resistenza contro gli effetti disgregatori del liberismo individualistico, sul piano economico, e dell'invadente statalismo, sul piano politico, nemico degli svolgimenti autonomistici della vita locale. Fondamentalmente era una forza pratica, una forza tenace, come la sua terra, che si risolveva sempre nella proposta concreta di un'azione trasformatrice, quella che traspariva dalla lettura degli articoli di Sturzo, il quale si sapeva muovere, come pochi altri cattolici della sua generazione seppero muoversi, nella selva intricata e piena di trabocchetti (come niente si correva il rischio di trovarsi a so-


gnare insieme con gli ammalati di ritorni alla corporazione medioevale!) delle unioni professionali miste o semplici. Ma la forza pratica, la misura dell'esperienza suggeriva anche la cautela, nei contronti delle grandi idee - come la giustizia cristiana - che sommuovono gli animi. I n altre parole, era quel certo dubbio sistematico che si nascondeva dietro questa o quella proposta, dietro questo o quel programma, ancorchè si presentassero coperti da belle ed entusiastiche parole, ad attrarre, con ogni probabilità, Romolo Murri, - lui che sembrava così poco aperto ai dubbi e tutto preso dalle proprie convinzioni, sempre grandi e generose anche nella confusione alla lettura delle conferenze equilibrate, ma non prive d i audacia, del suo amico Sturzo. O forse era anche l'idea che dubbio non fosse in Sturzo, piuttosto calcolo, furbizia di tattico: il che era facile riscontrare in molti clericali del tempo, e senza distinzione nè di destra nè di sinistra. Era un male, ma che non si definiva tale perchè era per molti divenuto costume, abitudine o anche soltanto mezzo per stare tranquilli e non avere fastidi. Ma a Sturzo faceva difetto proprio il desiderio, la volontà di stare tranquillo. E poi, perchè avrebbe dovuto fare i1 furbo? Non lottava egli per fare passare qualcosa che era storicamente certo, inevitabile, necessario, come quell'esigenza che i cattolici partecipassero come cittadini alla vita pubblica con un loro pensiero politico e civile differenziato sia a destra sia a sinistra, esigenza che egli meglio degli altri suoi amici - i l tempo, sempre così avaro di riconoscimenti, gli dette ragione - seppe portare avanti con metodo e chiarezza ideologica? Della Chiesa Sturzo si sentiva figlio, e la libertà che egli amava e voleva era figlia della Chiesa. Questa consapevolezza interiore concorse a dare alla sua opera, anche di pubblicista, quella trasparenza, quella limpidezza interiore, che altri chiamerà coraggio, altri spregiudicatezza, altri ancora lealtà verso sè e gli altri, e che, ad ogni modo, fanno della sua prosa politica qualcosa di veramente originale e nuovo nella storia del movimento cattolico e tout court nella storia politica del nostro Paese. Dunque, abbiamo awertito il lettore. Nelle Sintesi socia-


li uno è il testo programmatico, che è già fuori dal clima della prima democrazia cristiana dell'età leoniana: il discorso di Caltagirone del dicembre 1905, che porta il titolo I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani. Tutti gli altri pezzi, articoli, conferenze, note, respirano pienamente nel clima fattivo e ideale del Pontificato della Rerum Novarum. Quando Leone XIII emise l'enciclica, Sturzo aveva venti anni, era al seminario di Caltagirone. Pensava di dedicarsi alla filosofia e alle lettere. Giunse fino a Caltagirone la Rerum Novarum? Può darsi che se ne parlasse tra i seminaristi, tra i quali erano docenti molto aperti. Lo stesso vescovo Gerbino, che era pastore coraggioso e sensibile alla miseria delle plebi, forse ne parlò. C'è una poesia di Sturzo, raccolta in un Saggio letterario dei chierici del V. Seminario Vescovile d i Caltagirone negli esami semestrali dell'anno scolastico 1890-1891, che ci fa pensare, nella movenza rapisardiana, a una sua forte ansia per l'oppressione delle ~ l e b i .La poesia si intitola Primo maggio, ma non mi pare possa dirsi composta quando già la Rerum Novarum era uscita. Qualche segno però di una vocazione di agitatore sociale era già nei versi di questo assai giovane poeta e filosofo. Indubbiamente avremmo desiderato trovare uno scritto, un documento che ci dicesse qualcosa della prima impressione di Sturzo per l'enciclica leoniana. Ma questo documento, sinora, non è sortito dalle sue carte. Possiamo, d'altra parte, ben dire che si incominciò molto tardi a parlare della Rerum Novarum, e a leggerla, per dirla con Bernanos, non con l'orlo delle ciglia, come se si leggesse una qualsiasi pastorale di Quaresima, ma come una chiamata, un alto appello alla coscienza dei cattolici: sicuramente dopo i fasci siciliani. E perchè se ne parlasse a Caltagirone in maniera concreta, con la volontà di farne bandiera di combattimento, bisognò attendere che Sturzo fondasse nel 1897 La Croce d i Costantino e desse vita con suo fratello Mario e con i suoi più giovani amici di Caltagirone, - da don Mario Caruso al canonico Giuseppe Montemagno, a Carmelo Caristia - al movimento di rinascita economica e sociale della democrazia cristiana. Fatto sta che ancora nel 1901 egli lamentava che "'erano cattolici in Italia,


e non sono pochi », che non avevano letta la Rerum Novarum (pag. 136); e di nuovo un anno dopo, in una conferenza tenuta È a Caltagirone, si chiedeva con una punta di amarezza: veramente divenuta popolare la data del 15 maggio? È passata con l a dolcezza del ricordo e coi fremiti della speranza nell'animo del popolo? ». Impossibile separare per Sturzo la Rerum Novarum dalla democrazia cristiana, impossibile associare l'enciclica di Leone XIII a programmi di restaurazione ~ r e b o r ghese, come ritennero di poter fare in u n primo momento i legittimisti francesi. Errore, però, sarebbe stato considerare la democrazia cristiana come se fosse il programma della Chiesa: u La democrazia cristiana - affermò Sturzo il 25 maggio 1902 (...) non è la Chiesa (...). La Chiesa è la società soprannaturale fondata da Gesù Cristo ad attuare nei secoli i frutti della divina redenzione (...). La democrazia cristiana, invece, è un effetto degli insegnamenti sociali della Chiesa; effetto il cui campo di operazioni è la vita sociale, il cui obiettivo specifico è la lotta contro gli altri partiti sociali per i l trionfo della vera giustizia, i cui caratteri generali sono indicati dalla Chiesa, per la pacificazione delle classi sociali; i cui mezzi sono le attività di vita pubblica, nell'ambito delle libertà civili, nello sviluppo del pensiero naturale illuminato dalla fede, nello svolgimento dei criteri economici, amministrativi, legislativi, sociali in tutte le apparenze della vita umana ».Non è una definizione che brilli per chiarezza: vi si riflette l'indecisione, l'incertezza non tanto personale di Sturzo, quanto generale del movimento, che faticò a uscire dalle idee di una democrazia cristiana come pura actio benefica in populum o come économie charitable. Però, si sente subito che l'accento è posto sui termini della lotta con gli altri partiti, sulla ricerca dei mezzi consentiti dalla società moderna per l'affermazione della « vera giustizia 1). I1 tutto poi come « effetto » dell'insegnamento sociale della Chiesa: i l che non è esatto, nemmeno storicamente, tanto è vero che egli in altra parte pone correlazioni meno meccaniche allo sviluppo della democrazia cristiana, la quale, come scrive, a fermenta nell'animo come bisogno d i vita vera e reale, come reazione contro la forma atomistica di vita sociale, contro l'ingiustizia dei rapporu


t i economici, contro l'ateismo o il laicismo della vita pubblica, affermatisi tutti in nome di un santo ideale di libertà, ridotta a peggior tirannia ». Dunque, sia pure tra qualche incertezza e oscurità di linguaggio, Sturzo ha per fermo che non devesi fare della democrazia cristiana un programma della Chiesa. La Rerum Novarum non è un manifesto, nè fonda partiti: si rivolge alla coscienza dei cattolici e ricorda loro come la Chiesa non può distaccarsi dalla sorte del popolo. L'enciclica suggerisce soluzioni, incoraggia iniziative che possano risolvere la questione operaia nel rispetto dei principi di una società cristianamente ispirata, non impone forme di organizzazione e indirizzi politici. Più in là, con il discorso di Caltagirone, Sturzo dirà che « sventuratamente » l'enciclica di Leone XIII « f u appresa come esplicazione particolare di vita, neppure di tutti i cattolici, e bandiera di un programma specifico, nel campo civile e politico D, mentre essa si elevava a l di sopra delle parti, si rivolgeva a tutti, a cattolici militanti e non militanti, a popoli e a governanti « perchè tutti richiamava dal tumulto dell'agitazione di plebi incomposte alle sublimi considerazioni del diritto cristiano D. Un altro punto del modo di intendere sturziano la democrazia cristiana interessa sottolineare: un punto che ancora fa risaltare quella sua mentalità positiva, che pure nell'entusiasmo non perde di vista il concreto, non si lascia sfuggire i contorni reali delle cose, insomma non diviene mai ottimistica. Mi riferisco alla insistenza con la quale respinge l'idea che la democrazia cristiana possa essere la « panacea » per risolvere la questione sociale. Si legga questo brano del suo discorso di Milano del 12 maggio 1903: K Ogni volta che ho parlato al popolo di democrazia cristiana, vi confesso schiettamente che ho avuto una certa trepidazione; ho detto fra me: se presento questo sistema, questa concezione sociale di vita e di lotta sotto una forma idilliaca, come un futuro felice, come un sana todos dei mali sociali (...) tradisco la verità storica e sociologica e cado in parte nell'antifilosofica e ridicola concezione dell'avvenire, profetizzata dai socialisti (...); se però presento questo sistema come un notevole awiamento dei popoli all'equilibrio sociale nella


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lotta particolare del momento per l'ideale di giustizia sociale (...) dico la verità, ma forse deludo » (pag. 51). Circa tre mesi dopo, a Caltagirone, Sturzo ancora ribadisce: « Noi non abbiamo la concezione felice della società; noi non speriamo i trionfi assoluti del bene come non crediamo ai trionfi assoluti del male nella terra (...) D (pag. 73). I n altre parole, per Sturzo niente di più falso che lasciar credere che la democrazia cristiana sia il partito dell'avvenire, sia il partito del paradiso terrestre per i diseredati e per le plebi: non lo afferma nemmeno per demagogia, per quella demagogia che s'accompagna sempre a l sistema della democrazia e che si paga sempre con qualche sacrificio della razionalità politica. Una politica democratica non demagogica, ecco la aspirazione più vera, sentita con maggior trepidazione da Sturzo, sin dal periodo calatino. I1 partito non promette, nè dà felicità, i l partito è u n mezzo cr d'avviamento dei popoli all'equilibrio sociale »; uno strumento, in altre parole, politico entro una visione dinamica e ~ l u r a l i s t i c a della vita pubblica. È una visione del partito, in sostanza, improntata a quel relativismo storico, che è stata una delle costanti del pensiero sturziano e che spiega anche la rinunzia, con sacrificio, che egli compie del nome democrazia cristiana, quando ben si avvede che ciò è necessario per togliersi dall'equivoco dell'ibridismo politico religioso che contrassegnò la prima fase dell'intransigenza cattolica. I n più, d'istinto egli avversa quella concezione edonistica del partito, di cui è intrisa la vita pubblica italiana nel periodo giolittiano e da cui è awolto lo stesso socialismo positivistico e riformistico: quella libertà che si stempera, si snerva, si illanguidisce nella pratica di una rigogliosa e promettente economia del benessere, è lontana dalla mentalità sturziana, ne è il suo opposto, se non la sua negazione. Egli guardava con ammirazione, ad esempio, alle esperienze economico-sociali dei cattolici bergamaschi, esperienze che fece del tutto per trasferire anche nella sua Sicilia, nella provincia d i Catania: ma si guardava bene dall'assegnare al movimento delle opere economiche bergamasche u n valore generale, esemplare, valido interamente anche per il Mezzogiorno. Casse rurali, cooperative, banche, tutti organismi importanti, ma potevano


essere per lui meridionalista, per lui antigiolittiano, per lui chr aveva assillante il problema della lotta contro il clientelismo, base di tutta la politica tradizionale liberale nel Mezzo,'miorno, contro l'accentramento statalistico, poteva essere definitiva l'esperienza di u n cattolicesimo di tipo bergamasco, pur così ricco di sensi autonomistici e di intelligenza amministrativa? « Cosi le casse rurali, moltiplicate nel Veneto, più che altrove, e specialmente le istituzioni bergamasche, che non di rado hanno avuto un'esplicazione d i vita popolare e un'influenza notevole nelle lotte amministrative - affermò nel discorso di Milano del 12 maggio 1903 - sono state e sono tuttora prova di criteri prare tici locali abbastanza adeguati; e nel movimento ~ o ~ o l a iniziale possono essere di base a una rudimentale, benchè limitata, unione organica d i forze operaie ».Non ci si meravigli se perciò Sturzo subordinava l'iscrizione dei suoi contadini alle Casse rurali, all'iscrizione al comitato cattolico, ~ o i c h èappunto quanto a lui più premeva era di assicurare il finalismo politico del partito.

E se vi fosse bisogno d i altro per dimostrare l'alta concezione che Sturzo aveva della politica e del ruolo formativo che assegnava alla milizia di partito, basterebbe tenere a mente la difesa che fece del non expedit, il quale egli voleva in vita non per proteggere interessi legittimistici, che sempre combatté e con forza, ma perchè l'astensione elettorale consentiva di preparare - così gli sembrò - i cattolici militanti a una vita politica autonoma, non viziata dagli accomodamenti clientelari e dall'alleanza con i l moderatismo: « E il non expedit, considerato come dovere religioso e posizione politica, in una concezione più elevata di quella di don Margotti prima e di Pio IX poi, se produsse il danno di allontanare dal governo della cosa pubblica u n elemento di onestà, di religiosità, di ordine e di progresso quali sono i cattolici, impedì però u n danno maggiore, la formazione di partiti legittimisti e clerico-liberali, come oggi in Francia, con relativo rincrudimento di un'anticlericalite acuta, senza il correttivo dei grandi entusiasmi e la grande fede dell'anima francese. Elaborò, invece, sino ad u n certo punto però, un partito cattolico, che Leone XIII con cura paterna cercò di

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Srunzo

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Sintesi sociali.


educare, formare, indirizzare a nuovi orizzonti, avviare all'avvenire (dall'articolo di Sturzo, Leone XZZZ e la sua politica verso l'ltalia, alla pagina 271 di questo volume). Una visione, dunque, del non expedit come strumento di liberazione del movimento cattolico dall'ipoteca legittimistica e dall'attrazione delle correnti clerico-moderate, che altrimenti avrebbero ridotto i cattolici a fungere da pura massa d'ordine, senza personalità propria e senza programma politico. Bisogna aggiungere che questa concezione dell'astensionismo elettorale era dei democratici cristiani, e nemmeno di tutti, perchè anche nella valutazione della norma leoniana le differenze non mancavano tra Albertario, Meda, Sturzo e lo stesso Murri. Valgano, però, questi brevi richiami al pensiero sturziano per farci più accorti nello studio del periodo di astensionismo elettorale, i l quale non va visto, infine, come qualcosa di eversivo nei confronti degli ordini costituiti o come una posizione adatta a favorire il gioco dei cattolici legittiniisti e reazionari, che, invero, solo in una prima fase, quella margottiana, ritennero di poterne essere avvantaggiati. La complessità di una valutazione storica del periodo del non expedit va messa in relazione con la varietà delle situazioni politiche ed economiche in cui si cercò di applicarlo (dico si cercò, perchè è anche questa veriti storica, che esso fu più proclamato che rispettato nell'attuazione pratica): esso aveva un senso a Milano e un altro in Sicilia e un altro ancora nel Veneto, e trovò diversamente impegnati a realizzarlo i cattolici intransigenti delle diverse parti d'Italia. I cattolici erano regionalisti anche quando si volgevano a interpretare la volontà del Papa! Però va messo in rilievo che per Sturzo e i suoi amici il non expedit doveva servire come cemento, come forza unificatrice dell'articolatissimo e composito movimento cattolico, i n vista di una trasformazione dei fondamenti etico-politici della vita pubblica. I n altre parole il non expedit avrebbe dovuto unificare i cattolici politicamente nel rifiuto del trasformismo, il cui prezzo era stato per decenni quasi tutto pagato dal &lezzogiorno, e favorire pertanto il loro ingresso nella vita pubblica come forza organica, non assorbibile dalla prassi elettorale corruttrice dei moderati.


Larga parte delle Sintesi sociali è dedicata al problema della organizzazione delle unioni professionali, il grande tema dibattuto nei congressi cattolici del secolo scorso. Anche qui - e forse soprattutto qui - i l problema prende luce dall'enciclica Rerum Novarum, che indubbiamente favorì una svolta nel pensiero sociale dei cattolici dell'opera dei congressi. Se prima della enciclica di Leone XIII i cattolici già discutevano delle forme organizzative da adottare per la difesa degli interessi delle classi lavoratrici, esitavano però ancora a sostenere il principio dell'unione professionale semplice e prediligevano la forma dell'unione mista, con operai e padroni (l'antico sogno della corporazione medioevale con qualche panno moderno). L'enciclica dette coraggio a coloro che già avevano avvertito che l'unione professionale mista trovava scarse possibilità di presa non solo tra gli operai e i contadini, ma tra gli stessi padroni. Nel congresso di Roma del 1894 Medolago Albani, che all'organizzazione professionale si era dedicato anima e corpo, suscitando anche la diffidenza del Paganuzzi, timoroso di quanto potesse distogliere i cattolici dalla questione papale, doveva ammettere: « Purtroppo i padroni, legati al carro dell'economia liberale, vedono in ogni concessione fatta agli operai un attentato ai loro diritti: in ogni organizzazione a cui prendono parte gli operai, una diminutio capitis D. E Giorgio Gusmini, di Bergamo, i l futuro arcivescovo di Bologna, commentando l'esperienza di Medolago Albani scriveva: I1 conte Medolago lo sapeva per esperienza, giacchè quando nel bergamasco scoppiarono gli scioperi dei cotonieri, dei setaiuoli e dei contadini, i padroni sotto lo spauracchio dello sciopero, a noi che ci prescntavamo con l'idea dell'unione professionale mista, nella quale essi avrebbero avuto la miglior parte, non facevano brutto viso; ma quando lo spauracchio cessò, specialmente per l'opera nostra di pacificazione, tutti, salvo uno, ci hanno voltato graziosamente le spalle e non li abbiamo potuti più avvicinare D. Con i democratici cristiani il principio dell'unione professionale semplice fece ancora dei passi in avanti, per avvicinarsi di più all'idea del sindacato moderno. Da questo punto di vista vanno letti e studiati gli articoli di Sturzo sull'organizzazione professionale, ar-


ticoli che risentono l'influenza del pensiero del Toniolo, anche se da questo si distaccano per un'accentuazione maggiore dell'elemento antagonistico: a Tali classi (lavoratrici) - scrive Sturzo - devono avere una base più vasta, un carattere più generale che n o n s i a l'ordinaria tutela degli interessi professionali (...) devono assumere, col carattere proprio e congenito di interessi professionali di classe, quello d i interessi generali di lavoro in rapporto col capitale, quello di rivendicazioni sociali e giuridiche in rapporto alla politica, quello di rivendicazione religiosa in rapporto allo stato laico, quello di resistenza e di combattività in rapporto al socialismo collettivista » (pag. 151). Troppi compiti, si dirà, e tra loro confusi: ma questo era il difetto intimo di tutta l'attività del cattolicesimo organizzato, in parte parrocchiale, in parte ~ o l i t i c o ,in parte economico. Ora ciò che conta per noi è l'individuare quelli che Sturzo avrebbe chiamato (C gli elementi di vita all'interno di posizioni ancora incerte e che tanto stentavano a liberarsi, come già aveva osservato Léon Gregoire, dal mito della corporazione. Per giustapposte che possano sembrare le funzioni molteplici dell'unione professionale nella visione di Sturzo, è evidente, però, che la sua descrizione si muove già nel senso dell'associazione antagonistica, in altre parole del sindacato. Comunque sia, per lui non v'era dubbio che non potesse esservi organizzazione professionale vitale se non a due condizioni: che essa fosse volontaristica, non « sovrimposta », e che avesse carattere d i associazione libera a norma delle Ieggi vigenti e in forza del diritto della libertà di associazione a scopi morali ed economici. Altri temi, altri spunti polemici - e di una polemica tutta vibrante di sincerità e di audacia, - troverà il lettore in questo volume, che se non gli restituiscono i l clima, certo lo accostano a l linguaggio politico e ideologico, intenso, generoso, della prima democrazia cristiana. Forse, per avere una visione più ricca, il lettore potrebbe utilmente leggere anche gli scritti giovanili d i Luigi Sturzo comparsi sulla Croce di Costantino, scritti che hanno u n maggior carattere d i immediatezza e che accompagnano più da vicino lo svolgersi del movimento democratico cristiano in rapporto ai maggiori eventi della vita pubblica


del tempo: dalle circolari di RudinÏ contro le associazioni cattoliche, allo sciopero generale per i fatti sanguinosi di Buggerru e di Castelluzzo e alle conseguenti elezioni del novembre 1904. Nel complesso le Sintesi sociali vanno oggi valutate come un documento di studio di notevole interesse storico per chi voglia non solo cogliere i caratteri particolari della prima esperienza democratica sturziana e i modi tipici di un ragionare, che pure sorretto da una forte tensione etica e religiosa, è sempre concreto, è sempre pronto a servirsi delle forme organizzative e ideologiche che trova, senza però mai credere i n esse come in un assoluto ; ma voglia avere anche iin quadro dei dibattiti, dei temi ideologici e del linguaggio di tutti i cattolici democratici, che si ritenevano figli fedeli della Rerum Novarum. Gabriele De Rosa



AI GIOVANI DEMOCRATICI CRISTIANI (*)

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È d i lieto auspicio, credo, la pubblicazione d i questo volume d i discorsi del Sac. Luigi Sturzo, mentre per le file delle nostre attività giovanili, percorse già dallo ~coraggiamento e dalla stanchezza, corre u n promettente fremito d i vigore; e la lega democratica nazionale si prepara a raccogliere i dispersi e a ristabilire su p i ù salde basi l'unità dell'azione democratica sociale cristiana. Poichè questi discorsi dello Sturzo esprimono meravigliosamente l o stato d'animo che dovrebbe essere normale nei nostri; almeno i n quelli dei nostri c h e debbono essere guida agli altri e centri d i irradiazione d i attività: calore d i convincimento n o n scompagnato da una giusta visione delle difiicoltà e delle talora mirabili opportu.nità che oflrono l e cose; perspicua conoscenza d e i principii teorici volta ed applicata all'azione con u n preciso intuito pratico e positivo; animosa aflermazione del programma democratico cristiano, m a con u n giusto senso della relatività storica d i esso, d e i riferimenti necessari ad altre correnti, sorrette e guidate d a altre idealità, dei limiti allo sviluppo del programma nostro imposti dalla condizione delle cose e quindi dallo spontaneo graduarsi delle molteplici riforme agli occhi d i chi l e commisuri alle presenti possibilità della vita economica e sociale. E questo sano equilibrio d i teoria e d i pratica, d i audacia e d i opportunità, d i r e m m o , quasi, d i intelletto e d i volontà, le conferenze dello Sturzo che noi abbiamo pubblicate e presentiamo agli amici lo derivano dal fatto che esse sono l'uomo c h e l e h a scritte; l'uomo che l'attività sua ha preparato nello (*)

Prefazione alla l a edizione italiana, curata dalla Società Nazionale

di Cultura, Roma, 1906.


studio e corroborato nello studio n o n interrotto m a i ; c h e , volendo molto ma n o n sperando mai troppo, h a saputo cogliere tutte l e opportunità, d i mano i n mano che gli si presentavano, sapendo c h e una opportunità colta al momento buono n o n è soltanto una piccola parte d i lavoro compiuto, m a u n passo innanzi per tutto il lavoro d a compiere; c h e , sentendo giustamente d i sè, ha sempre mostrato d i sapere anche come la forza d i u n u o m o d'azione n o n è soltanto la sua energia personale, ma la somma d i energie altrui che egli riesce ad incanalare con la propria; l'uomo infine, c h e , essendo anche, e per vocazione pura e sincera, sacerdote, h a dato al suo lavoro la misura n o n d'una utilità propria o d i un successo personale, m a d i u n più vasto risultato, &gli interessi d i una causa d i verità e d i bene della quale la chiesa e la società civile sono l o strumento e tutta l'Italia nostra il campo. E d i u o m i n i simili pochi n e ha il paese, pochi ne hanno i cattolici, pochissimi ne ha avuti la democrazia cristiana: ed è bene che u n o d i essi, la bontà delle cui idee e della cui azione è garantita dai grandi risultati raggiunti, ci dia oggi in questo volume una larga esposizione delle sue idee ed un saggio diretto del suo animo. l o spero d i aver già fatto intendere con ciò il pregio e il carattere proprio d i questi discorsi; essi n o n sono trattazioni sistematiche, m a n o n sono neanche divagazioni oratorie c h e interessino solo quelli che l e suggerirono e l e ascoltarono; sono esposizioni concise d i idee chiare e sicure e logicamente disposte, sull'uno o sull'altro lato del nostro programma; e la teoria v i è costantemente ispirata e controllata dagli intenti pratici. E d i vari argomenti nei quali è diviso il volume: democrazia cristiana nelle sue linee generali, legge del progresso sociale, azione sociale della chiesa romana sotto il pontificato d i Leone XZZZ, organizzazione professionale, programma m u n i cipale, azione politica dei cattolici italiani, sono tali gruppi complessi d i questioni e d i idee da costituire una esposizione quasi completa del nostro programma sociale cristiano; sicchè c h i voglia, amico o at:versario, conoscere questo, e conoscerlo n o n i n alcune a f e r m a z i o n i teoriche e schematiche, ma i n


azione, difficilmente potrebbe scegliere u n libro più adatto d ì questo. Di esso, d u n q u e , ai nostri amici noi suggeriamo, più che la lettura, l o studio; vorremmo c h e , lettolo e meditatolo, essi si persuadessero t u t t i che è ora d i finirla con « l e cane speranze e il vano dolore »; che se si aspetta i l risultato della propria azione da cause e da occasioni esterne che n o n è i n potere nostro ntodifìcare, si è condannati dal principio all'insuccesso ed alla delusione: che n è la ricerca d i u n ideale può essere, i n giovani ed u o m i n i che n o n siano spiritualmente fanciulli, scompagnata da una visione della realtà positivu, n è l'azione positiva conduce a risultati utili e pratici se si perdono d i vista o se si lascia d i aflermare vigorosamente i principii ideali; c h e , infine, il successo della democrazia cristiana, come quello d i qualunque altra iniziativa, dipende tutto dalla giusta proporzione fra il sapere e il volere, fra la rappresentazione ideale del risultato da raggiungere e lo sforzo della volontà impiegata nel raggiungerlo. Augurando perciò a questo volume il successo che merita. e che certo non gli mancherà, noi auguriamo insieme a quelli i quali debbono, a preferenza d i altri, leggerlo e meditarlo, perchè per essi è stato scritto e stampato, d i raccoglierne l'esempio, che esso contiene, d'una possente energia spirituale della quale il si~ccessovisibile è non già il premio, largitole da una capricciosa fortuna, ma solo la manifestazione e il processo esteriore. Roma, 20 febbraio 1906.

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SINTESI SOCIALI



LA DEMOCRAZIA CRISTIANA NEL PENSIERO E NELLA VITA

I1 15 maggio 1891 segna per noi una data memorabile, una di quelle date storiche, imperiture nel movimento dei popoli, pietre miliari nel cammino del progresso del pensiero e della vita, simbolo e ragione d i speranza per l'avvenire della democrazia cristiana. E noi, convinti del principio informatore della nuova concezione d i vita sociale, slanciati nella lotta pubblica per i l conseguimento d i ciò che è divenuto ideale dell'anima nostra, abbiamo sentito il bisogno di una festa-simbolo, che tutte raccogliesse l e nostre ispirazioni, le nostre speranze, i nostri palpiti, nella effusione della gioia, negli aneliti d i bene per l'avvenire. Le feste non s'impongono; è vano parlare di feste nazionali, civili, sociali, religiose, quando non vi corrisponda l'anima del popolo ; il quale, allora estrinseca sè 'stesso nelle esterne manifestazioni della gioia, nell'affermazione d i una festa, quando il principio animatore dalle menti dei pochi è passato nel cuore dei più, è stato tradotto nei fatti, generalizzato nelle aspirazioni; quando i l vincolo d i comuni ideali e sentimenti è concretizzato i n un simbolo (sia patriottico che religioso); quando questo simbolo è segno o di una vita passata che influisce sulla presente o d i una aspirazione presente che ci lega all'avvenire. La festa è una sintesi in cui la gioia presente ha vita in u n (*) Conferenza letta il 25 maggio 1902 al circolo cattolico di Palermo, e il 17 maggio 1903 al salone Marchisio di Torino.

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- Srorrzo

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Sintesi sociali.


ricordo e in una speranza; perchè il ricordo e la speranza sono l'anima sociale che informa l'organismo storico dai tempi antichissimi sino alla più lontana posterità. È veramente divenuta popolare la data del 15 maggio? È passata con la dolcezza del ricordo e coi fremiti della speranza nell'animo del popolo? - Si può dire che sia una festa? È la quinta volta che in Italia e fuori si consacra questo giorno dai cattolici a commemorare la data della enciclica di Leone XIII sulla condizione degli operai; - u n nucleo di amici, affermatisi sotto il nome d i democratici cristiani, lanciarono l'idea all'Italia e al mondo. Sembrò una scimiottatura del 1" maggio dei socialisti si discusse sulla opportunità della proposta si osteggiò come tutte le proposte che sembrano esagerate ma l'idea trovava un sostrato di sentimento vero e profondo nei cattolici: - il sentimento della redenzione sociale del lavoratore per mezzo della chiesa. Se questo fosse mancato, la festa si sarebbe ridotta a una parata accademica, a uno sfoggio retorico (come ce ne sono tanti); ma vi era l'elemento reale di una festa, e la proposta ebbe felice esito. Non basta; è necessario che le tendenze si esplichino, che il sentimento penetri nell'anima delle cose, che l'ideale si realizzi, che la vita si sviluppi, si estenda, s'imponga allora avremo la festa popolare. Oggi abbiamo bisogno d i penetrare l'intima ragione d i questo movimento, di scrutare le cause storiche dell'enciclica, di trovare il punto di partenza alla nostra azione; domani, compreso dell'idea e dei fatti, sarà tutto il popolo che avrà bisogno di una esplicazione d i una vita intensa e sentita; oggi commemoriamo la data del 15 maggio, domani sarà tutto un popolo che festeggerà i l 15 maggio. Si ripercuota l'eco del nostro gaudio e delle nostre aspirazioni negli animi d i tutti i lavoratori, penetri nelle loro famiglie, cerchi le più intime fibre del cuore, l'eco augurale che ripeta le parole con le quali oggi saluto il popolo che ha bisogno di redenzione sociale: lavoratori, in nome di Cristo, sorgete !

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Quel movimento sociale, che, partendo dagli insegnamenti della enciclica Rerum Novarum, cerca alla questione sociale che agita i popoli una soluzione teorica e pratica nel senso schietto, genuino e, se vuolsi dire, anche integrale della parola cristianesimo e nelle moderne concezioni legittime di democrazia, è stato chiamato fra di noi democrazia cristiana. Questo nome, che suonò un'utopia a molti, ad altri un equivoco religioso o un pericolo sociale, ha percorso tutti gli stadi prima che non suonasse più all'orecchio cattolico uno scandalo, a l liberale e al socialista una canzonatura. Ebbe quel che le idee nuove e buone sogliono avere, gli avversari in nome di tutti i principi, dal puro cattolico all'anarchico; una cosa sola non ha avuto, il che è indice di vitalità: l'indiflerenza. Nessuno si può dire sia rimasto indifferente di fronte a questa nuova denominazione che rappresenta nel campo nostro un partito di attività e d i vita diversa, senza i precedenti legalitari e borbonici degli antichi cattolici (prima fase); senza l'aborrimento ingiustificato delle forme di vita pubblica parlamentare, costituzionale, statutaria (seconda fase); senza l'esagerato criterio di associazione puramente religiosa (terza fase); un partito, che ha assunto i l carattere decisamente di vita pubblica sociale, che tutti abbraccia i problemi che oggi agitano i popoli, trasformando a sè le energie e le esplicazioni moderne di pensiero e di azione, nulla rifiutando di quel che di buono possa trovarsi in qualsivoglia campo, anche a noi opposto. Fra le più serie difficoltà e le più dolorose diffidenze, la democrazia cristiana si è affermata in molte parti e si è aperta una via in mezzo a l popolo, che incomincia a poco a poco a sentire l'influsso delle nuove idee. Ogni movimento d'idee però, per generalizzarsi, divenire popolare, determinare vigorose correnti sociali, penetrare nella coscienza e nella vita pubblica dei popoli e trasformarla, deve di necessità avere avuto una sufficiente preparazione di elaborazione storica, deve corrispondere ad un bisogno reale ed urgente della società e deve avere un elemento essenzialmente dinamico di progresso; perchè come non si impongono le feste,


così non si possono imporre i sistemi e le concezioni di vita, se manca l'elemento vitale; in tal caso il movimento diverrebbe fittizio e cadrebbe, anche dopo aver per poco destato gli entusiasmi e, se vuolsi, il fanatismo popolare. Nell'agitarsi convulso delle lotte titaniche del secolo XIX, vediamo due principi dinamici, due. forze intime che si elevano SU qualsiasi concezione di sistema e di partito e divengono due ideali d i tutto il popolo civile: il primo politico-nazionale, il secondo politico-sociale; l'uno e l'altro punti fatali, attorno a cui si agita, evolvendosi, l'umanità tutta, dividendosi nel concreto della lotta, in tanti diversi partiti quante differenti e prevalenti concezioni di sistemi s'impongono alla mente dei più. Questi due principi hanno aperto due cicli storici interferenti e uniti in un legame di subordinazione storica e di causalità psico-sociale; dei quali il primo, nel suo carattere specifico, è chiuso, e l'altro si evolve; il primo ha compiuto la sua parabola ascensionale, come potente elemento del divenire dell'umanità, l'altro la va percorrendo; l'uno e l'altro hanno trovato la ragione della loro forza nell'intimo bisogno dei popoli. L'idea fondamentale, che si trova nel fondo a tutto il primo movimento, che dalla rivoluzione francese corre sino alla presa d i Roma, e che ne forma come l'essenza vitale, è l'idea della libertà sposata a quella d i nazionalità. Non parlo nè degli eccessi in cui si potè cadere, nè della scelta dei mezzi, non sempre idonei od onesti, nè degli scopi occulti d i lotta dei diversi partiti; tutto ciò può riguardare la storia che narra e giudica, non il filosofo che scruta l'anima delle cose e il fatale andare della storia, I'idea e non i fatti. E le idee d i libertà e nazionalità (nel loro giusto significato) per sè stesse corrispondono alla natura umana - la quale nella sua esplicazione d i vita tende all'affrancazione da ogni servaggio, sia pur larvato o attenuato, aspira alla libera attuazione dei suoi propositi, cerca una condizione ambientale larga nello svolgimento dei suoi pensieri e dei suoi affetti, ha bisogno d i estendere i suoi rapporti per il principio di simpatia ed attrazione universale e per una più compiuta soddisfazione delle tendenze, dei bisogni, dell'attività delle sue facoltà; - e dall'altra parte, per la necessaria concretizzazione e limitazione


della propria vita e degli obiettivi che la circondano, trova nella famiglia, nel comune, nella nazione, i naturali organismi di vita sociale, nei quali è più vicino i l contatto di idee e d i interessi, è più determinata la ragione di somiglianza e di simpatia, è più specificato l'ambito dell'attività e dello sforzo per la vita, e si trova il mezzo concreto dello sviluppo intellettuale, morale ed economico per la conservazione dell'individuo e della specie, per la vita psicologica e storica. Che se tali idee di libertà e nazionalità corrispondono alla natura umana, niente di più naturale che in un dato periodo storico, in u n dato ambiente, per la pressione dei contrari, si senta forte privazione concreta di esse in modo da determinare una reazione profonda, in certi casi violenta, come tutte le esplicazioni i n cui la subitaneità dello sforzo corrisponde alla lunga depressione e alla profonda elaborazione, sia pure inconscia, nello spirito umano. Che stranieri dominassero le altrui contrade, come il turco in Grecia, il tedesco in Italia; che le nazioni fossero divise e suddivise, non secondo la etnografia dei popoli, ma ad arbitrio di potenti, da barriere politiche e commerciali; che nel momento dello sviluppo delle industrie, nella rapida propagazione delle idee, fosse arrestata e circoscritta la vita del popolo, senza che esso, nei nuovi bisogni avesse, come nel medio evo, a partecipare alla vita pubblica, all'agitazione delle lotte e delle aspirazioni comuni; che perdurasse l'enorme stacco di classi e di vita e i l formalismo cesaristico, quando ne erano degenerati i caratteri e cessate le ragioni di quella eccezione sociale - non corrispondeva più a l momento storico e ai bisogni nuovi del progresso. Due secoli di dominazione straniera (là dove si era imposta con la forza e le male arti) e di assolutismo di corte assorbente e la vita religiosa, nella quale il re e il ministro si erano sostituiti al papa e ai vescovi, e la vita economica, fossilizzata nelle corporazioni decadenti e privilegiate con un artato sistema di casta; e la vita sociale, in cui i privilegi dei nobili, i residui del feudalesimo, la istituzione del maggiorasco, le baronie ultrapotenti mantenevano una oligarchia senza doveri e senza mansioni che premeva sulla società; e la vita politica, trasmutata


(mentre andava perdendo il carattere paterno dei re padri del popolo) in sistema poliziesco, in intrigo di ministri di corte, d i dame e di cavalieri e in coalizzazione di famiglie regnanti; e perfino la vita letteraria, ridotta a u n museo di arcadi, che belavano pei begli occhi di Nice o pei capelli d'oro di Clori: - avevano rotto le nobili e fiere tradizioni del libero medio ,evo, avevano ridotto i regni a feudo di famiglia; incatenando e sperdendo energie vitali, generando il peggiore dei mali che può avere una nazione, il servilismo dei potenti e l'apatia del popolo. Si sentiva i l bisogno di libertà e di nazionalità da per tutto; e le nazioni civili si trasformarono, con un vertiginoso, irrompente, rivoluzionario movimento, nei loro rapporti interni ed esterni. La Germania aspirò all'unità federo-imperiale, la Grecia a liberarsi dal turco, l'Italia dal tedesco, il Belgio divenne autonomo, l'Olanda conquistò le sue libertà, l'Ungheria f u elevata a regno libero e parificato con l'Austria, l'America del Nord e del Sud si emancipò dagli europei, Spagna, Francia, Austria, Svezia, Danimarca modificarono i loro interni ordinamenti. I1 costituzionalismo in breve surrogò l'assolutismo (il quale si rifugiò solo in Russia e in Turchia, le nazioni meno civili, e sacrificò la libera un giorno e nobile Polonia, divisa e oppressa da dominatori stranieri, che giustamente aspira alla sua vita di nazione). Si tolsero le barriere che dividevano i popoli, si modificò il diritto pubblico con l'avvento della democrazia borghese, il diritto civile e criminale furono regolati sotto nuovi rapporti, l'economia ebbe u n momento di slancio fortissimo all'apertura del mercato mondiale. Le mutazioni sociali però sono come le tempeste: purificano l'aria ma spesso distruggono le pazienti colture delle nostre campagne. Non tutte le modificazioni nè tutti i mutamenti portarono del bene o furono ben fatti; la reazione nello slancio incomposto e nel moto rivoluzionario molto abbattè che dovea rimanere, e in nome del principio esagerò gli effetti ed equivocò le conseguenze ; - non questo interessa rilevare; del resto la provvidenza anche dal male sa trarre il bene, ed è fatale che


la storia umana (come la vita degli individui) sia una lotta continua e aspra fra il bene e il male. Io assodo u n principio: il movimento determinato dagli ideali di libertà e nazionalità (per sè secondo natura) corrispondeva a un bisogno della società, della sua evoluzione storica, determinata dalle condizioni sociali del tempo e preparata dai fatti; e perciò ebbe la forza di mutare la faccia politica del mondo. Se in tale mutazione siano prevalsi gli elementi positivi o negativi è quello che studiano i sociologi e gli storici.

Mentre ancora fervevano le lotte per la libertà, anzi proprio quando il colpo della reazione contro antichi ordinamenti, abbattendo e distruggendo, aveva aperto l'adito alle più disparate aspirazioni, quando dalle più incomposte e scapigliate violenze sorgeva imperioso i l bisogno di nuove concezioni di una vita che non poteva più tornare indietro al passato ed era sconvolta nel presente; e nell'agitarsi per cercare u n punto d i partenza e di arrivo, la borghesia sperava il trionfo in nome della libertà e della nazionalità; - nell'animo delle plebi sviluppavansi i germi di un risollevamento politico-sociale. La democrazia, scapigliata e scomposta, tutto esagerando nel fremito delle novità, apparve violenta demagogia; e l a società, dibattentesi fra la tirannia dell'uno e la tirannia dei più, sbattuta dall'uno all'altro scoglio, nell'alternarsi di reazione rivoluzionaria, di autoritarismo e di libertarismo, maturava inconscia l'affrancamento. Spesso nell'uomo i l pensiero sorge da una negazione e si presenta in una forma utopica od esagerata, perchè si sviluppa da una reazione. Saint-Simon, Babeuf, Owen, Louis Blanc, Fourier e molti altri sono gli utopisti, i negativisti del movimento politico-sociale, che però era sostenuto da u n sostrato di verità, che penetrava nel popolo minuto dei lavoratori, come i l movimento di filosofia negativa del secolo XVIII penetrò nella vita della borghesia. L'elaborazione del nuovo movimento negativo si collega con tutto il movimento predominante


nella concezione della libertà; l'inferenza storica e la teorica sono concatenate in modo che sotto la parvenza del primo si scorge il secondo elemento e nell'azione dell'uno l'aspirazione dell'altro, nel compimento storico del primo, gli elementi pel divenire storico del secondo. Gli stadi percorsi dal movimento politico-sociale dai primordi del secolo XIX al compimento del ciclo storico del movimento politico-nazionale, sono tante successive negazioni e affermazioni, sviluppo ed evoluzione d i pensiero e d i forme, tcntativi che cadono a vuoto e che determinano una maggiore 'affermazione; sinchè, a poco a poco, il comunismo utopico di pensatori si traduce in agitazione scomposta di plebi, questa si ordina e acquista forza regolare negli organismi d i associazioni politiche; e mentre le concezioni scientifiche procedono dall'apriorismo ideale al positivismo reale, il movimento del popolo va divenendo legalitario nelle nuove forme acquisite dalla libertà; e quando nel 1870 cadeva l'impero d i Napoleone I11 e il potere temporale dei papi, e il clero storico per la libertà si poteva dire compiuto, la comune d i Parigi era l'ultimo segno del movimento politico-sociale violento, che veniva soffocato nello stesso sangue che aveva fatto scorrere a fiumi, mentre le conquiste legalitarie del proletariato pigliavano le prime mosse. I1 nuovo elemento del divenire entra nella vita ordinaria delle nazioni; alle preoccupazioni antiche nuove preoccupazioni si succedono; e mentre l'Europa attraversa un periodo di tregua relativa dalle lotte cruente succedutesi vertiginosamente dal primo al terzo Napoleone, dalla vandalica repressione della Vandea alla sacrilega occupazione di Roma, mentre la politica si afferma nelle grandi alleanze e negli allestimenti di grandiosi eserciti e di flotte, mentre il partito liberale borghese, arrivato al sommo del potere dal movimento rivoluzionario, si affanna a riaffermarsi nelle scuole, nell'esercito, nei pubblici &ci, nell'ambito religioso, nelle amministrazioni purtroppo e nelle casse pubbliche e nei panamà grandi e piccoli, il problema del proletariato, maturato nella coscienza del popolo, si afferma nella urgenza di una soluzione e si stacca definitivamente dalla negazione sociale posta dal liberalismo. I1 quale, pur avendo pigliato


a sè ( e monopolizzato anzi ai suoi scopi) le nobili tendenze di libertà e di nazionalità, esagerò la prima riducendola all'individualismo atomistico, disorganico, antisociale ; la seconda alla concezione pagana della patria rappresentata dallo stato panteistico, accentratore e assorbente, che preme sulla vita e sui beni dei popoli. Onde, come intima conseguenza nell'ambito sociale, si arrivò alla disorganizzazione delle classi (alle quali fu tolta l'autononomia, il riconoscimento legale, i l diritto di possedere, di provvedere giuridicamente agli interessi professionali), e fu perfino negata ai lavoratori la facoltà di unirsi in associazioni libere e volontarie (diritto rivendicato poscia con mille sforzi in Inghilterra e in Francia e quindi nelle altre nazioni), e d'altra parte al disinteressamento dello stato verso ogni ordine di sviluppo sociale, affidato alle libere forze individuali cozzanti nell'interesse egoistico del predominio, acquistato per posizione politica ed economica dalla grossa borghesia capitalistica strapotente. I1 canone del lasciar fare e del l a s i a r passare, fondato sulla teoria della prevalenza delle energie più forti sulle meno forti, come legge assoluta di progresso, teoria egoistica e pagana, ebbe dal liberalismo la sua cruda realizzazione nell'ambito politico, economico, sociale; mentre molte cause concorsero ad acuire gli effetti d i queste teorie antisociali aggravando le condizioni morali e materiali del popolo: il sistema macchinario del lavoro, gli sbocchi commerciali, l'accentramento del capitale, la violenta riforma della proprietà fondiaria, le crisi acute, tanto più sensibili quanto maggiore potenza avevano acquistato le industrie e maggiore estensione i commerci. Questo complesso sintetico di cause hanno prodotto uno dei fenomeni più acuti dell'attuale condizione sociale: i l proletariato internazionale, i cui caratteri specifici sono: - l'instabilità delle condizioni di lavoro e la disoccupazione temporanea o permanente, - la mano d'opera venduta e acquistata come una merce sotto la dura legge della domanda e dell'offerta, - la pressione capitalistica divenuta elemento antagonistico del lavoro. Condizioni economiche che premono sulla


psiche del popolo, che distruggono l'ambiente di famiglia, che formano l'elemento perturbatore della società. Ebbene, il nuovo elemento del divenire è già formato; lo stacco storico è prodotto; l'idea fondamentale attraverso la negazione si è affermata vigorosa e reale; ieri per la libertà oggi per la giustizia. Non si rinunzia alla prima, la quale anzi è necessario elemento di vita pubblica, è mezzo di esplicazione, è condizione imprescindibile alla natura umana e alle sue conquiste individuali e sociali; si rigetta quel che di falso, di negativo i l liberalismo ha combinato con la libertà e si tiene come conquista dell'umanità la parte positiva; va cadendo la forma, divenuta formalismo, e rimane la sostanza; e avanti, oggi nel nome e nell'ideale della giustizia. Profondi solchi di nobili ideali ha segnato l'umanità tutta quanta nella sua ascensione storica verso il progresso. Per quanto si voglia materializzare la vita, per quanto si voglia concepire la storia come un fatto semplicemente economico (sono i socialisti a predicarlo alle turbe e insegnarlo dalle cattedre) non si può sopprimere l'ideale che regge, che anima i popoli, che dà loro la spinta al progresso; ideale che non è un'astrazione logica, un sogno da ultra-spiritualista, ma che è la realtà dell'idea e dei fatti, del principio astratto e delle forme concrete, del pensiero e della storia. I1 nostro tempo ha una questione che sembra abbia la natura di una semplice questione economica, anzi la vollero chiamare questione di stomaco; ma invece è una questione complessa, nel cui fondo si trova l'elemento ideale, il principio della giustizia, come forza dinamica dell'ascesa dei popoli, come bisogno di anime. Che importa che questa aspirazione, che affatica l e nostre menti e le nostre anime, trovi la sua realtà dura e cruda nei fatti economici, e pigli il suo punto di partenza dal miglioramento materiale delle masse? L'uomo per bisogno di natura, per condizione imprescindibile della sua esistenza, tende al miglioramento delle condizion i che devono concorrere alla conservazione dell'individuo e della specie; per questo lavora, suda, stenta, soffre. È una legge universale il lavoro, alla quale non si sottrae neppure il


gaudente, che è colto dalla nausea e dal disgusto nei suoi oziosi piaceri, perchè non invano si è ribellato alla natura. Ma questa esplicazione di vita materiale ed economica s'intreccia, si combina, si fonde, è elemento condizionante della vita familiare e pubblica, della rivendicazione del diritto e dell'osservanza del dovere; che in un complesso sintetico-dinamico producono i l pensiero, l'ideale che si persegue sempre, che è come l'anima delle cose, la vita della nostra psiche, la forza che determina la storia; che ci eleva alla contemplazione serena della verità o alla lotta per essa, alla soddisfazione comprensiva deI bene o allo sforzo generoso per conseguirlo, nella speranza di un riposo all'affaticato spirito nostro. Oggi l'ambiente psicologico sociale è scosso, turbato ed ha bisogno di giustizia, e la giustizia è l'ideale, la vita del nuovo movimento. IV. Ogni ideale, o signori, per realizzarsi è necessario che assuma forme concrete, scopi e mezzi positivi, carattere e qualità proprie; e questo concretizzarsi dell'ideale, passando per la mente di molti, pigliando forma e colore, diviene movimento; nel quale, secondo che predominano i caratteri positivi o negativi, si delineano i diversi partiti. La via segnata all'umanità è sempre la verità e il bene; ma nel cozzo fatale con l'errore e col male, possono le forze negative prevalere sulle positive, preparando una profonda reazione. Questo predominio dell'una forza sull'altra è affidato alla volontà dell'uomo, che liberamente determina sè stesso all'oper a e necessariamente crea la storia. I1 movimento sociale oggi è rappresentato da tre partiti che chiamerò negativi: i l liberalismo progressista, l'anarchia e i l socialismo. I1 liberalismo, anche chiamandosi progressista, non può smentire sè stesso; sorse dalla concezione negativa della libertà, ne prese il monopolio, ne esagerò la portata sino alla negazione della libertà stessa, atomizzando gli elementi sociali e creando il centralismo di stato e il dualismo delle forze sociali, economiche, morali, religiose, con la vittoria del più forte. Esso ha


creato i l presente stato di cose; e avendo voliito esagerare la libertà, ha negato la giustizia. Oggi, necessariamente, fatalmente è destinato a scomparire, per forza della giustizia e della libertà. Nè vale a sorreggerlo il così detto socialismo di stato o liberalismo sociale, che cerca di galvanizzare u n partito che cade per mancanza di forze intime; - le concessioni dello stato liberale alle esigenze sociali dei tempi, o assumono il carattere di concessioni ai partiti nuovi, e li rafforzano; o pigliano il carattere di elargizione delle classi alte alle classi basse, e si forma la reazione politica per l'avvento della democrazia proletaria. Francia e Belgio sono i due tipi diversi, non ostante che la prima sia prevalentemente liberale e il secondo prevalentemente cattolico, col carattere però di conservatore. Del resto questa forma di socialismo di stato è una specie di monopolio, a cui il liberalismo tende per sua natura, ieri delle riforme politiche in nome della libertà, oggi delle riforme sociali in nome della giustizia. E i monopoli sono sempre odiosi e fallaci; si reggono in virtù della forza, e la reazione l i abbatte. L'anarchia, una concezione intieramente negativa, non arriverà mai ad essere un principio. Non può entrare nella convinzione dei popoli che tutto sia cattivo e che bisogna distruggerlo, per poi edificare i l nuovo regno di pace e di eguaglianza assoluta senza l'ombra d i una qualsiasi autorità. I1 male assoluto è una negazione impossibile a concepirsi; come non si può concepire un'eguaglianza assoluta. La natura e la storia sono un misto di bene e di male, di luce e di ombre, e neppure Dio distrugge la luce per distruggere l'ombra, abbatte il bene per abbattere i l male; - d'altra parte la natura crea in noi, col bisogno dell'ordine, con la necessità dei rapporti, con la forza dell'armonia, la concezione dell'autorità, i l cui tipo più bello, più soave essa ci presenta nell'autorità paterna e materna; anzi ci eleva al di sopra di noi stessi, riferendoci a u u Dio, bontà infinita, creatore e padre. L'anarchia come partito pratico potrà attecchire nei brutali animi perduti nei bassi fondi sociali che sono adusati alla voluttà del delitto e dell'odio sociale, o potrà esser pretesto a rivoluzioni politiche nei regni assoluti, come nei nichilisti di Russia, o potrà caratterizzare un momento patologico di aber-


razione di folla, che non sa in altro modo esplicare la sua forza e la sua impotenza, e che si abbandona all'istinto della distruzione, nel fanatismo e nell'eccitamento della psiche collettiva. Non sarà mai dottrina e ideale di popolo, che ha nel fondo dell'anima i l senso intimo della natura. Mentre la borghesia dominante, per posizione politica e sociale, è in prevalenza liberale e i bassifondi sociali del popolo disoccupato sono anarchici o anarcoidi, i lavoratori veri si lasciano più facilmente attrarre nell'orbita del partito socialista. E i l socialismo sembra una dottrina e un partito dell'avvenire; esso in una forma meno negativa del liberalismo progressista e dell'anarchia seduce i popoli, e tenta formare un monopolio dell'ideale della giustizia, come ha fatto il liberalismo dell'ideale della libertà. A parte le condizioni teoriche del marxismo puro o del socialismo possibilista o delle forme temperate del socialismo agrario del George e del Wallace o del neo-collettivismo di Van der Velde, gli elementi predominanti del socialismo sono la distruzione della proprietà privata, la socializzazione dei mezzi di produzione e l'ordinamento economico di stato. Però non sono questi miraggi, troppo lontani e utopistici la loro parte, che penetrano nell'anima del popolo, seducono le plebi e fanno divenire universale il movimento socialista; altri elementi più vicini, più pratici e corrispondenti allo stato attuale delle cose sono la critica del presente ordinamento sociale e i l cosidetto programma minimo. La critica, quantunque unilaterale, è profondamente reale; è la critica al liberalismo atomistico, a l capitalismo prepotente, al centralismo di stato, alla disonestà delle amministrazioni, al pauperismo opprimente: è la critica alle condizioni anomale e precarie del proletariato, all'avvilimento del lavoro-merce, alla concorrenza sfrenata, alla politica egoistica militarista e dilapidatrice, al liberalismo monopolista. Questa critica è vera; però ogni reazione tende all'eccesso. ed ogni negazione all'assoluto; ed ecco lo spirito di lotta di classe che si inocula nelle masse, ecco i fremiti rivoluzionari che ricordano altre rivoluzioni fatte dai liberali in nome della libertà.


L'altro elemento, il programma minimo, ha il suo lato positivo, come lo avea il liberalismo nella rivendicazione dei diritti delle nazioni e della libertà politica dei popoli. Però il programma minimo, a parte l'esame delle singole rivendicazioni e della loro portata, è animato e penetrato dai concetti del programma massimo e dell'avvento finale del socialismo, nella sua negazione della proprietà privata, della libertà economica, della finalità ultraterrena dell'uomo, come fatto e come principio sociale. La concezione felice della vita terrena, che sembra un elemento positivo del socialismo, si riduce ad elemento negativo; perchè vi ripugna l'intimo senso della natura, la quale ha in sè gli elementi negativi del male che subisce; l'ottimismo allora, nella sua vanità, si riduce a pessimismo e a negazione. Ciò non ostante è facile esser profeti: - ogni giorno il liberalismo perde e i l socialismo guadagna; guadagna, non certo per l'elemento negativo del sistema, ma per la parte positiva; guadagna, perchè nei municipi e nei parlamenti si fa portavoce delle miserie del proletariato; guadagna nelle campagne e nelle officinc, dove organizza agricoltori e operai, promuove leghe di resistenza e camere di lavoro, scioperi e lotte, istituti economici e sociali. Gli effetti di questo movimento nella psiche del popolo sono profondi, e in parte rispondenti alla natura delle cose. L'aspirazione a u n migliore avvenire, ad uscire da uno stato impossibile d i cose, ad una soluzione del grave problema che incombe sulle generazioni presenti, non è solo un fatto di pensiero, ma d i realtà di vita, che corrisponde ogni giorno agli spasimi della miseria, alla lotta titanica per la vita, al lavoro indefesso, estenuante e non remunerativo per le crisi economiche, per il gioco della domanda e dell'offerta, per il disgregamento delle forze, per la mancanza dei capitali. E tutto ciò col carattere di una ingiustizia, di una prepotenza, di una fatalità di lotta, tenta profondamente l'anima del popolo; vien meno l'elemento morale, i desideri sono acuiti, lo spostamento delle finalità individuali e sociali hanno rotto l'equilibrio del dovere e del diritto, del senso e dell'intelletto, della terra e del cielo.


L'anima moderna si dibatte fra il razionalismo sociale, elevato a sistema d i vita pubblica, e lo scetticismo individuale di chi non trova il benessere assoluto nella terra e si è dimenticato della sua destinazione ultraterrena. I n questo turbinio dell'anima, tra le angosce del presente e le speranze dell'avvenire, i l popolo vede sventolata la bandiera della giustizia e della felicità dal socialismo, come il solo che ha la potenzialità del futuro sospirato, e lo segue; lo segue anche nelle chimere irrealizzabili, e si pasce di quell'odio, che serve ad acuire la lotta di classe, posta come elemento dinamico per l'avvento del proletariato. È la reazione degli animi, spostati nel loro equilibrio morale, nelle loro convinzioni, nelle loro speranze, che affretta e compie la demolizione negativa dell'attuale stato ingiusto di cose: - i l socialismo si è aperto il cammino ed ha trovato la via del suo momento storico.

Una sosta, o signori, e una domanda: - è fatale questa ascensione storica del proletariato? Gli aristocratici del secolo XVIII, se tale domanda fosse stata rivolta loro riguardo al movimento della borghesia, avrebbero risposto: no; è una ribellione di spiriti nuovi, è un attentato alla patria, alla dinastia, alle istituzioni, è una chimera si arresta. Così oggi rispondono i conservatori di tutti i partiti, i quali danno l a colpa a questo o a quel partito, a questo o a quel sistema, senza scrutare l'intima ragione delle cose e la legge storica del progresso, e vogliono lacci e baionette. Signori, i l pensiero umano non si arresta davanti a nessun ostacolo; è legge di progresso, che c'incalza anche nolenti,. che ci trascina anche se vogliamo resistere, o per lo meno ci abbatte. Questa è la storia. Ogni elemento di progresso, presto o tardi, prima o poi, in forma normalè o patologica, col predominio di elementi positivi o negativi, è dinamico e si evolve. Se in fondo questo movimento è un'alta questione di giustizia sociale, se questo elemento corrisponde al bisogno della na-

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tura ed è determinato in forme speciali dalle condizioni storiche, psicologiche e ambientali del popolo, i l movimento dovrà prevalere. I1 problema è u n altro, o signori: quale delle forme concrete prevarrà? - sarà il liberalismo progressista che trasformandosi si adatterà alla nuova concezione di vita sociale? sarà l'anarchia che distruggerà per edificare? - sarà i l socialismo che acuirà la lotta di classe per livellare la società? Anzi, neppure in questi termini deve porsi i l difficile problema, sì bene in altri: - visto che il movimento politicosociale è fatale per l'avvenire storico della società, quale forma realizzerà meglio l'ideale dinamico di giustizia che lo anima? Perchè la vittoria di una forma può essere la prevalenza della forza e non la prevalenza del bene (come i l liberalismo), e noi non cerchiamo i l più forte, ma i l più rispondente a natura. Ebbene, nessuna delle tre forme descritte ha i l carattere positivo dell'ideale di giustizia sociale. La giustizia, o signori, è una virtù basata sopra un principio fondamentale alla natura umana, precisato e determinato dai rapporti che ci legano ai nostri simili, l'amore del prossimo; il quale amore, nella sua ragione intrinseca, non è utilità che viene a noi, non è simpatia di sentimento, non attrazione di cuori, ma eguaglianza d i natura razionale, di principio e di finalità che ha necessario rapporto con Dio; - l'amore di Dio genera l'amore del prossimo. I1 liberalismo, fondato sul principio dell'individuo assoluto, autonomo, egoarca, è costretto ad ammettere come conseguenza logica la vittoria del forte sul debole - i n economia del capitale su1 lavoro, in politica del numero sul diritto, in sociologia dell'utilità sul dovere; - esso perciò non conosce i l principio dell'amore del prossimo e neanche, per conseguenza, quello di giustizia sociale. Nè l'anarchia che distrugge, nè i l socialismo che propugna la lotta di classe conoscono questo principio vitale della natura umana. L'egoismo predomina: o è l'io che si separa dagli altri disorganizzando la società ed elevandosi a ragione comune (liberalismo); o l'io che si organizza a lotta confondendo la ragione comune con l'individuo (socialismo); o l'io che si eleva a concezione assoluta di bene contro la


società e la distrugge (anarchia), è sempre l'egoismo che varia di forme, di posizione, ma non di natura; l'egoismo che viola la legge dell'amore universale e della giustizia e che non può in una forma concreta, nel cozzo dei contrari, perdere la sua natura o eliminarsi. I1 trionfo di tutte le forme negative è i l trionfo dell'egoismo, che presiede alla lotta eterna dell'umanità. Nel turbinio delle agitazioni dei partiti, nella lotta dei sistemi, nella passione delle speranze è facile a prima vista trovare i giusti rapporti di verità e d i errore, d i bene e di male; però l'anima umana assetata dell'elemento di verità e di bene, sente in sè l'incertezza dei contrari, lo sbalzo delle differenze, la irrequietezza del punto fermo che manca. P u r tendendo all'ideale vagheggiato, nelle sue concezioni luminose, se la via non è sicura, l'intimo della coscienza reclama i suoi diritti; le smanie e le angoscie del dubbio, la sproporzione dei desideri con la realtà manifestano l'equivoco e l'errore che si cela nel fondo dei partiti e dei sistemi negativi. Non è meraviglia se la società oggi non si adagia in nessuno dei partiti che spiegano la bandiera della giustizia sociale: la giustizia nella sua essenza, manca. Manca, perchè manca l'amore del prossimo; e questo amore non vi è, non vi può essere perchè manca l'amore d i Dio; e l'amore di Dio non vi è nè vi può essere, perchè della religione si è voluto fare un rapporto solamente privato e di coscienza, e non sociale; la religione è stata esclusa dalla società. La religione, o signori, è un principio sintetico che tutti abbraccia gli elementi di vita terrena, per vivificarli del soffio della moralità, per ordinarli a u n fine superiore, per elevarli col carattere della soprannaturalità. Essa, è vero, mira alla coscienza, che è i l giudizio ultimo pratico dell'azione dell'ente ragionevole, elemento che dà la moralità e la responsabilità dell'atto umano, ma non può ad essa sfuggire la vitalità pubblica e sociale, che è formata da moltissimi atti di coscienza, che influisce sull'ambiente, sulla educazione, sul diritto, sulla economia, sulla scienza, sulle arti, sulla vita intiera dei popoli. Nella concezione della verità e del bene per necessità siamo monisti; una è la verità e uno è il bene, applicato al molteplice, trasformato in rapporti, risoluto in azioni, ma non può essere

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- S~unzo- Sintesi sociali.


concepito che come l'elemento eterno ed infinito, ai cui sublimi rapporti viene elevata la coscienza umana. Gli elementi della lotta sociale saranno dati da interessi terreni, siano economici che politici, ma la ragione non può essere che una, la verità e il bene; che nel fatto assumono i caratteri di giustizia e di amore del prossimo; quella giustizia che alla venuta di Gesù Cristo si baciò con la pace: iustitia et pax osculatae sunt; quell'amore del prossimo che fu i l grande comandamento simile al primo di amar Dio, dato da Gesù Cristo, Dio e Uomo, che per Dio e per l'uomo compì il sacrificio dell'amore e pagò la soddisfazione d i giustizia; per cui a ragione diceva Giovanni apostolo: (( in ciò vi riconoscano per discepoli di Gesù Cristo, perchè l'un l'altro vi amate D ; C( amatevi non con le parole, ma con le opere e con la verità D. E questa è stata ed è la vita della chiesa d i Gesù Cristo nei suoi rapporti soprannaturali e nella sua azione storico-sociale attraverso i tempi che si mutano, entrando sempre nel vivo agone delle lotte umane, nel contrasto dell'amore con l'egoismo, del diritto con la forza, della giustizia con la oppressione, della verità con l'errore. I1 principio non muta; mutano Ie contingenze dei secoli e la chiesa attua i principi soprannaturali, edificando sui principi naturali, non solo nell'intimo delle coscienze che trasforma e india, ma nell'agone della vita pubblica, nella quale agiscono gli uomini, in u n misterioso rapporto d i libere volontà e d i necessità storiche, nell'influenza reciproca degli individui sull'ambiente, nella concatenazione dei secoli che si danno la mano, nella legge del progresso che spinge e incalza i popoli, nello svolgimento degli ideali sublimi e umili, intellettuali ed economici, morali e letterari, che sembrano assorbire l'uomo e che sono dall'uomo assorbiti nell'atto sintetico della sua doppia esistenza e dei suoi doppi rapporti, di senso e d i intelletto, di terra e di cielo. Dall'emancipazione della donna e dello schiavo, alla trasformazione dei popoli barbari nelle gloriose nazioni di occidente, alla riforma del diritto romano e feudale, alla tutela della libertà dei comuni, alle crociate contro i Saraceni e i Turchi, alla tutela della verità tradizionale contro il razionalismo la chiesa ha vissuto la vita sociale dei popoli ed ha

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prestato o ha reso saldi e forti d i nuova e5cienza gli elementi positivi d i progresso, libertà e giustizia. E se dalla rinascenza pagana a l movimento per la libertà e nazionalità, la chiesa fu voluta escludere dall'ambito civile e sociale, dalle rivoluzioni religioso-politiche di Germania e d'Inghilterra all'intervento cesaro-giansenistico, alla rivoluzione civile-politica della Francia e d'Europa intiera; se nell'ultimo movimento del secolo XIX prevalse la forma negativa del liberalismo contro il tentativo neoguelfo i n Italia e l'audace e pur vera iniziativa di Pio I X ; non è la chiesa che h a rigettato i progressi dell'umanità, è la società che ha reagito contro la chiesa ed è caduta nel negativismo presente, dalla scienza che ha fatto bancarotta, alla morale del divorzio e del libero amore, alla politica del tornaconto, alla economia della prepotenza, all'arte della pornografia, i n sintesi allo sconvolgimento dei rapporti essenziali di natura, il cui fenomeno principale si chiama questione sociale. La riscossa della parte cattolica, ricacciata quasi in u n nascondiglio, oppressa dal cesarismo dei r e prima, dalla lotta dei parlamenti e delle piazze dopo, bisogna convenire, o signori, non ostante che molti non ci credano, si è iniziata solo quando anche noi abbiamo avuto una certa libertà politica; almeno la libertà della lotta e della protesta, che non ci era dato avere sotto i regni assoluti del cesarismo imperante, quando neppur la voce dei papi poteva passar l e barriere senza i l visto delle dogane regie. impari a trasformare a noi il movimento d i libertà, sopraffatti perchè pochi e. nuovi, e inceppati dal tradizionalismo conservatore, che anche oggi è u n forte bastone fra l e ruote, ci siamo preparati nell'acerbità delle persecuzioni. I1 pontificato romano ritorna a capo della civiltà e del progresso ed entra vigoroso nell'agone delle lotte sociali presenti; e dopo avere nettamente distinto la verità dall'errore col Sillabo d i Pio I X e con l'enciclica d i Leone XIII contro il socialismo, lancia al mondo l'enciclica Rerum Novarum, documento positivo di un'azione essenzialmente religiosa, che arriva sino al profondo della questione sociale, che distingue l'elemento politico ed economico e assurge all'ideale che travaglia


la coscienza del mondo, l'ideale della giustizia e dell'amore del prossimo. Essa si diffonde come faro di luce sull'agitarsi incomposto delle plebi, sulle diffidenze e le ingordigie dei capitalisti, sulla rovinosa politica degli stati, e proclama alto, vigoroso, il dovere di tutti in nome della religione di Gesù Cristo. L'importanza del 15 maggio 1891 è segnata dal £atto che i l principio eterno di giustizia e di amore viene riconosciuto trovarsi nella presente aspirazione sociale, e che la chiesa, indicando l'errore delle altre concezioni sociali (liberalismo-socialismo-anarchia) indica all'umanità la via vera del progresso sociale, che non è in contrasto ma all'unisono con la vita religiosa e morale della vera chiesa; che inculca a ciascuno il dovere rigoroso di concorrere alla soluzione della presente agitazione.

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La parola della chiesa non rimane infruttuosa; essa non è solo principio di conoscenza, è principio di azione; essa desta nel cuore dei credenti la fiamma del sacrificio, essa anima le nostre aspirazioni e le nostre lotte, essa ci guida e ci sorregge, perchè divina è la sua virtù. E spetta a noi attuare quegli insegnamenti nel vorticoso succedersi dei tempi e nel contrasto violento dell'attività umana. Noi cristiani e cittadini e uomini del nostro tempo, chiamati per dovere di coscienza a scendere nel campo delle lotte pubbliche di pensiero e di azione, dobbiamo portarvi queli'elemento positivo che la chiesa ci dà, che la ragione illuminata dalla fede ci suggerisce, che l'amore naturale vivificato dal divino, ci impone; affinchè nel cozzo dei fatti umani, che dipendono dalle nostre libere forze e dal nostro costante lavoro, possano la verità e il bene concretizzarsi nelle forme sociali e prevalere nello svolgimento della storia. È questa, o signori, la nostra missione. Uniti a questo fine, noi siamo di già scesi in campo a lottare ed abbiamo assunto un'insegna nostra, che sintetizzando i principi dai quali pigliamo le mosse, il cristianesimo nel suo concetto intero e nella sua missione sociale, e la democrazia come tappa storica del progresso. elemento necessario del divenire. condizione impre-


scindibile di vita pubblica secondo le circostanze del tempo, l'abbiamo appellata democrazia cristiana. Se si vuole, è il segno del battesimo che la democrazia h a avuto dalla chiesa e l a determinazione concreta della via che segue la società nei suoi progressi, nella conquista dei suoi ideali, che vengono corretti, regolati, indirizzati, elevati dallo spirito cristiano a più intiera assecuzione d i giustizia e d i bene, di ordine sociale e d i rapport i imprescindibili di questo con u n ordine d i natura superiore. La democrazia cristiana, o signori, non è la chiesa; è questo che h a voluto chiaramente far conoscere la Santa Sede negli ultimi suoi documenti. La chiesa è la società soprannaturale fondata da Gesù Cristo ad attuare nei secoli i frutti della divina redenzione; e p e r attuarli adibisce i mezzi divini e influisce sulla società e sugli ordinamenti sociali, per via dell'insegnamento e dei comandi, che sempre si basano sulla concezione d i vita soprannaturale e che mirano a tale termine finale. La democrazia cristiana, invece, è u n effetto degli insegnamenti sociali della chiesa; effetto, i l cui campo d i operazioni diretto è la vita sociale, il cui obiettivo specifico è la lotta contro gli altri partiti sociali p e r i l trionfo della vera giustizia, i cui caratteri generali sono indicati dalla chiesa, per la pacificazione delle classi sociali; i cui mezzi sono l e attività d i vita pubblica, nell'ambito delle libertà civili, nello sviluppo del pensiero naturale illuminato dalla fede, nello svolgimento dei Criteri economici, amministrativi, legislativi, sociali i n tutte le apparenze della vita umana. , Questa attività è sorretta, come ogni attività, anche artistica o letteraria dell'uomo-cristiano, dai principi di fede, dagli aiuti divini dati all'uomo, d a l criterio morale d i coscienza, dallo spirito di carità e d i sacrificio, che solo si trova nella vita cristiana, ma il carattere della democrazia cristiana non si può confondere nè con la chiesa, nè con l'attività puramente c strettamente religiosa. È perciò che il papa ha nettamente distinto quel che è l a missione della chiesa, e quel che la chiesa comanda a tutti i cristiani come tali, siano o no organizzati i n associazioni, l a giustizia e la carità; da quel che è o può essere i l campo sociale d i pensiero e d i azione dei cattolici, campo guardato (permet-


tetemi la frase) dall'occhio vigile e materno della chiesa, perchè non si trascorra e non si cada, ma campo libero all'attività umana i n quanto tale. Ho voluto insistere su ciò, perchè l'equivoco di confondere la democrazia cristiana con la chiesa sedusse alcuno dei nostri e per rimbalzo l'equivoco di restringere l'azione nostra al carattere religioso fu sostenuto con ogni argomento da parecchi dei conservatori cattolici. Ma è tempo di togliere gli equivoci e di lavorare. La democrazia cristiana, nel suo carattere specifico, è una delle forme concrete dell'attuale movimento sociale, come il guelfismo (che non era la chiesa) fu una delle forme concrete della politica medievale; essa sta nei principi fondamentali e in molte conseguenze in contrasto e in antitesi con il liberalismo e con il socialismo, ed entra al pari di essi nell'agone concreto della lotta con i sussidi religiosi e morali della chiesa e con i mezzi e le forme moderne ed evolute d i lotte civili e di pensiero, contrastando palmo a palmo il terreno agli elementi negativi ed assimilando tutti gli elementi positivi, portando nella vita sociale dei popoli quella giustizia e quell'amore reale, che invano si propugna a nome degli altri principi. La vita si agita attorno a noi; sentiamo che l'avvenire incalza. Lo stare fermi quando la vaporiera corre, ci fa sempre più allontanare dalla meta. La vaporiera è il popolo che non si arresta, che è incalzato, che corre, corre nella via del progresso... gli dà la spinta, gli determina l'orientamento, gli apre la via il partito, la forma concreta, quale essa sia, e il popolo corre. Se nella corsa drenata gli si apra il precipizio o gli si avvicini la meta lo sapranno i posteri; e sapranno se la soluzione sarà negativa o positiva, l'odio o l'armonia sociale. Noi proclamiamo alto l'armonia sociale! Armonia, cardine della natura insensibile, fonte di simpatia della sensibile, principio di rapporti della razionale; armonia che è ordine, che è pace, non sopraffazione del debole isolato, come vuole il liberalismo, non sopraffazione di una classe come predica i l socialismo; - armonia, che si basa sugli organismi naturali non di-


strutti, ma ricomposti nel loro carattere e nelle loro funzioni; - armonia che importa giustizia, rapporto bilaterale nelle pro-

porzioni aritmetiche e geometriche del diritto e del dovere, contemperati reciprocamente, senza che il diritto indichi forza e sopraffazione, o i l dovere servitù e abbassamento; - armonia che deve essere cementata dall'amore, i l quale è essenzialmente armonico, nella funzione degli animi, nella soddisfazione del bene appreso, voluto, goduto. Se questa armonia è oggi pro£ondamente turbata, se si mira a distruggerne gli elementi, si lotti perchè la società si evolva verso la perfezione, termine che non può conseguirsi nel suo concetto assoluto (che rimane come l'ideale e la ragione del fatale ascendere della storia), ma che si consegue nel suo concetto relativo, che è l'attuazione degli elementi positivi della civiltà, elementi, che ricomposti nei loro rapporti, costituiscono l'armonia sociale. Eccelsa, secreta Nel buio degli anni Dio pose la meta Dei nobili affanni; Con brando e con fiaccola Sull'erta fatale Ascendi, mortale!

Ascendi, o popolo! è il grido che sorge dalle profonde latebre dell'animo turbato contro la servitù, l'ingiustizia, nelle forme acute del male sociale. Ascendi nelle conquiste del tuo avvenire, nelle speranze di miglioramenti che ti aspettano, nella rivendicazione di diritti che non sono rispettati, nell'assecuzione di vita più vigorosa e più intiera. Ascendi, fra i contrasti dell'errore, le turbinose violenze dell'egoismo, che si frappone gigante a contendere la via. Ascendi, unito e compatto, forte del principio cristiano, fondamento d i tutte le rivendicazioni popolari; forte delle libertà politiche, conquiste necessarie allo svolgimento delle attività pubbliche; forte dell'ideale di giustizia, principio dinamico del progresso, - in una sintesi che risponde al nome, alla sostanza, a l programma di democrazia cristiana! È fatale la tua ascensione, la tua lotta, il tuo trionfo, o popolo ! 23


LA LOTTA SOCIALE: LEGGE DI PROGRESSO (*) Immeritata stima .di amici mi ha tratto a parlare dinnanzi a voi. Lasciando agli arcadi e ai retori tutto il bagaglio dellc trepidazioni, tutte le dichiarazioni di insufficienza, tutte le preghiere di compatimento (la retorica serve anche bene all'ipocrisia), io questa sera dò agli amici la responsabilità del fatto mio e passo all'ordine del giorno. - Mi son prefisso di parlarvi della lotta sociale come legge di progresso. Potrà ad alcuno sembrare strano che un prete e un convinto propugnatore della democrazia cristiana, che ha per insegna l'armonia delle classi, possa svolgere simile tesi; e già sin dal principio temo che alcuno, anche senz'essere conservatore, in cuor suo reagisca contro un principio così crudelmente affermato, e che per lo meno sa di tendenza socialista. Non di rado accade, o signori, anche nella vita del pensiero umano, che una verità, intuita nelle sue linee generali, passi di generazione in generazione senza difficoltà ; sin che, coartata e negata nel fatto, per una serie di negazioni storiche, piglia violentemente e per reazione il posto di principio teoricopratico, con tutti quegli elementi negativi che ogni reazione necessariamente contiene. Attorno ad esso si battaglia, pro e contro, portando l e opposte esagerazioni ai limiti estremi: sicchè la verità, acquistando nuove guise dalle specificazioni e deduzioni nuove, sciolta dalle opposte concezioni negative, riappare nella sua bellezza e chiarezza come una vera conquista dello spirito umano. La verità della concezione della libertà politica è u n esempio che calza. Ammessa come principio indiscusso e come ideale dei popoli, quando le costruzioni assolutistiche si sovrapposero sul popolo e la pressione monarchica divenne un punto statico della società, la libertà fu negata nel fatto, pur rimanendo, se vuolsi, come teorema filosofico. Al momento però che la libertà politica, assurgendo a principio teorico-pratico, tentò imporsi

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(*) Conferenza letta al circolo universitario di Napoli il 13 giugno 1902, al salone dell'Arcivescovado di Milano i l 12 maggio 1903 e al circolo universitario di Torino i l 19 maggio 1903.


alle menti e alle coscienze degli uomini, quella stessa verità un tempo ammessa, f u combattuta, oscillando fra le esagerazioni della duplice reazione dell'assoluto della sovranità popolare e dell'assoluto della sovranità monarchica. Oggi però, spogliato il principio della libertà dalle esagerazioni negative della reazione, appare nella sua verità e luce, resa più evidente dallo svolgimento pratico di molti elementi costitutivi, prima non intieramente intuiti, nella loro estensione e intensità, dalle generazioni precedenti; e dall'altra parte la verità, apparsa nuova, si riannoda agli elementi che prestano la tradizione e la continuità del pensiero umano. Così, parlando oggi di lotta sociale come legge di progresso, la mente corre istintivamente alla concezione socialista della lotta; come al principio del secolo passato, parlando di libertà si arrivava tosto sino a i carbonari e alla Giovine Italia di Mazzini: e ciò non è strano, perchè nel fatto la lotta sociale, come elemento di reazione e quindi esagerato, si concretizza, più che i n altri sistemi, nel socialismo. Passerà il momento storico, e la verità, senza restare nè liberale nè socialista, tornerà chiara alle menti degli uomini, anzi brillerà di nuova e maggiore luce di bellezza. A me preme, come finalità pratica, arrivare a rivendicare la verità nella sua purezza, dagli inquinati monopoli che esercitano i sistemi negativi predominanti. È vero, come diceva Spencer, che nell'errore si trova l'anima della verità e nel male l'anima del bene, altrimenti nella pratica non potrebbero esistere, come non esiste la negazione assoluta e il male assoluto: - ma è dovere ridurre l'errore e il male alla loro entità negativa, togliendo quell'anima di verità e di bene, che dà la vitalità pratica a i sistemi e alle teorie erronee e cattive. Come dal liberalismo è nostro dovere staccare i l principio di libertà, nel suo genuino valore, e dal socialismo quello di giustizia; così anche dall'uno e dall'altro è necessario tentare di staccare il principio d i lotta, e riducendola alla sua natura vera e reale, assimilarlo come elemento di vita ed opporlo alle concezioni negative degli altri sistemi. Questo mio sarà un tentativo, lieto se riuscirò a porre qualche elemento allo studio e alla soluzione dell'arduo problema.

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I. Per essere positivi, pigliamo le mosse dal fatto e dalla sua analisi. La lotta sociale esiste: nella variazione di forme, d i guise, di tendenze, nella moltiplicazione d i rapporti, nello sviluppo e svolgimento di energie, sotto diverse denominazioni, si attua nella storia: in fondo ci troviamo sempre avanti ad uno stesso fenomeno nelle sue molteplici apparenze. Ma i fenomeni storici, come quelli fisici, non hanno tutti la stessa forma, nè manifestano la stessa intensità di energie, perchè nelle cause complesse il diverso predominio e la diversa combinazione degli elementi produce effetti di carattere diverso, pur essendo identici nella natura. Oggi la lotta presenta caratteri decisamente e prevalentemente sociali e di un'enorme forza dinamica che abbraccia tutti i problemi della vita, che trascina, avvolge tutti gli elementi della società; è l'esplosione prodotta dall'accumulo di molte cause che formano la sintesi del fenomeno. Due principi e tendenze, nelle loro forme separate e distinte, e nelle loro cause logiche e storiche connesse e interferenti, si presentano giganti avanti a noi; il principio liberale, concretizzato nella forma prevalente di liberalismo, e il principio sociale che, nella forma più evoluta e generalizzata, si chiama socialismo. L'uno e l'altro principio non sono semplicemente due concezioni teoriche di vita, ma anche due concezioni pratiche, che derivano da diversi principi ideali e arrivano al fatto concreto, determinando potentemente la vita stessa della società. E liberalismo e socialismo realizzano, benchè sotto aspetti non identici, il principio della lotta. I1 liberalismo parte dal concetto-cardine della libertà come elemento dinamico di lotta individuale nello sviluppo dei rapporti sociali; tende come finalità intermedia alla vittoria del più forte, e arriva al concetto-limite del progresso della società nell'istintivo sviluppo ed equilibrio delle forze prevalenti. Tutte le applicazioni pratico-sociali del liberalismo sono più o meno informate dal medesimo principio. Così in politica, nell'attrito delle tendenze individuali, atomistiche, determinate nelle lotte elettorali e parlamentari, sulle minoranze deboli, prevalgono le


maggioranze numericamente più forti; così in economia la lotta della concorrenza fa vincere le industrie più forti contro le più deboli, i l capitale contro il lavoro. Nella disgregazione dell'organismo e nella prevalenza dell'individuo, la lotta e la vittoria è assegnata alla ragione del numero che costituisce aritmeticamente il principio della forza. Pertanto la prevalenza del più forte causa una selezione degli elementi migliori, una produzione più perfezionata di energie sociali, e quindi una nuova spinta verso la via del progresso, un nuovo acquisto degli elementi di civiltà. Da tutto ciò i teorici liberali assurgono all'idea di equilibrio sociale, che è come una legge di compensazione formata spontaneamente, allo stesso modo che si forma l'equilibrio dei commerci, sotto il regime del libero scambio, fra i diversi centri di produzione, per cui, pur restando intatta la legge della lotta individuale, le energie dello stesso nome tendono ad unirsi e a fondersi e quelle di nome diverso a dividersi e ad armonizzare. Di fronte a questo concetto astratto, ideale, di equilibrio e d i progresso, gli individui scompaiono, perduti nella lotta corpo a corpo di ogni giorno, nella loro vitalità pubblica e nei rapporti sociali; in questo insieme di vicissitudini e di instabilità, in questo sviluppo di energie, spinto e determinato dagli interessi egoistici, prevale i l tutto sociale, come una grande concezione quasi teleologica dell'umanità, e nel quale la ragione assoluta del più forte è l'elemento' dinamico di vita e d'equilibrio. Però questa caotica concezione della vita e della lotta umana non poteva nel concreto delle forme sociali dar vita ad una ragione organico-direttiva, mancando proprio degli elementi organici; onde per i l necessario rimbalzo degli elementi umani, si arrivò alla formazione di un ente disorganicamente accentratore, che, sopprimendo o paralizzando tutti gli organismi sociali, accentrasse gli atomi lottanti e cozzanti fra di loro, prescrivesse limiti e forme di lotta, e assommasse in un tutto aritmetico o non specifico, le forze umane. Quindi la libertà, condizione di lotta ed elemento del divenire umano, fu coartata in modo che, sparendo quasi la sostanza, rimase solo la formula; sia nella politica, dove la prevalenza del numero fu sottoposta, diretta-


mente o indirettamente, alle routines burocratiche, alle imposizioni dei gabinetti e alle influenze dei ministeri, alle consorterie elettorali e alle pressioni dei detentori del potere, e specialmente a mille inciampi di leggi formalistiche; - le libere associazioni, prive di riconoscimento giuridico, furono lasciate alla discrezione dei rigori polizieschi, senza reali garanzie; - le manifestazioni della volontà popolare, fuori dell'esercizio del voto, non ebbero riconosciuto valore alcuno; - le esplicazioni di vita municipale furono impigliate fra le spire del burocratismo delle autorità tutorie e del regolamentarismo opprimente; sia nella economia soffocata da tasse, vincolata da monopoli, accerchiata da nuove barriere protezioniste, ristretta da catenacci, squilibrata da favoritismi politici, sotto forma anche d i premi. Così i l lasciar fare e lasciar passare, canone dogmatico del nuovo sistema, dopo avere sviluppato nella società i suoi elementi negativi, subisce la legge storica delle concezioni aprioristiclie, e lascia fare e lascia passare un altro principio di lotta e d i vita.

I1 liberalismo si trasforma e il campo della lotta sociale si va spostando: prima è stata la lotta degli individui, ora è quella

delle classi. La lotta degli individui tendeva all'equilibrio delle forze prevalenti, sviluppate liberamente nel regime di assoluta eguaglianza politica; la lotta delle classi tende all'equilibrio delle forze sviluppate necessariamente nel regime di assoluta eguaglianza sociale; l'una aveva come termine ideale una legge dinamica d i progresso; l'altra è solamente u n mezzo per arrivare a u n termine finale statico di progresso. I1 socialismo nella sua concezione primitiva, teorico-dogmatica, parte dal concetto-cardine dell'ingiustizia dell'ordinamento sociale presente; critica la forma atomistica della lotta, perchè la prevalenza degli individui forti sui deboli diviene egemonia d i pochi su molti; trova insostenibile l'indefinito sviluppo della lotta e una chimera l'equilibrio istintivo delle forze prevalenti; per vincere l'attuale schiavitù del debole, proclama la lotta organica delle classi inferiori contro le superiori, nello scopo finale


dell'assoluta uguaglianza sociale, per la quale l'organismo sociale verrà costituito dallo stato economico produttore e distributore delle ricchezze. Allora cesserà la lotta, mezzo e non fine, e nell'armonia dell'assoluta eguaglianza economica ridotta ad unità nello stato, si troverà u n elemento, che chiamo statico di progresso (sembra u n controsenso), cioè lo sviluppo delle energie sociali nella ragione assoluta d i benessere, a cui collettivamente e per principio insito indistruttibile tende l'umanità. Quale sarà l'avvenire storico pel momento non m'interessa; h o voluto constatare i l fatto presente e analizzare le due principali e caratteristiche concezioni d i lotta sociale i n rapporto all'idea del progresso: potranno essere falsi i caratteri e le finalità della lotta e del progresso designati dai due sistemi; è certo i l fatto che due correnti fortissime di vita sociale, che abbracciano u n largo periodo storico e che influiscono sul presente e sull'avvenire, sono basate sulla concezione della lotta (benchè in guise diverse) e traggono dalla lotta i l loro dinamismo e la loro vitalità.

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I1 constatare che esistono due forme pratiche di lotta sociale non prova che esista la lotta sociale, cioè che la lotta sia insita alla natura, che sia u n prodotto necessario delle condizioni umane. A parte qualsiasi concezione religiosa e filosofica, spogliati da qualsiasi apriorismo, messi fuori per u n momento anche dall'agitarsi delle concezioni d i partito, interroghiamo noi stessi e la natura: noi sentiamo che tutto quel che dentro e attorno a noi si agita, è u n succedersi e u n combinarsi vertiginoso di contrasti; è l'evolversi e lo svilupparsi i n mezzo a difficoltà e opposizioni; resistere ed essere contrastati; avanzare ed essere ricacciati indietro ; ... lotta molteplice, aspra, diuturna. Non vi può essere sviluppo di forza che non sia prodotto da u n attrito: si tenga per vera la teoria atomica o la teoria chimica della formazione del cosmo, la legge meccanica o dinamica dello sviluppo, la concezione monistica o dualistica dei principi. è certo che la lotta nel senso generico della parola è, meglio del derniurgo platonico, l'anima del mondo. Questo universo che


sempre muta ed è sempre lo stesso, non è che u n continuo e simultaneo succedersi di fenomeni, che rivelano energie determinate dall'attrito, e costituiscono quel che si chiama tempo e spazio, cioè la successione dei fenomeni e la coesistenza delle energie; - l'uno completa l'altro, perchè non si dà fenomeno senza coesistenza, e non si dà coesistenza senza fenomeno; la materia inerte non esiste nè può esistere. Così si sviluppa la vita, sia da una prima cellula autodinamica che si evolve nell'oscuro dei millenni, sia da materia inerte caotica che si animi del contrasto vigoroso di mille energie; sia una lenta evoluzione o una turbinosa rivoluzione, o l'una e l'altra insieme, nulla si toglie al carattere impresso alle cose dalla natura. La vita organica non si concepisce altrimenti che come una lotta degli elementi vitali contro gli elementi letali; - nel disquilibrio e nella preponderanza degli elementi, ciò che è negativo viene eliminato e ciò che è positivo si assimila, sin che vengono meno le forze di eliminazione e assimilazione, e l'individuo cessa, mentre gli elementi biologici si trasformano per sprigionare nuove vitalità. Anche l'uomo è soggetto alla legge della lotta, anch'esso, come individuo e come specie, sotto l'aspetto psicologico e sotto l'aspetto sociale, lotta e si evolve. Come tutti gli esseri tendono alla conservazione propria e della specie ( e non certo una conservazione statica ma dinamica), così anche l'uomo la cui conservazione è non solo condizione di esistenza (necessaria ragione della propria personalità) e mezzo di sviluppo delle proprie facoltà, ma è termine finale specifico del cosmo e via necessaria alla sila ordinazione teleologica. E per conservare sè e la specie, l'uomo è costretto alla lotta che si risolve in vita, i n sviluppo, in lavoro, in pensiero, in sentimento, in tutto quel che forma il complesso misterioso del nostro essere. Lotta che si collega a tutto l o svolgimento delle nostre facoltà, e che dall'elemento sensibile e materiale arriva alle regioni del pensiero e del sentimento, sintesi sublime ideale di tutto l'essere cosmico, a cui siamo legati, di cui partecipiamo e sopra cui ci eleviamo. Lotta che costituisce la storia della vita dalle infime forme alle più


complesse, dalla meccanica alla psicologica; storia che però non può esistere se non quando tutte le diverse energie non coesistano e non si sviluppino nel cosmo e nella società, creando la storia naturale e la storia umana. Non è mio compito studiare la natura della lotta cosmica; ho solo accennato ad essa per dedurne che la lotta è legge universale d i vita e che quindi il fatto della lotta psico-sociale dell'uomo è u n fatto non fittizio e creato dallo spirito dei partiti, ma naturale, il cui obiettivo o termine è il progresso. Anzi, nella concezione della lotta cosmica, noi, come in ogni nostro modo d'intendere, siamo antropomorfisti, e partiamo da noi per arrivare agli esseri fuori di noi; e come applichiamo agli altri esseri i concetti di amore, di forza, di legge, di armonia, e anche non raramente sentiamo il bisogno di parlare d'intelligenza, di bontà, di virtù, così parliamo di lotta e di progresso cosmico intendendo dire attrito e sviluppo. È il movimento ascensionale dell'uomo nella lotta sociale, che si chiama progresso; ivi una ragione, ivi una volontà libera presiedono allo sviluppo delle energie; e se gli elementi in£eriori prestano spesso le ragioni della lotta, anzi se essi stessi lottano o meglio si sviluppano, se molte volte l'obiettivo della lotta umana è la stessa condizione necessaria di esistenza e coesistenza anche materiale, ogni movimento umano penetra sempre nel mistero dello spirito, tende alla conoscenza della verità, al godimento del bene, alla trasformazione degli altri esseri in sè, per una specie di bisogno panteistico (lasciatemelo chiamare così con una frase che dice tutto, purchè non si apprenda come un errore), per una specie di bisogno panteistico di esser tutto noi e di incentrare la nostra esistenza in noi e di effondere le nostre energie per tornare i n noi. Questa lotta diviene spesso angosciosa, incalzante, crudele, ci rende instabili, infelici, quando non si è trovato l'elemento statico, il punto fermo, l'ubi consistam del nostro essere, e che in gran parte si perde nel mistero dell'avvenire. Nati però socialmente, come insita necessità di natura, le nostre forze individuali rimarrebbero limitate, circoscritte, non si svolgerebbero, se mancassero gli esseri simili a noi, che sono

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i termini più connaturali dell'azione e reazione umana. Come il cosmo è la coesistenza di tutti gli esseri, così la società è la coesistenza degli uomini; e come la vita cosmica non è che lo sviluppo necessario delle energie dei coesistenti, sviluppo prodotto dall'attrito, così la vita sociale non è che lo sviluppo libero e storico delle forze umane, che nasce per necessità dal contrasto. La lotta è legge della società: sembra un paradosso, si dovrebbe dire l'amore; ma neppure l'amore si può concepire senza lotta; l'amore che è sintesi di coesistenza, ragione di attrazione, vincolo di simpatia, sviluppo di natura e di vita; e per gli uomini, elevazione d i animo, pace, forza, eroismo, è prodotto dalla lotta nell'assimilazione e disassimilazione, nell'affermazione e negazione. Nell'assoluto non vi può essere lotta; il cielo o l'inferno, il godimento perpetuo o il dolore perpetuo, nella concezione del dogma cristiano non sono che statici ed eterni; è cessata la lotta, perchè sono venuti meno i contrasti dei relativi, e l'eterno godimento e l'eterno dolore consistono e vengono fermati in u n punto assoluto ( e perciò eterno), Dio, la cui presenza o assenza forma la ragione assoluta del bene o del male. Noi non siamo che relativi nel nostro essere, nella nostra conoscenza, nella nostra vita, nella nostra finalità. E i l relativo subisce come la legge dell'armonia così la legge dei contrapposti; e la società non è che la sintesi concreta delle relatività umane. I n essa si esplicano le potenzialità molteplici indefinite dell'attività umana determinata dal bisogno (nella più larga estensione della parola), conservata dall'assimilazione, resa vitale dalla forza sviluppata dai contrasti. I n questo insieme d i correlativi, in questo lavorio di assimilazione e disassimilazione, in questo accentramento e decentramento di forze, la società vive, si evolve, progredisce e crea la storia. Per i l moralista la storia è la maestra della vita; per il sociologo è la biologia (intesa in senso lato e analogicamente) o meglio il dramma dell'umanità; è la lotta della vita sintetica della specie, vita che non consiste nell'esistenza singolare dell'individuo, ma in tutto il complesso delle relazioni sociali: - ricerca della verità, conseguimento del bene, esplicazione


d e l sentimento, sviluppo delle condizioni materiali, scienze, arti, lettere, politica, economia, religione, tutto quanto è pensiero tradotto in espressione di vita collettiva sociale. - Questa vita si vuole sempre più piena, più armonica, più rigogliosa, onde sempre si deve lottare a rimuovere ostacoli, a superare difficoltà. Queste serie di lotte sono scritte indelebilmente nel cammino vitale dell'umanità: cammino che non si può chiamare che progresso, quale esso sia, e che deve corrispondere come un termine allo sforzo, un conseguimento di vittoria nella lotta, un'ascensione dello spirito, una maggiore e più intensa e completa assimilazione degli elementi positivi, delle relatività cosmico-sociali, corrispondenti alla specifica natura razionale.

Ebbene, o signori, qui sta i l problema che affatica lo spirito umano: - Quali sono gli elementi reali, quale è la natura d i questa lotta perpetua, ascensionale? - a quale termine ci conduce? - a un termine statico di progresso o a una continua evoluzione dinamica? - È un panteismo sociale che ci trascina e ci assorbe o un individualismo necessario, assoluto che ci opprime? - Possiamo noi nel fatto pratico dare una finalità alla lotta o vi si è determinati?. Una folla di domande che esigono una risposta; un problema complesso che non è possibile trascurare, perchè si presenta formidabile al nostro pensiero, e nell'attuale momento storico si impone alla nostra coscienza, non solo come un alto problema di morale. ma prevalentemente come un altissimo problema sociale, che tocca l e basi stesse del consorzio umano, la cui soluzione informa tutta l'attività sociale di quanti si spingono nell'agone delle pubbliche lotte. Sintetizzando il pensiero filosofico sociale, troviamo che tutto i l battagliare dei sistemi scientifici, nella concezione dell'individuo e della società, si muove dall'estremo di due termini irriducibili all'opposto estremo di due termini identici; estremi opposti, eppure logicamente legati. A non uscire dal momento storico presente, per meglio osservare nel concreto dei fatti le ragioni e le conseguenze dei

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- S~nnzo- Sintesi sociali.


principi e vagliarne il valore, ci si presenta gigante i l sistema kantiano, che può dirsi l'uno dei due estremi. Messa la ragione dell'uomo h o r i del campo della realtà, con la concezione soggettiva delle conoscenze basate sui giudizi sintetici a priori, staccata la volontà dall'influenza della ragione ed elevata a facoltà autonoma, senza dipendenza d i sorta, e nomotetica, legge a se stessa, - l'uomo viene considerate come u n assoluto soggettivo. Egli non dipende, non può dipendere da nessuno; è interamente libero, e determina sè stesso sotto l'impero dell'autolegge, ragione di dovere. La società di conseguenza non genera rapporti reali, ne costituisce obiettivamente il diritto e la legge; essa consiste nella coesistenza della libertà esterna di ciascuno con la libertà esterna di tutti, secondo la legge universale di libertà; e ciò come condizione necessaria della libertà interna. Quindi i l diritto e l'autorità non fanno altro che eliminare quelle condizioni negative che impediscono tale coesistenza. Ecco rotto ogni organismo naturale, anzi ridotto al nulla; anche lo stato diviene. u n ente semplicemente negativo; i1 diritto, la giustizia, l a legge, sono delle soggettività; come gli enti non sono che dei fenomeni. L'io, razionalmente soggettivo, liberamente volitivo, legge e vita, si aderge su tutto. Onde Fichte, facendo u n passo in avanti, e rinnovando il dubbio razionale di Kant, asseriva che il pensiero basta a sè medesimo ed è l'ente necessario, creatore della realtà, libero, indipendente, volontà sovrana, l'io indiato. Questo assoluto individuale deve di necessità estrinsecarsi nella vita; deve venire a contatto con la società, pigliar parte alla lotta storica dell'umanità. Certo nessun confine reale egli trova fuori di sè stesso, della sua volontà; il kantiano giudizio teleologico non è conoscitivo, ma solo riflessivo, e la finalità che ne è i l fondamento non è che una rappresentazione attuata, ed appartiene ad una veduta dell'intelligenza. I1 fine è l a stessa volontà, che non può volere legami alla sua libertà interna che partecipa dell'assoluto volitivo; in sè stesso l'uomo deve assommare i fenomeni e quindi a sè deve dirigere gli scopi della lott a ; da ciò scaturisce la legge: - u opera in modo che la volontà sia sempre trattata come fine e non come mezzo D.


Disgregata così la società e resa individualistica, qual valore potrà avere quella legge di legalità o meglio quei legami esteriori, che tutelano la coesistenza della libertà, all'osservanza dei quali Kant assegna il principio assoluto di dovere derivante dall'auto-legge volontà? - E come potranno coesistere queste libertà autonome, nell'attrito della lotta, determinata dall'assaluto del proprio io? - La conseguenza è questa: da una parte si deve sviluppare la legge della forza, e quindi la vittoria del più forte; e dall'altra si devono assegnare tali limiti alla libertà esteriore da farla scomparire nel tutto autoritario; mentre l'io assoluto prevale come finalità dell'individuo, la società viene distrutta nella sua essenza. È il trionfo della forza, sotto diverse parvenze, dalla quale è esclusa la ragione, che non percepisce le realtà obiettive e che non regola la volontà autonoma; è escluso il diritto che non ha ragioni positive, ma che solo diviene negativo. Resta il soggetto razionale chiuso in sè, che è legge a sè stesso, fine a sè stesso, al suo essere, al suo svolgimento, alla società, che lotta necessariamente per sè stessò. Però un'amara delusione aspetta questo individuo indiato. Messo a l contrasto delle forze esterne, vien meno a quesla volontà suprema e assoluta la potenzialità di attuare la sua legge, di mantenersi nella libertà esterna ed interna; l'ordine negativo della libertà vien turbato, e la legge del più forte si impone come limite d i libertà e di volontà di questi atomi cozzanti fra di loro, di questi individui disorganici 'nella ragione del loro assoluto. La lotta è della moltitudine, sia anche amorfa; è della collettività, nella sua entità; è della società nei suoi rapporti; in cui l'individuo, che cerca sè e tende (secondo la concezione kantiana) alla liberazione ascendente dai vincoli esterni e al massimo grado di autonomia, non può di fatto arrivare alla soppressione degli altri, sopra cui si aderge l'io libero autonomo. Ecco il termine a l quale logicamente arriva la concezione soggettiva dell'individuo nella esplicazione della lotta sociale. Che resta mai? Questi forti individui privilegiati, che sopravvivono alla lotta, non potranno assommare in sè i termini del progresso e dell'evoluzione sociale. La loro successione indefi-


nita crea lo spostamento delle finalità e quindi dei termini dall'individuo che vince alla società che acquista; e la società come tale, per logico rimbalzo, diviene i l termine ultimo della lotta e del progresso. Sì, dicono gli evoluzionisti sociali e la scuola naturalista, c'è la lotta, che monta? - c'è la sconfitta di molti, e sia, anzi è necessaria; - la biologia sociale porta questa legge: i migliori e i più forti vincono, la selezione si forma, si sviluppano le energie migliori, i l progresso sociale o l'evoluzione sociale indefinita è il termine ultimo. Non vi sembra, o signori, che ammessa questa legge, l'individuo, che si voleva assoluto, scompaia? che venga meno lo stesso concetto dell'uomo libero? che la vita dell'individuo venga ridotta a qualche cosa di panteistico confuso con la vita della società? Questo dorwinismo sociale, mentre sembra elevare le forze individuali cozzanti fra di loro, tenta di assorbire l'individuo ~iell'inconscia legge della lotta per la vita: e mentre assegna come finalità d i lotta una vita più esuberante, più perfetta, ia lega a l soccombere d i mille individui sacrificati alla ragione di un progresso indefinito. La società, come i l cosmo, si evolve attraverso a mille rovine; è dunque la società il fine degli individui presi nel loro complesso? E se è la società, è essa forse u n tutto panteistico? Così la pensò Schelling: la società è i1 tutto; è un organismo assoluto, divino ».Così la pensò Hegel: « La società, Dio presente assoluto, fine in sè ».L'uno e l'altro nell'identità assoluta dell'ideale sopprimono il relativo, la ragione dei rapporti, l'affermazione e la negazione; sopprimono l'individuo e concepiscono la società panteistica, assoluta, fine in sè. Quel fine in sè che Kant assegnava all'individuo, Schclling cd Hegel assegnano alla società i l cui svolgimento indefinito verso la perfezione sociale, come ragione di progresso, non sopprimc la lotta, solo assorbe gli individui e li lancia in un vorticoso divenire, del quale essi non partecipano che come eiemcnti. senza che possano arrivare a un termine personale, confusi nel tutto divino della società. Questo tutto assoluto, identico, non può essere che un solo


elemento e un principio unico, fatale. I1 determinismo uionistico svolge e completa la teoria. La lotta non è che svlluppo di energie che si trasformano: ma l'unica, l'identica, l'assoluta sostanza è la materia. Questa è dinamismo meccanico e genera il fenomeno del moto, dinamismo biologico e genera il fenomeno della vita, dinamismo fisiologico e genera il fenomeno del senso, dinamismo psicologico e genera i l fenomeno della ragione, dinamismo sociale e genera il fenomeno della società. Riguardata così la società sotto il duplice aspetto di un tutto panteistico e di un fenomeno della materia, di un assoluto identico, e d i un identico materiale, per necessaria conseguenza gli individui scompaiono, si perdono; la loro lotta non può avere altro carattere che quello materiale, la tendenza non può essere altra che la eguaglianza materiale assoluta; il progresso non può riporsi in altro che nella somma deile continue trasformazioni della materia. Da Kant a Hegel a Haeckel quali passi! dalla individualità libera assoluta, fenomeno spirituale, alla società necessaria assoluta, fenomeno materiale. Un grido di protesta sembra però levarsi dal fondo della nostra individualità soppressa, del nostro spirito ridotto a fenomeno di vita materiale; l'aspirazione a una felicità che si compia in noi, è potente e non si adagia nella concezione del progresso evolutivo della società; la legge ferrea di una lotta che sacrifica l'individuo per necessità di coesistenza, ripugna a tutte le aspirazioni personali esuberanti di vita. Dal divino individuo di Fichte al divino tutto sociale d i Hegel, al pessimismo di Schopenhauer, al nichilismo di Nietzsche, i l passo logico è fatale. Dal positivismo assoluto saltiamo a l negativo assoluto; - il male, il male ci assorbe, e la lotta e i l progrèsso (Hartmann ha ragione) non possono consistere in altro che nel diminuire le condizioni dei nostri mali; - è il lavoro di Sisifo! ...e quando avremo portato la pietra alla cima del monte e avremo sperato i l riposo, ecco di nuovo la pietra a valle, che il fato ci costringe a spingere faticosamente, perpetuamente aila cima di un progresso e di un bene inafferrabile.

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Ecco in ultim'analisi il problema. quel problema che conipendia tutte le filosofie: sono termini assoluti l'individuo e la società? e in noi sono assoluti il bene e il male? esiste l'assoluto? la lotta umana, la storia della società hanno per obiettivo l'assoluto? Portiamo su questo terreno la discussione, perchè più chiaramente risaltino il valore scientifico ed etico dei sistemi sociali presenti e le tendenze insite di lotta. Un dualismo forte, costante, ingenito è dentro d i noi, combattente tutte le battaglie del nostro spirito: il dualismo fra il relativo e l'assoluto. Noi non possiamo prescindere dalla relatività della nostra esistenza, che dice effetto ad una qualsiasi causa, nè dalla relatività della nostra conoscenza, dei nostri sentimenti, dei nostri bisogni, della nostra vita; però abbiamo e sentiamo la necessità dell'assoluto; è come il punto fermo del nostro pensiero, dei nostri affetti, del nostro essere, ragione, finalità; è i l tutto fuori del quale non vi è che il nulla. Bisogno dell'assoluto, che non è una semplice astratta concezione intellettuale della nostra mente, ma che si realizza in tutto l'agitarsi della storia; che appare in fondo a tutti i problemi individuali e sociali; che balza, anche non volendo, anche cercando di sopprimerlo, da tutti i sistemi filosofici. Venga per assoluto designata la materia infinita o il soggetto autonomo, la società panteistica o l'evoluzione indefinita, il negativo o il male; sia qualche cosa di ignoto come l'inconoscibile d i Spencer o l'inconscio di Hartmann; sia la identità reale di Schelling o l'identità ideale di Hegel; i l monismo di Haeckel, la volontà creante di Schopenhauer, il panteismo eleatico e i l numero pitagorico, l'idea platonica o lo scettisiamo sempre di fronte alla medesima cismo di Pirrone tendenza: tendenza che è manifestata come dal mistero scientifico, così dal mistero religioso; le colonne di Ercole o i responsi delfici, Giove o Brama, vi è qualche cosa che rappresenta l'assoluto. - Ma nel contrasto dei relativi nulla si trova in noi o nel cosmo, nell'individuo o nella società, che abbia un valore assoluto reale; mentre la concezione ideale

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dell'assoluto non ci appaga; e si esce fuori di noi, fuori della terra, e delle concezioni scientifiche; e l'anima tende a un assoluto ultramondano, l'assoluto della giustizia, della felicità, della conoscenza, Dio. A questo assoluto si tende nello sviluppo delle nostre conoscenze per arrivare ad una verità che non teme violenze o battaglie di dubbi; ad un bene che completa l e nostre conoscenze senza timore di perderlo; ad un bello che non sia da ombre velato; ad una realtà che sia per sè stessa .senza limitazione di relativi e di negativi. Questa tendenza crea in noi (relativi) 'l'istinto, il bisogno di assimilarci, di avvicinarci all'assoluto, e per esso a tutto ciò che vi dice rapporto, che ne abbia l'immagine, che partecipi in certo modo del suo stesso principio. Eritis sicut dii, narra la Bibbia; fu questo il termine finale della prima tentazione dell'uomo nel paradiso terrestre: questo assoluto trasportato da un termine fuori di noi a noi stessi per via di simiglianza, corrisponde - ammessa la inversione dei termini - al bisogno di tendere comecchessia all'infinito. Se chiare ed evidenti ragioni si portano a confutare la concezione materialistica della storia, per me la più chiara è questa tendenza all'infinito che supera i confini del semplice homo oeconomicus dibattentesi per la soddisfazione dei bisogni materiali della vita. Vero è che i socialisti concepiscono la futura società come un termine panteistico statico di felicità, un assoluto paradiso terrestre; ma se la fantasia umana, seguendo l'istinto dell'assoluto e sbagliando i termini, crea la città del sole o la repubblica platonica, o il paese della cuccagna, sono i sogni chimerici, riposo dell'animo che vuol cullarsi nell'assoluta soddisfazione dei suoi sensi, e che ci trasportano, chiudendo gli occhi per un momento, fuori della lotta e del contrasto dei relativi. O la lotta per la vita è insita alla evoluzione della natura, e questo homo oeconomicus si deve evolvere sempre, e allora non si arriverà mai al concetto statico, dell'essere, e avremo una indefinita successione di lotta, cioè di relativi; - o invece si arriverà al termine assoluto: la società panteistica futura del socialismo, e allora deve cessare la lotta e una specie di nirvana materiale assorbirà, neutralizzerà, annienterà le energie umane. Emilio Zola, quando nel


suo Travail volle fare opera di propagandista e di poeta di una forma comunistica fourieriana, non pensò che critica più demolitrice alla sua concezione non poteva fare egli stesso, che inventando una specie di paese di cuccagna, creato, dopo mille sforzi, da Luca Froment. I1 poeta, arrivato all'idillio paradisiaco della nuova società, non potrà descrivere altro che una specie di uniforme, monotono stato civile: nascite, morti e matrimoni ( l i chiamano così); e il resto? lavoro senza sforzo: soddisfazione senza privazione: ordine senza contrasti. Quando l'ultimo ostacolo, d'indole intima, Ragù, è superato, e tutto procede tranquillo, uniforme, ordinato, la vita cessa, o signori, e il romanzo della città di Beauclair perchè cessa la lotta finisce in una aspirazione infinita La concezione felice dell'avvenire sociale sarà un'arma di propaganda. Qual meraviglia che le plebi si illudano proprio nella tendenza più profonda dell'animo umano, l'assoluto? però non sarà mai una realtà. E il programma massimo dei socialisti, con tutti gli iridescenti contorni della fata morgana, può per iin momento illudere le masse eccitate, ma non penetrerà mai nella mentalità umana, che aspira alla realtà. Quando arriveremo comecchessia ad un nuovo assetto sociale, quando l'attuale questione economica sarà risoluta, nuove aspirazioni e nuove lotte si svilupperanno e agiteranno l'umanità. È il fatale divenire dell'uomo: bambino sogna arrivar presto adulto; e poscia agogna a sviluppare sè stesso, a ingrandirsi, a moltiplicare la sua esistenza; quando è vecchio la speranza del futuro non vien meno: aspira ad altri giorni di vita ancora di fronte alla morte che glieli contende. Credo che tutti avrete osservato un fenomeno curioso ma costante nella storia: i contemporanei di ogni età, esaminando le condizioni storiche e civili del tempo hanno conchiuso: « Questa è un'epoca di transizione D. La formula è nostra, ma i l pensiero è comune. È certo che nell'indefinito procedere dei relativi abbiamo bisogno di precisare i termini storici, dentro i quali chiudiamo le epoche e le età; e quindi, cercando un termine universale, un principio ideale, una ragione comune (qualche cosa insomma che partecipi dell'assoluto), determi-

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niamo la ragione del passaggio e della transizione. Ebbene. tutti i tempi sono epoche d i transizione: ecco la conseguenza storica; perchè tutti i tempi sono costituiti dalla successione dei fenomeni e dalla coesistenza dei relativi; e i punti fermi sono concezioni della nostra mente, per indicare le miglia percorse dal cammino dell'umanità, e i nostri stessi ideali sono immagini d i un assoluto che si persegue sempre, come ragione di vita. Ed è proprio l'ideale l'anima della storia dell'umanità; l'ideale che si aderge e solleva sopra le meschine concezioni della materia, che manifesta i l bisogno dell'assoluto e che non è altro che l'attuazione di questa tendenza nella successione dei relativi, l'immagine di esso, una specie di successiva assimilazione, uno sforzo continuo di perfezione, u n progresso incessante verso d i esso pur infinitamente distante; è la gran legge dell'estote perfecti sicut Pater vester coelestis perfectus est: è verità alla mente, è bene alla volontà, è realtà alla vita, è bellezza, armonia, ordine, amore, che si traduce nella nostra quotidiana sociale esistenza, che si concretizza in opere, in istituzioni, in scienze, in arte, in politica, in economia, che forma i l legame continuo dei popoli, dell'umanità. Oggi, socialmente, ci anima, ci trascina, ci conquide, muove i popoli l'ideale d i giustizia, come ieri brillava alla mente e a l cuore dei nostri padri quello della libertà, domani sarà u n altro ideale, potente anch'esso, verso cui si orienteranno gli sforzi dell'umanità; ideali che sintetizzano necessariamente i l concetto di miglioramento, di perfezione, di vita. E la lotta quotidiana di questo relativo verso l'assoluto, la cui forma intermedia (diciamo così), la cui immagine, la cui realizzazione in noi durante la vita terrena è data dall'ideale, non può svolgersi fuori d i questi termini fondamentali, di questa legge psicologica sommata nel grande concetto d i verità e di bene. Guardate la storia: nei diversi aspetti della vita psico-sociale dei popoli, troverete sempre i l bisogno che li affatica attorno a questo punto: gli elementi positivi d i vero e di bene, che lottano contro gli elementi negativi di errore e di male, nella loro concretizzazione relativa, verso l'ideale che tende o che è immagine dell'assoluto. Siano la lotta politica per la libertà


contro la tirannia e l'oppressione, o la lotta economica per la giustizia contro la forza; assumano i caratteri sociali di schiavitù o di proletariato, di feudalesimo o di capitalismo, di assolutismo o di demagogia; riguardino interessi materiali di vita, bisogni civili di popoli, non conta. Non è la verità una semplice speculazione intellettiva o il bene una pura ideale tendenza d i volontà; il vero si converte col fatto, e il fatto è vita, e la vita è bene; in tutto questo ambito di vita sociale e pubblica, che assomma i rapporti umani e coordina i rapporti cosmici, gli elementi di pensiero vengono sviluppati, attuati, concretizzati, e nella reciprocità di fatti e di idee, gli uni e le altre si modificano e si evolvono. Dice A. Conti che ogni scienza è scienza d i relazioni, e la filosofia è scienza di relazioni universali; e la vita che è la realtà della scienza consiste nelle relazioni del vero e del fatto, in cui convergono tutte le attività umane. I1 Vico, in una delle sue intuizioni geniali della filosofia della storia, cerca la legge dei fatti esteriori nella legge interna delle facoltà umane ; e la legge del divenire del pensiero umano, che tende all'assoluto e all'infinito, trasformantesi nel fatto, costituisce la vita e la lotta sociale. Questo cammino però è libero; la nostra mente può pur troppo traviare C

imagini di ben seguendo false n.

E ciò nella vita della storia della società corrisponde alla legge di Vico, « che l'uomo per l'indefinita natura della mente umana, ove questa si rovesci nell'ignoranza, egli fa sé regola dell'universo n. È lo scambio dei termini del relativo con l'assoluto, rappresentato o dall'individuo o dalla società. Sant'Agostino con una formula semplice religioso~filosofica sintetizzò tutta la lotta sociale nella città di Dio e nella città di Satana; nel bene e nel male. Potrà sembrare una formula semplicistica, e tale sarebbe, se, per portare l'uomo ad una semplice e pura elevazione di pensiero religioso, annullasse tutte le altre relazioni, facoltà, istinti, bisogni umani. Però questa formula non è semplicistica, è sintetica. I1 male non si afferra in u n concetto assoluto, perchè come il nulla, esso non esiste, e quindi è inappetibile, irreale. Esiste solo la deordina-


zione dal bene, quella che Vico chiama far regola sè dell'universo, quella che io ho presentato come invertimento di termini del relativo con l'assoluto. Questo costituisce nella società l'ingiustizia, i l disordine, la schiavitù, l'oppressione, la miseria, e perciò crea la lotta; come nell'intimo dell'animo costituisce l'ignoranza, l'orgoglio, l'egoismo, l'odio. La società è specchio dell'animo; è la somma delle condizioni psicologiche dell'uomo in u n tutto specifico; è quello che con Vico ho chiamato rapporto di legge dei fatti esteriori nella legge delle facoltà interne. La lotta interna morale (la morale non esclude ma subordina e regola i bisogni della vita inferiore) diviene lotta sociale; e quella legge di perfezione che è insita in noi, per cui si lotta nella nostra . psiche, diviene legge di progresso nella società.

Così abbiamo trovato una ragione teleologica della lotta e del progresso sociale. - Chi vuole scompagnare, staccare la psicologia dalla sociologia, chi vuole basare la società sopra u n principio biologico o meccanico, non trova più la ragione finale della lotta e del progresso; e non può trovare altro a designare la comprensività progrediente della vita che la ragione del più forte. Per noi la visione finale spiega molti fenomeni sociali, che altrimenti sarebbero inafferrabili, e ci dà il punto d i partenza alla vera legge della società. La tendenza verso la verità e il bene nella ragione psicologica razionale dell'uomo, nel coordinamento di tutte le attività umane, nello sviluppo dei relativi, mirando all'assoluto, - per cui si rimuovono gli ostacoli dentro e fuori di noi, assimilando quel che corrisponde a natura, rigettando quel che di negativo vi si forma - ci danno chiari, ragionevoli, veri i caratteri della lotta, che non è nè può essere una ingiustizia, un'immoralità, un male. Questa concezione finale serve a coordinare tutte le facoltà umane, tutti i principi cosmici ad uno, e quel che non ci poteva dare i l monismo delle energie, ci dà il monismo delle finalità. La vita meccanica, biologica, fisiologica sono ordinate alla


psicologia, e nell'uomo formano u n tutto sostanziale e un'armonia finale. La società non è, come la concepì Platone e, ai nostri giorni, Trendelenburg, un major homo, che a sè ordina come a fine gli individui; come il cosmo non è u n maggior ente, che a sè ordina come a fine tutti gli enti; ma l'una e l'altro, la società e il cosmo, sono l'organica coesistenza degli individui; l'una e l'altro non possono perciò avere finalità diversa da quella degli individui, ma condizionano, determinano, perfezionano, moltiplicano la relatività del fine e della perfezione di questi. Da tale ordinamento psico-sociale sorge l'armonia dei relativi fra di loro e in ordine all'assoluto; è questa, se vuolsi così chiamare, la ragione della evoluzione biologica della società; come organismo di vita collettiva essa tende all'armonia, che non è un termine statico, ma dinamico. Questa armonia non si realizza intera nè simultaneamente, e tale realizzazione non ha sole leggi assolute, ma relative ai tempi, ai luoghi, alle persone, e abbraccia tutte le ragioni del vivere civile che non si sviluppano a uno stesso modo e con la medesima intensità. La lotta s'intralcia, diviene complessa; e mentre si realizza un lato di tale armonia per gli elementi positivi, si sviluppano i germi della disarmonia per gli elementi negativi. I primi segnano le conquiste del progresso, i secondi le ragioni della lotta. In ciò non può mancare l'ordine all'assoluto, che è uno, quel solo di cui è capace l'individuo; la verità e il bene per sè stesso. Il rapporto religioso dell'uomo è una legge psicologica e sociale; è la stessa finalità ultima guardata in un ordine superiore, è la tendenza necessaria all'assoluto, nell'attrito quotidiano delle umane energie, è la ragione della esistenza dei relativi, è il suggello del progresso. Dio, che è perfezione, alla cui somiglianza tendiamo come legge intima psicologica e morale, si rivela in noi come verità: la fede; come bontà: l'amore ; come bellezza: la speranza, - le virtù che nell'ordine naturale e soprannaturale compendiano i rapporti dell'uomo con Dio. Onde a ragione Ozanam assegna a questi principi la essenza del progresso. Giganteggia, invero, sopra la storia delle umane piccolezzt, la concezione cristiana. che non è un simbolo, ma storicamente


un fatto e religiosamente un dogma. L'umanità tutta quanta si appunta, mette capo al Cristo storico, come futuro messia per i giudei, come un salvatore universale per i gentili, come un redentore che continua la sua missione nei secoli, per tutti i posteri; e attorno a questa pietra, posta in salute e in rovina delle genti, si muovono tutti gli uomini, per la gran legge che chiamerei l'assimilazione dell'infinito; si muovono, combattendo a questo fine, non più semplicemente naturale ma elevato ad una vitalità superiore, la vitalità della grazia. Lotta che dal nostro individuo passa alla società, nella quale la chiesa di Cristo sempre si evolve e combatte nei secoli. Tutto questo ordine superiore di cose non sposta, ma coordina la vitalità dell'uomo nei suoi caratteri naturali; non crea la vita, la modifica, la eleva; non crea la lotta, ma la rende più effettiva di progresso perchè dà maggiori mezzi a conseguire più pienamente la verità e il bene. Onde ben dice Ozanam che la legge del progresso fu meno visibile nel paganesimo, perchè la verità aveva chiarezza insufficiente alla marcia dello spirito; più chiara nel cristianesimo, verità religiosa, colonna di fuoco alla testa dell'umanità.

Ho principalmente guardato la ragione psico-etica della vita e della storia, che per la legge di Vico non rappresenta che l'ordine interno delle facoltà umane; perchè se si vuol concepire una società e una storia prescindendo dalla ragione psico-etica, non si arriva che ad una falsa ed erronea teoria della società. Ho accennato anche alle ragioni sociali, ma dal punto di vista delle finalità ultime che devono coincidere, sotto diversi aspetti, con le finalità ultime dell'individuo; ho perciò rilevato il carattere della società come organica coesistenza degli individui, e la ragione della lotta come tendenza all'armonia. Bisogna fermarci alquanto su questa concezione, per assegnare i limiti e i caratteri della lotta sociale e dedurne le pratiche concezioni dell'avvenire. La società ragionevolmente viene concepita come un tutto organico, e la storia come lo svolgimento di questo organismo


sotto la legge del progresso. Bisogna però non confondere l'analogia con la realtà; la sociologia moderna ha fatto passi notevoli nello studio di questo organismo sociale; ma la concezione a priori della biologia applicata alla sociologia, se può in certo modo essere lontanamente di guida all'analogia del pensiero. spesso fa deviare dalla realtà del fatto. L'organismo, se vuolsi così chiamare la società, perchè non è l'accozzaglia di atomi, ma una coordinazione di forze e di finalità, esiste; ma la ragione specifica della sua vita e delle sue leggi non può, nè deve cercarsi fuori d i sè. Diamo un largo sguardo sintetico alla società e noi la troviamo composta di diversi organismi sociali che direi specifici, armonici, concentrici. L'uomo tende alla conservazione di sè e della specie per bisogno insito di natura, come mezzo necessario alla condizione del suo essere, alla consecuzione del suo termine, alla sua vita razionale. Ciò non può conseguirsi che nella società; secondo i diversi termini specifici di attuazione di questo fine-condizione, noi troviamo diversi organismi. Il primo che ci si presenta è la famiglia, organismo necessario alla perpetuità della specie; gli elementi stessi di cui è composto l i dà la natura, con una funzione fisiobiologica determinata. Però l'organismo della famiglia non consiste nel semplice atto della propagazione della specie; quello è l'elemento, la ragione costitutiva; la famiglia (società coniugale e parentale) è i l completamento direi quasi dell'uomo razionale, è vincolo d'affetto, è comunicazione di pensiero e di vita, è aiuto reciproco; tutto ciò mira principalmente alla perpetuità della specie e alla conservazione dell'individuo non comecchessia, ma in una vita razionale e progressiva. Non basta; perchè possa conservarsi la vita e aver gli elementi di una complessa vitalità, è legge necessaria il lavoro: legge suprema, generale, universale, che per sè parte da un fatto semplicemente materiale, elementare, lo sforzo umano applicato all'appropriazione di quel che porge spontanea la natura, ma che arriva a tutto i l complesso di vita materiale, intellettiva, artistica, sociale. I1 lavoro pertanto non è, nè può essere un semplice fatto individuale. La natura ha tanti tesori, che l'appropriazione di


tutto ciò che corrisponde al complesso bisogno umano, deve essere fatto socialmente: i l lavoro, tutto, dal materiale all'intellettuale, è una cooperazione, una simultaneità di sforzi. I1 lavoro classifica e unisce gli uomini, secondo gli obiettivi, i mezzi, l'entità delle forze, la prevalenza degli elementi subiettivi che lo causano; questa unione e classificazione determina interessi, rapporti, vincoli, affetti, cultura. I1 lavoro crea la classe. Si chiami come si voglia, subisca nella storia tutte le trasformazioni, venga privata dei suoi diritti naturali, finchè vi sarà lavoro, comunioni d'intenti e di interessi, vi sarà una società specificamente diversa dalle altre che rappresenterà la classe. Ancora u n passo: l'uomo, la famiglia, la classe non possono esistere che in u n territorio: sia vago, come i l territorio dei popoli nomadi, i l cui lavoro è la caccia, la pastorizia, la cultura estensiva e temporanea del suolo; sia fisso come quello dei popoli civili, che così possono aspirare a più larga vita di civiltà e di progresso, a maggiore sviluppo di lavoro e di produzione; è sempre il terreno che unisce le famiglie e le classi insieme. Esse formano una comunità, si chiami tribù, contea, comune, ciò appartiene alle diverse epoche della storia e dell'evoluzione umana, l'organismo specificamente diverso esiste nel suo fine. I n esso le classi comunicano nei bisogni collettivi che si sprigionano dalla condizione di famiglia e di lavoro; si determinano gli scambi dei prodotti, si aspira ad una vita più complessa, più corrispondente alle tendenze umane; case, strade, commerci, difesa interna ed esterna, educazione collettiva, religione, arte, sono funzioni che per sè non corrispondono al carattere semplice e intimo della famiglia, al carattere specifico di classe lavoratrice, nia all'unione territoriale e morale delle classi e delle famiglie. Un altro passo ancora: l'uomo tende a moltiplicare sè stesso nei suoi rapporti; questa moltiplicazione, chiamiamola così, si fa per mezzo della parola. La parola, dice Schlegel, è u n che di divino, è la vita della storia, è la ragione della società; i bruti non hanno storia, non hanno società, perchè non hanno parola. La parola è l'esplicazione di pensiero e di affetto, è legge, scienza, arte, religione; è il legame delle generazioni passate con le presenti e le future. Questa parola, concretizzata nei segni particolari di ogni po-


polo, diversa secondo il modo di percepire le cose, l'etnografia, la geografia, i costumi, le tradizioni, lo spirito nazionale, le diverse qualità fisiologiche, psicologiche e morali di ogni popolo, forma la lingua, la nazione. Lo stato, o gli stati, di un popolo della stessa lingua e origine, è un organismo anch'esso, che ha la funzione di unire i comuni fra d i loro e in un tutto ordinato, per le ragioni generali della legislazione, della difesa, della prosperità della vita materiale e morale, economica e intellettiva, comunicata nella stessa lingua. La società internazionale universale non si concepiva prima del cristianesimo, se non come la sovrapposizione di u n popolo sull'altro, e solamente dopo fu intravista nell'elemento religioso di cattolicità e nell'elemento generico di umanità. Un organismo per sè non esiste; ma forse nell'evoluzione sociale si vanno formando i germi di questo organismo, ancora incerto e fluttuante. Tali organismi, corrispondenti a funzione propria, costituiscono nei loro rapporti concentrici, armonici, nelle loro finalità naturali e coordinate, il tutto sociale. L'equilibrio degli organismi fra di loro e degli individui operanti negli organismi è l'ideale a cui si tende, per la consecuzione più adeguata del fine dell'individuo e della società; è il termine perenne del progresso nello svolgimento e nella perfezione storica; è il fine della lotta degli elementi contrari che impediscono, turbano, sconvolgono l'equilibrio. L'equilibrio e il disquilibrio degli organismi sociali è la vicenda perpetua dell'umanità; mai equilibrio perfetto, mai disquilibrio intiero, universale; perchè la società nei suoi organismi non è statica, ma dinamica, si evolve, lotta, progredisce. La legge che presiede a questa lotta e a questo progresso, e che influisce sull'equilibrio delle energie sociali, è questa: - due elementi si trovano sempre: uno che dirò statico o conservatore, l'altro dinamico o progressista; l'uno che tende a restringere a pochi la vita sociale, l'altro ad allargarla a molti; l'uno detentore del potere, che cerca di impersonare, intensificare il principio di autorità, l'altro a estenderlo e a diminuirlo ; i l primo è l'elemento dell'essere della società, il secondo del


divenire; i l primo socialmente è il forte, i l secondo socialmente è il debole. Questi elementi nel concreto della lotta possono essere rappresentati o da organismi contro altri organismi, o da individui di uno stesso organismo contro di loro, non monta; - l'uno o l'altro elemento che chiamo dell'essere e del divenire, possono, anzi tendono sempre, per l'egoismo umano, ad esagerare i termini della loro portata e a conquistare l'uno sull'altro l'egemonia, rimbalzandosi per via di reazione e di rivoluzione, o evolvendosi in u n processo normale; mentre dall'altra parte necessità d i natura, ragione di finalità, bisogno di coesistenza li fa tendere all'equilibrio. Tra queste vicende alternantisi e progredienti si sviluppano le sociali energie; mentre la pressura del forte sul debole segna gli stadi storici del disquilibrio sociale, le rivendicazioni del debole contro il forte costituiscono il dinamismo e la lotta per l'equilibrio. Dalle intime rivendicazioni della famiglia, spostata, squilibrata dalla disuguaglianza sociale, morale, economica dei coniugi, dalla poligamia, dall'adulterio, dal divorzio; - alle rivendicazioni della classe dibattentesi tra i l disgregamento atomistico o il rigidismo di casta privilegiata; fra la sopraffazione del capo d'arte o del capitalista o del feudatario, e l'anarchismo disorganico della privazione dei diritti giuridici e l'esagerazione dei diritti politici; dagli schiavi ai servi della gleba, al proletariato universale; da Spartaco ai Ciompi, a Masaniello; alle rivendicazioni della libertà e dei diritti dei comuni, ora esageratamente autonomi e forti tanto da disgregar lo stato, ora ridotti a semplici uffici burocratici e amministrativi; ora divisi e rovinati dall'ambizione di famiglie, ora privi di continuità amministrativa, caduti in mano delle consorterie, rimbalzantisi il potere come una successione di sfruttamenti e di peculati ; - alle rivendicazioni politiche dello stato, o sconvolto dalle demagogie o asservito dalle tirannie; ora accentratore, ora disorganico; sbalzato dai regimi militaristi alle servitù di guerra, dai regimi libertari alle venalità delle masse; dai regimi oligarchici alle ingordigie dei potenti; - e finalmente alle gravi, pressanti rivendicazioni della società internazionale, dove

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- Srriazo -

Sintesi sociali.


ancora manca l'organismo, dove la legge di guerra è un residuo di barbarie, la colonizzazione uno sfruttamento, le alleanze il mantenimento delle ingiustizie, la legge del non intervento i l passaporto delle sopraffazioni. E i l progresso? Non è certo i l cammino uguale, la linea retta del Condorcet, è la linea a spirale del Fichte: varie, inscrutabili sono le vie assegnate al progresso dalla provvidenza. Sembra che vengano certi periodi storici che abbattono tutto quanto di buono han fabbricato le precedenti generazioni e che siano distrutti edifici di civiltà, splendidi quali il greco e i l romano; eppure nulla perisce che non si rinnovi, nulla viene provato nel contrasto storico che non si perfezioni; e i periodi detti di decadenza di u n popolo, di u n organismo, di una civiltà, segnano lo spostarsi, non l'annullarsi o il decrescere, della potenzialità umana. I1 progresso non è di u n fatto o di un popolo, è la somma ideale di tutte le conquiste positive dell'umanità, è la moltiplicazione dei relativi, è la tendenza ascensionale all'equilibrio, è l'assimilazione progrediente dei principi di verità e di bene. Faticosa assimilazione che molti stanca, abbatte; che non perdona ad errori anche di popoli e di razze;, che sanziona le leggi generali dell'umanità con quelle che si chiaman grandi lezioni storiche; che segna come le lacune delle aberrazioni i movimenti vulcanici della disassimilazione, della disgregazione, dello squilibrio ; e che rifacendo pazientemente la via tante volte percorsa, nuovi acquisti, anzi nuove conquiste, porta alla so-. cietà dell'avvenire. IV. I n u n momento d i forte disquilibrio sociale ( p u r ammesse le grandi conquiste del progresso del secolo XIX), per la pressione di quei sistemi che violano gli organismi sociali o li allontanano dalle loro finalità, una nuova concezione teorica e pratica tende potentemente all'equilibrio sociale, secondo la posizione storica del momento, informato da quelle leggi che


abbiamo insieme considerate; concezione a cui è stato dato i l nome di democrazia cristiana. Ogni volta che ho parlato a l popolo di democrazia cristiana, vi confesso schiettamente che ho avuto una certa trepidazione; ho detto fra me: - se presento questo sistema, questa concezione sociale di vita e di lotta, sotto una forma idilliaca, come un futuro felice, come un sana todos dei mali sociali che conseguito darà ai popoli e alle nazioni un'era di pace e di felicità, tradisco la verità storica e sociologica e cado in parte nella antifilosofica e ridicola concezione dell'avvenire, profetizzata dai socialisti; se però presento questo sistema come un notevole avviamento dei popoli all'equilibrio sociale nella lotta particolare del momento per l'ideale di giustizia sociale, ai principi di verità e di bene, nella loro concretizzazione relativa e non assoluta e quale mezzo vero di progresso reale, dico la verità, ma forse deludo le aspettative del popolo assuefatto alle concezioni di speranze assolute. Mi sono spesso contentato di porre i l problema in termini più ristretti: la critica dell'ordinamento moderno e l a ragionevole tendenza alla giustizia sociale da rivendicare tralasciando, diciamo così, di fare una corsa nel campo della sociologia dell'avvenire. Quest'oggi però il tema mi costringe a toccare i l lato sociologico del nostro programma. I1 sistema della democrazia cristiana piglia le mosse da un principio fondamentale comune a tutti i veri e naturali programmi di indole sociale, principio da noi esposto e che riassumiamo: « La società tende all'equilibrio dei suoi organismi per adempire alla funzione naturale di ciascuno, come legge di biologia sociale; equilibrio che dipende in parte dalle libere forze dell'uomo operante che contempera sè in rapporto alla società D. - Nega perciò l'assoluto individuo del liberalismo e l'assoluta società del socialismo - elemento e ragioni d i disquilibrio sociale - e pone l'assoluto reale fuori dell'uomo e della società, in Dio, come principio di verità, di realtà, di bene. La prima è una legge sociale, la seconda morale, che i n una forma storica e soprannaturale si chiama cristiana. - Però, per tendere all'equilibrio delle forme organico-sociali, è necessità che esse vengano ricostituite nel loro carattere insito di


natura, eliminando gli elementi contrari e negativi; e ciò costituisce la lotta. - I1 dinamismo della lotta è dato dall'elemento del divenire, che oggi è costituito dal popolo disgregato, atomizzato, in uno stato permanente di sofferenza sociale; ecco la necessità del carattere democratico. Così sintetizziamo i l sistema nelle parole democrazia sociale cristiana. I1 principio morale e cristiano tende principalmente a regolare i rapporti di coscienza e arriva sin all'intimo dell'individuo in cui mortifica il sentimento di egoismo (individuale o sociale, non importa) per sviluppare i l sentimento di amore (giustizia e carità), i l principio sociale applica questi termini al fatto sociale degli organismi sconvolti, regolandone i rapporti prevalentemente politici ed economici per arrivare all'equilibrio o armonia delle classi; il principio democratico o popolare è il mezzo e il termine precipuo dell'attuazione o della riforma sociale; onde il motto ormai comune: tutto per il popolo e tutto per mezzo del popolo. Tutto ciò è ideale, è vita, è lotta. Questa larga concezione segna uno stadio di progresso SOciale, perchè tende a una forma più ampiamente, più socialmente corrispondente ai principi eterni di verità e d i bene concretizzati nella ragione specifica di giustizia sociale, e informati dai principii di quella religione che ha la potenzialità di renderci, per l'intima operazione soprannaturale nella coscienza, che rifluisce in tutto l'ambito sociale, perfetti come il Padre Nostro che è nei cieli. E i l popolo, questo elemento perenne del divenire sociale, sul quale, permettetemi l'espressione, la storia ha fatto i saggi più tormentosi dell'egoismo umano, oggetto continuo dell'applicazione delle teorie sociali, sbalzato agli estremi op.posti e pur evolventesi e perfezionantesi, i l popolo oggi assurge con l'evidenza di un principio verso forme più evolute di vita comune. Noi non siamo infiniti, o signori, e se la nostra aspirazioneè verso l'infinito, per operare abbiamo bisogno del concreto, del limitato, del finito; di un ideale pratico, di u n programma specifico, che nel suo concreto fondamentale ci avvii all'infinito. Questo ideale pratico, concreto, varia col tempo, e rappresenta in sintesi la vitalità dell'epoca; oggi è la ragione d i giustizia


sociale di una più organica forma d i vita civile, di u n più profondo sentire cristiano in tutto l'ambito delle appartenenze pubbliche; la democrazia cristiana, oggi, appena apparsa in questa forma nel dibattito dell'umanità, fermenta nell'animo come bisogno d i vita vera e reale, come reazione contro la forma atomistica di vita sociale, contro l'ingiustizia dei rapporti economici, contro l'ateismo o il laicismo della vita pubblica, affermatisi tutti in nome di un santo ideale di libertà, ridotta a peggior tirannia. La democrazia cristiana corrisponde a quel principio di vero e di bene che diviene nel fatto giustizia, ordine, amore; perchè trae la sua vitalità dal principio indefettibile di vero e di bene, i l Vangelo; e gli uomini senza pregiudizi storici e senza tenebre morali, ci seguiranno nella lotta viva e reale per la verità e per i l bene. Siamo in crisi, siamo in disquilibrio, la società precipita, Io, o signori, credo a l progresso perchè si ripete da molti credo alla lotta. Però non bisogna illudersi, no - ( m i permetto fermare la vostra attenzione su questa idea) - non bisogna illudersi. La società si avvia a nuovo ordinamento sociale, è vero: gli elementi positivi e negativi, democrazia cristiana, liberalismo e socialismo, forme concrete d i programma, si contenderanno il terreno: ma la vittoria immediata sarà di quella forma che avrà saputo portar nella lotta maggiori forze di pensiero e di azione. Noi non confondiamo il trionfo della chiesa, che è il trionfo di Gesù Cristo, che vinse l'inferno e i l peccato, e che attua sempre la sua redenzione nelle anime nostre, trionfo spirituale, intimo, spesso invisibile, di grazia e poscia di gloria, con i l trionfo delle forme pubbliche di vita che attuano i principi cristiani nella società, sia il guelfismo del medio evo, la repubblica del Savonarola, del rinascimento, il neo-guelfismo del movimento libertario e la democrazia cristiana dell'oggi. Queste forme maturano i germi della verità e del bene; però per colpe d'uomini, e spesso per colpa nostra, non arrivano a maturità: allora il trionfo di forme negative ci insegnerà un altro compito di lotta, e se l'ascensione dell'umanità sarà più faticosa, è nostra la responsabilità, come fu dei nostri antenati al rinascimento pagano e alla rivoluzione per la libertà.

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Se invece il programma della democrazia cristiana arriverà ad imporsi, gli acquisti positivi di bene ci assegneranno un nuovo campo più evoluto di lotte nel futuro progresso del17umanità, nei suoi acquisti reali e positivi; come quando, dopo la redenzione dello schiavo, dopo l'emancipazione del servo della gleba, si arrivò al libero cittadino dei comuni. Così, o signori, ci avviamo a nuove lotte e a nuove conquiste: l'ideale del progresso non viene meno, e faticosamente e meritoriamente realizziamo nei fatti la verità e i l bene.

Arrivato a questo punto, parmi che alcuno mi debba dire, che i n questa concezione di vita e di progresso viene meno per l'individuo la spinta all'operare; se a noi democratici cristiani non arriderà sicura la vittoria, e, ciononostante, la società ascenderà per la sua erta fatale, a che preoccuparci, a che lottare? E se dopo la vittoria sia pur parziale della democrazia cristiana, nuove guise di lotte, per nuovi ideali agiteranno la vita dell'uomo, a che affaticarci e sospirare a un equilibrio sociale stabile, ad un raggiungimento di verità e di bene più adeguati e più intieri? - forse per una chimera? Lasciamo che i l mondo vada com7è andato! Signori, non è così; anzi la verità è quella che ci determina a lavorare con più energia; - le concezioni false destanò il fanatismo per poi venir meno. Se domani, dopo aver concepito certo e intiero l'equilibrio sociale da attuarsi per il trionfo della democrazia cristiana, vedremo sia pure una serie di trionfi parziali; mentre nuovi disquilibri si svilupperanno dalla complicata serie dei fenomeni storici, e la lotta ci incalza impazienti o sfiduciati in mezzo alle necessarie sconfitte, allora verrebbe meno la fede nel nostro ideale e nei principi che ci sostenevano. Noi, o signori, due termini abbiamo avanti: il progresso della società che è relativo a noi e la consecuzione individuale del bene che ci porta verso l'assoluto: per questo lottiamo. Se nella società non vi fosse la resistenza del bene contro il male, degli elementi di equilibrio contro quelli di disquilibrio,


dell'amore contro l'egoismo, della verità contro l'errore, non vi sarebbero nè lotte, nè vita, nè progresso. Noi siamo necessitati dal bisogno indefinito di bene a questa lotta improba, assidua, diuturna, nell'interno del nostro spirito e nell'agouc della vita sociale. Siamo sicuri che la nostra lotta, destando le energie, determinerà il bene nella storia; e le pagine di essa sono piene di santi ideali, vivono della vita di grandi uomini, dei sacrifici e degli eroismi di pensiero e d i azione, della vitalità del bene, che è la luce accanto alle tenebre di molti errori e di molti mali. Ma se il termine dei nostri sforzi, la corona della nostra vittoria dovesse essere un assoluto sia pur indefinito, ma segnato nei limiti del tempo e dello spazio; se tutto il bene indefinitamente e progressivamente, si, ma tutto i l bene si realizzasse quaggiù e tutta la verità si tramutasse nella realtà successiva del contingente, noi cesseremmo d'essere uomini razionali, di aspirare all'infinito; saremmo noi una specie di infinito relativo ( u n assurdo) e il bene sociale limiterebbe la nostra esistenza in un fatto. Circoscritti alla terra o tutto dovrebbe divenire nostra felicità personale o noi dovremmo essere assorbiti nella felicità collettiva; il limite o di noi stessi o della società ci toglierebbe la forza indefinita della vita e la realtà della felicità ... I1 contrasto del limite del reale con l'infinito dell'ideale ci farebbe tendere all'anuichilimento; Nietzsche avrebbe ragione. Più alto è il termine dei nostri sforzi, pur avendo per obiettivo necessario noi e la società; e nel dibattersi nel relativo puntiamo lo sguardo all'assoluto e anche nell'estremo stato di miseria e di infelicità esclamiamo sereni con Giobbe: « credo che risorgerò e nel mio corpo stesso vedrò Iddio salvatore n ; verso un tal termine, la società realizza i suoi destini. La rivelazione cristiana ci predice due momenti-limite alla vigilia della fine del mondo, prima che l'assoluto giudizio faccia giustizia di noi e di tutta la storia dell'umanità, per assegnare a ciascuno di noi l'assoluto del premio e della pena; questi momenti-limite sono designati da due profezie socialimorali. La prima: e sarà un solo ovile e un solo pastore, il massimo dell'armonia sociale religiosa; la seconda: verrà Z'An-


ticristo e attrarrĂ gli uomini alla sua sequela si d a sedurre se fosse possibile anche gli eletti, il massimo del disquilibrio sociale religioso; i l cui cozzo formidabile, fatale, indica l'estremo limite del progresso umano e religioso, la piĂš violenta reazione del male contro i l bene ... E dopo? Vi saranno cieli nuovi e terra nuova: erunt coeli novi et terra nova.


« I1 nostro disegno è di portare largamente l'azione benefica della chiesa e del papato in mezzo a tutta quanta l'odierna società; è il disegno che Dio ci pose in cuore D.

Leone XIII al cardinale Nina. (agosto 1878)

Ecc. Rev.ma (**) Signore, Signori, la maestosa figura di Leone XIII, sollevata in un nimbo di gloria, fra l'affetto e l'ammirazione di tutto il mondo, giganteggia alla nostra mente come quella dei maggiori uomini che la storia della chiesa ci presenta, e che i secoli han reso più venerabili e più grandi. Eppure è sparito ieri, placidamente reclinando i l capo nel s m n o del giusto; e molti anche di noi hanno la sua cara immagine paterna avanti gli occhi, dal viso diafano come d'una visione, dall'occhio vivo e splendente, dalla mano tremula, benedicente il popolo che l'acclamava al passaggio; - è sparito ieri; ed oggi la storia può parlare di Lui, sicura che l'adulazione o le ire partigiane non deformeranno una figura serena e radiosa, mentre la pace aleggia sulla sua tomba, e i l mondo concorde e spontaneo si è commosso come alla dipartita di uno che apparteneva a tutti, senza distinzione di opinioni, di nazionalità, di razza, di religione. Ed Egli si solleva su tutti, come chi al pensiero, alla vita, alla quale partecipiamo e della quale viviamo, era indispensabile, - oggetto di comune aspirazione, punto sintetico, nel (*) Discorso letto la sera del 2 agosto 1903 nella solenne commemorazione civile di Leone XIII, promossa dalle associazioni rattoliche caltagironesi. ( W ) Mons. Damaso Pio De-Bono, vescovo di Caltagirone.


quale convergevano spontaneamente tanti raggi anche opposti, -- levato in alto, sopra alle angustie che turbano gli spiriti, che angosciano gli animi, che destano gli attriti, i contrasti, le lotte: direi quasi, simile a un assoluto ideale imposto allo spirito dei popoli. Così è rimasto alle nostre menti: impressione non fugace d i Chi venticinque anni di ministero pontificale santificò pei popoli in un'attuosa forza di comprensione e di espansione; da costringere anche i nemici alla riverenza proprio in quel periodo in cui le conquiste della civiltà moderna hanno determinato u n nuovo corso storico, voluto in aperto contrasto alla religione, alla chiesa, a ogni idealità cristiana. Questo fenomeno, punto normale alla condizione d'animo dell'epoca, non si può solo spiegare attribuendolo al sommo ufficio di Pastore universale, non riconosciuto, anzi, come tale, da gran parte del mondo avversario; nè alle semplici virtù personali, che possono solo destar riverenza; ma a quell'opera di Leone XIII, che, resa viva dallo spirito immortale del pontificato romano e dall'aura delle virtù che Egli con costante animo coltivò e irrobustì, tentò e iniziò la restaurazione cristiana della civiltà moderna in nome della chiesa. Quest'opera, brevemente, fugacemente tenterò di sintetizzare, come tributo di affetto e di ammirazione di quello spirito cattolico che anima le nostre lotte e le nostre fatiche alla cristianizzazione della società; lavoro a l quale con i comandi, con gli insegnamenti, Egli spinse i cattolici del mondo, come all'oeservanza di un altissimo dovere.

Lo sfondo storico alla figura d i Leone XIII, sopra cui si disegnano le luci e le ombre di tanta parte della nostra stessa vita vissuta, ce lo dà quasi tutto il secolo XIX, con le sue molteplici facce e nella variata sua fisionomia; in cui Egli, come dalla penombra assistendo, senza partecipare che per poco e indirettamente, a tutti i movimenti operatisi dal '21 al '70, nell'ultimo ventenni0 entra fattore di un valore sconosciuto; e la sua figura, alla scomparsa degli uomini internazionali da


Cavour a Napoleone 111, da Bismarck a Gladstone, rimane sola n giganteggiare nella storia. E il secolo XIX, testè scomparso, a cui dobbiamo tanta copia di civiltà diffusa nelle nazioni, ci dà gli elementi vivi per comprendere la concretezza, vibrante di vita, dell'opera del defunto pontefice, per tentare di dare i contorni vivi della sua Egura, non come figura coartata da limiti imposti dalle linee o dalla luce dello sfondo, ma come chi padroneggia l'ambiente e lo sovrasta, formando o tentando di formarne uno Egli stesso. I rapporti tra la chiesa e la civiltà moderna, come tale, sino dai suoi inizi, presero l'aspetto di urto e di contrasto, non per il carattere della chiesa, che tutte le civiltà, dalla latina, alle medioevali, alle moderne, assimila e cristianizza; ma per il carattere che si è voluto dare alle stesse correnti nuove di civiltà, in uno sforzo di emancipazione violenta dal passato; da tutto i l passato civile, in cui la chiesa ayeva avuta parte viva prima, e sventuratamente parte decorativa dopo. Tentò l'Austria, che nei suoi interessi politici confuse, e seppe farlo, la ragione dell'ordine civile e la pace dell'ordine religioso, tentò l'Austria la reazione; e attorno ad essa si schierarono tutti i rappresentanti dei poteri politici, assicurando, in uno sforzo supremo, la stabilità dei troni e la perpetuità della tradizione cesarica. E siccome i novatori di allora, nelle loro teorie, nei loro mezzi, nelle loro finalità, determinarono le più violente correnti antireligiose, investendo in un eccesso di lotta, in cui spesso si arriva agli estremi, le più sacre tradizioni di fede, di onestà, di vita religiosa; così la chiesa trovò difesa, benchè interessata, in coloro - re e governi - che avean bisogno di una forza morale per resistere ai popoli, che chiedevano le libertà politiche e civili; quelle libertà che resero gloriose, in un periodo rude e violento, le repubbliche e i regni del diffamato medio evo. Così si determinò una lotta sorda? maturata nelle notturne congreghe e nelle prigioni, in cui i sogni violenti di spiriti affaticati pigliavano la forma di moti incomposti e rivoluzionari; nei quali i bassifondi sociali si levavano ad inquinare i più retti voleri, le aspirazioni più pacifiche e tendenti al bene, le idealità più nobili, che, confuse con i delittuosi propositi di chi


pesca nel torbido, venivano insieme violentemente represse e condannate. Però lo spirito delle rivoluzioni della prima metà del secolo XIX, nell'agitato elaborarsi e maturarsi, fra la tensione degli animi, i cruenti moti, il segreto della setta e la spada e il patibolo insanguinati; fra l'idealismo irreligioso dei pensatori, che per soppiantare facilmente i troni, vollero negare la chiesa e perfino Dio, e il turbolento agitarsi dei mestatori, per cui nessun contrasto potea chiamarsi danno, finì col divenire anch'esso irreligioso e demagogico; e i popoli furono trascinati - fra i l miraggio dell'avvenire e il dolore di un servaggio mal soppor- . tato, attraverso gli odii contro re e contro papi - a seguire u n movimento divenuto per ciò stesso irrefrenabile, in cui si univano tante belle aspirazioni di vita al marcio che saliva dai bassifondi e alla irreligione che pioveva dall'alto del pensiero informatore di tutto u n movimento e un'epoca. E quel movimento travolse tutti, anche nolenti, anche contrari; e i governi dovettero cedere e concessero le libertà civili e politiche, come a forza strappate loro dagli eventi; e la chiesa subì il contraccolpo dell'amico interessato i l quale per non perdere tutto tradisce l'amico, che fingeva di difendere calorosamente; subì la avversione popolare di chi credeva la chiesa sostenitrice della reazione e della forca; subì la lotta violenta di chi volle alla rivoluzione dare l'anima, la vita eminentemente laica e antireligiosa; e attaccata, spogliata, ridotta a rinchiudersi dietro i cancelli nel vigore della sua virtù divina lanciò gli anatemi col Sillabo contro gli errori elevati a canoni di nuova civiltà; irrobustì le sue credenze nel concilio Vaticano con la proclamazione del dogma dell'infallibilità pontificia, ed elev6 il sentimento dei popoli ai più puri ideali di amore verso la Vergine con la definizione della Immacolata Concezione di Maria ; i tre atti solenni di Pio IX, il quale si può dire abbia, fra il vertiginoso incalzare della rivoluzione, compiuto l'opera d i difesa, innalzando una diga tra l'errore e la verità, tra l'empietà e la religione. Ma questi atti, sublimi nell'ordine religioso, determinarono contatti ed urti tra la chiesa e la civiltà moderna, nei suoi principi, assunti e difesi da un partito e divenuti canoni di progres-


so e di vita pubblica; - canoni elaborati attraverso i moviment i vertiginosi del secolo, nella riflessione della coscienza già in disquilibrio tra il vecchio e il nuovo, un vecchio che si voleva confondere con la chiesa, un nuovo che si voleva immedesimare nella libertà incarnata nello stato laico. Così la civiltà moderna formulò, per così dire, elaborò, maturò i suoi postulati, nella espressione concreta dei fatti, voluti a quel modo e con quello spirito dagli uomini di parte; ed elevati a canone di vivere civile, essi furo- custoditi gelosamente da chi, animato da quello spirito e convinto di quei principi, per essi lottd, palpitò, soffri, in una visione speranzosa e radiante di benessere patrio e di elevazione nazionale. I1 concetto di libertà informatore di tutto il periodo agitato del secolo XIX assunse, in concreto, la forma di libertà politiche, iu. u n regime egualitario, uniforme, in cui l'attrito delle singole forze non arriva ad avere altro significato sintetico che quello di una persona irresponsabile dei suoi atti di fronte ai costituenti. E così di grado in grado in un ordine superiore, i rappresentanti si assommano in un'altra ragione sintetica: i l consiglio, il parlamento, il senato - in cui il prodotto numerico non significa che un fatto irresponsabile di fronte a i costituenti e di fronte alla suprema autorità, i l re, i l quale è anch'esso irresponsabili dei suoi e degli atti dei suoi costituiti, i ministri; in cui col potere politico si riunisce la ragione del numero irresponsabile, da loro stessi sino ad un certo punto modificabile, con le combinazioni dei gabinetti e le manipolazioni delle elezioni politiche. Dall'altra parte, le libertà religiose nel regime di tolleranza civile di tutti i culti e di tutte le opinioni, si risolse, in concreto, in libertà sfrenata a tutte le propagande antireligiose e nella lotta tra chiesa e stato, in cui rimasero - mutati i nomi d i re in stato o potere laico - le aspirazioni e i criteri cesaristicì, senza il freno della autorità religiosa non più riconosciuta dallo stato divenuto geloso persecutore, nel .concetto di una supremazia assoluta su tutto ciò che significasse esplicazione indipendente, autonomia di idee, di principi e di organizzazione religiosa o civile. E infine la laicizzazione d i tutta la vita pubblica, come


obiettivo diretto del concretarsi e rafforzarsi della rivoluzione, come ideale che tutto sintetizzi un movimento, determinò dalle scuole, alle leggi, allo stesso spirito pubblico in tutte le nazioni lo stacco, la lotta, titanica lotta, tra stato e chiesa, che in Italia assunse anche i caratteri di questione politica e nazionale con la presa di Roma. E la civiltà moderna fu informata a questi principi e a questi fatti: - in tutte le manifestazioni di pensiero, in tutto lo svolgersi della vita dei popoli, nello slancio delle scienze, nelle più sentite esplicazioni del bello letterario e artistico, nell'educazione civile e morale della gioventù e dei popoli, nel disegnarsi delle tendenze e dei desideri, nella formazione e combinazione dei partiti, in tutto si ebbe la tonalità-base dell'aspirazione alla libertà, nel vivo contrasto con l'individualismo, e dell'ideale laico nell'attrito con gli ideali religiosi, riassumendo in questi termini tutta la lotta civile, dalle teorie filosofiche ai problemi nazionali. E il contrasto ebbe un vivo rimbalzo nell'intimo dell'animo dei popoli, nella formazione di quella psiche individuale, in cui si rifrangono, con proiezioni prismatiche, tutti i fenomeni della vita esterna, per rimbalzarne prodotti di vita collettiva, in una continua e mutua ripercussione ed elaborazione. Libertà e individualismo, religione e laicizzazione nella vita civile e politica portarono il disquilibrio sociale e morale dei popoli; e quando i l senso della misura nel libero svolgersi delle pubbliche attività veniva sopraffatto dall'egoismo individuale perturbatore dell'equilibrio economico o politico, e il laicismo tentava ridurre la religione a fatto privato; le correnti d i vita sociale e religiosa rimescolavano tutto l'intimo della psiche dei popoli, e manifestavano iin lato che appariva inesplorato, che si credeva impossibile: lo sciopero e i l pellegrinaggio alla tomba di san Pietro; la coalizione operaia e le associazioni cattoliche; la istituzione dei cavalieri del lavoro e l'incremento degli ordini religiosi, di istruzione e di beneficenza; l'obolo di san Pietro e la formazione di partiti politico-religiosi nei parlamenti. E mentre i liberali e gli anticlericali dalle tribune parlamentari peroravano l'abolizione degli ordini religiosi o l'istituto del matrimonio civile, man-


davano i loro figlioli dagli odiati gesuiti o ne facevano dal parroco benedire e santificare le nozze; e nel momento della maggiore miscredenza scientifica, Lourdes attirava a centinaia di migliaia gli uomini alla piccola fonte vicino a l fiumicello Gave, mentre sorgeva superba coi suoi pinnacoli la basilica in onore della Vergine. Karl Marx, nella sua nuova filosofia della storia (« I1 Capitale ») tentò d i provare come la ragione formale di tutta la vita dei popoli sia l'interesse materiale, che nello svolgersi delle attività umane e sociali piglia diverse facce prismatiche, che si chiamano politica, religione, scienza, lettere, arti. La teoria oggi è caduta in gran parte sotto i colpi della critica, e il suo monismo storico è divenuto, evolvendosi anche esso, un fenomenismo, nel quale la ragione economica salì alla dignità di uno dei principali fattori della vita. Ma se si volesse tentare una concezione monistica della storia, si potrebbe trovare una ragione reale nella religione, in quanto che, determinando necessariamente una lotta nella nostra psiche, essa sprigiona perenne tale contrasto in tutte le forme dell'attività personale e sociale, nel concretizzarsi della storia. Nessuno può mettere in dubbio che oggi la lotta è viva tra il concetto laico e i l concetto cristiano degli stati e della vita pubblica; tra i l concetto laico egoistico e il concetto cristiano delle forme democratiche e sociali; tra il concetto laico della morale del dovere e i l concetto cristiano della morale del Vangelo. La civiltà moderna volle scrivere sulla sua bandiera la laicizzazione e l a scristianizzazione della società. Questo ideale, sotto mille parvenze sedusse i popoli, conquise le nazioni, avvinse le menti degli scienziati, pervase la cultura, e si assise trionfante nella società nel suo periodo di splendore, quando, cessate le guerre, la Germania prese la corona imperiale e l'Italia compi la sua unità; l'Europa guardò il cammino fatto, e senti, fra le stragi atroci della comune. che i l popolo era corso ancora più avanti e che la società cercava una nuova orientazione di vita. Allora ascese a l romano pontificato Leone XIII, i l primo dei papi che dopo tanti secoli non aveva più i l presidio e il


peso del potere temporale, e che trovava maturato il distacco tra la chiesa e la civiltà moderna. Egli, pur coprendo molte cariche ecclesiastiche, da delegato politico, a nunzio, ad arcivescovo, a cardinale camerlengo, si può dire che aveva nel silenzio della sua mente guardato il secolo con occhio antiveggente; nell'esercizio delle sue virtù aveva temprato l'animo ad u n equilibrio psichico costante; aveva, nel contatto con uomini, nell'evolversi di una civiltà, nel succedersi d i eventi, conosciuto i l contrasto tra la religione e la civiltà moderna, le sue ragioni e le sue origini, e nell'elevatezza della sua mente avea intuito la via dell'avvenire.

Non è certo i l potere di u n uomo che può far mutare la faccia della società; e per quanto gli uomini grandi, ecclesiastici o politici, scienziati o popolari, pcissano determinare correnti di vita e dare alla società un corso diverso dal normale, pure essi devono d i necessità rappresentare la stessa forza dell'ambiente, che ne subisce le modifiche, e corrisponde alle aspirazioni, alla vita stessa dell'elemento che vuole riformarsi e avviarsi a nuovo o a diverso termine. La teoria dei grandi uomini trova così un correttivo ambientale che diviene elemento necessario allo sviluppo stesso delle volizioni personali, e che determina ed è determinabile, in una misteriosa corrente di vita, in una iterata reciprocità, che, come tutti i fatti spirituali, sfugge alla più accurata indagine positiva. Così è che nella storia riesce difficile tante volte distinguere sin dove u n genio sia stato formato e sin dove abbia formato l'ambiente; come abbia contribuito a modificarlo o da quali elementi sia stato modificato esso stesso. Questa analisi in generale è penosa e non è sicura, e specialmente nel caso nostro, perchè gli elementi non sono alla portata d i tutti; però sino a un certo punto può essere tentata, lasciando che l'avvenire, su cui tanta parte del passato e del p'resente si proietta, ci dia i responsi ultimi dell'azione storica dell'uomo, la cui opera con riverente affetto tentiamo di esaminare.



barbari irrompenti; eleviamo le dighe che ci dividano dalla società e i n u n sussulto d i preghiera sfiduciata dell'avvenire, nel treno doloroso di Geremia, nel pianto pel fuoco sacro spento e ridotto cenere e acqua, aspettiamo, nella confidenza farisaica della nostra bontà e della perversità altrui, che s'oscuri un'altra volta il sole, che tremi la terra, che si scinda il velo del tempio !!!

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No, o Signori: a noli vinci a malo, sed vince in bono malum » : è la tessera di Leone XIII ; è la tessera della chiesa. Gli uomini educati nel pregiudizio antireligioso e in una quasi generale ignoranza del cattolicesimo, avrebbero preteso che Leone XIII disdicesse il Sillabo e accettasse le idee correnti del sistema liberale nei rapporti della religione con la civiltà, una specie di riforma politica della chiesa allo stesso modo che furono riformati e mutati i regimi assoluti di u n tempo, o meglio u n riconoscimento di principi etici, giuridici, politici, economici clie nella loro sostanza cozzavano con i principi religiosi; confondendo quello che è l'atteggiamento anche benevolo e i l movimento discernitore e assimilatore del buono delle diverse tendenze, da quello che è la sostanza di u n principio, di u n ideale, di un'organizzazione, di una vita. Essi rimasero disillusi, e fu u n bene, quando videro che Leone XIII poggiava sul fondamento tradizionale della chiesa, che ha basi divine, principi rivelati e vita perenne e propria nei secoli, in u n carattere essenziale immutabile e soprannaturale. - Ma Leone X I I I intuì quelli che, nella multiforme opera del pontificato romano e della chiesa, potevano essere i contatti con la civiltà moderna, non come prodotto di partiti ma come spirito universale, e tentò la via dell'assimilazione, lasciando che la reazione, ch'ebbe i l suo periodo, nella stanchezza di una lotta già combattuta, andasse perdendo forza e vigore. Invero, in fondo a tutto l'agitarsi del genere umano s i trova quel principio informatore, che ne determina gli atti e che assume la forza di ideale; e quello è buono e corrisponde all'elemento formale della civiltà. Certo che le aspirazioni alla libertà, alla nazionalità, alla cultura popolare, che formarono il sottosuolo delle rivoluzioni


del secolo XIX, erano e sono buone, consentanee alla natura umana, rispondenti ai bisogni dell'epoca. Esse furono prese in mano dai liberali, furono nel concreto travisate, divennero libertarismo individuale e àtomizzante, centralismo di stato, mezzo di corruzione; ma siano ravvivate dallo spirito cristiano, e saranno vitali, e formeranno il lievito della vita. È proprio qui il segreto dell'azione di Leone XIII, - poter rendere cristiane tutte le tendenze sociali, non ripugnanti per ingenito carattere ai principi e alla vitalità del Vangelo, per ricondurre il cristiasesimo nella civiltà. Due'vie gli si paravano davanti: - l'una conservatrice e preservativa e assicuratrice di libertà religiose; - l'altra progressiva e vitale, elemento del divenire e della riforma della vita cristiana ; l'una e l'altra convergenti allo stesso fine. La prima era indicata dai rapporti della chiesa col potere laico: - due nemici che avean rotto i ponti e che solo conservavano un'apparenza di reciproco rispetto, perchè la forza morale e materiale assicurava le loro potestà. I1 romano pontificato si trovava alla morte d i Pio IX in relazioni abbastanza tese con quasi tutti gli stati, sia perchè nell'opera di difesa della religione egli aveva dovuto negare quei principi erronei, dai quali i l nuovo ordine politico traeva i suoi caratteri; sia perchè la prevalenza del laicismo avea nei fatti concreti assunto una vera mania persecutrice contro il cristianesimo. Senza dedizioni vergognose, come una necessaria tregua di lotte sfibranti l'umano consorzio, si sentiva il bisogno d i cessare almeno in parte dalla guerra guerreggiata. Lavorio di diplomatici cercò di attuare il disegno d i Leone XIII, il quale, nella più elevata intuizione del regime dei popoli, trovò la via per potere assicurare una relativa libertà della chiesa, fra gli antichi inceppamenti di uno pseudo-diritto ecclesiastico-cesaristico, e i nuovi dell'intolleranza ipocrita dello spirito laico. Ciò potè determinare u n adeguato sviluppo di vita religiosa, anche presso i popoli protestanti e scismatici, nei quali l e odiose leggi anti-cattoliche ebbero se non altro una interpretazione benigna, furono ripristinate o create gerarchie ecclesia-


stiche, scuole religiose e missioni, e rifiori lo studio scientifico negli istituti superiori e nelle accademie. Ma non è sui governi o sulle potestà regie che la chiesa si appoggia: - la sua vita, combattuta o protetta dai poteri laici, può assumere diversi aspetti: ma all'anima del popolo arriva, e la vivifica di idealità spirituali, nella esplicazione di attività di pensierq! di interessi, di organizzazione.

E l'anima popolare del secolo XIX, nei potenti contrasti sentiva che non le bastava salvare forme religiose dalle tempeste del potere laico reso meno ostile, ma era necessaria, urgente, la conquista di nobili ideali, mentre s'infrangevano !i miseramente nel concreto tante vane e nocive fosforescenze. Lo spirito pubblico, pervaso di paganesimo, avea cercato la formula politica come sintesi di tutto il benessere. Tale formula era sospetta; bisognava risalire nelle tradizioni cristiane, e trovare la ragione della forma politica secondo il cristianesimo; bisognava eliminare il pregiudizio del popolo, che, cioè, la chiesa era rimasta sola a custodire gli antichi troni assoluti, vuoti o trasformati. Falso: che importava alla chiesa di diritti umani, turbanti l'ordine civile? Se in presidente fonsista o un'accolta

Francia governa un Bonaparte, u n Orléans o u n repubblicano? se in Ispagna regge i popoli u n Alu n Carlista? se la Germania è u n impero federale O di diversi regni, cosa importa ciò alla chiesa?

Per la chiesa le forme politiche sono indifferenti: solo nel rapporto del bene dei popoli, nella ragione dell'ordine e del progresso, nella rispondenza ai tempi esse possono trovare la loro base e la loro ragion d'essere e di prosperare. La teoria sembrò audace, dopo tante false concezioni cesaristiche dalla riforma protestante in poi; ma Leone la proclamò, ingiungendo a i francesi di aderire alla repubblica, agli spagnoli di cessare dai disordini carlisti; rispettò i diritti di razza nelle lotte fra slavi e tedeschi, spinse i germani a rendere glorioso e grande l'impero, chiamato a nuova missione in Europa; regolò i rapporti religiosi dei polacchi, distinti dai rapporti politici,


dando così un diverso orientamento alle relazioni fra i cattolici e i loro governi.

E ancora u n nuovo passo verso il popolo: - non era più il caso che tutto, indipendentemente dal popolo, potessero e possano i gabinetti; - se il popolo è la leva del potere p ~ ~ l i t i c o d'oggi, per la sua elevata funzione partecipante ai diritti civili, tale funzione entra nell'ambito religioso come ragione informativa di un'azione pubblica che non può, non deve essere scompagnata dalla vita religiosa. Ma dove sono i cattolici di vita pubblica militante? - Pio

IX ebbe il popolo devoto e plaudente nelle più pure elevazioni della pietà; - irrobustire queste fibre, tradurre questa pietà in azione, elevare quest'azione a missione nuova di popoli, e farla ripercuotere nelle vitalità scientifiche, letterarie come nelle politiche e civili, nella cultura come in tutte le esplicazioni della vita, questo voleva dire cristianizzare la società. La via era lunga e difficile, ma era l'unica, l'indispensabile, la necessaria; e per quella via fidente e antiveggente s'incamminò Leone XIII, dopo aver spianato il cammino per arrivare sino all'anima del popolo. All'anima del popolo, che avea sete di vita nuova, spirante quel profumo di pietà, che avea circondato tutta l'esistenza dei nostri padri, nello slancio di mistiche elevazioni, nell'abbandono di sè e dei suoi, nel rinnovellamento di una gioventù divin a ; e ciò proprio nella stessa vita del secolo, nelle stesse fatiche del lavoro quotidiano, nello stesso incerto lottare pel domani, nell'agone delle pubbliche attività, nelle ispirazioni dell'arte incivilitrice dei costumi, ingentilitrice dei sentimenti. Quest'anima popolare così angosciata, così traviata dietro falsi miraggi, si presentava in una guisa nuova all'occhio di chi sa dai semplici fenomeni quotidiani intuire la forza delle cose, penetrare il segreto delle coscienze. - In mezzo al materialismo che affoga, in tutto, nelle manifestazioni della scienza e dell'arte, nella vita politica e sociale, nella lotta economica e nelle stesse manifestazioni di puri ideali, un sentimento mistico si sprigiona, diviene bisogno, travia spesso in sentimentalismo nei soggetti nervosi ed esteti, si pasce di superficialità vane e supersti-


ziose, d ~ ~ ~ e n in e r una a specie di snobismo morboso, ma c'è, è vivo, s i coglie, può divenire potente. Tale sentimento, corroborato dalla fede e reso attuoso, si esplica nei vivi sensi d i pietà religiosa, che dà pascolo soave alle anime, che educa, istruisce, solleva sino ai più alti misteri della vita spirituale. A tale vita, come fondamento di virtù, come principio attuoso di bene, spogliata dagli ingombri materiali di pratiche superficiali o d i ~ o p p osensibili viziose deviazioni, richiamò i fedeli quel pontefice, che volle ripristinato il terz'ordine d i S. Francesco, che sintetizzò la vita cristiana del medio evo nelle sode virtù fatte 'Sorire in mezzo a l secolo e nella vita pubblica e privata, col disprezzo di beni terreni, coi quali si è sempre e ovunque a contatto; che volle pubblica e perenne la devozione del rosario, che con la considerazione dei misteri della vita d i Gesù richiamò alle sue funzioni la vita di famiglia, al loro spirito i dolori della terra, alla più viva speranza i l futuro avvenire degli uomini. E in quell'onda rigeneratrice di vita religiosa, che, nell'apostasia di nazioni e di classi, parti dal Vaticano, con fede irrobustita, quando le eresie teologiche han lasciato i l campo o alla negazione del soprannaturale o all'indifferenza, Leone XIII slanciò i fedeli nelle più vive manifestazioni d i amore a Gesù redentore, alla SS. Eucarestia, al suo Cuore Divino, invocando per gli uomini le fiamme della carità del Divino Spirito. Sono insegnamenti, comandi, slanci di fede e di amore, p e l le pagine meravigliose che dettò Leone XIII in una vecchiezza rinnovata nella giovinezza dello spirito e del divino sacerdozio, che se lasciano indifferente lo scettico, scuotono però e sollevano nell'aspirazione di una vita, che non è, non può essere seniplicemente terrena, e che trova soave conforto di speranze e di amore in quel mistero, che, perenne nelle credenze, adatta nel concreto dell'oggi, nel soggettivismo del bisogno delle nostre anime, i carismi e le grazie, e dà vigore a una rinnovellata vita cristiana, che solo da Cristo piglia forza e vigore. Ed era necessario rifare quasi tutta la vita cristiana di oggi così floscia, così dimezzata, intorpidita dall'ambiente, resa quasi piagnucolona dai mali presenti, rinchiusa e rinserrata per le paure della rivoluzione e le so~raffazionidel potere laico, tra

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le mura di antiche sacrestie; - bisognava rifare cristiana una scienza miscredente e atea, una storia contraffatta dallo spirito irreligioso, una letteratura delirante paganesimo abietto; - bisognava rifare lo spirito, l'anima dei popoli, spostati da Dio, in u n egoismo sempre crescente, nella lotta tenace pel domani e nell'abbandono delle sante credenze e tradizioni del Vangelo. L'avere a ciò ripristinata e rimessa in onore la filosofia tomistica, non come u n ritorno al passato, ma come u n punto d i partenza per l'avvenire, l'avere agli studiosi schiusi gli archivi vaticani, perchè nella serenità della vita storica, la cultura resa più positiva e più sinceramente amante della verità, trovasse gli elementi perenni e reali del divenire dell'umanità; l'avere compreso lo spirito della tendenza moderna della critica biblica e delle origini della religione e della chiesa, come un inizio di ritorno, dopo tanto evolversi di naturalismo e di razionalismo; e a ciò, al doppio scopo di custodire intatto il deposito della fede e dare .sicuro avviamento alle ricerche e agli studi, l'aver creata una commissione biblica composta dei primi scienziati e l'aver dato insegnamenti sapientissimi e prudenti; l'avere in mezzo alle più strane teoriche politiche e civili proclamato quanto è stabile nel fondamento delle società e quanto è elemento del divenire, forma il tesoro delle encicliche e degli insegnamenti di Leone XIII, che cercò sempre di entrare nel vivo dibattito delle aspirazioni d'oggi, e cristianizzarle e regolarle e renderle feconde di futura e più ampia civiltà. Ma là dove questo grande edificio s'incontra, dove si risolvono molte attività, dove le aspirazioni si rendono vitali, nel nuovo contrasto dell'awenire, la questione che agita i popoli, detta oggi questione sociale, ha caratterizzato l'opera d i questo santo pontefice, che sarà tramandato ai posteri col nome di papa degli operai.

Se il seguire e l'utilizzare a bene le correnti moderne, dopo che esse si sono imposte con la forza della loro vitalità ed hon conquistato la vita dei popoli, può sembrare atto di prudente politica o necessario riflesso dell'ambiente sui criteri personali,


più o meno modificati da tanti anni di vita vissuta, l'antivedere o almeno il prender nelle proprie mani un'iniziativa di5ciIe, incerta, contrastata, quando l'elemento sociale si presenta come forza negativa demolitrice, è dei grandi geni che intuiscono l'avvenire. Bismarck credette schiacciare il socialismo col suo pugno d i ferro, come Crispi e Pelloux tentarono di soffocarlo con gli stai: d'assedio in sul principio della nuova forma organica di vita politica in Italia. E come all'apparire della rivoluzione francese troni e aristocrazie cercarono interessati l'appoggio religioso, così le borghesie e i liberali nella loro parabola discendente invocano, non per essi, no, ma pel popolo, la religione che frena, che impedisce l'esplicarsi violento di questo nuovo portentoso Titano. Destò perciò gran meraviglia quando questo vecchio di circa ottantadue anni, nel 1891 pubblicò l'enciclica Rerum Novarum sulla condizione degli operai, e parve allora, nell'agitarsi delle teorie che presiedono allo sviluppo di questa nuova corrente sociale, parve quasi socialista; e persino i governi, ancora liberali, nell'anima loro borghese temettero; temettero molti, anche ecclesiastici, di questa nuova forza unita al popolo; e dalle lontane Americhe si volevano sconfessati i cavalieri del lavoro, e dall'dustria vicina i cristiano-sociali di Lueger, e dalle nazioni latine i democratici cristiani. Leone XIII non sconfessò nessuna di queste giovani forze crescenti all'ombra del romano pontificato, non proscrisse, non condannò; mentre per necessità si andarono formando attorno alla stessa enciclica le p a n d i correnti di destra e sinistra, che nell'incerto fluttuar delle cose umane, nella positiva concretizzazione delle idee nei fatti, sprigionano i contrasti necessari alla verità e mantengono l'equilibrio della realtà, per cui nuovi orizzonti si aprono, per nuove conquiste si combatte, a nuovi termini si avvia l'umanità. La storia narrerà le vicende di questa nuova corrente di vita sociale che ha pervaso la chiesa, e di cui noi siamo parte, noi che militiamo fidenti nelle file della democrazia cristiana. I dodici anni che ci separano dalla data memorabile del 15 mag-


gio 1891 non sono che un giorno solo, non sono che i primi inizi del movimento che dovrà (lo speriamo) giganteggiare nel mondo, Ma le fondamenta sono salde, e lo spirito animatore di giustizia, di carità, di religione, di vita organica pubblica, dalle classi allo stato, designano il punto di convergenza di tutte le ispirazioni moderne, nel palpito e nella elevazione del cristianesimo. Noi non abbiamo la concezione felice della società; noi non speriamo i trionfi assoluti del bene come non crediamo ai trionfi assoluti del male sulla terra; ma nella lotta perenne che guida l'umanità attraverso la storia, noi vediamo il disegnarsi delIr grandi correnti cristiane, i l flusso vitale di questa perenne azione soprannaturale della chiesa nella società; che nel lavorio delle anime è vita di verità e d i virtù morali, e nel lavoro sociale è vita di civiltà e di-progresso; nell'una e nell'altra le lotte si alternano, e il male può vincere e può essere vinto dal bene. È così che oggi, nell'universale anelito di giustizia, nell7irrequieto muoversi dei popoli, nell'imperversare di u n egoismo sfrenato in una lotta di classe acuita dai mali e dalla miseria, la chiesa proclama i1 diritto dei deboli, i doveri reciproci, e mette la ragione morale a base di ogni ragione sociale e ci slancia nell'avvenire. Leone XIII ci ha legato un'eredità santa; ha visto sotto i suoi occhi formarsi, disegnarsi questo movimento nuovo chiamato da noi democrazia cristiana; ha cercato comporre i l dissidio fra gli elementi delle diverse tendenze, ha messo i ripari ai pericoli di un'azione nuova; ma l'ha voluto, l'ha voluto fortemente, chiamando i popoli e la società alle più pure e più sante forme di vita cristiana; incanalando u n movimento, che nelle forme concrete di socialismo minaccia la società e tenta con nuovi mezzi la scristianizzazione del popolo. La lotta titanica che si disegna ci trova forse impreparati?

...

Noi italiani, fatti segno alle cure più assidue del romano pontificato, in un periodo doloroso, scabroso, gravido di conse-


guenze per l'avvenire di tutta la chiesa, abbiamo una missione gravissima da compiere. Una profonda scissione tra lo stato e la Santa Sede, dovuto a quella che si chiama questione romana, ha creato un ambiente ostile alla vita dei cattolici, una diffidenza costante, che solo ora può dirsi comincia in qualche modo a diminuire d'intensità. E la vita cattolica generale, nella permanenza di u n contrasto, ha subito enorme ripercussione da una questione, la cui soluzione è ben difficile e non può dirsi matura. Leone XIII, italiano nell'anima e nel cuore, in una sapiente politica di aspettativa, nella ferma ripulsa di quanto potesse suonare violazione dei diritti del suo apostolico ministero, ha temperato i termini della lotta, ed ha preparato il terreno all'influenza della vita religiosa nell'ambito pubblico, ed ha dissipato in gran parte il pregiudizio che la resistenza della chiesa fosse una lotta contro la patria, che anche noi vogliamo grande e prospera ed elevata a vera dignità internazionale. Qualunque possa essere la soluzione del grave e difficile problema, per la tutela della libertà e indipendenza di diritto e di fatto della S. Sede, l'Italia non può rinunziare alla sua missione internazionale di irradiatrice a tutti i popoli della civiltà cristiana, che il pontificato romano feconda e lancia alla lotta e alla conquista. Missione altissima, per la quale, nella elevazione dello spirito nazionale, si ridiviene il centro del mondo; mentre attraverso le vie lunghe e intralciate della Provvidenza, la chiesa si avvia al compimento del trionfo di un solo ovile e di u n solo pastore. . E l'anima religiosa e cristiana dei popoli si va svegliando, e l'alba del secolo XX designa l'alba di una rinascenza cristiana, nel pensiero più sereno a percepire la verità, nel bisogno dell'anima d i uscire dal dubbio sistematico, nella necessità della società d i trovare una morale meno vacillante, nella sete viva d i giustizia fra tante ingiustizie sociali, nella intensità di cultura, nel bisogno di una vita spirituale non fittizia, ma vera, reale, attuosa di bene; in mezzo al sentimento d i malessere, alle dure realtà d i una società apostata dalla religione, alle rivela-


zioni dolorose della delinquenza precoce, alla nausea della corruzione politica e civile. Che questa rinascenza cristiana sia sentita piÚ viva in Italia, che possa f a r convergere le forze vitali della nazione alla propagazione del bene nel mondo negli splendori soprannaturali del papato, è stato questo l'ideale di Leone, che scendendo nella tomba puro come un santo, nella commozione universale, come in vita ai trionfi pei tre giubilei, anche oggi nella sua dipartita terrena h a chiamato attorno all'Italia l'attenzione e i l palpito del mondo intiero. I n questi istanti, in cui i cardinali chiusi in conclave, fra le preghiere dell'invocato Spirito affrettano i lumi per l'elezion e del nuovo pontefice, noi credenti della divina missione del papato, nella piena fiducia dell'awenire, scriviamo i n cima alla pagina che la storia della civiltà del mondo ha aperta negli ultimi del secolo XIX e nei primi del secolo XX, il nome venerato, augusto, amato di Leone XIII, papa della democrazia cristiana.


LE UNIONI PROFESSIONALI E LA QUESTIONE SOCIALE (*)

Signori, un fenomeno a prima vista inesplicabile o per lo meno non indegno di studio e di serie considerazioni è che noi cattolici, oggi, fra tanto lavoro di organizzazione, poco abbiamo curato l'organizzazione professionale; e, tranne alcuni saggi di non molta importanza, per noi il cammino è ancora inesplorato e la via non tocca. Pure un lavoro se non interamente scientifico, almeno storico, dei nostri pubblicisti e pensatori da molti anni ci chiamava allo studio pratico del problema; e all'opera incitava tutti i cattolici Leone XIII sin dal 1884 e poi con autorevole insegnamento nella Rerum Novarum del 1891; e non mancarono quasi annualmente i nostri congressi cattolici nazionali, sino a quello di ieri a Bologna, a deliberare, a far voti, ad insistere in tutti i modi, perchè l'attività nostra si volgesse all'organizzazione professionale degli operai. Sicchè dubbi e diffidenze teoriche, che facilmente si accumulano sopra idee e propositi nuovi, non trovarono reale fondamento nella concezione cristiana della società; la quale anzi sgombrò la via della falsa visione atomistica del liberalismo dottrinario sin dai primi movimenti e dalle prime agitazioni, che in Italia manifestarono come esistesse la coscienza operaia collettiva e fosse, tra le convulsioni e gli smarrimenti purtroppo, matura ad un cammino ascendente. Ciò non ostante, l'opera non corrispose alle idee, nè può dirsi che vi corrisponda oggi, dopo più di un ventennio, in cui il pensiero sociale cristiano in Italia si è elaborato, attraverso lotte e crisi e polemiche e diffidenze, in modo che, anche se fra noi non è ancora apparso il nostro Marx, pure abbiamo una coscienza in formazione e una larga comprensione di idee in u n

(*) Conferenza tenuta nel circolo

1903.

S. Pietro, in Roma, il 22 novembre


sistema, che, preso il nome di democrazia cristiana, ha inalberato la bandiera della ricostruzione sociale nel nome di Gesù Cristo. Come dicevo, il fenomeno è degno di studio per noi, che, dedicati all'opera molteplice del movimento cattolico, abbiamo tradizioni non indegne di lavoro, di sacrifici, di vita vissuta in mezzo al popolo, e cerchiamo in mille modi di redimere la classe lavoratrice. Forse a ciò han contribuito le difficoltà non lievi ad un lavoro purtroppo improbo, la impreparazione delle stesse classi lavoratrici ad una complessa concezione di vita collettiva, l7impronta religiosa della nostra azione, resa dai nemici del nome cristiano antipatica alle masse, la mancanza di obiettivi determinati a una organizzazione nuova; e più che altro l'influenza inconscia della vita dell'ambiente, delle tendenze liberali, che per lungo tempo han formato un'atmosfera pesante che ci ha circondati fin dentro le nostre stesse associazioni; - le quali, nell'appartarsi, prima volontario, poi necessario, dalla vita pubblica, non ebbero forza di reagire se non guardando al passato prossimo, per cui le preoccupazioni politiche hanno impedito la esatta visione del problema sociale. E oggi, a spiegare noi stessi e a orientare il nostro movimento verso una meta più organica e più risolutiva, ci è necessario tentare l'analisi del problema del170rganizzazione professionale, e della nostra posizione di fronte ad esso.

Premetto una considerazione che credo di capitale importanza per noi: spesso facciamo una specie di classificazione aprioristico delle diverse correnti di pensiero e di vita nella società, e non I: rara la concezione dualistica delle forze sociali, cioè delle forze buone e delle forze cattive: - le buone, s'intende, siamo noi cattolici, le cattive gli altri, qualunque sia il nome che le designi; - oppure trasportiamo nel fatto concreto le tendenze teoriche che prevalgono nel regime della vita pubblica, come liberalismo, socialismo, cattolicesimo militante o sociale o democrazia cristiana; e quindi sintetizzando nel fatto


gli elementi delle idee, attribuiamo facilmente al fatto stesso la caratteristica prevalente della nostra concezione subiettiva e ideale. Da ciò awiene che noi, calcolandoci un momento come idea, altra volta come forza concreta, diamo a noi, cioè alla forza del nostro lavoro, l'importanza dell'idea stessa, che è più generica, e che si può riverberare, benchè i n parte, anche nelle altre concezioni d i vita e di pensiero. Così, convinti che il cattolicesimo i n tutta la sua estensione abbraccia i diversi e molteplici problemi di vita, crediamo che siamo noi soli o noi esclusivamente a risolverli. Invece nel fatto avviene che noi, per lo più appartati dalla vita collettiva, subiamo i problemi che la vita stessa ci pone avanti; e tante volte siamo impari, per la nostra inferiorità o numerica o politica o tattica, a prenderli in mano e risolverli i n senso nostro. Dico questo perchè, se è vero che il cattolicesimo, i n quanto è religione integrale di tutto l'uomo privato e pubblico, nel complesso delle questioni porta con sè una particolare vitalità intrinseca e una soluzione completa - cosa che forma la nostra £orza e la nostra superiorità indiscutibile di fronte a tutto I'evolversi della vita sociale nell'umanità, in tutti i tempi - dall'altra parte noi ( e quando dico noi non dico i cattolici i n genere, ma i cattolici militanti), nel territorio pratico della vita sociale e pubblica, restiamo sempre sul campo uguale a tutti gli uomini che operano, in nome anche di principi diversi e se vuolsi opposti ; campo che noi nella vita comune conquistiamo o almeno possiamo conquistare palmo a palmo con forze umane, individuali o collettive, siano pur i nostri spiriti animati da idealità più pure, da sentimenti più retti, da principi più sicuri e più certi. Così resta distinta l'opera nostra di uomini cattolici, dall'opera della chiesa come società divina fondata da Gesù Cristo, e dalla vitalità intima delle coscienze, sia pur traviate, di milioni di cattolici, in cui si opera con lavoro invisibile la redenzione delle anime. Noi a tale lavoro prestiamo materia meno disadatta solamente quando diamo nei fatti sociali l'evidenza concreta dei principi cristiani e della vitalità soprannaturale. Questa osservazione, ovvia in sè, c'impedisce di guardare il


lavoro d i vita pubblica e I'esplicazione delle attività sociali d'oggi come u n prodotto assolutamente alieno o contrario dalle idealità cristiane, sol perchè l'etichetta che portano è liberale o socialista; e quindi di formarci u n criterio esclusivo dell'oper a nostra, sì da chiuderci in un terreno limitato e in una posizione ostile, mentre altri, gli avversari religiosi o politici, ci trattano per ciò stesso come elemento trascurabile di vita vecchia, di cui non tener conto. Noi invece, guardando un po' più da vicino la realtà, siamo costretti a non parlare, per conto nostro s'intende, di trenta milioni di cattolici in Italia, nè ad inneggiare, nel terreno delle nostre opere, ai prossimi trionfi della chiesa e della religione, e a parlare di sconfitte patite o da patire da parte del liberaliemo, e della imminente, o meno, rovina del socialismo. I1 fatto e la realtà ci chiamano, pochi o molti, sul terreno delle lotte pubbliche, a realizzare u n pensiero, come altri realizza i l proprio in quel modo che tutto il complesso dell'ambiente e della formazione psicologica delle condizioni umane subisce o reagisce di fronte all'idealità. Nel quale lavorio le idee stesse passano attraverso l'elaborazione della coscienza individuale, la quale nell'attività esterna o impone o subisce la realtà dell'ambiente. Così e non diversamente è creato e si presenta a noi, nel fatto concreto e nella vita sociale dell'oggi, anche il problema dell'organizzazione di classe. I n nome delle teorie che professiamo, possiamo essere nell'idea o propugnatori o avversari; mentre l'elaborazione delle condizioni collettive può, in forma evolutiva o catastrofica, determinare le diverse potenzialità reali della società a risolvere questo problema in nome di quel principio che nella lotta viva ha la forza di prevalere. E non ostante che, per esempio, l'organizzazione di classe sia u n postulato della sociologia cristiana, così chiaramente esposto da Leone XIII e storicamente attuato dalla società cristiana del medio evo, e nella sua estensione ripugni alla teoria liberale sistematica e non risponda se non come mezzo di lotta ai principi socialisti: pure potrà darsi che nella soluzione pratica liberali o socialisti, anzichè noi, avranno contribuito (svisandone senso e ~ r i n c i p i )alla forma-


zione di questi nuclei organici professionali, che lo svolgimento storico della società oggi reclama. Così ieri, nella elaborazione della società presente, quanta non fu la materia che vi prestò la nostra cristiana concezione di libertà e di fratellanza, quanta vita viva di popoli, nella redenzione nazionale, non elaborò e non fu vindice il cristianesimo nelle coscienze e nel pensiero? E pure la forza concreta dei cattolici operanti come tali venne meno, mentre montò la rivoluzione a investire di false teorie e di perniciose tendenze una vitalità potente e una corrente di civiltà e di progresso, che s'impone e fu imposta a tutti.

Messi su questo terreno, è necessario l'esame della realtà più che quello delle teorie; perchè se la concezione che direi metafisica della società, nelle sue funzioni organiche, dalla famiglia, come primo nucleo fisio-psicologico, ci porta attraverso la classe, per ragione del lavoro, - al comune (in una forma storica d i civiltà evoluta) per ragione del territorio, allo stato per una ragione più larga di tutela di interessi e di esplicazione di vita collettiva; - pure storicamente nel fatto concreto può venir meno la forma di un determinato organismo, o perchè assorbito da un altro - come quando il comune era anche uno stato o quando la famiglia era una casta organica o perchè insufficiente o impossibile in un dato regime sociale, come l'organizzazione capitalistica in un regime feudale o militare o patriarcale. Così oggi, quando noi vediamo un secolo e mezzo circa di disorganamento d i classe, invano invocheremmo il regime medievale delle corporazioni di arti e mestieri, se quella tale organizzazione, che allora, in una condizione economica diversa, compiva una determinata funzione specifico-storica, oggi non rispondesse a esigenze economiche e sociali di carattere eminentemente moderno. I1 relativismo storico delle forme sociali ha la sua base nella realtà, viva e balzante, costituita dalle condizioni speciali della evoluzione storica delle forme e dei bisogni propri dell'at-


tività e della organizzazione umana; pur trovandosi in fondo ai fenomeni quel carattere comune, che corrisponde alle più assolute o meno relative condizioni psicologiche dell'uomo. I1 primo a balzare evidente sotto gli occhi nostri è il fattore economico della vita, che in rapporto all'organizzazione di classe è il principale fattore determinante. Infatti la classe, i n quanto tale, anche inorganica e agiuridica, com'è oggi, ha la sua base, o meglio la sua categorizzazione, nel fattore e nella natura dell'economia sociale. La quale, nella forma storica presente, come ci dà i l capitalista e l'operaio, così divide e unisce l'operaio secondo le relazioni che esso ha con tutta la complessa produzione, sia sotto forma di salariato o di partecipazione alla produzione, sia nella natura specifica del lavoro che esso compie o del mestiere che esercita. E come la specificazione del lavoro è addirittura enorme nell'attuale vita economica, rappresentata dalle grandi industrie internazionali, dalle enormi imprese dei miliardari, dalle immense attività commerciali transoceaniche; così la molteplice, intensa, complessa vita di lavoro si specifica e si addensa, in un crescente sviluppo di invenzioni, di macchine, di specificazioni di materia, di utilizzazioni di forze, di creazioni di nuovi centri industriali, di agglomerati enormi di popolazioni lavoratrici, di scambio di attività, in una specie, tumultiiante di vita, di nuovo e largo mercato di forze e di potenzialità umane. Questa vita di lavoro molteplice e complesso, che fa largo contrasto con il lavoro meno denso e più semplice di un tempo, quando era più circoscritta la vita e più elementari le forme e i mezzi di produzione, nello slancio di attività, nella foga di attività, nell'ampio respiro di libertà commerciali, tolse, anche violentemente, le barriere dei commerci e le forme artate di organismi vecchi; e i lavoratori corsero la via del libero salariato, come i produttori puella del libero scambio, in un agitato regime di concorrenza, creando l'economia moderna. Questo periodo secolare che creò forze nuove, distrusse antichi regimi, guardato dall'alto delle idee sistematiche assume il carattere di un'enorme rivoluzione egoistica, e si riannoda a un complesso d i teorie umanistiche e naturalistiche, che distrugge il sentimento sociale e ne abbatte le forme che conten-

6 - STURZO - Sintesi sociali.


gono i principi cardinali del vivere umano. Ma nell'intimo della realtà ci si presenta come una forte reazione a regimi anch'essi egoistici, che circoscrissero nelle forme invecchiate l'attività umana; reazione, che nello sviluppo di forze potenti e nuove, sotto l'influsso di teorie antisociali, elaborate nel precedente periodo, percorse una china fatale, scendendo fino alle ultime conseguenze. I1 forte vincitore assimilò la società a sè, e trascinò nella sua orbita tutta la vita collettiva; il regime capitalistico, assurto a carattere specifico, ci diede la vita politica, come reggimentazione dell'economia prevalente. nella legge del più forte. E la classe professionale, distrutta organicamente, non ebbe più figura civile o politica; rimase il lavoratore isolato, nella sua semplice e non tutelata potenzialità personale, d i fronte alla forza del capitale. Così ebbe origine il proletariato, salariato, fluttuante, incerto del domani, costretto a subire la legge della concorrenza, disarmato legalmente di fronte al capitalista; che nella sua caratteristica diveniva un elemento anonimo di produzione, premente, per la stessa forza della concorrenza commerciale e industriale, sull'operaio, anche questo macchina dell'economia generale della produzione. La forza e la debolezza dell'economia presente sta proprio qua: nel carattere specifico che oggi ha assunto quello che e i chiama il regime del lavoro libero. La concorrenza dei capitalisti, da una parte, una vera corsa per arrivare, sprigiona potenti energie nella industria e nei commerci, creando gli accentratori, i monopolisti, i miliardari, ed elevando il capitale ad assoluto padrone del campo; e p e r conseguenza naturale spazza via gli ultimi, i deboli, gli insufficienti e crea la legione dei vinti; i quali scendendo i gradini della ricchezza, arrivano a formare l'esercito dei parassiti: - i confiscati delle ricchezze dell'ieri, divengono i dissanguatori delle ricchezze dell'oggi. I fallimenti nel nuovo carattere economico sono un fatto normale di detriti di industrie rovinate, di commerci scossi, soffocati dal credito stesso, che si ebbe facilmente e troppo costoso. La concorrenza dei proletari, dall'altra parte, deprime il la-


voro nella sua caratteristica personale, in una condizione di merce, sul gioco della domanda e dell'offerta; offerta di mille braccia, senza base economica che il solo lavoro; sopra i l quale si fa il mercato, allargato dalla comunanza delle piazze, esteso dalla facilità delle comunicazioni, reso numeroso dall'aumento crescente della popolazione, e chiuso purtroppo nell'angustia delle risorse industriali, colpite dal fisco o scosse dalle pressioni bancarie e di borsa. Alla concorrenza si aggiunge i l carattere anonimo sia del capitale - che, quasi sempre, non è di una persona - sia del lavoro, che si guarda solamente in rapporto alla ragione della produttività, nella costituzione della rendita. Tale carattere anonimo crea rapporti di cosa, non di persona, che non è più, che scompare assorbita dalla stessa natura dell'economia del lavoro. Così la legge del più forte diviene la legge anche della stessa attività umana nel campo economico; legge che, dopo aver compiuto il suo corso storico, tende oggi all'equilibrio delle attività umane, e determina perciò una reazione. E la reazione viene: - viene violenta e titanica come prodotto necessario di tutte le cause accumulate nel corso della parabola ascendente e discendente del liberalismo economico; come bisogno di uscire da una condizione di cose che dissolve la stessa compagine sociale; e si presenta quale una delle facce più vive di quella che si chiama comunemente questione sociale, della quale la ragione economica è uno dei principali fattori. Per logica fatale la reazione si concentra e si concretizza contro gli elementi di concorrenza e di anonimità del regime capitalistico, come contro quegli elementi che han reso il lavoro una merce e l'operaio una macchina, e che, sanzionando nel fatto la legge del più forte, han creato le legioni dei proletari e dei vinti. I1 moto ascendente dal basso logicamente s'inizia con u n fatto il più elementare e, insieme, il più opposto all'economia del lavoro libero. Se i l capitale premente e speculante con la concorrenza ha detto: - scelgo chi pago meno, impongo quel lavoro che meglio mi remunera; insomma, la legge del minimo mezzo (il lavoro meno remunerato) e del maggior utile (la ~ r o d u z i o n eaumenta-


ta); la domanda de117aumento dei salari e della diminuzione delle ore d i lavoro è la prima e la essenziale che si presenta alla mente, a l desiderio dell'operaio. Manca, però, la coscienza e la forza collettiva. L'operaio nel regime egualitario non esiste civilmente: esiste i l cittadino; e la locazione di opera è u n contratto di cosa: - dopo la proclamazione del diritto dell'uomo, non esisteva una libertà (in tanto sfoggio d i libertà) che avesse riconosciuto a1170peraio, come tale, i l diritto morale e d i associazione. Ma la coscienza si è andata formando: - lenta, audace, contrastata (come sono lente tutte le grandi elaborazioni storiche) è stata ed è la via del proletariato alla riconquista della sua personalità; da quando gli operai non potevano neppure riunirsi in associazioni puramente civili a oggi, che negli stati più evoluti esiste u n ufficio nazionale del lavoro, il cammino è stato enorme. A poco a poco nella società è andata ricomparendo la figura morale e collettiva dell'operaio: quell'operaio che era una res, in una concezione assoluta, pagana, - quella res, contro cui premeva un'altra res, il capitale, si è sollevato ritto nella società, ed ha detto: « Sono u n uomo in quanto operaio; u n uomo che vanto diritti nella relatività della mia condizione; diritti che m i danno doveri, nel rapporto necessario d i reciprocità; diritti e doveri non individuali ma sociali, che sono base di una forma collettiva, che è forma organica speciale della società N. Questo grido, così elaborato in u n processo mentale, nel fatto non potè essere che rivoluzionario, perchè urtava contro tutto i l bagaglio delle convenzioni legislative del tempo; e solo u n concetto d i libertà (l'aria della società moderna) potè consentire l'esistenza e lo svolgimento di questo movimento. Anarchico o socialista, legalitario o rivoluzionario, procede i n una sequela di fatti, che hanno come pernio le condizioni economiche e gli effetti di queste condizioni, specificate e concretizxate; e per necessità accoglie tutte le aspirazioni del mondo del lavoro. È sempre il £atto che ci sta davanti, anzi che ci trascina, anche nolenti; è la realtà che balza viva, e che ci costringe a guardarla i n £accia.


Proseguiamo nella nostra analisi, forse un po' troppo minuziosa, ma necessaria. Come prodotto logico del movimento per u n migliore regime nell'economia del lavoro sono sorte le leghe operaie, le camere di lavoro, le associazioni professionali, le cooperative popolari. I1 loro oggetto sarà larghissimo o determinato e concreto, non importa; però non può uscire da questa cerchia: la trasformazione dell'economia del lavoro. 1 socialisti determinano la lotta di classe e aprono l'adito a teorie sovvertitrici dell'ordine sociale, i liberali invece cercano i sonniferi e i calmanti; però gli uni e gli altri non possono uscir fuori dall'orbita della organizzazione delle forze operaie. Questa organizzazione si va elaborando sotto l'influsso morale delle teorie prevalenti; e benchè non sarà mai vitale, se esce fuori dal campo circoscritto dai bisogni economici della collettività, pure nel complesso fenomenico della vita e di tutta la vita, come a sostegno e forza, mutua principi, cerca idee e sistemi, determina finalità. E come ogni fatto che procede dalla sintesi umana, anche questa organizzazione, nella sua portata generale, diviene per sè una questione morale, che per la natura dei rapporti degli uomini fra di loro in una vita organica, si eleva a questione eminentemente sociale; e quindi per rimbalzo il lavorio stesso della trasformazione del regime economico diviene lavorio psicologico, subiettivo, ideale. E la forza di questo ideale sintetizzato nella parola giustizia oggi muove il popolo, come ieri mosse le nazioni l'ideale delle libertà civili e politiche. Che questa giustizia venga cercata attraverso le teorie socialiste. è il fenomeno, è il triste fenomeno delle larghe correnti delle perversioni umane: - fenomeno però che assurge a grande fattore storico di forza innegabile. Non c'illudiamo che i l popolo sia cristiano e che, come tale, sappia resistere nella sua forza religiosa elementare contro le teorie erronee; oh! quante speranze s'infransero, quando il li-


beralismo. nelle sue teorie, fosforescenti anch'esse, sedusse e vinse quella classe, non tutte le classi, ma quella classe che sentiva i l bisogno della libertà, la classe borghese, manifatturiera, professionista, colta. Cacciata indietro dagli uffici civili e dalla vita nazionale, chiusa nelle formule di u n dispotismo personale, di un'oligarchia strapotente, nei residui opprimenti del £eudalesimo militare, scomparso e surrogato dal feudalesimo d i corte. dal fidecommesso e dalla manomorta, in quanto potenzialità econoniico-politico-religiosa, la borghesia maturò la rivoluzione libertaria, che troppo si bestemmia e troppo si loda, senza tenere presente la forza storica delle cose. Allora, nelle guise concrete antireligiose e antidinastiche, i cristiani del tempo crearono u n regime laico in una concezione negativa, assoluta, egualitaria di libertà; come a sua volta il socialismo tenta, i n un'assoluta eguaglianza, la distruzione dell'ordine sociale, per distruggere l'attuale regime economico. E l'idea incalza. Le larghe distese delle nostre campagne, dove il contadino sente la pressione del latifondista, che si assicura una rendita, dando i l suo terreno a l fittavolo, a l gabellotto, e che poi nell'accumulo dei debiti ipotecari, fa pressione alla consistenza della terra, nella concorrenza sfrenata che altera i prezzi della terra sopra la potenzialità produttiva, e abbasoa la mano d'opera sotto, o quasi, la somma dei bisogni personali, per poi, di rimbalzo, in una lotta alterna, alterare i salari sopra l'effettiva rimunerazione del prodotto e i fitti sotto la necessaria rimunerazione del capitale; - le officine, agglomerazioni potenti d i operai senza cointeressamento all'opera stessa e alla merce che producono, esposti alle pressioni violente, o disposti a premere violentemente a danno della produzione stessa; - i l piccolo artigianato, paesano e rurale, scisso e s h t t a t o dalle concorrenze professionali, e dall'assorbimento della grande industria; tutti precipitano nelle spire seducenti del socialismo anarcoide. È il bisogno di trovare u n rimedio, che non è dato, ne dal capitale stesso, elevato ad elemento antagonistico del lavoro; nè dalle leggi o tradizioni che non proteggono; nè dalle forze singole che sono impari; - oh! almeno (pensano) v'è la speranza. ultima dea, - la speranza di afferrare i pubblici poteri


per mutare nuovamente la faccia della terra, la speranza di divenire il più forte, per sopraffare il meno forte! Così i l lavoro rende al capitale a misura di carbone un secolo d i pressioni e di oppressioni. L'idea si sostituisce al fatto; specialmente perchè l'idea si moltiplica negli adepti, si afferma nei fatti, piglia consistenza politica e carattere sociale. La classe, ieri dispersa, amorfa, debole, ora è in certo modo organica (sia pure non riconosciuta dallo stato); gli interessi comuni vengono protetti, in qualsiasi modo, e l'avvenire si apre alle forze collettive. E benchè i l socialismo organizzi la classe con metodi tattici, non ammettendo, in una utopia finale, che i l livellamento delle classi stesse, per mezzo della lotta; pure la forza delle cose trasforma le idee stesse, che si adattano, si evolvono, si specificano, nel contatto continuo con la realtà. I concetti assoluti di giustizia, diritto, personalità e responsabilità balzano vivi da questo movimento sociale in genere, prescindendo dall'accomodamento liberale-progressista, dalle vigorose mosse socialiste, dai propositi deleteri dei rivoluzionari; - e questa vita si concentra nelle organizzazioni operaie, le quali assumono per necessità la caratteristica della classe, prima generica di classe operaia, poscia specifica nelle diverse gradazioni e divisioni per arti e mestieri; sempre però in un ambito il quale, per quanto possa essere morale o sociale o politico, è per necessità intimamente professionale. E invero: il lavoro, che è l'elemento vivo di associazione e d'interessi, per il lavoratore sintetizza tutto il ~ r o b l e m adella vita: egli non può, dal suo angolo visuale, guardar gli altri problemi, che da quello che per lui prospetta maggiore luce e determina più intensità di vedute. I1 contatto con lo stato, se per lui è quello solo delle tasse, è odioso: lo stato diviene un nemico, la politica sarà un'arma per colpirlo ; se le altre classi a contatto con lui premono sulle sue condizioni e ne disprezzano l'essere di operaio, diverranno a lui antagoniste; se egli perfino teme che i l clero si appoggi ai potenti della terra per opprimerlo, il clero sarà per lui un pericolo, un ostacolo da rimuovere. Ed esso organato professionalmente curerà i suoi miglioramenti

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tecnici o intellettuali o materiali, e saprà regolare le sue mansioni, ottenere i suoi diritti; ma politicamente vorrà farsi valere come classe che teme di essere colpita; socialmente cercherà di elevare la propria funzione e partecipazione al complesso della vita degli uomini; economicamente tenterà di mettersi nella posizione di parità e sul medesimo terreno degli altri. Questa coscienza psicologica può arrivare ad essere una vera concezione egoistica, e come tale esser proposta nella vita sociale in forma sistematica; e può essere anche una concezione relativa ai semplici rapporti degli uomini fra di loro, senza i l concetto della sovrapposizione egoistica; ma essa, o deviata o retta, tiene il campo delle determinazioni collettive e dei rapporti collettivi. È sotto questo punto di vista generale che oggi non si può fare a meno di guardare tutto il complesso morale, sociale ed economico della questione operaia, come vita di organizzazione non dell'operaio semplicemente, ma del lavoro. E l'organizzazione del lavoro, in relazione all'economia generale, tende alle sue vere conquiste legislative. L'organamento politico di uno stato ,riflette tutta la potenzialità della nazione; dove, in mezzo al più disparato cozzo di idee e di interessi, si sprigiona quella vita, che dal centro irradia alla periferia, cogliendo e riflettendo e assommando o sintetizzando tutte le forze vive. Là dove gli interessi della economia nazionale vengono trattati da diversi punti di vista, da quello d i un semplice bilancio di stato o di una semplice tassa doganale, a tutto lo sviluppo dei commerci e alla creazione della industria, - quel lavoro, che dal regime liberale, guardando solo le industrie e il capitale bancario o per sfruttarlo o per proteggerne gli interessi più o meno loschi, non era considerato, entra e si fa strada nei pubblici regimi come elemento vitale, coefficiente di ricchezze, nella sua caratteristica umana, morale e sociale. E se questa voce oggi è ancora amorfa, in un egualitarismo numerico che sta a base della nostra vita parlamentare, è legale aspirazione quel riconoscimento giuridico e politico delle classi e quella partecipazione proporzionale alla vita pubblica elettorale, da assicurare, non un mendicato appoggio delle altre clas-


si, ma un diritto di cooperazione, e vitalità politica generale e speciale. I nuovi organismi professionali sorgono e vivono: oggi, ancora in mezzo ai pregiudizi liberali, non hanno conquistato la personalità giuridica, i diritti politici collettivi; ma l'anima loro si sente l à dove hanno fatto leggi a regolare le ore di lavoro, il riposo settimanale e festivo, l'igiene delle grandi fabbriche, a stabilire i giusti provvedimenti per il lavoro delle donne e dei fanciulli, per l'emigrazione operaia, per gli infortuni sul lavoro, per la creazione dei probivirati e la codificazione delle forme cooperative di produzione e di lavoro, e finalmente l'ufficio nazionale del lavoro, che diviene un nuovo importantissimo organo di vita pubblica. Quest'anima della classe operaia, che si sente nelle proposte di una legislazione operaia internazionale, che penetra i municipi, chiamati a più elevata funzione sociale che non quella solo burocratico-amministrativa dello stato accentratore, sforza i pubblici poteri, quando, nei conflitti h a capitale e lavoro, fa che le autorità pubbliche intervengano non solo a tutela dell'ordine, ma, per quanto è compatibile con le loro funzioni, a pacieri e tutelatori anche del diritto dei lavoratori. Quest7anima della classe, a poco a poco, nel terribile assorbimento capitalistico delle industrie e dei commerci, in u n lavoro di più di cinquant'anni, va cercando di emanciparsi almeno in parte dalla pressione usuraia: dalle angherie rovinose, lormando con cooperative di credito, di produzione, di consumo, di lavoro, i primi nuclei, i soli nuclei che la legge riconosca, di uomini legalmente consociati a scopi economici, per riunire, come un tempo, capitale e lavoro e costituire quella proprietà collettiva. che è forza e salvaguardia e tutela dei deboli e 'degli umili. E in tutto questo lavorio di vita umana, civile, politica, economica, sociale, la moiale e la religione trovano elementi preziosi ad u n intimo lavorio di coscienze e di anime. Forse non è, non deve essere la giustizia base della elevazione delle classi lavoratrici? Forse non è la moralità dei rapporti fra uomo e uomo vita della società? Non deve la carità cementare gli italiani divisi da interessi egoistici, lottanti sul ter-


reno della vita? - La religione di Gesù Cristo tutto informa l'uomo, nel profondo della sua coscienza, nella esplicazione della sua potenzialità in ordine alla vita pubblica e privata. L'organizzazione di classe, come carattere prevalente della questione operaia, in sè irradia e concentra tutta quella larga visione di principii morali e religiosi, che costituiscono la base del vivere civile e sociale; mentre la lotta di idee e di fatti ci dà più larga visione della portata del problema e della sua soluzione. È vero, e lo disse e lo insegnò Leone XIII nelle sue memorande encicliche, che la questione operaia non è semplice questione di stomaco; è altissima e complessa questione morale. Non di semplice morale individualistica e personale, come da tanti è concepita, non di semplice rapporto di carità nelle tanto sante e necessarie opere di beneficenza e di patrimonio cristiano, come vkolsi da altri; ma di morale individuale e collettiva insieme. Se l'operaio oggi nella vita intima non è religioso, se la religione e la morale esulano dal suo cuore, mentre arde d i speranze terrene, ed incitato all'odio, segue facilmente, inconsciamente anche, la bandiera rossa, che lo seduce e lo perverte; non è semplice pervertimento personale, è aberrazione collettiva, in una crisi comune dello spirito malato, allevato in un ambiente irreligioso e corrotto non solo, ma in un ambiente economico e sociale, che ha in sè i germi del male. Andiamo a risollevare queste anime, queste numerose anime, che formano la grande maggioranza dei popoli, dallo stato di dejezione sociale, di crisi totale, subenti le leggi dell'ambiente e della formazione psicologica collettiva, solamente con aiuti e presidi ideali e astratti, per quanto seri e reali; predichiamo la morale a chi giornalmente è a contatto con ambienti immorali; - formiamo la coscienza a chi è trascinato dalla corrente delle agitazioni socialistiche sarà bensì un lavoro isolato, per quanto necessario e fondamentale, e per sè h t t u o s o nelle anime, cui la grazia del Signore avviva e conforta; - ma come i presidi umani dell'educazione, della scuola, della vita familiare e pubblica entrano nella formazione del carattere e della vita religiosa: così la religione e la morale devono informare tutte le

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aspirazioni popolari, nell'equa e giusta condizione dei rapporti umani; renderle vitali e lanciarle verso l'avvenire. Come ieri presidi terreni, santificati dalla chiesa, furono gli stessi ordini militari e le corporazioni d'arti e mestieri; e crebbero all'ombra del corpo santo i comuni liberi; e attorno alle badie furono redenti i servi della gleba con l'enfiteusi ; così oggi la chiesa, entrando nel dibattito della questione operaia, nella concezione vitale dell'organamento sociale, riprende il suo posto di fautrice d i giustizia, e indica come vita collettiva morale la formazione di anime e di coscienze e forti organismi di vitalità pubbliche, illuminate dai principi della morale cristiana.

Raccogliendo tutte le idee che in una larga corsa ho potuto presentare, come coefficienti storici, economici, politici e morali dell'organizzazione di classe, possiamo in forma sintetica a m vare a questa concezione: - la classe operaia, in uno sviluppo di civiltà maggiore e in una forte reazione vitale contro le crisi patite, tende all'organismo proprio, pel miglioramento degli interessi professionali; ai quali fa convergere l'azione politico-sociale e i mezzi di conquista nella vita pubblica; - e i n base a tali organismi essa tende a cooperare alla stessa vita civile, e ad elevare la propria coscienza collettiva, morale e religiosa 1). Sono dunque le unioni professionali un prodotto di civiltà, una necessità di economia pubblica, un mezzo di conquista per i pubblici poteri, un bisogno morale di anime. Questa finalità non è visibile a tutti, nè si trova in fondo a tutte le coscienze operaie: tante volte è latente, e nel fatto può essere deviata; però è questa finalità che determina meglio e eoncretizza gli obietti speciali delle unioni professionali, e che designa i mezzi idonei allo scopo; e a noi cattolici essa appare nella sua piena luce, perchè ai nostri principi di diritto, d i morale e alla nostra concezione di società le unioni professionali si rannodano e pigliano figura e carattere proprio e specifico. I1 liberalismo, - dalla concezione classica dell'assoluta libertà nell'ordine economico, affidato solo alle forze individuali,


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alla concezione del cosidetto socialismo di stato o meglio stato sociale, che nella pienezza dei diritti assoluti, panteistici, piega la sua forza anche a vantaggio e alla creazione di enti burocratici di lavoro, ai quali delega parte o alcuna delle sue funzioni sino a regolarne con statuti determinati e norme minuziose l'azione - non può darci per prodotto proprio l'unione professionale, che in tanta parte modifica i l sistema del lavoro libero così assoluto ed egoistico. Nè il socialismo, che tende al livellamento delle classi, i n un'assoluta, per quanto utopistica, uguaglianza economica, concepisce la classe come un ente organico, rispondente a natura, riflettente bisogni; solo ammette la organizzazione proletaria politica e civile, come forza di resistenza o di assalto contro il capitale o contro i pubblici poteri, per u n termine ultimo, per quanto indefinito e lontano, pure forte alle menti e vivo di speranze. L'organizzazione professionale trova invece nella concezione cristiana non solo u n fondamento di principi morali e uno spirito di equità e di carità necessario a tutti i rapporti umani, ma trova la caratteristica di ente organico, non creato dallo stato, non tendente alla soppressione di sè stesso in una assoluta uguaglianza umana; ma dalla stessa relatività delle condizioni umane, che dividono gli uomini secondo la potenzialità economica, secondo il lavoro, secondo le funzioni collettive, è messo nel suo essere di tutela, garanzia, vitalità, diritto della normale condizione della maggioranza: il lavoro. Quel lavoro che è mezzo di sussistenza a tutta la società, che eleva e redime l'uomo i n un ordine più alto e più nobile, d5 i mezzi allo sviluppo della intima e necessaria vita familiare, crea le industrie e i commerci, fonda le civiltà e le lancia verso l'avvenire; quel lavoro, che segna del dito umano tutte le cose, tutta quella vita sensibile che ci è sottoposta, e che trasforma tutto, dall'umile cultura dei campi, ai più portentosi prodotti che ci suggerisce la scienza; quel lavoro che spinge il pensiero, muove la vita, e diviene anche grande elemento morale e sociale, oh! sì, ha i suoi diritti, i suoi organismi, la sua vitalità. Se la lotta fra gli interessi terreni è la condizione necessaria della vita stessa, nella ricerca e nel raggimgimento di quei


miglioramenti, che, visti nel colorito futuro della speranza, spesso non si traducono in pratica nel reale presente; se l'angustia della vita si perpetua attraverso i secoli in u n rimbalzo perenne; è giusto, è nobile ideale quello, che fra tanto cozzo di forze, non vi sia un debole disperso o un forte assoluto, ma una tendenza continua all'equilibrio organico, vitale, sociale, nel quale possa prevalere la ragione sulla forza, l'idea sul numero. E quale potrebbe essere la funzione sociale della religione, presa nel suo ampio senso, se non quella di ristabilire l'equilibrio delle forze morali nella società, con e per mezzo del ristabilimento dell'equilibrio negli elementi psichici; improntando e perfezionando tutte le loro esterne manifestazioni, dalla vita politica sino alla vita economica? Siamo noi dunque coloro che, utilizzando la nostra posizione, unica di fronte al vero concetto della organizzazione di classe, possiamo e dobbiamo entrare nel vivo dibattito della questione sociale, e lavorare con fiducia e alacrità in questo campo, chiamando le masse alla loro redenzione in una intiera e intensa vita organica. E a noi spetta; e noi possiamo aprire i larghi orizzonti di questa nuova vita, che porterà una rivoluzione (nel senso buono e scientifico) a tutto l'attuale regime del lavoro. Noi non leggiamo nel futuro, nè sappiamo nella concretezza storica quale valore potranno avere le nostre idee, se poco o molto; però nel prevedere, cosa facile, che la democrazia nel senso sociale prevarrà, noi non ci immaginiamo che si tratti solo di un qualsiasi regime politico, come se domani invece del partito di destra, salga al potere il partito di sinistra, continuando più o meno nella stessa strada ; ma sentiamo che qualche cosa di essenziale, di fondamentale nella società verrà a mutarsi. Forse l'ultimo termine sembrerà così congiunto a quello che immediatamente lo precedette, da essere un ultimo anello logico di una catena storica. Però l'avvento della democrazia, sotto l'influsso di qualsiasi principio, sarà costituito su diverse e in parte opposte basi sociali, che non sia il liberismo borghese o il regime capitalistico. 11 punto interessante è per noi questo: se la democrazia prevarrà impregnata e sotto l'influsso dei nostri principi, se perciò i nuovi organismi avranno per base la giu-


stizia nel fatto concreto, quale la concepiamo noi nelle sue linee generalissime, se l'organismo nuovo avrà tale forza organica e tale valore intimo da essere vitale e da costituire per nostra opera la vera civiltà nuova. Ma a una civiltà nuova tendiamo: le altre classi sociali non se ne debbono impensierire; non saranno distrutti i diritti imprescindibili dell'umanità, che ha una classificazione direi quasi naturale, la quale a sua volta determina una classificazione storica. La prima non può mutare in quei rapporti di giustizia fondamentale che sono il prodotto puro della natura; bensì la seconda. Ieri la classe militare era una classe distinta, con mansioni proprie e con u n largo ufficio sociale; i feudatari terrieri ebbero anch'essi una vita storica, le forme economiche e politiche lo esigevano; oggi se i l militarismo di casta o il feudalesimo della terra non sono più, non per questo può dirsi che una classe è stata distrutta, diciamo solo che una classe è stata trasformata secondo un nuovo regime. Così domani il capitalismo anonimo, che non è una classe, darà luogo a concezione economica nuova, più cristiana e più civile; e la classe dei produttori subirà le trasformazioni necessarie, senza subire la eguaglianza economica, senza che perciò si abbassi i l livello di una classe a vantaggio dell'altra. Non temano perciò le classi alte di questi orizzonti che SI allargano sotto il punto di vista dell'organamento cristiano delle classi lavoratrici; le quali, come il forte, il necessario elemento del divenire storico, sono l a molla del progresso oggi, in cui le altre classi subiscono la stasi della corsa fatta, della civiltà creata, della vita vissuta. Se questo avessero detto i cattolici alla fine del secolo XVIII alla nobiltà ed a l clero, come classi politico-economiche in rapporto all'agitazione del terzo stato, sarebbero stati chiamati rivoluzionari e non si sarebbe mai creduto che tanta differenza di regime sociale avesse dispaiata la fine del secolo XVIII dalla fine del secolo XIX. Ma noi, fatti edotti dall'esempio della storia vissuta e vivente, d i fronte all'agitarsi titanico del proletariato che ascende, non


possiamo chiudere gli occhi o sognare una sosta alla vita rapidissima che incalza. E se noi ci apparteremo, se noi, rinnegando i l nostro passato, avremo paura dell'organizzazione sociale dei lavoratori, se per l'istinto di conservare ci attaccheremo a quelle forme liberali di vita pubblica, ieri avversate, ma con le quali oggi molti cattolici si sono assuefatti; o se anche il nostro stesso lavoro non corrisponderà a l bisogno, a tutto il bisogno della società presente, e le forze negative ( e perciò più potenti) del socialismo prevarranno e potranno arrivare a creare, qual'essa sia, una civiltà storica; - noi avremo compromesso nella vita pubblica quel nome che ci onora, e avremo tradite le speranze che la società e il popolo han posto in noi. Ma più che altri, noi cattolici italiani, e mi piace affermarlo qua in Roma e nel più interessante circolo dei cattolici romani, abbiamo una gravissima responsabilità di fronte alle nazioni sorelle, di fronte al popolo, di fronte alla chiesa. La nostra potenzialità, le nostre attività, i nostri movimenti, le nostre opere hanno u n riflesso e un'efficacia vivissima presso tutte le nazioni cristiane, perchè noi abbiamo più vicino l'influsso vivificatore del papato, e quindi più forte non solo dobbiamo celitire in noi, ma riflettere fuori di noi la vita del cristianesimo. E Roma e l'Italia cattolica è internazionale, universale, non solo nella fede viva e vivificante che emana dalla cattedra di S. Pietro; ma anche nel riverbero di questa fede nelle opere nostre, nelle civili e sociali appartenenze, che assumono oggi, nel dibattito delle questioni più vive, decisamente u n carattere di rivendicazioni e di riconquiste cristiane. Se chiuderemo le finestre per non sentire i l rumore che vi è nella strada, noi non sentiremo nulla, ma nella strada si griderà: Viva i l socialismo! - abbasso la religione! e il popolo, anche il popolo italiano, anche il popolo di Roma batterà le mani. Sì, batterà le mani quel popolo stesso che ha avuto i l battesimo e forse anche la cresima, e che dal letto di morte invoca il prete; - batterà l e mani quel popolo che sarà tante volte venuto alle nostre cucine economiche, nei brulli giorni d'inverno, quando gli è mancato il lavoro o la mercede è stata scarsa pei suoi figlioli ; - batterà le mani quel popolo che avrà tante volte


portato in trionfo il santo per le strade. Quel popolo stesso, quando sentirà il palpito della coscienza nuova d i classe, la forza del suo numero, allora potrà anche per un quarto d'ora passeggiare sui cadaveri degli aborriti padroni, come i borghesi del '93 mandavano i nobili ed il clero alla ghigliottina. La forza dei principi allora apparirà in tutta la sua estensione, e noi invano diremo: « se fosse stata sventolata da noi la bandiera dell'organizzazione del proletario, avremmo salvato la società un po' meglio di come non la salvarono i cattolici del secolo scorso di fronte alla rivoluzione politica liberale! ». Siamo ancora in tempo? - o il popolo, la gran massa dei lavoratori è fuori del nostro campo, in mano a i socialisti? - E se è così, siamo noi preparati alla lotta nel campo delle organizzazioni operaie? Ecco una domanda alla quale può rispondere solo il lavoro pratico, attivo, costante, fiducioso. E a questo lavoro, nella più larga, nella più estesa concezione, ci chiama il nostro dovere; mentre dai campi, dalle officine, dalle vie, sale a noi il grido di un popolo di lavoratori che invoca la sua redenzione sociale.


I PROBLEMI DELLA VITA NAZIONALE DEI CATTOLICI ITALIANI (*) Agli amici Tutto i l complesso di fatti, di documenti, di discussioni, di proposte attinenti all'organizzazione dei cattolici italiani che più da vicino ci riguardano in ragione di tempo ha contribuito a mettere in una luce più netta i diversi problemi della vita nazionale dei cattolici italiani e ne ha reso più evidente la portata e più urgente la soluzione; si che stimo necessario riassumerli in u n esame oggettivo e sereno, richiamando su di essi l'attenzione di quanti a l faticoso sorgere del partito democratico cristiano han dedicato forze generose di pensiero e di vita. Non pretendo, certo, di portare in mezzo al dibattito presente una parola decisiva ( e com'è mai possibile?) nè d i presentare soluzioni certe e sicure, nè tampoco per qualsiasi ragione autorevoli: io intendo (se mi è possibile riuscirvi) riassumere in sintesi lo stato di fatto e la mentalità presente, esaminare le condizioni, penetrare il significato psicologico dei fatti e discutere i problemi che da essi derivano, nell'intento d i portare un certo contributo di idee, che può dar luogo a una più larga e piu sicura discussione. Se questa sintesi fosse scompagnata dal continuo svolgersi, anche tumultuoso e impreveduto, dei fatti, avrebbe u n valore molto limitato, anzi potrebbe cader nel gioco degli idealismi aprioristici; ma invece essa, nel riassumere e commentare i fatti precedenti, deve seguire l'imporsi dei nuovi fatti, deve penetrarne i problemi concreti, deve palpitare di vita vissuta, svolgentesi nell'incalzare degli avvenimenti. Forse non a tutti sembrerà conveniente che si affrontino questioni credute ancora immature per lo spirito pubblico italiano, o perlomeno sulle quali debba sentirsi una parola di autorità, più che una libera discussione, almeno da parte dei cattolici. --

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(*) Letta al circolo di lettura in Caltagirone, il 24 dicembre 1905. (v. nota a pag. 296).

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S~oazo- Sintesi sociali.


Senza discutere una simile opinione, che pel suo verso potrà anche essere rispettabile, io ritengo che ogni fatto storico si prepara con la formazione del pensiero, come ogni legge viene imposta più dai fatti e dalle convinzioni che dalle ragioni di semplice autorità. Anche il dogma fu elaborato nella coscienza dei cristiani, fecondato di fede vissuta e di carità operosa; - è quindi preparatoria a ogni soluzione la discussione dei problemi, quando anche non spetti che solo ad una autorità, qual essa sia, i l giudicare e il decidere. Le soluzioni storiche impongono la discussione che diviene vita: e io sento la necessità di tali discussioni, che non riducono la vita ad astratto filosofare, ma che applicano le teorie alla vita, e a quella vita che per u n fatto complessivo e naturale di tutti noi (che ne viviamo tanta parte) chiamiamo oggi nazionale. Ed entro in argomento.

Un'analisi dell'attuale situazione dei cattolici in Italia è molto difficile e riesce incompleta; sono tante e così vive le pressioni sul nostro spirito, determinate da un cumulo d i avvenimenti in parte impreveduti, che non si riesce facilmente a mettersi in uno stato di osservazione storica, senza provare i sussulti della vita vissuta. Onde questi abbozzi, queste specie di fotografie istantanee di u n cavallo che corre, non ci possono dare tutta intiera la figura, ma solo l'ultima mossa, della q a l e abbiamo cercato d i precisare i caratteri obiettivi. Tant'è, siamo o almeno crediamo di essere in u n momento decisivo per la vita nostra nel campo politico e civile; e una rassegna del passato prossimo s'impone al pensiero; tanto pii1 quanto il presente momento, più che di attività nuove, è di raccoglimento, di riflessione, di aspettativa e di speranze. È i l momento, dunque, di ricercare noi e le nostre fatiche, e di collazionare (passi la brutta parola burocratica) i protocolli del passato. Quando in Italia la enciclica Rerum Novarum cominciò a penetrare nelle coscienze dei cattolici, e non fu subito, e a destare u n nuovo fermento di vita, la parola e il programma


di democrazia cristiana chiamava studiosi e lavoratori a ideali più determinati i n ordine alla questione sociale, e creava una falange di forze nuove, che per necessità di vita vennero a contrasto con elementi conservatori, tradizionali, che aveano serbato in Italia e in certo modo esteso i sentimenti religiosi e aveano cercato di formare un'organizzazione nazionale delle forze cattoliche in Italia, raggruppate principalmente nell'opera dei congressi. Ed è tutta storia vissuta da noi quella che dal 1897-98 arriva fino alla tentata fusione delle giovani e vecchie forze dei cattolici d'Italia nel 1902, a l mutamento ministeriale (chiamiamolo così) di Paganuzzi in Grosoli, a l trionfo della tendenza democratica al congresso d i Bologna (1903), alla forte resistenza dei conservatori nel consiglio direttivo e nel comitato permanente generale fino alla circolare e alla caduta di Grosoli (1904), al movimento autonomista e delle giovani schiere e alla sconfessione susseguente, e infine alla attenuazione del non expedit, all'enciclica di Pio X sul movimento cattolico e a l tentativo presente d i una nuova e più larga organizzazione dei cattolici italiani (1905). Tutta questa storia di otto anni (basta accennarla, tanto è nota nelle sue fasi esteriori e nelle sue ragioni intime) ci si presenta oggi sotto due aspetti: come una lotta di due tendenze diverse e anche opposte nel campo delle idee e della organizzazione; e come un lavorio di trasformazione psicologica e ambientale dei cattolici italiani, ed è l'una e l'altra cosa insieme. La lotta e l'urto delle tendenze a molti è sembrato u n fenomeno dovuto alle imprudenze, alle intemperanze giovanili, un fatto personalistico d i semplice carattere morale; a determinare il quale han contribuito vaghezza di novità pericolose oltre che in materia sociale anche in quella religiosa, scientifica e storica, e spirito critico-razionalistico, che da oltr'alpe è piovuto a noi a infestare le nostre belle contrade. E ciò potrà avere anche un'apparenza di vero; però quelli che così dicono non lian considerato che anche tali fenomeni, ridotti alla loro vera e reale entità, senza le esagerazioni polemiche, non avrebbero potuto essere le cause proporzionate di u n movimento generale in Italia, di nuove forze esplicantisi nella vita e in tutti i r a m i


della vita, se non vi avesse corrisposto uii pensiero vero. reale, profondo, che supera le accidentalità e le modalità delle cost: e penetra l'intimo essere della vita. Il cozzo e l'urto delle due tendenze, qualsiasi i l modo, doveva avvenire, perchè vi eran di fatto e si affermavano queste due tendenze; e i beghini dell'armonia e dell'unione dei cattolici (per quanto necessaria nella vitalità religiosa) tendono a sopprimere la vita perchè vogliono sopprimere - cosa impossibile - la discussione, l'opinione, il sistema, la tendenza diversa. Che se la storia della chiesa, anche nel puro campo religioso, ci fa assistere allo svolgersi grandioso delle vive correnti teologiche e teo-filosofiche, all'affermarsi di sistemi pratici e a l cadere di vecchie forme, dando corso alle nuove, è antiscientifico e antistorico pretendere che, mentre il mondo cammina, i cattolici restino a vivere una vita e ad avere una concezione di essa, forse, adatta ad altri tempi o per lo meno che poteva essere l'ultima espressione della potenzialità di quei tempi, e non mai rispondente ai tempi, alle forme, al progresso naturale dei nuovi; e come quella vita potè segnare un progresso sulla prccedente, così oggi nel progredire e nello svolgersi di altre forme umane, nel piantarsi di altre questioni, nell'attuarsi e concretizzarsi di altre guise sociali, s'impongono allo spirito dei cattolici altre e più adatte forme di vitalità. L'affermarsi della quale, come tutte le efficienze umane, avrà anch'esso i suoi lati manchevoli insieme ai suoi pregi; i vantaggi di un'idea, insieme, e quelli di persone che ad attuarla si adoprano, e gli svantaggi che i l concreto dell'azione porta con sè nel tumulto della discussione e della vita. L'avvicinarsi d i queste due tendenze nel contatto d i idee, di opere, di organismi, dovea produrre, come in tutte le cose umane, simpatie, urti, resistenze, trasformazioni. Se non fosse così, la personalità umana, con i suoi pregi e i suoi difetti, scomparirebbe insieme con la vita. Ebbene, questi contatti, urti, trasformazioni, riforme, affermazioni, cadute, formano la storia d i otto anni di movimento democratico cristiano, che ci sembra così lunga come se fosse di più di mezzo secolo. E oggi non rimpiangiamo il passato, nè noi nè i conservatori;


c'è qualche cosa che è caduto e che dorea cadere, c'è qualche cosa che è rimasto, e che è bene sia rimasto: ma soprattutto ci sono esperienza di vita, forze allenate, vitalità nuove, realtà più sentite, difficoltà superate, pensiero più maturo; e più clie altro la grande trasformazione che si è andata operando in questi pochi anni nello spirito, nella cultura, nella orientazione dei cattolici in Italia. Se i l movimento democratico cristiano, come sembra ad alcuni pessimisti ( e lo siamo un po' tutti nei momenti di sconforto) avesse compiuto il suo ciclo, e non dovesse più nulla tentare nel campo della vita sociale e politica in Italia, esso avrebbe già avuta una funzione importantissima nello sviluppo del movimento dei cattolici in Italia: quella, cioè, di avere prodotto o almeno di essere stato l'esponente più visibile della trasformazione del pensiero e dell'atteggiamento dei cattolici italiani verso la vita moderna e i problemi che da essa sorgono ad agitare la coscienza umana. Chè se oggi si parla di reazione, e c'è, essa non può essere che accidentale, limitata anche nei suoi sforzi, e tale che determina naturalmente gli elementi di rimbalzo, e di controreazione che si produce negli spiriti, la quale seleziona, in una opera intima e spesso invisibile, la vitalità, e la lancia verso il suo destino. Questa trasformazione non è a tutti visibile nè sembra generale, anzi fra dubbi, incertezze, manchevolezze ( e come è possibile non ve ne siano?) par che abbia perduta l a forza dell'assimilazione e l'energia dello sviluppo. Eppure non ì: così: essa è vitale e forte. Nel campo sociale (è già una conquista) son penetrati lo spirito e le idee che Leone XIII assommò, come precisandole, con l'enciclica Rerum Novarum, la quale volle essere ed è quella faccia di idee e di criteri sociali, che riguarda e prospetta le idee e i criteri religiosi e cristiani in ordine all'attuale crisi operaia: idee e criteri che egli bandi, come parola geniale perenne della chiesa, ai cattolici militanti e non militanti, a popolo e a governanti, a poveri e a ricchi, n tutti, perchè tutti richiamava dal tumulto dell'agitarsi di plebi incomposte alle sublimi considerazioni del diritto cristiano. Sventuratamente la parola di Leone XIII divenne e fu appresa come esplicazione particolare di vita, neppure di tutti i catto-


lici, e bandiera di u n programma specifico, nel campo civile e politico; per cui dovette lo stesso Leone XIII nella Craves de communi restringere e precisare meglio i termini religiosi del problema sociale, dentro i quali termini credettero doversi organizzare i cattolici. Anche questa forma fittizia doveva venir meno; essa servì a far conoscere e amare un documento, dal quale si inizia, come concreta guisa di tempi, l'interessamento della chiesa per l'attuale questione sociale. Per virtù del movimento democratico cristiano è penetrato il convincimento, ormai generale, che i cattolici più che appartarsi in forme proprie, sentano con tutti gli altri partiti moderni la vita nelle sue svariate forme, per assimilarla e trasformarla; e il moderno, più che sfiducia e ripulsa, desta i l bisogno della critica, del contatto, della riforma. E il senso d i riforma, d i miglioramento, di revisione della vita, è divenuto generale nella cultura dei cattolici, la cui mentalità si va evolvendo insieme all'acuirsi del bisogno d i un ritorno intiero alla vita cristiana e di una trasformazione reale in senso cristiano di tutto l'agitarsi del pensiero e dell'attività moderna, senza le supercostruzioni di epoche precedenti e gli ostacoli di elementi fittizi e privi di vita. A tale slancio d i pensiero nuovo facevano contrasto e impaccio le forme viete che riunivano la forze dei cattolici militanti; e fortunati e dolorosi eventi fecero scomparire quelle forme e quelle formule, già moralmente cadute da un pezzo dall'animo dei cattolici riformisti. Che se i rottami ingombrano ancora la strada, e concezioni negative ancora predominano, lo spirito è libero, e nel rifar da capo non è possibile tornare indietro. In tutto questo lavorio, ora lento ora affrettato, in questi precipitati eventi e in questo sollevarsi e riaffermarsi della coscienza nuova, molte speranze sono cadute, molte disillusioni hanno colpito l'anima entusiasta precorritrice di eventi; ma nel faticoso ascendere della vita molto si è conquistato, anclie quando si temeva u n ritorno, anche quando la reazione si mostrava più forte, e le crisi scotevano vecchi edifici e nuove speranze. Così tutti gli eventi umani, quando mostrano che si va in-


dietro, spingono l'umanità in avanti, nel suo cammino fatto di dolorose esperienze, di prove ardite, di lotte impari, di sconfitte angosciose e di impreveduti trionfi.

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E solo oggi, dopo tanto oscillare, dopo una serie d i eventi or lieti or tristi, dopo aver percorso la faticosa via del progresso sempre alla coda del movimento, facendo anche la funzione di resistenza anzichè di spinta, solo oggi possiamo dire di avere la possibilità di porre anche per noi il problema n a z i ~ n a l e , ~ come una sintesi d i tutti i problemi del vivere civile, dal politico a l religioso, dall'economico a l sociale, dall'educativo allo scientifico, in ordine alla vitalità presente e al progresso della civiltà. Ad alcuni sembrerà strano che io nel problema nazionale, come in una sintesi, includa anche il problema religioso, e troverà per lo meno poco preciso il mio dire: per costoro sento i l dovere di spiegare la posizione mentale che io assumo, e che risponde a l carattere reale del movimento. Quando si parla di vita nazionale, cioè di quella vita che un popolo, uno di nome, di razza, di organismo, vive e produce ed evolve, si deve parlare di tutte le manifestazioni della vita, quali nel fatto esteriore, rispondente all'interiore movimento degli individui e della società, si esplicano e si sviluppano; e della loro realtà, estensione e intensità. Così anche i l problema religioso, il massimo nell'ordine delle esigenze spirituali, f a parte di tutta una agglomerazione organica d i popoli, ed è trattato nella misura delle sue manifestazioni e nella posizione del suo svolgimento. Ora, quando affermo che i cattolici si debbono anch'essi, come un nucleo di uomini di u n ideale e di una vitalità specifica, porre davanti al problema nazionale, che £ra gli altri problemi involve in sintesi anche il religioso, io suppongo i cattolici come tali, non come una congregazione religiosa, che propugna da sè u n tenore di vita spirituale, nè come l'autorità religiosa che guida la società dei fedeli, nè come la turba dei fedeli che partecipa attivamente e passivamente alle elevazioni


e ai combattimenti di vita spirituale, nè come un partito clericale che difende i diritti storici della chiesa, in quanto vitalità umana d i diverso ordine e di ragione concreta, specifica, ma come una ragione di vita civile informata a i principi cristiani nella morale pubblica, nella ragione sociologica, nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita politica. Questa concezione è diversa da quella avuta da mezzo secolo a questa parte, quando una ragione così detta clericale faceva i cattolici sostenitori dei diritti regi di tradizioni ecclesiasticocivili, di regimi politici di casta, e l i poneva contro le rivolumzioni liberali che nell'affermarsi d i u n potere laico assoluto, traente origine dalla presente sovranità popolare, assommavano in sè la guerra contro lo spirito della chiesa per abbatterne le forme. Oggi, compiuta la rivoluzione, assodati i nuovi regimi, dato l'aire alle nuove formule politiche, sviluppato il carattere costituzionale della vita esteriore, i l tipo clericale nel vecchio ed esteso senso della parola è scomparso: gli avanzi son pochi o ridotti all'impotenza; o per lo meno non può avere sviluppo una qualsiasi reviviscenza clericale nel suo tipo storico. Non è scomparsa però l a tendenza larvata, la minuta concezione tradizionale, la visione piccola d i una vita che ha perduto la sua ragione; la quale è ingrandita, ingigantita anche dalla coufusione dei principi d i vita religiosa con le forme storiche esterne e accidentali di essa. È chiaro che la ragione religiosa, come movente logico e come finalità ultima, rimane integra nel concetto di ogni attività esteriore personale o collettiva di cattolici, anche nella esplicazione della vita civile, ma essa non è più legata a ragioni storiche e solo si aderge con i l motto assunto da Pio X instaurure omnia in Cristo; e sarà il motto di tutti quelli che militauo nella chiesa con la fede viva, con l'animo vinto dalla grazia, ciascuno secondo la misura di partecipazione avuta dallo spirito: l'esegeta che dal suo studio penetra i segreti delle sacre carte vale quanto l'umile fra' Galdino clie raccoglie le noci mendicando alle porte degli operai di un villaggio, cui lascia la benedizione e l'augurio del francescano. Ma la vitalità nazionale, alla quaIe fu estranea nel suo agi-


tarsi organico, la forza dei cattolici (antichi e nuovi), e lo spirito della vita pubblica, basato sulla laicizzazione delle forme esterne per arrivare a scristianizzare le interne, non può assiimere la guisa di una lotta religiosa, di una contesa per la fede, di una guerra di religione: essa è e resta civile nella sua caratteristica e nella sua finalità immediata, e chi vuole operare in essa, nella guisa presente, deve assumere questa posizione necessaria, imposta dalla natura dell'ambito di vita e dalle caratteristiche del pensiero presente. I n essa vita ogni tendenza dello spirito, ogni elaborazione di programma, ogni fede politica avranno quella rappresentanza morale che la forza del pensiero stesso, l'unione degli uomini che vi aderiscono, la combattività delle forze che necessariamente si sprigionano da essa unione, vanno determinando. Così, cattolici o socialisti, liberali o anarchici, moderati o progressisti, tutti si mettono sul terreno comune nazionale, e vi lottano con le armi moderne della propaganda, della stampa, dell'organizzazione, della scuola, delle amministrazioni, della politica. Ora, io stimo che sia giunto il momento (tardi forse, all'uopo, ma non mai tardi per l'inizio di esso) che i cattolici, staccandosi dalle forme di una concezione pura clericale, che del passato storico formava una insegna di vita, e del presente una posizione antagonistica di lotta - e sviluppandosi dalla concezione univoca della religione che non solo era primo logico e unico finale, ma insegna di vita civile e ragione anch'essa antagonistica di lotta, - si mettano a paro degli altri partiti della vita nazionale, non come unici depositari della religione, o come armata permanente delle autorità religiose che scendono in guerra guerreggiata, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del viver civile, che vuolsi impregnato, animato da quei principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana come informatrice perenne e dinamica della coscienza privata e pubblica. E la potenzialità della vita cattolica italiana a trasformarti in partito nazionale è andata maturando attraverso stenti, difficoltà, dubbi, incertezze, avversioni: al congresso di Bologna si cominciò a credere possibile in Italia la creazione di un partito


cattolico nazionale, e il prudente e deciso contegno di Grosoli fece sperare che, i n u n avvenire non lontano, con la graduale conquista della personalità vera di partito, i cattolici ( p u r chiusi nell'ordinamento dell'opera dei congressi) avrebbero potuto vivere una vita civile e politica collettiva, anche durante i l regime del non expedit. E quando la lettera circolare d i Merry del Va1 sciolse i l comitato generale del1'o.d.c. si andò compiendo una vera trasformazione nella psiche dei cattolici; le nostre forze militanti, nello sfasciarsi del vecchio organismo e nel veder limitata l'attività delle associazioni cattoliche sostanzialmente a l movimento religioso, cominciarono a riacquistare la coscienza chiara dell'ibridismo costituzionale dell'organizzazione dell'opera dei congressi, e la conseguente impossibilità di raggiungere in essa una posizione qualsiasi di partito nazionale. La elaborazione lenta e pertinace tentata dai migliori uomini di parte cattolica messi alla direzione dell'opera dei congressi, verso una personalità propria dei cattolici militanti, cozzava fortemente non solo con le tendenze della parte conservatrice e refrattaria, che formava l'elemento tradizionale dell'organismo dei comitati parrocchiali e diocesani, ma con la responsabilità e disciplina ecclesiastica, di cui fu circondata un'opera laica sorta con fini e con criteri meramente d'azione religiosa. Questa responsabilità diretta della chiesa riguardo un'opera laica civile e sociale, o doveva far entrare papa e vescovi (intervenienti in una forma visibile e col carattere dell'autoriià) nell'ambito delle lotte, delle discussioni e delle passioni umane, e ciò non semplicemente come guida, norma, dottrina, ma come partito, come fazione belligerante - una specie di rinnovato medio evo con i poteri mistici di pastorale e di spada ; o dovea impedire che l'opera laica civile e sociale, costituita sotto la responsabilità diretta della chiesa, varcasse nelle sue attività i limiti di u n campo puramente religioso. La prima ipotesi era ed è impossibile oggi, e sarebbe di grave danno alla chiesa, che non ha certo la missione storica che ebbe nel medio evo, nè partecipa direttamente o i n forma eminente e internazionale al regime dei popoli cristiani; - la seconda ipotesi quindi veniva come conseguenza logica, e fu


imposta in Italia non solo per una serie di fatti storici legati ai più vivi interessi religiosi, ma anche per le condizioni stesse del pontificato romano, che, spoglio con gli altri principi d'Italia dell'antico potere, non avrebbe potuto atteggiarsi a semplice pretendente politico, nè avrebbe potuto avviare direttamente un'azione nazionale dei cattolici, senza gravi ripercussioni nello spirito stesso della religione della gran massa del popolo italiano. Questo mostrarono di non intendere gli uomini di centro del nostro partito, e anche i più illuminati del mondo vaticano, quando, sorta a vigoroso impulso la democrazia cristiana, buona e decisa a fronteggiare i socialisti sul terreno sociale e politico, vollero circoscriverne l'azione togliendole l'autonomia e incorporandola nell'opera dei congressi, affidata sempre più da vicino ai vescovi, a l vicario del papa, alla congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, entrando così, non solo (ed era necessario) come dottrina morale e religiosa, ma anche come organizzazione laica nel reparto degli affari ecclesiastici. Allora le preoccupazioni dei borghesi, dei ricchi, dei legittimisti, dei padroni, dei conservatori, tutti più o meno cristiani e figli della chiesa, si riversarono contro la democrazia cristiana e crearono attorno a parroci, a vescovi, non solo i l senso della diffidenza, ma i l timore che questo movimento celere e alacre nel campo sociale, promosso in nome della chiesa, avrebbe allontanato dalla religione molti che bene o male erano sostenitori del culto, non raramente protettori dei diritti delle chiese, amici influenti del ceto ecclesiastico, buoni e anche l'uno per cento più cristiani; e le autorità ecclesiastiche con prudente riserbo (quando non credettero addirittura di levarsi di tra i piedi quegli incomodi agitatori) impedivano i l movimento democratico cristiano, evitando così di essere trascinate nel tumulto delle passioni popolari, che ora assumevano i l carattere di attrito fra capitale e lavoro, ora la forma di una lotta amministrativa, e ora l'effervescenza di ripicclii anticlericali. Lo stesso awenne in altro campo dal congresso di Bologna in poi. Invero, il complesso dei fatti compiuti, cioè della storia della rivoluzione italiana e del presente assetto nazionale, per noi cattolici non è una semplice constatazione di fatto o un


pLjnto di partenza per l'avvenire o un naturale presupposto politico o un ideale raggiunto; per noi, dopo più di quarant'a~ini, rimane ancora una pregiudiziale da risolvere. Mi spiego: tagliati fuori dalla vita nazionale dal 18P8 in poi, a pigliare una data decisiva, fallito il neo-guelfismo, rimane senza seguito, senza significato, amorfa e personale la partecipazione di alcuni alla vita parlamentare ( i l più notevole fra tutti il siciliano Vito d'0ndes Reggio) e poscia trasmutato in autorevole non expedit il volontario non eletti & elettori di don Margotti, i cattolici non solo non partecipavano allo svolgersi dei fatti nazionali, nè positivamente nè negativamente, ma furono degli assenteisti, i quali sentivano nella loro coscienza forte la ripercussione delle sette anticristiane, delle nuove leggi antireligiose, della nuova civiltà portata in nome di una laicizzazione e scristianizzazione generale della vita dei popoli; e alla condanna morale e psicologica del male enorme fatto alla religione legarono la condanna di nuove forme civili, di nuove aspirazioni e ideali nazionali, di nuovo flusso di vita che pervase la così detta terza Italia. Questo stato psico-morale dei cattolici italiani non è passato nella loro coscienza come una riprovazione storica contemporanea, che non tocca il presente (come in tante nazioni), ma è rimasto duraturo e vivo con la questione romana aperta i l 20 settembre 1870, la quale sintetizza in sè i fatti antireligiosi e i fatti politici della religione italiana. Di questa posizione credettero avvantaggiarsi i legittimisti, i borbonici, i credenti nel diritto divino, tutta roba da museo, che assunse l'etichetta cattolica, perchè dalla rivendicazione sempre viva dei diritti del papato poteano aver vita i diritti morti delle dinastie di antichi re e principi italiani. Tutto ciò creò e alimentò il pregiudizio (che è servito così bene agli avversari) che i cattolici siano nemici della patria, antinazionali, austriacanti e borbonici, e che perciò non sì sarebbe mai riusciti a formare un partito cattolico nazionale. E quando invece apparve per prima la democrazia cristiana, che assunse forme d i partito popolare cattolico italiano, i conservatori cattolici e i liberali c'interrogarono sulla ~ r e ~ i u d i z i a l e ; e la pregiudiziale tornò a esser sentita fra una discussione e


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l'altra, nel riapparire del partito cattolico italiano affermatosi a Bologna. Però il problema non era facile ad essere affrontato, e sembrava ancora immaturo l'ambiente; due ostacoli ci si paravano: il timore (non interamente ingiustificato) che nell'accettare i l presente stato di cose e la storia dei fatti compiuti ( p u r senza assumere responsabilità) si sarebbe recato pregiudizio alla rivendicazione di quella libertà e indipendenza che il papa reclama e che gli son necessarie per l'esercizio del suo alto ministero; e i l timore che si sarebbe creduto alla ratifica di alcuni fatti, che non presentano una sana figura morale, e di quegli intendimenti delle sette anticristiane che presiedettero alla formazione della nuova Italia. Intanto questa pregiudiziale continuava ad incombere come cappa di piombo sui cattolici organizzati, nonostante che singolarmente fosse stata dalla gran maggioranza risoluta in senso nazionale; ma le franche osservazioni del convegno dei giovani lombardi a Varese, l'atteggiamento dei giovani democratici cristiani in tutta Italia, le polemiche giornalistiche sui martiri d i Belfiore e sulle feste de11'8 agosto a Bologna e la decisione dei cattolici bolognesi d i partecipare i n corpo all'inaugurazione d'un monumento patriottico, mostravano che oramai si era maturi a uscire ufficialmente da una posizione incomoda ed equivoca, mentre l e nuove discussioni sul carattere delle rivendicazioni pontificie mettevano in luce nuove facce del difficile problema, staccandolo decisamente dal campo dei diritti storici. E proprio questa pregiudiziale doveia essere il tallone d i Achille del conte Grosoli. Egli credette possibile autorevoln~ente, in nome di quella associazione cui era affidata la direzione di tutte le forze cattoliche organizzate, sgombrare il terreno dal rottame d i vecchie concezioni e mettere liberamente i cattolici sul terreno delle patrie conquiste, dopo avere non meno esplicitamente affermato che a base della vitalità pubblica dei cattolici italiani sta il diritto del pontefice alla libertà e indipendenza, e come limite all'attività pubblica la osservanza allora intiera del non expedit. Però, per la seconda volta, in modo rumoroso e con effetti gravissimi, si riscontrava l'antinomia inevitabile tra partito catto-


lico laico nazionale di carattere sociale e civile e le posizioni e le funzioni dirette della gerarchia ecclesiastica, specialmente del papa. La dichiarazione Grosoli infatti, necessaria per u n partito cattolico nazionale, oltre ad urtare i pochi fossili borbonici e lorenesi, urtava i l sentimento di coloro che, pur non pensando a rivendicazioni legittimiste, continuano in buona fede, per tradizione ed educazione, ad accomunare l'opera deleteria delle sette con le condizioni storiche dellYItalia; urtava non poche case di principi spodestati e qualche corte di re e di imperatori, non esclusa la vecchia Austria; urtava le diverse sfumature dei clericali francesi e spagnoli, che tuttora premono sull'opinione delle sfere della corte pontificia; urtava infine, e soprattutto, la posizione presa dal papato dal 1870, i l quale non può, diciamo così, ratificare, anche negativamente, alcune delle cause storiche che condussero al presente stato, quando ancora manca la soluzione della questione, romana o anche un modus vivendi, senza pregiudizio, non dei diritti, ma di quella linea di condotta che i l papato segue nell'attuale conflitto. E poichè la dichiarazione del conte Grosoli non poteva semplicemente assumere i caratteri di u n fatto libero, limitato all'atteggiamento dei cattolici, o meglio, di quei cattolici che formavano la base costituzionale della presidenza Grosoli, ma si dovea costituzionalmente e moralmente far risalire alla autorità ecclesiastica suprema, questa intervenne recisamente per non rimanere esposta a possibili ripercussioni, sia nel campo religioso che in quello diplomatico, rinnovando sotto certi aspetti quello che successe nel 1902 per la democrazia cristiana. E i l male di questa condizione antinomica (che diverrebbe enorme se si dovesse formare un partito cattolico parlamentare sulla base dellyopera dei congressi, perchè sul pontefice, sotto la brutta veste di pretendente politico, ricadrebbe la responsabilità perfino di ogni qualsiasi interpellanza; - come nei singoli comuni diviene insostenibile la posizione dei vescovi e degli arcipreti che direttamente si mettono a capo dei partiti cattolici municipali) il male, dico, in questa condizione antinomica non è nè della autorità ecclesiastica, che deve salvaguardare quegli interessi più alti derivanti dal quotidiano regime ecclesiastico,


nè dell'organizzazione civile dei cattolici, che non possono, perchè tali, veder limitata l'attività cittadina e sociale, a cui sono legati molteplici interessi, senza che venga meno e si esaurisca la stessa attività dei cattolici, che spesso arriva a confondersi con quella dei conservatori liberali: - è i l fenomeno triste d'Italia e di Francia. La colpa, invece, è stato l'ibridismo della tendenza religiosa concretizzata nelle associazioni cattoliche, e principalmente, l'enorme ibridismo che aveva la vecchia opera dei congressi, la quale, sorta con modesti caratteri religiosi per appoggiare e rendere meno isolata (specialmente nell'Alta Italia) l'opera dei parroci e dei vescovi, attorno ai quali si formarono i comitati parrocchiali e diocesani, in uno sforzo d i espansione necessaria o di invasione esagerata, cercò di unificare tutte le forze cattoliche, affrettando l'adesione di associazioni cattoliche preesistenti, e perfino di confraternite; assorbendo i l movimento universitario, che intristì; invadendo anche la società della gioventù cattolica che resistette energicamente; ottenendo nel suo seno rappresentanze della società scientifica, di quella dei pellegrinaggi e della stampa cattolica, e circoscrivendo nel secondo gruppo tutta l'azione democratica cristiana con i suoi circoli e fasci, le sue unioni professionali e le sue cooperative, e fissando una sessione generale pel movimento amministrativo, che rimase sempre locale e autonomo. I n tutto questo lavorio di unificazione e di espansione, se i cattolici assursero a potenzialità organizzata, u n po' figurativa nei quadri, ma realissima nell'esercito delle masse, rimase a base dell'opera il carattere non solo religioso, come vita d i tutto i l movimento cattolico, ma ecclesiastico, come carattere dell'organizzazione stessa; e si arrivò sino a richiedere l'intervento dell'autorità suprema, del papa, prima per averne approvazioni e incoraggiamenti: e ne diedero Pio IX e Leone XIII; poscia per averne delle credenziali per superare le diffidenze dei vescovi, e si ebbero anche queste; indi per avere una forza reale nell'opera d i unificazione di fronte alla gioventù cattolica, alle confraternite, e si ottenne l'appoggio. Infine, sorto il conflitto tra progessisti e conservatori, tra democratici e non democratici, il clamore delle contese passò il campo della organizzazione e arrivò ai principi religioso-sociali, all'urto delle persone, al cozzo


dei programmi, e l'autorità intervenne ad assicurare la purezza delle credenze e dei principi morali e la regolarità della disciplina ecclesiastica (Graves de Communi, 1901). E vedendo che neppure ciò poteva ridare la calma e l'ordine alle file dei cattolici, che si sforiavano di trascinare l'autorità ecclesiastica nel forte del dibattito per strapparle una sconfessione e una condanna, limitò la portata dell'opera a i caratteri religioso-sociali e ne assunse l'alta responsabilità (27 gennaio 1902). Così si spiega, storicamente e logicamente insieme, la incoinoda posizione della Santa Sede nella formazione di u n partito cattolico in Italia. La quale posizione, anche dopo i fatti del 1904, si ripete adesso: l'attenuazione del non expedit, o il tentativo di una riorganizzazione di forze cattoliche, si ripresenta a molti come un tentativo di coalizione clericale, anzi clerico-moderata, una specie di ritorno storico della reazione del secolo scorso alle intemperanze e invadenze della rivoluzione francese e freno alle successive. Noi escludiamo tutto ciò dall'ascensione della nostra vitalità, e ci domandiamo ancora:, è possibile che la potenzialità dei cattolici si svolga in Italia nella forma di un partito nazionale?

Prima di rispondere a questa domanda occorre mettere in chiaro i termini della questione: e quindi risolvere anzitutto la pregiudiziale nazionale. I1 passo d i Grosoli nell'affermare la nazionalità italiana, salvo i diritti della Santa Sede, come prodotto di una coscienza già in formazione e come risultante d i molte affermazioni consimili; e l'attenuazione del vincolo del non expedit, con la politica del caso per caso e la susseguente entrata d i alcuni cattolici alla camera dei deputati, e, più che altro, l'autorevole ed implicita dichiarazione del pontefice Pio X nell'enciclica Il


fermo proposito (*), sono l'esponente della situazione e mostrano che già si è maturi ad affrontare la pregiudiziale nazionale. Essa, per quel che riguarda l'unità della nazione, è oramai ristretta alla sola questione romana. I1 resto delle questioni storiche non ci preoccupa più che non ci preoccupa, per esempio, se i l diritto su Napoli fosse degli aragonesi o degli svevi; se i borboni fossero legittimi o no; insomma, la questione, dal punto di vista del diritto, è sfumata. I l fatto l'ha soppressa, come tutti i fatti storici precedenti. Un popolo non ha i l dovere di studiare la casistica delle guerre e delle conquiste per giudicare sulla legittimità di esse, o meno; la fedeltà ha i l limite nella potenzialità della resistenza; il diritto storico delle famiglie reali ha i l valore che su loro riflette il bene di un regno o di un popolo. Oggi l'ideale della vita pubblica costitutiva dei regni è quello che ha animato la Svezia e la Norvegia, che senza guerre scindono i loro destini che una forza innaturale o la necessità della difesa uni, solo con protocolli e discussioni, senza diritti di pretendenti o legami di sovranità, senza bagliori di armi e intervento di chiese sanzionanti il diritto divino. (*) ... Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita pubblica del paese, rappresentando i l popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarci da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s.m., Pio IX, e seguita poi dall'altro R'ostro Antecessore Leone XIII, durante i l suo diuturno pontificato, secondo la quale, rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo. Senonchè, altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società. che a d ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi della chiesa e n e facciate domanda. Ora la possibilità d i questa benigna concessione Nostra. induce il dovere nei cattolici tutti, di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa attività già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei comuni e dei consigli provinciali, s i estenda altresì a prepararsi convenientemente ed organizzarsi per la vita politica conle fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1901 della presidenza generale delle opere economiche in Italia. Pio X (Enciclica a I l fermo proposito D, 11 giugno 1905)

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- Sruszo

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Sintesi sociali.


Ma la storia della rivoluzione è onesta o disonesta? Questa domanda si può estendere a tutta la storia; e la risposta sarà identica. Noi oggi possiamo affermare che fu un bene l'unità della patria, che fu un bene che per essa si fosse lottato; e che però, nel perseguire questo ideale, molti e generosi ebbero slanci di virtù; molti ingannarono e fecero male. I1 patrimonio che oggi abbiamo può essere inquinato, rovinato anche dalle ipoteche di u n passato dilapidatore; ma ci ha dato una vita, e l'affermiamo, questa vita, col nostro intervento. A coloro che possono rinfacciarci lo scadere dei costumi, la lotta alla chiesa, il trionfo del liberalismo, la propaganda sovversiva, rispondiamo che l'Italia, divisa in sette stati, avrebbe subito anche peggio, come la Francia, anzi come l'Austria; ove a riprova dei fatti governa Francesco Giuseppe di Asburgo dal 1848, cioè dalla più formidabile e retorica rivoluzione italiana; quel Francesco Giuseppe che tenne testa alle rivoluzioni e che poscia vi si dovette sobbarcare. Anche lì c'è tutto quel male che si attribuisce allYItalia una, e che sarebbe stato anche nell'Italia divisa, anzi anche (forse peggio, per natura1 reazione) negli stati pontifici. Resta dunque solo la pregiudiziale della questione romana. Essa viene posta in questi termini: a) è possibile un partito laico cattolico, che si disinteressi, come partito, della questione romana? b) e se è possibile, fino a che punto può prescinderne, senza mancare ai suoi doveri? c) e se un qualsiasi fatto concreto determina un conflitto o lo acutizza, fra lo stato italiano e la chiesa romana, quale può essere i l punto d'interferenza fra il partito cattolico e i due poteri? Prima però di esaminare i termini della pregiudiziale bisogna assodare il valore pratico, concreto, presente della questione romana i n rapporto alla nazione italiana. I1 sommo pontefice, come capo della chiesa cattolica, non può rinunziare alIa sua ingenita libertà e indipendenza: essa è tal cosa che diviene nel concreto il fatto stesso religioso, e praticamente e storicamente essa dà origine a quelie fasi storiche che si riducono, semplicizzando, o alle persecuzioni delle cata-


combe o all'autorità morale della decadenza dell'impero romano, o all'autorità paterna su Roma per consenso di popolo, o a l potere internazionale del medio evo, o alla potestà politica dell'evo moderno; sempre o libero o perseguitato, mai i l papa fu servo, se non a patto di perdere la sua potenzialità morale e la sua stessa autorità. Oggi la libertà, quella certa libertà religiosa che si consente in uno stato neutro, e che moralmente è acquistata da una tregua di lotte sfibranti, è necessità riconoscere che esiste: manca l'elemento giuridico che sanzioni la libertà di fatto, e la renda intiera nell'ambito di vita religiosa che si esplica e si manifesta al di fuori. Fatto giuridico che tolga a un potere laico, non la possibilità (cosa che non fece neppure il potere temporale) della violazione del diritto alla libertà, ma la figura giuridica, la ragione o meglio i l pretesto legale, che sanzioni, invece, la violenza e l'arbitrio di qualsiasi atto in contrario. Precisata in questi limiti la natura essenziale dei diritti della Santa Sede, nessuno ignora che il fatto storico preme fin troppo, oggi, da non consentire altro che un modus vivendi, una ragione equivoca, nella quale questi due poteri convivendo non s'incontrino, nè si riconoscano, nè si urtino, nè si coalizzino; finchè una vera rivoluzione storica sciolga il problema che, sorto dalle persecuzioni rivoluzionarie e maturato all'ombra di un editto di tolleranza, trovi, attraverso nuovi tempi, una forma di vita pubblica. Tutto ciò, si dirà, tende a rafforzare lo stato italiano e a indebolire la chiesa. Preoccupazione fallace di uomini senza fede. Tutto ciò è i l corso naturale degli eventi. Nessuna affermazione e nessuna negazione può spostare il fatto da questi termini e crearne un altro: nessuna persuasione psicologica tende a un termine concreto, possibile, maturo; le vecchie concezioni clericali non hanno altra arma che una protesta, un lamento, un insulto; nè altra posizione che l'assenteismo e l'aspettare. Oh! l'aspettare ! anche noi aspettiamo, non il francese o il tedesco che rimetta la Santa Sede in trono a Roma (nessuno al Vaticano penserebbe ciò, e i l papa rifiuterebbe soccorsi incomodi e posizioni belligeranti); aspettiamo invece che da


nuovi tempi sorga la nuova orientazione della nazione verso la chiesa, come virtù vivificante, non come pretendente politico; come forza unificante, non come energia che dispaia; ragione legale d i altre garanzie che non siano u n potere civile o una difesa militare, o una vigilanza sbirresca che faccia la ronda a l Vaticano. È così diverso il pensiero contemporaneo, che non si può oggi concepire u n papa che governi da sè, che abbia il suo parlamento e i suoi soldati, i n cui nome si batta moneta o si punisca u n delinquente; e la mentalità è il prodotto dei fatti concreti e produce le leggi e la storia. Si sarebbe concepito u n potere temporale sotto l'impero romano anche dal p i ù ortodosso dei cattolici del tempo? Con ciò non 110 dato la soluzione del prohlcma, che resta ( e come avrei potiito'!); iua invece 110 dato i contorni d i quel che è oggi la questione. Essa è insolubile e dallo stato e da u n partito, sia p u r cattolico; ma sono il papa e gli eventi che la determinano alla soluzione. È chiaro che uno statu quo, una specie d i armistizio, una impregiudicata posizione d i sosta, che non implichi rinunzie, che non pregiudichi diritti, ma che dia alla chiesa una libertà d i mosse e allo stato una serenità d i lavoro necessaria, è la prova del fuoco della coesistenza dei due poteri, non antagonistici, ma solo indipendenti, dei quali nessuno abbia l'animo alla lotta, alla sopraffazione nel senso politico, e ciascuno senta i doveri della neutralità nei rispettivi campi, civile e religioso. Questo stato reciprocamente pacifico non è possibile a sistemi costituzionali, ove forze, oggi positive domani negative, si contenderanno la vita; donde deriva la tendenza a invadere i l campo religioso, a penetrare nel santuario della chiesa ed anche a colpirne i l capo. La lotta detta anticlericale, che non è a l ~ r o che lotta anticristiana e che non risparmierebbe i l p i ù ideale dei governi pontifici, potrà accendersi ed acuirsi; avrà, certo, i suoi quarti d'ora, invaderà scuole, cattedre, stampa, vita civile, soffierà nelle passioni patriottiche, invaderà l'organismo sociale. Tale lotta, che non è e non sarà mai fase nuova nella vita dei popoli, oggi, nelle forme costituzionali, d à le ragioni negative alla formazione d i u n partito d i cattolici, che nell'at-


trito della vita pubblica difenda i diritti del popolo alla vita religiosa e che nei municipi e nelle provincie, nelle opere pie, nelle scuole, nei parlamenti, combatta vigorosamente le sopraffazioni anticlericali. Tale partito, i n Italia, messo a pari degli altri sul terreno della vita nazionale, non potrà spingersi più i n là d i ogni partito d i cattolici in ogni altra nazione e divenire l'esponente d i una ragione politica e territoriale del romano pontefice; della quale ragione, come partito e nel concreto della vita della nazione, si dovrà disinteressare, dal punto d i vista d i u n complesso d i rivendicazioni concrete e tassative. Ed è opportuno che il non expedit venga meno i n momenii in cui le autorità civili dell'Italia mantengono a l q u a n ~ o sereni i rapporti con i l romano pontefice, e che la politica ecclesiastica sembra meno decisa nel ritorno al passato, perchè l'entrata dei cattolici nella vita pubblica non rappresenti u n assalto di soldati a invadere i l campo d i u n avversario politico per sgominarlo, ma u n intervento opportuno e quasi direi necessario al naturale evolversi della vita italiana. Si dirà che così il problema della questione romana non ì: stato risoluto: certo è così, ma chi pretende risolverlo avrà u n hell'affannarsi: i castelli d i carta sempre vengono meno. « O degli umani antiveder bugiardo

esclameranno i posteri, quando avranno esaminato quel che si pensa da molti i n ordine a tale importante questione, dopo che gli eventi avranno dato i l loro responso. Qualunque possano essere i criteri presenti, le mire, le finalità, favorevoli o avverse, e del resto tutte vaghe, imprccise, indeterminate, la questione romana, anche nella ipotesi ( l a pii1 razionale) della formazione d i u n partito cattolico che, come partito politico, se ne disinteressi, rimarrà per i cattolici d i qualsiasi tendenza, anzi per gli italiani tutti, favorevoli e avversari, come u n necessario punto di arrivo d i u n c a i m i n o a noi ignoto; come u n necessario svolgimento d i una potenzialiti insita nell'anima italiana; come u n necessario punto d i parlenza d i nuova grandezza morale, nell'Europa dell'avvenire. Oggi noi non possiamo fare più la questione del poiere temporale così e semplicemente come u n ritorno al passato,


allo stesso modo che non la potevano fare i cattolici del secolo XIV, quando la trasformazione del diritto internazionale europeo andò creando il diritto pubblico civile, nella distinzione dei due poteri e del diritto religioso della chiesa da quei diritti e poteri clie la chiesa ebbe, come centro di vita civile e politica citropea, fino alla cattività di Avignone, e allo scisma d i occidente; e pure anche allora la società progrediva e la chiesa si rinvigoriva, spogliandosi del bagaglio dei diritti medioevali, che nelle forme concrete non rispondevano più ai bisogni dei tempi. Si avverta poi che quando noi diciamo che i l partito nazionale dei cattolici prescinde dalla questione romana, si intendono due cose: che esso non la pone come un pririto politico nella sua azione, sicchè esso debba andare in parlamento ed entrare nella vita pubblica con un programma da conseguire, Era cui il ritorno del potere temporale: non sarà mai possibile che uu partito politico, e peggio il cattolico, possa risolvere con una azione diplomatica o un atteggiamento parlamentare la questione romana; di cui il papa non solo è l'unico giudice competcnte, ma anche l'unica forza attiva di una soluzione che mille lattori dovranno maturare. E quando dico dovranno maturare non ho fatto un semplicc atto di fede, che mi guarderei bene dal fare con una specie di senso profetico: ho semplicemente argomentato come uno statista che vede le ragioni dei fatti e ne intuisce il corso. Nessuno potrà prescindere dalla questione romana nel senso che si possa far dimenticare, che possa cadere da sè rimanendo insoluta. che possano perpetuarsi le presenti condizioni del pontefice i11 infinito: non lo credono nè i moderati che vorrebbero una conciliazione con la base dello statu quo, nè i socialisti che vorrebbero una completa abolizione dell'ente chiesa, nè i clericali che sognano il ritorno al passato; nessuno che pensi cile la storia d i venti secoli abbia sancito che le sorti d'Italia non possono scompagnarsi dal papato. può ritenere che l'Italia risolverà la questione romana sopprimendola. Essa risorgerà sempre: lo stato di calma. il forte attrito. l'urto. la tacita intesa, un modus vivendi, un aperto contrasto saranno le fasi clie si ripeteranno. colpa di uomini e di eventi:


ma tali fasi faranno ricordare che esiste una questione la cui soluzione sarà maturata nella coscienza italiana. È chiaro che u n qualsiasi partito nazionale di cattolici avrà il diritto e il dovere di intervenire negli atteggiamenti che il governo piglia verso la chiesa, come interviene nelle altre nazioni, sostenendo quei principi e quei diritti della religione e dell'anima cristiana del popolo, che formano la caratteristica dei partiti cattolici moderni in tutte le nazioni, senza essere mai uii partito clericale, cioè una emanazione d i chiesa. E ribadisco questo concetto, già espresso, con la considerazione che altrimenti un partito nazionale p a r l ~ m e n t a r ed i cattolici non potrebbe sussistere nè i l papa vorrebbe affatto le ripercussioni di una attività laica, civile, politica, ispirata sia pure a principi religiosi; nè u n tale partito potrebbe rappresentare mai i l potere ecclesiastico, di cui esso diverrebbe una specie di gerente responsabile. In questi termini, che rispondono al comune sentire dei cattolici, oltre che alla logica, la pregiudiziale delle condizioni pontificie è superata senza che nè il diritto, sia pure il tradizionale esterno oltre il puro religioso, venga pregiudicato, e senza che esso diritto possa implicare una posizione antagonistica dei cattolici alla vita nazionale e un? posizione di combattimento contro l'unità della patria per un ritorno al passato.

Un'altra pregiudiziale bisogna risolvere, perchè si possano delineare i caratteri del partito nazionale dei cattolici. Quale posizione assumerà tale partito verso la monarchia italiana? Ci f u un tempo che, sotto voce e come di contrabbando, serpeggiava nelle file dei cattolici una simpatia, non più che una simpatia per una repubblica italiana, anzi per una federazione repubblicana: anche questo è un sogno, di che i facili soluzionisti dei problemi storici si sono sempre pasciuti nelle lunghe discussioni politiche ricreative. Oggi, per tendenza o simpatia personale, ce ne sono molti, fra i giovani, cui l'ideale repubblicano piace parecchio; ma da un sentimento platonico non si esce. Non si vorrebbe, e sarebbe sommo errore. che i


cattolici facciano del repubblicanesimo in Italia: il che vorrebbe dire che non si farebbe niente. Oggi, nei regimi parlamentari, svanisce la ragione politica come forza dinamica del pensiero, per subentrarvi altre forze; e la posizione dei partiti in Italia è questa: o aderiscono alla monarchia, e ne fanno u n caposaldo di programma come i liberali; o ne prescindono senza sottintesi di ideali repubblicani, come i moderni radicali; o ne prescindono per avversarla, come i socialisti. Noi non abbiamo nessuna ragione di aderire alla monarchia. Per noi non è il simbolo di un passato, nè una forza per l'avvenire; per noi, re o presidente, non rappresenta che la somma dei poteri dello stato, non mai l'ideale della potenza militare o i fasti d'una casa cui siano legate le sorti d'Italia. Solo accettiamo i l fatto compiutc, ncl senso che nessuna ragione di -fatto ci invoglia a mutare quello che è l'ordinamento attuale. Noi, con la monarcliia di oggi, troviamo sintetizzata l'unità della nazione e la rappresentazione dell'autorità assommata in un trono; e auguriamo che nessuna reazione militare, nessun ideale imperialista, nessuua pretesa di affermare diritti antagonistici al popolo induca f a monarchia a mettersi in urto con la nazione. Quindi i l partito nazionale cattolico non ha adesioni preconcette, non ripugnanze sistematiche; ~isolvela sua posizione con la seguente formula: prescinderne senza sottintesi politici, sostenerne il valore costituzionale senza feticismi dinastici, combatterné (quando occorra) le tendenze megalomani e impcrialiste, senza attaccarne il principio. Insomma, il partito cattolico, come non è una emanazione chiesastica nel senso clericale della parola, non è nè può essere un'emanazione monarchica nel senso che vi danno i liberali; la difesa dell'altare è la difesa della religione; e la difesa del trono è la difesa del principio di autorità: nè l'altare nè il trono sono coefficienti organici del partito cattolico, ragioni costituzionali dell'organismo d i una vita libera, costituzionale, popolare. Così, sciolti i lacci delle precedenti preoccupazioni, risolute le due pregiudiziali che venivano necessariamente a ingombrare il terreno che è stato occupato da quarantacinque anni sul cammino dei cattolici, si arriva a mettere le basi, con una caratteristica naturale, al partito nazionale dei cattolici italiani.


Ma quale programma avrà mai questo partito cattolico n a zionale? Sarà forse il contenuto religioso e morale del programma, che unirà tutti i cattolici d i buona volontà sul terreno della lotta della vita pubblica? Oppure vi sarà u n contenuto specifico, che concretizzerà le aspirazioni dei cattolici italiani in una formula programmatica? Non è u n problema nuovo, questo, per i cattolici italiani ed esteri; anzi è il problema che travaglia vivamente i l nostro pensiero, e che, insoluto, mina la compagine della nostra esistenza d i partito. Però, più che u n carattere assoluto, i l problema piglia i n sè u n carattere relativo alla vita che si svolge; quindi non si pub risolvere i n u n senso assoluto, indipendentemente d a i caratteri comuni d i u n dato tempo e d i u n dato luogo. Certo che quando la forza d i una lotta virulenta contro i cattolici, i n terra protestante, destò l a vitalità del « centro » germanico, gli uomini che risposero all'appello d i lotta non poterono avere u n contenuto politico ed economico come base d i programma, ma u n contenuto principalmente religioso, nella difesa d i quei diritti che sono i diritti della coscienza e della vita. Questo, s'intende, non escludeva i l contenuto economico e politico che può sbocciare vivo dal senso cristiano, come u n contenuto d i giustizia, d i moralità, d i prosperità, di bene. Ma nella elaborazione d i questo contenuto le formule si estendono, i problemi divengono complessi, le posizioni si spostano, le tendenze si manifestano anche i n senso opposto, p u r restando entro la traiettoria degli ideali morali e religiosi. Così è avvenuto i n Germania. I n Austria però si è svolto u n processo differente: la ragione economico-sociale è apparsa con u n piano tattico e logico; i n essa uomini religiosi e d i fede romana hanno trovato una soluzione d i indole cristiana, e si sono presentati alla vita con u n programma specifico nell'ordine sociale, animato d a vitalità religiose. Questo secondo processo mi sembra sia i l più confacente oggi iii Italia; quivi la lotta antireligiosa si è confusa con tutto l'evolversi della civiltà presente, quale essa sia. I1 criterio laico


è predominante non più come un movente di lotta per la conquista di una ragione politica già ottenuta, ma come stasi di un processo di lotta già avvenuto. Quale sarà per essere la posizione che verso i problemi religiosi assumerà il governo italiano, sia pure in una recrudescenza massonico-anticlericale, non commuoverà mai la coscienza nazionale, di sè sicura, perchè la ragione politica d i essa è venuta meno: ed oramai la fosca visione di un ritorno al potere temporale e alla teocrazia non regge alla critica dei fatti quotidiani, che formano i l substrato della coscienza moderna. La possibile lotta anticlericale e l'urto antireligioso sarà un episodio di un espediente politico o l'esplosione di un odio o 170pportunismo di una puntata contro la formazione del nostro partito; non mai una ragione che specifichi l'andamento presente della nazione italiana nella conquista di una libertà, d i una indipendenza dal fattore religioso, come volere nazionale. Una lotta antireligiosa si svolgerebbe nello stesso modo e avrebbe lo stesso significato in Francia, come in Austria, come nel Belgio, così in Italia. In tal caso, tutte le forze dei cattolici, non come partito organico, ma come fedeli, si unirebbero insieme. Siano pure moderati, liberali, progressisti, e, se vuolsi, tutti gli spiriti liberi dai pregiudizi del «libero pensiero n, sarebbero alla difesa del diritto religioso delle coscienze, come avvenne quando fu presentato i l progetto di legge sul divorzio; e in tale lotta i cattolici assumerebbero non tanto una semplice posa politica, quando una necessaria e doverosa difesa del diritto, del giusto, delle convinzioni loro e dei cattolici d'Italia. I dissensi sui metodi potranno aver presa nei casi particolari; ma allora le vitalità e gli ideali religiosi accomuneranno tutti * gli uomini di buona volontà. Noi intanto diamo così un carattere religioso al partito, in quanto che esso rappresenta un elemento di resistenza legittima all'urto degli avversari, non mai come ragione confessionalistica, come monopolio d i vitalità religiose, come camarilla di affari ecclesiastici, ma come difesa autentica della chiesa, nella funzione d i nuovi patrizi di Roma e patroni della santa romana chiesa. È perciò che non possiamo fare una bandiera del contenuto religioso delle nostre idee di vita civile e sociale. determinando


iin reggimento di forze ed elevando questi reggimenti a partito: tanti cattolici che earebbero contro di noi avrebbero i l gioco di un astio politico, che urterebbe le loro convinzioni religiose, che scinderebbe l'animo italiano e che creerebbe di nuovo l'antagonismo clericale anche nel seno dei convinti cattolici e dei praticanti cattolici. Per tale ragione noi ameremmo che il titolo di cattolici (così caro alle convinzioni religiose degli italiani) non fregiasse i l nostro partito e i nostri istituti. Che se urta anche al nostro senso estetico leggere in cima alle insegne delle nostre banche o delle nostre società di assicurazione e dei nostri giornali i l titolo di cattolici, urta anche, e più che urtare confonde i termini, il vedere che domani un partito politico o amministrativo assuma la ragione di cattolico. L'uso invalso anche nel campo avverso, come in parte ha fatto cadere il nome di clericale, così ha sostituito quello, che io vorrei così sacro, di cattolici. I n Francia si chiamano associazione liberale, in Austria cristiano-sociali, in Svizzera conservatori; noi speravamo che il nome e il contenuto della democrazia cristiana fosse passato come insegna di u n partito militante, ma anche questa parola si volle, per istinto che non si può evitare, far passare dal campo sociale a quello religioso e poscia, mantenendo i l suo contenuto, è rimasta a significare una frazione di cattolici, più che un programma di vita. Ma a parte la questione del nome (ci sarebbe da bizantineggiare parecchio) la questione è vitale per la elaborazione di u n programma specifico del partito nazionale cattolico. Attualmente le tendenze della vita pubblica italiana, nella grande varietà delle faccie del partito liberale, si raggruppano in conservatori e socialisti; e si attraversa u n periodo speciale. ncl quale la politica si è spostata, orientandosi verso i l popolo, che diviene centro di irradiazione; e, in generale, un saliente benessere economico, in un disquilibrio finanziario, acuisce i problemi della vita e determina le lotte politiche. Non ripeto quel che ho detto in altre mie conferenze: l'individualismo ~ e r d ea vista d'occhio: la ragione sociale diviene meno incomposta; il pensiero si matura verso forme più organiche.


I cattolici italiani non possono sfuggire a questa situazione, nè crearne un'altra ; essi devono affrontarla: o sinceramente con.servatori, o sinceramente democratici: una condizione ibrida toglie consistenza al partito e confonde la personalità nostra con quella dei conservatori liberali, staccando i pochi coraggiosi che vogliono spingere i l partito sul cammino delle progredienti democrazie. Questa situazione indecisa e tendente verso i conservatori è stata assunta i n molte parti, dove i cattolici sono penetrati nei municipi ed hanno affermato una vita elettorale propria; e questa tendenza è stata più che mai manifesta nell'entrare tumultuoso e impreciso dei cattolici nella vita politica, con l7attenuazione del non expedit, nel novembre scorso. E proprio i primi che, come cattolici, hanno preso posto alla camera, sono stati alcuni conservatori cattolici, dei quali l'esponente più significativo e più noto è l'onorevole 0. Cornaggia. È questa la constatazione di u n fatto, che riassume una situazione creata già da tempo i n Italia, contro la quale lavorò la giovine scuola dei democratici cristiani, che invece assumono posizione politicamente diversa, benchè concorde nella difesa religiosa. A me, democratico antico, convinto, e non dell'ultima ora, 6 inutile chiedere quale delle due tendenze politiche, nel senso comune della parola, io creda che risponda meglio agli ideali di quella rigenerazione della società in Cristo, che è l'aspirazione prima e ultima di tutto il nostro precorrere, agire, lottare. È chiaro che io stimo monca, inopportuna, contrastante ai fatti, rimorchiante la chiesa al carro dei liberali, la posizione di un partito cattolico conservatore; e che io credo necessario u n contenuto democratico del programma dei cattolici nella formazione d i u n partito nazionale. Ma il fatto non si può contraddire, conviene studiarlo. C7è chi opina che, lanciato u n partito cattolico nell'attrito dei fatti concreti, determina esso a sè stesso il suo programma: questa specie d i automatismo programmatico può avere u n valore dinamico nella elaborazione d i u n pensiero vissuto e nella coiicretizzazione specifica d i una formula: se però manca il pen-


siero vissuto e manca la formula collettiva, resteranno le ten-1 denze personali, che saranno sottoposte a l gioco degli eventi, alla forza viva delle persone, a l concreto delle lotte. No, così si andrebbe a finire come i n Francia, dove la pregiudiziale politica h a rovinato l'avvenire dei cattolici, e i ralliés crearono la forza e la debolezza dei melinisti e prepararono la lotta religiosa senza u n vigore di resistenza, senza un contenuto cosciente d i vita politica. Noi serviremmo in tal caso i conservatori liberali la cui preponderanza numerica e momentanea (non programmatica e ideale), determinerebbe la reazione dei sopraffatti, radicali e socialisti, e ci farebbe trovare iinpreparati ed esposti (senza gli aiuti dei conservatori liberali) a d una lotta religiosa clie ci stancherebbe ed esaurirebbe. Da soli, specificamente diversi dai liberali e dai socialisti. liberi nelle mosse, ora a destra e ora a manca, con u n programma consono, iniziale, concreto e basato sopra elementi d i vita democratica, così ci conviene entrare nella vita politica. Non l a monarchia, non i l conservatorismo, non i l socialismo riformista ci potranno attirare nella loro orbita: noi saremo sempre, e necessariamente, democratici e cattolici. La necessità della democrazia del nostro programma? Oggi io non la saprei dimostrare, la sento come u n istinto; è la vita del pensiero nostro. I conservatori sono dei fossili, per noi, siano pure dei cattolici: non possiamo assumerne alcuna responsabilità. Ci si dirà: ciò scinderà le forze cattoliche. Se è così, che avvenga. Non sarà certo u n male quello che necessariamente deriva da ragioni logiche e storiche, e che risponde alla realtà del progresso umano. Due forze contrarie che si elidono arrestano il movimento e paralizzano la vita. Tutto lo sforzo enorme dei cattolici italiani t: stato concentrato nell'affermazione d i u n principio sociale democratico, che comprende tutte le forze sociali della vita presente e le riprova a l fuoco del cristianesimo per purificarle dalle scorie egoistiche, dalle infiltrazioni materialistiche, dal tufo socialista o liberalista. Nell'affermazione d i u n programma specifico sociale, il p a r -


tito cattolico diviene partito vitale, assurge alla potenzialità di partito moderno combattente: che ha vie precise e finalità concrete. È logico adunque l'affermare che i l neo-partito cattolico dovrà avere un contenuto necessariamente democratico-sociale, ispirato ai principi cristiani: fuori di questi termini, non avrà niai il diritto a una vita propria: esso diverrà una appendice del partito moderato. Se mi è lecito, compio questa analisi con un augurio: è quello che nessuno più della democrazia cristiana faccia una insegna di povere e minute iniziative, che nessuno più sfrutti questo nome in battaglie vuote di senso, che nessuno la presenti come una ragione antagonistica alle forme vuote della nostra organizzazione. Essa, la democrazia cristiana, è un ideale e un programma che va divenendo, anche senza il nome, evoluzione di idee, convinzione di coscienze, speranza di vita; essa non può essere una designazione concreta di forze cattoliche, ma una aspirazione collettiva, sia pure ancora vaga e indistinta. Resti in questo stato ideale, impalpabile ispiratrice d i concezioni pratiche in tutti i rami del nostro agire: economia, municipalismo, nazionalismo, politica; e sarà l'insegna di un partito autonomo, libero, forte, che si avventuri nelle lotte della vita nazionale (*).

(*) Avevo scritto questa conferenza, quando sono venuti fuori gli schemi degli statuti delle tre unioni generali delle organizzazioni cattoliche. L'asccnza di un programma o di una nota specifica programmatica e i l rafforzaniento dell'idea confessionale mostra come non sia nata nella mente dei triumviri l'idea della cobtituzione di un partito politico nazionale. Non so se i rilievi che in proposito la stampa ha fatto, e che han pure fatto le associazioni cattoliche invitate al referendum, saranno tenuti in considerazione. E certo che i l fatto non depone in senso favorevole alla concezione del partito cattolico, che io ho cercato di abbozzare, e dei criteri aconfessionali e deniocratici di esso partito. Però non credo che quel che di esse unioni sarà per essere, possa preoccupare troppo le nostre tendenze: l'unione delle forze cattoliche, sia nelle aocietà economiche, sia in quelle elettorali (non credo che i l resto sarà cosa concreta), subisce la forza del pensiero e della propaganda, e non viceversa. E quindi il valore della nostra propaganda (più che una organizzazione


Involuta, difficile la via del bene, la concretizzazione degli ideali. Mentre tutto l'andare sociale ci sforza alla vita, questa ci si appalesa e ci si rivela a gradi; si nasconde anche, e ci pfiva dei suoi lumi, e ritorna vivace a splendere come il sole dopo la tempesta.

a parte e in campo chiuso) che deve arrivare alla coscienza, al pensiero dei cattolici; e siamo noi la maggior parte di quelli che si muovono in Italia nel campo dei cattolici; e quando il nostro pensiero sarà penetrato nell'animo dei più e reso profondamente vitale, avremo conseguito la trasformazione del partito. C'è quindi da lavorare, da lottare, da continuare nel nostro stesso campo quella trasformazione che dal 1898 segna l'inizio di una nuova fase, la quale, attraverso gli episodi, non si è chiusa; ed anche - oso dirlo, contro la sfiducia di coloro che guardano la vita nella cerchia stretta dei piccoli fatti è progredita e di molto. Certo pochi avrebbero pensato che la formula ingombrante dell'opera dei congressi sarebbe caduta dopo il congresso di Bologna; e io sono sicuro che ogni altra formula conservatrice non riuscirà che a essere un ingombro da togliere, non mai nn ostacolo che paralizza la vita. L'ideale del partito nazionale dei cattolici resta integro come l'aspirazione più legittima e necessaria alla vitalità dei cattolici militanti, e il programma democratico cristiano l'unico ideale che non può essere sostituito da nessun altro. L'influenza di questo ideale non può essere elusa da abbozzi o da tentativi che non riscuotono la fiducia dei più: il cammino intralciato, non potrà che subire ritardi, ma non sarà arrestato. Del resto nessuno pensa che il progresso sia una ascensione per linea retta; sarebbe l'errore peggiore, che ci porterebbe al suicidio.

( N . d . A . nll'ed. del 1906)



APPENDICE

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L'ORGANIZZAZIONE DI CLASSE E LE UNIONI PROFESSIONALI

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SCRITTI PUBBLICATI SU SOCIALE D (1900-1905)

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STUBZO - Sintesi sociali.

LA

CUL T URA



L'ORGANIZZAZIONE DI CLASSE E LE UNIONI PROFESSIONALI (*)

I CATTOLICI ITALIANI E I L MOVIMENTO POPOLARE Nell'ultimo congresso cattolico nazionale tenuto i n Roma, fra le più vive acclamazioni f u approvato uno schema d i unioni professionali, proposto dal prof. Giuseppe Toniolo; e molti oggi si augurano che quel deliberato segni u n nuovo punto d i partenza deli'orientamento delle forze cattoliche italiane i n senso schiettamente popolare e democratico. Anch'io me l'auguro sinceramente e spero che con tutia serietà le forze giovanili cooperino a u n lavoro cosciente e costante, che valga a salvare i l popolo materialmente e moralmente, organizzandolo nelle unioni professionali, dalla forza degli eventi e dagli insegnamenti pontifici esplicitamente additate come l e forme più adatte e più urgenti del movimento popolare. Veramente, a prima vista, fa meraviglia che dopo l e prove e i tentativi d i un'organizzazione professionale, avviata dai cattolici d i altre nazioni con buoni risultati, e più ancora, dopo che Leone XIII, sin dal 1884 e con maggiore evidenza nel 1891, proclamò la necessità dell'organizzazione professionale, i cattolici d'Italia poco o nulla d i ciò abbiano fatto sin oggi, tranne che dei voti platonici e qualche tentativo isolato, dovuto a l buon volere di pochi convinti o, in alcuni casi rari, all'efficacia d i un ambiente formato da un'azione cattolica più progredita. ( * ) Roma, Societi Italiana Cattolica di Cultura,

1901.


HO detto che ciò, a prima vista, fa meraviglia; non così se con critica serena si considera tutto il passato d i trent'anni d i azione e di lavorio dei cattolici italiani. E credo opportuno toccare a rapidi cenni il nostro passato, a l lume sereno della critica, perchè si possa meglio provvedere all'avvenire. Non suonerà perciò sulla mia bocca alcuna recriminazione o accusa, lasciando a ciascuno le proprie responsabilità e i propri meriti; affinchè con sincerità d'intendimenti tutti ci mettiamo sulla retta via, che in parte fu designata dall'ultimo congresso cattolico nazionale. Rifacendo gli inizi del nostro movimento cattolico troviamo che la reazione contro la irreligione e i l laicismo di stato e contro la guerra mossa al Vicario di Gesù Cristo nei suoi diritti e nella sua missione, fu il punto di partenza e l'orientamento dei pochi cattolici, che, dispersi in tutta Italia, cercarono di riunirsi in congressi e in associazioni rudimentali. La conservazione di quanto di religioso e di cattolico rimaneva ancora in Italia dopo la bufera della rivoluzione, che si compì con la presa di Roma, fu, per istinto naturale, l'oggetto principale della stampa e delle associazioni cattoliche. I1 che fece non di rado esser restii a tutto quanto di bene avesse portato la modernità, solo perchè portato da nemici della chiesa in nome di un progresso e di una civiltà, che si volle affermare laica in contrasto alla religione. Quei pochi coraggiosi cattolici, esposti al dileggio e alla contraddizione di tutte le parti, erano in maggioranza elementi di tempi diversi, d i educazione tradizionale e avita, diffidenti per necessità storica di tutto ciò che sapeva di novità; essi avevano assistito alla marea rivoluzionaria che aveva invaso troni e altare, e che aveva spezzato tante loro idealità, che volea ricostruire la società nella quale eran vissuti, su altre basi; formarono, perciò, u n ambiente intellettuale e nazionale a parte, che fu considerato retrivo e lo fu in parte, e che ebbe la sventura di non essere popolare. Pur volendo, in quei brutti giorni non poteva esserlo; il popolo era ancora ebbro della rivoluzione, fatta antesignana della lotta a l papato; le speranze di miglioramenti economici erano ancora vive e sentita l'aura di maggiore libertà e di una, benchè nominale, partecipazione aila vita ~ u b b l i c a ;i progressi tecnici


delle scienze agevolarono i l nuovo stato d i cose con aperture di strade, costruzioni d i ferrovie e maggiore sviluppo d i industrie; e la soppressione dei conventi e la vendita a baratto dei beni ecclesiastici, fecero arricchire molti, che ne seppero approfittare e che inneggiarono patriotticamente alla provvidenza dello stato. Si aggiunga la corrività della difesa e la evidente simpatia dei cattolici verso i governi passati ( n o n parlo del governo pontificio), e si vedrà come allora u n movimento popolare si rendeva impossibile. Però, poco a poco, i giovani che si arruolavano nelle file cattoliche sentivano la necessità d i u n terreno p i ù possibile d i propaganda e d i lotta, e il puro terreno religioso fu creduto i l punto d i convergenza delle diverse classi sociali nel lavoro d'azione cattolica e nell'organizzazione di partito. Sorse così l'opera dei comitati parrocchiali e diocesani, che all'ombra dei campanili e delle curie raccoglieva i n u n fascio quanti, nel pervertimento generale, serbavano pura la coscienza religiosa e vivo l'attaccamento al papa, per far rifiorire la religione con le sue esterne manifestazioni, rimettere l'insegnamento catechistico pei fanciulli, preservare la gioventù dalla corruzione delle scuole e iniziare u n movimento elettorale amministrativo con programma puramente religioso. Non posso giudicare oggi se quel movimento, condotto avanti con risultati non sempre nè da per tutto propizi, fosse stato l'unico possibile; in alcuni punti, come nel Veneto, l'opera attecchì e diede dei frutti salutari; però nella maggior parte d'Italia nè estensivamente nè intensivamente si propagò e prese campo; e perfino tuttora si lamenta che in molte diocesi manchi del tutto anche un'azione semplicemente religiosa di laici. Certo si è che neanche quello f u u n movimento popolare e generale. Pregiudizi, interessi, educazione, inerzia, impedirono che la classe professionista e borghese entrasse nell'ambito delle idee e dell'azione dei cattolici; la classe operaia, p u r credente e religiosa in senso lato, non avendo vera coscienza delle condizioni fatte alla chiesa dalla rivoluzione - la quale aveva lasciato sussistere parroci e vescovi, funzioni religiose e amministrazione d i sacramenti - non poteva positivamente concor-


rere a un rinnovamento in senso strettamente religioso; e segui perciò due correnti che dovevano elidersi, e fu col parroco nelle dimostrazioni religiose, nei pellegrinaggi, nelle luminarie pel santo, e f u col deputato o con le amministrazioni e associazioni liberali nell'esercizio del voto, nelle pubbliche feste laiche, nelle speranze di miglioramenti economici e civili. Non tardò intanto a venire la disillusione anche pel popolo credulo e ingannato: la prosperità promessa non venne mai, e i l fiscalismo, le tasse, le crisi economiche, l'emigrazione - mali aggravati da un governo megalomane e insipiente che grandeggiava in spese militari e in pazze imprese, e da uomini politici che dilapidavano le pubbliche amministrazioni - produssero il malcontento, la stanchezza, il senso vago della lotta, la visione incerta di un secolo di violenze, perpetrate in nome della civiltà. Nel progresso della democrazia nominale mancava la SOstanza voluta, spesso inconsciamente, dal popolo. I1 disquilibrio sorto fra le istituzioni dette popolari da una parte e l'anima popolare e i bisogni delle classi dall'altra, si fece più potente e più sentito; mentre l'economia dello stato, in contrasto con quella della nazione, rendeva più violento lo stacco. Così i l male latente del liberalismo, per nulla palese alla coscienza del popolo, si manifestò prima nell'economia, d'onde passò di poi ai rapporti sociali e politici. I n questo stato di evoluzione dissolvente di tutto quel che di fittizio e di antisociale aveva portato la rivoluzione, apparve l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII; il quale, con lo sguardo sicuro del profondo statista e del sociologo insigne, sintetizzò lo stato della questione, analizzò i mali e indicò i rimedi, precorrendo l'esperienza degli uomini politici d i parte liberale, che lo accusarono di socialismo, e superando i limiti dell'ambiente della maggior parte dei cattolici militanti, che, tranne pochi, non lo intesero a pieno in tutta la forza e la potenza. Nè ciò reca stupore: non ancora entrati nella vita collettiva popolare, anzi, formatosi un ambiente proprio e in parte fittizio, non ostante avessero promosso delle opere di beneficenza e qualche cassa di mutuo soccorso, i cattolici non potevano a

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u n tratto sentire pieno il nuovo so60 di vita, afferrare nella sua interezza il difficile problema proposto, percepire tutto il vasto orizzonte che si apriva sul campo della loro attività. Onde fu lungo, lento, contrastato il lavorio iniziato da alcuni cattolici, perchè l'opera dei congressi, organizzata sotto l'aspetto religioso, entrasse fiduciosa nel campo sociale ed economico. Non solo, ma, come suole avvenire nelle super-costruzioni adattate e sovrimposte, non trovandosi l'organismo preesistente dell'opera ideoneo ad un organico sistema sociale, il movimento economico da essa promosso, nel suo aspetto generale, fu empirico, saltuario, non intimamente compreso, tranne che da pochi, e da pochi in varie località, più o meno bene, attuato, per una visione più chiara delle condizioni speciali di luogo e persone. Così le casse rurali, moltiplicate nel Veneto, più che altrove, e specialmente le istituzioni economiche del Bergamasco, che non di rado hanno avuto un'esplicazione di vita popolare e un'influenza notevole sulle lotte amministrative, sono state e sono tuttora prova di criteri pratici locali abbastanza adeguati; e nel movimento popolare iniziale possono essere di base a una rudimentale, benchè limitata, unione organica di forze operaie. Quel che meglio riguardò le condizioni moderne dell'agricoltore, sotto un punto di vista organico e generale, fu la deliberazione delle unioni rurali, il cui concetto fondamentale era l'organizzazione per classe, benchè limitata a un solo ceto e a certe funzioni determinate. Lo stesso concetto, più o meno compreso, ebbero le varie federazioni e riunioni economiche che sorsero in qualche provincia dell'alta Italia. Questo stesso movimento non fu generale nè organico, e benchè abbia dato una forte spinta all'opera dei congressi, che sino a quel tempo era rimasta limitata nella sua azione ed estensione, mostrò tosto la propria insufficienza a divenire intieramente popolare, a immedesimarsi con l'ambiente, a rispondere a tutti i bisogni sociali della nazione, a contrastare l'azione dei socialisti; ed ebbe, come di rimbalzo, dall'organismo stesso dell'opera, tendente per istinto alla conservazione del proprio carattere intimamente religioso, più difficoltà e contrasti che aiuti.


Ma la maggiore difficoltà fu frapposta dall'apatia e dalla incoscienza della maggior parte dei cattolici italiani e dalla quasi nessuna preparazione intellettiva allo studio delle questioni più urgenti della vita cattolica popolare. Onde non desta meraviglia, bensì dolore: se dopo nove anni dalla sua pubblicazione vi siano dei cattolici, e non son pochi (preti e laici), che non hanno mai letta l'enciclica Rerum Novarum. In questo ibrido ambiente vecchio e nuovo, fra i tentativi e le diffidenze, l'inerzia e l'audacia, l'incoscienza e la visione dei bisogni nuovi, fra le reminiscenze e le tradizioni false di una epoca ormai tramontata e l'accettazione fidente di buone innovazioni della civiltà presente, fra il senso di ripugnanza a teorie credute perniciose perchè nuove, e il contrasto a teorie nuove perchè perniciose - incalzando la crescente dissoluzione sociale, le audacie del socialismo, le ingiustizie del liberalismo, l'immoralità e la miseria del popolo - f h veramente sentito il bisogno di più sufficiente cultura moderna nel nostro campo, e si fece più intenso lo studio delle questioni che agitano oggi l'umanità, e si destò un vivace e proficuo attrito di idee. Parecchi precursori generosi ed audaci cercarono di preparare l'ambiente cattolico a più larghe vedute e di dare a l niovimento nostro un orientamento più completo, più organico e più popolare, e agli insegnanti papali una più intera interpretazione e attuazione. I n quattro anni di lavoro assiduo, e per necessità di cose contrastato, si è andata formando una coscienza nuova fra i cattolici italiani; la quale ha tentato di vincere l'empirismo di alcuni, le diffidenze di altri, la inerzia di molti, ignari dei problemi della vita presente, perchè o ci vivono come appartati o subiscono incoscientemente l'influenza del liberalismo. Ancora molto cammino si ha da fare e molti ostacoli da superare; però si è sicuri che, da una parte, le novelle generazioni cattoliche già si vanno informando a un ordine di idee nuove e complete in rapporto all'azione della religione nella vita dei popoli e nella questione sociale; e, dall'altra, l'ambiente cattolico è già abbastanza modificato, per ricevere con più coscienza le istruzioni pontificie, i postulati della scienza


sociologica cattolica e le riforme al movimento e all'azione nostra in senso popolare. Così, mentre i n altri congressi cattolici le proposte sull'organizzazione professionale d i classe trovarono u n ambiente non ostile, perchè erano conformi agli insegnamenti pontifici, ma neanche favorevole (nel senso intiero della parola), perchè dalla maggior parte non si aveva visione chiara della portata del deliberato in relazione alla pratica, onde la cosa rimase fra le nuvole, senza attuazione; nel congresso d i Roma l'ambiente era d i già formato e accettò le stesse proposte con entusiasmo significativo, notevole, straordinario; perchè era l'affermazione d i un'idea, d i u n programma già in parte sentito, e dal quale dipenderanno le sorti e l'avvenire del nostro movimento cattolicosociale.

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Sembrerà esagerata la mia frase: dal quale dipenderanno le sorti e l'avvenire del nostro movimento cattolico-sociale », ma non è così. Si considerino per poco le tristi condizioni religiose e sociali che gravano sull'infelice Italia; si scruti la dolorosa psicologia del momento storico che attraversiamo, e si vedrà più chiaramente i l male, per potere così aver un'intiera visione del rimedio. Molti dei nostri si affannano a dire: i trenta milioni d i cattolici italiani », oppure: « il nostro popolo è cattolico » ; però mi sembra che queste frasi siano basate sopra u n grave equivoco, che spesso fa velo alla percezione della verità. Certo si è, che la maggioranza degli italiani professa la religione cattolica, va qualche volta in chiesa per un funerale o u n battesimo o una funzione d i nozze o per quelle feste-baldoria, che dilettano tanto i l nostro popolo meridionale. Ma non è questo solo che si richiede, perchè i l popolo abbia vera coscienza cattolica, perchè la sua vita sia intimamente e profondamente cristiana, perchè l e pubbliche esplicazioni di fede abbiano u n substratum religioso vivo e operante. I n generale i l nostro popolo è alieno dalla pratica e non d i rado dalla teoria della religione cattolica; l'ha scristianizzato i l liberalismo e oggi lo paganeggia e l'abbrutisce i l socialismo. Forza d i ambiente politico e civile, che opera


tanto sulla nostra psiche, incoscienza religiosa per l'educazione laica, diffusione, poco contrastata e senza sufficiente antidoto. d i idee perniciose, istinti malvagi non corretti e non educati, ipocrisia d i forma, sono stati i coefficienti d i una coscienza ibrid a , malferma, indifferente, immorale. E oggi u n nuovo male si aggiunge a dare il crollo a l residuo d i fede, spesso inerte, che si trova in fondo all'anima del popolo. naturalmente cristiana. Le miserie e l'oppressione i n cui, per una serie d i cause sociali e storiche, si trovano le classi operaie, i l nessun appoggio che esse hanno dal governo e dalle classi dirigenti, che invece, con sistemi antisociali, aggravano le loro condizioni, lo spirito d i ribellione insinuato dalla educazione malsana del liberalismo e apparentemente giustificato da u n cumulo d i ingiustizie sociali, i l malcontento, l'irrequietezza, la fame, hanno determinato u n movimento di unione organica d i forze operaie assai minacrioso. Minaccioso però non è i l movimento in sè, reazione naturale contro l'atomizzazione economica e politica delle classi popolari, ahhandonate a sè stesse e oppresse dalla forza del capitale e dal centralismo d i stato; minaccioso invece è i l carattere specifico antireligioso e antisociale dato dal partito socialista, che oggi sorge a potenza come necessaria illazione storica del liberalismo atomistico e del centralismo d i stato. E il socialismo, con la forza della sua propaganda e della sua organizzazione, con il carattere d i rivendicazione d i diritti violati e conculcati, con la promessa iridescente di un futuro ordinamento sociale senza miserie e con l'attuale lotta aperta e dichiarata contro qualsiasi prepotenza, - servendosi del sentimento d i solidarietà ridestato nella comune reazione, - attira potentemente il popolo a sè, lo recluta nelle officine e nelle campagne, organizzandolo lo rende cosciente della propria forza, e lo slancia nel vortice delle lotte economiche, amministrative e politiche. I1 carattere sociale dell'epoca presente è una d i quelle evoluzioni storico-sociologiche che sono insieme causa ed effetto del progresso civile indefinito. I1 voler serrare gli occhi per non vedere e chiudersi in u n ambiente fittizio d i retoricume nazionale o d i piagnistéo religioso è solo da conservatori miopi, che guardano tutto attraverso le lenti del passato.


E i socialisti sanno sfruttare a conto di una futura rivoluzione collettivista l'ambiente e la vita del17epoca; abili nella critica se non nella ricostruzione, e abilissimi nella tattica se non nella concezione scientifica. Essi hanno saputo cogliere il dato precipuo de117attuale crisi e ne hanno saputo fare il loro punto di partenza: alla disorganizzazione atomistica del17economia liberale essi hanno contrapposto l'organizzazione operaia delle camere di lavoro e delle leglie di resistenza. E la tattica loro è difensiva e offensiva nel solidale sforzo economico, che si svolge, per completarsi, nell'ambito politico-sociale. I1 liberalismo ha ridotto l'operaio solo di fronte al capitalista, di fronte ai compagni, di fronte allo stato; così lo ha disarniato del17unica forza propria legale-economico-politica. Esso è solo nella spietata concorrenza della mano d'opera, solo nei contratti di lavoro e nei regolamenti di fabbrica, solo nella disoccupazione e nell'emigrazione, solo nella sopraffazione legalesociale, per cui, p u r esercitando il diritto del voto, non ha rappresentanza giuridico-morale d'interessi. I1 socialismo in questa condizione di cose ha ravvivato i l principio di solidarietà morale operaia, per poi ridurlo a fattor e economico e a rappresentanza giuridica, e ha cominciato ad esplicare la forza organica del proletariato con istituzioni generiche, che tutti abbracciano gli interessi e i diritti del lavoro nei vari rapporti col capitale e con le pubbliche istituzioni, e che sviluppano le potenzialità della classe operaia. Le recenti vittorie amministrative e politiche, certi risultati pratici ottenuti e l'assidua e attiva propaganda, fanno temere di giorno in giorno che la massa operaia, consciamente o inconsciamente, si trovi fra non molto socialista. E i l male di questo movimento non consiste nelle giuste r i vendicazioni popolari, sia nel campo economico, sia nel sociale e politico; anzi esso è in parte un movimento che corrisponde a i progressi etico-sociali dell'umanità e alle sante idealità del cristianesimo; il male, invece, è proprio nei fini a cui il materialismo economico e sociale e la lotta di classe, cardini del socialismo, porteranno tutta la classe operaia ;la quale non solo non arriverà alla giusta, intiera, razionale e organica rivendicazione


dei suoi diritti, ma, nella demoralizzazione crescente, segnerà un nuovo e peggiore decadimento, una nuova e più ~ r o f o n d a crisi dei rapporti etico-sociali-economici dell'umanità intiera. E la vita religiosa dei popoli sarà contrastata e turbata da un nuovo e più intenso pervertimento delle anime e da una apostasia sociale della religione da parte del nuovo elemento ricostitutivo della società: il proletariato universale. Tali effetti perniciosi non sono sogni di pessimista o di febbricitante, ma deduzioni positive dai fenomeni della vita sociale d'oggi e dal continuo decadimento della vita cristiana dell'operaio, che spinto da necessità o da ambiente, si ascrive al partito socialista. La fiacchezza dei sentimenti cristiani, non di rado in contrasto con l'attuale vita individuale e quasi sempre in contrastc~ con l'attuale vita collettiva, non può resistere all'urto forte e potente, da una parte, della propaganda socialista, che demolisce il residuo di fede e di sentimenti cristiani; e, d'altra partedella forza del bisogno, che, attraverso i pregiudizi e gli errori dei socialisti e l'inerzia dei cattolici, fa vedere all'operaio come un ostacolo a l suo reclamato soddisfacimento la religione, che condanna la lotta di classe, che insegna la legge del dolore, che tutela la proprietà privata. I1 rapido cenno critico sia del movimento cattolico di trent'anni e de' suoi risultati poco popolari nella rigenerazione della vita religiosa privata e pubblica, e abbastanza empirici o limitati nello svolgimento economico-sociale; sia dello stato presente del popolo, immiserita, insidiato, ingannato, che corre verso il socialismo, il quale lo attira nelle sue spire vorticose per mezzo di una organizzazione sociale-popolare o di classe; porta all'evidente conclusione che bisogna risolvere urgentemente e con larghezza di vedute la questione di una organizzazione cattolica, la quale valga a porre l'azione nostra per una via popolare e sociale e sia atta ad attirare intieramente il popolo nella vita religiosa individuale e sociale. e a risolvere i problemi che agitano tutta la vita della civiltà dell'epoca. A tal fine, siffatta organizzazione, pur tenendo a base o come fine ultimo la religione, dovrebbe mirare come a suo oggetto immediato, a tutte le condizioni economiche, sociali e politiche della classe operaia; affinchè da una


parte si rivendichino i giusti diritti, si tutelino gli interessi, si promuovano i miglioramenti degli operai, e dall'altra si preservino le classi popolari dalle insidie morali, religiose ed anche economiche del socialismo; per potere, in un futuro avvenire, avviare la questione sociale alla sua naturale e cristiana soluzione.

11. ORIGINE E NATURA DELLA CLASSE PROFESSIONALE Mezzo adatto a ciò è far convergere tutte le forze popolari ad una forte organizzazione di classe nelle unioni professionali corporative, tanto raccomandate da Leone XIII, e, per opera precipua del prof. Toniolo e dei democratici cristiani, oggi deliberate dal congresso cattolico nazionale di Roma. Ecco come i l prof. Toniolo, nelle sue norme illustrative al voto del congresso, esplica la natura e lo scopo di tali unioni: « ... La quale (l'unione professionale) non ha scopi diretti economico-lucrativi, bensì l'intento superiore di dare unità organica autonoma ad una classe, e come tale di rappresentarne gli interessi dinnanzi alle altre classi e ai pubblici poteri, di proteggerne i diritti e di favorirne il benessere religioso, sociale, civile, materiale. Da ciò si vede come il concetto fondamentale che dà la base all'unione professionale è generico e riguarda tutta la vita e tutti gli interessi morali ed economici degli operai in tutti i loro rapporti sociali e giuridici; è quindi un organismo sintetico, che nella sua esplicazione ha per obietto tutte le odierne condizioni dell'operaio non solo singolarmente preso, ma, e più, nella sua vita collettiva professionale. La classe professionale non è una concezione arbitraria e aprioristica, nè u n fatto accidentale-economico; essa è, invece, un naturale organismo sociale, sbocciante dalla stessa condizione economica e morale della vita umana. La società ha i suoi naturali e progressivi sviluppi organici, compientisi e integrantisi fra di loro, in rapporto a determinate


funzioni, nella vitale esplicazione delle forze individuali e sociali, per il conseguimento d i maggiore e più completo benessere. Primo elemento sociale dell'uomo è la famiglia. L'istintivo bisogno di reciproco aiuto morale e materiale e di comunicazione e integrazione sociale per la soddisfazione dei bisogni della natura, determina l'unione familiare; la funzione di procreazione e la partecipazione della vita a nuovi esseri, I'educazione fisica e morale d i questi, lo svolgimento intellettuale dell'individuo e progressivo della specie, perfezionano e compiono la funzione organico-sociale di questo primo, importante e fondamentale nucleo d i esseri umani insieme consociati. E questo primo nucleo genera e produce, con progressiva divisione e moltiplicazione, altri infiniti nuclei omogenei, nei quali, come a d elemento costitutivo sociale, si riduce l'umanità tutta quanta. Dall'aggregato di questi primi organismi sociali se n e sviluppa naturalmente un secondo, con funzione propria e distinta. Gli uomini venuti all'essere hanno il diritto e i l dovere della conservazione e del miglioramento dell'individuo e della specie. La lotta quotidiana contro gli elementi dissolventi della vita individuale desta gli sforzi continui per la conservazione, sincliè l'individuo viene a cessare, mentre la specie progredisce. Questa lotta sprigiona le energie individuali e collettive dell'uomo e determina il progresso; l'espressione comune di tale lotta è il lavoro, condizione necessaria di natura, preso nel suo concetto generico e i n rapporto al dovere e al diritto della conservazione individuale e sociale. I1 lavoro però non può essere, nè è mai, uno e identico per tutti; esso non assume, nelle esigenze obiettive e subiettive, i l carattere semplicemente individuale della proporzione dello sforzo al bisogno e del soddisfacimento allo sforzo. Come nella società familiare, anche in rapporto al lavoro altra è la funzione dell'uomo, altra quella della donna; ed essi, in relazione alla diversa età dei figli e alla diversa età propria, hanno altri rapporti di bisogno e perciò d i lavoro; così, in un campo più vasto d i bisogni fisici e morali, di condizioni fisiologiche ed etniche, di ragioni geografiche civili, il lavoro diviene ed è naturalmente u n fatto di cospirazione di molti, u n elemento d i organismo so-


ciale, una condizione e un condizionato dello sforzo degli uomini, in un complesso eterogeneo e specifico all'idnito. Dalle forme più semplici, invero, della vita sociale dei popoli alle più complesse, il lavoro umano è stato sempre condizione di aggregati e di divisioni naturali di uomini, tendenti alla lotta per la vita e al miglioramento progressivo individuale e sociale. L'unione, perciò, e la graduale specificazione sociale degli uomini in determinati organismi, compientisi a vicenda, aventi per base il lavoro, sono un fatto morale ed economico che nasce dalla stessa natura. Infatti, l'istinto sociale degli uomini si sviluppa nei rapporti degli individui £ra di loro per un legame comune di idee, di educazione, di ambiente, di interessi, di affinità. E il lavoro, condizione necessaria per tutti, forma gran parte della esplicazione della vitalità degli uomini; ad esso si ordina l'educazione specifica fisica e morale, per esso si svolge un complesso di idee determinate, in esso si vive al contatto di altri individui posti nelle identiche condizioni; per cui si determinano un cumulo d'interessi materiali e di legami morali, che spesso si risolvono anche in legami familiari. Da ciò nasce l'organismo della classe professionale, dal quale scaturiscono rapporti economici e giuridico-naturali, come dall'organismo della famiglia; ed ambedue, per sè anteriori allo stato e al comune, possono e devono essere dallo stato e dal comune tutelati e perfezionati, non mai da questi enti costituiti nel loro diritto. E i l concetto vero di classe si esplica in ragione dello sviluppo specifico del lavoro; onde nelle società progredite vi saranno più classi che nelle primitive, sino ad arrivare logicamente e storicamente, tornando indietro, alla tribù nomade, aggregato di famiglie dedite alla pastorizia, nelle quali l'ultima espressione della classe si risolve in padroni e servi, come i l regime politico e amministrativo (se vi si può dare un tale nome) si confonde col familiare-patriarcale. Esaminando la divisione specifica delle classi, troviamo che essa ha il suo naturale e progressivo svolgimento nelle condizioni dell'economia sociale del lavoro e delle qualità fisiche, fisio-


logiche, morali e sociali del lavoratore. E siccome condizione necessaria al lavoro è la proprietà privata (cosa che qui non occorre dimostrare), la prima categorica distinzione avviene fra proprietari e operai; essa storicamente e logicamente viene confusa nella classe del proprietario-operaio, che si va poi svolgendo sino alla complessa evoluzione della proprietà - in g a n d e , media e piccola, in diretta e utile, e così via, - e del lavoro - affittanza, colonia parziaria, impiego temporaneo, ecc. Dalla diversità poi dell'oggetto attorno a cui si esercitano le forze degli uomini, nasce la grande triplice divisione dell'agricoltura, dell'industria e del commercio; dalle condizioni economico-capitalistiche, la divisione in intraprenditori e salariati a cottimo o a giornata ; e finalmente dalle condizioni subiettive tecniche e fisico-fisiologiche, in direttori, capi maestri e manovali. Da questi principi fondamentali di specificazione e di aggruppamento emergono le suddivisioni, più o meno distinte secondo la grandezza dell'ambiente, la progressiva divisione del lavoro, lo sviluppo industriale economico, la natura della produzione; sino ad arrivare alla mirabile e grandiosa esplicazione delle città industriali moderne, nelle quali la scienza tecnica e i l lavoro sono uniti in un connubio sempre più stretto e più' proficuo all'umana società, che pel lavoro si esplica e progredisce. Come si può vedere da questo cenno schematico, la classe non è, come abbiamo detto, una concezione di ordinamento sociale aprioristica e quindi sovrimposta; ma una condizione naturale di raggruppamento di persone e di famiglie, dovuta a l carattere specifico del lavoro, che concorre i n gran parte alle cause che formano l'educazione fisica e morale, l'ambiente, le reazioni, gli interessi, le affinità. È essa un secondo organismo sociale che lega nello spazio e nel tempo gli uomini tendenti per necessità di natura alla conservazione e al miglioramento individuale e sociale, nella lotta continua contro gli elementi individuali e sociali dissolventi. È cliiaro che questo organismo non si può sopprimere senza violentare la natura', senza pervertire il necessario sviluppo degli uomini, senza inacerbire il contrasto e la concorrenza del debole


e del forte, altro lato interessante della umana societĂ che bisogna attentamente considerare.

Noi non concepiamo la società umana come una continua lotta per la vita tra debole e forte, lotta che dall'individuo passa alle famiglie, alle tribÚ, alle classi, ai comuni, alle nazioni, e si combina, si complica, si risolve in elementi semplici e complessi, in interessi economici e politici di predominio, egemonia, sovrapposizione. Questo fatto patologico dell'attrito e della lotta dei bisogni e dei diritti contro altri pretesi diritti e pretesi bisogni è un'esplicazione violenta delle condizioni umane, non regolate n i da educazione morale, nè da retti ordinamenti sociali. La natura ha messo gli uomini i n condizioni fisiche, fisiologiche e morali diverse, da potere e dovere il forte venire in aiuto del debole nel mutuo legame di amore e nel rapporto dei diritti e dei doveri; cosÏ nella famiglia i l padre e la madre, pel fatto naturale della generazione, hanno il dovere e il compito d i essere di appoggio, di aiuto, di sostegno e di guida a i figli, sino al loro completo sviluppo fisico e morale, perchè questi nascono i n condizioni di debolezza e di impotenza fisica e morale. Lo stesso avviene nell'ordinamento di classe: gli individui d i una stessa classe, uniti insieme dal lavoro comune ed omogeneo, hanno fra loro rapporti di bisogni e di aiuti reciproci; e di conseguenza anche le classi fra di loro formano una naturale gerarchia di forti e deboli, che devono aiutarsi a vicenda, a vicenda sostenersi per l'ordinato e naturale progresso umano. Concepita la natura sociale dell'uomo sotto questo punto di vista, non v'ha chi disconosca la necessità naturale di una unione organica delle classi sia internamente in rapporto agli individui, sia esternamente i n rapporto alle altre classi sociali. Perchè, se pel fatto patologico dell'attrito di diritti, di bisogni, d'interessi, l'uomo si spinge a una lotta contro altri, in qualsiasi campo avvenga, è necessità che si abbia u n organismo fondamentale che rivendichi diritti e difenda interessi e

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- Sintesi sociali.

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avvii l'attrito alla sua soluzione, sulla base delle norme eterne del giusto e del principio sublime dell'amore. Tale compito non risiede solamente nello stato, bensì in ogni ente autonomo, che specificatamente concorre al compimenta naturale dell'individuo nella società. È questa la vera concezione organica della società, nella sua normale e naturale esplicazione, contro la concezione individualistica egualitaria dei principi de11'89, che tutto ha invaso l'ordinamento sociale presente, livellando le forze diverse e disgregando i naturali organismi sociali; esponendo quindi il debole indifeso all'oppressione del forte, il lavoro alla mercè del capitalismo, i l diritto in balia del numero, per poi, assommando aritmeticamente gli interessi individuali, senza dar loro alcun valore specifico, accentrare tutto nelle mani dello stato onnipotente. Con l'ente-classe però non è compiuto lo sviluppo organicosociale dell'uomo; altri interessi si sviluppano, emergono altri bisogni di ordine superiore e specificatamente diversi dall'aggruppamento determinato dal lavoro. Ne fo pertanto u n cenno, perchè, al nostro intento, meglio si veda dagli ulteriori organismi sociali, quale sia il compita specifico e la distinta natura della classe professionale. L'esistenza naturale dell'uomo e la naturale esplicazione d e l lavoro sono condizionate dal territorio più o meno esteso, più s meno fisso, nel quale si forma i l raggruppamento di famiglie e d i classi, e che, secondo le condizioni di località, fertilità di suolo, facilità di comunicazioni, può riunire in sè grandi moltitudini o poche famiglie; esso nello svolgersi dei rapporti economici e sociali dei tempi ha formato l'ente-tribù o l'ente-feudo o l'ente-contea o l'ente-comune, i quali, nelle molteplici evoluzioni storiche, rappresentano un terzo organismo sociale. E in vero, il bisogno di far convergere i l lavoro e la ~ r o d u zione all'utile comune, perchè da questo ne derivi un maggior utile privato, raggruppa le diverse classi fra di loro; onde nel ,reciproco scambio dei prodotti e degli aiuti, e nella esplicazione delle diverse forze sociali, si dà luogo a u n nuovo organismo, che ha la sua unità e la sua forma nel territorio e il suo fine nella soddisfazione dei bisogni collettivi di difesa, tutela, migliora-


menti intellettuali, morali, economici, rispettivamente a tutte le classi; questo organismo oggi si chiama comune, che quasi senipre è costituito da una città, più o meno numerosa, e da un circostante determinato territorio. Dalla unione dei comuni, per condizioni etniche, di lingua, costumi, interessi, religione, necessità di difesa da esterni nemici, bisogni di comunicazione per lo scambio della ricchezza, per lo sviluppo della cultura, ecc. ne nacque lo stato; a l quale, come al supremo principio ordinatore, fu devoluto il diritto legislativo, giudiziario, coattivo e militare, senza però poter violare i diritti naturali, organici e autonomi degli organismi inferiori: comune, classe, famiglia. Però nelle condizioni storiche della società, nel facile predominio dei forti sui deboli, per istinto egoistico non domo, ne è venuto ora i l disgregamento, ora l'accentramento, con danno dei minori organismi e degli individui. E il lavoro, nella sua generale esplicazione, ora è stato messo in contrasto con la proprietà e col capitale, ora con la professione militare; la classe ora è stata chiusa tanto da divenir casta, ora annientata e fatta scomparire nel suo carattere giuridico e politico; il comune ora troppo indipendente e i n contrasto con altri, ora ridotto a puro organo amministrativo. Così, per secondare le esigenze della parte più forte, che vuole assicurato il predominio, l'egemonia, il massimo vantaggio, ne è venuta la disorganizzazione e quindi il naturale contrasto degli elementi sociali in ordine alla economia e alla politica. Riassumendo: l a famiglia, la classe, il comune, lo stato nel progressivo sviluppo della società sono organismi naturali, con funzioni proprie e specifiche, con diritti propri inviolabili, per il conseguimento del fine della natura: la conservazione e i l miglioramento morale e materiale dell'individuo e della specie. Oggi, per uno di quei turbamenti sociali, che hanno tutta la ragione egoistica del predominio del forte sul debole, la classe, come funzione giudirica e politica, è scomparsa; moralmente ed economicamente accenna a risorgere; fondamentalmente vi è stata sempre; perchè si violenta la natura, se ne violentano i limiti, ma non la si distrugge. Ora, volendo e dovendo i cattolici riorganizzare le classi pro-


fessionali popolari, devono ben guardare la natura specifica e le naturali funzioni, e regolarne i rapporti relativamente alle condizioni e alle esigenze mutate dei tempi; e se per ora la legislazione non riconosce i diritti civili, giuridici e politici della classe, occorre darvi ampio sviluppo morale ed economico, sino al giusto e legale riconoscimento di quest'organismo sociale e dei suoi imprescindibili diritti. E quantunque il concetto di classe non si restringa solamente alle classi operaie, ma comprenda tutte le classi sociali, ondc alla organica ricostituzione di tutte le classi si deve tendere; pure oggi, nella disgregazione universale, quelli che economicamente, moralmente e giuridicamente hanno sentito tutto il pernicioso effetto del livellamento e quindi della sopraffazione sociale sono gli operai; ad essi bisogna rivolgere principalmente i nostri sforzi per ricostituirli in classi, dalle quali e per le quali (come si dirà appresso) emanerà la intiera riorganizzazione politico-sociale, che riporterà alla loro naturale e gerarchica funzione tutte le classi sociali.

LE ATTUALI CONDIZIONI DEL LAVORO Per scendere a l concreto, esaminiamo, adunque, le condizioni del lavoro nello stato presente della società, per poi dedurne il nuovo carattere e le diverse guise che oggi deve assumere l'ente-classe professionale degli operai, per rispondere intieramente ai suoi fini. Da questo esame si vedrà quanto sia insussistente l'accusa che i cattolici vogliono far ritornare la società sino al medio evo, sol perchè dagli ordinamenti corporativi del medio evo, tanto rispondenti alle esigenze dell'organismo sociale del tempo, assumono le ragioni storiche della loro concezione organico-sociale. Perchè, assodato che la classe non è un organismo fittizio, ma naturale, come effetto naturale della esplicazione sociale del lavoro; non può nessuno disconoscere che la classe dalle diverse esigenze sociali del lavoro mutua le condizioni e i caratteri della


propria funzione, esplicandosi e modificandosi secondo i progressi del lavoro nel tempo e nello spazio. Onde noi vogliamo l'ente-classe secondo i bisogni del secolo XX, come nel medio evo si ebbe la classe secondo i bisogni d'allora. Alla stessa guisa che, dato i l carattere naturale e non fittizio dell'ente-stato e dell'ente-comune, si diversificano nell'indole e nelle funzioni lo stato e il comune del nostro secolo, dallo stato e dal comune del medio evo. Oggi il lavoro si trova in condizioni anormali, aspre e difficili, ed è per questo che da tutti è sentito i l bisogno della riorganizzazione del lavoro, individualizzato dal liberismo dominante e reso quindi alla mercè della forza del capitale spesso oppressore. Riduciamo a schema tali condizioni, per esaminarle più determinatamente : a) per il grande spostamento della ricchezza riunita in poche mani, per cui la piccola proprietà, non protetta, va scomparendo, e le piccole industrie, non reggendo alla concorrenza, diminuiscono di numero, di intensità e di ambiente; e per la nuova potenza a cui è arrivato il capitalismo accentratore nella grande produzione e nella estensione dei commerci; e, più di tutto, per il disgregamento e la individualizzazione dell'economia liberale, emerge come fenomeno universale i l proletario salariato, esposto alla concorrenza della mano d'opera, alle condizioni, non di rado angariche, dei regolamenti di fabbrica e dei patti colonici, alla disoccupazione tormentosa, alla emigrazione non protetta nè regolata, sia temporanea che permanente ;

b) per l'atomizzazione giuridico-politica, per la nessuna rappresentanza comunale o nazionale degli interessi di classe, e per i l disinteressamento dello stato liberale, che nel suo principio fondamentale rinnega il concetto organico del lavoro e della tutela e difesa dell'operaio, questo si trova esposto al fiscalismo improvvido degli stati moderni e alla oppressione del più forte, senza nessuna protezione legale dei suoi diritti e senza nessun mezzo legale per poter difendere e prowedere ai suoi interessi e ai suoi bisogni; onde spesso è costretto a ricorrere


all'arma a due tagli della coalizione e degli scioperi e ai movimenti rivoluzionari ; c ) come effetto e per concomitanza delle addotte ragioni e del170rganismo dello stato moderno, il popolo nella parte tecnica non ha l'istruzione professionale dovuta, anzi, col regime attuale degli studi, spesso si dà ai giovani operai l'occasione di divenire degli spostati; e nella parte strettamente economica e industriale l'operaio non ha, in generale, nè difese, nè aiuti nel credito, nel consumo, nel lavoro, negli infortuni, nelle crisi, ecc. ;

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d ) per dura conseguenza delle infelici condizioni delle classi lavoratrici, per l'educazione malsana del liberalismo nella scuola laica, per la lotta fatta dallo stato alla chiesa e al cattolicesimo, per la decadenza dello spirito sociale religioso e delle virtii morali pubbliche e private, l'operaio si trova esposto a una crescente corruzione, e, causa la reazione naturale contro l'ordinamento presente del lavoro, vien trascinato dal socialismo alla lotta di classe e al materialismo economico e civile. Questa quarta condizione (che nel n. I del presente lavoro venne riguardata sotto l'aspetto etico-sociale) ha, rispetto alle condizioni del lavoro che stiamo esaminando, un'influenza speciale per la sua natura complessa : perchè la religione, come principio eticonormativo, regola tutte le azioni umane; come fondamento d i giustizia, salvaguarda tutti i diritti; come collegamento d i amore e di sacrificio, unisce tutti gli uomini, senza differenza d i classe; come intento finale, solleva l'uomo dai bassi e transitori interessi a più nobili ed elevate aspirazioni, a desideri più sublimi, integrando e perfezionando il naturale col soprannaturale-, e rende organica e convergente la gerarchia teleologica o finale della natura. Onde l'influenza della religione sulle condizioni sia del lavciro come tale e preso come base dell'ente-classe, sia delle esplicazioni del lavoro nei rapporti di giustizia commutativa e legale, negli attriti e nelle combinazioni d'interessi, nelle funzioni politico-sociali, nonchè sulle condizioni d'animo psicologiche ed etiche del lavoratore, è coe5ciente efficace e indispensabile a l fine a cui mira il lavoro, come mezzo, la conservazione


cioè e il miglioramento economico, morale e sociale dell'individuo, e la perpetuità progressiva della specie. Le suesposte quattro condizioni attuali dell'operaio, che si possono riassumere in condizioni d'ordine: a) sociale, b) giuridico-politico, c ) economico, d) morale-religioso, determinano positivamente in ordine al luogo e al tempo i fini della organizzazione professionale o di classe a cui si mira e le funzioni che deve compiere. Esse, basate su dati di fatto, manifestano l'attuale disorganizzazione dell'operaio, e danno la spinta, facendo cadere molti pregiudizi ed errori, ad una organizzazione di classe completa e d intiera; la quale, se nell'attuale momento patologico del lavoro, per arrivare alla reintegrazione sociale, segna un movimento antagonistico a quello di altre classi, non ha, certo, nè per sua naturale funzione, nè per suo compito ordinario, quello di rimettere l'ordine violato nella organica compagine della società. Come però è anormale lo stato presente, è perciò straordinaria la funzione delle classi lavoratrici. Onde tali classi devono oggi avere una base più vasta, un carattere più generale che non sia solo l'ordinaria tutela degli interessi professionali: esse devono esprimere la ragione del momento storico (che non sarà certo nè breve nè passeggiero, date le cause permanenti e progredienti del fenomeno dell'attuale crisi sociale); e perciò devono assumere, col carattere proprio e congenito d'interessi professionali di classe, quello d'interessi generali di lavoro in rapporto al capitale, quello di rivendicazioni sociali e giuridiche in rapporto alla politica, quello di rivendicazione religiosa in rapporto allo stato laico: quello di resistenza e di combattività in rapporto al socialismo collettivista. Determinato così il carattere specifico dell'epoca in rapporto al lavoro, fa d'uopo distinguere la funzione ordinaria dell'organizzazione della classe operaia dalla straordinaria; il termine immediato a cui oggi - o pel fatto di un'organizzazione incipiente o per le condizioni legali dello statc~- si può arrivare, d a l termine mediato a cui si vuole e si deve arrivare; e bisogna inoltre stabilirne i rapporti organici interni ed esterni, i mezzi pratici per una razionale e possibile organizzazione promossa da cattolici nelle contingenze presenti, le relazioni infine d i


svolgimento e di intenti degli organismi professionali operai con tutto i l movimento cattolico, per adempiere alla funzione straordinaria ed eccezionale, richiesta dall'attuale crisi sociale.

IV. FUNZIONE ORDINARIA E TERMINE IMMEDIATO DELLE UNIONI PROFESSIONALI Per maggiore concisione esaminiamo prima di tutto, a l lume delle suesposte condizioni, la funzione ordinaria dell'organizzazione della classe operaia e i l termine immediato a cui si può arrivare. Li unisco insieme per le affinità e la reciprocità che di fatto li associa, sotto la ragione di primo e fondamentale movimento pratico. La funzione ordinaria dell'organizzazione di classe è quella di dare unità organica autonoma ad una classe, e come tale di rappresentarne gli interessi dinanzi alle altre classi ,e ai pubblici poteri, di proteggerne i diritti e di favorirne il benessere religioso, morale, civile, materiale D (Toniolo). Questa funzione supporrebbe i l giusto riconoscimento giuridico dell'ente-classe, perchè si potessero ottenere intieramente tali importantissimi vantaggi. Ma il riconoscimento giuridico dell'ente-classe, benchè sia un termine al quale sembra si avviino le nazioni civili, pure ancora aspetta la sua rivendicazione, specialmente per mezzo delle stesse classi operaie: esso perciò, nelle condizioni presenti, è uno dei termini mediati, a cui il movimento popolare dovr; arrivare. Per necessità di cose pertanto dobbiamo concepire la prima organizzazione d i classe, che vogliamo attuare, come un'associazione libera a norma delle leggi vigenti e in forza del diritto della libertà di associazione a scopi morali ed economici: questo è il termine immediato a cui per ora possiamo arrivare; però a tale associazione diamo i l carattere della naturale organizzazione d i classe, assegnandovi gli scopi sopra annunziati come sua ordinaria funzione e come termine, a cui deve tendere, non ostante le difficoltà alle quali dal non riconoscimento giuridico possa andare incontro.


Accenniamo quindi alla possibile esplicazione della unione professionale, riguardo alle esigenze e ai bisogni della classe lavoratrice nelle presenti circostanze, secondo le condizioni di lavoro più sopra analizzate. I1 prof. Toniolo, nelle sue norme illustrative al voto del congresso di Roma, riunì sotto i tre rapporti principali di - A) ufficio di rappresentanza collettiva ; B) compito d i tutela giuridica ; C) miglioramento della classe industriosa - tutto quanto è per le condizioni del lavoro industriale con urgenza richiesto dalla equità e dai bisogni economici e morali di quella classe. Noi, più o meno, seguiremo un tale schema, unendovi quanto riguarda la classe agricola; perchè la natura generica di questo lavoro costringe ad unire sotto unica considerazione l'una e l'altra classe lavoratrice nel comune aspetto di operai.

A) E in primo luogo, l'ufficio d i rappresentanza collettiva è il principale dell'unione professionale di classe; esso corrisponde al concetto organico-sociale della classe che siam venuti esponendo su queste colonne (si veda il n. I1 del presente lavoro) ; per cui gli interessi degli individui divengono gli interessi della classe, che per la sua rappresentanza compie quel che l'individuo isolato e debole non potrebbe fare, o non intieramente e con esito favorevole potrebbe tentare. Per tale ufficio alla classe spetta la cura di tutti i diritti e di tutti gli interessi professionali del lavoro degli individui consociati nei rapporti con le altre classi e con i pubblici poteri. Per cui l'unione professionale stabilisce: I) « Un ufficio d'informazioni sia private che pubbliche delle condizioni dell'industria manifatturiera o agricola e dello stato delle classi laboriose N. Questo ufficio d'informazioni è la base di operazione, diciamo così, dell'unione professionale; esso è l'indice delle condizioni del lavoro e la fonte dello studio dei miglioramenti da arrecarsi alla classe, secondo i diversi bisogni particolari di luogo, tempo, professioni, ecc.

11) « Un d c i o di collocamento di operai disoccupati, tenendosi in relazione con i capi delle officine, delle industrie, con gli intraprenditori e i proprietari agricoli, ecc. D.


Vero è che il male della disoccupazione, che presenta fenomeni patologici e complessi, non si può sradicare con tale rimedio che, dato l'attuale ordinamento economico e gli sbalzi e la crisi dell'industria, non di rado riesce inefficace; però è un riparo necessario per provvedere a quelle normali evenienze della domanda e dell'offerta della mano d'opera nel cosidetto ntercato universale del lavoro. 111) « U n &ci0 di protezione e patronato per gli emigranti temporanei e permanenti. Non fa d'uopo rilevare quanta importanza abbia un tale ufficio oggi che l'emigrazione attira all'estero parte notevole del lavoro dell'operaio italiano, il quale spesso si trova senza aiuti, incerto del domani, sfruttato da ingordi speculatori, esposto a mille insidie morali e materiali. IV) « Un ufficio di sorveglianza per la conclusione dei contratti di lavoro nelle fabbriche e dei patti colonici, denunziando tutto ciò che di vessatorio, d i ingiusto vi si trova; in. fluendo sulla giusta mercede, sulla condizione delle ore di lavoro, sul riposo festivo, sul lavoro delle donne e dei fanciulli, tutelando gli interessi e i diritti morali e materiali, fisici, igienici ed economici dell'operaio. 1) Nelle infelici e opprimenti condizioni presenti un tale ufficio è di somma importanza, per non lasciare l'operaio in balia d'ingordi e inumani sfruttatori; e torna anche utile ai padroni, alla pubblica quiete e a l regolare ordinamento sociale, perchè previene così gli scoppi degli scioperi, e tutela i diritti sociali dell'operaio in forma normale, senza fomentare lo spirito di ribellione e rendere acuta la lotta di classe. V) « Un ufficio di relazione con il comune, la provincia e lo stato, ad ottenere dei giusti prowedimenti per gli operai, sia nelle circostanze degli scioperi, sia nelle continue crisi industriali ed agrarie e nel momento di disoccupazione generale, sia per invocare il loro intervento, quando occorre, per l'osservanza delle leggi sociali e dei regolamenti, sia per tutte le contingenze eventuali, nelle quali è opportuna e doverosa l'azione dei corpi costituiti per la tutela e la difesa e l'aiuto delle classi lavoratrici 1).


B) Viene in secondo luogo il compito di tutela giuridica che spetta all'unione professionale; compito importantissimo, il quale, non ostante che la classe non sia riconosciuta come ente, pure riesce di sommo vantaggio alle classi popolari, fa pressione sulla pubblica opinione e inizia quel lavorio organico amministrativo e politico, che riuscirà a un movimento più svolto e più completo. Sono i rapporti dell'operaio in faccia alla legge che devono venire tutelati e migliorati dall'unione professionale, sia rapporti di diritto privato, sia rapporti generali, riguardo all'ordinamento del lavoro, alle imposte, alla funzione amministrativa dei corpi e degli enti superiori. Onde un tale compito si esplica: 1) Fondando un ufficio di consulenza legale, per aiutare dinanzi ai tribunali o alle autorità amministrative gli operai nella difesa dei propri diritti privati, ovvero nella trattazione di alcuni negozi personali con le autorità ecclesiastiche e civili dell'interno e dell'estero N. A questo ufficio si può aggiungere tutto quanto riguarda la pubblica beneficenza - congregazioni di carità, fidecommissionarie, ospedali, ospizi di ricovero, ecc. - a favore di quegli operai, o invalidi o infermi, che possono fruire di tali opere, e che spesso non ne fruiscono per colpa loro, quando non conoscono i regolamenti di tali istituti pubblici, o per colpa degli amministratori, per lo più, a non dir altro, ignari delle vere miserie da sollevare. 2) « Stabilendo dei collegi d i conciliazione od arbitrati, sia per le divergenze e l e liti che possono nascere fra gli operai, sia per intervenire fra gli operai stessi e i padroni, quando il malcontento o la violazione di diritti fa prevedere lo scoppio d i qualche sciopero, per impedirlo, o, se scoppiato, per risolverlo secondo le norme del giusto e dell'interesse comune D. Per questa funzione sono da consigliarsi, come più efficaci e più razionali, i collegi misti di operai e padroni. Cosa che forse potrebbe essere l'inizio di una migliore unione d i queste due classi che si compiono a vicenda, e che a vicenda hanno bisogno una dell'altra, e i cui interessi non di rado coincidono.


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3) « Adoperandosi alla migliore applicazione nelle varie industrie della legislazione sociale operaia, in ispecie consigliando le migliori combinazioni per le assicurazioni degli infortuni o per la invalidità e vecchiaia degli operai D. Però, siccome la legislazione sociale italiana non è che un semplice vota (le leggi sul lavoro dei fanciulli o sulle assicurazioni sono ben poca cosa e per niente rispondenti alle vere condizioni sociali), l'unione professionale deve mantenere viva l'agitazione legale perchè i pubblici rappresentanti rivolgano le loro atlenzioni e il loro compito a dare una legislazione sociale operaia migliore, completa ed intera; esponendo i veri bisogni della classe, tenendo meetings, pubblicando giornali e influendo potentemente sulle elezioni (pel momento) amministrative comunali, provinciali e camerali. Deve inoltre interessarsi del regime finanziario e della natura e distribuzione delle imposte che spesso pesano la gran parte sul lavoro e sui consumatori, e formare una pubblica opinione generale, perchè il bilancio dello stato corrisponda al bilancio della nazione, proporzionale ai bisogni e agli interessi delle diverse classi. Si avvia così quella rappresentanza d'interessi e d i classe che è reclamata da u n organico riordinamento dei pubblici poteri amministrativi e politici.

C) I n terzo luogo l'unione professionale deve promuovere il nzigliorantento della classe, economico, intellettuale e morale. Molteplici sono le opere delle quali l'unione si può e deve farc iniziatrice e sostenitrice, secondo i molteplici bisogni delle classi operaie. Onde, nè è possibile che si enumerino tutte, nè che tutte si fondino in ogni luogo, stante la varietà e diversità delle condizioni locali. Deve però essere cura dell'unione scegliere quelle opere che meglio rispondono alle condizioni speciali. Ne enumero perciò alcune principali e più generali, rimandando i l lettore alle trattazioni speciali per tutto ciò che concerne la natura e l'organismo di ogni singola opera. a) Pel miglioramento economico delle classi lavoratrici I'unione professionale: 1 « Si farà promotrice presso i capitalisti, i direttori degli stabilimenti e le officine, i proprietari e i fittavoli agricoli di

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tutte le istituzioni di patronato cristiano, per migliorare le relazioni reciproche fra intraprenditore ed operai 1). Non è facile riuscire a ottenere tanto da una borghesia per lo più irreligiosa e avida, ma si trovano dei buoni, onesti e cattolici capitalisti o proprietari, i quali forse si potrebbero indurre a dare l'esempio fondando tali istituti; così non sarebbe difficile estendere la propaganda e far pressioni sull'animo dei più renitenti. Tali istituti recano in gran parte anche dei vantaggi nrorali e servono a meglio unire gli uomini di due classi - che oggi si guardano con sospetto e diffidenza, che anzi sono spesso in lotta, - e fanno ai padroni considerare gli operai come figli e non mai come servi. Ma per ottenere ciò fa d'uopo una educazione religiosa delle classi colte che oggi non c'è, per cui ho voluto mettere tali istituti fra i possibili miglioramenti economici.

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2 Promuoverà delle cooperative di lavoro, di credito, di consumo, di mutuo soccorso, di acquisti collettivi di strumenti, d i materia produttiva, ecc. ». La cooperazione oggi è un ramo importante dell'attività economica, e per l'operaio non solo serve a conseguire meno onerose condizioni di vita economica, quali la diminuzione di prezzi alimentari, di pigione, di alloggi, più miti interessi di prestiti, più facili acquisti di strumenti, ecc., ma secondo il concetto di autonomia e stabilità economica dell'operaio può e deve avere i l carattere lucrativo, e per esso servirà a comporre u n capitale futuro di spettanza dei cooperatori medesimi - la cui associazione si eleverebbe così a l grado di capitalista ovvero di spettanza della classe, come capitale in forma indivisibile collettivo, che verrebbe riversato a beneficio perpetuo di tutti i membri presenti e futuri della classe stessa (Toniolo).

b) Per il miglioramento intellettuale e morale della classe, l'unione professionale : 1 - K Aprirà, promuoverà o favorirà l'istituzione di asili d i infanzia operaia, di scuole catechistiche e oratori domenicali per giovanetti, di scuole o istituti d i arte e mestieri e le cosidette università popolari, oggi promosse dai socialisti ». 2

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Promuoverà conferenze e circoli operai sociali per la


retta e cristiana conoscenza della questione operaia, per una cosciente visione dei propri diritti, per una educazione ad una vita cristiana privata e pubblica. Favorirà molto la diffusione dei giornali tecnici, religiosi e sociali, e l'istituzione di biblioteche operaie 1). 3 - C Promuoverà delle pratiche religiose atte a mantenere viva la fede e la pietà cristiana e a ravvicinare l'operaio a Gesù Cristo ». Da questa rapida rassegna si vede come sia vasto i l campo della funzione ordinaria delle unioni professionali e come col progresso delle forme collettive si aprano nuovi orizzonti di attività economica e morale, e si trovino altri mezzi per soddisfare ai bisogni dell'umanità.

I RAPPORTI INTERNI ED ESTERNI DELLE UNIONI PROFESSIONALI Esaminata la funzione ordinaria e il iermine immediato dell'organizzazione della classe operaia, prima di esaminare la funzione straordinaria e il termine mediato (che tra loro hanno delle relazioni), occorre parlare dei rapporti interni ed esterni dell'organismo delle unioni professionali e dei mezzi pratici d i fondarle: perchè siffatte considerazioni d'ordine pratico si collegano, per ragioni logiche, con la funzione ordinaria dell'organizzazione di classe, e, per ragioni storiche, con i l termine immediato, a cui si mira, o come conseguenza naturale dell'enteclasse, o come possibilità di fatto, date le presenti condizioni. Con quest'ordine, l'esame della funzione straordinaria e del termine mediato, che logicamente suppone già costituite le unioni professionali, piglierà luce migliore. 1)E per primo, adunque, guardiamo l'organismo delle unioni professionali, ossia i suoi rapporti interni. Dall'esame compendioso, fatto prima, deil'origine naturale della classe, abbiamo constatato che la sua ragione specifica è il lavoro, e la sua ragione numerica i l territorio. Volendo adunque ristabilire l'ente-classe come funzione col-


lettiva, abbiamo già le basi dell'aggruppamento e della specificazione: il lavoro diverso aggrupperà specificamente gli operai d i ciascun mestiere, e i l territorio unirà i n u n intento comune tutte le varie associazioni professionali. Dato questo concetto generico e d'indole assoluta, sorgono tante applicazioni al fatto concreto quante sono le condizioni e circostanze di luogo e tempo, non tutte prevedibili. Però alcune norme direttive potranno riuscire utili, quando non pretendono assurgere a uniformità regolamentari, spesso dannose o poco adatte. Riguardo alla specificazione data all'unione pro£essionale dalla diversità del lavoro, non è opportuno, specialmente nei piccoli centri, sminuzzare troppo il ceto degli operai e suddividerlo in tutti i mestieri; basta invece raggruppare i mesti.eri che hanno affinità spiccate e certa comunità d'interessi, e dividere quelli che presentano uno stacco notevole (artigianato, agricoltura, commercio, grandi industrie manifatturiere), nei quali gli interessi degli operai sono abbastanza distinti e sono rare le affinità. Tali unioni professionali, per l'interesse generale del lavoro, per le relazioni d'interessi particolari, per l'unione fra di loro in molte opere collettive, nelle quali occorre lo sforzo di tutti, per la tutela e lo sviluppo dei commerci, per l'unità d'indirizzo politico, è necessario che siano in corrispondenza o federazione. A ciò provvede l'unità di territorio. Le federazioni comunali, circondariali e provinciali sono indispensabili per i fini diversi delle unioni professionali. Tali federazioni hanno doppio oggetto: quello specifico di una data classe ( p e r esempio, agricoltori o artigiani o commercianti), le cui unioni professionali particolari sono disseminate per molti comuni del circondario o della provincia; e quello generale nell'interesse comune di tutte o della maggior parte delle classi lavoratrici. Ho preso per unità territoriale, oltre il comune (naturale) il circondario e la provincia (che spesso coincidono anche con la diocesi) per condizione di fatto, dalla quale, per mille ragioni giuridiche, amministrative e religiose, non si può sfuggire; quantunque non sempre gli interessi del lavoro coincidano con


il circondario o la provincia, sia per l'attuale circoscrizione fatta non sempre con criteri esatti, sia perchè il commercio segue vie molto diverse, determinate da condizioni speciali di consumo, viabilità, bisogni, crisi, sbocchi, costumanze, ecc. A queste unità territoriali si aggiungono la regione e la nazione per la tutela d'interessi maggiori e per una funzione più ampia, che potrà essere consentita quando le inferiori organizzazioni saranno sviluppate e progredite. Ad ogni modo la federazione delle unioni professionali (siano comunali che circondariali o provinciali, ecc.), si basa sopra u n concetto organico di rappresentanza delle singole unioni, nei loro specifici e generali diritti, interessi e bisogni, specialmente i n rapporto agli enti locali, e di direzione al movimento collettivo; affinchè i rappresentanti d i tutte le unioni professionaii d i una data circoscrizione possano meglio e con unità d'indirizzo e d i intenti dare vita a l pensiero di tutti i consociati. Questo concetto informa tutta la costituzione delle unioni professionali, delle quali è base il principio elettivo dei rappresentanti federali, secondo le diverse specificazioni di mestieri, . e (secondo me) con elezioni graduali, cioè: le singole associazioni di mestiere eleggono i rappresentanti comunali; questi, a base dell'entità e del numero delle diverse associazioni operaie, nominano uno o più rappresentanti provinciali. Le nomine per i rappresentanti regionali o nazionali verrebbero fatte con norme miste, e secondo la crescente importanza delle molteplici associazioni di classe. Ho voluto toccare quest'argomento, che potrà essere svolto con criteri pratici, quando il movimento sarà s d c i e n t e m e n t e iniziato, e certo con molta larghezza di vedute, unicamente perchè sin dal principio della nostra azione non si corniuci con quei criteri autoritari esagerati, che spesso intralciano i l cammino, adusano l'operaio a non pensare nè fare da sè, come u n pupillo sotto tutela, e, quel che è peggio, sono causa che la parte direttiva autoritaria non comprenda, non conosca, non s'immedesimi, e quindi non rappresenti gli interessi dei rappresentati. Di più, i l sistema proposto prepara sufficientemente la coscienza dell'operaio alla rappresentanza amministrativa e politica


.di classe, che è uno degli intenti mediati dell'organizzazioce professionale. Tutte le altre norme interne delle unioni professionali e della loro federazione possono essere lasciate alla determinazione pratica, salvo a dare una norma, più o meno generica, che valga come di falsariga e col carattere di prova, per iniziare l'azione. Solo accenno ad una questione importante tanto dal punto di vista teorico che dal pratico, cioè se le unioni professionali debbano accogliere il rappresentante dell'autorità ecclesiasiica, come assistente col diritto al veto nelle deliberazioni riguardanti la religione e la morale. Sotto il punto di vista teorico non v'ha dubbio che i l principio religioso, come deve animare tutta la società nelle sue appartenenze pubbliche e private, non che la legislazione e i progressi civili di una nazione; così deve essere l'anima dell'organizzazione d i classe. Anzi, come si vedrà i n appresso, la rivendicazione dei diritti religiosi della società sarà una delle funzioni straordinarie di questa organizzazione, a h c h è Gesù Cristo, cacciato dalle altre classi della vita collettiva, vi rientri col popolo e pel popolo organizzato socialmente. Nè qui mi fermo a lungo, sia per quanto è stato detto precedentemente esaminando le condizioni presenti del lavoro (vedi n. III), sia per quel che si dirà. La questione può essere più o meno esaminata con diversi criteri quando ci riferiamo alla sua praticità. I n Italia è vero che l'operaio (industriale o agricolo) non ha perduto intieramente la fede, ma in gran parte si è allontanato dall'osservanza della morale cattolica, e, almeno nei centri più grandi, è in parte pervertito anche negli stessi principi. Se si volesse fondare un'unione professionale con la base rigorosa della religiosità teorica e pratica, da escluderne perciò tutti quegli operai che non menano vita cristiana, si sarebbe costretti a limitarci ad una cerchia sventuratamente assai ristretta di operai, da non costituire quasi mai (tranne forse nei piccoli centri rurali) la maggioranza. I n questo modo si possono fondare o società cattoliche operaie d'indole prevalentemente religiosa o qualche società puramente economica, che può svolgersi i n u n limitato numero di soci (casse rurali o banche popolari) non

11 - STUBZO - Sintesi sociali.


mai unioni professionali, che hanno la loro forza propria ne1 maggior numero o nella quasi totalità degli esercenti un mestiere in un determinato territorio ( i l comune). Per lo scopo prefissoci è necessario un temperamento pratico che non deroghi al principio; per cui io credo che in Italia potrebbe esser base dell'unione professionale un concetto, diciamo così, negativo, cioè la non accettazione di quegli operai che pubblicamente sono contrari alla religione nei suoi principi, che hanno subito delle condanne penali per fatti disonoranti, o che sono designati, perchè spudoratamente immorali, al pubblico disprezzo. Questo criterio, lungi dallo scostarsi dal principio di confessionalità, credo che vi si avvicini. In Italia non vi sono, nella grandissima maggioranza operaia, persone appartenenti a diverse religioni; vi sono però dei traviati, i quali sono truscurati bisogna riconoscerlo apertamente - dal clero, che si è chiuso in sagrestia, aspettando i miracoli dal cielo. Quando però, nelle stesse unioni professionali, entra la religione come elemento di vita e di giustizia, come norma di operazione, vi entra il prete come padre e difensore dell'operaio, molti pregiudizi cadranno, più facilmente la parola del sacerdote troverà la via del cuore, con più entusiasmo si ridesterà il principio religioso, che spesso è favilla sotto cenere, ancor viva, che un soffio del socialista può spegnere e un soffio del cattolico riaccendere. Onde, d'altra parte, il sacerdote in queste unioni proiessionali deve avere il suo posto, per la tutela dei diritti della religione e della moralità, perchè l'unione professionale segua la via del retto e del giusto, e perchè si migliorino le condizioni morali dell'operaio. Saranno pochi quegli operai che rigetteranno i l sacerdote che scende verso di loro per aiutarli: quei pochi li convertiranno l'esperienza e i fatti.

2) Riguardo ai rapporti esterni, ossia con le altre classi sociali, organizzate o no, e con le autorità pubbliche, poco resta a dire. Nei contatti necessari che avranno con loro le rappresentanze delle unioni professionali, siano esse comunali, o circondariali, o provinciali, nell'esercizio delle funzioni diverse e molteplici dell'organizzazione di classe, benchè non vi sia riconoscimento legale, le autorità e le classi alte non possono sot-


trarsi alla forza di una vasta associazione operaia, e non possono non riconoscere negli operai il diritto morale di rappresentanza vera e reale in tutto quel che concerne gli interessi del lavoro. Però, siccome da una parte i l lavoro non si può con una semplice astrazione mentale dividere e staccare dal capitale (sia questo terriero o industriale), nè mai come oggi è apparsa luminosa la verità che l'uno e l'altro (capitale e lavoro) nella comune cospirazione si avvantaggiano a vicenda (contro la teoria socialistica); e siccome dall'altra parte spesso i rappresentanti del capitale elevano questo a nemico di quello, e viceversa fanno i rappresentanti del lavoro, destando una guerra vicendevole, dannosa ad ambedue le parti, per cui si è in uno stato d i lotta e di asprezze; così sorge la questione se e come il capitale possa avere la sua voce nell'organizzazione della classe operaia. Certo non si può rispondere a priori, per le ragioni che i fatti contraddicono spesso alle teorie e ripugnano alla loro applicazione pura e semplice. Noi troviamo due semplici dati di fatto che non possono da noi essere modificati in un momento. cioè: a) che per sè non esiste alcuna organizzazione delle classi capitalistiche, abbiano rappresentanza legale o no d'interessi; b) che per una lunga serie di anni il capitalista (preso nel concetto generico) preme sull'operaio con un sistema opprimente e umiliante, e non s'inchina a riconoscerne i diritti, anzi neppure l'esistenza personale. Queste due condizioni impediscono, nella maggior parte dei casi, che nelle unioni professionali operaie possa aver voce il capitale, o in sindacati misti con forma organica permanente, o in commissioni miste per singoli casi. Per cui i rapporti dell'unione professionale operaia con i rappresentanti del capitale saranno diffidenti, e in circostanze straordinarie e patologiche, come tra due avversari. Questo stato non è certo il desiderio o l'ideale nostro come quello dei socialisti, - che mirano a soppiantare il capitale con la forma collettiva di proprietà; - ma forse, o senza forse, sarà uno stato necessario come passaggio transizionale, come u n primo stadio nell'esistenza contrastata dell'organizzazione della classe operaia, finchè essa possa raggiungere il suo termine mediato.


I n questo stadio di transizione, però, si può ben arrivare a qualche cosa di più, che incominci a smussare le angolosità e a togliere le asprezze e i motivi d i lotta. Esiste i n Italia una parte, benchè minima, dell'attuale borghesia, che o segue ( i giovani specialmente) con entusiasmo e interesse l'attuale movimento democratico-cristiano, o, pur essendo vissuta nell'ambiente liberale-moderato, ha dalla religione cattolica che francamente professa, una larga base d i sana democrazia e di vivo amore pel popolo. Costoro, come quelli che appartengono per posizione sociale alla classe dei capitalisti, senza affatto dividerne le idee, potranno nell'organismo delle unioni professionali avere u n posto, non rappresentativo certo, ma complementare e consultativo, e in certe opere determinate (casse, banche, segretariato del popolo, collegi arbitrali, ecc.) anche direttivo. Essi potranno rendere i rapporti con le altri classi sociali più benevoli e più fruttuosi d i miglioramenti. Così, a poco a poco, si avvierà anche un movimento parallelo democratico dei rappresentanti del capitale.

3) Occorre infine scegliere i mezzi più adatti per fondare queste unioni professionali, rispondenti ai bisogni del luogo e delle persone e alle funzioni sopra enumerate, cominciando dal poco per arrivare a l molto. Dare una norma comune, universale, è u n volere unificar troppo forze, ambienti, educazioni, bisogni, lavoro, cose diverse fra regione e regione e fra città e città. Spesso nel piccolo ambiente di una borgata tutto potrà assommarsi in una società d i credito o di produzione o di mutuo soccorso. E nelle grandi città, per il numero dei lavoratori, la diversità e la grandezza delle industrie, si dà luogo a u n vasto organismo di grande importanza, che potrà tentar molte opere. Diverse saranno le guise che assumeranno tali unioni nelle città industriali da quelle dei centri agricoli, e così via. Per iniziare l e unioni professionali della classe industriosa il prof. Toniolo consiglia d i formare società professionali in ogni grande industria e società d i mutuo soccorso in ogni piccola industria o per ciascuna città o borgata: tali società si fede-


rino tra loro e mandino ciascuna il proprio rappresentante alla città capodiocesi. Questo può essere u n mezzo adatto e che non ha serie difficoltà. Per le unioni rurali possono anche essere, come nucleo germinatore, le casse rurali o meglio le cooperative di lavoro. I1 primo e principale passo consiste nel poter unire fra loro gli operai in u n primo nucleo, allettandoli con qualche istituzione economica, per cui essi vedano d i già u n effetto immediato e reale della loro società, e possano avere dei mezzi finanziari (difficoltà sempre messa avanti da coloro che o non hanno mai lavorato in questo campo o che non vogliono lavorarvi, per far abortire ogni seria e proficua organizzazione), dico i mezzi finanziari, perchè l'associazione professionale possa attuare gli scopi per i quali sorge. Dopo di che i mezzi, le guise e i modi saranno meglio determinati dalle condizioni locali, purchè si tengano costantemente di mira la natura e le funzioni dell'organizzazione di classe.

VI. Resta a considerare la funzione straordinaria dell'organizzazione delle classi popolari e il termine mediato a cui si mira. L'una e l'altro non coincidono perfettamente, perchè sebbene i n gran parte la funzione straordinaria abbia per oggetto non quel che si può oggi, ma quel che si potrà domani, data una buona organizzazione, pure in qualche parte essa può sin da principio essere presa di mira e indirizzare gli sforzi collettivi del proletariato; e così anche il termine mediato coincide in parte con la funzione ordinaria dell'organizzazione di classe, e in parte con la straordinaria; ma lo diciamo mediato, in quanto si suppone che non sia, date le condizioni presenti, raggiungibile oggi. A ogni modo non è il luogo di abbondare in sottigliezze e distinzioni; l'interessante è d'intenderci per ordinare i nostri propositi a una meta chiara e, per quanto è possibile, determinata.


Divido perciò queste note sulla funzione straordinaria e il termine mediato in due punti distinti: mettendo nel primo quel che più si attiene all'indole specifica dell'organizzazione di classe sotto la ragione d i interessi generali del lavoro o di funzione organica; la quale servirà come di passaggio o di precondizione, in linea di massima, a quel che nel secondo punto sarà posto, e che forma come i l programma politico-sociale-religioso dell'organizzazione di classe, o più propriamente della democrazia cristiana, di cui quella è la base e l'unità tattica. 1) Termini, adunque, mediati delle unioni professionali di indole specifica principalmente sono : a) L'organizzazione regionale e nazionale delle rappresentanze federali, sopra accennate. Ci torno su per una semplice ragione: perchè oramai s'intenda da noi che non è affatto pratica un'organizzazione sovrimposta che incominci a funzionare come nazionale o regionale, quando solo cinque, o dieci, o cento della capitale o della principale città della regione si uniscono e pigliano un nome, o una ditta generale per la nazione o per la regione, formando poi quadri d i esercito (piglio la parola in uso dai così detti disciplinisti) che hanno vita solamente sulla carta. Può essere, anzi avviene, che nella maggior parte dei casi il movimento d'iniziativa sia centrifugo, per molte ragioni inutili a numerare; ma ciò solo dà diritto e dovere alla propaganda, alla direzione generica, a far fruttare l'iniziativa. Noi invece nell'unione professionale dobbiamo arrivare alla rappresentanza regionale o nazionale d'interessi di classi organizzate, i l che è tutt'altro: il movimento federale e rappresentativo in tal caso deve essere centripeto, deve, cioè, avere una larga base regionale o nazionale d i associazioni professionali esistenti e federate. Basta perciò dapprincipio un centro direttivo, che sviluppi le forze delle varie regioni o provincie, e solo come termine mediato, dopo una organizzazione bene sviluppata, si arriverà alla vera ed efiettiva rappresentanza d'interessi professionali sia regionali che nazionali. b) La tutela degli interessi generali &l lavoro, sotto il punto di vista regionale o nazionale. È i n parte una conseguenza della precedente considerazione, e involge molti rapporti e molti


problemi d'indole complessa, nei quali entrano gli elementi delle industrie capitalistiche, del commercio, della finanza, ecc., elementi che sono legati intimamente agli interessi del lavoro, come, per esempio, il protezionismo o il libero scambio, le crisi generali, le imposte gravose e insopportabili a un dato genere d'industria (p.e. la distillazione degli spiriti, ecc.). I1 lavoro ha interesse generale che le industrie siano fiorenti, che le imposte non impediscano il gettito della produzione, tutte condizioni che rimbalzano su di esso. Un'azione collettiva delle classi operaie organizzate in tutta la nazione può benissimo dare un orientamento importante in senso sociale-democratico alla pubblica finanza. C) I1 più importante di tutti è il riconoscimento giuridico dell'ente-classe, al quale termine devono mirare gli sforzi di tutti. Questo termine non può essere semplicemente un fatto legislativo, che prescinda dalle condizioni di luogo, ma deve essere legislativo e morale o sociale. La legge sociale deve trovare il terreno adatto per la sua applicazione; e questo terreno si prepara con le istituzioni libere disseminate per la nazione, viventi di vita propria e informate dello spirito che la legge non può dare. La legge sociale deve sanzionare un fatto sociale, per dirigerlo, farlo meglio tendere al suo fine, svilupparne le forze latenti, coordinarlo al tutto sociale; non può però crearlo quando Ic manchi l'elemento di base. Quest'elemento, in rapporto all'organizzazione di classe, esiste moralmente, ma informe, indeterminato, senza coscienza, senza vita; sarà perciò dovere delle unioni professionali preparare il terreno alla legge e costituirle l'elemento organico. Allora solamente la legge s'ihporrà per forza di eventi; e già pare che gli eventi precipitino, e noi dobbiamo non arrestarci, ma correre loro dietro.

2) Quella che ho chiamato funzione straordinaria dell'organizzazione di classe viene espressa dal felice motto: tout pour le peuple et tout par le peuple n, che tanta fortuna ha avuto in Francia e che è stato illustrato in Italia per primo dal prof. Toniolo, i l quale, nella sua famosa conferenza: « La genesi


dell'odierno proletariato e la democrazia cristiana n, da esso trasse la forma scientifica e la forza della propaganda. In ogni epoca vi sono delle classi sociali o degli ordinamenti speciali ai quali spetta una funzione, che chiamiamo straordinaria, per una d i quelle concezioni analitiche che predominano nel campo della filosofia della storia. Passi perciò il termine d'uso; esso è giustificato dalla posizione del comune angolo visuale, da cui si riguarda la storia nel suo svolgimento apparente e fenomenico. Certo si è che la società sempre si è trovata e si troverà in due diversi momenti contemporanei e cozzanti, uno di compimento e resistenza, l'altro di svolgimento e progresso; i l primo è determinato da uomini o classi o istituzioni che sono, l'altro è determinato da uomini o classi o istituzioni che divengono; l'uno e l'altro momento possono riguardare sia fatti accidentali che essenziali, sia semplici che complessi nell'ordinamento sociale. Ora, in questa condizione di cose, vi può essere equilibrio di forze, di idee, di rapporti, o invece disquilibrio; .nel primo caso il progressivo sviluppo è lento, uguale, armonico; nel secondo caso è vivace, duro, contrastato, e prelude a grandi rivolgimenti. Nell'epoca presente il disquilibrio sociale non solo esiste, ma è congenito e si estende ai rapporti essenziali della società; e l'elemento del divenire è il popolo, che perciò è causa del progresso umano. È chiaro pertanto che, si chiami pure straordinaria, è questa la funzione storica del proletariato moderno; cioè progredire per togliere i l disquilibrio sociale e toglier il disquilibrio sociale per i l progresso indefinito della società; termini questi correlativi di ripercussione. Però, nel vero concetto della società e della sua storia, la lotta e i l progresso non sono che i l fenomeno; e i l noumeno, che ne è la base, sono i principi universali di etica e sociologia naturale informati ai principi religiosi; per cui tanto l'essere che il divenire dei fatti sociali devono informarsi a questi principi, che fecondano a bene tutti gli svolgimenti e le evoluzioni. Onde è necessario dare all'attuale movimento popolare di pro-


gresso e ricostruzione sociale l'indirizzo risultante dai principi fondamentali della natura illustrati dal cristianesimo, sviluppantisi nelle guise moderne, nelle contingenze del disquilibrio sociale e nelle giuste rivendicazioni del proletariato; affinchè questa funzione straordinaria o missione storica e forza del divenire possa arrivare a rimettere nella società l'ordine e l'equilibrio e avviarla ai progressi del benessere comune. Guardiamo perciò sotto un tal punto di vista questa grande funzione storica delle classi operaie, in rapporto alla sintesi dell'attuale fenomeno sociale. L'ordine sociale violato nella sua essenza: ecco la sintesi; violato nei rapporti dell'individuo verso la società; nella funzione degli enti intermedi - famiglia, classe, comune -; nella grande funzione sociale della religione, concretizzata nella chiesa cattolica, istituzione divina; nelle esigenze economiche; nello sviluppo intellettuale; nell'applicazione dei principi fondamentali di libertà e di autorità, di legge e di diritto, di doveri e funzioni, di politica e finanza. Non è il caso di violazioni individuali o di semplici applicazioni false ai casi concreti, ma di violazioni sociali, fondate sulla falsa ed erronea concezione della natura dell'uomo. Questo ordine violato si deve riparare, ed è interesse di tutti: ma la storia non ci fornisce dati di una ricostruzione sociale che sia stata fatta da tutti; la lotta e il cozzo dei sentimenti egoistici contraddicono a una così fantastica concezione della vita. E proprio oggi non sarà la borghesia - quella che ha accumulato tanti mali - che potrà o vorrà riparare; non gli stati - che da essa hanno forma e forza - che si accingeranno all'opera; ma il popolo, l'elemento del progresso e del divenire sociale. Ed il popolo organizzato: le forze sociali non sono isolate e personali, sono invece organiche; e benchè questo compito superi l'ambito degli interessi professionali, riguardati come tali, pure appartiene alla classe operaia organizzata, la quale perb assurge alla funzione universale della società nelle appartenenze e negli ordinamenti essenziali di questa. Compito sintetico, che non sarà appreso così facilmente da tutti; ma che a poco a poco entrerà nelle coscienze di tutti,


quando si educheranno i lavoratori a guardare non solo gli interessi di classe ristretti a un comune o ad una provincia, ma allo svolgimento della vita nazionale, nella quale dovranno entrare come classe. a) Perciò l'organizzazione della classe lavoratrice deve maturare una delle rivendicazioni politico-sociali della maggiore importanza, la rappresentanza di classe amministrativa e politica, Gran parte dei cattolici, ed anche di appartenenti a diversi partiti politici, si sono occupati e si occupano della grande questione del diritto e della natura deUa rappresentanza politica in rapporto alle classi professionali, oggi specialmente che il parlamentarismo è caduto e i l livellamento atomistico-politico-sociale ha mostrato la sua insufficienza e la sua ingiustizia. E un siffatto movimento d'idee è penetrato perfino nel parlamento belga, dove si ebbero le classiche e celebri discussioni sulla riforma elettorale, che resteranno memorabili nei fasti dei parlamenti moderni. Non si tratta però in questo studio di discutere le ragioni della rappresentanza di classe; noi pigliamo una tesi -- suffragata dall'opinione comune della maggior parte dei cattolici e più che altro dalla ragione intrinseca e naturale della stessa natura delle classi - come uno dei postulati fondamentali della ricostruzione sociale e una delle rivendicazioni più giuste del cattolicesimo. D'altra parte tralasciamo la discussione se debba a tale rappresentanza di classe precedere per ragione storica i l voto plurimo o la rappresentanza dei partiti o i corps d'état, e come e in che senso. Sono questioni che non possono appartenere a questa trattazione sommaria. Qui fa d'uopo fermarsi sopra un punto capitale della organizzazione professionale; cioè che la rappresentanza di classe amministrativa e politica, per ragione logica e storica, sia frutto e rivendicazione propria della classe lavoratrice organizzata. Spetta di certo agli studiosi aprir la via alle idee e divulgarle; agli uomini politici preparare il terreno legislativo con riforme che mirino a l termine di una vera e propria rappresentanza di classe; ma spetta al popolo organizzato per classi - non solo preparare il terreno positivamente con u n fatto


sociale (organizzazione delle classi), che deve divenire fatto giuridico (riconoscimento dell'ente-classe), e quindi fatto politico (rappresentanza amministrativa e politica); - ma sviluppare le proprie ed intime energie, perchè il fatto politico corrisponda alla sostanza della cosa, e non sia un semplice fenomeno, un'apparenza che nasconda ben tristi realtà, per I'impreparazione delle masse o per lo sfruttamento che logicamente deriva da formule politiche e vuote. È perciò che oltre l'educazione alla vita politica di classe, che si andrà formando in tutta la vita organica delle unioni professionali, fa d'uopo che il popolo abbia un programma intenso, serio, vitale di riforme sociali, corrispondente al momento presente; aflhchè la rappresentanza professionale possa adempiere al suo compito e possa vigoreggiare e vincere l'opposizione d'interessati e di sfruttatori politici. Così io intendo che la rappresentanza politica professionale sia frutto dell'organizzazione delle classi lavoratrici. Ma ho detto anche rivendicazione sua propria. Le classi dirigenti, o meglio, la borghesia dominante e l'avocasserie sfruttatrice del moderno parlamentarismo, non possono, non sono sufficienti, nè preparate, nè hanno forze intime di riforma e di risurrezione, da poter tentare un simile passo. Le reminiscenze dei principi de11'89, che hanno creato tutta l'esistenza moderna di queste due classi politiche ed economiche, sono tuttora vive; e se per caso, costrette dagli eventi, esse s'indurranno a sancire il principio della rappresentanza di classe o d'interessi, certamente nei nuovi ordinamenti politici perdurerà l'intimo concetto egualitario della rivoluzione. Io dubito anche della possibilità che la borghesia faccia un tale passo; in ogni caso ne temerei gli effetti, quando i l popolo, non preparato nè maturo a ciò. essendo l'azione dei suoi naturali organismi incipiente, potrebbe sviare il cammino in una formula politica o precipitata o imposta o per lo meno non naturalizzata al suo movimento. Perciò, che ne senta esso il bisogno, ed esso, organizzato, rivendichi il diritto di rappresentanza di classe, affinchè possa assumere esso l'indirizzo della nuova vita politica. b) L'avvenire è della democrazia cristiana; ma fa d'uopo


misurare i passi e non intercettarci la via; anzi, bisogna con vista acuta mirare all'orizzonte lontano, perchè i facili acquisti e le facili vittorie del momento non ci contrastino l'arrivo al vero termine. È questo un assai grave pericolo; perchè in ogni campo non mancano i miopi, coloro che volgono l'occhio solo a ciò che li circonda, senza levarlo a quel che lontano, anche assai lontano, può attrarre l'attenzione e fermarla. Noi abbiamo un complesso di rivendicazioni e di ricostruzioni sociali, la cui base (si noti) è l'organizzazione delle classi. ala si noti bene che le classi della società futura, vagheggiata e voluta dalla democrazia cristiana, non sono le attuali come le vediamo nel presente ordine di capitalisti e proletari: niente affatto; saranno altre e ben diverse, basate sul lavoro, sviluppate dall'organismo di classe, compiute dall'ordinamento politico (*). La mia proposizione non sembri eterodossa; è una logica deduzione storica. In ogni guisa etnica, forma politica, svolgimento sociale e religioso, le classi hanno avuto origini determinate, aspetto e relazione diversi. Nel medio evo vi era la nobiltà della terra, d ~ l l earmi e degli uflici, classi che nella loro ragione ed esplicazione peculiare non si riscontrano nè nelle antiche epoche, nè nelle moderne. Così capitalisti e proletari-salariati sono classi della società egualitaria moderna, che non esistevano nel medio evo. Gli esempi potrebbero essere molti. Onde non è nè fantastica nè antilogica l'idea, che la (*) ... se a tale appello (per la rigenerazione sociale) i ceti superiori pur resistessero, non saremmo noi a respingerli, ma sono essi che si condannerebbero da sè all'isolamento e quindi all'esaurimento. Ma, riflettasi nlteriormente, in questa stessa dolorosa previsione (che non è senza esempi nella storia), i cattolici non rinunzierebbero ancora al loro principio sociologico della gerarchia delle clussi. Essi attenderebbero soltanto che, mediante un nuovo processo genetico, sul tronco delle classi proletarie rigenerate cristianamente, spuntasse e crescesse un'altra giovane gerarchia cristiana al posto d i quella antica, che da si: stessa si dannò all'inazione, figlia della propria incredulità e del proprio egoismo. In questa medesima ipotesi eccezionale (ma probabile,, tutto ciò sarebbe forse iniquo o non piuttosto una snprema giustizia sociale? (TONIOM,La genesi dell'odierno proletariato e la democrazia cristiana, 11, 4, b.).


nuova funzione sociale e politica dell'organismo delle classi lavoratrici genererà e maturerà nuove forme, nuove guise, nuovi rapporti di classe. E poichè il popolo - come nel medio evo, così oggi - è l'elemento del divenire e del progresso nelle società democratiche, così sarà i l popolo, che, sviluppando il nuovo organismo sociale, genererà quella che il Toniolo chiama giovane gerarchia delle classi, che prenderà il posto delle altuali classi capitalistiche e parlamentaristiche. A questo concetto storico progressivo della società si inanella quello delle future rivendicazioni sociali; termine generico, che oggi non può essere precisato in tutta la sua forza ed estensione, e che sarà dagli eventi e dai fatti sociali in particolare modo determinato. L'uno e l'altro concetto bisogna tenere presenti nell'attuale movimento professionale, perchè sono vitali nello svolgimento del proletariato moderno e nelle future ascen. sioni delle classi lavoratrici. C ) Uno dei fatti sociali più forti, più dissolventi, che precipitano gli eventi, è il socialismo. Bisogna considerarlo sotto doppio aspetto: uno storico e l'altro logico. Sotto il primo aspetto, esso servirà a dare i più fieri colpi all'attuale società liberale fondata sulla ingiustizia, per farla precipitare dal falso trono dove è stata posta. È p e s t a la funzione negativa e dissolvente della critica, che toglie a l progresso sociale quegli ostacoli che i cattolici non avrebbero potuto to: gliere mai. E il quarto d'ora del socialismo, che incalza a guisa di fatalità storica, date le premesse attuali, durerà poco o molto, lascerà tracce più o meno durevoli, secondo la preparazione e l a resistenza dei cattolici. E quando dico resistenza non intendo parlare di qualsiasi resistenza, ma di quella che si attua nel campo sociale e politico, perchè, sotto l'aspetto logico, il socialismo è l'opposto e l'antitesi del cattolicesimo sociale o democrazia cristiana. I1 problema sociale, posto avanti dalla logica inesorabile dei due fatti storici, è questo: se la società debba essere organica o disorganica, libera o schiava, secondo natura o contro natura. In tutto il resto vi possono essere transazioni, coincidenze, ri-


percussioni, accordi; non mai in questo punto cardinale. Onde il cozzo formidabile e necessario tra le due formule sarà i l fenomeno della società avvenire. L'organizzazione delle classi lavoratrici è perciò per sè stessa una preparazione contraria al socialismo; in essa però la coscienza della lotta - non contro quanto il socialismo può avere di buono nelle singole rivendicazioni depotenziate dalla falsa concezione della società - ma contro la falsa concezione della società e le conseguenze logiche di tale concezione, deve essere una delle funzioni straordinarie delle unioni professionali, collegata con tutta la sintesi delle rivendicazioni sociali e della vera ascensione del proletariato, nella struttura organica delle classi.

d) A tutto questo complesso di rivendicazioni, di mire, di termini lontani d i ricostruzione sociale e di preparazione a lotte, si unisce, s'immedesima quasi, la rivendicazione della libertà della chiesa cattolica e il concetto della politica guelfa. La nostra concezione non è limitata a questa o a quella questione dei rapporti della chiesa con lo stato; noi non tendiamo a concordati o a modus vivendi; non è nostra mira fare delle associazioni professionali tanti gabinetti di ambasciatori che discutano l e nude e secche formule di articoli conciliativi da parte di due autorità, delle quali a ciascuna sembra che l'altra voglia esorbitare nelle pretese e che essa abbondi nelle concessioni: niente di più. È l'anima che noi vogliamo formare, l'anima cattolica del popolo, per cui la chiesa e lo stato non siano due contendenti o due avversari o due potenze uguali che si trattino in guanti gialli o due società che non si conohcano; ma siano veramente chiesa e popolo, madre e figli, elemento concorde d'onestà, di giustizia, di forza, d i vita civile, di grandezza nazionale. E per l'Italia il concetto guelfo che il papato è indissolubilmente unito a l popolo e alla grandezza morale della nostra patria è proprio la bandiera della democrazia cristiana. Questo concetto fondamentale della politica ecclesiastica (passi il brutto nome liberale) sarà di norma alla condotta delle classi lavoratrici organizzate, nel f i c i l e compito delle


rivendicazioni delle libertà della chiesa e dell'indipendenza e sovranità del romano pontefice. Fa d'uopo formare la coscienza del popolo piena ed intiera, che comprenda l'altezza del problema, la necessità e l'urgenza di una soluzione non a parole, ma preparando il terreno all'azione diretta della chiesa, a cui solamente spetta il diritto di risolverlo. Come alla conversione di Costantino, dopo tre secoli di lotta, la chiesa, senza compromessi o concordati o modus vivendi, si trovò libera ed entrò ufficialmente nella società, con gli onori dovuti e con una grande missione di civiltà, dopo essere entrata nei cuori della maggior parte del popolo; così avverrà quando il popolo moderno ritornerà veramente cristiano e italiano, e avrà visto la chiesa a capo e condottiera delle giuste rivendicazioni del proletariato e promotrice e fondatrice della ricostruzione della società. L'azione delle giustizie della chiesa e del popolo è stata sempre ed è reciproca; e ciò specialmente in Italia, dove così legate e strette sono le sorti dell'una e dell'altro. Allora la formula vagheggiata da certi riformatori aprioristici della società, la partecipazione, cioè, della chiesa nella società civile per la moralità della vita pubblica, col diritto di veto sulle leggi, non sarà un'utopia, ma u n fatto sgorgante dalla stessa condizione di cose, senza nè l'asservimento della chiesa nei governi giuseppini, nè le pretensioni dei sacri romani imperatori. E la rivendicazione del potere temporale, non quale fu, sic et simpliciter, negli ultimi secoli, uno stato di equilibrio politico italiano, ma come condizione d i fatto alla libertà del romano pontefice, non sarà frutto di gabinetti di uomini politici, ma u n fatto popolare e nazionale.

3) Resta da esaminare una questione di fatto, cioè quali rapporti avrà l'organizzazione delle classi lavoratrici con tutto i l movimento di pensiero e di azione dei cattolici della nazione; e - se questo movimento è rappresentato uficialmente dall'opera dei congressi, nella quale, chi più chi meno, si trovano tutti i cattolici (spesso però a disagio) - quali relazioni avrà con l'opera dei congressi.


Vediamo prima la ragione perchè ci debbano essere tali rapporti e in che senso. È chiaro che, sia nel movimento incipiente dell'organizzazione delle classi lavoratrici, sia nel movimento evolutivo e progressivo, vi sono molti elementi nel campo cattolico - clero, borghesia cattolica, professionisti, studenti, ecc. - che per le loro condizioni non possono entrare direttamente negli organismi delle classi operaie, tranne alcuni come promotori o membri consultivi secondo che si disse nel numero IV. Pure la loro azione è necessaria in molti campi di attività religiosa, politica e sociale - giornalismo, movimento d'idee, direzione, rappresentanze politiche e amministrative, opere religiose, opere economiche d'interesse generale, ecc. -. I1 loro è più precisamente u n campo d'azione d i partito religioso, politico e sociale, mentre l'organizzazione delle classi lavoratrici è e deve essere un fatto sociale. Però, siccome non solo i fini ultimi, ma spesso i fini secondari e i mezzi del partito cattolico e delle unioni professionali coincidono, sono così fra di essi necessari rapporti e l'unione delle £orze; - e siccome non sempre nè in tutto essi possono seguire la stessa via (non dovendosi confondere ciò che h a ragione di fatto sociale con ciò che ha ragione di partito), così non si possono unire in modo organico e disciplinare nel senso stretto della parola. Onde fra di essi si devono solo ammettere dei rapporti. Quali saranno mai? I1 professar Toniolo propone che un rappresentante delle unioni professionali di ogni diocesi per diritto faccia parte del comitato diocesano locale. È questione di forma, e se ne possono trovare mille. La sostanza però di tali rapporti, quale che ne sia la formula, riguarda necessariamente una consonanza d'idee generali e di sintesi di programma, da cui nasce l'unione nelle azioni da compiersi insieme, e la cospirazione in ciò che è proprio del partito cattolico o delle unioni professionali. Onde il programma generale della democrazia cristiana, guardata come movimento d'idee e come partito militante, dovrebb'essere, nella sua ragione fondamentale, programma di


tutti i cattolici; ~ e r c h èsi abbia così un fondo comune tra quel che h o chiamato partito e l'organizzazione delle classi. Allora si potrà avere facilmente la formula concreta d i tali rapporti. Essi possono essere o locali o generali. Se locali, ristretti, cioè, ad un comune o ad una diocesi, sia per la consonanza nell'indirizzo pratico, sia per la concordia nell'azione comune, è sdìciente, più o meno, secondo la diversità delle circostanze, la proposta del prof. Toniolo. Riguardo ai rapporti generali nazionali fra il partito cattolico e l e unioni professionali, la questione diviene complessa; io credo formularla così, salva la prova dell'esperienza, cioè: 1) Quando il movimento è specificatamente d i partito e non appartiene alle funzioni proprie dell'organizzazione professionale, questa aderirà e seguirà la direzione generale del partito cattolico (si concretizzi esso nell'opera dei congressi, non importa, purchè non sia la vecchia formula dell'opera); 2) Quando invece si tratta di quello che specificatamente spetta all'organizzazione di classe, il partito seguirà la direzione delle unioni professionali, aiutandole e sostenendole; così si inizierà la concordia e l'affiatamento delle altre classi sociali con le classi lavoratrici. Torno a quel che dicevo sin da principio di questo lavoro: occorre dare al movimento cattolico italiano quel che non ha avuto sin ora, il carattere, cioè, eminentemente popolare; spero che dopo il congresso di Roma l'idea sia entrata nella mente dei più; già buoni segni si manifestano in alcuni punti dell'Alta Italia e delle Marche; è necessità riparare i l tempo perduto con l'intensità del lavoro. I1 giovane movimento democratico cristiano, conscio della sua missione, dovrà preparare u n avvenire migliore all'Italia del secolo XX. Caltagirone, 8 dicembre 1900.

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S~mrzo- Sintesi sociali.


APPENDICE

L'ORGANIZZAZIONE OPERAIA NELL'ENCICLICA RERUM NOVARUM

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Credo opportuno riportare qui il tratto importantissimo dell'enciclica Rerum Novarum che si riferisce all'organizzazione operaia. In esso Leone XIII insiste sul concetto di corporazioni d'arti e mestieri e unioni professionali, dando norme ed insegnamenti che dovrebbero esser meditati ed attuati da tutti i cattolici : ((Finalmente allo scioglimento della questione operaia possono contribuir molto i capitalisti e gli operai medesimi, con istituzioni ordinate a porgere opportuni soccorsi ai bisogni, e a d avvicinare ed unire due classi tra loro. Tali sono l e società di mutuo soccorso; le molteplici assicurazioni private, destinate a prowedere all'operaio, alla vedova, agli orfani nei casi di improvvisi infortuni, d'infermità, e di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d'ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti. Tengono però il primo luogo e quasi tutte le altre contengono le corporazioni di arti e mestieri. Manifestissimi furono presso i nostri maggiori i vantaggi di tali corporazioni; e non solo a pro degli artieri, ma, come attestano monumenti in gran numero, ad onore e perfezionamento delle arti medesime. Bensì, i progressi della cultura, le nuove costumanze e i cresciuti bisogni della vita esigono che queste corporazioni si adattino alle condizioni presenti. u Vediamo con piacere formarsi ovunque associazioni siffatte, sia d i soli operai, sia miste di operai e padroni, ed è desiderabile che crescano di numero e di operosità. Sebbene poi ne abbiam parlato più volte, ci piace di ritornarvi sopra, mostrandone l'opportunità, la legittimità del loro ordinamento e la loro azione ... u Certe società diversissime, massime di operai, vanno oggi moltiplicandosi più che mai. Di molte tra queste non è qui


luogo di indagar l'origine, lo scopo, i pregiudizi, chè il più delle volte sono rette da capi occulti con organizzazioni contrarie allo spirito cristiano e al bene pubblico: i quali col monopolio delle industrie costringono chi rifiuta di accomunarsi seco, a pagar caro i l rifiuto. - In tale stato di cose, gli operai cristiani non hanno che due partiti, o ascriversi a società pericolose alla religione, o formarne di proprie e unire così l e forze per sottrarsi francamente da sì ingiusta ed intollerabile oppressione. Or come esitare sulla scelta di questo secondo partito, chi non voglia mettere a repentaglio il sommo bene dell'uomo? « Degnissimi d'encomio sono molti tra i cattolici, che conosciute le esigenze dei tempi, fanno ogni sforzo a fine di migliorare onestamente la condizione degli operai. E presane in mano la causa, si studiano di accrescerne il benessere individuale e domestico; di regolare, secondo equità, le relazioni tra lavoratori e padroni; di tenere viva e profondamente radicata negli uni e negli altri la memoria del dovere, e l'osservanza dei precetti evangelici: precetti che, ritraendo l'animo da ogni sorta d i eccessi, lo riducono a moderazione, e tra la più gran diversità di persone e di cose mantengono nel civile consorzio l'armonia. A tal fine vediamo spesso adunarsi dei congressi, ove uomini egregi si comunicano le idee, uniscono le forze, si consultano intorno agli espedienti migliori. Altri s'ingegnano di stringere acconciamente in società le varie classi o ~ e r a i e :le aiutano di consiglio e di mezzi, procurano loro onesto e lucroso lavoro. Coraggio e patrocinio aggiungono i vescovi, e sotto la loro dipendenza, molti dell'uno e l'altro clero attendono con zelo a l bene spirituale degli associati. Non mancano finalmente cattolici doviziosi, che fatta quasi causa comune coi lavoratori, non risparmiano spese per fondare e largamente diffondere associazioni, che aiutino l'operaio non solo a prowedere col suo lavoro ai bisogni presenti, ma ad assicurarsi ancora per l'avvenire onorato e tranquillo riposo. I vantaggi, che tanti e sì volonterosi sforzi han recato a l pubblico bene, son così noti che non accade parlarne. - Di qui pigliamo augurio a sperar beqe dell'avvenire, purchè tali società fioriscano sempre più, e siano seriamente ordinate. Lo stato difenda queste associazioni legittime dei cittadini, non si intrometta però nell'intimo della loro organizzazione e disciplina; perchè il movimento vitale nasce da intrinseco principio, e gli i m ~ u l s iesterni lo soffocano. a Questa savia organizzazione e disciplina è assolutamente necessaria perchè vi sia unità di azione e d'indirizzo. Se hanno pertanto i cittadini, come l'hanno d i fatto, libero diritto d i legarsi in società, debbono avere altresì ugual diritto d i scegliere


per i loro consorzi quell'ordinamento che giudicano più confacente al loro fine. Quale esso debba essere nelle singole sue arti, non crediamo si possa definire con regole certe e precise; dovendosi piuttosto determinare dall'indole di ciascun dalla esperienza e dall'uso, dalla qualità e dalla produttività dei lavori, dallo sviluppo commerciale, nonchè da altre circostanze, delle quali la prudenza deve tener conto. « I n sostanza, si può stabilire come regola generale e costante, dovendosi le associazioni degli operai ordinare e governare in modo da somministrare i mezzi più acconci e spediti a l conseguimento del fine, il quale consiste in questo, che ciascuno degli associati ne tragga il maggior aumento ossi bile di benessere fisico, economico, morale. « Posto nella religione il fondamento degli statuti sociali, è aperta la strada a regolare le mutue attinenze dei soci, per la tranquillità della loro convivenza e pel loro benessere economico. « Gli uffizi si distribuiscano in modo conveniente agli interessi comuni, e con tale armonia che la diversità non pregiudichi alle unità. È sommamente importante che codesti uffizi vengano ben distribuiti e chiaramente determinati, acciocchè niuno dei soci rimanga leso. Gli averi comuni della società sieno amministrati con integrità, sì che i soccorsi vengano distribuiti a ciascuno secondo i bisogni, e i diritti e doveri dei padroni armonizzino coi diritti e doveri degli operai. Quando poi o gli uni o gli altri si credono lesi, è desiderabile che trovino nello stesso sodalizio uomini retti e competenti, al cui giudizio, in forza degli statuti debbano sottomettersi. Si dovrà ancora provvedere che all'operaio non manchi mai lavoro, e che v'abbiano fondi disponibili per venire in aiuto di ciascuno, non solamente nelle subitanee e fortuite crisi dell'industria, ma altresì nei casi di infermità, di vecchiaia, di infortuni. « Quando tali statuti siano volontariamente abbracciati, sarà sufficientemente provveduto al benessere materiale e morale delle classi inferiori; e le società cattoliche eserciteranno non piccola influenza sul prospero andamento della stessa società civile. Dal passato possiamo non senza ragione prevedere l'avvenire. Imperocchè le umane generazioni si succedono; ma le pagine della loro storia si rassomigliano grandemente, perchè gli a w e nimenti sono governati da quella prowidenza superna, la quale volge e indirizza tutte le umane vicende a quel fine che ella si prefisse nella creazione dell'umana famiglia. « Negli esordi della chiesa recavasi a disonore dei cristiani il vivere che facevano la maggior parte di elemosine e di lavoro. Se non che, poveri e deboli, riuscirono a conciliarsi le simpatie dei ricchi e il patrocinio dei potenti. Era bello vederli attivi, laboriosi, pacifici, giusti in esempio, e singolarmente pieni d i carità.


« A tale spettacolo di vita e di costumi dileguossi ogni pregiudizio, ammutolì la maldicenza dei malevoli, e le menzogne di una inveterata superstizione cedettero il luogo alla cristiana verità. Si agita oggidi la questione operaia, la cui buona o cattiva soluzione interessa sommamente lo stato. Gli operai cristiani la scioglieranno bene, se uniti in associazioni, e saggiamente diretti, si metteranno per quella medesima strada che con tanto pro di loro stessi e della società tennero i loro antenati. Imperocchè, sebbene così prepotente sia negli uomini la forza dei pregiudizi e delle passioni, nondimeno, se la gravità e i l volere non ha spento in essi il senso dell'onesto, non potranno non provare un sentimento benevolo verso gli operai, quando l i scorgano laboriosi, moderati, mettere l'onestà al di sopra del lucro e la coscienza del dovere innanzi a ogni altra cosa. « Seguirà di lì un altro vantaggio, porgere cioè speranza e facilità di ravvedimento a quegli operai, ai quali o manca la fede, o la vita secondo la fede. I1 più delle volte capiscono bene costoro di essere stati ingannati da false speranze, da vane illusioni. Sentono che da cupidi padroni sono trattati in modo molto inumano e quasi non valutati più di quello che producono lavorando; che nella società in cui trovansi arreticati, invece di carità e di affetto fraterno, regnano intestine discordie, compagne indivisibili della povertà orgogliosa e incredula. « Affranti del corpo e dell'animo. quanti di essi vorrebbero scuotere il giogo di sì abbietta servitù; ma o per rispetto umano, o per timore della miseria non osano. Ora a tutti costoro non è a dire che salutar giovamento potrebbero recare le associazioni cattoliche, se agevolando ad essi il cammino li inviteranno, esitanti, al loro seno, e rinsaviti porgeranno loro patrocinio e soccorso D.

NORME 1LLUSTRATIVE AL VOTO DEL CONGRESSO NAZIONALE DI ROMA (1900) DETTATE DAL PROF. TONIOLO Parte del presente lavoro è come una esplicazione e un commento delle norme illustrative al voto del XVI congresso cattolico italiano (Roma. 1900), dettate dal prof. Giuseppe TonioIo. Giova pertanto averle presenti. « CONSIDERATO che il bisogno di costituire delle associazioni permanenti, le quali, al di sopra di semplici scopi economici privati, rappresentino gli interessi morali e giuridici della intera classe operaia, si palesa ogni giorno piu vivamente e.viene


sfruttato con effetti disastrosi e paurosamente progredienti dalla propaganda socialista, la quale reggimenta uomini e donne nelle camere del lavoro, come strumento di lotta, di disordine e , soprattutto, di pervertimento morale. u CONSIDERATO che la ricostruzione di rappresentanze della classe operaia sotto forma MISTA f r a padroni e artigiani, o SEMPLICE di soli operai secondo le circostanze, fu provvedimento consacrato dai moniti di Sua Santità Leone XIII, non solo nell'enciclica Rerum Novarum del 1891, ma ancor prima in quella del 1884; e che tutti i cattolici di ogni nazione, senza distinzione di scuola conservatrice e progressiva, si accordano intorno alla legittimità ed urgenza di tale ordinamento, che essi £ecero già sorgere dovunque numerosi e gagliardi. « CONSIDERATO che tale proposito rientra nel programma dell'opera dei congressi, per i l suo zelo sempre dimostrato per le classi lavoratrici, ma ancora per gli espliciti voti di costituzione di unioni professionali, specie nell'agricoltura, formulati già nel congresso di Fiesole e di Torino e con analoghi studi affine di estenderle anco alle classi m a d a t t u r i e r e nei congressi di Pavia e di Milano; e che inoltre essa ne preparò l'addentellato con le federazioni delle istituzioni economiche diocesane, raccomandate anco testè dal consiglio direttivo con circolare del luglio 1899. « CONSIDERATO che l'intervento dei cattolici in questo campo è manifestamente u n atto di sapiente opportunità, ma insieme un pegno di pace, di armonia, di ordine sociale, sotto la tutela della religione, della giustizia e della carità. « I1 XVII congresso cattolico italiano di Roma porge in forma d i voto, talune norme direttive per la composizione e funzione di tali rappresentanze di classi: « I. Si moltiplichino quanto più è possibile in ogni diocesi tutte le istituzioni economiche popolari di qualunque specie, ma i n particolare le società operaie di mutuo soccorso. E pertanto per le grandi industrie sorga una società per ciascuna grande fabbrica; sicchè i rapporti oggi tumultuari o di violenza fra il padrone di fabbrica e la massa dei suoi operai, si esercitino d'ora innanzi tra l'intraprenditore-capitalista da u n canto e il rappresentante del complesso degli operai dall'altro, con libero ed illuminato dibattito dei reciproci interessi. E del pari per le piccole industrie si diffondano le società d i mutuo soccorso, in modo tale che gli artigiani di ogni specie di mestiere, per ciascuna città e borgata, si trovino riuniti in sodalizi misti di capi mestiere e d i operai insieme. « 11. Ciò posto, i vari ordini distinti di tali istituti e sodalizi


si stringano in federazione a l centro della diocesi per i l miglioramento comune della classe industriale. E quindi: a) ogni serie specifica di istituzioni economiche (per esempio, banche popolari, società di acquisti, società cooperative di consumo, ecc., ecc.) abbia u n rappresentante presso il centro diocesano ; b) altrettanto ciascun ramo della grande industria (per esempio, delle fabbriche di cotone, di lana, di seta, del ferro), sia rappresentato da un delegato alla sede diocesana; C) e del pari i sodalizi della piccola industria distinti per gruppi di mestiere (per esempio, dei falegnami, dei magnani, dei sarti, ecc.), sparsi nella provincia, inviino alla loro volta a l centro diocesano u n rappresentante. Questi rappresentanti di altrettante serie di società o di istituzioni operaie confederate, erigendo la propria presidenza nella città centrale della diocesi, assumano non solo (come oggi si fa) l'ufficio di vigilare e coordinare il migliore andamento economico dei rispettivi gruppi d i associazioni, bensì ancora quello di farsi collettivamente interpreti e propugnatori dei legittimi bisogni e delle aspirazioni di tutte le persone addette a quelle industrie e raccolte nella serie d i società od istituti di cui essi sono delegati; « e così u n primo nucleo (da svilupparsi col progresso del tempo) d i rappresentanza della classe manifatturiera operaia in una intera provincia sarà costituito. s

« 111. Le funzioni di tali rappresentanze di classe col titolo, per esempio, di unioni professionali industriali o simili, sgorgano dalla natura stessa di questi enti, i quali sono, almeno virtualmente, una persona morale giuridica, la quale non ha scopi diretti economico-lucrativi, bensì l'intento superiore di dare unità organica autonoma ad una classe e come tale d i rappresentarne gli interessi dinanzi alle altre classi ed a i pubblici poteri, di proteggerne i diritti e di favorirne il benessere religioso, morale, civile e materiale.

IV. L'esercizio di tali funzioni può essere analiticamente così indicato. Per l'uficio d i rappresentanza collettiva l'unione professionale : a) si adoperi a raccogliere e porgere informazioni, sia private che pubbliche, intorno allo stato delle industrie, delle classi laboriose e dei problemi che d i giorno in giorno si sollevano intorno a d esse; b) adotti quei provvedimenti più ampi e più uniformi, per l'intera circoscrizione, i quali servano a mantenere integra l a fede, i l costume, il sentimento morale delle classi laboriose


di fronte alla propaganda atea e corruttrice, proveniente sia

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dalle influenze dell'opinione pubblica. sia talora dalle leggi stesse e soprattutto dal socialismo; C) si costituisca u n uflicio d i collocamento degli operai disoccupati, tenendosi all'uopo in relazione coi capi delle fabbriche e delle officine nella diocesi, od anche in altri centri industriali del17inierno e dell'estero e fungendo, ove occorra, quale uflicio di patronato per gli emigranti temporanei o permanenti, in armonia con le società generali protettrici cattoliche per la emigrazione; d ) intervenga direttamente o porga consigli ed aiuti agli operai di ogni fabbrica od officina per la conclusione dei contratti d i lavoro e per l'eventuale miglioramento delle mercedi e per la soluzione pacifica delle analoghe difficoltà nelle trattative con gli imprenditori ; e) influisca per la introduzione e modificazione di opportuni regolamenti d i fabbrica, concordati fra imprenditori e operai, per salvare i delicati interessi riguardanti la vita fisica e morale degli operai, in specie la sicurezza personale, i l riposo festivo, l'esclusione delle donne da certe operazioni tecniche, le ore di lavoro, le cautele speciali dovute al17adolescenza, ecc.; f ) si tenga in relazione col comune, la provincia, il governo per invocare, quando occorra, qualche legge o qualche, provvedimento amministrativo, che tocchi l'interesse delle industrie e delle classi laboriose; g) si presti a proporre e favorire, in occasione delle elezioni amministrative nei comuni e nelle provincie, candidati i quali con onestà e competenza rappresentino nei consigli pubblici i veri interessi e lo spirito di popolazioni lavoratrici cattoliche. u V. Per il compito d i tutela giuridica della classe aperaia ciascuna unione professionale: a) coordini od eserciti secondo il caso in più larghe proporzioni gli uffici propri del segretariato &l popolo, ossia di consulenza legale, per aiutare, dinanzi ai tribunali o alle autorità amministrative, gli operai nella difesa dei propri diritti privati, ovvero nella trattazione di alcuni negozi personali con le autorità ecclesiastiche e civili dell'interno e dell'estero; b) si adoperi alla migliore applicazione nelle varie industrie della legislazione sociale operaia; in specie consigliando le migliori combinazioni per le assicurazioni dagli infortuni o per la invalidità O per la vecchiaia degli operai; C) prevenga con trattative eque ed illuminate presso gli


operai ed i padroni lo scoppio degli scioperi, e si affretti eventualmente a dirimerli in nome della giustizia e dell'interesse comune, mercè collegio di conciliazione od arbitrati. « VI. Per il compito di favorire il miglioramento della classe industriosa, l'unione professionale: a) si faccia promotrice presso i capitalisti e direttori degli stabilimenti ed officine di tutte le istituzioni d i patronato cristiano, per migliorare le relazioni reciproche fra imprenditori ed operai; b) a richiesta di chiunque si offra a porgere istruzioni per la costituzione e moltiplicazione di ogni specie d i istituzioni operaie (per esempio, banche popolari, società di consumo, asili per fanciulli, ecc.), fondati per libera iniziativa popolare e sulla mutualità ; C) favorisca l'apertura di scuole di arti e mestieri, adatte ai rami delle industrie prevalenti sul luogo; procurando la diffusione di giornali tecnici e di pubbliche conferenze sui progressi dell'arte ; d) in generale, oltre al curare la diffusione di giornali onesti che discutono cristianamente delle questioni operaie, si tengano conferenze agli operai stessi, nelle quali questi imparino a difendersi da sè contro gli errori religiosi e morali, sia del liberalismo individualista, sia del socialismo sovvertitore; e) infine dichiari che non vi avrà aspirazione della classe lavoratrice che l'unione professionale non sia disposta a prendere in mano per la sua legittima soddisfazione nei limiti della giustizia e carità cristiana e pel miglioramento avvenire delle classi operaie; e d a tal fine si tenga in costante relazione con le autorità, specie con quelle ecclesiastiche; e ciò per dare alle funzioni dell'unione professionale carattere di un mezzo di ordine, di pace, di progresso, non solo a profitto della classe operaia, ma di tutti i ceti sociali. « VII. A convalidare vie più la saldezza e nobiltà di questi intendimenti, l'ordinario della diocesi eleggerà uno speciale assistente ecclesiastico presso l'unione professionale; e dal seno di cruesta ultima il comitato diocesano sceglierà un membro i l " quale serbi la corrispondenza h a il comitato e l'unione professionale medesima, coordinando così questo supremo ordinamento delle forze popolari al movimento generale dei cattolici d'Italia n. A


PROGETTO DI STATUTO DI UNIONI RURALI (*)

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1. È costituita i n ... un'associazione fra gli agricolto& col nome d i unione rurale (sotto il patrocinio d i S...). 2. Scopo dell'unione rurale è di stringere in cristiana solidarietà e fratellanza i membri della classe agricola, promuoverne tutti gli interessi materiali e morali, tutelarne, secondo giustizia ed equità, le ragioni ed i diritti, divenirne infine la rappresentanza permanente ed organica. Non pertanto la lotta, bensì l'armonia di classe è l'ideale dell'unione. 3. L'unione rurale fa parte dell'unione diocesana milanese fra le associazioni operaie ed agricole; aderisce per questo mezzo all'opera dei congressi, partecipa nella propria sfera d'azione al movimento cattolico da questa promosso: ha nel parroco locale, od in altro sacerdote dall'autorità designato, un assistente ecclesiastico. 4 . - A raggiungere il suo scopo l'unione, a seconda delle circostanze, e giusta le proprie forze, si propone: a) d i curare l'istruzione e l'educazione cristiana delle masse campagnole con conferenze che si oppongano alle insidie delle sette ed alla propaganda dell'incredulità e del socialismo, e favoriscano invece lo sviluppo della fede, della moralità cristiana -e lo spirito d i solidarietà; coll'insegnamento agrario popolare per mezzo d i scuole agricole serali o diurne; colla diflusione della buona stampa; col partecipare alla vita pubblica religiosa e civile della parrocchia, associandosi a tutte le manifestazioni d i fede e di azione cattolica; b) di curare che i contratti di lavoro, di affitto, d i colonia siano conchiusi secondo giustizia e siano puntualmente eseguiti; di rivedere i libretti dei conti colonici, sia per rendere edotti e persuasi i contadini della loro situazione finanziaria, sia per tutelarli da ogni errore od eventuale ingiustizia; di assumere e studiare ogni eventuale vertenza fra i contadini e padroni o fittabili, curandone una ragionevole ed equa soluzione sia nelle vie amichevoli. sia ricorrendo alla mediazione e ~rotezione dell'unione diocesana e per mezzo di questa a tutti i mezzi forniti dalle leggi e dalla organizzazione cattolica, non-escluso il ricorso alle autorità sanitarie, tutorie, giudiziarie e politiche e sopratutto al tribunale della pubblica opinione, mediante la stampa;

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(*) E lo statuto adottato dall'u8ieio centrale cattolico del lavoro di Milano.


C ) di fare acquisti collettivi delle materie necessarie all'agricoltura (concimi, zolfo, solfato di rame, ecc.), per il tramite dell'unione cattolica agricola lombarda; di tenere all'occorrenza macchine agricole per uso d i tutti i soci; fare vendite collettive dei prodotti, ecc.; fare esperimenti di coltura a comune istruzione ; d ) di occuparsi, dove si trovi necessario, per u n opportuno collocamento degli agricoltori braccianti disoccupati ; d i regolare l'emigrazione temporanea e permanente, mettendosi i n relazione col consorzio di san Carlo e con la società di san Raffaele; e) d i partecipare a promuovere, ove la necessità l o richieda, nei modi acconsentiti ai cattolici, agitazioni legali presso i l governo per conseguire riforme legislative che interessino la classe rurale e di adoperarsi affinchè i consigli comunali e provinciali rimuovano ingiusti e sproporzionati aggravi a danno della classe campagnola, e viceversa adottino provvedimenti ad essa giovevoli ; f) di dare vita nel proprio seno per tutti, o parte, dei propri soci secondo le opportunità ad istituzioni permanenti di scopo speciale, e che neli'ambiente dell'unione rurale funzionino autonomamente come piccoli organismi tendenti a completare sempre più lo scopo generale e complesso dell'unione rurale. Tali sarebbero la cassa rurale di prestiti, l'assicurazione del bestiame, la latteria sociale, le società civili per affitti collettivi, la rappresentanza della società cattolica di assicurazione contro i danni della grandine e dell'incendio.

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5 . Possono essere soci dell'unione rurale tutti gli agricoltori capi famiglia che abbiano compiuto il ventunesimo anno d i età, che professino sinceramente e pratichino francamente la religione cattolica, regolando cristianamente sè stessi e la propria famiglia. In mancanza del marito sono ammesse anche le donne. I n via transitoria si possono accettare anche contadini d i parrocchie vicine finchè anche in queste siano sorte unioni consorelle. 6. - L'unione rurale oltre ai soci effettivi, che pagano un contributo di cent. 10 al mese, ha pure una classe di soci benefattori, nella persona di coloro che senza appartenere alla classe degli agricoltori, approvando ed apprezzando lo scopo santo e benefico dell'unione rurale, la favoriscono col consiglio, con l'opera e con l'offerta annua di L. 5, oppure di L. 100 una volta tanto. 7. La qualità di socio si perde per morte, volontaria rinuncia e per esclusione fatta dal consiglio di amministrazione ogni qualvolta il socio si renda indegno di appartenervi.

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8. - L'organamento dell'unione rurale risulta : a) dall'assemblea dei soci, tanto effettivi che benefattori; b) dal consiglio di amministrazione o comitato dirigente; C) dalla commissione di vigilanza. 9. - L'assemblea generale si raduna ordinariamente quattro volte all'anno, straordinariamente ogni qualvolta il consiglio O la commissione di vigilanza lo credesse, o la metà dei soci lo domandasse. 10. I1 consiglio nominato da117assemblea della prima tornata d'ogni anno, è composto di 7 membri, compreso u n presidente: essi stanno in carica due anni e sono rinnovati per metà ogni anno; dopo il primo anno scadranno tre consiglieri estratti a sorte. 11. - AI consiglio d'amministrazione spetta l'ammissione e dimissione dei soci, la cura di tutto quanto conferisce a l fine ed all'incremento della società, studiare e proporre all'assemblea nuove iniziative, dare esecuzione ai deliberati dell'assemblea, ecc. Esso si raduna due volte ogni mese. 12. - La commissione di vigilanza è composta di tre membri, capo dei quali il parroco od u n suo incaricato; gli altri due membri vengono nominati dal comitato parrocchiale, od in mancanza di questo, dal parroco stesso. 13. - Alla commissione di vigilanza spettano, oltre gli incombenti generali delle commissioni di sindacato, anche il vigilare sull'andamento morale e religioso della società, conservare la pace tra i soci, sciogliendo in sede amichevole od arbitrale le questioni che insorgessero fra socio e socio, o fra soci e i l consiglio. 14. - I1 presidente convoca e presiede le adunanze del consiglio e dell'assemblea, ne dirige la discussione e firma gli atti. In sua mancanza è sostituito da un vice presidente o dal consigliere anziano. 15. - I1 segretario stende sommariamente i verbali delle adunanze rispettivamente consecutive. Tiene tutti i registri, atti, lettere e documenti riguardanti il funzionamento della società, firma in unione al presidente gli atti e la corrispondenza sociale. Al termine di ogni anno nel17assemblea generale farà un resoconto dell'andamento materiale e morale dell'unione accennando sommariamente gli estremi dei resoconti materiali delle singole istituzioni economiche sociali sorte nel seno dell'unione rurale, per esempio, cassa rurale, assicurazione bestiame, latteria sociale, società mutuo soccorso, acquisti collettivi, ecc. 16. I1 cassiere dell'unione cura direttamente o per mezzo dei consiglieri la riscossione delle quote mensili dei soci. Farà

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i pagamenti, ma solo dietro mandato scritto dal presidente, egli presenterà, al termine d'ogni anno, al consiglio il resoconto di cassa. 17. - Ogni anno l'unione rurale celebrerà la solennità del suo santo patrono. Stabilirà, occorrendo, funzioni e pratiche particolari per mantenere vivo lo spirito religioso fra i soci e i n tutta la popolazione, per promuovere l'azione cattolica. Nei mesi d'inverno si procurerà di fare ogni anno alcuni giorni di esercizi spirituali e si celebrerà u n ufficio da morto per tutti i soci defunti. 18. Nel caso che l'unione rurale si dovesse sciogliere, il fondo sociale netto dalle passività è devoluto a qualche opera d i beneficenza a giudizio dei soci e con lyapprovazione del parroco, ma non potrà mai essere distribuito fra i soci.

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SCRITTI PUBBLICATI SU « LA CULTURA SOCIALE ( 1900-1905)

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1. LE ELEZIONI POLITICHE I N SICILIA

Tradizione servile di governo assoluto, nessuna partecipazione alla vita politica, da parte delle masse popolari, nessun sentimento di dignità, di solidarietà, di interesse nazionale, campanilismo, legami personali, pressioni e corruzione: ecco i coefficienti in Sicilia delle elezioni politiche. Duole il dirlo: la terra nostra può dare al131talia ottimi ingegni, può sentir meglio che altre regioni il dovere del sacrificio collettivo nei supremi momenti; ma è un anacronismo, un'antitesi, se si riguarda in rapporto alla vita politica. La battaglia elettorale di quest'anno dà un'idea abbastanza chiara dell'assenteismo politico del popolo, e della mancanza assoluta di una coscienza negli elettori. La base di operazione posta da Pelloux fra la reazione ( d a lui chiamata devozione alle istituzioni) e la difesa delle libertà statutarie (qualificata per rivoluzione) non poteva essere più netta e più crudamente chiara. La Sicilia, come non si appassionò alla discussione del decreto-legge, nel periodo dei lavori parlamentari, non ostante i suoi giornali, così non ne intese in gran parte il significato nella chiamata degli elettori alle urne. Facendo una corsa rapida per i collegi siciliani si trova che la maggior parte dei candidati non si sono trovati a contatto col popolo, non hanno manifestato propositi, non hanno giustificato condotta, non hanno difeso ministero o opposizione costituzionale, non hanno dato agli elettori una base politica al loro voto. E se lo avessero fatto? E se qualcuno lo ha fatto?

13 - Srunzo - Sintesi sociali,


L'elettorato nostro si divide in tre categorie: la prima è di coloro che assumono l'incarico di una elezione per rapporti municipali o d i famiglia o d'interessi o d'amicizia. A costoro l'essere il deputato ministeriale giova per gli aiuti e gli appoggi del governo, che o scioglie consigli, o affida alla polizia il mandato di sostenere la candidatura, o manda i denari dei fondi segreti. Se il deputato non è ministeriale, essi curano di comprare i favori e gli appoggi della polizia locale o di contrapporr e alla polizia la mafia. La seconda categoria è la massa degli elettori: impiegati che dipendono dai comuni, che votano secondo i1 colore della giunt a ; impiegati che dipendono dai privati, che votano secondo il colore dei padroni; e gente che si vende al miglior offerente ( i prezzi sono arrivati a cento e a centoventi lire al voto). Per costoro l'essere il deputato ministeriale o antiministeriale è lo stesso; votano senza coscienza, senza carattere, senza convinzioni. La terza categoria è degli indifferenti, che o si astiene o cede alle preghiere dell'amico, del parente, e vota per... convenienza. È un atto di urbanità, come quello di un saluto o di una fredda stretta d i mano, che tante volte si dà per convenienza o si nega. .. per distrazione. Analisi sconfortante, dalla quale neppure emerge la coscienza degli astensionisti cattolici, che non vi è, che non esiste quasi affatto, tranne in quei preti che non parteggiano come altri, nella speranza di un vantaggio per la chiesa o per i parenti, e i n pochi cattolici, rarae aves, che non sempre hanno i l coraggio di manifestare la propria convinzione, perchè propaganda seria, efficace, convincente non se ne è mai fatta, tanto che in molti collegi, dove io sono stato, per lo più si crede che la inibizione è per i soli preti, h a i quali vi sono quelli che non votano, ma bensì parteggiano e fanno da galoppini elettorali! Ora comincia a sorgere una coscienza nuova nelle masse, la coscienza del partito popolare. Non si creda che veramente esista una tale coscienza; è opportunità, è istinto di reazione, è grido di miseria. Messina ha eletto Noè, che ha sventato gli imbrogli amministrativi di quel comune. Palermo Marchesano e... Paternò L. Fi-


nocchiaro (più per rapporto personale che per principio, come Castrogiovanni, che conferma le sue simpatie a Colaianni). La lotta fatta a Carlo di Rudinì e al Marchese padre e al cognato, il Di Cammarata, non si può ridurre che alle proporzioni di una lotta personale e di partiti amministrativi. E gli altri pochi eletti di opposizione costituzionale sarebbero stati eletti lo stesso se si fossero dichiarati ministeriali. Tanto la veste politica e la professione d i fede influisce nella coscienza elettorale! I n u n collegio, che non nomino, i propugnatori di u n candidato di opposizione costituzionale si affrettarono a far conoscere che il governo lo appoggiava; il competitore, che non avendo precedenti politici poteva benissimo vestir la casacca più opportuna, si affrettò a dichiarare fedeltà a Pelloux, e scosse talmente la posizione dell'awersario, che lo costrinse a ritirarsi; perchè, è da notarsi, in due comuni del collegio, dagli elettori si aspettava con ansia di conoscere quale fosse i l candidato appoggiato dal governo, per schierarsi dalla parte di costui, e così non aver noie dalla polizia. E per giunta fra i sostenitori del nuovo candidato ministeriale vi erano elettori di sentimento contrari a l decretone e al nuovo regolamento della camera... e ce ne erano altri che votarono per esso perchè loro tornava... comodo. Insomma il diritto elettorale è una merce che si scambia col denaro e con le protezioni o col potere amministrativo; o una convenienza sociale, il cui uso corrisponde alla correttezza e alla cortesia della persona. Che meraviglia che su 53 collegi in Sicilia 36 deputati siano ministeriali? Anzi è meraviglia che non siano tutti ministeriali; oggi con Pelloux, ieri con Rudinì, domani con... Giolitti! I nostri elettori non hanno tradizione ed educazione politica. Se dal 1860 a l 1875 la Sicilia diede candidati d i opposizione fu perchè la reazione contro un governo nuovo, violento, incosciente era forte e sentita da uomini che fecero la rivoluzione, nella speranza di miglior fortuna. Dal '75 in poi la Sicilia è stata sempre ministeriale, perchè, cessata la momentanea reazione, cessò la ragione di opposizione e subentrò quella del tornaconto e dell'acquiescenza. Nell'uno e nell'altro periodo l'elettore fu sempre incosciente, e non seppe altro che l'utile o la vendetta privata,


non assurse mai a l principio e all'indirizzo nazionale e collettivo. Oggi si svegliano i partiti popolari anche i n Sicilia, lavorando a d attirare a sè coscienza e masse. È u n lavoro che desterà u n poco i papaveri monarchici; dico monarcliici, perchè nella Sicilia regia non si capisce clie solo la monarchia. Dovrebbero i cattolici coscienti entrar essi nella lotta e guadagnare i l popolo alla causa della chiesa per mezzo della rivendicazione dei suoi diritti, e contendere e ostacolare la via a i partiti popolari. Allora potrebbero organizzare l'astensione come potrebbero purificare l'elettorato e sollevarlo dai bassi intrighi all'aspirazione di u n ideale. Ma no: i cattolici o dormono, o, se vegliano, bizantineggiano. Caltagirone. 7 giugno 1900.

L'articolo dell'amico Sturzo ci dà occasione a trattare in breve un argomento che, per i problemi che involge e per gli ammaestramenti che se ne ~ ~ o t r e b b e rritrarre, o è della massima importanza. Ettore Ciccotti, i l felice primo deputato socialista di Napoli, studiava, due mesi addietro, nella Rivista moderna d i cultura, in un magnifico articolo, la funzione nel mezzogiorno del partito socialista. Egli indicava, in seguito ad un suo studio accurato e positivo, quali fossero le necessità politiche e sociali del mezzogiorno; e dimostrava come contro all'opera nefasta e corrompitrice del governo, alleatosi alle consorterie locali, e nell'assenza d'ogni sviluppo moderno di industria e di cultura e quindi anche della coscienza civile di ogni problema eccedente i limiti angusti delle faccende locali, il partito socialista doveva nel mezzogiorno creare ed educare una coscienza politica più elevata di questioni generali e collettive e iniziare e promuovere un'attività politica ed economica diretta al miglioramento delle condizioni materiali del mezzogiorno. Le osservazioni del Ciccotti son giuste e il programma che egli assegna non ha nulla d i strettamente collettivista in sè e potrebbe, dovrebbe anzi, essere il programma di qualsiasi partito politico serio e moderno. Il Ciccotti nota, ed è vero, come la coscienza di problemi collettivi e la tendenza verso forme più alte d i collaborazione umana che è in fondo al socialismo faciliti a questo la trasformazione ed elevazione necessaria della coscienza politica del mezzogiorno: e certo il partito del Ciccotti si avvantaggia anche d i quell'acuto sguardo critico positivo, acquistato principalmente alla scuola del marxismo, che fa ad esso discernere con tanta chiarezza i mali ed i rimedi economici della società e, nel caso particolare, del mezzogiorno. Ora sarebbe il caso per noi cattolici, destinati da qualche tempo in qua


a fare i nostri passi più importanti sulle orme del socialismo precorritore, di cominciare a occuparci della funzione d'un partito cattolico nel mezzogiorno: perchè se è vero che la coscienza cattolica, limitata lungamente dal regalismo barbarico e infiacchito, non potè dare ai cattolici del mezzogiorno vedute politiche più alte, associanti in un pensiero comune gli interessi del mezzogiorno, è anche vero che il cattolicesimo, almeno nelle sue nuove correnti sociali, sarebbe forse anche più in grado che il socialismo di compiere il compito politico che ad esso assegna il Ciccotti. Senza questa nuova coscienza, la quale richiede una mutazione intellettuale e morale profonda, sarebbe stato inutile e dan-noos ai cattolici del mezzogiorno partecipare prima di ora alla vita politica; perchè essi avrebbero subito le condizioni della vita locale e rappresentato una coscienza pubblica pochissimo o nulla sviluppata. Dolorosamente anche oggi noi non vediamo nel mezzogiorno che dei debolissimi inizi di una rinascenza cattolica e di un rifiorire della coscienza politica ispirato e diretto da noi; e c'è a temere che l'opera vigorosa di risanamento morale iniziato dal partito socialista, ed in special modo dal Ciccotti, possa abilmente sfrnttare una situazione meravigliosamente propizia per nn partito nuovo, sì che noi, quando si vorrà fare qualcosa, veniamo a trovarci arretrati di qualche decina d'anni, e nella necessità di aspettare il principio del processo degenerativo del socialismo nel mezzogiorno. Noi segnaliamo la questione agli studiosi ed ai periodici locali, dolenti della sicura previsione che l'accoglienza la quale le verrà fatta sia in ogni modo impari all'importanza sua. E quel che abbiamo detto del mezzogiorno vale anche per la Sicilia, dove pure pochissimi indizi danno bene a sperare per un awenire non molto vicino: ma dove ai difetti profondi si aggiunge talora una positiva volontà di trascurare, per amore di fisime vecchie, lo studio dei problemi più urgenti. Solo a Caltagirone, lo spirito nuovo è diffuso e incarnato nel movimento di fatti: e l'amico Sturzo, in una lettera che accompagnava l'articolo, ci ha segnalato una affermazione astensionista che potrebbe esser l'invidia di molte organizzazioni cattoliche non solo del mezzogiorno ma anche del nord d'Italia. (N.d.D.). (La Ciclturir Sociale, n. 12, 1900)

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CONSERVATORI CATTOLICI E DEMOCRATICI CRISTIANI Sin dai primi passi fatti dai cattolici nel campo sociale si manifestarono due diverse tendenze, che a poco a poco divennero due scuole: la c o n s e r v a t r i c e c a t t o l i c a e la c r i s t i a n o - s o c i a l e , detta anche d e m o c r a t i c a c r i s t i a n a .


Diverse nei priiicipi e nelle conseguenze, pur dentro l'orbita delle dottrine e dei sentimenti cattolici, le due scuole hanno il compito di arrecare un gran servigio alla causa cattolica, sia perchè destano l'attrito delle opinioni, dal quale scaturisce più limpida la verità; sia perchè, i n virtù della lotta, sprigionano energie latenti e fanno progredire gli studi; sia, infine, perchè l'una serve di u n certo freno a che l'altra non trasmodi, e questa di sprone perchè la prima rinunzi a certe tradizioni viete e si spinga più coraggiosamente avanti. Le due scuole perciò devono preparare l'avvenire dei cattolici, finchè la prima, che si lega al passato, adempiuta la sua funzione, scompaia e divenga storica; e l'altra, spogliata dalle esagerazioni nate necessariamente dall'attrito e dalla non intiera visione della verità, compia l'alta missione dello scioglimento della questione sociale. Un confusionismo però incosciente, per non dir altro, sembra si sia messo come bastone fra le ruote del movimento sociale dei cattolici, per cui molti, che non hanno punto volto la mente allo studio della questione sociale, nell'acre polemica giornalistica non arrivano a conoscere nè i democratici cristiani, nè i conservatori cattolici, trovando confusi nomi e programmi, idee personali e collettive, mosse tattiche e principi fondamentali. E se non fosse che l'enciclica Rerum Novarum sta come punto o di partenza o di arrivo (tante volte guardato col ... microscopio), non si raprebhe pii1 come orientarsi. È necessità urgente perciò richiamare i cattolici (almeno i nostri) allo studio accurato dei due programmi per vagliarne i pregi e i difetti, e tirare gli oppositori su questo campo serio e proficuo. Quando la linea di demarcazione fra noi e loro sarà netta, senza equivoci, potremo ognuno seguire la nostra via, unendoci dove i comuni principi religiosi e la ubbidienza verso il sommo pontefice ci chiamano, e quando i nemici (liberali e socialisti) ci assaltano; rispettandoci però gli uni e gli altri, senza pretender nessuno alla infallibilità o alla egemonia. Con questo spirito e per semplice ricerca scientifica credo opportuno fare uno schema dei principi clie dividono le due scuole cattoliche, lasciando ad altri il compito di un lavoro più'


completo. I n tale lavoro prescindo dai diversi autori che spesso non tenendo rigorosa la ragione logica del sistema che abbracciano, nelle questioni particolari inchinano ora ad una, ora ad un7altra scuola ( e ciò specialmente dopo che l'enciclica Rerum Novarum lia sciolto molte questioni, dando ragione alla scuola cristiano-sociale); ma intendo limitarmi allo spirito o ragion formale delle due scuole, tendenti l'una verso il liberalismo conservatore, l'altra verso l'evoluzionismo sociale.

La questione sociale, in tutto il suo complesso, si può riguardare: lo nelle sue cause e nella sua natura; 2" nel principio fondamentale del sistema sociale-economico; 3" nelle pratiche conseguenze riguardanti i rapporti sociali, economici e politici, per la soluzione della crisi. 1. - E per la prima, nella critica storica del fatto, per rinvenire le cause dell'attuale disquilibrio sociale, la scuola conservatrice cattolica fa risalire il presente fenomeno ad una serie d i cause storiche dell'economia mondiale di circa due secoli grande crisi, spostamento di ricchezze, rivoluzione industriale macchinaria, apertura di sbocchi commerciali, potenti società anonime - cause tutte che hanno necessariamente prodotto gli effetti del capitalismo e del proletariato, in cui s'incentra la questione sociale. I1 grave fenomeno economico non ha, secondo detta scuola, un7ingiustizia sostanziale e congenita, perchè risulta dalla libera esplicazione delle forze dell'uomo; il male invece sta nel fatto che, con corso parallelo, in questi due secoli, la libertà della ragione ha prodotto l'ateismo e 17indifferentismo nelle classi alte, e la libertà politica, i l socialismo nelle classi basse; onde il fatto economico della sproporzione fra ricco e povero (naturale allo stato presente dell'uomo) è stato acuito dalla irreligione del capitalista e dalle pretese del proletariato, generando l7attuale lotta di classe e la violazione di diritti economici e morali. La scuola democratico-cristiana invece riunisce in una ragione sintetica tutte le cause storiche, sia religiose e scientifiche, sia


politiche ed economiche, attribuendo l'attuale crisi sociale a l disordine dei rapporti essenziali della società. Le cause storiche-economiche non hanno una forza fatale, ma vengono modificate nel progresso indefinito della società, da tutti gli altri coefficienti della vita sociale, e in primo luogo dalla religione. Onde, se il concorso delle altre cause - religione, scienza e politica - fosse stato diverso, le cause economiche sopra citate avrebbero prodotto ben altri effetti che una vera sproporzione e una crisi sociale. Perchè le cause concorrenti non hanno un semplice rapporto estrinseco, ma intrinseco, con tutto lo svolgimento attuale. L'irreligione delle classi colte e dello stato ha voluto rimettere a base della società l'egoismo che la scienza atea ha ridotto a sistema; per cui misconoscendosi il principio della relatività, o ha elevato l'individuo a ragione comune (formula individualistica), o ha confuso la ragione comune con l'individuo (formula panteistica). Da ciò ne è venuto l'asservimento del popolo nella politica e nell'economia, disgregandolo e atomizzandolo, rendendolo privo di protezione giuridica e di aiuti finanziari; per cui esso ha dovuto subire tutta la crisi sociale, e i l capitalismo h a preso posto indisturbato e strapotente nella società. Ora i l popolo si leva e minaccia; nell'ingiusto asservimento ha lentamente bevuto il veleno dell'irreligione; e, non essendosi visto sorretto dagii uomini ài parte caiioiioa nella b i t a d i sopraffazione, per il disquilibrio latente o palese tra le idee e i fatti, tra la religione e la politica, tra la fossilizzazione d i antiche formule e il progressivo sviluppo di nuove, fu, per forza istintiva, liberale nella rivoluzione dei borghesi e ora è socialista nella riuoluzione dei proletari. Riassumendo: lo le classi colte, abbandonata la religione, fecero atea la scienza, lo stato, l'economia politica; 2" siffatto ateismo, che segna l'esaltazione dell'io, individuale o collettivo, ha prodotto la ragione della forza sul diritto nella esplicazione della vita politica ed economica, cioè la forza del numero (maggioranza in politica, capitale in economia); da cui ne segue l'individualizzazione delle forze; 3" i mutamenti economici


hanno prestato l'occasione di una lotta immane fra capitale e ,lavoro, che è divenuta vera lotta di classe. Da questo processo storico deriva che la questione sociale non è semplicemente una questione economica, acuita dall'irreligione delle varie classi, ma è una crisi dei rapporti essenziali della società, che ha ragione d'essere nell'egoismo e nell'ingiustizia. Non è quindi l'acutezza del male, ma il male stesso che si chiama questione sociale; e non è l'acutezza del male che produce la lotta di classe e la violazione di diritti morali ed economici, ma il male stesso è lotta di classe e violazione d i diritti, per ragione naturata e congenita. 2. Dal processo critico-storico della questione sociale, sviluppato dalle due scuole in modo diverso, deriva la diversità dei principi fondamentali messi a base del sistema socialeeconomico. I1 gravissimo errore della scuola liberista è il principio della libertà economica puro e semplice, delle forze dell'uomo applicate all'industria. Questo principio, se non in tutta la sua ampiezza, almeno nella sua ragione essenziale viene accettato dalla scuola conservatrice cattolica, la quale, pur vedendo che per tale libertà ne soffrono i più deboli, impotenti a resistere alla concorrenza del capitale, allo sviluppo industriale, alla sopraffazione nel lavoro, pure non ne sa concepire possibile una restrizione che, secondo lei, eticamente sarebbe una violazione della libertà individuale, economicamente un arresto di progresso nelle industrie e una diminuzione di produzione. Ammesso questo principio, non riconoscono come ingiustizia sociale gli effetti perniciosi che dal sistema di libertà male intesa ne son derivati, ma solamente come condizioni anormali create dalla mancanza di religione, che farebbe rimaner nei giusti limiti l'ingordigia dei capitalisti. Onde si limitano, da semplici empirici, a volere con cura sintomatica correggere gli effetti disastrosi dell'attuale economia col principio della carità cristiana ( p a tronato, conferenza di san Vincenzo de' Paoli, ecc.), o con le libere esplicazioni delle forze economiche popolari (casse rurali, di mutuo soccorso, cooperative di consumo, di lavoro, ecc.). Invece la scuola democratica cristiana non ammette i l prin-

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cipio atomistico della libertà individuale economica, anzi lo reputa eticamente una ingiustizia sociale; perchè l'uomo non solo ha diritti e doveri individuali, ma sociali in rapporto agli enti che gradualmente sviluppano le forze dell'umanità (famiglia, classe, comune, provincia, stato, chiesa). I n ogni ragione organico-sociale l'uomo acquista u n vincolo e perde una libertà; ma il vincolo produce un bene sociale che non solo compensa la libertà individuale scemata, ma la coordina e la perfeziona in un tutto maggiore. E l'acquisto di nuovi rapporti è la causa della esplicazione di nuove forze e dell'esercizio di più larga libertà. Si paragoni l'uomo solitario del deserto e l'uomo sociale dell'Europa. Falsato però il vero concetto di libertà, come in religione, così in politica ed i n economia, dopo due secoli di progrediente esplicazione, i conservatori cattolici non vedono che si corre all'anarchismo individuale, e credono di fermare i l corso logico delle teorie con i rimedi empirici di una carità mal intesa. Occorre invece giustizia, perchè nella sproporzione attuale fra gli individui e la società sono stati violati i diritti che sorgono dalla civile convivenza, lasciando gli individui in balia di sè stessi, lottanti in una lotta disuguale per avere un posto meno infelice nell'umana società. La carità cristiana, l'amore del prossimo sarà l'anima di tu(ta la riforma sociale, aggiungendo quel che non appartiene alla giustizia. ma è soiamente espiicaziuue di vita cris:ioiìn. PurS, per l'ordine sociale violato occorre anzitutto la giustizia riparatrice.

3. - Dai diversi principi derivano diverse conseguenze in rapporto alla pratica soluzione della questione sociale, e ciò: lo sia in ordine all'organismo sociale; 2" sia in ordine alla funzione economica della ricchezza; 3" sia, infine, in ordine allo svolgimento politico delle classi popolari. I. - In quanto all'organismo sociale, cioè in quanto ai rayporti giuridico-economici che debbono passare fra gli individui e gli enti organici (classe, comune, e stato): a) La scuola conservatrice cattolica non ammette l'intervento dello stato nella soluzione della questione sociale; o, se, dopo gli espliciti insegnamenti dell'enciclica Rerum Novarum,


e dopo che la forza del socialismo ha determinato i governi a intervenire con alcune leggi a regolare i rapporti fra capitale e lavoro, molti seguaci di questa scuola si sono inchinati ad ammettere tale intervento, essi lo limitano all'azione repressiva o lo tollerano come una dura necessità, dacchè è venuta meno l'influenza della religione. E in ciò sono logici, perchè, ammessa la libertà economica individuale, non se ne può approvare la restrizione, venga pure dalla legge. Un'altra ragione li induce ad essere così circospetti nello stabilire i limiti di tale intervento, ed è i l pericolo del socialismo di stato, non comprendendo essi che la causa di questo pericolo è proprio il liberismo economico. La scuola democratica cristiana, al contrario, fece suo sin dal primo apparire il principio dell'intervento dello stato nella questione sociale. Non secondo la concezione socialistica dello stato arbitro o dello stato padrone, ma secondo la concezione cristiana dello stato che ha i l dovere di togliere le ingiustizie, curare la prosperità economica e morale dei popoli, sia col sistema preventivo che con quello repressivo in via legislativa; e in tutto ciò a che le libere forze economiche individuali o collettive della nazione possono arrivare, intervenire economicamente, o aiutando gli enti inferiori o pigliando da sè le grandi iniziative. b) La scuola conservatrice cattolica, per ovviare ai mali elle vengono dalla totale atomizzazione del popolo, propone la libera cooperuzio~aedelle piccole forze operaie (cooperative di eonsumo, di lavoro, di credito, di mutuo soccorso, associazioni di arti e mestieri, ecc.), ma non può consentire che tali associazioni abbiano obbligatorietà legale e diritti giuridici. che possano regolare i rapporti fra padrone e operaio, impedire i monopoli, frenare la concorrenza, tutelare i diritti dell'operaio e regolare il salario e le ore di lavoro di ogni singola industria. La stessa scuola, per timore poi della crescente divisione fra capitalista e proletario, e per il pericolo della lotta di classe, non vuole se non le corporazioni e i sindacati misti di padroni e di operai, e infine, per impedire una lotta legale nel campo politico, si è opposta a dare alle corporazioni dei diritti politici di rappresentanza proporzionale d'interessi.


Laddove la scuola democratica cristiana, per la concezione complesba della vita economica e sociale, per cui ammette che tra la famiglia e il comune esista l'ente classe suddiviso in professioni, arti e mestieri, ente che ha le'sue funzioni diverse da quelle della famiglia e del comune, inchina al principio corporativo obbligatorio e giuridico, con ragione economica e politica, per la tutela legale dei propri diritti, che non possono, caso per caso, in una infinità di circostanze, essere regolati da enti superiori. La ragione politica scaturisce dalla giuridico-economica, perchè essendo le corporazioni enti inferiori, sottoposti ai superiori (comune, provincia, stato), devono avere i mezzi politici per la tutela dei loro interessi, i quali possono entrare in conflitto con altri interessi. Infine, oltre ai sindacati e rappresentanze miste, ammette anche le corporazioni pure, poichè ogni ente organico deve rappresentare interessi omogenei. Nei conflitti, ove non vi sia competenza di u n ente superiore, si potranno nominare i delegati delle parti contendenti per la giusta e legittima soluzione. 11. Grave anch'esso è i l dissenso tra le due scuole intorno alla funzione economica della ricchezza, che si può dire il substratum della questione. Essa riguarda tre punti ~ r i n c i p a l i : a) la natura della proprietà privata; b) l'equa partecipazione di frutti da parte del lavoro (specialmente in forma di salario); C) la forma dei contributo per i i mantenimento sociale (iasaej. a) I n quanto alla ragione della proprietà privata, le due scuole convengono nel fondarla sul diritto naturale ; però, nell'esplicarne la natura, la funzione e i limiti si diversificano, secondo che ne riguardino i l rispetto individuale o il sociale. La scuola conservatrice cattolica, riguardando la proprietà privata sotto la ragione individuale, la definisce: facultas disponendi « pro libito N de re aliqua, ipsaque utendi, ceteris exclus i s ; e alcuni moralisti, seguendo i l diritto romano: jus utendi e t abutendi. Vero è che nessuno dei cattolici ammette di fatto l'abuso delle ricchezze o estende il pro libito fuori la norma del retto; però, secondo la detta scuola, l'abuso non è un'ingiustizia, ma semplicemente una immoralità; e l'uso non è limitato se non

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dalla giustizia commutativa lesa, dalla volontà del trasmittente e dalle forme legali. In quanto ai rapporti sociali, detta scuola insiste solamente sull'obbligo morale di carità d i sovvenire l'indigente. È il concetto individuale che pervade questa teoria, monca e unilaterale ; la quale par che trascuri l'elemento finale del diritto d i proprietà che è la conservazione dell'individuo e della specie, non solo singolarmente, ma collettivamente. Tutti, infatti, gli uomini hanno l'eguale e comune diritto di vivere e (liberamente in individuo, ma obbligatoriamente come società) di propagare la specie. Ora questo diritto fa nascere il diritto della proprietà privata, in quanto che naturalmente questo è il mezzo dell'esercizio di quello. E poichè è impossibile di fatto, per la diversità della esplicazione della vita nella società, che tutti singolarmente posseggano e dal bene posseduto per via di lavoro traggano i mezzi di sussistenza, la proprietà privata, per compiere la sua funzione di mezzo naturale alla sussistenza di tutti gli uomini e alla moltiplicazione della specie, deve essere riguardata anche in rapporto all'intera società; affinchè sia tale istituto che tutti, direttamente o indirettamente, come proprietari o come lavoratori, abbiano da poter soddisfare ai. loro bisogni. Onde la scuola democratica cristiana, per meglio determinare il carattere della proprietà privata, la definisce con san Tommaso: potestas procurandi et d i s ~ e n s a n d i ; esclude il diritto d'abuso della ricchezza per ragione di giustizia sociale, e'limita il pro libito dell'uso, oltre che con la giustizia commutativa lesa, con la volontà del trasmittente e con le forme legali, anche con la funzione sociale della proprietà privata. Tale limite può essere naturale (sgorgante dall'organismo SOciale) o giuridico (imposto per forza di legge); e non ~ u mai ò violare il diritto primo e prevalente del possessore alla vita e alla famiglia. Esso esplica la forza in ordine all'economia ~ u b b l i c adella produzione e distribuzione della ricchezza, e in ordine alla partecipazione diretta o indiretta ai frutti della ~ r o p r i e t à ,per ra-


gione di lavoro, d'impotenza o di comune utilità (salario, beneficenza, tasse). b) I n ordine al salario, che è una forma importantissima della partecipazione ai beni della terra, la divergenza fra le due scuole era molto risentita prima della enciclica Rerum Novar u m ; ora, dopo che il papa autorevolmente approvò il concetto fondamentale del salario della scuola democratico-cristiana, la controversia è limitata a tre punti; cioè: lo se si debba per forza di legge stabilire il minimum di salario; 2" se in questo minimum giusto si debba comprendere i l cosidetto salario familiare; 3" se l'operaio abbia diritto alla partecipazione degli utili di una impresa. Prima di andare avanti è bene tenere presente la teoria del salario della scuola conservatrice cattolica, teoria che se storicamente dopo l'enciclica non è più in corso, logicamente vige nelle sue conclusioni. Detta scuola ha reputato e parecchi ancora reputano giusto quel salario che corrisponde proporzionalmente a quanto l'operaio produce e che vien regolato dalla media dei prezzi di piazza. Tale teoria presuppone in parte i l principio della domanda e dell'offerta applicato alla rimunerazione della mano d'opera, e considera l'allogazione dell'operaio un semplice contratto che si compie liberamente dai due contraenti. Perchè, guardando solamente il lato economico, il salario corrisponderà al lavoro, questo aiìa produzione, ia pruduxioiie ;!!v smercio, lo smercio alla domanda ed offerta: onde il salario in rapporto alla produzione sarà regolato dallo sviluppo commerciale dell'impresa. Ma non basta: gli operai che desiderano allogare la loro attività possono essere molti e di diversi bisogni, per diversità di sesso, età, educazione, ecc.; per cui si stabilisce fra loro una fiera concorrenza, basata sulla domanda ed offerta, il che costituisce la media dei prezzi di piazza. Così la scuola conservatrice cattolica non fece altro che far suo i l principio atomistico liberista sul salario. Ben altro elemento trovò nel contratto di salario la scuola democratica cristiana, detto da Leone XIII elemento di necessità; per cui « easendo dovere il conservarsi la vita, a cui niuno può mancare senza colpa, ne nasce per necessaria conseguenza il diritto di


procacciarsi i mezzi di sostentamento, che per l'operaio si riC( ducono a l salario del proprio lavoro. Sia pur dunque (continua (C il Santo Padre) che l'operaio e il padrone formino di cornunr: consenso il patto e nominatamente i l quanto della mercede, v i entra però sempre un elemento di giustizia naturale superiore N alla libera volontà dei contraenti, ed è che i l quantitativo del« la mercede non sia inferiore a l sostentamento dell'operaio. jrugale, s'intende, e ben costumato. » Ora, la scuola rÈemocratica cristiana, vedendo che non ostante la evidente giustizia di tale teoria il regime attuale del salario è basato sulla legge della domanda e dell'offerta, per tuire il diritto alla vita dell'operaio inchina a volere stabilito u n minimum di salario, sotto i l quale non potrebbe scendere l'offerta del padrone, e ciò per forza giuridica d i legge (da applicarsi dai sindacati o dalle camere di lavoro o dai comuni). Cosa che la scuola conservatrice cattolica non ammette, perchè è contraria all'intervento di stato, teme delle imposizioni delle classi lavoiatrici e crede che si possano violare i diritti dei padroni. Inoltre la scuola democratica cristiana, per il concetto che ha dèl diritto di proprietà rispondente al diritto della conservazione non solo dell'individuo ma della specie, vuole che il salario sia f a m i l i a r ~ :cioè che non solo corrisponda al mantenimento dell'operaio, ma al mantenimento modesto di una famiglia normale. Ciò s'intende in quanto che il salario, unito con i piccoli proventi degli altri membri della famiglia, basti cumulativamente alla soddisfazione dei bisogni materiali e morali. L'evidente ragione del diritto e spesso i l bisogno che ciascuno ha di costituire una famiglia e la ragione morale e sociale, per lo sviluppo progressivo del genere umano, per la maggiore tranquillità della società e per l'ordinato modo di dare al mondo nuovi esseri, persuade la scuola democratica cristiana a riguardare questa teoria come giusta e necessaria nell'applicazione. La scuola conservatrice cattolica invece, subendo l e conseguenze della teoria fondamentale sul contratto del salario, rispondente a l lavoro personale di un uomo, trova ingiusta pretesa una rimunerazione che debba riguardare i l vantaggio d i persone che non partecipino al lavoro. È i l solito errore di considerare

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l'individuo come u n essere isolato, come un atomo vivente, come una forza meccanica. Infine la scuola democratica cristiana, per ragione sociale, cioè per fare che i l proletariato sia meno fluttuante e fisso alla terra o all'officina, ammette la partecipazione da parte dell'operaio agli utili dell'impresa o come forma patronale o come forma cooperativa; ben inteso che tale partecipazione può essere riguardata o come u n libero premio che al lavoro dell'operaio vuol dare il padrone, ed entra nell'ambito della lil~eralità,o come una delle tante forme di salario, ed entra ucll'ambito della giustizia. Tale dottrina per la pratica non è ancora matura; però fa parte dei doveri sociali e del patronato cristiano del proprietario; per cui, migliorate le condizioni economiche e morali dell'operaio, reso stabile il suo lavoro e tranquilla la sua esistenza, si vada avviando la soluzione della questione sociale. La scuola conservatrice cattolica ammette solamente i l patronato cristiano e tutte le forme di libero aiuto all'operaio; però la partecipazione dell'operaio agli utili dell'impresa crede che sia una debolezza verso le pretese socialiste. C) Infine, in quanto al diritto che ha lo stato per il benessere pubblico d'imporre le tasse, la scuola democratica cristiana, poichè parte dal concetto che chi più utile riceve dalla società più debba concorrere alle spese pubbliche, e che le classi più alte rlehhzne f a r rifliiire i l bene morale ed economico neiie classi basse, e, infine, perchè le stragrandi ricchezze vengano in certo modo limitate, ammette e sostiene la tassa progressiva; e la scuola conservatrice cattolica, partendo invece dal concetto individuale delle forze sociali ed economiche anche in rapporto alla società, sostiene la tassa proporzionale. Però sembra che oggi la maggior parte dei cattolici accetti in linea di massima il concetto della tassa progressiva.

111. - Toccati i punti principali di discrepanza delle due scuole intorno alle dottrine economico-sociali, resta a parlare di una questione di tattica: cioè in qual modo si possa arrivare


ad attuare i principi economici e sociali in una società informata ai principi del liberalismo dominante, che si va volgendo verso i l minacciante socialismo. E la questione si è, se il movimento di restaurazione debba assumere forme politiche o rimanere semplicemente economico, sorretto dalla religione e dalla carità cristiana. Cioè: se i l popolo si debba organizzare politicamente per rivendicare i suoi diritti, o se debba attendere che, modificato l'animo delle classi dirigenti per mezzo della religione, queste ritornino a l rispetto dei diritti delle masse, mentre nel tempo d i tale trasformazione religiosa gli uomini di parte cattolica cercheranno di sollevare per la carità cristiana le miserie delle classi inferiori. La scuola conservatrice cattolica propende per la seconda soluzione; per la prima, non escludendo, anzi includendo la seconda, la scuola democratica cristiana. Dico, non escludendo, anzi includendo la seconda, perchè nessuno nega, anzi tutti i cattolici mettono a base del riordinamento sociale l'azione religiosa e aggiungono la necessità delle opere di carità cristiana. Però bisogna esaminare il problema da tutti i lati. I n questa questione entrano tre elementi: o) Un elemento storico-religioso: cioè il ritorno delle classi colte, individualmente e socialmente (scienza, politica, economia), al cristianesimo. Nessuno s'illude che tale palingenesi religiosa possa essere i l fatto di pochi anni; ciò posto, si potrà attendere tanto che si compia una si lenta evoluzione, o meglio, un tale ritorno, mentre, causa l'attuale crisi, i l popolo precipita verso i l socialismo e l'anarchia? La conseguenza fatale sarebbe un'altra epoca d'irreligione e di ateismo sociale prodotto dal trionfo socialistico del proletariato; come la presente epoca irreligiosa è frutto del trionfo liberale della borghesia. E poi si crede cosa facile un ritorno sociale della borghesia dominante alla religione, senza forti scosse sociali? O non è più facile far tornare religioso il popolo, che ancora sente la forza della religione, la voce del sacerdote, l'influenza della chiesa, prima che venga pervertito dal socialismo?

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Srunzo - Sintesi sociali.


b) Un elemento politico-sociale: la tendenza ~rogrediente ed evolutiva alla democrazia universale, tendenza che da un secolo si va esplicando. I cattolici come tali, secondo il puro concetto morale, non fanno questione di forma di governo. La fanno però, e ne hanno diritto e dovere, in rapporto alle contingenze dei tempi, dei luoghi e delle persone. Essi in faccia al fenomeno democratico non possono o rimanere indifferenti o volere andare contro corrente e sostenere certi istituti politici che la storia va facendo cadere. L'una e l'altra posizione sarebbe falsa ; la seconda porterebbe alla sconfitta e alla impopolarità, la prima lascerebbe libero i l campo a l socialismo democratico. I cattolici, oggi, in politica, devono essere democratici, perchè il popolo è entrato nella vita politica e la va facendo sua. Fenomeno naturale derivante dalle attuali condizioni economiche e dalla crisi sociale crescente e dalla organizzazione delle forze popolari che si va evolvendo e rafforzando. Del resto, che i l popolo entri nella vita politica è u n bene; il male è che vi entri socialista, portandovi l'irreligione e la lotta d i classe. c) I n terzo, vi è l'elemento morale della giustizia violata, che dev'essere riparata. Se il popolo ha diritti e questi sono conculcati, e chi ha il dovere e i l diritto di rimettere l'ordine =C= !e fz, il p ~ p d np 1 1 h deve, nelle vie legali della politica, rivendicare questi Qiriiii. Coma 'le diissi s!;e E l a n ~ oi! diritte 21 rimettere l'ordine p e r forza politica e giuridica quando l e classi basse lo violano, così per forza politica e giuridica le classi basse devono poter rimettere l'ordine violato dalle classi alte. Non perchè le une hanno la forza e il denaro devono poter impunemente far pesare la loro preponderanza egemonica sulle altre. Nè ciò è lotta d i classe, come temono i conservatori cattolici, perchè la lotta di classe ha doppio carattere: primo, l a rivendicazione di un preteso diritto d i una classe contro l'altra; e nel caso nostro, secondo la democrazia cristiana, il proletariato non rivendica dei pretesi diritti, ma dei diritti veri e reali; secondo, il metodo rivoluzionario con la violazione dei diritti privati e pubblici; e la democrazia cristiana non può ammettere, anzi


contrasta tale metodo; ma invece propone la rivendicazione per via di organizzazione politica e di provvedimenti giuridici. Onde i l problema della tattica per la soluzione della questione sociale si risolve nei tre elementi costitutivi: religione, politica, legislazione, operanti nella democratizzazione evolutiva della società, alla reintegrazione del diritto e dell'ordine nella gerarchica ricostituzione delle classi. In questo lavorio organico di rivendicazione d i diritti, secondo i tre rapporti nei quali i l proletario organizzato si può trovare col capitalista (sia individuo che collettività), viene formulata dai democratici cristiani la massima tattica: con loro, senza di loro, contro di loro, ma con la chiesa sempre. Cioè: i l popolo rivendicherà i suoi diritti, e per rivendicarli si organizza, accettando, anzi richiedendo l'aiuto singolo o collettivo delle classi capitalistiche (con loro); se però esse rifiuteranno di aiutare il popolo e di cooperare alla rivendicazione dei giusti diritti conculcati, allora il popolo farà da sè, ricercando nella sua organizzazione e nei suoi diritti la forza di uii miglioramento (senza di loro); se avverrà però che le classi capitalistiche, per voler mantenere l'egemonia economica e yolitica, resisteranno e si opporranno a l popolo e lo combatteranno e acuiranno la crisi attuale, in tal caso il movimento sarà contro di loro, nelle vie della legalità e delle lotte politiche. Si obietterà che i l popolo potrà eccedere: ecco perchè diciamo ma sempre con la chiesa. La guida ferma e soave di questa maestra delle genti, l'ispirazione verso il bene, la rigidezza del non permettere mai la violazione dei diritti altrui, i categorici comandi dell'osservanza scrupolosa dei propri doveri, la forza dell'esempio di Gesù Cristo, operaio, assiduo al lavoro e ai sacrifici che necessariamente s'incontrano nella vita delle officine, gli aiuti e i consigli dei sacerdoti, non faranno mai degli operai nè i petrolieri anarchici, nè i furibondi e gelosi socialisti. Ecco i punti principali in cui differiscono le due scuole: punti che spesso vengono perduti di vista nel quotidiano attrito delle idee. Una speranza brilla avanti agli occhi: che dai cattolici si faccia piiì intenso lo studio dell'enciclica Rerum Novarum, dove si trovano in gran parte, nelle loro ragioni fondamentali, risoluti


i problemi economico-sociali della crisi moderna; delle quali ragioni la scuola democratica cristiana ha visione più intera e più adeguata. Caltagirone, lo agosto 1900.

(La Cultura Sociale. iin. 16 e 17, 190U1

COSE NOSTRE Caro Murri, Non mi ha fatto meraviglia il sapere che i cattolici, o, meglio, gli appartenenti alle associazioni cattoliche di Napoli, abbiano preso parte diretta a l movimento elettorale politico d i giorni fa. nè il connivente silenzio della siampa cattolica locale: i fatti di giugno, censurati da tutto il giornalismo cattolico d'Italia, si ripetono forse in proporzioni maggiori. Ciò che mi ha fatto meraviglia e che io deploro a nome di tutto i l meridione, è stato il contegno dei nostri giovani amici democratici cristiani, sui quali sono fondate tutte le speranze, per quanto tenui e lievi, di Napoli cattolica. I1 fatto, benchè minuscolo, va studiato attentamente, e tu. acerrimo sostenitore del non expedit pontificio, non nel senso gleai di cicca, irragi=pu:rn!e ehhcdienza, ma con larghezza di vedute e d i intuizione religiosa e politica, mi permetterai che ne parli su queste colonne con franchezza di critica, com'è nostra usanza. A me, democratico cristiano e meridionale, interessano doppiamente le cose di Napoli. Lascio da parte tutto i l vecchio residuo dei cattolici borbonici, degli opportunisti e di coloro che hanno solo l a visione e l'interesse di un ambiente o di un fatto determinato, non t r nendo di mira tutto un complesso di rivendicazioni sociali e di orientamenti politici che riguardano la nazione e la religione. Essi, poco cattolici e misoneisti, affetti da malattie ambientali, sogliono tirare, secondo il bisogno, la forza e il valore del divieto pontificio o a una quasi irragionevole obbedienza, o a


una interpretazione morale e politica larghissima. Della vecchia scuola di chi fa consistere la cattolicità nelle pompose, esterne manifestazioni di culto, costoro hanno di già perduto tutta la fiducia sia nel campo dell',organizzazione, dove si son mostrati insufficienti e retorici; sia nel campo dell'economia sociale, dove non han fatto mai nulla; sia nel campo amministrativo, dove, col loro lasciar fare e lasciar passare, per lo meno negativamente, si sono resi conniventi di trenta e pii1 anni di disonestà e di sperpero della finanza comunale. Onde 'che essi, oggi come ieri, gettino l'ultimo residuo di opportunismo religioso e vadano, contro il divieto pontificio, alle urne politiche, non in nome di un principio, nè in nome di un partito, ma sotto i l manto di una inutile opportunità amministrativa, lo stimo un bene; perchè le illusioni s'infrangano e i muri crollino, e non resti in piedi l'ostacolo al divenire 'della vera azione dei veri cattolici. Ho detto inutile opportunità amministrativa, perchè a Napoli, come dappertutto, se cadono gli uomini, resta il sistema, resta il cumulo degli interessi, resta I'affarismo e la camorra; e non sarà il principe di Canneto, con la sua medaglietta magica, che risanerà l'amministrazione comunale. E ciò vada per gli uomini del passato. L'avvenire però dovrebbe esser segnato dal nostro movimento, e gli inizi sono decisivi. E mi gode l'animo a citare l'azione della tua Cultura Sociale e del Fascio democratico cristiano, di Milano, nel giugno passato; e potrei anche parlare della mia Caltagirone, se non fosse così minuscola da perdersi fra i cento nomi segnati dalla carta geografica del meridionale. Noi abbiamo bisogno che nelle grandi città, quali per il meridionale Napoli e Palermo, i gruppi democratici cristiani diano l'esempio e sventolino senza ambagi la bandiera della nostra azione politica d'astensione. L'entrare fiduciosi in quest'ordine di idee, di supremo interesse religioso e nazionale, è una necessità pratica di primo ordine, dalla quale in parte dipende i l nostro avvenire. I1 movimento d'idee, per ragione di cultura, di ambiente, di forza, è centrifugo, e Napoli sta a capo del meridionale. Invece ho saputo che i nostri amici napoletani, nella gene-


rale defezione dei cattolici militanti, non han levato la voce, almeno come segno di protesta; non hanno fatto, con stampe e conferenze, propaganda del nostro programma politico-astensionista; non hanno organizzato una astensione (per quanto ristretta di numero) cosciente e franca; anzi, se le voci son vere, alcuni si sono prestati al lavoro per la riuscita del principe di Canneto. Perchè mai? Che cosa ne ha guadagnato e potrà guadagnare la chiesa, il popolo, con la riuscita di questo principe anticasaliano del momento? O invece, quanto terreno non ha perduto in Napoli e... altrove, l'avvenire del nostro partito, anche nella coscienza degli stessi seguaci dell'idea democratica cristiana? Alcuni han detto che, personalmente, avevano ragione di condursi così; io non lo so, ma come partito militante essi hanno defezionato; e la loro defezione è tanto più dolorosa e perniciosa, quanto è più giovane i l partito, meno maturo l'ambiente, in cui s'infrange i l carattere e la forza dei sostenitori della grande idea rigeneratrice. Ho ragione? T u potrai speculativamente guardar sereno e con fiducia l'avvenire ; a me duole che ogni giorno che spunta non segni in tutta ~talia,'specialmente nel meridionale, un passo avanti della democrazia cristiana; che, anzi, non di rado, la pratica infranga la teoria. Caltagirone, 29 dicembre 1900.

Ho pubblicato volentieri la lettera dell'aniico Sturzo; per l'importanza drl fatto e anche perchè apparisca che noi, i quali reclamiamo il diritto di esercitare la critica sull'azione pubblica degli altri, non la temiamo, anzi la vogliamo egualmente quando essa tocca le cose nostre. Ma per la verità dei fatti debbo notare: A Napoli non c'è attualmente un gruppo democratico cristiano organizzato. Ci son bensì alcuni simpatici nostri amici personali che, larghi e moderni d i cultura e d i vedute, accettano e fanno loro la nostra propaganda: C'; un nucleo d i giovani, numeroso, credianio, e volenteroso certo, il quale, se non è ancora intieramente formato alla coscienza dei nuovi rompiti sociali dell'azione nostra. segue certamente, nella preparazione sua e nella propaganda di cultura, una buona strada, e giungerà, prima o poi. dove noi desideriamo che giunga; vale a dire a formare un centro d'azione cattolica popo-


lare degno della causa, di Xapoli e dei compiti che le condizioni presenti del mezzogiorno gli assegnano. Messi da parte i nostri amici personali, la cui condotta individuale - d'azione comune organizzata non può parlarsi - riteniamo sia stata corretta, non ci fa meraviglia che nel gruppo di coloro che sono i più vicini all'idea e all'azione nostra possano alcuni essersi mescolati nel pasticcio elettorale di questi ultimi giorni, o lasciandosi attrarre momentaneamente nall'orbita dell'agitazione socialista, o agitandosi per la insipida soluzione canneto. L'ambiente napoletano e le condizioni politico-morali di quel popolo, che giovani i quali hanno una coscienza intimamente matura del nostro programma dovevano naturalmente subire, sono troppo complicate e singolari perchè noi dobbiamo qui esaminare a lungo la cosa e dare giudizi e disapprovazioni: ma certo, nella sostanza del fatto, conveniamo con l'amico Sttirzo, e ci auguriamo caldamente che anche in Napoli si organizzi, prima che un fascio, un circolo di studi democratico cristiano, e attenda alla formazione d'un nucleo di propagandisti; a questi sarebbe riservata, nell'avvenire prossimo del mezzogiorno, una così splendida parte che parecchie anime generose - e non ne mancano a Napoli - si lasceranno presto guadagnare, ne siamo certi, dalla nuova causa e si metteranno al lavoro. (N. d. D.).

(La Cultura Sociale, n. 2, 1901)

SUI PROBIVIRI NELL'INDUSTRIA Caro Murri, È noto che il 15 giugno 1893 fu dal parlamento italiano vo-

tata la legge sull'istituzione dei collegi di probiviri nell'industria. In forza della quale legge venne data al governo - sentito l'avviso dei consigli municipali, delle camere del lavoro e delle società operaie - la facoltà di istituire per decreto reale i collegi di probivirato per una o più industrie. Per quanto il concetto della legge fosse corrispondente ai bisogni sociali del tempo e molte disposizioni particolari agevolassero la tutela dei diritti dell'operaio in forma *iù naturale e meno intralciata e dispendiosa, pure tali collegi, almeno nel meridionale, o non furono istituiti, o non ebbero nella pratica attuazione quella vitalità e quella influenza che erano necessarie per adempiere i compiti stabiliti dalla legge stessa. Inoltre è un grave vuoto della legge stessa il non essere estesa


alla classe agricola, i cui molteplici interessi e le cui condizioni giuridico-economiche richiedono la pronta istituzione di tali probiviri. Iniziare pertanto un'inchiesta diretta a constatare i risultati positivi o negativi della legge del 1893 e le cause, sia da parte del governo che da parte degli altri enti o delle classi lavoratrici, che hanno influito a frustrare gli scopi della legge, come anche ad assodare l'utilità di simili collegi di probiviri dove esistono, io credo che sarebbe un importante servizio che i democratici cristiani potrebbeio rendere all'Italia. Scopo ultimo di questa inchiesta sarebbe iniziare una forte azione legale e popolare, afììnchè:

losi riattivasse l'azione dei probivirati, sia dei collegi arbitrali, sia delle giurie, dove tali istituzioni esistono e non funzionano bene ; 2" si facessero, per mezzo di voti, di petizioni e per mezzo della stampa, pressioni a l governo per istituire tali collegi dove non sono ancora stabiliti ; 3" si chiedesse a l governo d i estendere il probivirato alle classi agricole, alla classe degli impiegati. Propongo pertanto uno schema d'inchiesta, che t u potresti trasmettere a tutti i nostri, a f i c h è , ottenute le risposte, si proceda al lavoro di critica e di sintesi.

1" Se nella provincia di ... i l governo ha istituito uno o più collegi di probiviri ; 2" Se no, quale fu la risposta mandata dai corpi locali a l ministero entro il giugno 1894;

3" Se le condizioni attuali dell'industria o delle industrie della provincia d i richiedono l'istituzione dei probiviri, e specificamente quali industrie.

...

...

1' Se nella provincia d i è stabilito il collegio o i collegi di probiviri, o da quanto tempo funzionano, e per quali industrie;


2" Come viene eseguita dalle giunte amministrative la formazione delle liste elettorali del probivirato;

3' Quanti elettori si trovano attualmente iscritti nelle liste; 4" Quale attività spiegano gli elettori nelle elezioni del probivirato ;

5" Quanti atti la giuria e l'ufficio di conciliazione hanno compiuto nell'ultimo biennio, e con quali risultati pratici; 6" Quali sono le principali controversie che vengono risolute dagli uffici del probivirato ;

7" Se si è formata nell'operaio la coscienza di ricorrere agli u&ci del probivirato; - se no, per quali cause; 8" Che coscienza vi porta l'operaio chiamato ad esercitare 1 ' ~ c i odi giurì o di conciliatore;

9" Quale influenza esercitano gli industriali nelle varie funzioni del probivirato (compilazione delle liste elettorali, elezioni, giuria, conciliazione).

lo Se le condizioni degli agricoltori della provincia di chiedono l'istituzione del probivirato ;

... ri-

2" Quali controversie, principalmente delle classi agricole, sarebbe opportuno affidare alla competenza del probivirato ;

3" Se le condizioni dei commessi e degli impiegati della provincia di ... richiedono l'istituzione del probivirato; 4" Quali controversie, principalmente della classe dei commessi e degli impiegati, sarebbe opportuno affidare alla competenza del probivirato. Già il circolo democratico-cristiano di studio e popaganda di questa città h a deliberato di iniziare l'inchiesta riguardo al primo e al terzo paragrafo, poichè in Caltagirone non esiste nessun collegio di probiviri. Qualche altra volta forse farò l'esame della legge sia in ordine ai principi che sancisce, che in ordine alla pratica attuazione. Il lavoro dell'inchiesta, se condotto con criteri esatti, con praticità di mezzi ed alacrità, potrà dare ottimi risultati.


Se a te e agli amici la proposta sembra utile ed opportuna, datele vita, che riuscirà di certo, come riescono quelle iniziative nelle quali si accoppiano i l buon volere e la rispondente esigenza dei tempi. Abbimi tuo LUIGI STUHZO Caltagirone, 7 marzo 1901. Ecco soddisfatto al desiderio del solerte amico Sturzo. La necessità crescente di rendersi conto del modo come funziona in Italia questo principio vitale di legislazione sociale che sono i probivirati, e la rispondenza del concetto che ispirò quella legge - pure così imperfetta - al nostro progranima di pacificazione delle classi, rendono la proposta di Luigi Sturzo opportunissima; e siamo certi che i nostri amici la raccoglieranno. Noi faremo l'inchiesta, per quel che riguarda la provincia di Roma. (N. d. D.). (La Cultura Sociale, n. 6, 1901)

INDIRIZZI E CONCETTI SOCIALI ALL'ESORUZKE L)EL SECOLO XX Le sei conferenze dell'illustre prof. Giuseppe Toniolo che portano questo titolo - riunite in un elegante libro edito da L. Buffetti di Parma - più che semplici conferenze sono un elevato lavoro di sintesi vigorosa della concezione scientificocristiana della società presente. La poderosa comprensività che ha l'A. di tutti i problemi moderni in una logica concatenazione di ragioni speculative e di ordinamenti pratici, resa evidente da una vera intuizione sintetica della storia, dà a questo libro, strettamente scientifico ed efficacemente pratico, la nota di originalità. E, pregio non comune, presenta l'azione dei cattolici nel secolo nuovo, in un quadro sistematico e completo, che sale a neutralizzare l'ordinaria tendenza empirica e, ampliando l'orizzonte dell'avvenire, fa meglio conoscere i mali gravissimi dell'attuale ordinamento sociale. I1 concetto predominante delllA., che informa tutte le 263 pagine del libro, è la riviviscenza, il ricorso storico, i l ritorno


intiero della vita cattolica in tutte le esplicazioni dell'umanità progrediente. Questo concetto, che è la grande legge della divina missione del cristianesimo e insieme la legge del progresso umano, riveste oggi i caratteri di fenomeno sociale; e nei suoi inizi storici prelude ad una intiera palingenesi della società. E l'A, ricostruisce da questi inizi promettenti l'orientamento, il cammino,.il termine della neo-palingenesi, che ha la ra,'mione di fenomeno nel movimento cristiano-sociale o democratico cristiano, e la ragione di noumeno nella vivificante potenza della religione cattolica. L'armonico sviluppo di questo movimento progrediente può essere studiato o sotto u n punto di vista storico-sintetico, o sotto i l punto di vista logico-analitico. Sotto il primo punto di vista si studia il fenomeno come si presenta nello stato attuale, effetto di stadi precedenti, notandone i movimenti e le ripercussioni, la stasi e il divenire, le forze contrarie e repellenti e le assimilatrici e trasformanti, partendo così dalla presente crisi per arrivare alla futura soluzione storica; sotto il secondo punto di vista si espone la ragione noumenica dei fatti e il valore di tutte le lorze vive e operanti, nei loro rapporti etici e sociali, che si ripercuotono, si trasformano, si elevano nella multiforme azione dello spirito umano e della provvidenza divina nella società. L'A. ha accoppiato, anzi fuso, i due punti di vista, ricavandone un risultato, il cui valore rende evidente la verità che espone e accettevoli i criteri che sviluppa; portandovi spesso la nota di una felice intuizione dell'avvenire, che altrimenti sarebbe potuto qualche volta sembrare lirismo di sintesi non intieramente reale.

I. - L'illustre professore parte dal fatto storico presente: la crisi sociale e la tendenza cattolica della democrazia, come ragione « di una generale compartecipazione a più matura forma di civiltà cristiana D. Questo movimento democratico cristiano che l'autore esaurientemente giustifica (quando egli scriveva non era apparsa la


Graves d e communi) è evidentemente richiesto dall'attuale momento sociale; perchè: a) esso raffigura i l novello atteggiarsi delle forze cattoliche militanti di fronte al socialismo ; b) risponde ad una più recente maturazione della crisi sociale; C ) riflette l'atteggiamento fieramente ostile delle forze sociali contro il cristianesimo. Per cui i cattolici - alla tendenza livellatrice del socialismo, devono contrapporre una p i ù vasta opera d i ricomposizione organica delle moltitudini; - alla soluzione della crisi sociale in senso materialistico, la restaurazione d i una civiltà essenzialmente spirituale ; alla guerra viva contro la chiesa, l'atteggiamento d'iniziativa militante e conquistatrice di u n avvenire integralmente cattolico. Affermato così il carattere del movimento democratico cristiano, nel suo concetto essenziale e nelle ragioni di attualità, movimento « più ampiamente sociale, più comprensivamente elevato, più militante e novatore d i ogni altro n , passa a esaminare i vari e molteplici compiti e l e grandiose conquiste dell'avvenire.

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11. Primo nell'ordine storico si affaccia il compito economico; ma esso non si può, non si deve staccare dalla sintesi d i tutti gli altri; la ragione logica della ricostruzione sociale cristiana investe e trasforma il compito economico elevandolo ad u n concetto intimamente spirituale, il cui canone è così z n n r r n i a t c &!l'A. : rr T,a riforma economica massimamente dipencìa da iin probiema d i giustizia, di equiià c: U i carità auciale ìì. Esso nell'attuale crisi ha per obiettivo principale: a) la riforma dei contratti d i lavoro nelle grandi imprese; b) la ricomposizione di medie e piccole industrie autonome popolari; C) le rappresentanze corporative d i classe. Questo programma economico sociale è i l programma cattolico d i redenzione del proletariato, e tutti i cattolici ne devono comprendere la grandezza, la giustizia, l'urgenza.

ZII.

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Non basta però promuovere le rivendicazioni economiche del proletariato se non si promuovono queile etico-sociali, che hanno un'intrinseca preminenza nell'ordine sociale, oggi specialmente che il materialismo storico e il pretto naturalismo, mentre hanno ristretta la questione sociale ad una pura que-


stione economica, hanno tolto il carattere morale proprio alla vita civile-giuridica delle nazioni. Tre problemi gravissimi nell'ordine etico-civile oggi s'impongono: a) della libertà personale e privata; b) della ricostituzione e funzione delle classi sociali; C) dell'unità morale e vocazione storica delle nazioni; problemi che implicano un programma di completo rinnovamento civile dell'avvenire, congiunto col risorgimento morale e religioso.

IV.

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Questo svolgimento per necessità si collega con gli atteggiamenti futuri della politica, preparati dall'influenza della chiesa e dell'azione del popolo, i quali raccordano questa gran parte di vita cittadina alle gloriose tradizioni cristiane del medio evo maturandola, attraverso le aberrazioni dello stato moderno e dell'assoluta sovranità popolare, nelle legittime e progressive forme moderne. I futuri atteggiamenti della politica, quindi, si basano sopra i seguenti principi fondamentali, applicati allo sviluppo storico delle nazioni. Cioè: lo stato è istituzione massima, necessaria, sacra; le forme di governo sono affatto secondarie, però la ragione unica del potere politico e quindi il titolo definitivo di legittimità di u n governo e la misura della sua perfezione sta nel bene comune: per cui, oggi specialmente, la costituzione fondamentale politica deve atteggiarsi alla costituzione sociale della nazione. Da ciò ne deriva, come pratica attuazione dei principi, la giustizia e la necessità: a) della rivendicazione di ampie autonomie locali; b) della partecipazione ai poteri dello stato di tutte le classi sociali (costituite in forma autonoma); C ) della ricomposizione di unità politiche, non più meccaniche, ma eminentemente organiche. Ma il bene nazionale, per essere veramente tale, non può non coordinarsi a i fini universali e pieni dell'incivilimento, che si confondono coi fini della chiesa. Ciò suppone l'intrinseca superiorità della chiesa sullo stato, pur essendo società d i ordine diverso, e i l diritto della chiesa di far convergere le forze sociali a l fine etico-religioso; questa superiorità, negata nel dominante panteismo dello stato hegeliano, oggi si va affermando nella


efficace ripresa di tutte le questioni della civiltà da parte della chiesa, nel movimento neo-guello dei cattolici, nella nuova maturazione dell'indipendenza civile del pontefice; e si svolgerà completa nella futura società.

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V. I1 perfezionamento, intanto, o il rinnovellamento della società i n tutti i suoi ordinamenti, dall'economico al civile e politico, è, e non può non essere, che un fatto eminentemente spirituale, che noi sintetizziamo nelle parole civiltà cristiana, contro la concezione materialistica o naturalistica della vita e della storia. Questo fatto spirituale riguarda la fede, la scienza, la morale, le quali oggi, come elevazione di animi, come bisogno psicologico e sociale delle nazioni, come ricollegamento di vera unità universale con tendenze progressive, si vanno orientando verso la vera fede cristiano-cattolica (nella crisi delle altre fedi cristiano-razionalistiche); verso la scienza filosofica cristiana perenne ed universale (nella bancarotta della scienza moderna); verso la morale sociale cattolica del diritto e del dovere e della responsabilità della coscienza (nella forza deficiente di una morale legale, evolutiva, autonoma). E questo movimento spirituale d i civiltà e di unità s'incentra nel papato, la cui infallibilità solennemente proclamata nello scorcio del secolo XIX, quando sembrava un movimento di stacco dalla società ivnheviitn - . - - - ~selle . tendenze del lihero pensiero moderno. ha dato aiia sfide di Pietro maggiore lurza suciale, i:elfgiuas e civile per la vera salvezza della ragione umana, sublimata dalla fede.

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VI. Ma perchè tutto questo rinnovellamento dell'umanità, di cui siamo appena ai primi inizi, si avvii e si compia, sono necessari i presidi, gli aiuti e le virtù religiÒse e civili; e il cattolicesimo che, attraverso i secoli, le inflessioni storiche, gli atteggiamenti e i fenomeni sociali, ha sempre dominato con la sua forza divina, attuando costante la sua missione d i civiltà cristiana e il suo programma di restaurazione, secondo le diverse esigenze dei popoli e delle nazioni, e secondo le evoluzioni storiche, i l cattolicesimo anche oggi interviene con la sua forza divina a compiere la sua missione nell'attuale disquilibrio sociale.


Fra il dilagare dell'incredulità nel secolo XIX, con u n processo di epurazione delle dottrine religiose (tradizionalismo, giansenismo, gallicanesimo, cattolicesimo critico, cattolicesimo liberale, conciliatorismo, americanismo), la chiesa ha acquistato tale unità d i fede tra i cattolici, adesione completa alla Santa Sede, professione schietta e generosa del dogma, che mai tale si è vista nei secoli passati. E per rimbalzo nel campo scientifico, sotto il concetto del fides quaereris intellectum, dalle prime intuizioni dello Chateaubriand a i congressi scientifici e agli atenei superiori del Belgio, della Francia, della Svizzera, degli Stati Uniti, è stata dai cattolici ricostruita, secondo i progressi moderni della scienza, una vera enciclopedia del sapere. E non solo mercè la vera fede e la vera scienza si avvia l'incivilimento della società; occorre una più intiera e diffusa educazione d i virtù cristiane, di cui la chiesa cattolica è fonte. E noi assistiamo ad una notevole e vera riviviscenza di costumi interiori ed esteriori cristiani e civili, in contrapposizione allo spirito morale del secolo: e specialmente l'umiltà fiduciosa che la potenza divina della chiesa scioglierà la crisi attuale, contro l'orgoglio ribelle del pensiero umano, da Lutero elevato a sistema ; la pazienza nelle gravi persecuzioni religiose e civili contro i cattolici (dal Kulturkampf germanico alla legge sulle associazioni religiose in Francia); la carità multiforme a sollevare le umane miserie manifestata specialmente in u n numero stragrande d i associazioni religiose e in istituti di beneficenza. La viva unione della gerarchia della chiesa insegnante e reggente, l'unione del laicato cattolico al clero, l'azione sociale cattolica sono i tre grandi fatti moderni che contrassegnano i presidi e l e forze della nuova palingenesi cristiana nel mondo. Nell'azione sociale cattolica però e nell'ardore delle conquiste cristiane vi possono essere, come in ogni cosa che h a i l lato umano, traviamenti, eccessi, imprudenze; a correggere i quali e a impedire che si rinnovino i deplorati esempi d i Lammenais, Gioberti, Mivart, Daens, la religione ha avuto sempre l'antidoto, che deve entrare nella vita dei cattolici, la pietà, a promuovere la quale il pontefice Leone XIII con zelo paterno non ha cessato mai. E noi assistiamo oggi tra l'indifferentismo moderno. al ride-

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starsi vivo della pietà nelle nazioni, pietà esplicata nelle feste religiose e nei pellegrinaggi giubilari, nella devozione ai santuari insigni e miracolosi, quali Lourdes, Montmartre, Pompei, nelle pubbliche esplicazioni di fede, e nei privati ardori di pietà di tanti veri apostoli, dalla Provvidenza messi a capo delle rivendicazioni civili e religiose del tempo, quali Mallinckrodt, Windhtorst, Reichensperger; pietà vera che sintetizza la congiunzione dell'umano col divino, che è la storia dell'incivilimento e dell'elevazione dell'umanità. Questo è il pallido schema del nuovo libro dell'illustre professore, schema svolto con profondità di pensiero sistematico, vasta conoscenza storica, intuizione chiara del valore dei fatti umani. I1 libro è concepito dal punto di vista positivo della filosofia della storia, che è quello di ricostruzione e rinnovellamento sociale, a cui tendono le mire e gli sforzi della chiesa e dei cattolici. I n questa grande concezione il lato negativo, che è lo sfondo, l'eterna lotta del bene contro i l male, la città di Dio contro la città d i Satana, sembra che man mano si perdano e scompaiano al170cchio dello scienziato e dell'apostolo: perchè in questa attuale lotta, trasformandosi le forme negative, si arriverà alla nuova riforma cristiana della società. Dalle nuove Intte scaturiranno nuovi atteggiamenti di vita sociale e religiosa; aliora 1.11 prasalrit: pagaiieaimu iazion~!izta rizurrì? c e ~ =n e ricorda storico, le cui fatuità e grandezze passeranno alle future società come le fatuità e grandezze della civiltà ellenico-romana, mentre nuove ragioni e forme di lotta seguiranno ai sospirati trionfi. I I

(La Cultura Sociale, n. 9, 1901)

AZIONE PREVENTIVA - LIBERTÀ DI LAVORO E PARTITI SOVVERSIVI L'ordine del giorno accettato dal governo e votato all'unailimiti dal senato in proposito della mozione Arrivabene sugli


attuali conflitti e scioperi nell'industria e nell'agricoltura, è gravido di problemi e dà luogo a serie considerazioni sociali, politiche ed economiche. L'ordine del giorno è così concepito: I1 senato, convinto della necessità dell'azione preventiva per favorire la libertà di lavoro contro l'opera dei partiti sovversivi, passa all'ordine del giorno D. I n esso sono consacrati tre concetti: l'azione preventiva dello stato - la libertà individuale del lavoro - i partiti sovversivi; - tre concetti che involgono questioni di sistemi e che riguardano tanta parte della presente crisi sociale e del movimento di evoluzione o rivoluzione popolare. I1 liberalismo puro, che con le sile rigide formule individualistiche ha disorganizzata la società e ha voluto fare dello stato solamente ed esclusivamente il tutelatore dell'ordine pubblico e della libertà individuale, ha rammorbidito le sue linee e si è piegato alle chiose degli uomini politici. O meglio, non ha potuto reggere alla critica dei fatti, alle logiche conseguenze della storia e ai progressi dell'umanità. La disorganizzazione morale, politica ed economica della società va trascinando gli stati allo sfacelo, i cui fenomeni patologici sono la lotta di classe e i l panteismo di stato: l'una e l'altro avviano la società al collettivismo e alla rivoluzione. Credettero per poco i governi liberali ( e lo credono tuttora certi miopi conservatori) che lo stato con le repressioni violente avrebbe potuto arrestare i l movimento sovversivo delle masse; la teoria bismarchiana però non ebbe altro che serie smentite: In violenza governativa crea i martiri dell'idea e determina una più forte reazione delle energie e delle volontà, compresse con le violenze; le miserie non si sollevano coi cannoni, nè le idee si arrestano nel loro movimento progressivo con le baionette e le carceri. Ma oggi predomina un altro sistema; il liberalismo puro, non potendo dominare con la forza e la violenza a tutela dell'ordine pubblico e delle libertà individualistiche, si è piegato verso le esigenze sociali, chiamandosi liberalismo sociale di stato, sostenuto ~rincipalmentedai tedeschi Schonberg e Wagner, e nel congresso di Eisenach, dal 1872 in poi, generalizzato negli

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S ~ u s z o- Sintesi sociali.


indirizzi di governo. A questo liberalismo sociale di stato si sono ispi;ati i senatori di Palazzo Madama nel surriferito ordine del giorno. I1 concetto fondamentale del nuovo atteggiamento preso dal liberalismo di fronte ai problemi che agitano la società, è clie lo stato, mediante l'azione preventiva delle leggi e del governo, tuteli la libertà individuale nei rapporti economici. Si differisce- dal liberalismo puro in ciò, che questo non ammette l'intervento di stato e l'azione preventiva nella questione sociale, lasciando che gli individui, nello sviluppo e nel cozzo dei liberi interessi personali, tendano, per forza innata e specificantesi, al miglioramento della società; l'altro ammette l'intervento e l'azione preventiva dello stato, a l quale solo affida la soluzione della questione sociale, mediante più efficace tutela della libertà e attività individuale, al bene generale. Mantiene però come base e fondamento i l principio individua;listico della società, di cui riconosce solo i rapporti individuali nella morale, nel diritto, nella politica e nell'economia, assommando tutto in una'ragione sintetico-numerica e non mai specifica, i l panteismo di stato, a danno dei disorganizzati enti minori. Questi i caratteri e i limiti teorici, quantunque per inconseguenza logica, o per totale necessità, o per opportunismo politico, o per pressioni di partiti avanzati, nella pratica non sia ditficiie vedere travaiicati questi iimiri in senso più suda1e ed organico, pur reagendo, questi liberali sociali di stato, contro l'impeto del fiume che li trascina, sino a ritornare a spifferare nelle loro promesse, logiche o antilogiche, il vieto lasciar f a r e e lasciar passare. Ora ci è lecito domandare: è sufficiente, ha forza ed efficacia i l liberalismo sociale di stato a porre, anche solamente u n argine o tentare un deviamento delle tendenze popolari dell'epoca, affermantisi nella lotta di classe e preparanti una risoluzione sociale collegata con la rapida diffusione dei partiti sovversivi? Prima d i rispondere, analizziamo il voto del senato, che nella sua breve espressione riassume così bene il concetto del partito, da cui emana, e conosciamone il valore intrinseco. Primo canone sanzionato dal voto senatoriale è l'azione pre-


ventiva del governo. L'antica, antisociale, massima zanardelliana « reprimere, non prevenire » è caduta da un pezzo e da questo voto ha avuto l'ultimo colpo da chi rappresenta la parte più codinamente liberale. E i l concetto di azione preventiva che si afferma, è un concetto equo di politica sociologica, che prende tutta la sua forza dall'altro: intervento di stato nella questione sociale. Ma i l senato non ha detto che questa azione preventiva si debba svolgere i n ordine alla soluzione della questione sociale nella intrinseca essenza di questa, ma a favore della libertà d i lavoro e contro l'azione dei partiti sovversivi. Esso non riconosce, adunque, una ragione di giustizia, che si eleva a l disopra della semplice e pura libertà di lavoro e che deve informare l'azione dei partiti politici. Questo concetto è sfuggito agli onorevoli senatori, i quali, accademicamente, han parlato di condizioni infelici dei lavoratori, di obblighi contrattuali da osservarsi, di competenze giudiziarie, di pretese e di concessioni; ma quanto riguarda la giustizia sociale, base di un'equa partecipazione ai frutti del lavoro e naturale condizione nell'esercizio dei diritti alla vita e alla famiglia, non è penetrato in quell'aula. Si è parlato di libertà del lavoro, ma vi può essere una vera libertà del lavoro senza giustizia sociale? E può essere la libertà di lavoro un semplice fatto individuale? Ma non è questo che prima di ogni altra cosa ci preme sapere; dobbiamo vedere se e come esiste oggi questa libertà di lavoro, che deve subire la tutela dell'azione preventiva del governo. Data l'attuale disgregazione sociale ed economica nel regime della massima e sfrenata libertà di lavoro, questa libertà non esiste che di solo nome, anzi neppure di nome, se non nel vocabolario liberalesco. Gli operai disgregati non sono, non possono essere liberi; essi devono cedere alla forza della concorrenza della mano d'opera, alla forza del capitale, che impone le sue condizioni spesso angariche, i suoi patti colonici, generalmente leonini. Si può dire libero il lavoro, quando l'operaio si trova stretto


dal crudele dilemma: « o queste condizioni di lavoro, quali esse siano, o la disoccupazione » ? Ma l'operaio si riunisce in leghe di resistenza e promuove scioperi e impone condizioni che i capitalisti reputano gravose. È la reazione, è l'imposizione della forza che può arrivare a costringere il capitalista a cedere, come questo costringe a cedere l'operaio. È lotta o tirannia mutua, non libertà: tirannia e lotta in cui prevale i l dominio della forza; sin'oggi quella dei padroni sugli operai, perchè i padroni sono statali e sono ancora oggi la forza; sinchè non diverranno la forza gli operai, e pare che ci si avvicini. È evidente che i1 regime del lavoro non può essere - come lo considera i l liberalismo, anche quello che si chiama sociale di stato - un fatto individuale e disorganico, ma dev'essere u n fatto sociale o organico, basato sopra i l fondamento di giustizia e in una ragione collettiva di tutela e rappresentanza d i diritti e di interessi, aEnchè non prevalga la forza nè dei padroni nè degli operai. Ma come i l senato non si è occupato d i giustizia, fondamento delle' relazioni dei padroni con gli operai, ma solo di obblighi contrattuali e di ragioni economiche, così non ha dato alla libertà di lavoro i l vero e razionale fondamento, cioè l'organismo -s n - c- i n l e della classe. Esso ha solamente voluto l'azione preventiva del gocerno, e i n ciò si nasconde anche u n altro errore del liberalismo. Senza gli organismi intermedi tra lo stato e l'individuo - organismi che hanno diritti, autonomie e funzioni proprie - si cade per necessità nello stato panteistico centralizzatore, impotente a sostituire l'azione degli altri enti. Sicchè, quest'azione preventiva puramente e semplicemente d i governo o d i stato panteistico, senza fondamento d i giustizia sociale, lasciando disorganica la libertà di lavoro che si muta in tirannia, si riduce per necessità logica o alla creazione di leggi vuote, aprioristiche, insufficienti, i l cui fatto legale non trovi riscontro nel fatto sociale - o ad una nuova imposizione d i governo - o ad una vuota formula opportunistica. Ma il senato non ha emesso u n voto per iniziare u n lavoro


è impossibile, quando le masse, sotto la loro fitta propaganda, divengono socialiste. Resta la questione giuridico-politica di quel contro i partiti sovversivi; se l'azione di questi partiti è dentro i limiti della legge (come ha affermato Giolitti), il governo non può esercitare una vera azione contro di loro, altrimenti sarebbe governo partigiano, antilegale, reazionario. Tutta la preoccupazione senatoriale è che le leghe di resistenza assumono colore e carattere politico. Pare strano che i senatori si preoccupino di ciò, quando necessariamente ogni fatto economico collettivo per affermarsi deve assumere u n aspetto politico, e quando una delle basi della politica è proprio l'economia. Economia e politica hanno dei nessi, delle ripercussioni naturali, delle combinazioni sintetiche; ed è opera vana i l volerne disgiungere e disgregare le relazioni e i rapporti. Non voglio io difendere l'azione dei socialisti, deleteria alle masse, alla nazione e alla società; io critico i principi sopra cui si fonda i l voto liberale del senato.

Riassumendo: l'azione preventiva dello stato panteistico centralizzatore nei rapporti economici, senza giustizia sociale - la libertà di lavoro senza vero organismo collettivo - questa azione contro i partiti sowcrsivi senza carattere giuridico, il concetto d i divisione della questione economica dalla politica nel movimento delle masse, è la sintesi del voto del senato, voto che chiamerò antisociale, illogico e impotente. L'errore più che degli uomini è del sistema, ma è errore, le cui conseguenze, non tarderà molto, le vedremo tutti. Conservatori e progressisti, liberisti puri o sociali, sono tutti individualisti e non concepiscono la società altrimenti. E la disorganizzazione sociale del lavoro, i l centralismo di stato, la mancanza di giustizia sociale, l'immoralità e irreligione che dilagano, i sistemi finanziari impossibili, la disonestà di governo, il monopolio politico devono per necessità generare il socialismo e l'anarchismo.


che tenda a risolvere la questione sociale; solo restringe questa azione preventiva a favore della libertà di lavoro contro i partiti sovversivi. A parte una considerazione di principio, che farò in seguito, quale può essere mai questa azione preventiva del governo? Gli operai si trovano di fronte al governo e ai socialisti; l'uno che preme con le tasse e col sistema politico finanziario, che non ha mai sul serio curato le loro condizioni, che ha precedenti di reazione conservatrice, che nel difendere la proprietà e le istituzioni, difende i sistemi presenti capitalistici e la classe capitalista, che è formato da persone che non si sono mai interessate degli operai, anzi che hanno concorso all'oppressione con tutto il sistema liberale di sfrenata libertà; gli altri invece appaiono agli occhi del popolo i salvatori e redentori, coloro che ne curano gli interessi e ne intuiscono i diritti contro i padroni, coloro che impugnano tutta la loro azione a benessere (più o meno reale, apparente sempre) del popolo. Come sarà possibile che gli operai seguano il governo nella sua azione preventiva contro i socialisti? Anzi, come farà i l governo a esercitare quest'azione preventiva? - Istruendo o moralizzando le masse? - Quarant'anni e più d'istruzione o di morale laica e di stato, ci han condotti al socialismo, all'anarchia, alla demoralizzazione generale e alla delinquenza numerosissima e precoce. - Migliorando l'economia nazionale? - I1 bilancio dell'Italia liberale è tale da non ammettere neppure la possibilità degli omnibz~sfinanziari a scartamento ridotto. L'impotenza del voto senatoriale è evidente, e più evidente diviene, quando si considera quale dovrebbe essere l'effetto ultimo di questo voto. - O fare venir meno le leghe di resistenza, o impedire che siano prese in mano dai socialisti. Per far venire meno le leghe si dovrebbe creare un ente giuridico d i lavoro, come, per esempio, la classe; cosa esclusa dal liberalismo teorico e non accennata neppure di lontano dai senatori; o si dovrebbero chiudere le leghe, cosa esclusa da Giolitti perchè antilegale. Impedire poi che le leghe siano prese in mano dai socialisti,

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L'allarme senatoriale è il grido impotente del vecchio che cede alla forza vigorosa del giovane. E i veri liberali, scordandosi le teorie, alla pratica seguiranno l'opportunistica lotta (Pelloux) e gli opportunistici amori ( R u dini-Zanardelli) con i socialisti; sino ai connubi, opportunistici anch'essi, come i n Francia, in Austria, nel Belgio, prestando l'opera loro deleteria sino alle ultime conseguenze logiche: alla confusione dei partiti. Dopo il voto del senato, come prima, il partito liberale sociale di stato rimane impotente a risolvere la crisi attuale, e continueranno per u n pezzo ancora l'organizzazione d i leghe d i resistenza, gli scioperi, la propaganda socialista politica ed economica, la tirannia del lavoro sfrenatamente libero, dei contratti angarici e delle pretese ingiuste. Anche il liberalismo sociale di stato è una premessa logica d e l socialismo. (La Cultura Sociale,

n. 10.

1901)

L'ITALIA ALL'ALBA DEL SECOLO XX (*) I1 nuovo secolo si apre per l'Italia con orizzonti foschi o piuttosto con aurore piene di speranza? Abbiamo i n Italia scienziati ottimisti che veggono dappertutto progressi, e scienziati pessimisti che quasi disperano delle sorti della patria; - anime sconfortate, cui preme come un incubo la somma delle sventure nazionali, e anime speranzose nella naturale energia delle forze del popolo italiano; - uomini politici dai mezzucci quotidiani che tirano su coi denti la vita della nazione, e uomini politici fiduciosi dell'avvenire. che aspirano a più larghe attività sociali ed economiche. Tutti però, tranne i patriottardi alla quarantotto e i retori i n ritardo, concordano in un sol punto: « lo stato attuale d'Italia (*) Nrmi F . S., L'Italia all'alba del secolo X X , discorsi ai giovani d'halia. Casa editrice nazionale R o w e Viarengo, Roma-Torino, n. 35 della Biblioteca di scienze sociali e politiche.


sia moralmente che economicamente è sotto i l livello normale delle nazioni in progresso, e, se non si provvede seriamente, condurrà alla rovina della nazione D. C'è chi vuol trovare la causa di questo stato patologico nella decadenza di razza; altri studia i l solo lato economico e conchiude che la mancanza di ferro e carbone ci ha rovinati; gli storici semplicisti e i partiti di opposizione ne fanno risalire la responsabilità senz'altro ai governi che non han mai saputo fare e che non sanno fare; alcuni trovano la ragione nella decadenza dello spirito religioso, altri nell'economia liberista, altri nel fatalismo storico. Certo importa assai trovarne la vera o le vere cause, sia per avere elementi razionali con cui formare previsioni reali sull'avvenire dell'Italia, sia per assegnare i mezzi necessari a quei miglioramenti possibili e a quei rimedi, adatti alla natura del male e ricavati dalle più o meno latenti potenzialità ed energie della nazione. Però, proprio in tali ricerche i preconcetti di partito, le tesi scientifiche, l'unilateralità e l'apriorismo di sistema sogliono far sviare le menti e far cadere in un più o meno larvato soggettivismo ; sicchè riesce digcile arrivare ad una visione cliiara del problema, per sè assai complessa. Perciò è necessario uno studio oggettivo dei mali che ci travagliano, spoglio da qualsiasi tesi o schema logico; una critica positiva dei diversi fenomeni sociali, che possono essere indice dei diversi elementi di decomposizione o di organicità. di atonia O di potenziaiita; unianaiisi storica appassionata ed emancipata dai preconcetti partigiani o dalle declamazioni retoriche. Sopra questi elementi oggettivi potranno i filosofi, gli economisti, gli uomini politici, i finanzieri, i pedagogisti, i teologi, trovare le ragioni intime del nostro stato d'inferiorità, e proporre i mezzi onde avviare la patria a quei miglioramenti che sono possibili e reali, e a un avvenire meno triste. Questa tendenza all'esame oggettivo e alla critica spassionata delle nostre condizioni si è cominciata a manifestare qua e là, più per impulso e per fine di partito politico, che per solo studio coscienzioso dei fatti; e ne è venuta una letteratura incompleta, qualche volta apertamente partigiana, raramente


del tutto sincera; e, per la difficoltà di tali studi e per la poca preparazione mentale, molto limitata a delle monografie che comprendono pochi e isolati problemi. Francesco Saverio Nitti è uno dei rari che porta in tali studi una sufficiente preparazione e cerca spassionatamente l'oggettività dell'analisi critica delle nostre condizioni; quantunque sembri che non sappia prescindere dalla preoccupazione economica, che egli eleva a fattore primo di vita sociale, trascurando, quasi, gli altri elementi che concorrono a costituire la vitalità di una nazione, a determinarne i progressi, a elevarne lo spirito e a trasformarne l'ambiente. Non è il suo propriamente u n monismo economico (passi la parola, oggi se ne inventano tante), come presso a poco i socialisti puritani concepiscono i l materialismo storico; pure nella critica dei mali e nella ricostruzione avvenire non mostra di attribuire agli altri fattori di natura diversa, quali i politici, i religiosi, i sociali, quel valore che essi hanno. Egli, nel suo ultimo libro: L'Italia all'alba del secolo X X , si preoccupa solamente della condizione economica della nazione, anzi di uno dei problemi economici: « la produzione della ricchezza D. I1 concetto fondamentale dei suoi cinque discorsi si può ridurre a questo: « L'Italia produce poco perchè è un paese naturalmente povero e proporzionalmente numeroso; se arriva a produrre di più, ha trovato la sua via di resurrezione D. A questo -problema egli riannoda i problemi della ricchezza, della popolazione, della finanza, dell'azione dello stato, del dissidio e della sperequazione tra nord e sud, della super-prodiizione professionista, dell'emigrazione. Prescinde o esclude gli altri fattori sociali, restringendosi a esaminare il solo problema economico? Che l i escluda non si può dire, non si rileva dai cinque discorsi; è più facile che ne prescinda, a giudicare dall'opera sua più di economista che di sociologo. E sembra che sia il caso di domandare: ne può prescindere, un'economia che mira ad avviare ad un avvenire di resurrezione vera e stabile una nazione che si dibatte in una serie complessa di gravi crisi? Forse non è vero che tanti problemi economici


rimangono insoluti, e cozzano con gli ostacoli interposti da condizioni politiche e sociali disastrose? Non si fa qui dell'economia pura, ma si esaminano i problemi concreti, nella loro oggettività, nella sintesi dei fenomeni, per poter trovare la soluzione possibile che risponda alla realtà. e proprio in questo esame economico balza fuori la sociologia e la politica.

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Volendo esaminare il nuovo libro dell'illustre professore dell'università napoletana sotto il punto di vista di critica e di ricostruzione economica, astraendo da tutti gli altri fattori di vita nazionale, troviamo sin dalle prime pagine un grave e importante quesito sulle condizioni di fatto della nostra economia: a L'Italia è un paese naturalmente ricco o naturalmente povero? » Nonostante la nostra miseria ed inferiorità economica, i l sapere che nei nostri forzieri (la terra e le energie meccaniche) si nascondono possibili ricchezze da poter sfruttare; o, invece, il sapere che poche sono le nostre risorse e inferiori a quelle delle altre nazioni, influisce assai sullo spirito pubblico, sull'indirizzo del governo, sulla esplicazione delle attività economiche. L'A. risponde che noi siamo un popolo naturalmente povero e posto in condizioni inferiori alle nazioni progredite. Alla sua tesi egli porta prove ben chiare e ogge~tive,senza paura di quel patriottismo a freddo, che dagli incanti del bel cielo e del bel mare, dalle storie glnriose degli avi, dall'antica posizione storica vuole desumere la grandezza e la ricchezza della patria; concezione falsa dell'attuale stato d'Italia, che ha cagionato la finanza allegra dei nostri uomini di stato e una incoscienza dolorosa nello spirito pubblico. All'esame obiettivo di questo quesito se ne ricollega u n altro, l'esame della popolazione. Anche qui siamo di fronte a u n problema gravissimo. « L'aumento e la densità della nostra popolazione è causa d'inferiorità o di superiorità economica? » La questione è assai dibattuta fra maltusiani e antimaltusiani, emigrazionisti e antiemigrazionisti. Certo si è, che un popolo che cresce è un popolo che ha per sè l'avvenire. Ma se questo popolo è povero e le risorse della nazione non bastano a provvedere a tanti, il fattore di miglioramento si converte in fattore


di deterioramento, e la super-popolazione affretta il disastro di una nazione povera, quando mancano: lo l'aumento della produzione interna ; 2" la razionale distribuzione della ricchezza ; 3" la colonizzazione dell'estero. Da ciò sorge per l'Italia un complesso di problemi economici di non facile, ma di necessaria soluzione; il primo si è: come aumentare la produzione di una terra naturalmente povera? È intorno a questo quesito che gli economisti si dividono in due schiere, in quelli che stimano che l'avvenire della ricchezza italiana sia riposto nell'agricoltura e in quelli che credono che sia riposto nell'industria. Assai si è discusso, a proposito dell'ardente questione del dazio sul grano, se, per togliere questa imposta che tanto grava sui consumi della nazione, sia più conveniente ad aumentare i prodotti agricoli, la specializzazione delle diverse culture agrarie, o invece la intensificazione della cultura dei grani. I più credono che all'uno e all'altro ramo di agricoltura ostino le condizioni del mercato mondiale, la concorrenza estera, la mancanza di capitali e la non sufficiente preparazione. F. S. Nitti opina che l'avvenire dellYItaliasia nell'industria; la sostituzione dell'energia idro-elettrica al carbone e dell'alluminio al ferro, potrà elevare la condizione dell'industria italiana a tale potenzialità, da non temere la concorrenza dell'estero, a cui oggi è soggetta per gli elementi primi (carbone e ferro). Una tale questione per ora è esaminata più dagli scienziati che dagli uomini politici; i quali del resto si dimostrano insufficienti alle grandi concezioni economiche. Però sembra giunto il momento, maturato attraverso crisi rovinose, che gli uomini politici si debbano interessare del gravissimo problema. e provvedere urgentemente con larghezza di vedute all'avvenire economico della nazione. I1 grande passo risolutivo, a cui si è così poco preparati, sarebbe la nazionalizzazione della produzione dell'energia idroelettrica. I fiumi e i corsi d'acqua appartengono allo stato; esso solo può utilizzarli, sia per poter avere i capitali necessari, sia per poter fornire alle industrie l'energia al minimo prezzo possibile escludendo i monopoli e le speculazioni, sia per poter produrre grande quantità di energia, e impedirne così le notevoli

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dispersioni a danno dell'industria. Così potrebbe essere facilmente sostituito i l carbone, che costringe le industrie italiane ad un'inferiorità necessaria, e che del resto va esaurendosi; e nel medesimo tempo si renderebbero facili gli impianti d'industria manifatturiera anche nel sud Italia, per ora in massima parte agricola. Però per far ciò occorre migliorare la finanza dello stato, sgravare i cittadini dell'enorme, soffocante pressione tributaria, regolare la sperequazione ingiusta tra nord e sud, agevolare la trasformazione industriale, avviare il sentimento e l'istruzione pubblica verso le professioni produttive. La funzione dello stato e degli enti locali è principalissima, e benchè io non sia di quelli che tutto aspettano automaticamente dallo stato, pure date le attuali condizioni, la resurrezione economica dell'Italia non può non essere in gran parte opera dello stato. È qui che i l Nitti, il quale politicamente e finanziariamente non sa concepire uno stato diverso dal presente, pur censurando i l male fatto sin oggi, si contenta che (C lo stato italiano non faccia nuovi debiti e non metta nuove tasse n. Egli non crede a tutti gli omnibus finanziari ( e chi ci crede?), e perciò nel suo scetticismo finanziario di governo e nella sua preoccupazione politica, non sa concepire che un programma minimo troppo spicciativo. È questa una delle gravi lacune del suo libro, dove la riforma economica non è accoppiata alla riforma poiitica a h juris. Così, dopo avere esposto le gravi ingiustizie dello stato a danno del sud-Italia, non arriva a proporre i l vero rimedio di un programma di autonomie regionali amministrative e finanziarie veramente radicali. Nè gli s i affaccia il problema sociale della distribuzione della ricchezza, affinchè la produzione torni a vero e reale vantaggio della società. E, infine, non so se egli creda un vero risorgimento economico senza migliorare gli organismi amministrativi e politici della nazione. Ai problemi dell'aumento della intera produzione e distribuzione della ricchezza, si aggiunge quello 'della colonizzazione estera per mezzo dell'emigrazione, la quale non solo è valvola di sicurezza, ma, regolata bene e agevolata, è causa di ricchezza


e sviluppa la potenzialità nazionale. Non ostante il disinteresse, anzi, un tempo, l'ostilità del governo, l'emigrazione nell'America del sud ha dato molti buoni risultati, ed è riuscita a fondare delle vere e prospere colonie italiane. Non bastano i regolamenti, è necessaria un'azione governativa interessata ed energica, una sufficiente preparazione da parte degli emigranti, un'assistenza oculata e assidua. Affinchè si possa arrivare a questo che sembra un lontano ideale, non si devono trascurare le condizioni psicologiche e ambientali dell'Italia, così poco sufficienti a delle gravi trasformazioni economiche e politiche. L'A. si preoccupa principalmente dell'istruzione ed educazione della gioventù italiana, e con ragione. A parte la questione dell'analfabetismo, l'istruzione classica, tecnica e universitaria d'Italia è causa di una super-produzione di professionisti parassiti e improduttivi, di una catena di spostati (gli elementi torbidi di ogni partito), di una civocasserie superficiale, spesso disonesta, che predomina negli affari pubblici, nell'amministrazione e nella politica. Mancano le scuole che formino veri industriali e commercianti, che educhino allo spirito d'intraprendenza; e sventuratamente tutto il bagaglio classico, l'indirizzo della storia, l'eterna retorica dell'eroismo, servono a mantenerci lo spirito di nobili decaduti, che nella loro miseria pensano troppo alle ricchezze e alle grandezze degli avi, e quasi quasi si credono essi stessi grandi e ricchi nelle vuote, immense sale degli aviti palagi. I1 libro del Nitti, diretto ai giovani, nonostante le gravi lacune, fa bene, assai bene; perchè avvia a esaminare obiettivamente le condizioni dell'Italia, apre le menti giovanili a nuovi e veri orizzonti, di cui essi non ebbero la visione quando studiarono il Fedone o le Pandette; dà all'economia l'indirizzo di una sana, benchè incompleta, praticità, avvezza a considerare i bisogni della patria con meno retorica e con meno passione di parte. I1 secolo XX sarà propizio all'Italia quando avrà una generazione di giovani di forti studi, di sano ideale e, di energica volontà. ( L a Cultura Sociale, n. 20, 1901)


NEL MERIDIONALE Una vita che si desta nel campo delle idee e dei fatti, nell'attrito quotidiano delle pubbliche lotte, nello sfacelo di uomini e d i principi, che sino a ieri han tenuto il popolo in soggezione e servitù e i pubblici poteri in monopolio - agitando lotte infeconde di persone e d i privati interessi, impiantando la camorra e la m,afia sino in alto - nella lotta regionale contro metodi d i governo che sfrutta e consuma le potenzialità produttive, che viola le giuste autonomie, condanna a crisi economiche e ad u n analfabetismo fenomenale nella storia dei popoli civili; nelle aspirazioni vitali di u n proletariato agricolo depresso dai patti colonici, e u n artigianato scosso, rovinato, stritolato dalla più fiera concorrenza; - è una vita che si stacca dalle servili tradizioni del passato, che agita il pensiero e la coscienza dell'avvenire. Ma essa si appalesa concreta nell'ambito finanziario, politico, amministrativo, morale e sociale col fenomeno di una fioritura socialistico-sentimentale, che nelle sue facce prismatiche rompe i raggi e li riflette iridescenti sul popolo, che da inconscio diviene impulsivo, senza idee prima e dopo, ieri seguendo la bandiera' liberale, perchè i vivi suoi tre colori abbagliavano la vista, e oggi il cencio rosso, che anch'esso è u n mezzo buono per la suggestione e l'ipnotizzazione della folla. E gli uni e gli altri, liberali e socialisti, sfruttano le nuove tendenze di vita in un popolo che vive più di sentimenti che di idee, elevandosi a martiri o a liberatori, agitando i l pensiero unitario o i l sociale, fornendo al governo l'occasione delle belle parole, al popolo quella delle chiassose dimostrazioni, nella rifioritura di una retorica di comizi e di voti, che valgono come base elettorale, come ricostituzione di consorterie nuove sulle vecchie o di gruppi anarcoidi sulle antiche tendenze radicali, che morirono nell'inazione. La questione del nord e sud, complicata con quella delle crisi granaria, vinicola, agrumaria, con le costruzioni dell'acquedotto pugliese e delle linee ferroviarie (tra cui la direttissimu

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Roma-Napoli, fastosa elemosina al lusso dei decaduti aristocratici quali siamo) - con il prestito napoletano e le vergogne amministrative dei nostri comuni e delle nostre opere pie - nelle mani dei liberali sono divenute questioni piccine, limitate alle cricche elettorali e all'azione del governo, protettore, tutore, fautore di ogni benessere, di ogni miglioramento, nuovo Giove che per noi fa il sereno o ci manda le tempeste; - nelle mani dei socialisti sono divenute fermento della lotta di classe, solleticamento delle passioni popolari, mezzo di propaganda di un socialismo senza idee, declamatorio e tribunizio. Manca l'idea, attorno alla quale si uniscono le forze integre, non interessate in una vita pubblica fangosa, non pregiudicate da sistemi aprioristici, non coinvolte nelle spire del governo accentratore nè in quelle di un partito egoistico, che nella visione del difficile problema uniscono le ascensioni del proletariato con la funzione delle altre classi, la vitalità regionale, la sistemazione finanziaria e l'avviamento delle industrie e dei commerci; coefficienti tutti armonici e indissolubili della risurrezione di una regione che corre allo sfacelo. I1 risveglio delle popolazioni del meridionale si accentua, ma minaccia di cadere nel vuoto di u n empirismo rovinoso, o di essere assorbito dalle forze prevalenti del socialismo nelle forme più irrazionali, le forme anarcoidi, senza vitalità di pensiero, senza base di cultura, senza coscienza di concezioni nette e precise. L'autonomia e il decentramento nell'ambito politico, amministrativo, finanziario, l'armonia delle classi e la organizzazione del proletariato e l'artigianato, la libertà degli scambi e la costituzione della piccola proprietà terriera, la rappresentanza proporzionale e la legislazione operaia, abbattendo i l centralismo e il socialismo di stato, l'elevazione morale e religiosa delle classi, sono un complesso di idee attorno a cui si devono maturare e discutere tutti gli altri problemi di vita regionale, che faticosamente ci agitano, scendendo, con un corredo di convinzioni e propositi razionali, nell'agone combattuto oggi nel meridionale (proprio in quello) che costituisce l'elemento pratico della lotta, in cui si misurano idee e partiti, in cui si educano le nuove coscienze popolari, in cui si appoggiano l e aspirazioni vitali delle nostre città.

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I1 compito è del partito democratico cristiano: ma è esso ancora u n partito? Ha un tesoro attuoso d'idee proprie da sostenere e propagandare nella vita pubblica? Siamo entrati nella vita pubblica? Ci prepariamo ad essa? Quante domande dopo quattro anni di lavoro, di lotte, di sacrifici ! La Cultura Sociale, che oggi felicemente tocca il suo centesimo numero, può andare orgogliosa di aver destata una coscienza sopita ; ha trovato energie latenti anche nel meridionale ; amici del sud han contribuito in qualche modo alla sua vitalità e alla sua propaganda. Un nuovo orizzonte ha essa aperto a tante menti, che non potevano accettare nè le coreografie d i certe assemblee, nè i quadri di un esercito di carta, nè la coartazione della vita entro i limiti di una sagrestia, nè la parvenza d i u n entusiasmo, fuoco di paglia, tanto facile a noi del meridionale, riscaldati dal nostro sole, e agitati dalla nostra fantasia. Però una cultura di idee proficue nell'ordine sociale, amministrativo, finanziario, politico-nazionale, religioso, che determini un indirizzo concreto, rispondente a tutte le aspirazioni del nostro popolo e a l momento complesso della vita pubblica, che fermenti nelle opere e nelle agitazioni peculiari del nostro ambiente meridionale (tanto diverso dalle altre regioni italiane) via, bisogna esser sinceri, una tale cultura ancora ci manca. Siamo dei simpatizzanti nella maggior parte, ci muoviamo perchè il cuore si e aperto a questa vira, iniravisia aiiiiìveluo Ie coionne di un periodico, che h a agitato e che agita, attraverso a libri e ad opuscoli diffusi però solo fra una classe ancora ristretta di persone, senza penetrare nella coscienza delle masse, senza inondare il campo della scuola, senza entrare nell'ambito delle amministrazioni cittadine, nei problemi della finanza e della economia; nel vorticoso awicendarsi di desideri, aspirazioni, movimenti, comizi, proteste, voti, conferenze, di cui ferve la nostra vita pubblica. Eppure se ci conoscono è oggi, dopo quattro anni d i paziente lavorio d i pochi stretti attorno alla società di cultura, viventi dello stesso pensiero e dello stesso ideale. Napoli, Cosenza, Taranto, Bitonto, Palermo, Girgenti, Caltagirone, vanno divenendo centri di vitalità nuova, benchè piccola,


limitata, circoscritta spesso; perchè mancano gli uomini di idee e di cultura nostra e moderna, che vivifichino l'azione col pensiero, che comprendano tutta la funzione della vita pubblica e sociale del cittadino cattolico, del democratico cristiano, chiamato dalla provvidenza alla soluzione di un problema complesso, il cui fondo è religioso e morale, le cui varie fasi oscillano dall'affrettata rivoluzione alla lenta evoluzione. Una crisi salutare di pensiero si è andata maturando nella coscienza del popolo. quando, attraverso le attività della blica stampa, la società di cultura ha saputo stringere moralmente attorno a sè le menti incerte dei giovani, affaticate del grave compito che incombe nell'ora presente agitata da mille problemi; ha saputo aprire orizzonti di attività nuove e accompagnare gli inizi del nascente partito democratico cristiano; ha fissato, diciamo così, nel disorientamento pratico di parte nostra, un complesso di idee sintetiche e attuose che si vanno a pocp a poco realizzando nell'analisi della vita. I1 meridionale ha bisogno di idee agitatrici, di larga cultura, che comprendano nei problemi comuni e universali gli speciali e propri; che accompagnino pedagogicamente la nuova fase di vita politico-economica, che penetrino, insieme al sentimento, nella inerte coscienza del popolo. La Cultura Sociale ha un compito arduo verso di noi meridionali, al quale quattro anni di via ascensionale nella concezione della riforma cristiana, economica, politica, di fecondità teorica e pratica anche in mezzo a noi danno un certo morale mandato. Venga, nella serena visione del vero, nella calda aspirazione d i vita, La Cultura Socicile nel meridionale conosciuta, diffusa presso quelli che devono formare l'elemento del pensiero nuovo ; e accompagni lo svolgersi delle nostre iniziali forze nella difficile conquista della vita pubblica e sociale, della regione e della nazione. Caltagirone, 1 febbraio 1902.

(La Cultura Sociale, n. 4, 1902)

16 - S T U B-~ Sintesi sociali.


9.

UN PROBLEMA DI TATTICA Caro Pram, Questa volta sono più radicale di t e ; tu ammetti che nelle prossime elezioni amministrative i democratici cristiani, secondo le circostanze dei luoghi, con le debite riserve e cautele, possono unirsi con qualche partito non cattolico, e scendere uniti nella lotta, e, vincendo, nella vita amministrativa; io credo che questa tattica potrà, date le attuali condizioni, riuscire rovinosa in ogni caso. Credo opportuno manifestarti le mie idee, ~ e r c h èuna polemica fra di noi potrà sempre apportare luce alla questione, per me molto complessa. Io credo che un tal problema di tattica non debba essere studiato solamente dal punto di vista locale, caso per caso, vagliando le condizioni di fatto e le circostanze specifiche in cui si troveranno i democratici cristiani; ma anche e con maggiore ragione da u n punto di vista generale. Noi democratici cristiani non siamo u n partito puramente amministrativo, quali ce ne son tanti nei comuni del regno, la cui vitalità è circoscritta in quell'ambito determinato, con i fini . .. . di una plu v meuv oucaia auiiiiiiii~ilii~iCiù~, di Una UEZEZZ p:U , o rnerio democratica; a. non parlare dei partiti che sono vere consorterie di mutua assicurazione, e servono come valida piattaforma delle elezioni politiche. La concezione del nostro programma è così vasta, che l a vita amministrativa, nel senso stretto della parola, diviene ( p e r quanto importante) una parte limitata e circoscritta. Noi invece dobbiamo guardare la vita amministrativa, non solamente come il mezzo di dare ai nostri comuni una onesta amministrazione, ma in rapporto ai compiti generali e alle finalità speciali che incombono a noi come partito sociale in tutto l'ambito della vita pubblica. A noi è preclusa ( e giustamente) la vita parlamentare, quella vita che, nella sua complessa funzione e nell'influenza che

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esercita sull'ambiente, dà grande forza morale ad u n partito e determina in molta parte la coscienza delle masse. Questa proibizione, per quanto in sè giusta, necessaria ed emanata per ragioni di ordine altissimo, ci costituisce ( è una semplice constatazione di fatto) d i fronte agli altri partiti, in una inferiorità notevole e diminuisce la nostra influenza nella vita pubblica e nell'animo delle masse, che bisogna educare a l nostro programma e stringere a noi; perchè per tale proibizione ci viene a mancare una porzione efficace di vita pubblica, che in£luisce sulla psiche del popolo e determina u n cumulo d i rapporti e d'interessi e una maggiore propaganda di programma e d i idee. Se all'influenza che può avere u n partito per la posizione parlamentare si aggiunge i l carattere d i partito nuovo, riformatore, democratico, che accoglie in sè le aspirazioni del popolo e sente le vie della riscossa nazionale o sociale, allora le masse vengono quasi fatalmenie attratte nell'orbita d i quel partito e la coscienza popolare fermenta nuove aspirazioni di vita. I1 liberalismo nella fase nazionale ha avuto ieri, come ha oggi il socialismo nella fase sociale, tutte due l e condizioni; e nessuna meraviglia reca se il popolo ieri f u con i liberali (anche senza esser tale) e oggi con i socialisti ( p u r non accettando intieramente le teorie del sistema), e ciò almeno nella vita pubblica; la quale di rimbalzo influisce notevolmente sulla vita privata, come condizione ambientale efficacissima, come educazione di sentimento, come complesso di aspirazioni, come sviluppo d'interessi. Noi democratici cristiani nella vita pubblica necessariamenle dobbiamo assumere il carattere di partito (benchè tale parola non incontri il gusto di molti ... bizantini) ; e d i partito nella sua essenza popolare, nei suoi rapporti universali, e non circoscritto ad u n solo problema. Questo carattere ci mette a paro dei partiti nuovi, con u n elemento specifico e tutto nostro che determina una preponderanza notevole, l'elemento religioso. E se ci manca l'azione parlamentare, ci restano nella vita pubblica due elementi di prim'ordine, cioè l'organizzazione positiva del non expedit, che tocca i rapporti fra pontefice e popolo, e che è un primo stadio


di politica guelfo-italiana, e l'azione municipale e provinciale che racchiude in sè molti problemi d'interesse generale e determina una notevole influenza di partito sulla vita pubblica e sociale. Ora, condizione necessaria di vita per ogni partito è pigliare nette le posizioni d i lotta e mostrare il proprio carattere senza ambagi; questa mancanza di equivoci ci farà avere tosto amici e nemici, necessari gli uni e gli altri allo svolgimento del programma, all'incremento delle forze, all'attuazione dei propositi, alla conquista della vita pubblica. Intensificare le forze è un secondo criterio d i tattica, che deriva dal primo; l'equivoco politico snerva, fiacca, corrompe; la franchezza, si chiami anche intransigenza, elimina gli spiriti deboli e corrobora i coscienti; così le forze del partito s'intensificano. Perchè ciò avvenga sono necessarie le affermazioni pubbliche nelle principali ragioni specifiche di partito, che per noi sono i fatti religiosi, i l non expedit, i fatti sociali, la vita amministrativa. Ogni affermazione può avere un esito positivo o u n esito negativo nella finalità immediata; uno sciopero che non ha risultato, una lotta elettorale perduta o viceversa; dico nella finalità immediata, perchè se si lotta per un principio vero (è il nostro caso), i risultati mediati sono sempre positivi, non ostante ie osciiiazioni, anche iorti, deiia vita pupàiica; per&& solo così si formano le coscienze e l'elemerilo intellettivo e morale si corrobora. Da ciò io credo che scenda evidente il seguente postulato: cc Che è d'uopo dare tutto e intiero i l carattere specifico all'affermazione di u n principio, anche con la previsione che i risultati immediati possano essere negativi; anzichè, per ottenere un risultato affermativo, sminuire l'efficacia e il carattere dell'affermazione stessa D. Quel che precisamente deve interessare e preoccupare l'animo nostro è l'avvenire della democrazia cristiana come partito di vita pubblica, più che qualsiasi problema speciale e locale di una possibile soluzione immediata.


Entrando nell'argomento delle elezioni amministrative, esaminiamo quale sia la condizione degli altri partiti e la nostra; e quale potrà essere la posizione che si assumerebbe da noi, o unendoci con altri, o scendendo in campo da soli. Possiamo dividere l'Italia in due parti; quella dove esistono partiti d'idee e quella dove esistono partiti di persone; s'intende che si tratta di caratteri predominanti, non essendo quasi mai i partiti di idee scevri di personalismo, e quelli di persone addirittura senza qualche idea d'indole generale. Nella città dove sono di fronte i partiti d'idee per lo più troviamo i liberali (divisi in due o più campi, con denominazioni diverse: progressisti, moderati, giovani monarchici, democratici, ecc.) i popolari (radicali, socialisti, repubblicani, siano o no coalizzati); e i cattolici, divisi, se non di nome, almeno di fatto, e per criteri non di rado irriducibili, in consematori e democratici cristiani. Questi ultimi in generale sono pochi, agli inizi della loro vita e forse del tutto nuovi alle lotte amministrative. Tranne in pochi centri, dove si sono affermati in una delle precedenti campagne amministrative, o dove i cattolici (tipo generico) sono all'amministrazione da pochi anni, nel resto d'Italia le prossime elezioni generali segneranno per i nostri amici un primo passo, un primo tentativo, che per sè è il più difficile e gravido di conseguenze. buone o cattive, per l'avvenire della vita pubblica del partito. Una delle due ipotesi: o i nostri hanno già con le leghe di lavoro, con l'istituzione di opere economiche, con la propaganda, una posizione non indifferente nell'ambito del comune: e uomini coscienti, adatti a disimpegnare il mandato consigliare; - o invece sono scarsi di forze non solo numeriche, ma anche intellettive, nè la coscienza degli aderenti e dei simpatizzanti si trova sufficientemente formata. Nella prima ipotesi, io credo necessario che i nostri manifestino la propria individualità, distinta e non confusa con l'individualità di altri partiti. P u r avendo di mira prendere una posizione in consiglio, o di centro o di minoranza, - in casi addirittura eccezionali, e dove i precedenti lo consigliano, quel-


la di maggioranza - l'educazione del proprio corpo elettorale e i fini generali della nostra azione impongono i l dovere di un programma veramente democratico-cristiano e di uno stacco leale e netto da qualsiasi altro partito che non può con noi avere l e stesse idee e lo stesso programma. Del resto, è così difficile il caso che i nostri si uniscano con i socialisti, che ciò si esclude senza discussione. Restano i liberali non settari - perchè i liberali settari hanno in rapporto a noi l'enorme irriducibilità di propositi con i quali se è possibile un accordo nei limiti dell'onestà amministrativa e dell'elemento religioso, non è possibile una intesa sincera nel resto del nostro programma che tocca l'essenza della democrazia cristiana. Ammettere una decapitazione di programma è semplicemente una capitolazione prima della battaglia. Prescinderne è mettere a base degli inizi della nostra vita pubblica l'equivoco, rovinoso in ogni senso e per ogni ragione. Le masse che seguono i l nostro programma si crederebbero giustamente tradite o ingannate; un'onda di sfiducia ci farebbe perdere quella posizione di già acquistata. E non è questo solo lo svantaggio che da simile coalizione ne verrebbe. Non si può scompagnare dall'azione municipale una forte ripercussione sull'azione politica; ed è evidente che noi, dando forza ai libers!i serchè vincano nelle elezioni comunali e provinciali, contribuiamo indirettamente a sostenere u n partito politico che ne' suoi criteri fondamentali è antisociale, e nel fatto ha rovinato la nazione, ha combattuto la chiesa; u n partito che è destinato a rovinare, e che nella sua rovina tenderebbe a travolgere il nostro partito, anche alleandosi con i socialisti: gli esempi non sono lontani. - Si aggiunga che il popolo, sopra cui contiamo come elemento del divenire sociale e religioso o come primo elemento di vita pubblica, non potrebbe certo aver fiducia in noi, visto che col trionfo dei liberali, per causa nostra, lasciamo che continui un regime di vita pubblica poco o niente consono agli interessi, ai diritti e alle rivendicazioni popolari. E non basta: la coalizione di due partiti, uno più forte e


uno più debole, irriducibili nelle idee fondamentali e negli indirizzi pratici generali, riesce al sacrificio del più debole a l più forte. Conveniamo che il più debole è il nostro; - ebbene, se i partiti coalizzati saranno soccombenti, i nostri nomi, che non hanno i precedenti politici e l'influenza dei pezzi grossi della liberaleria, resteranno in fondo all'uma, con gli svantaggi d'una sconfitta e senza i reali vantaggi di un'affermazione; - se invece riusciranno ad avere la maggioranza, andando all'amministrazione i nostri dovranno accettare eredità per lo più rovinose, con colleghi niente affatto disposti a subire le nostre influenze - e così avranno tutti gli svantaggi del potere, specialmente per un partito giovane, e che non si è prima affermato nei banchi dell'opposizione, senza il vantaggio di una posizione predominante nei diversi rami di amministrazione e nel paese. E di ciò quarant'anni di vita municipale cattolica ci fanno fede; per lo più i nostri, senza volerlo, han servito di piedistallo a i liberali, che han saputo andar a baciare l'anello al vescovo o portare l'ombrello al Sacramento o intervenire in pompa nelle feste del santo patrono. Una difficoltà. - Non sarà peggio per il comune e per gli interessi generali della religione e della democrazia cristiana che vadano a l municipio o i liberali settari o i socialisti? Ecco: quanto al meglio o al peggio non si può dare una risposta assoluta; perchè, secondo i diversi punti di vista da cui si guarda, varia e si modifica il giudizio; certo che u n tal trionfo non può essere voluto da noi, ma se avverrà anche perchè noi non ci saremo uniti ad altro partito, non potrà cadere su di noi la responsabilità del male, ma su quegli elettori che hanno col loro suffragio fatta cadere la bilancia da quella parte. Del resto, per aver troppo ristretta visione del male e dei rimedi, molti sforzi generosi dei cattolici nell'ambito municipale sono andati a vuoto, e non ci hanno lasciato nessun terreno preparato, nessun ambiente formato ; e l'utilità del momento ha spesso rovinato l'avvenire. Io ho ferma convinzione che il potere che cade in persone che mancano del vero criterio dell'onestà e del bene, quando


vi è una ben nutrita opposizione nella vita pubblica, sfrutta e rovina. Del resto i partiti liberali settari sono già sfruttati; i socialisti, che hanno l'aura popolare, otterranno il loro quarto d'ora fatalmente e ineluttabilmente. È meglio che arrivino alla gran lotta dell'avvenire sfruttati dal potere; perduti nelle dolorose condizioni amministrative dei nostri comuni; impotenti a mantenere le troppo facili promesse; ridotti alla verità negativa delle loro fallacie; mentre si andrà affermando ed evolvendo i l nuovo partito dell'avvenire, fondato sulla verità e la giustizia, disposto a non dar tregua al nemico, ma a combatterlo in tutte le posizioni. Se il liberalismo avesse avuto in noi un avversario forte, unito, agguerrito, la decadenza sarebbe stata affrettata, e riella evoluzione avrebbe trionfato più presto la forma normale della società. Mi sono divulgato molto sulla prima ipotesi, perchè è più facile la tentazione d'una unione per arrivare al consiglio, là dove le nostre forze sono evolute per la vita pubblica. benchè non siano così numerose da essere sicure dell'esito in una lotta in cui scenderebbero da sole. La seconda ipotesi, cioè che i nostri siano pochi di numero, non interamente coscienti del programma, e non abbiano persone che possano bene rappresentare al consiglio l'idea democratica cristiana, credo che sia più generale. Stabilire una tattica netta e precisa in tali casi è assai difficile. Forse sarebbe meglio non scendere per ora in campo ma attendere che si maturi l'organizzazione con opere di propaganda, con istituzioni speciali, con un'azione prudente e progrediente nell'ambito sociale. Se è possibile, anche su una o poche persone, un'affermazione che non sia addirittura microscopica io la consiglierei, come una prima prova; anzi, come mezzo di propaganda, riesce spesso assai utile; a Caltagirone nel 1899, a Girgenti e a Sciacca nel 1891 tali tentativi sono riusciti. Se ciò non si crede opportuno, un altro mezzo di affermazione sarebbe lo scegliere una questione scottante d'indole locale, possibilmente sociale, e votare per coloro che accettano formalmente i criteri dei democratici cristiani, mantenendo però nette le distinzioni. Anche quando si stimerà più utile l'appartarsi, è conveniente


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che si faccia in una forma positiva e non mai negativa, come per esempio, l'astensione in massa, o una candidatura protesta. o un ordine del giorno vigoroso. Importante è l'affermazione del partito; tale affermazione dev'essere principio, anche tenue, di vitalità.

*** Passiamo poi a guardare quella parte d'Italia dove, più che il partito, può la consorteria a base di persone che tentano aver il potere per reggere sè e i propri deputati; - anche per tali cause con maggior ragione escludo qualsiasi proposta di unione e di coalizione. Per lo più questi partiti personali non sono onesti, non hanno programma, e loro fine precipuo è tenersi in alto per ragioni ed economiche, fin troppo economiche! -- Manca politiche alla loro azione elettorale e amministrativa qualsiasi idealità; per lo più il capo partito, il grosso barone, il deputato, sono l'insegna attorno a cui si agitano le più basse passioni pubbliche, e attorno a cui mestano i mafiosi, i camorristi, i girella, i tornacontisti. Ambiente corrotto, dove la compra e la vendita del voto è condizione indispensabile di vittoria; dove il favoritismo personale è cardine di vita amministrativa e sostegno delle maggioranze ; dove il confusionismo e la disonestà sono conseguenze della mancanza di carattere e di idee. E il popolo non ha nessuna coscienza della vita pubblica, dei doveri che impone, nessun criterio d'indole generale; - facile alla passione, arriva al delirio della vittoria o all'abbattimento della sconfitta, riguardate come finalità ultime di tutta l'azione, che deve riuscire benefica o malefica ai propri interessi personali. - Tale passione fa riguardare gli avversari come nemici. turba le amicizie e le famiglie, e crea nell'ambito del comiine la fazione, tante volte confusa o immedesimata con le tradizioni delle divisioni campanilistiche tra due chiese e il culto di due santi. In tale condizione l'unione nostra con uno dei due partiti forti e potenti che da gran tempo, come i guelfi e i ghibellini, dividono le città, riuscirebbe ad alienarci metà comune, che domani potrebbe divenire nostro, e a stabilire uno stacco profon-

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do, insanabile. A nulla varrebbe il programma sopra cui ci potremmo affermare; non si capisce un programma, nè entra nella coscienza popolare, se non quando un lungo lavorio d i fatti 10 impone. Altrimenti, anche per noi sarebbe fatale il confusionismo dei partiti locali, che ci trascinerebbe, anche senza volerlo, alla .rovina. E ciò a non parlare delle altre conseguenze d'indole generale e di carattere politico ed amministrativo sopra esposte. È chiaro che in ogni caso è meglio far da soli, e seguire la tattica sopraccennata, che si può riassumere così: a) bisogna scendere in campo nelle prossime elezioni amministrative, là dove la preparazione è sufficiente per un'afermazione di principio e di partito;

b) dove questa preparazione non è sufficiente, è meglio o l'astensione positiva, o un intervento indiretto; purchè si affermi sempre il carattere di partito distinto e staccato dagli altri; C ) in nessuna regione e per nessun caso (come criterio generale) è opportuno stringere leghe con i partiti avversi, liberali, popolari o personali di consorteria;

d ) è nccessario formulare programmi chiari, netti, specifici (sia d'indole generale che locale) e fare larga propaganda delle nostre idee ; e) tranne in casi specialissimi ed eccezionali, nei quali è doveroso tentare di avere la maggioranza, - obiettivo nostro aev essere quello u~ oiieuerc ~ i e icciii~iglila m i n o r ~ r a r ;o i! ce=lro ; f ) le liste devono essere formate di candidati coscienti del nostro programma, e che abbiano la sufficienza di sostenerlo nei consigli; e devono essere composte di elementi delle diverse classi sociali, dal proprietario a l lavoratore;

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g) dove non è possibile formare una lista, è meglio contentarsi anche d'un solo candidato interamente nostro e capace di sostenere il mandato consigliare. Torno a insistere che la preoccupazione maggiore dei nostri, nelle prossime elezioni amministrative, dev'essere quella dell'avvenire del partito democratico-cristiano nella vita pubblica; nè dobbiamo per considerazioni locali ritardare i passi al cammino dell'idea democratica cristiana.

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Caro Pram, forse m'ingannerò; ma tu potrai meglio d i me guardare il nostro passato, prossimo e remoto, e il nostro avvenire. T i sembrerò pessimista; io aborro dagli idilli. In questo momento, quando ancora una cultura soda anche riguardo a i problemi amministrativo-sociali non è generalizzata nel campo nostro; quando molto d i tradizionale e d i vecchio, diffuso nel nostro ambiente, ci lega ai liberali; quando (nonostante tutti gli sforzi) un soffio di reazione passa .sul nostro capo, una qiialsiasi oscillazione della nostra condotta potrebbe portare gravi conseguenze nell'avvenire. Credi che io esageri? tuo LUIGI STURZO CaItagirone, 10 maggio 1902. Se l'amico Sturzo non dichiarasse di aver scritto l'articolo per suscitare una polemira con me, io non mi sarei forse accorto, leggendo il suo, d'un dissenso sostanziale nelle idee: grandissima parte delle cose che Sturzo scrive nella lettera precedente io accetto e sottoscrivo a due mani. Ma qualche differenza e qualche cosa che io non accetto delle idee di Sturzo c'è, ed è appunto la parte che riguarda l'esclusione assoluta - benchè egli aggiunga come criterio generale - d'ogni accordo con uomini e partiti non cattolici. In fondo, nei miei due articoli, a una tattica di accordi si concedeva molto poco: i democratici cristiani non avrebbero dovuto prendervi parte che alla spicciolata e senza impegnare il programma, e solo i n quanto si supponeva che le altre graduazioni di cattolici - suggerente spesso l'autorità ecclesiastica - avrebbero accettato e concluso tali accordi. Le restrizioni che io mettevo erano poi tali e così gravi che realmente solo in pochissimi casi esse avrebbero potuto verificarsi, dando così luogo ai nostri di agire per conto proprio e con grande libertà di mosse, come essi arcennano a fare nei centri dove sono più numerosi e meglio organizzati. Come criterio generale di partito democratico cristiano le idee dello Sturzo sono giustissime, credo, e sono anche le mie; ma una parte dei suggerimenti pratici contenuti nei due articoli della Cultura non era rivolta ai democratici cristiani, organizzati più o meno in associazione di partito, ma a tutti quelli che, individui o aggruppati, per simpatie o affinità, avessero voluto tenerne conto; di fatto il primo di que' due articoli era rivolto a tutti i cattolici. Ora, democratici o simpatizzanti ve ne sono dappertutto; ed è certo che, salva l'integrità e la purezza del programma, essi possono con molti modi variamente influire sull'esito delle elezioni, favorendo gli uni o gli altri elementi; e ottenere, dentro certi limiti, con una condotta oculata e prudente, risultati notevolissimi. Non si trattava di condotta di partito, ma di evoluzione generale del-


l'ambiente: acquistar contatto con gli elettori, trattar le questioni municipali, prendere dalle elezioni e dai comizi occasione di far conoscere il proprio programma, facilitare l'accettazione di operai nelle liste anche concordate, procurare la eliininazione graduale dei vecchi elementi parassitari, ottenere assicurazioni e promesse per lo sviluppo deli'organizzazione democratica cristiana: tutti criteri di tattica spicciola che, anche fuori della condotta rigida e intransigente di partito, possono avere larghissima applirazione, e che hanno il vantaggio di rispondere allo stato dell'animo cattolico in questi ultimi tempi. Ma quale è l'indole dei problemi niunicipali più gravi e quale il loro rapporto eon le rivendicazioni generali del nostro programma cattolico sociale? E dobbiamo o possiamo noi seguire nei problemi municipali una linea di condotta unica, mettendoci fuori, in noine di un partito guelfo, dalla varia combinazione dei dati d i fatto e delle attività politiche locali? Grosse questioni che richiedono una risposta più larga e matura.

PBAM. (La Cultura Sociale, n. 10, 1902)

AZIONE MUNICIPALE Caro Murri, La proposta lanciata dalla tua Cultura Sociale, e che tante dispute, più o meno serene, ha sollevato nel nostro campo - è inutile che te lo dica - è d'una importanza non comune. Ricordo: nel 1900, durante il congresso cattolico nazionale, si tenne costa u o convegno d i tzltti i consiglieri cattolici che si trovavano per quell'occasione i n Roma. Furono discussi parecchi argomenti d'indole strettamente amministrativa e dovetti constatare come allora molti dei nostri fossero refrattari ai criteri moderni, non solo della funzione sociale del comune, ma dei problemi d'indole puramente amministrativa e finanziaria. I o allora i n una corrispondenza, scrivevo sulla Croce di Costantino d i Caltagirone: cc Si sono u discussi argomenti molto interessanti, quali l'autonomia comuN nale, la municipalizzazione dei servizi pubblici. l e camere u d i lavoro, le clausole sociali negli appalti, ecc. Forse si è u stati u n poco titubanti ad affrontare certi problemi non del u tutto m a t u r i ; molti ancora non si sono sciolti da formule antiche o dai pregiudizi o dai criteri della scuola conservatrice,


però u n gran passo si è fatto nell'accettare nuove vedute, nel comune e nello stabilire un'inchiesta t< sulle condizioni comunali e provinciali d'Italia N. I1 tono della corrispondenza era alquanto remissivo, e nella facile concezione dell'avvenire del nostro partito, sentivo ancora le influenze dell'idillio giovanile. Alla distanza di due anni, quantunque parecchi pregiudizi siano caduti e le idee nuove abbiano acquistato terreno, mi son sempre più convinto dell'irriducibilità delle due diverse tendenze del campo cattolico: la conservatrice e la progressiva, e anche: in certo modo, dell'opportunità della loro coesistenza, per quell'equilibrio d i forze e d'organismi e per que117attrito di idee e d i movimenti che determinano meglio la vita e l'attività, a patto, si intende, che nessuna delle due diverse tendenze voglia imporsi e togliere la libertà d'agire e di pensare all'altra, come sembra succeda i n Italia, dove i nostri non hanno abbandonato certe forme tradizionali d'autoritarismo, che, per sostenerlo, si cerca di confondere con l'autorità della chiesa. Onde ben a ragione, hai tu messo le mani avanti, dicendo che i l movimento municipale essendo di sua natura essenzialmente laicale e importando problemi amministrativi e finanziari, deve serbare, in una forma qualsiasi d'organizzazione, l'impronta laicale; anzi, aggiungo che essendo la vita amministrativa basata sull'elettorato, le forme organiche quali esse siano, non possono che rispecchiare ed essere emanazione dell'elettorato cattolico, se non vogliono snaturare il carattere del movimento e creare enti intermedi fittizi, che non solo non rispondono al carattere del movimento, ma possono costituire u n pericolo alle libere mosse e alle esplicazioni del nostro programma. Su ciò non credo che sarà facile esser tutti d'accordo, o per pregiudizi o per la paura di pericoli immaginari o per il potere. monopolio del A questa difficoltà d'organizzazione se ne aggiungono due altre che riguardano l'attività di questo nuovo organismo: la difficoltà di programma e la difficoltà di tattica. Di programma: non tutti i cattolici militanti accettano i criteri del programma municipale d.c., l'orientamento verso « determinare un'intesa

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forme più evolute di vita pubblica e la tendenza verso la possibile vitalità organico-politica dei comuni. Non potrà perciò essere questo il punto comune d'intesa e di lavoro; tranne che tu non voglia restringere la proposta al gruppo democratico cristiano. Di tattica: le ibride combinazioni con i moderati, come criterio di massima, non sono accettabili in nessun caso; tale criterio s'infrange contro sistemi e tradizioni di parte dei cattolici, che tenendo come ideale solo la difesa dei principi religiosi e dell'onestà delle amministrazioni comunali e provinciali, o almeno il concetto negativo di non far prevalere i partiti estremi, promuovono alleanze che tornano a danno dell'intiera vitalità elettorale dei cattolici. Un'altra difficoltà è la preoccupazione delle condizioni locali dei municipi, per cui, mancando o quasi nel campo cattolico la visione dei problemi d'indole generale in ordine alla pratica (tra le altre ragioni perchè giustamente oggi non ci è dato vivere la vita politicoparlamentare), riuscirà impossibile un movimento elettorale amministrativo non dico uni£orme (non lo vorrei), ma armonico in tutta la penisola. Date queste condizioni di fatto, dalle quali è impossibile prescindere, io credo che la tua proposta debba alquanto modificarsi nel senso di promuovere, là dov'è possibile, delle organizzazioni regionali elettorali, e specialmente di consiglieri cattalici, come emanazione dei diversi corpi elettorali, e d i creare u n centro nazionale di cultura d'indole amministrativo-poiitica, che mantenga l'affiatamento possibile tra gli elettori e tra i consiglieri, e all'uopo promuova dei convegni d'intesa. L'organizzazione regionale è più facile per l'ambito meno esteso, per la conoscenza più speciale delle condizioni locali e per il contatto più vivo £ra i consiglieri, cosa che varrà a smussare molti angoli e a far penetrare nell'animo di molti la forza delle nuove idee. Dall'altro lato il centro di cultura varrà a far convergere le forze intellettuali del nostro campo allo studio dei problemi d'indole amministrativo-politica e d'indole finanziaria per £ormare la vera coscienza dell'elettore, e principalmente dell'eletto. L'organizzazione nazionale verrà da sè, come tendenza dalla


periferia a l centro, come bisogno d'unificazione dal basso all'alto, e senza le tendenze autoritarie dei pochi sui molti. I n quanto ai problemi e alle difficoltà di programma e di tattica sopra cennate, io sono d'avviso d'affidarsi all'attività dei nostri senza apriorismo sistematico; in ogni regione non solo ci sapremo intendere, ma il necessario attrito sprigionerà u n po' di vita. Però, a patto di restare liberi nelle nostre mosse e senza vincolare la nostra azione. Destra e sinistra del campo cattolico si deve formare e si andrà formando, con quella libertà reciproca che ci consenta il largo dibattito delle idee e lo sviluppo dei programmi. Una cosa sola io temo: il preconcetto sistematico e l'ignoranza voluta di quel che è sanamente moderno. E purtroppo è questo quel che ci ritarda il cammino e che spesso ci rende o bizantini o sfiduciati. Credimi sempre tuo LUIGI STURZO Caliagirone, 15 agosto 1902.

Le osservazioni dell'amico Sturzo, che trae nuove applicazioni dal principio di intransigenza già sostenuto alla vigilia delle elezioni amministrative e dalla osservazione dei fatti che glielo hanno suggerito, riguardano anche esse il modo dell'attoazione pratica della proposta da noi avanzata. E lo Sturzo ci forza a tornare brevemente sul nostro scritto di due numeri addietro. R'oi dicemmo che la proposta associazione poteva essere aperta anche ai conservatori: non a tutti, ma a quelli che, accettando almeno un programma iniziale di riforme sociali, mostrassero di poter correre un tratto di strada insieme con noi. Quanti saranno? E ne rimarrà fuori un numero così notevole da formare una corrente opposta così che le due tendenze vengano a incardinarsi in una destra e in una sinistra? È difficile far previsioni: ma dato che il programma comune debba contenere i cardini principali della nuova politica sociale dei comuni, ed ammesso il presupposto che le forze vive e ~ i operose ù della nuova associazione vengano dai democratici cristiani, si potrebbe incominciare, intanto, a rimettere all'esperienza diretta la soluzione del quesito. L'aw. G. B. Valente, in un notevole studio, pubblicato nell'Osservatore cattolico, del quale non ho veduto che la prima parte, ricordava che la tessera della vera azione democratica, anche nei comuni, è la cura della organizzazione e rappresentanza di classe: ma noi stessi avevamo già indicato come questo fatto di lotta di elasse sia minore nell'ambito dei municipi che in quello dello stato, e come l'esistenza delle prime agglomerazioni operaie sia oramai, in molti luoghi, se non dappertutto, un fatto dal quale le classi elevate non possono


più prescindere: il che attenua i contrasti fra conservatori e democratici nelle lotte municipali. Giusta è anche l'altra osservazione dello Sturzo di costituire, quando fosse il caso di passare alla attuazione dell'idea, una specie di comitato centrale propulsore e lasciar poi libero campo, anche qui, ai raggruppamenti regionali: idea che era anche nei nostri propositi, ma che può essere in vari modi tradotta in atto. E per ora basta, perchè di questa e d'altre questioni affini riparleremo quando sarà il caso ( e non è oggi, purtroppo, per le presenti condizioni interne dell'azione cattolica) di passare alla attuazione pratica.

2a C.S. ( L a Cultura Sociale, n. 16, 1902)

GUARDANDO ALL'AVVENIRE Le lettere-programma del nuovo presidente generale dell'opera, conte Grosoli, e del presidente del secondo gruppo, conte Medolago Albani, hanno elevato l'ambiente del campo cattolico ad uno stato di calma e di serenità larga e sentita, e sono valse a ridestare intiera la fiducia dell'avvenire. Dopo circa venti giorni dalla pubblicazione dei due importantissimi documenti, letti dai più con l'impazienza e la certezza di trovarvi l'intiera concezione del nostro movimento, accolti dall'entusiasmo di tutti coloro che han consacrato le loro forze ailn santa causa della democrazia cristisna, io credo oppcrtiine tornarvi sopra a cogliere il valore del pensiero ivi espresso ed a renderlo studiato e pensato ai lettori perchè si volgarizzi, divenga popolare e passi nel convincimento di tutti; tanto più che parte della stampa cattolica si è limitata alla pubblicazione pura e semplice, senza commenti, e parte a notarne solo l'importanza e l'opportunità con ben poche osservazioni.

Le due circolari-programma riguardano l'opera dei cattolici sotto due punti di vista diversi, l'uno dal punto di vista civile, l'altro sociale, l'uno e l'altro poggiando sul fondamento unico del principio religioso, dell'organizzazione dell'opera, delle finalità naturali e soprannaturali dell'uomo, del dovere imprescin-


dibile dei cattolici di entrare u lavorare come tali nelle pubbliche attività moderne. I1 conte Grosoli parte dal concetto fondamentale del carattere dell'opera dei congressi, « che deve mirare. nella molteplicità degli oggetti sui quali deve svolgersi la sua azione, ad uno scopo unico e complessivo, allo scopo cioè di dare alla parte cattolica in Italia una coscienza collettiva sempre più salda e precisa, in modo che la nostra forza e la nostra valutazione nella vita civile divengano ogni giorno più sensibili e più rispettate D. Egli continua a notare come la vita civile di mezzo secolo. si è svolta in Italia in opposizione a l principio cattolico, e come a noi è stata ed è negata la cittadinanza fra i diversi partiti affermatisi nelle pubbliche attività; e come è nostro dovere conquistare il posto sociale d i combattimento e nella sua pienezza il diritto alla vita cittadina, rivendicando per noi i l vero sentimento d i patriottismo, la indipendenza d i partito ed il dovere della difesa dei diritti di libertà e indipendenza del ronzano pontefice, per ordine supremo del quale noi ci asteniamo dal partecipare alla vita parlamentare del paese. Chi conosce le gravi polemiche fra i cattolici sul carattere dell'opera dei congressi e sul concetto della sua entità di partito nell'attuale vita civile della nazione, non può disconoscere il valore di questa dichiarazione ufficiale, che toglie mille equivoci e malintesi, e che delinea preciso e netto i l carattere del partito cattolico organizzato dall'opera dei congressi, come partito cicile. nazionale, guelfo. La nostra costituzione politica, dopo l'unificazione italiana e dopo il trionfo delle libertà civili, sia per il monopolio massonico del partito liberale, sia per il dissidio fra lo stato e la chiesa e la spogliazione del sommo ~ontefice,aveva tolto alle forze cattoliche di pensiero e di vita la coesione ~ u b b l i c a ,attiva e vitale, e ridotto i cattolici a quantité négligeable ed a elemento disprezzabile e disprezzato. Per la defezione di molti, il ritiro di altri, il comodo adattamento dei più, la ricostituzione ad unum delle forze disperse è stata laboriosissima, equivoca tante volte, e basata spesso sopra un concetto religioso unilaterale e ristretto, nel senso di volere rifare un movimento interno nella

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- S r u ~ z o- Sintesi sociali.


vitalità civile e sociale, secondo le guise moderne. assumendo non di rado la posizione della resistenza passiva all'invasione liberale nella vita pubblica (come la celebre formula non eletti nè elettori » prima del 1870, la posizione ufficiale dell'opera del 1898) invece della resistenza attiva nell'assimilazione di forme ed energie per sè buone o indifferenti benchè sfruttate dai nemici del nome cristiano. L'entrata nel dibattito della vita moderna sotto il punto di vista popolare e sociale fu rumorosa, contrastata, combattuta perfino nel nome assunto per bandiera (democrazia cristiana), finchè la voce d i chi ha la suprema autorità regolò quel movimento qualche volta tumultuario e audace, e lo incanalò unendolo a l secondo gruppo dell'opera; la quale, modificata dallo svolgersi dei tempi e dalle esigenze di una maggiore maturità di coscienze e di forze, finalmente per mezzo del nuovo presidente dà bando agli equivoci di chi, confondendo la natura d i forze cattoliche di vita pubblica con una pura vitalità religiosa, non voleva riconoscere quel che dalla natura stessa dell'opera promanava, i l carattere di partito civile, diverso dagli altri perehè informa i suoi atti, le sue mire, le sue attività, la sua finalità nel principio religioso. Così quella che è stata elaborazione necessaria del tempo oggi è divenuto cardine di programma ed essenza d i natura, togliendo l'equivoco doloroso che divise in due per tanto tempo le forze cattoliche italiane. ii concetto poi d i patriottismo e di ~iaz;uiia:iti de! ~ i i i t i t ~ cattolico era insiio ed è siatu un carattere permanente dell'opera; però oggi ha acquistato maggior luce dal carattere d i partito civile ufficialmente proclamato, nel senso che la nostra vitalità pubblica come tale nella applicazione dei principi religiosi e nello svolgimento delle adeguate e giuste libertà civili s'impernia nello stesso bisogno e dovere di cittadini, d i contribuire a l miglioramento della patria e all'incremento dello spirito nazionale; perchè la vita cattolica non solo non isdegna, ma è coefficiente imprescindibile e fortissimo di bene della società, la quale mira per esigenza di natura ai suoi fini terreni coordinati con i fini ultraterreni dell'uomo. Insomma l'attività dei cattolici, pmtito civile, non si restringe al fatto religioso, ma porta i l pensiero cattolico allo svolgimento delle energie nazionali e


dello spirito patriottico, rifuggendo da qualsiasi programma che minacci gli ordini costituiti: perchè i principi che professiamo sono inconciliabili con propositi meno che leali ed ordinati 11 (lett. cit.). Infine ho detto guelfo, nel senso di papale, non solo come carattere religioso, ma come carattere specifico, nazionale dell'Italia che h a l'alta missione di essere centro del mondo cristiano e capo perciò del cristiano progresso, perchè ha quella sede prima ed infallibile della religione cattolica, solo dalla quale partono, come raggi dal centro, non le esplicazioni di vita soprannaturale, ma lo spirito informativo del movimento del pensiero e della civiltà nella lotta continua per il bene e per la verità. È perciò che lo spirito guelfo deve pervadere la vita pubblica italiana, il movimento sociale della democrazia, i l carattere della missione storico-nazionale dell'Italia, l'esplicazione della civiltà specifica dei popoli. Ciò non può essere propugnato che da u n partito il quale nella lotta contro il ghibellinismo cesareo, irreligioso, dei liberali e i l materialismo e l'internazionalismo dei socialisti, ha i l carattere civile, nazionale, guelfo che trae la sua forza dal consenso del popolo ed il suo spirito dall'influsso perenne del cristianesimo nella civiltà. Questi caratteri l'opera ha maturato nel corso di molti anni nelle diverse ed opposte tendenze di uomini che l'hanno diretta, che finalmente i l nuovo presidente proclama come uno scopo unico e complessivo della nostra organizzazione di partito.

Però tutto i l movimento civile, nazionale, guelfo oggi deve per necessità assumere una forma sociale democratica, come nelle grandi agitazioni del secolo passato doveva avere prevalente e necessaria la forma politica libertaria (nel senso buono e genuino della parola), e slanciarsi nel dibattito della vita moderna agitata e convulsa « per la ricostruzione degli istituti della società cristiana » (lett. Medolago Albani). I1 vecchio si sfascia attorno a noi e gli istituti sociali sono disorganizzati fin dalla radice (famiglia, classe, comune, stato); la forza nuova di ricostruzione che monta e s'avanza, la democrazia, si va inquinando di socialismo ateo, corruttore, disor-


ganico; le fasi d i questa vertiginosa corsa in avanti, senza una p i d a sicura, sotto l'impulso violento dei mali sociali, s'impongono alla nostra mente non come categorie astratte di formule logiche, ma come realtà pressanti dalle quali non shggiamo noi, no, ma minacciamo di essere assorbiti, se in noi manca la forza, la personalità, le idee, l'azione. Il nostro compito è delineato da una grande altissima idealità, l'idealità religiosa; ma l'oggetto da ricostruire è l a società* nei suoi organismi, e la vis di ricostruzione è la democrazia clie va divenendo l'audace conquistatrice delle nazioni civili. E giustamente il presidente del secondo gruppo dell'opera nel suo autorevole documento impernia l'azione sociale di ricostruzione dei cattolici nella organizzazione di classe per mezzo dell'unione professionale « cioè la costituzione giuridica dei lavoratori in forma autonoma dinanzi alle altre classi sociali ». Nella ricostruzione sociale noi dobbiamo pigliare le mosse dal lavoro, che viene elevato alla dignità d i un fattore, non solo d'indole economica nella produzione dei beni atti a soddisfare i bisogni umani, ma d'indole morale e sociale, che diviene elemento di vita pubblica e ragione di progresso, e acquista la dignità di elemento vitale del riorganamento della società. Onde il presidente del secondo gruppo, enumerando gli elementi costitutivi dell'« ordito dei provvedimenti diretti a rivendicare e sollevare le classi laboriose per l'attuazione sociale di iina cristiana democrazia P rapporta tutto ad unita neii'organizzazione professionale, che rende possibiie ed eficace « lu riformu del contratto di lavoro »; « diviene fattore di legislazione e d i politica sociale 1); è organo di legittima rivendicazione ed educazione della classe lavoratrice, la quale in quella (nella unione professionale) ricerca la coscienza ed i presidi per elevarsi ad esistenza autonoma sul fondamento del diritto proprio e del rispetto altrui n ; dà maggiore coesione e sviluppo agli istituti cooperativi e svolge ed attua organicamente l'educazione religiosa e morale del popolo. A questo concetto maestro i l conte Medolago riannoda tutte le altre opere d'indole religioso-sociale ed economico-sociale. come cappellani del lavoro, scuole popolari, case operaie, cooperative. fasci, leghe. società operaie, gli uffici del lavoro, gli arbi-


trati, i sindacati, ecc.; ed infine, affinchè le forze organate possano ridursi ad unità per maggiore loro coesione e per rivendicare dallo stato la personalità giuridica delle classi, esorta l e unioni professionali a riunirsi in forti federazioni regionali e nazionali. N È urgente (soggiunge l'illustre presidente) proclamare quale sia l'intento dei cattolici i n queste complesse provvidenze popolari. Essi non mirano soltanto a resistere all'onda invadente del socialismo corruttore e sfruttatore del popolo, ma altrettanto e p i ù a ricostituire e risollevare i l proletariato (prodotto sinistro del liberalismo individualista) alla dignità d i classe. Solo allora il pericolo generale sarà scongiurato, quando tutta la società avrà trovato i l proprio equilibrio nella ricomposizione autonoma di tutte le classi erette armonicamente sul piedistallo d i quella p i ù numerosa dei lavoratori ».I n questa ricostruzione sociale la chiesa interviene direttamente per la sua stessa missione divina, e cliiama le forze dei cattolici a l lavoro, ci ricorda i nostri doveri d i uomini e di cristiani e ci guida nella difficile azione schiettamente democratica e intieramente cattolica ». Sintetizzando: i due importantissimi documenti dei quali ho cercato di cogliere il pensiero animatore e vitale, nel loro intrinseco valore d i programma si compiono e si completano a vicenda nello stabilire la natura ed i caratteri della nostra azione ed organizzazione; m 1 loro valore storico, p u r essendo continuatori di tutte le sane tendenze manifestatesi nel seno dell'opera da un tempo in qua, tesoreggiano le aspirazioni dei giovani della democrazia cristiana (nel significato del breve di S.S. al congresso di Taranto) e ne affermano i concetti fondamentali attorno ai quali tanto si è battagliato; nel loro valore fisico-sociale non sono ormai la manifestazione di un pensiero, che, pur condiviso da molti, è sempre personale, ma di u n pensiero collettivo di vita sociale maturato in tanti anni d i formazione d i coscienze e di forze; nel loro valore pratico infine lanciano l'opera dei congressi (già un po' irrigidita) alla conquista dell'avvenire. E noi col 1902 chiudiamo un'era di formazione, di elaborazione e d i lotte in cui purtroppo, come in tutte le vicende umane, vi sono morti e feriti, martiri, disertori, perdite, conquiste... guardundo nl1'avi:enire. i La Culiurn

Socinle, n. 23. 1902)


12.

A PROPOSITO DI QUESTIONI GROSSE Caro Murri, Leggendo i l tuo articolo, Questioni grosse, del n. 126-127 della Cultura Sociale, forse molti rimarranno perplessi sulla portata teorica e pratica dei tuoi ragionamenti; almeno, in questa corsa per l e diverse regioni d'Italia, fatta proprio nel momento in cui il tuo articolo viene letto e discusso dai nostri, ho potuto constatare come la questione, posta un po' bruscamente, non presenta una soluzione, e la critica minaccia di riuscire un po' unilaterale. È chiaro che la tua vuol essere una critica alla mentalità generale dei cattolici ecclesiastici, che, abituati ad un'obiettività metafisica assoluta, per lo più trascurano, almeno in parte, l'elemento psico-ambientale, che nel concreto rappresenta la forza del relativo. A questa disposizione generale sul modo di guard a r le questioni più complesse, si aggiunge una illusione permanente che la maggioranza delle nazioni latine sia cattolica, e quindi rappresenti in rapporto alla chiesa le novantanove pecorelle che sono nell'ovile; illusione che si suole accrescere con una statistica immaginaria e tante volte ipocrita (*), e che nel f u t : ~yrztivv riesce dznr?ere perrht. determina degli orientamenti e degli indirizzi di iotta e di governo non rispondenti ai Lisogni e alle condizioni del momento, paralizza attività ed energie e perpetua tradizioni per lo meno insufficienti ai problemi che la vita pone e che la scienza morale deve risolvere. Però, a f i c h è la critica non rimanga negativa e non venga (*) Mentre scrivo leggo nell'llnità cattolica che nella lotta elettorale politica di Vicenza votarono il 52 per cento, quindi si astennero il 48 per cento, computando in quel 48 per cento i morti di dieci mesi (dal giugno scorso), gli assenti, gli ammalati, gli indifferenti, ecc. come se fossero astensionisti cattolici apostolici romani! !! (N.d.A.). Gli astensiouisti coscienti in Italia, tenuto conto della media degli abteiisionisti nelle altre nazioni, di quella degli elettori municipali anche presso di noi, e di altri elementi di fatto, non possono ritenersi, in media, superiori al cinque per cento della massa totale degli elettori. (N.r.R.).


appresa come un angoloso modo di osservazione incompleta

- mentre altri potrà anche trarne motivo a sperare, perchè si abbiano i giornali e i libri ben fatti da sostituire i giornali e i libri perniciosi alle coscienze cattoliche, o meglio ambienti cristiani (cosa di là da venire, ma sulla quale non è bene disperare) - è opportuno guardare tutto e intiero il problema, elevandolo alla sua più ampia portata, e invitare i cattolici di buona volontà a una discussione sopra un argomento di primaria importanza di ordine morale e di vitalità cristiana.

Noi, caro amico, ci troviamo in una condizione di cose molto difficile, e subiamo, senza resistenza che valga, la pressione dell'ambiente di tutta la vita e il pensiero moderno; vita e pensiero, che nella massima parte esulano dalla vitalità cristiana, anzi normalmente assumono una posizione antagonistica. I1 fatto giornalistico e librario, del quale ti occupi nelle questioni grosse, è uno dei tanti e molteplici lati, sotto i quali si presenta il problema religioso, dibattentesi, in ultima analisi, f r a la logica della Civiltà cattolica e la realtà della Cultura sociale. A me piace guardarne qualche altro lato prima di discutere sui criteri generali. Uno dei lati più complessi è, per esempio, la questione scolastica nel regime del monopolio dello stato laico antireligioso. I moralisti insegnano che quando vi è pericolo prossimo per la fede ed i costumi, il cristiano è obbligato a scegliere una delle due vie: o rendere il pericolo da prossimo remoto, o fuggire il pericolo stesso anche con gravi iatture di ordine inferiore a l danno della coscienza. Orbene, le nostre scuole, dalle elementari alle universitarie, nella maggior parte sono tali da far perdere la fede ai nostri giovani e da rovinarne i costumi: ogni qualsiasi dimostrazione riuscirebbe superflua, e la statistica in tutti gli esponenti conferma la sempre crescente corruzione morale anticristiana delle classi studiose. Ora, nella pratica è così difficile rendere i l pericolo da prossimo remoto, sia perchè i parenti, nella massima parte, non sono in grado d'influire sul pensiero scientifico e letterario dei figlioli e di dare u n corretti-


vo alle dottrine materialiste e all'ambiente scolastico generalmente antireligioso; sia perchè la maggioranza delle famiglie non può mantenere i figli nei collegi (che del resto non sempre sono all'altezza del compiio loro); sia perchè l'attività sacerdotale (così sciupata a dar retta a un mondo di beghine) è quasi nulla nell'ambito della gioventù studiosa che frequenta le scuole. governative, che riesce un'eccezione addirittura eccezionale quando si può avere, su cento, cinque giovani studiosi venuti su nella pratica della vita cristiana e nelle convinzioni della fede. Se questo è il fatto, e i l fatto quotidiano generale, che si perpetua da tanto tempo e che presenta, non una crisi in bene. ma un crescendo normale, è chiaro che socialmente e individualmente nella maggior parte dei casi i l pericolo della fede e dei costumi è, come dicono i moralisti, prossimo. Non resta ... che fuggir l'occasione, abbandonare le scuole, lasciare la carriera, tagliare l'avvenire ..., far di tutti gli studenti un esercito o di analfabeti o di frati. È questo l'obbligo morale dei genitori e degli stessi studenti? I1 sacerdote che consiglia, che predica; il confessore che analizza l'intimo delle coscienze per ravviarle, regolarle, ha i l dovere d i imporre ai cristiani l'abbandono delle scuole pubbliche per impedire tanto rovini0 d'anime, almeno sin che scuole cattoliche, clero influente nelle scuole, maestri cristiani, genitori sufficienti possano rendere il pericolo remoto? O iortie si crede ~iellapratica pii^ opportuoa la scappatoia di lasciar il fedele nella buona fede, pel timore che, appresa la verità, non sarà in grado per debolezza d'animo di seguire sino a l sacrificio la via del dovere? E coloro che conoscono, che intuiscono il pericolo, un pericolo che non è momentaneo, ma lungo, insensibile, fatto di milcosa debbono l e tenui pericoli, di incertezze, di oscillazioni, mai fare in coscienza? Insisto sul carattere vero del pericolo, della cui realtà ci fan fede tanti lunghi anni e un'esperienza ininterrotta; cioè che esso è in molti casi una sintesi di tante cause alle volte insensibili. tenui, di ambiente e di aria, d i contrasti leggeri, di negazioni. di privazioni, di reazioni. .. è i l lavorio della educazione che rende gli spiriti giovanili rilassati, dubbiosi, esposti ai colpi del-

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l'immoralità prima. dell'odio al papato in seguito. del materia: lismo ateo in molti licei e in tutte le universita. L'analisi dei primi pericoli elementari può far trovare al casista tante ragioni per persuadere che i l pericolo sia lontano ; ma il cumulo totalc lo deve costringere a credere che invece sia prossimo e peggiore spesso dei pericoli violenti, subitanei, contro i quali normalmente si ha piÚ forza di reagire.

Passiamo ad esaminare un altro ambiente e un altro pericolo: quello degli operai e delle operaie della grande industria e dell'emigrazione temporanea e permanente. Pochi, troppo pochi padroni pensano e curano che gli ambienti industriali conservino un carattere normalmente morale, e nel quale l'elemento religioso consacri il lavoro, regoli la vita d i migliaia d i operai, e ne elevi la condizione dello spirito, rendendo remoti i mille pericoli che dal17agglomeramento, dal contatto, dalla propaganda cattiva, dagli esempi perniciosi ne derivano. I n generale la condizione degli ambienti operai nelle loro grandi agglomerazioni è tristissima, sia dal lato morale, sia dal lato religioso. E oggi non desta meraviglia se la maggior parte degli operai delle grandi industrie, scomposta la vita familiare, trascinati dal disquilibrio economico dietro i miraggi socialisti, perdono la fede e rovinano nei costumi. Non intendo parlare dei casi singoli, ma dell'ambiente normale, che preme sulle condizioni dello spirito, che determina in lento progresso l'apostasia d i classi intiere dalla religione; ambiente viziato che non si può d i u n tratto render tale da poterlo dominare. Lo steeso, anzi peggio, si dica della condizione degli emigranti (accenno specialmente alla Svizzera), al contatto di popoli protestanti, dove appoggio e aiuto si trova in gran parte da associazioni socialiste o acattoliche; e la corruttela dei costumi insieme alle piÚ perniciose teorie e alla piÚ raffinata irreligione danno la tonalità dell'ambiente, sempre o quasi, o nella maggior parte dei casi, pieno d i pericoli. I n tale stato d i cose si può dal predicatore, dal confessore. dal moralista imporre agli operai e alle operaie, o alle rispet-


tive famiglie, di lasciare il lavoro, di non emigrare? Cosa che equivarrebbe a l morir di fame. Ed è sufficiente i l lavoro dei sacerdoti e delle famiglie stesse a impedire che l'irreligione e l'immoralità mietano tante vittime; specialmente fra i giovani e le giovinette, speranze vive della futura società cristiana? Dicasi lo stesso dell'ambiente della caserma, così viziato, così pernicioso a l formarsi dell'animo giovanile di chi, nel bollore delle passioni, lontano dalla vita familiare, costretto ad una disciplina forzata, si trova a contatto quotidiano, continuo, con tanti elementi corrotti e corrompitori, che dalla bestemmia e dal turpiloquio degli stanzoni passano alle indecenze della bettola e agli sfoghi del lupanare. Sotto lo stesso punto di vista si può guardare, non i diversi ambienti speciali, ma quello generale della vita civile e politica, dell'attività ed esplicazione dei partiti, del giornalismo, della scienza, delle lettere e delle arti, così pregni di naturalismo, così generalmente antireligiosi, anticristiani, sotto forma di liberalismo, di laicismo, di socialismo, che preme sulla mentalità generale e sull'animo della maggioranza in modo enorme. L'uscirne fuori, da questo ambiente, per non sentirne la pressione, non leggere più giornali o libri, non conoscere piB opere d'arte o d i scienza, non occuparsi più di affari politici o civili, i l viverne fuori, fuori del dibattito di tante questioni vive. che toccano la psicologia contemporanea, gli interessi deiie ciassi, i rapporti di famiglia, ii così impoaaibile, elle ai dovrebbe addirittura mutare i l carattere stesso delle cose, i bisogni dell'anima, la vita collettiva, gli interessi comuni. I n tutto ciò manca l'alito vivificatore della religione, l'elevazione dell'anima, il rapporto con Dio in forme collettive e nel concreto della vita comune, per cui si affoga e si soffoca nel materialismo crescente, opprimente, straziante. E a parte i l movimento cattolico, che, in mezzo a mille pettegolezzi, è ancora agli inizi e non ha acquistato cittadinanza, a parte gli sforzi limitati di pochi generosi, a parte l'educazione cristiana tradizionale d i alcune famiglie e di un numero d i donne devote (escludendo da questo novero le ... professioniste!), a parte i sussidi di educazione data alla gioventù, specialmente, per non dire unicamente, da religiosi; si può affermare che gli ambienti

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descritti, come tali, in quanto tali, non sentono per nulla o quasi l'influsso dell'azione religiosa e della vita cristiana.

Bisogna che il sole penetri in questo ambiente; l'opera lenta dei cattolici militanti e dei buoni sacerdoti varrà a qualche cosa. I1 moralista però non guarda un avvenire ancora così problematico; guarda il caso di coscienza, e noi ci siamo fermati sul caso di coscienza. Che metodo adotterà egli? i l metodo proibitivo? metterà le barriere di u n eomando spirituale perchè il male non si diffonda? perchè almeno nell'attuale diluvio si salvi Noè ... però senza l'arca? Chi volesse giocare sulle analogie potrebbe dire che le stufe servono per la coltivazione delle piante esotiche, che del resto vengono su mingherline, delicatucce, sformate, sensibili al vao meglio che coloro che sono di salute riar delle temperature; cagionevole devono aversi troppi riguardi per non ammalare. Ma sono analogie queste che hanno un valore molto relativo. 11 sistema, da parte della chiesa, di indicare il pericolo ai fedeli perchè non v'inciampino è stato sin dai primi tempi una pratica e un dovere della parte insegnante e reggente. E le prudenti disposizioni proibitive della chiesa hanno circondato l'attività umana dei cristiani, perchè meglio fosse indirizzata al bene e, irradiata di luce e di calore divino, moltiplicasse i frutti di vita. Però il sistema proibitivo non arriva a modificare l'ambiente, nè ha il carattere violento di sopprimere il bene per sopprimere il male. La sua efficacia è ristretta a coloro che volontariamente s'inchinano alla soggezione della legge, non a quanti mettendo in dubbio l'autorità ne rigettano il eomando. Del resto se a qualsiasi disposizione proibitiva non corrisponde uno stato sufficiente di preparazione psichica, un ambiente che non ponga quel che il comando nega, una efficace elaborazione positiva, essa fallisce e diviene mezzo di reazione, qualche volta anche violento. Dall'altra parte il sistema di assimilazione e trasformazione dell'ambiente. in una elaborazione più o meno lenta. è quello

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a cui la chiesa nel concreto della storia ha dato più importanza, e per il quale ha impiegato le sue forze di civiltà e i suoi presidi

divino-sociali. E per trasformare un ambiente fa d'uopo vivere. combattendo gli elementi distruttori, assimilando gli elementi di bene, nel contatto quotidiano di quanti ne sono gli elementi costitutivi. Secondo i diversi tempi e le diverse epoche e anche i diversi uomini e indirizzi, l'uno e l'altro sistema hanno avuto la prevalenza, e sopra un medesimo soggetto sono state applicate norme diverse. Un tempo lo studio (per fermarmi sull'argomento più dibattuto) del diritto romano fu dai papi proibito nelle università e in altra epoca fu in grande onore e lo è tuttora. L'assimilazione e trasformazione del diritto romano nel canonico è stata una delle opere lente sì, ma grandiose della chiesa. Così lo studio dei classici agli inizi della chiesa fu proibito come un pericolo permanente alla fede e ai costumi dei neofiti che vivevano ip mezzo al paganesimo, proibizione che corrispondeva allo stesso stato d'animo dei convertiti; ciò però non impedì che la filosofia platonica e neo-alessandrina prima, l'aristotelica dopo. non prestassero l'elemento trasformabile ai padri e alla scuola. la letteratura ecclesiastica latina non risentisse potentemente l'elemento di culto pagano del tempo. I n seguito, caduto il paganesimo, i classici non furono reputati un pericolo (tranne per quanto riguarda i costumi). e formano purtroppo un grande e)(.r;;er;:u. di c d ~ c a z i o n ee di c ~ l t ~ giovanile. rz Così, oggi chi trederebbe un pericolo per la nostra fede quanto scrissero gli eretici greci e i teologi bizantini? Forse ci farebbero sorridere. Negli ultimi tre secoli il sistema proibitivo ha potuto, sino a un certo punto, impedire dei mali; quel che ha recato danno è stato l'avervi avuto troppa fiducia, e anche il crederlo efficace contro quanto poteva essere trasformabile e assimilabile. L'incredulità, l'ateismo, la rivoluzione del secolo XVIII, dopo le tendenze proibitive del secolo XVII acuite dal giansenismo nella casistica e dal cesarismo nella politica e dai concordati nell'ambito ecclesiastico, dovettero sembrare conseguenze inaspettate, mentre erano reazione violenta di spiriti esulanti dalla verità. Da quell'epoca gli ambienti formati senza o in opposi-


zione all'elernento religioso e cristiano hanno avuto ed hanno un predominio indiscusso. Per cui l'applicazione del sistema proibitivo oggi riesce cosi difficile, per le stesse condizioni d'animo e d'ambiente, che occorre grande prudenza e cautela. Non che si debba venire a transazione col male o si debbano trascurare i pericoli delle anime; ma che non si generalizzi soverchio e si dia preponderanza a un sistema negativo poco rispondente al carattere e ai bisogni dello spirito moderno. È invece più necessario avere elementi positivi che sappiano trovarsi a contatto con tutto l'ambiente d'oggi così pagano, così materialista, cosi antireligioso e anticristiano, nel quale purtroppo si è costretti a vivere, e dominarlo e assimilarlo e trasformarlo, portando dovunque la nota cristiana, nota di combattività al male e alla irreligione. Apostoli e maestri trasformarono i l mondo pagano; essi vissero in ambienti così cattivi portanto in sè la forza della religione e la nuova vitalità spirituale. Se poi si riguardano le condizioni ambientali sotto i l punto di vista umano, come non si può imporre al soldato di fuggir dalla caserma, allo scolaro dalla scuola, all'operaio dal170fficina, così non si può a un commerciante proibire di leggere i giornali, le cui notizie possano influire sulle oscillazioni delle borse e dei mercati; a colui che è nella vita pubblica, amministrativa e politica, conoscere gli orientamenti dei diversi partiti; a chi segue il movimento scientifico o letterario quel che in quel campo quotidianamente si acquista e si produce. In tal caso una soppressione radicale (secondo l'interpretazione di alcuni), si riduce a un impossibile di fatto. Prevenire i danni, premunire gli animi contro gli errori, renderli forti contro i colpi di vento, quando è necessario (e capita tante volte) andare incontro a questo vento di errore, di mali, a questi miasmi che esalano da ogni posto, e superarli, è i l sistema che completa e rende efficace anche la ~ r u d e n t e~ r o i b i z i o n e . Del resto q e l che non fa il giornale, oggi lo fa tutto l'ambiente, che anche nel suo complesso esteriore tocca l'animo, impressione, educa, persuade inconsciamente. E se non si pensa a


un metodo di educazione robusto e forte, sono inutili le barriere che facilmente e anche violentemente si spezzano. Se poi si contempla il caso della maggior parte dei cattolici che sta lontana dalla chiesa, e che subisce tutta la potenzialità d'influenze avverse, allora forse è meglio tollerare che costoro possano in tanto male sentire l'influenza cristiana anche estranea alla chiesa stessa, mista a errori, ma che possa determinare sentimenti buoni e un intimo lavorio di ritorno verso la verità. Tutto ciò si riduce a condizioni soggettive particolari, per le quali leggi e regole generali non riescono nella pratica che a una guida larga, lontana, che influisce indirettamente, insensibilmente anche e senza l e violente scosse della reazione. La conclusione, caro amico, a questa mia non la si può trovare con tassativi criteri. È questione complessa quella che si agita. Da molti punti di vista hai ragione; ma chi fa torto alla logica della Civiltà cattolica? Credimi sempre tuo Lursr STURZO Pistoia, 25 maggio 1903.

Nell'articolo Questioni grosse noi ponevamo e indicavamo un problema: il contrasto fra canoni astratti di condotta tenuti fissi e la vita che si svolge e che cambia, fra norme di educazione rispondenti a un dato rapporto fra cattolici e non cattolici nella società e il rapporto stesso divenuto oggi sostanzialmente diverso. E certe questioni, se si puo socevarie e agitarle d'-m iiaau, è liurgo studiarle c<;~vc=ie=:ementee risolverle. I ~ ? t r n tsiamo ~ lieti che questa che ci occupa abbia fatto, nell'articolo dell'amico Sturzo, un passo innanzi. C'è una tattica di difesa e c'è u n a tattica di conquista: della prima conosciamo le deduzioni logiche, ma anche gli inconvenienti e le terribili difficoltà pratiche. Della seconda, de' criteri che essa suggerisce, de' rapporti fra le due e delle loro rispettive provincie sappiamo ancora poco, molto poco. Ed è desiderabile che gli studiosi diretti ma non imprigionati da formule astratte e non irretiti nei casi particolari v i portino il contributo delle loro ricerche. (N.d.D.). ( L a Culturrr Sociale, n. 11, 1903)


LEONE XIII E LA SUA POLITICA VERSO L'ITALIA Alla morte di Leone XIII, dopo venticinque anni di un pontificato assai diverso dal precedente, sembra che le condizioni politiche della Santa Sede e dell'ltalia, nei loro rapporti reciproci e nelle cause della lotta, siano immutate e si trovino al medesimo punto che alla morte di Pio IX. E, veramente, se guardiamo il fatto materiale come tale, nelle sue posizioni statiche, oggi come allora troviamo da una parte i diritti immutati della Santa Sede sul patrimonio di san Pietro,,la protesta del papa contro i l governo usurpatore e sacrilego e la dichiarazione formale di essere sub hostili potestate constftutus, e d i non accettare il fatto compiuto della presa di Roma, nè la legge delle guarentigie, con le quali si volle circondato dopo la breccia di Porta Pia il ministero religioso del papa; e infine i l non expedit, col quale s'impedisce ai cattolici la partecipazione alla vita politica della nazione; e d'altra parte oggi come allora troviamo a cardine della politica ecclesiastica italiana la legge delle guarentigie; come a base della ragione nazionale e unitaria il fatto e i l diritto italico di Roma capitale, alla cui esistenza, come tale, subordina anche ogni diritto e vitalità religiosa; e infine il carattere non mai tradito di stato laico di Gonte a qualsiasi potestà religiosa, quale suprema rivendicazione della civiltà moderna. Però queste posizioni, assolute come due termini irriducibili e contraddittori, nel fatto concreto della vita quotidiana dei popoli, nel profondo degli animi e nella evoluzione, per opera di uomini e di fatti, sotto l'influsso di 25 anni di un pontificato straordinario, hanno subito le modificazioni del relativo, si che nella loro forza concreta e dinamica appariscono e sono assai diverse da quelle che erano alla morte di Pio IX. Anche il papa futuro, quale esso sia, emetterà la sua protesta contro il governo italiano e la passerà a tutti i rappresentanti degli stati con cui la Santa Sede ha relazioni diplomatiche: anche il papa futuro si chiuderà in Vaticano riconoscendosi privato della sua apostolica libertà e sub hostili potestate consti-


tutus. Oggi però tale atto e tali dichiarazioni. bencliè abbiano lo stesso valore giuridico, non hanno lo stesso valore storico d i cli~elleche venticinque anni addietro emise e compì Leone XIII. Esaminiamo la storia : Ci fu u n periodo, i l primo del pontificato d i Leone XIII, tra il 1878 e il 1887, in cui si credette facile, si sperò, si sognò una conciliazione fra lo stato e la chiesa; e attorno vi si affaticarono uomini politici ed eminenti ecclesiastici. Ma i termini nei quali veniva posto i l problema non presentavano una qualsiasi soluzione possibile, tranne che un'abdicazione pura e semplice del pontefice a tutti i suoi diritti, senza che d i fatto avrebbe potuto dirsi libero e indipendente. E invero, da parte dei liberali e del governo italiano. non si poteva discutere su questi tre punti capitali: lo Roma è e deve essere la capitale dell'Italia u n a ; 2" L'Italia è e deve essere uno stato laico; 3" La questione romana è e deve essere riguardata coine una questione politica e strettamente nazionale. Dall'altra parte non vi era chi non avesse visto l'impossibilità che la Santa Sede cedesse sopra altri tre punti capitali: lo La questione romana è una questione religiosa e perciò anche internazionale : 2" La libertà del pontefice deve esser non solo u n fatto. ma u n diritto; e la legge delle guarentigie, come legge unilate,,in I U ' Y

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mercè dei parlamenti e dei giverni: . 3" Non possono coesistere armonicamente due autorità, che si escludono e si avversano nei loro caratteri costitutivi: religion e e laicismo. Posta la questione in tali termini, i veri termini giuridici e storici, svaniva la pretesa soluzione conciliativista dei lembi di terra, della città leonina, ecc., lasciando al papa due vie d a seguire: o la resistenza ad oltranza. aspettando dal precipitare degli eventi una soluzione catastrofica: o la lenta maturazione. in u n a resistenza quasi passiva, d i una vera evoluzione storica. che ponga i n altri termini relativi la gravissima questione. Leone XIII, difatti, rigettò la proposta conciliazione, che si sarebbe risolta in u n asservimento politico della religione con


pregiudizio e danno non di semplici diritti materiali di potere civile, di interessi e di corone terrene (come pensarono i conciliatoristi), ma di diritti o di benessere religioso di fronte a tutte le potenze e le nazioni; rigettò anche (in modo solenne in u n discorso pubblico) il concetto di una soluzione catastrofica con l'intervento straniero, come contrario al carattere della chiesa e alla civiltà dei tempi; e pensò invece percorrere i l cammino di una evoluzione storica maturante, come ai primi tempi della chiesa, tra le lotte e le persecuzioni, l'avvento delle libertà pubbliche nell'esercizio del ministero ecclesiastico. Però, oggi, nè la chiesa nè la società sono nelle stesse condizioni dei primi secoli dell'era volgare; e la lotta fra lo spirito pagano e lo spirito cristiano piglia d i necessità le guide dei tempi, accomodandosi allo svolgimento della vita dei popoli, a l grado di civiltà, al cozzo concreto di idee e di fatti, che assumono caratteri diversi secondo i diversi rapporti sociali e politici, le diverse concezioni filosofiche ed etiche, i l diverso organamento privato e pubblico. Così oggi la lotta fra stato e chiesa, eoche temperata dai rapporti diplomatici, o stretta dalle spire di antichi concordati, per necessità si svolge nel campo della vita pubblica, ove lo spirito dei popoli non è più passivo, ma determina attive correnti d i vita anche nell'ambito religioso. Se, per esempio, alcuno volesse spiegarsi l'avvicinamento della Germania al Vaticano, mai così sensibile e così deferente dalla riforma ad oggi, non può trascurare l'influenza popolare e politica del centro cattolico al Reichstag, che fa oscillare tutta la politica dell'impero tedesco. Nel cammino adunque di una vera evoluzione storica per l'Italia, non solo non si poteva prescindere dall'elemento cattolico popolare e costituzionale, ma questo diveniva coefficiente addirittura storicamente necessario, come forza nuova, civile. nazionale, cattolica, che entrasse a informare la vita pubblica, a riformare l'ambiente, così ostile alla religione e al pontificato romano, ambiente e vita pubblica voluti così ad arte dalla massoneria, dalla scuola laica, dal liberalismo governativo, dalla ragione e giustificazione stessa dei fatti compiuti. Leone XIII trovò i l non expedit come u n fatto imposto alla

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mentalità dei cattolici legittimisti, qual atto ostile ai regimi parlamentari prima del '70; e riconosciuto dall'autorità ecclesiastica come un espediente negativo nei rapporti fra la nuova Italia e la chiesa dopo il '70. I1 che aveva costituito u n confusionismo enorme sia dal punto d i vista religioso che da quello politico. Leone XIII avrebbe potuto far cadere da sè il non expedit, tendendo alla formazione di un vero partito cattolico militante in parlamento; oppure confermarlo come una proibizione di indole religiosa, assumente per sè una posizione d i carattere politico. Egli scelse la seconda via, non ostante i gravi inconvenienti che ne derivavano, e fu antiveggente: non expedit prohibitionem importat (30 giugno 1886) e noi stessi d i poi a viva voce ripetemmo che quanto il concorso dei cattolici alle elezioni amministrative è lodevole e più che mai da promuoversi, altrettanto è da evitare nelle politiche siccome non espediente per ragioni di ordine altissimo, non ultima delle quali sta nella condizione stessa di cose che si è fatta al pontefice, la quale non può certo rispondere alla piena libertà e indipendenza propria del suo apostolico ministero » (14 maggio 1895). È chiaro che la chiesa in lotta con lo stato per una delìe più vitali rivendicazioni: la libertà, mai avrebbe portato o u n partito cattolico conservatore legittimista quale poteva essere in quei primi anni del nuovo regime con pregiudizio dello svol-a---

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radicale; opi;Urc u n psr:iio conciliotoiista ( i l bel sogno che dal '78 corse fino a l 1887) con gravissimo danno dei diritti della libertà e indipendenza della Santa Sede. Bisognava far maturare lo spirito nuovo, e insieme far riconoscere dalla forza della storia che una conciliazione come s'intese allora era impossibile non per ambizione di sacerdoti, ma per propria natura, come pure disilludere la maggioranza dei cattolici dalla possibilità d i u n ritorno puro e semplice all'antico. Gli ambienti, le tendenze, i pregiudizi, le correnti di vita pubblica non si arrestano di u n colpo, sia anche i l colpo del genio; e dopo un'avulsione violenta, rinascono per ripigliare il loro corso. Così allora, quando il liberalismo era all'apogeo della forza in Italia, e il socialismo era confuso nelle tendenze


anarchiche iniziali, e la ragione politica riempiva lo spirito pubblico; quando si credeva il papato reso impotente, la religione umiliata e ridotta a fatto privato tollerato nella vita pubblica; una conciliazione o u n ritorno a l passato anche voluto e combinato dai gabinetti del Vaticano e del Quirinale, senza l'intervento, diciamo così, del popolo e della nazione avrebbe riaperto tempi più dolorosi di lotte e di asservimento di quelli creduti liberi, tra le imposizioni austriache o francesi e l e violenze della setta e della piazza, che corsero per i primi settant'anni del secolo XIX. Tale dichiarazione di Leone X1II riguardo al non expedit, come le proteste e i lamenti riguardo alla sua libertà, sembrarono ai liberali atti d i politica provocatrice; non considerando come vari atti di provocazione una serie dolorosa di fatti che incominciano dagli insulti alla salma di Pio IX (1881) e corsero al monumento di Giordano Bruno (1889), alla caccia ai pellegrini francesi (1891), al 25" anniversario della breccia d i Porta Pia (1895), alla missione di monsignor Macario (1896), allo scioglimento delle società cattoliche (1898), all'esclusione del papa dalla conferenza dellYAia (1900), al progetto di legge sul divorzio (1902). Leone XIII invece, vindice della sua libertà, in una politica a lunga scadenza, cercò, anche fra gli insulti e i dileggi, di far pesare il meno possibile sull'Italia il danno di u n dissidio profondo e insanabile, distinguendo fra la patria che sempre amò, e un partito che prosegue la lotta alla religione per l'assecuzione di un ideale laico e pagano. E il non expedit, considerato come dovere religioso e posizione ~ o l i t i c a ,in una concezione più elevata di quella di don Margotti prima e di Pio IX poi, se produsse il danno di allontanare dal governo della cosa pubblica un elemento di onestà, di religiosità, di ordine e di progresso quali sono i cattolici, impedì però un danno peggiore, la formazione cioè dei partiti legittimisti e clerico-liberali, e la conseguente débhcle politica dell'elemento clericale, come oggi in Francia, con relativo rincrudimento di un'anticlericalite acuta, senza i l correttivo dei grandi entusiasmi e la grande fede dell'anima francese. Elaborò invece, sino ad un certo punto però, un partito cattolico, che \

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Leone S I I 1 con cura paterna cercò di educare. formare. indirizzare a nuovi orizzonti, avviare all'avvenire. Chi ora legge i documenti di Leone XIII al riguardo, dalle encicliche speciali alle lettere ai cardinali, alle allocuzioni, ai brevi, ai congressi cattolici. alle disposizioni diverse, troverà da meravigliarsi sia dell'intuizione dei bisogni, sia dell'ampiezza delle vedute e degli insegnamenti, sia dell'insistenza e della costanza nel volere attuati i suoi ideali e i suoi desideri. Egli seguì attentamente lo svolgersi delle nostre forze cattoliche, e tre preoccupazioni ebbe: far assumere al partito cattolico il carattere sociale, per cui dalla Rerum Novarun arriva alla Graoes de communi e a l breve del congresso di Taranto; - ridurre tutte le forze cattoliche ad unità, cosa espressa prima in diversi brevi diretti dall'opera dei congressi e poscia voluta con la riforma de1170pera stessa e la nomina di Grosoli a presidente generale ; - escludere il carattere di associazione politica che potesse o partecipare o attentare al presente ordine di cose e all'attuale forma di governo. Colpa dei tempi, difficoltà di persone e di tendenze non resero agevole i l cammino all'idea del papa, che più v o l e dovette contentarsi del meno male o subire diverse pressioni, per non incontrare forti dannose resistenze anche in eminenti ecclesiastici. E la elaborazione è stata penosa, agitata, con crisi sfiducianti; e a chi ora guarda la cosa con occhio superficiale. sembrerà che venticiope aooi di lavoro siann valsi a poco: non comprendendo oggi, in tanto correre e agitarsi, evoluzione profonda abbia subito i l pensiero, l'anima e la vita cattolica in Italia. E se il non expedit ha formato pochi convinti astensionisti, colpa di cattolici e di cleri, forse ha già compiuto la sua missione storica, come seconda forma ~ o l i t i c a ,e determinerà nuove vie, nuove fasi per lo meno, nel cammino politico dei cattolici italiani, mentre il problema sociale ci assorbe e ci lancia nella lotta contro i l socialismo alla redenzione delle ~ l e b i ,e l'unità meccanica e non organica dell'opera dei congressi subirà la corrente nuova di una posizione già quasi maturata nella vita pubblica italiana. Così essendo stato impossibile stringere in via diretta i rap-


porti fra i l sommo pontefice e l'Italia nuova. mettendo sul tappeto verde della diplomazia criteri, condizioni, concessioni, Leone XIII h a indirettamente formato u n vivo legame fra l a chiesa e i l popolo, che è la forza dell'avvenire, creando l'elemento nuovo e vitale della salvezza della patria dall'odio dissolvente del socialismo. che nel suo spirito antireligioso comincia a percorrere quella parabola che con simili caratteri percorsr, dalla rivoluzione francese a oggi, il partito liberale, proclamando la dea Ragione e facendo l'apoteosi della intolleranza giacobina e degli errori del '93. Oggi, sulla tomba d i Leone XIII i l mondo s'inchina anche come a l grande uomo politico; solo i conciliatoristi alla De Cesare non comprendono nella loro mente piccina e nel preconcetto divenuto ideale l'impossibilità d i una conciliazione con i l liberalismo d i i e r i ; mentre i massoni della Patria nel loro ideale losco si arrovellano della unanimità degli omaggi del inondo liberale alla potenza del genio scomparso; e l'Avanti! lancia insulti sfogando l'odio antireligioso del suo partito. Ai cattolici, così scissi e divisi oggi, rimane la grave responsabilità d i seguire il cammino tracciato loro in venticinque anni così gloriosi. L'Italia ricorderà in Leone XIII uno dei suoi figli più grandi. 25 luglio 1903.

( L a Culruro Socinle, n . 15, 1903)

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I P A T T I AGRARI I N CALTAGIRONE (*)

Da molto tempo in Caltagirone e nei comuni limitrofi (come del resto i n quasi tutta l'isola dove il latifondo domina nell'economia agricola) il disagio degli industriosi e dei lavoratori della terra è aumentato i n modo sensibile; premendo più che altro. per necessità di cose e per, i l naturale rimbalzo dei disquilibri sociali, sul piccolo agricoltore, sia subaffittuario che mezzadro. i n modo da rovinare quella minima potenzialità eco-

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(*) Relazione che precede le proposte fatte dallo stesso Sturzo e, dopo lunghe discussioni, adottate da gahellotti ed agricoltori, per merito principalmente dell'infaticabile attività dello stesso Sturzo. a cui mandiamo. da queste colonne. un plauso cordiale. (3.d.D.).


nomica, che lo lia reso sempre elemento conservatore d i ordine verso la società. nello sviluppo di una modesta vita familiare, attaccata alla terra, da cui deve ricavare un compenso almeno proporzionato ai bisogni limitati di un'esistenza parca e laboriosa. Così va crescendo i l proletariato agricolo fluttuante, indebitato, insoddisfatto dell'oggi e incerto del domani; mentre la grande industria terriera e armentizia è divenuta impotente a superare le pressure fiscali e la concorrenza dei mercati, che non sempre hanno sfoghi sufiicienti, pur correndo la larga via del rincaro continuo e sproporzionato della terra, che poco rende perchè sfruttata, e che è sfruttata perchè rende poco. I1 problema è così complesso, che è vano tentare una soluzione isolata, empirica, sproporzionata alle molteplici esigenze, e peggio poi insufficiente a quei rapporti sociali, che creano tutto u n sistema di vita collettiva, basata sugli interessi reciproci in rapporto a i bisogni individuali e sociali. Però tale stato di cose, permanente e immutato, produce certe flogosi sociali e certe agitazioni collettive, che manifestano quanto dinamismo vi sia sotto - pur nel processo normale statico - e come sia urgente avviare il problema alla sua soluzione. Oggi la questione ha preso la figura di un conflitto determinato fra capitale e lavoro a proposito dei patti agrari specialmente della mezzadria; il cili reddito è poco proporzionato alle reciproche spese dei due fattori, che nel vertiginoso arringo ilello sfruttamento tentano assicurarsi quel maggiore guadagno, che la terra e i l capitale - sotto forma di bonifiche e di lavoro come vero impiego di capitale umano -, più non danno, per il loro scarso e i n s d c i e n t e concorso alle vere esigenze culturali produttive. Ciò rende più acuto l'attrito, che può arrivare perfino alla sopraffazione del più forte sul più debole, anche sotto la forma irresponsabile e incosciente della concorrenza sfrenata degli stessi suba5ttuari o mezzadri; per i quali, crescenti sempre d i numero, è insufficiente la terra, anche di larghe estensioni, il cui prodotto non copre le misere spese del consumo familiare. A ciò si aggiunge lo sgregamento e l'individualismo delle.


classi proletarie e industriose e delle classi agricole e lavoratrici, che mancando di una vera organizzazione, e nella diffidenza reciproca, per lo sforzo d i arrivare, si rovinano, rendendo solo un grosso servigio al proprietario assenteista, che non fornisce capitali all'agricoltura, che non dà il suo contributo a i miglioramenti culturali, mentre gli si accresce un reddito di una portata fittizia e superiore alla forza della rendita e alla potenzialità della terra, vincolata dal pesante credito ipotecario, che grava come cappa di piombo su tutta la proprietà fondiaria. Ho creduto opportuno, prima di venire alle pratiche conseguenze, premettere questa succinta e vera esposizione dei mali .che ci colpiscono, indipendentemente dalle condizioni morali tanto dell'industrioso e gabellotto, quanto del mezzadro o lavoratore della terra ; i quali, nella condizione generale che permette larga schiera di eccezioni, si trovano nello stato psicologico premente i n una latente e reciproca tendenza (del resto troppo umana ed egoistica) di avvantaggiarsi gli uni con la sopraffazione, gli altri anche col furto; per cui i lamenti d i tante ingiustizie e danni non sono vane parole, non avendo nè gli uni nè gli altri una costrizione organico-sociale o una inibizione morale (nello sfacelo di tutte le moralità), che possa, come fatto generale e non eccezionale, rendere equi e fraterni i rapporti di questi grandi fattori del benessere generale della società. I n questo stato di cose, è lodevole inizio di u n avvicinamento delle due classi, per interessi opposti naturalmente antagonistici, il poter trovare un trait-d'union, un contatto sincero, sopra un terreno di eguaglianza morale e di comune intento di miglioramenti e ra~pacificazione, fra proprietari e mezzadri, non più semplicemente come individui isolati, ma come forze collettive, unite d'un tratto in un vincolo morale di solidarietà, sia pure momentaneo e improvvisato; per discutere e convenire sull'argomento più consentaneo agli stessi interessi reciproci e all'efficacia dei loro rapporti collettivi e delle pratiche applicazioni. Sotto questo punto di vista la commissione scelta dai. proprietari e gabellotti - riuniti insieme, per invito del sottoprefetto cav. Cafari, - e le commissioni delle due società agricole interessate - la lega della resistenza e la sezione agricola cattolica con cooperativa di lavoro - incaricate d'ufficio, per trat-


tare sulla questione e per trovare alla attuale agitazione quella prudente, equa, soddisfacente soluzione che s'impone per necessità d i cose e per dovere sociale e cristiano; e per avviare a più determinati miglioramenti tutta la nostra industria terriera. così colpita dai gravami dello stato, dalla disorganizzazione del capitale e dagli insufficienti provvedimenti culturali; devono avere il plauso dei rispettivi interessati, della cittadinanza intiera e delle autorità civili, politiche ed ecclesiastiche ; perchè hanno moralmente tentata un'opera di pacificazione e di giustizia sociale, ed economicamente un'opera di giusto sollevamento delle condizioni materiali di ciascuna classe e degli interessi di tutti. Con queste idee, messe da bando le diffidenze reciproche,' così facili a nutrirsi da un conflitto d'interessi e di classe, si è discusso i l diflicile problema e si è tentata una prima, possibile soluzione, la quale non avrebbe che poco valore, se non fosse inizio di miglioramenti futuri sociali, morali ed economici delle due classi dei produttori agricoli (*). E a questo termine mediato e lontano giustamente si mira. quando si tende a una necessaria e prudente coalizione di produttori industriosi o gabellotti, i quali rifacendo la parabola ascensionale, mireranno a far diminuire i gravosi prezzi d i fitto di tanti latifondi, che assorbono, per una mera e nuda funzione di proprietari senza concorso del capitale circolante, tanta parte di produzione, da non rispondere a quella equa partecipazione a i Irutti àeiia terra, che è consentanea ai postuiati di una più sociale e cristiana economici. E dall'altro lato, ad attirare meglio il capitale alla terra è necessità provvedere ai lunghi fitti dai nove ai diciotto anni almeno; per cui vengano consentite, dal margine delle produzioni, quelle culture razionali, il cui grave costo e le cui lunghe aspettative verranno compensate dall'aumento della produzione stessa. Allora potranno essere meglio consentiti e rispettati i turni agrari e le concimazioni chimiche e quei lavori coscienziosi, che si esigono a che cessi lo sfruttamento della terra, povera e immiserita, e a che si possa meglio e più abbondantemente produrre. (*) Questo veniva scritto quando già si credeva che l'accordo fosse un fatto compiuto.


Questo avvenire s'impone; e solo potrà ottenersi quando sia limitata, da necessari sindacati terrieri degli industriosi ,e delle cooperative pei fitti collettivi, la sfrenata concorrenza; limiti che del resto saranno imposti dal fatto stesso delle coalizioni agricole, che col miglioramento dei patti agrari e con la diminuzione della concorrenza, costringeranno i grandi affittuari a battere un'altra strada diversa da quella sin oggi così allegramente e fidentemente battuta. Infine è giusto riconoscere come spesso la coltivazione data dal nostro mezzadro o inquilino o subaffittuario sia insufficiente, poco rispondente alla tecnica agraria, poco razionale, cosa che produce notevole danno a lui stesso e al gabellotto, perchè il prodotto per necessità e in via normale risponde alla qualità del lavoro. Onde nel richiedere i giusti miglioramenti dei patti colonici, è dovere anche osservare quelle norme culturali che rispondono alle esigenze della terra e a una diligenza e solerzia che coscienziosamente è proporzionata ai diritti del proprietario e gabellotto e agli interessi di entrambi. Resta ancora u n provvedimento d i indole sociale: lo stabilire cioè u n normale e organico contatto fra gabellotti e mezzadri; contatto di u n valore amichevole e giuridico, per eliminare le eccessive pretese d i ambe le parti, rendere sicure, senza la sopraffazione del più forte o i l tumulto giudiziario, i patti e le convenzioni stabilite e da stabilirsi, fare osservare le convenzioni culturali e dar avviamento sicuro all'agricoltura razionale. ( L a Cultura Sociale, n . 23, 1903)

I CATTOLICI NEI JIUNICIPI A proposito di politicu positiva, della quale ci occupiamo nel precedente articolo, crediamo utile dare qui nn brano di uno studio che l'amico nostro L. Sturzo fa sulla posizione e sull'ufficio dei cattolici nel suo municipio; le considerazioni che egli fa possono valere per molti altri municipii dell'isola e del continente. (N.d.D.).

I1 centro cattolico in questa prossima elezione mantiene il suo carattere proprio e specifico d i partito apolitico, che non


cerca una posizione nel comune per ottenere una posizione nel collegio; e non aspira a divenire il partito del potere. Questa sua posizione, sia voluta dai capi o dalla massa del partito cattolico, sia imposta dagli eventi, che non sono in potere degli uomini e che non subiscono le modificazioni della volontà, è quella con la quale oggi, dopo due anni di vita, il centro si ripresenta agli elettori. È dessa una vera piattaforma elettorale? Ecco: il problema che esaminiamo è doppio, cioè se la ragione costituzionale del centro sia davvero una piattaforma elettorale, rispondente a un qualsiasi modo di vedere del corpo elettorale; e se il centro abbia di fatto adempiuto alla funzione derivante dalla sua ragione costituzionale. E anzitutto che cosa è mai un partito di centro nella costituzione di un consesso rappresentativo? Bisogna partire da un concetto più fondamentale: non può sorgere uii terzo partito in un comune se esso non rappresenta in modo diretto una frazione degli elettori, i quali non dividono le idee avanzate nè delle maggioranze che dominano e quindi hanno con sè tutte le audacie del potere, nè delle minoranze che fanno l'opposizione, e quindi concepiscono la loro attività in forma prevalentemente negativa. Quella parte dell'elettorato cittadino che anela ad un'amministrazione equilibrata, e che non ne seconda le prepotenze, C ~ I P f a c i l m e n t e allignano iri chi comanda; e che volendo il bene del paese e la tutela dei comuni interessi, non parteggia per le minoranze decisamente opposte tante volte anche al bene, sol perchè procede dal partito avverso - spesso non ha modo di affermarsi e di farsi sentire e di portare nel pubblico dibattito degli affari collettivi, una parola superiore alle tendenze dei due partiti che si contendono e spesso si rimbalzano con vece alterna il potere. È naturale che i due partiti di maggioranza e di minoranza, che vivono più che di vita amministrativa, di vita politica, e che a questa subordinano quella, non possono nelle attività comunali che trovarsi di fronte e osteggiarsi e combattersi; e in questo stato è difficile che se ne avvantaggino sul serio i nostri comuni e gli interessi municipali, tranne che non si


arrivi o a neutralizzare le minoranze o a rovesciare le maggioranze. Tutto ciò produce il marasma nella vita amministrativa, e riduce le funzioni di essa a materia di lotta e di sfruttamenti; cosa che gli elettori indifferenti e non ascritti a partiti e che da questi non traggono utili e vantaggi non accolgono se non come fatalità incombente sui nostri comuni. I n tale stato d i cose, se per i complessi eventi sorge u n terzo partito, che si prefigge la funzione di moderazione, di equilibrio, di contatto fra la maggioranza e la minoranza ( a parte le considerazioni personali che entrano nella costituzione di tutti i partiti, nessuno escluso) la suddetta frazione ele~toralesi sente più avvicinata, più accostata alla vita pubblica, dalla quale si teneva i n disparte, perchè non sentiva di essere rappresentata intieramente nè dalla maggioranza, nè dalla minoranza. È il naturale avvento di partiti giovani, senza precedenti, che sfasciano, con la loro energia di penetrazione, antiche coalizioni, sinchè, per forza di cose o fatale divenire di eventi, possono arrivare ad assumere le posizioni tenute dagli altri partiti, per dare posto a nuove forze che si spingono e che salgono per loro intima virtù, rispondente a nuove tendenze dello stesso corpo elettorale o di parte di esso. Questa teoria, che chiamiamo dinamica, dei partiti, può sembrare una novità a tanti avvezzi a concepire il partito non come espressione di sentimenti collettivi, ma come agglomerazioni d'interessi, più o meno elevati, attorno a una o più persone. Quest'ultima concezione, che chiamerei meccanica, della vitalità dei partiti, può avere anch'esea una parte di realtà, e può essere in tanti casi, come l'esplicazione concreta delle coalizioni elettorali; però è sempre effimera e manchevole, e determina il disgusto e le oscillazioni violente della maggior parte degli elettori. Date queste idee, sorge naturale la conseguenza che i partiti di centro, là dove possono affermarsi e formarsi, devono per necessità rispondere alle esigenze del corpo elettorale che trova nella indifferenza fra i due partiti del potere. mezzo di esplicazione e di attività cittadina. Così si sviluppa la suo ragione costituzionale: il centro di


fronte agli elettori non può confondersi col partito del potere e darvi mano e dividere con esso le responsabilità amministrative, perchè in questo caso riuscirebbe difficilmente a non assimilarsi tutto il cumulo delle ragioni personali che necessariamente si assommano nell'attività del comando: i l quale, data la condizione dei nostri comuni, s'impernia nelle esigenze politiche del collegio; nè può t o court ~ ~ divenire un partito di opposizione e allearsi alla minoranza, perchè diverrebbe un potente ostacolo alla vita amministrativa del paese. Poichè, più o meno bene, il paese vuol essere e deve essere amministrato; e non è possibile che possa desiderare uno stato permanente di non amministrazione: sarebbe il massimo dei danni di un comune; transitoriamente la guerra, la lotta, può anche, con i suoi disastri, portare bene futuro; e per u n semplice bene futuro, si tollera, anzi si consiglia, la lotta e la guerra d i oggi; ma una lotta che non cessa e non fa vivere è peggio anche del vivere male. Queste son le ragioni per cui un terzo partito, se gli elettori lo creano e lo sostengono, sin che gli stessi elettori non lo rimbalzano al potere facendolo divenire maggioranza o al controllo e all'opposizione assimilandolo con la minoranza, non può non essere che partito di centro, cioè ora controllo, ora opposizione, ora collaborazione, creando così gli urti e i contatti di chi vive tutta la vita della società. Queste considerazioni legittime e rispoudenti alle piii alte ragioni del vivere civile hanno tanto peso e tanta forza che gli elettori e i cittadini onesti, coscienti e indifferenti, hanno accettato, appoggiato e reso possibile la creazione di un partito di centro, che i soli elettori cattolici allora non bastavano da sè a portare al consiglio specialmente in una lotta elettorale a base d i polpette. E bencliè a non pochi, o per ragione di partito, o per non sufficiente educazione amministrativa non è piaciuto il sistema di centro, che oggi ha fidentemente collaborato o con la sola maggioranza, come nell'affare del bilancio del 1904, o con la maggioranza e la minoranza insieme, come nell'affare dell'organico del dazio di consumo. o ha fatto da solo come pel riscatto delle pensioni, e tal'altra fiata si è messo all'opposizione, come


per l'affare degli storni; la gran parte del paese ha compreso che questa deve essere la linea di condotta di un partito indipendente dagli altri, che segue u n programma e una via tracciata dai propri elettori, in ordine agli interessi del comune. E questa è la forza dei partiti di centro, la loro ragione costituzionale, la loro vitalità se divenissero partito di maggioranza o d i minoranza - o accrescerebbero a dismisura la potenza del17una anche in tante questioni nelle quali è necessario per il bene del paese neutralizzare le facili tendenze di dominio: oppure renderebbero impossibile la vita amministrativa. Una forza indipendente e di equilibrio nei consigli può rendere veri servigi al paese, oltre che rispecchiare moralmente parte del17elettorato, ragione prima e forza ingenita del mandato e dell'esistenza di tale partito. (La

Cltltitrct

Sociale, n . 12, 19041

LA CRISI I N SICILIA Per lutto personale. L'amico Locascio, scrivendo sulla Cultura della « Crisi in Sicilia ha queste parole sul mio riguardo: ... I1 Cittadino d i Girgenti chiede che, giacchè a Palermo non si possono muovere, Luigi Sturzo, che continua ad avere intiera la fiducia del suo vescovo, si faccia promotore del convegno. Ma Luigi Sturzo sta poco bene in salute e non si muove 1). Non son uso pigliar la parola per fatto personale e lascio correre gli apprezzamenti di amici e d i avversari fin che posso. Certo le parole di Locascio lasciano sottintendere molte cose, che non posso accettare, perchè no1 consente nè la verità dei fatti, nè la mia lealtà nella vita pubblica. Rifaccio perciò u n po' la storia della « crisi in Sicilia 1) per la parte che mi riguarda. affinchè gli amici possano giudicare la mia condotta. Avvenuta la crisi dell'opera dei congressi, prima della lettera-circolare di Merry del Val, reputai necessario dimettermi da membro della sezione generale dell'opera dei congressi


« elezioni amministrative » e membro del comitato regionale. E spedii le dimissioni a Meda a Milano e ad Arezzo a Palermo pregandolo di presentare la mia insieme alla sua e a quella di Mangano; e sulla Croce d i Costantino credetti mio dovere, affermata la solidarietà con il conte Grosoli, scrivere una lettera agli amici d i Sicilia che con la data del 30 luglio pubblicai sulla Croce di Costantino sotto i l titolo Momenti trepidi e dolorosi )) ; nella quale rilevavo le ripercussioni della crisi i n Sicilia e la necessità dell'affermazione frmca del programma democratico cristiano; le stesse idee furono pubblicate sul Giornale di Sicilia del 26-27 luglio in una intervista che su per giù rispecchia molto bene il mio pensiero sin dai primi momenti della crisi.

Venuta alla luce la circolare del cardinale segretario d i stato, e poscia resosi più acuto il dissidio nel nostro campo per le intemperanze dei conservatori, anche in Sicilia, G. Traina mi dirigeva una lettera, pubblicata sulla Croce del 7 agosto, nella quale avanzava la proposta d i un'intesa fra d. c.; proposta che io accettai con un lungo articolo sul proposito in data 9 agosto e con la mia firma, dal titolo: Le nostre posizioni dopo gli ultimi avvenimenti N. Fatta la storia sintetica dell'opera dei congressi e l'analisi del documento del card. Merry del Val, ritenevo che l'azione religiosa ha assunto un carattere diocesano; che l'organizzazione economicii irriperuiaia riai acc"iido gixppo potrà s ~ U l r c n z c i u lotte e forse una staai, ma clie ad iigni modo & da appcggizrr ; che per tutto i l resto dell'attività nazionale dei cattolici occorre far da capo e bene; e infine, accennando alle condizioni speciali di Sicilia, accettavo l'idea di un'intesa. Tra l'altro scrivevo: « Tutto i l resto del movimento cattolico, nella sua attività intellettuale, sociale, giovanile, universitaria, amministrativa e legale, non può aver luogo più nell'opera dei comitati diocesani, nè nel secondo gruppo generale: deve crearsi. « Del movimento elettorale si ~ a r l ain altra parte del giornale; esso non fu mai esclusivamente nè integralmente deii'opera dei congressi: l'unione romana, i l circolo degli interessi cattolici di Napoli, la <r religione e patria s di Milano, ecc. non appartennero mai all'opera dei congressi, ed hanno una storia;


il movimento universitario è morto ; bisogna rifarlo ; l'organizzazione d. C. tende a ripigliare la sua autonomia, bisogna creare un nuovo organo per la difesa legale delle opere pie, bisogna riorganizzare la gioventù. Questi problemi, posti nettamente all'indomani del provvedimento pontificio, esigono senno, maturità, prudenza, visione esatta dell'avvenire in coloro che assumono la responsabilità delle iniziative, che non debbono sentire il contraccolpo d i nuove lotte e di nuovi dissensi, nè debbono contribuire alla creazione di organismi ibridi, che all'urto verranno meno, nè i quadri fittizi d'un esercito inesistente, che a l momento della guerra.. . si trova solamente nelle carte dello stato maggiore. « A guardare poi i n particolare la nostra isola, una condizione speciale è in Sicilia, che non altrove, cioè che tutto il movimento cattolico sociale è nato e si è sviluppato all'ombra dell'opera dei congressi, la quale però, trapiantata fra noi, perdette la caratteristica dei comitati parrocchiali, impossibili a sorgere e a vivere e ormai divenuti il caput mortuum di uno stato patologico precedente, perdette la forma direttamente religiosa del culto e della dottrina cristiana, alle quali accudiscono le antiche confraternite, oppure opere speciali, o i sacerdoti. « Quello che di vivo c'è, sono le opere economiche, le cooperative, qualche circolo cattolico, oltre l'organizzazione elettorale. « La stessa organizzazione giovanile è una fantasia, i circoli universitari son morti o quasi, le sezioni giovani sparite, poche energie son rimaste qua e là e c'è quanto basti a iniziare un nuovo movimento della giovane Sicilia. L'organizzazione elettorale vive da sè e va poco a poco superando difficoltà enormi. Manca il giornale cattolico quotidiano e gli altri giornali settimanali vivacchiano. I n questo stato di preformazione è urgente una intesa per l'avvenire del movimento cattolico della Sicilia : che lasciato all'urto delle forze contrarie ridestantisi - come se la Santa Sede avesse sconfessata la democrazia cristiana e si fosse gettata in braccio ai conservatori (due cose false e impossibili) - potrebbe subire una stasi enorme e una crisi violenta. cc E l'avvenire non è buio n.

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E d'allora la Croce cominciò a pubblicare le adesioni alla intesa e incitava gli amici d i Palermo a far presto. Intanto a Palermo le condizioni divengono più gravi; la presidenza del comitato regionale si schiera a favore dei refrattari, che mettono capo alle Letture domenicali con acrimonia ortodossa impareggiabile. Alle polemiche succede il decreto d i scomunica d i mons. Riela e la censura preventiva all'durora. II; la Croce d i Costantino è il solo giornale cattolico che parla franco sul decreto d i monsignor Riela, e sostiene gli amici d i Palermo in una lotta, nella quale si era arrivati a trascinare l'autorità ecclesiastica e a turbare le coscienze cattoliche. Si credette allora che a Palermo u n congresso non fosse possibile, e il Cittadino d i Girgenti mi invitava a farmi promotore dell'intesa per un'altra località. Invece io e gli amici di Palermo ritenevamo che il convegno dovesse tenersi a Palermo stessa, al quale non potendo andare per ragioni di salute, rimandai la mia adesione insieme a una lettera pubblicata sulla Croce dell'll settembre (la data del convegno) diretta agli amici d i Sicilia. I n essa affermavo tre cose: 1) che non reputavo fosse il caso d i fare in quei momenti una qualsiasi affermazione d'indole nazionale, ma solamente di carattere regionale ;

2j che d i fronte a i comitato regionaie dovevamo tener altu la nosira posizione e richiedere: a) che tornasse Arezzo alla direzione del secondo gruppo e fossero respinte l e dimissioni del Mangano, e messi l'uno e l'altro nella condizione di poter ritornare a l loro posto di lavoro e di combattimento;

b) che fosse tolta alle Letture domenicali la qualità d i organo del comitato regionale; C) che i l comitato regionale non pigliasse partito contro i democratici cristiani. Altrimenti proponevo la lotta aperta: non riconoscere più il comitato regionale. la sua esistenza, la sua legittimità.

3) Ritenevo necessario assicurare ai democratici cristiani


una posizione DISTINTA dai non democratici cristiani, e perciò proponevo la costituzione di una società d i cultura fra i d. C. d i Sicilia. Queste idee furono accolte; e tosto la Croce continuò a propugnare la costituzione della società d i cultura: ne scrisse Scozzari (18 settembre), Evola ( 2 ottobre), Traina sull'Unione (25 settembre), Caristia ( 9 ottobre), e già la nuova società sembra u n fatto compiuto. Tutto ciò non si può sintetizzar; con le parole tacitamente ma Sturzo sta poco bene i n salute e dell'amico Locascio: « non si muove 1). illi si domanderà quali ragioni mi abbiano spinto a fare i n Sicilia una politica regionale, i n u n momento in cui la solidarietà era ed è necessaria. Io stesso ne scrissi chiaramente sin da principio non solo agli amici d i Milano e d i Roma in via privata, ma sulla Croce. « Occorre premettere una constatazione d i fatto: cioè che tutto quanto esiste in Sicilia d i opere economico-sociali o d i organizzazione è stato fondato da democratici cristiani o è in mano a democratici cristiani. Vero è che della d. C. di parecchi c'è da far poco fidanza o per superficialità d'idee, o per preoccupazioni personali, o per debolezza di carattere. Però il criterio, lo stampo, la vitalità, quella comunicata e quella comunicabile dai migliori nostri uomini che riscuotono la fiducia, che lavorano e che quindi hanno l'influsso dell'idea che personificano, è nel complesso e nella maggior parte democratica cristiana. « I pochi dissidenti del Faro e delle Letture sono infecondi, come i greci scismatici. a Così stando le cose noi non dobbiamo nè possiamo in coscienza lasciare le nostre posizioni per quanto possa essere ristretta la cerchia delle nostre attività o limitata la sfera di azione. » (lettera de11'8 settembre 1904 agli amici d i Sicilia). Questa preoccupazione regionale è al certo giustificata da u n altro fatto, che la nostra dichiarazione d i autonomia sarebbe rimasta platonica nei suoi effetti, perchè in ogni nostra attività c i saremmo trovati legati dalle opere e dalle associazioni d i cui siamo gran parte e che formano il complesso dell'opera

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Srnnzo

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Sintesi sociali.


dei congressi in Sicilia. Sarebbe rimasto libero i l campo di un'organizzazione di studio. E così scrivevo: « Escluso che sia questo il momento di affrontare il problema nazionale, escludo anche che sia il momento di affermare in Sicilia l'autonomia di organizzazione, che non sarà che nominale e determinerà compressioni e dolorose successioni. Noi siamo le nostre associazioni, le nostre opere, il nostro spirito. Questo, bene o male, fu incorporato nell'opera dei congressi, fu specificato nei secondi gruppi: restiamo nei quadri. « M a noi abbiamo bisogno di prendere del nostro spirito d. C. tutte le manifestazioni della vita pubblica cattolica di Sicilia, d'imporre la nostra attività a coloro che non lavorano, di fare opera d'infiltrazione, opera d'assimilazione, opera d i invasione, opera di formazione di coscienze. « L'unico mezzo è riunirci in società d i studio e d i cultura e noi potremo rendere stabile e duratura l'opera dei nostri sforzi, con la coscienza rifatta del popolo e di coloro che lo guidano (1. C,). I1 mio regionalismo è così pieno delle nostre idee che una dichiarazione, più o meno chiara, era in Sicilia tanto superflua quanto dannosa.

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(La Cultura Sociule, n. 20, 1904).

I CATTOLICI E LA PROVINCIA I1 problema della provincia può essere riguardato sotto doppio aspetto: sotto quello puramente e strettamente degli interessi locali dei comuni, i cui corpi elettorali nominano uno o più consiglieri provinciali; e sotto quello generale della provincia, come ente a sè, con sue funzioni e sua amministrazione a parte. E prima di tutto, a guardar la cosa dal punto d i vista degli interessi locali, è ovvia e comune la tendenza che c'è in tutti i capo-provincia di sfruttare le energie provinciali a vantaggio della città principale, ove ha sede la provincia; e dall'altra parte la tendenza nei comuni secondari a fare opera di reazione per


tutela più o meno legittima di loro interessi. Anche a Milano si agita una lunga lotta tra città e campagna a causa dei diritti e degli interessi dell'ospedale maggiore; come del resto in parlamento non mancano le coalizioni regionalistiche, più o meno forti, ma tali, qualche volta, da premere nell'azione stessa dei governi. E certo che non è opera civile ed educativa avere come base della propria azione una concezione campanilistica che può far velo alla percezione della realtà; però non bisogna negare che in questo attrito d'interessi va giù chi è più debole o per energie o per numero. Così attorno alle provincie, quasi da per tutto, si formano vaste clientele locali, costituite nella sede della provincia, e legate a u n certo numero di consiglieri, i più faccendieri e influenti dei dintorni; e si tendono vere reti affarisiiche, che avvolgono e stringono tutte le amministrazioni provinciali, sfruttandone le più vive energie. Qualche inchiesta qua e là ha svelato del marcio enorme: - sono note l'inchiesta di Napoli, quella recente di Catania per la casa di salute e quella di Caltanissetta per l'ufficio del genio civile. E per giunta i consigli e le relative deputazioni provinciali sono meno soggetti a l controllo elettorale pubblico, e sono in gran parte formati da elementi che preponderano nella vita locale, e normalmente per censo, abilità, professione, s'impongono all'elettorato: che nella elezione di un solo o di due consiglieri non può affermare intieramente un'idea, un programma, un indirizzo amministrativo, come invece sarebbe se si votasse a scrutinio di lista.

1 consiglieri provinciali perciò rappresentano normalmente ( f a eccezione Modena caduta in mano dei socialisti) l'clemento più conservatore e più governativo della provincia: hanno per necessità di cose una base locale più o meno formata da clientele; ripercuotono in cento diverse guise le configurazioni dei diversi comuni e dei collegi cui appartengono, formando un anello di congiunzione abbastanza forte tra la vita locale e la vita politica del paese.


I1 consigliere provinciale diviene così un agente locule, dello stesso stampo, serbate le dovute proporzioni, del deputato; e subisce anche lui le oscillazioni di una clientela avida e instabile, clie preme sull'indirizzo della pubblica cosa e che forma la zacorra della nostra vita pubblica italiana. Affrontare questa situazione, creata da un cumulo di false posizioni che i l partito liberale ha assunto in Italia, e portare u n po' d i vita nuova d'idee nell'ambiente afoso dei consigli provinciali, è il compito dei partiti giovani come il nostro, i l quale ha nobili precedenti in consigli provinciali di mag,'wore importanza, come Milano, Roma, Bergamo: agitando quel complesso d'idee e d'indirizzi che formano il nostro programina. Certo nessuno può disconoscere l'obbligo dei consiglieri delle città minori e delle campagne di sostenere una equa distribuzione di beni e un lodevole decentramento di vantaggi, allo stesso modo che sono distribuiti i pesi e gli oneri che i cittadini sostengono nel mantenimento della provincia; anzi è questa una ragione vitale della costituzione elettorale dei consigli: ma non si possono nè devono legare gli interessi peculiari alle ragioni di clientele e cricche, bensì tenerli sollevati nell'ambiente nobile delle idee e del programma, e rafforzare la sincerità degli uomini, che nella vita pubblica non possono prescindere dai criteri direttivi e dalla unione derivante da comunione d'idee e di sentimenti.

*** I n secondo luogo bisogna guardare la provincia dal punto di vista del suo organismo, delle sue funzioni e della sua attività, per stabilire quella somma di criteri generali che dirigono la nostra azione, iniziale o progredita, di poca o d i molta importanza, ne mirano ad una meta comune, attraverso alla varietà delle condizioni locali. E innanzi tutto noi, con molti ormai in Italia, consideriamo la provincia come un ente fittizio, creato più per ragioni politico-burocratiche, anzichè per il naturale sviluppo delle forze e delle attività civili. Nel primo convegno dei consiglieri cattolici siciliani, tenuto a Caltanissetta, si accennò al problema delle provincie: e p u r


non entrando nell'analisi della questione, rimessa a un secondo convegno, fu fissata come idea programmatica la necessità d i « propugnare l'abolizione del17attuale congegno provinciale, le cui funzioni non corrispondono alle esigenze della vita e dei rapporti dei comuni fra di loro, intralciano e soffocano lo sviluppo delle attività democratiche, e sono la forza del centralismo di stato: e sostenere quelle proposte che eliminino tali inconvenienti in modo da risultare organica e vitale l'azione amministrativa intercomunale (con razionali circoscrizioni territoriali), e libera da inframettenze politiche. » (Atti del primo convegno, ecc. pag. 10). I n questo unico accenno si contengono quattro idee principali, sulle quali si basa la nostra concezione dell'ente provincia: e prima di tutto si può essa riguardare come una rappresentanza d'interessi di molti comuni riuniti insieme nella tutela ed esplicazione degli interessi collettivi: - così la principale funzione della provincia, che si esplica nella costruzione e manutenzione di strade, ponti, argini, ecc. che per il loro carattere limitato e per ragioni di utile locale non possono entrare nella molteplice azione dello stato, e invece servono allo sviluppo del17agricoltura e delle industrie e dei commerci locali, in cui i diversi comuni contribuiscono in modo specifico e tassativo per lo sviluppo di tale importante ramo di vita locale. Lo stesso può dirsi per i l soddisfacimento di altri bisogni, ai quali il comune come semplice unità riesce impari e lo stato come ente in cui si assommano gli interessi di tutti non potrebbe provvedere nè bene nè adeguatamente. I1 carattere intercomunale, basato sulla natura del territorio, sulle diverse esigenze dei comuni e delle industrie locali, determina l'indole caratteristica di questi enti, detti provincie; che non possono essere riguardate, come fa la nostra legge, come enti a sè, di prevalente natura statale. Così nasce una duplice conseguenza: -- che la rappresentanza amministrativa dovrebbe avere carattere prevalentemente comunale, per cui i l consiglio comunale dovrebbe avervi diretta o almeno indiretta partecipazione; e che tali enti dovrebbero partecipare dei diritti della autonomia e delle libertà comunali.

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Ogni volta che parliamo di autonomia comunale, i vecchi liberali, di classica memoria, e i codini di oggi, attaccati come ostriche a l forte scoglio del potere politico, strillano, gridano all'utopia, o insistono sul pericolo che si sovverta l'ordinamen~o centralistico dello stato attuale. Ma i partiti moderni, che sentono la forza delle cose, accettano e propugnano i nostri concetti di autonomia, convinti che fino a che gli enti locali saranno mancipi del potere politico non si avrà mai amministrazione seria, mai vera vita locale, mai coscienziosità e forza nell'esplicazione delle attività civili d i un popolo, che deve ascendere a l fastigio di una civiltà. Quindi anche le provincie devono godere dei diritti d i autonomia, in quanto esse rappresentano una somma notevole di interessi intercomunali distinti da quelli dello stato, e derivanti dalle ragioni del territorio e della vita locale. Però alle provincie, per il naturale sviluppo delle molteplici funzioni di stato, sono legate diverse funzioni d'indole mista; nelle quali l'elemento elettivo e democratico si trova unito all'elemento burocratico e tecnico nello svolgimento degli interessi collettivi. Così la tutela igienica, i l controllo sulle scuole e sul reclutamento militare e altre funzioni, più o meno bene precisate e fissate da innumeri leggi, vengono esplicate da commissioni miete, nelle ql?zj< c e c e ~ c j e1% ~ l t i z r -delle f i l ~ ~ i ~ n i , ' & r-n yrto:dominare i'eismeato eiettivo n l'el~mente tecnico. I n questa parte d i funzioni è naturale riconoscere come giusto l'intervento del rappresentante politico, che nel caso nostro è il prefetto; però la legge attuale, che tende sempre a legare, a limitare, a centralizzare, a paralizzare l'attività locak,, a l solito riduce quasi sempre a una finzione il contorno popolare ed elettivo, sul quale preme la enorme autorità dei prefetti. È superfluo per noi parlare contro l'istituto della giuuta provinciale amministrativa; la cui abolizione è uno dei capisaldi del programma non solo nostro, ma dei radicali e dei socialisti, e di quanti resc scindendo dalle denominazioni di partiti) sentono forte l'ideale delle autonomie locali. E più che altro riesce stupido un simile congegno applicato al consiglio


provinciale, il quale nomina i membri elettivi della giunta provinciale amministrativa, che sono in maggioranza su i membri di ufficio designati dalla legge ; e poi deve sottoporre a una giunta cosĂŹ composta tutte le deliberazioni che emette e che sono competenza della giunta, come ogni qualsiasi minuscolo comunello di tre o quattrocento abitanti. Simili incongruenze dell'attuale sistema amministrativo tolgono credito a istituzioni che non rispondono nella loro compagine a criteri fondamentalmente logici e naturali, e contribuiscono al mantenimento di quelle cricche e camarille che si annidano in tutti, o quasi, gli ingranaggi provinciali del regno. Ci diranno, a l solito, che noi in questa critica dell'a~tuale regime facciamo dell'idealismo; ma noi siamo sicuri che le idee presto o tardi germoglieranno dei fatti. Se noi venissimo avanti solamente con u n programma di mezzucci e con l'appannaggio di persone, piĂš o meno simpatiche al corpo elettorale, noi non faremmo che perpetuare e rafforzare u n sistema governativo erroneo e falso; noi invece teniamo a due criteri radicali: che bisogna formare la coscienza individuale e collettiva con la forza delle idee; che queste idee debbono essere di una vitalitĂ nuova, contro l'attuale centralismo d i stato e contro le camarille formatesi attorno alle amministrazioni locali. (La Cultura Sociale, n. 15, 1905).


NOTA Oltre agli articoli qui riprodotti, su La Cultura Sociale Sturzo aveva pubblicato a puntate altri scritti, nel presente volume diversamente collocati, e precisainente il saggio a L'organizzazione di classe e le unioni professionali », sui numeri 23 e 24 del 1900 e n. 1 del 1901, e gran parte del discorso d i Caltagirone, sul n. 24 del 1905 e n. 4 del 1906. Abbiamo invece omesso un articolo apparso in data 1 ottobre 1904 sul n. 19 della rivista, dal titolo a I1 problema del partito nazionale cattolico e 1s sostanza del nuovo ordinamento dell'opera dei congressi », nel quale, dopo soli tre mesi dallo scioglimento dell'opera dei congressi, Sturzo anticipava alcune delle idee che avrebbe poi più anipiamente svolto nel sucitato discorso di Caltagirone (*l. Detto articolo infatti, dopo alcuni capoversi introduttivi, riproduce, con qualche minima variante, il testo che nel presente volume va dal lo capoverso della pagina 106 al 2" capoverso comprefio di pagina 112. Esso poi, così proseguiva: e si dà la più naturale spiegazione della nota pontificia sulla circolare Grosoli e dei susseguenti provvedimenti, dati con lettera del segretario di stato. I quali provvedimenti tolgono all'opera dei congressi in modo definitive i! c-rsttere di p a r t i i n r a t t n l i r n c i v i l e e nazionale e (tranne per il seconào gruppoj ia riducuuu a9 assucidaioiic religiosa diuceeana, mess:: alla esc1usiz.a e diretta dipendenza dei vescovi; ai comitati regionali è rimasta una funzione burocratica e ausiliaria pure alla dipendenza e col bcneplacito dei vescovi. È rimasto nazionale il secondo gruppo, con i poteri ampliati, ma sotio la dipendenza costituzionale della Santa Sede, e senza diretti poteri s u l l ~ associazioni ed opere dipendenti e aderenti, tranne quelli consentiti dai singoli vescovi; sono più di tremila fra cooperative, unioni professionali, società operaie e agricole, i l grosso del nostro esercito (che deve risentire il meno possibile dell'attuale crisi) ma che, in quanto tale, forse non uscirà dalla cerchia d i un'azione più che altro economica.

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(*) Del discorso di Caltagirone ristahiliamo in questa edizione (v. pag. 97) la data esatta, 24 dicembre 1905, quale risulta dai resoconti de La Croce d i Costrtntino. Nell'edizione del 1906 di Sintesi Sociali appariva invece la data del 29-12-1905, e nell'appendice al volume Ddl'idea al f a t o , edito da Gobetti nel 1921, quella del 25-12-1905.


ii secondo gruppo sarà il nuovo campo delle perpetue recriminazioni dei conservatori; i quali, sbandati dagli ultimi prowedimenti pontifici, lo piglieranno come terreno di lotta, rinnovando un enorme sciupio di forze senza ricambio di energie.

Oggi, adunque, in sostanza, dopo il prowedimento radicale dato dalla segreteria di stato, si pongono sul terreno della pubblica discussione tre problemi: lo L'organizzazione dei cattolici italiani resterà solamente religiosa o diocesana? 2' L'organizzazione economica che fa capo al secondo gruppo avrà solamente carattere religioso economico? 3' I1 campo politico amministrativo civile e sociale è chiuso ai cattolici italiani? e se è aperto, potrà essere organicamente nazionale e laico o sarà diocesano ed alle dipendenze dei vescovi? Questi problemi non posso risolvere io o altri con le proprie vedute personali; perchè i n tesi pochi o nessuno negherà che ai cattolici compete il diritto della vita civile nazionale, salvo per l'Italia, sinchè avrà vigore l'osservanza del non expedit; il fatto però sarà quello che i cattolici stessi sapranno creare. Riguardo l'autorità ecclesiastica (a parte quel che essa crederà meglio per la religione e per la patria, il che non entra nella presente analisi da me fatta obiettivamente) essa suole intervenire in questo nuovo atteggiamento preso dai cattolici di tutta la nazione nella vita pubblica; - atteggiamento voluto dalle condizioni religiose dei tempi - principalmente perchè l o spirito cattolico e l'integrità della fede e della morale venga mantenuta intatta; o perchè le attività religiose dei laici cattolici restino subordinate alla gerarchia ecclesiastica, o perchè vengano salvaguardati i diritti della Santa Sede. Onde è chiaro che a risolvere i superiori quesiti nel fatto concreto dell'awenire dei cattolici occorrerà: l o che i cattolici italiani nella loro maggioranza numerica e nella potenzialità delle loro opere vogliano essere dawero un partito nazionale; - e ciò dipenderà in gran parte dal contegno e dalla forza delie due fazioni o tendenze che si urtano e si urteranno; 2" che ciò non pregiudichi i diritti e la politica della Santa Sede in ordine alla questione romana; 3" che ciò si coordini con il movimento religioso, senza che si addossino responsabilità estranee alla Santa Sede e ai vescovi. A Milano due affermazioni han fatto i cattolici, con l'adesione di molti d'ogni parte d'Italia, all'indomani dello scioglimento dell'opera dei congressi. È stata fondata l'associazione nazionale degli elettori cattolici amministrativi dagli uomini di centro e di sinistra del nostro campo; e l'estrema

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sinistra (v. fasci d. c.) si è resa autonoma, pur concedendo appoggio personale e collettivo al secondo gruppo (*). Questi due tentativi sono l'esponente dell'attuale stato d'animo dei cattolici italiani, che non han perduto la speranza di divenire un partito nazionale, nel campo civile e sociale; e se altri han voluto trovare in questi due fatti il tentativo della ribellione all'autorità ecclesiastica, questo è stato tassativamente escluso dai promotori, che intendono rimanere nel campo schiettamente e sinceramente cattolico, come vi rimase Windthorst nella famosa questione del settennato, quando alla segreteria di stato si protestò recisamente che il centro germanico nelle questioni strettamente politiche e amministrative rivendicava a sè la piena libertà di iniziative e di mosse; o come fecero gli operai di Germania, dopo la famosa decisione dei vescovi riuniti a Fulda sulla confessionalità delle associazioni economiche e professionali, i quali, con riverenza filiale, dichiararono che nel campo economico e professionale non potevano applicare il sistema della confessionalità. Questi precedenti dimostrano quanta larghezza pratica la chiesa conceda ai suoi figli, là dove non vi sono implicate questioni religiose o ardenti lotte interne nel campo cattolico. Ed è a sperare che i tentativi giovanili trovino animi di buona volontà e non incontrino nuove lotte interne infeconde, le quali potranno costringere a nuovi atteggiamenti la Santa Sede, che in Italia necessariamente vigila da vicino sul n~uoversidelle forze cattoliche militanti.

Quanto ho esposto con la massima bincerità non può non interessare tutti i partiti dal punto di vista nazionale; e in modo speciale: lo se nel dibattito dei problemi della nazione entrerà, oppure no, una nuova iorza non indirierente ne impreparata aiia vita pubbiica (sia p i e f ~ o r ide! par!azìen:o fin che d ~ r ai? non ezpedtt; C =C:: p ò molto, checchè si dica); la quale forza controbilancerà o acuirà le ridestantisi tendenze anticlericali principalmente del socialismo, del q a l e supererh la portata delle pratiche organizzazioni operaie; 2' se tale partito lascerà ancora sussistere la pregiudiziale politica, salvi i diritti della Santa Sede; oppure lealmente la risolverà in senso patriottico e nazionale;

3" se tale intervento renderà più facile o più difficile la immediata soluzione della questione romana ed i rapporti fra chiesa e stato in Italia; 4" infine se tale partito sarà un partito clerico-ecclesiastico come è stato fin oggi, o un partito laico civile e sociale nettamente democratico cristiano. (*) Quest'articolo fu scritto prima della riunione di Rimini: non a'è potuto pubblicarlo prima per varie difticoltà.

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Per quanto noi siamo profondamente scissi e non abbiamo risolto il nostro problema costituzionale, pure oggi siamo una forza e sentiamo di avere con noi gran parte deli'anima del popolo; e i nostri ultimi trionfi amministrativi come le larghe prove di vitalità economiche, mostrano che la linfa nuova vivifica il sangue di un partito che si è trasformato e che non è più quello degli antichi codini e dei clericali di venti anni fa. Le incertezze organiche e le lotte di programma finiranno per evolvere e rendere forte l'idea che si generalizza, lasciando a pochi, ben pochi, l'ere. dità di sciupati amori con i Borboni e con i Lorena, d i vecchi metodi di lotta intollerante, di corroso bagaglio di frasi fatte, di vane speranze d i un ritorno al passato. L'awenire ci sta avanti e c'incalza; indietro non si torna; e la chiesa che è una forza d i conservazione ed espansione insieme, resiste al nuovo quando questo può inquinare il sacro deposito della fede, e lo abbraccia quando opera di apostoli ed eroismo di martiri lo ha prima battezzato e reso cristiano; così conserva il passato quando questo è ancora vitale e d i presidio e sicurezza alla vitalità religiosa; lo rigetta quando diviene ingomhro inutile o dannoso alie perenni correnti della civiltà cristiana. Perchè la chiesa non preferisce e non sostiene nulla di quel che è umano. lasciandolo alle libere tendenze degli uomini; solo se ne serve nell'esplicazione della sua attività religiosa e soprannaturale. Onde, se la chiesa sostiene ancora i conservatori o meglio le idee sostenute dai conservatori, è la forza di inerzia che inchina verso un punto, che è stato i l sostegno del passato nella lotta contro le rivoluzioni scttarie antireligiose, lotta non ancora cessata; e se abbraccia e benedice noi, cioè la democrazia cristiana, è la nuova forza dell'avvenire che sorge in servizio del cristianesimo, che lo chiesa riconosce, regola e protegge. E allora lasciamo che il sole tramonti lento e stanco sulla vecchia Europa, per sorgere vivo e fulgente sulle giovani Americhe; è il ciclo della vita! n.



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