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LA REGIONE NELLA NAZIONE (1949)


OPERA OMNIA DI

L U I G I

S T U R Z O

PRIMA

SERIE

OPERE


LUIGI

STURZO

LA REGIONE NELLA NAZIONE (1949)

ZANICHELLI BOLOGNA


L ~ E D I T O R EA1)EMPIUTI I DOVERI ESERCITERĂ€ I DIRITTI SANCITI DALLA LEGGE

Finito di stampare a Bologna nel settembre 1974 dalla Poligrafici Luigi Parma S.p.A., via Collauiarini 23 per conto della N. Zanichelli Editore S.p.A. via Irnerio 34, Bologna

- Bologna


PIANO DELL'OPERA OMNIA DI LUIGI STURZO PUBBLICATA A CURA DELL'ISTITUTO LUIGI STURZO

PRIMA SERIE:

v-VI VI1 VI11 IX X XI XJI

OPERE

L'Italia e il fascismo (1926).

La comiinità internazinnale e il diritto di guerra (1928).

La società: sua natura e leggi ( 1935). Politica e morale (1936). - Coscienza e politica. Note e suggerimenti d i politica pratica (1952). - Chiesa e Stato (1939). - La Vera vita - Sociologia (le1 soprannaturale (1943). - L'Italia e l'orcline internazionale (1944). - Problemi spirituali del nostro tempo (1945). - Nazionalismo e intemazionalismo (1946). - La Regione nella Nazione (1949). - Del metodo sociologico (19s0). - Studi e polemiche di sociologia (1933-1958).

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SECONDA SERIE:

SAGGI - DISCORSI - ARTICOLI

L'inizio della Democrazia in Italia. - Unioni Sintesi sociali (1900-1906). I1 - Saggi storico-politici (1925-1959). I11 I1 partito popolare italiano: Dall'idea al fatto (1919). Riforma statale e indirizzi politici (1920-1922). IV - I1 partito popolare italiano: Popolarismo e fascismo (1924). V - Il partito popolare italiano: Pensiero antifascista (1924-1925). La libertà in Italia (1925). Scritti critici e bibliografici (19231926). VI - Miscellanea lonclinese (1926-1940). VI1 - Miscellanea americana (1940-1945). - La mia battaglia da New York (1943-1946). VI11 IX-XV - Politica (li questi anni. Consensi e critiche (1946-1959).

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T E R Z A SERIE:

SCRITTI VARI CL

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I11 IV V

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I1 ciclo della creazione ( p o e n ~ odrcrrnmatico in quattro azioni).

- Versi. - Scritti d i letteratiira e di arte. Scritti religiosi e morali. Scritti giuridici. Epistolario scelto. Bibliografia. - Inclici.



AVVERTENZA E n o t o l'interesse costante d i Luigi Sturzo per i problemi concernenti la vita degli enti locali. I n ogni periodo de'lla sua attività troviamo scritti c h e trattano d i tali argomenti. I l presente volume perciò n o n comprende ovviamente tutto quanto Sturzo h a scritto a proposito delle autonomie locali, e che i n v e t e è stato via v i a raccolto i n altri volumi dell'opera O'mnia. S i vedano ad esempio i v o l u m i I1 Partito Popolare Italiano, Sintesi Sociali, Politica di questi anni. Articoli in difesa delle autonomie locali sono pure compresi n e i volumi d i Miscellanea londinese; mentre nelle opere d i carattere sociologico ( L a società sua natura e leggi, Del metodo sociologico) troviamo la giustificazione teoretica delle posizioni pratiche d i Sturzo sull'argomt?nto. Nel presente volume sono compresi quegli scritti che pii6 esplicitamente trattano il tema, e cioè:

- il saggio La regione nella nazione: scritto per illustrare la posizione d i questo nuovo istituto nella costituzione italiana, e pubblicato rr R o m a nel 1949 dall'editore Capriotti; - il testo del Programma municipale proposto da Sturzo al

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convegno d e i consiglieri cattolici siciliani riuniti a Caltanissetta nel 1902, e c h e costituisce i l primo documento programmatico \sul tema delle autonomie locali. Di tale relazione riproduciamo i l testo pz~bblicatonel 1952 i n opuscolo da offrire ai delegati del consiglio d e i comuni europei, costituitosi l'anno prima a Ginevra ; - gli articoli e l e relazioni c h e testimoniano l'attività d i Sturzo

nell'ambito deEl'Associazione dei comuni italiani, negli a n n i dal -2904 al 1918 ; - una serie d i articoli per la maggior parte apparsi su

La


Croce di Costantino » a Caltagirone negli anni 1897-1917 e firnzati a volte il Zuavo », « i l crociato « loico n; - alcuni brevi scritti che sull'argonzento sono stati reSatti

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anni più recenti (1950) e che non sono stati ancora ricompresi in altri volumi dell'Opera Omnia. La ricerca e la collazione dei testi è stata curata da Maria Teresa Garutti Bellenzier.


LA REGIONE NELLA NAZIONE (1949)


A Vincenzo Mangano s&iliano e autononsista le cui ossa esultano nel sepolcro per la realizzazione d i quel che sembrava un sogno mezzo secolo addietro


I PREMESSE STORICHE

I. - La regione in Italia è un fatto geografico, etnografico,. economico e storico, che nessuno potrà mai negare. L'Italia è lunga e stretta; si allarga al nord lungo la catena alpina che la protegge e l'incorona; si sviluppa nelle colline e pianure padane fino al17Adriatico; 'si stende verso il sud con la dorsale appenninica che la divide i n zone adriatiche e tirrene, si va a bagnare nello Jonio, arriva con la Sicilia al mare africano, e con la Sardegna fronteggia a distanza l e Baleari.

La storia ci ha plasmati in mille modi, dando a ciascuna zona la sua caratteristica, la sua personalità, una e multipla allo stesso tempo. Nel formarsi la lingua letteraria e comune, il dialetto regionale si è adattato e sviluppato in lingua popolare e in vitale fermento di atteggiamenti e intonazioni di arte. La nazione italiana, modernamente concepita, si è formata non tanto sulle divisioni politiche di stati diversi, quanto sulla esistenza (li u n complesso uno e variato a carattere culturale. Gioberti poteva scrivere del primato d'Italia prima ancora dell'effettiva unificazione politica. Questa fu fatta di elementi culturali innestati ad esigenze economiche, ma fu principalmente basata sulle aspirazioni alla indipendenza dallo straniero e alla libertà degli ordinamenti politici. E su considerazioni strettamente politiche f u fatta la scelta del sistema unitario invece del federale: non si poteva avere la libertà costituzionale con la coesistenza di re e principi legati al17Austria; il problema di Roma papale rendeva difficile


una soluzione nazionale largamente costituzionale e laica, sia pure nel senso onesto della parola. Ma se la soluzione unitaria fu politica, non poteva cancellare né cancellò mai la regione italiana, come non cambiò l'indole e l e caratteristiche delle singole popolazioni, plasmate da secoli d i civiltà con varietà notevoli d i fattori geofisici e ambientali indistruttibili. I1 problema che contemporaneamente all'unificazione italiana si doveva risolvere, e non fu risolto, era quello di inserire politicamente e amministrativamente la regione nella nazione. Si credette d i poter negare il problema stesso, per timore che risorgessero i legittimismi Iocali o che si formassero dei nuclei di interessi contrastanti con quelli nazionali. L'unificazione che si attuò fu rigida e centralizzata. Non -è il caso di ripigliare la polemica del tempo, n é d i esporre le idee degli uni e degli altri. A quasi u n secolo di distanza si possono ripetere oggi i motivi teorici agitati durante i l periodo del risorgimento e dell'unificazione, ma la prospettiva politica, economica e amministrativa del 1948 è ben diversa d s quella del 1848. I1 fatto notevole che dobbiamo registrare è che la regione, dopo u n secolo di unitarismo, uniformismo e burocratismo statale, è tornata a riprendere di colpo i l posto che le fu negato a l momento di creare lo stato italiano. Questo è il punto che merita u n attento esame. 2. - Durante il primo tempo dell'assestamento nazionale, la questione regionale fu sentita attraverso problemi locali acuiizzati dalle crisi morali, finanziarie, economiche e sociali ; dalle difficoltà psicologiche di intesa fra il Piemonte vincitore ed egernonico e le altre regioni, mano a mano che dal nord si arrivava al s u d ; dal peso dell'uniformità legislativa e della mancanza di provvidenze equilihratrici fra regioni ricche e regioni povere. Era naturale che la prima a risentirsi fosse la Sicilia, che la prima a presentare le sue piaghe fosse Napoli, che la tacita CCnerentola del regno fosse la Sardegna, che la penultima arrivata, i l Veneto, esigesse molte cure anche p e r la vicinanza dei territori irredenti d i Trento e d i Trieste.


A parte yiialche isolato e impenitente regionalista, l'opinione generale si volgeva allo stato per domandare provvedimenti e leggi speciali p e r località e regioni; f u questo i l metodo accetto, che avrebbe dovuto rimediare alle deficienze che si accusavano ora con agitazioni popolari, ora con inchieste parlamentari. La industrializzazione del nord si andava, i n quel periodo, inserenclo nella vita economica del paese; il governo, e giustamente, la favoriva. Si sviluppano le marine militari e mercantili, si costituiscono reti ferroviarie, si iniziano i lavori cli bonifica, si intensificano i traffici. Come nel primo periodo dopo l'unificazione, gli erari d i Napoli e poi d i Roma ( c h e erano in migliori condizioni) coprono i deficit degli altri stati; come le burocrazie del nord prendono in mano la direzione dei dicasteri e degli ordinamenti militari; come aumentano le spese per i lavori pubblici e l a differenza fra norcl e sud si accentua a danno del mezzogiorno e delle isole; così anche i n materia economica, sia p e r iniziative locali sia per interventi statali, si vanno creando delle sfere nettamente distinte, che marcano i l disequilibrio nazionale. I1 periodo che precede la fine del secolo potrà chiamarsi quello della clepauperazione meridionale ; è il periodo dell'emigrazione transoceanica di contadini ed operai, il periodo dei fasci )I e il conseguente stat'o d'assedio della Sicilia posta poi a regime commissariale, il periodo delle rivolte locali al grido eli : pane e lavoro. La classe dirigente liberale, che si reggeva sul sistema elettorale ristretto e uninominale con l'aperto appoggio delle prefetture e con gli interventi diretti del potere politico sulle amministrazioni locali, ricorrendo a metodi reazionari alla Crispi O alla Pelloux, venne a crollare. Fu il fallimento di u n sistema unitario, paternalista e rigiclo che si volle imporre all'Italia. Da allora ritornarono a fermentare l'idea delle libertà comunali, quella dell'autonomia regionale e la più netta affermazione del sistema elettivo proporzionale a suffragio universale. Se l'unione d i queste tre aspirazioni ebbe nascita in Sicilia, ' non ,separate e distinte o estranee l'una dall'altra, ma come unica idea-forza, ciò si deve al fatto che proprio la Sicilia era


stata l a regione più incompresa, più martoriata e quella che reclamava a gran voce libertà e autonomia.

3. - I siciliani avevano cominciato a sperare nella loro indipendenza dal giorno che il r e d i Napoli, sotto l'ispirazione e la pressione inglese, concesse nel 1812 il ripristino del parlamento dando una nuova costituzione. Ma questa non ebbe fortuna. Al congresso di Vienna non fu né riconosciuta n é abolita. Gl'inglesi che avevano dato una specie di garanzia diplomatica, secondarono fra irre e orre la politica antiautonomista d i Napoli e così di seguito, fino a che nel gennaio 1848 i siciliani si diedero essi stessi la costituzione e si dichiararono indipendenti: ne seguì la guerra. Questa fase del risorgimento tutta siciliana e tutta « autonomista » e indipendentista » si può a uii secolo di distanza ricordare, senza alcuna riserva, i n tutta la sua caratteristica isolana, da noi unitari e italiani, perché nel quadro di allora essa s i innestava al moto nazionale per l'indipendenza e per la libertà, allo stesso titolo della guerra del Piemonte all'Austria, delle cinque giornate di Milano, della resistenza d i Venezia. I moti e l e guerre del 1848 ebbero u n epilogo catastrofico; m a l'idea nazionale maturò assai più nei giorni d i sconforto che i n quelli della baldoria di piazza. Merito del Piemonte che mantenne i l sistema costituzionale, e dei patrioti di ogni parte d'Italia che conobbero il carcere e l'esilio. I n tale maturazione, i siciliani si resero conto della necessità dell'unificazione .nazionale., pur volendo conservare quel tanto d i autonomia che la tradizione isolana, l e diffidenze storiche e la incomprensione continentale rendevano necessaria. Questa convinzione di uomini di alto sentire, quali i patrioti siciliani del risorgimento, alimentata dalle promesse fatte dal Garihaldi dello sbarco a Marsala, generale e dittatore, rimase viva nel cuore siciliano, attraverso gli anni delle disillusioni( ( l ) . È vero che si formò in Sicilia fin da allora un'altra corrente, che per ragioni politiche e per paura del h o r b ~ n i s m oe del cleri( l ) Vedi: Condizioni politiche e amministrative della Sicilia (Franchetti-Sonnino) n. 102.


calismo, abbandonò ogni idea autonomista. Di costoro molti lasciarono l'isola e andarono a Torino, Firenze e Roma, prendendo l'aria del continente »; si occiiparono del paese natale in periodo elettorale; sollecitarono lavori, accettando le hriciole del banchetto nazionale; non mancarono di far dare posti e favori ai clienti elettorali, che allora per ogni collegio non arrivavano al migliaio. L'ondata regionalista riprese in Sicilia nel periodo delle repressioni, dello stato d'assedio e dell'amministrazione commissariale affidata a Codronchi. Non è i l caso d i discutere se e fino a qual punto provvedimenti speciali fossero necessari. Ma l a sospensione delle libertà costituzionali, l'uso di leggi eccezionali, l e repressioni a tipo coloniale resero jnviso i l governo del tempo. La Sicilia fu per qualche anno tutta istintivamente autonomista. I n quel tempo, chi scrive era preso dai suoi studi filosofici e storici e i rumori esterni non arrivavano a interessarlo; però nel fondo del suo animo fermentava l'idea autonomista che si agitava sui giornali e nelle riunioni pubbliche e private. La storia della Sicilia lo appassionava come filologia, cultura e arte, non come politica; ma l'ondata autonomista, che allora veniva qualificata regionalista », lo prese in pieno. Da allora egli fu u n regionalista d i sentimento ; con l'esperienza della vita puhblica divenne regionalista convinto. Questa convinzione f u rafforzata dagli studi e dalla comunanza d i idee e di attività con l'avv. Vincenzo Mangano d i Palermo, coscienza retta, ingegno forte e di ~ r o f o n d acultura, cui l a societ.à negò i l riconoscimento che meritava. Da allora, nel movimento d i azione cattolica, i n quello specificamente democratico cristiano, in quello amministrativo, fu data i n Sicilia l'impronta regionale, al punto da comunicarla anche ad altri aggruppamenti e partiti. L'azione cattolica nazionale ave-va inquadrato l a organizzazione diocesana nelle circoscrizioni regionali. Quel regionalismo non aveva reale carattere strutturale; però si era andata diffondendo presso i cattolici la convinzione dell'opportunità del decentramento regionale. Questa idea era alimentata dal fatto che attraverso le elezioni regionali (come attraverso quelle provinciali e municipali) i cattolici italiani, vincolati al non expe-

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clit che impediva loro la partecipazione alla vita politica del paese, avrebbero potuto far valere i loro ideali e i l loro apporlo numerico. (2iiesto f u un regionalismo piuttosto retorico, e se ebbe efficacia nel pensiero italiano fu solo come correttivo del centralismo statale, c h i si andava consolidando a danno delle autonomie locali e si andava estendendo nell'anibito della vita economica e sociale, mentre nel campo culturale niinava la scuola locale al punto da preparare il passaggio allo stato delle scuole elementari allora di carattere municipale ( l ) .

4. - In quel periodo F. S. Nitti aveva rimesso in primo piano la questione meridionale con il noto libro ,Nord e Sud: libro che ini appassionò molto e mi confermò nel mio regionalismo. Però il'rnezzogiorno continentale non sentiva la regione come organismo autonomo: per quanto Calabria, Puglie, Basilicata, Campania, Abruzzo e Molise fossero ben distinti e avessero un'anima propria, pure non avevano aspirazioni precise ad amministrarsi d a sé come regioni. La provincia meridionale aveva una notevole antipatia per Napoli, e tra Napoli e Roma preferiva Roma. Però, la questione meridionale una volta riproposta, con l'autorità di Giustino Fortunato e di F. S.. Nitti, non poteva rimanere senza risposta. I provvedimenti speciali per le varie regioni ebbero utili effetti; l'acquedotto pugliese ne fu l'opera più significativa e più vanlaggiosa. Altre opere, sia nel continente clie nelle isole, vennero iniziate, altre furono dovute a disastri locali, come quelle per i terremoti di Calabria, di Messina e Reggio, d i Avezzano. Purtroppo molti provvedimenti restarono sulla carta, altri furono insufficienti, altri mancarono di seguito; dopo quaranta anni dal terremoto d i Messina, ci sono ancora i n Sicilia e in Calabria impegni di leggi non eseguiti e popolazioni clie vivono nelle baracche. Colpa di leggi complicate, di esecuzioni burocratiche, di inerzie locali, d i dilazioni ingiustificate; colpa degli uomini e

(l) Ciò fu fatto prinia per i piccoli coniuni; poscia sotto il fascismo per tutti i comuni. I cattolici, che per mezzo secolo avevano iniperniata la lotta srille autononiie scolastiche, dovettero cedere all'invadenza statale accettando. sotto il fascisn~o:certi compensi in sede di concordato (N.d.A.).


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delle cose. La questione meridionale si trascina da più di ottant'anni come u n peso morto per la vita del paese. L'impostazione data alla questione meridionale, a base di interventi statali integrativi, portava anzitutto ad aumentare la inferiorità politica del mezzogiorno; a legare quella rappresentanza parlamentare al governo che si serviva dei favori per creare e mantenere la sua maggioranza e per togliere qualsiasi spinta all'inizìativa locale. Con la destra al governo il mezzogiorno, e la Sicilia davano il più largo contingente all'opposizione parlamentare; venuta su la sinistra. mezzogiorno e isole divennero in maggioranza ministeriali, sfruttati e oppressi dai Depretis e dai Giolitti con i favori, le ingerenze politiche e gli abusi elettorali. La prima reazione contro la sinistra - che alimentò l e consorterie del sud appoggiandosi alle coalizioni di interesse locale, alla classe proprietaria retriva e a i gruppi massonici di provincia - fu fatta dal socialismo nascente e dalla democrazia cristiana dell.'epoca leoniana. Questa ultima aveva poca presa nel mezzogiorno continentale tranne in Campania, ma sviluppava insieme all'azione cattolica, casse rurali e cooperative operaie che cercavano di redimere le classi lavoratrici dalle grinfie dell'usura. Tale movimento, di carattere localistico, faceva presa nell'àmbito della provincia dentro i quadri diocesani, anziché per regione. Le difficoltà di comunicazioni interprovinciali e le gelosie fra i capiluoghi di provincia, rendevano più difficile nel mezzogiorno continentale la figurazione regionale. La Sardegna era di sua natura regionalista; la sua ultima storia era fatta di autonomie, e benché la dipendenza da Torino la tenesse legata a un governo non proprio, aveva avuto sempre modo di riaffermare l e sue caratteristiche e i suoi bisogni. Con 1'unit.à d'Italia, divenne la cenerentola delle regioni, forse superata solo dalla Lucania e dal Molise. Di tanto in tanto i sardi fecero sentire la loro voce; però dato il distacco dal continente per lungo tratto di mare e le difficoltà di comunicazione, mai accentuarono una tendenza esageratamente autonomista. Nel resto del continente, la regione fu pensata come organo di decentramento amministrativo. La campagna per le autonomie locali fu fatta principalmente dall'associazione nazionale dei


comuni italiani sorta nel 1901, alla quale fin dall'inizio parteciparono anche i comuni in mano a cattolici, e ne furono esponenti (oltre chi scrive che ne fu consigliere e vice-presidelite fino al 1924), Giuseppe Micheli, Filippo Meda, Angelo Mauri e Giulio Rodinò. I socialisti vi ebbero nel consiglio Ivanoe Bonomi, Caldara d i Milano, Zanardi d i Bologna e altri che ne uscirono nel 1916 p e r i l neutralismo di guerra ; ne furono presidenti Mussio, Mariotti, Greppi, Lucca e Teofilo Rossi. Faceva riscontro a questa associazione quella delle provincie, che anch'essa sosteneva, nel suo àmbito, i principii di autonomia amministrativa. La campagna era serrata contro I'acce'ntramento burocratico e contro l'ingerenza politica nella vita amministrativa locale. Tutti i partiti, compresì i liberali, partecipavano alla campagna dei comuni e delle provincie. Ma mentre i partiti socialisti e democristiani fiancheggiavano nella campagna autonomista i loro rappresentanti dei comuni e delle provincie, i liberali, deputati, senatori e governo, si mantenevano discretamente riservati. Solo durante la prima guerra mondiale si ottenne l a nomina d i una commissione per la riforma amministrativa e finanziaria degli enti locali della quale facevano parte i l prof. Einaudi oggi presidente della repubblica, il prof. Gilardoni quale segretario e anima dell'unione delle provincie (recentemente deceduto) e chi scrive in rappresentanza dell'associazione dei comuni. I lavori furono portati alle lunghe. I1 governo non era molto favorevole a d affrontare tali problemi durante la guerra. Della regione non si volle parlare trattandosi d i problema assai complesso, e si rimase sulle proposte di una riforma amministrativa e finanziaria che non ebbe attuazione.

5. - I1 18 gennaio 1919 fu pubblicato l'appello « ai liberi e forti del partito popolare italiano. Nell'annesso programma al Libertà ed autonomia degli enti pubblici n. VI era scritto: locali, riconoscimento delle funzioni proprie del comune, della provincia e della regione i n relazione alle tradizioni della nazione e alle necessità di sviluppo della vita locale. Riforma della burocrazia. Largo decentramento amministrativo ottenuto anche


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a niezzo clella collaborazione degli organismi industriali. agricoli e commerciali del capitale e del lavoro ». Fino a quel giorno solo i repubblicani d i tradizione ortodossa favorivano i l regionalismo più p e r fedeltà a l passato che per una valutazione politica d i attualità. All'inizio del 1919 u n nuovo partito, il popolare, ne faceva u n caposaldo del suo programma. La cosa non fece molto rumore: interessava più il fatto che cattolici come tali si presentassero come partito politico (preannunziarrdo così il ritiro del non expedit che avvenne nel novembre siiccessivo), e come u n partito democratico ardito, anziché l e varie affermazioni del programma. che potevano sembrare d i scarsa attualità come quella sulla regione, sulla proporzionale e sul voto alle donne. Delle tre, ia proporzionale venne prima alla còrsa e vinse il traguardo; i l voto alle donne ebbe l'onore di due proposte di legge d'iniziativa parlamentare, affogate nelle spire delle commissioni; la regione fu ampiamente discussa al 3. congresso nazionale del partito popolare tenuto a Venezia nel settembre 1921 ( l ) . I n quel congresso venne a galla la diversità di vedute che i regionalisti (popolari o no) affermavano circa l'istituto della regione. Chi scrive ne era il relatore e sostenne l'autonomia finanziaria e legislativa delle regioni; l'on. Filippo Meda, più cauto per temperamento e già ministro due volte, rappresentò la corrente di coloro che volevano fare della regione u n organo d i decentramento amministrativo senza poteri legislativi. I1 congresso, con u n ordine del giorno approvato da'tutti, accettò la tesi regionalista base per la successiva battaglia parlamentare, senza soffermarsi sulla questione dibattuta fra Sturzo e Meda con la intesa che questa non si reputasse chiusa, né il suo principio compromesso. Già in quel periodo si delineava abbastanza grave i l pericolo fascista ; gli urti locali aumentavano; incendi, imboscate, assalti alle cooperative, invasioni d i municipi si moltiplicavano nell'Emilia e Romagna, nella Va1 Padana e in Toscana. ( l ) Vedi Lcrcr STURZO,Riforme stuiali e indirizzi politici: in I l Partito popolare ittiliann. vol. I , Bologna, Zanichelli 1956.


Sopravvennero. a breve scadenza le dimissioni di Bonomi, il veto a Giolitti, il primo ministero Facta, la discussione della riforma agraria, detta legge sulla colonizzazione interna (approvata dalla camera nel luglio 1922), e subito dopo la seconda crisi Facta e infine la marcia su Roma. I1 problema della regione non era più di attualità. Però risorse nella coscienza degl'italiani durante i l regime fascista, che portò l'accentramento statale fino all'eccesso ; gl'interessi locali furono subordinati a quelli della dittatura; furono soppresse perfino l e voci umane delle associazioni regionalistiche che tenevano in Roma affiatati e in contatto artistico, e culinario, i nativi delle varie regioni d'Italia. Non parliamo della sperequazione economica che fu accentuata fra regioni industriali e regioni agricole, fra nord e sud, né del tipo di colonialismo che fu creato dai ras )) fascisti. I n questo clima la regione fu concepita come liberazione dall'oppressione centrale, rivendicazione di libertà, rinvigorimento delle energie locali, ringiovanimento della struttura dello stato. I partiti emersi dalla caduta del fascismo furono, quale più quale meno, tutti regionalisti e si impegnarono a portare il problema della regione all'assemblea costituente. La Sicilia, anche questa volta come un secolo prima, f u all'avanguardia con il suo problema isolano: regione o stato separato? I1 separatismo fermentato negli uliimi mesi del fascismo, si manifestò apertamente durante l'occupazione alleata. C i furono reali promesse inglesi? Ci furono intese con Londra? La cosa preoccupò chi scrive; egli si interessò a che il Dipartimento d i stato d i Washington avesse chiarito la sua pos'izione circa l'avvenire della Sicilia, e fu lieto quando potè scrivere e potè parlare alla radio di New York: autonomia si, sepuratisnto no. I1 merito di questa posizione va dato alla democrazia cristiana d i Sicilia, che dal congresso di Caltanisetta in poi (1944) distinse l a sua posizione da quella dei separatisti, affermando che l'autonomia doveva essere veramente tale senza equivoci nè attenuazioni. Nominato l'on. Aldisio alto commissario la Sicilia nel 1945, fu dalla consulta siciliana redatto uno statuto che il con-


siglio dei ministri approvò con decreto legislativo del 15 maggio 1946. 11 20 aprile 1947 f u eletta a sistema proporzionale l'assemblea regionale composta di 90 membri; il primo governo regionale fu nominato nel maggio successivo; lo statuto f u introdotto nella costituzione il 31 gennaio 1948. Nello stesso periodo erano stati costituiti come autorità regionali i l consiglio provvisorio della Valle d'Aosta e l'Alto commissariato della Sardegna. F u anche riconosciuto il diritto d i speciale regione al Trentino-Alto Adige, da parte del governo, il cui impegno ebbe anche rilievo a Parigi, durante l a discussione del trattato d i pace (1946). CosÏ l a questione regionale, dopo u n secolo dalle prime impostazioni, la siciliana e la nazionale, veniva rimessa i n esistenza con le due caratteristiche: l a speciale e la nazionale.

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LA REGIONE NELLA COSTITUZIONE

6. - I1 passaggio dall'idea al fatto è sempre penoso: la realizzazione nel concreto; sia pure quella d i formulare una legge, è una creazione. Dopo un secolo i l tentativo è stato fatto. Era naturale che non mancassero le discussioni, le opposizioni, le critiche, le vedute diverse; nessuna meraviglia se attraverso u n tale vaglio, la regione che ci presenta .la costituzione non sia quella che i regionalisti hanno vagheggiato e voluto da sì lungo tempo, e neppure quella che statisti, legislatori, uomini politici e giuristi credevano e credono dovesse essere introdotta nella nuova struttura dell'Italia una. Vari e complessi i problemi affrontati, ma il primo e il più grave da risolvere era quello politico: se e come far entrare la regione nella costituzione senza togliere allo stato italiano il suo carattere unitario e senza attenuarne la solidità politica, nè indebolirne la struttura amministrativa. Mentre nelle costituzioni d i altri paesi europei, e in quelle delle Americhe e del170ceania si trovano strutture statali a tipo federativo, non vi si trovano regioni con autonomie speciali; n è regioni possono dirsi i vari ex-regni nella Gran Bretagna che hanno mantenuto istituti propri per quello spirito d i tradizione e quell'adattamento istintivo, che è di quel popolo, uno e vario, individualista e gregario, libero e disciplinato. Andando a visitare a Londra la chiesa di Santa Etheldreda, seppi che i n quella zona non poteva entrare la polizia, non vi avevano poteri la città e la contea; lo stato stesso ( m i correggo: in Inghilterra non c'è lo stato, tranne che per fissare i rapporti con la chiesa:


ci sono il parlamento, il re e il governo) bene, i l parlamento, il governo e il re non esercitano poteri su santa Etheldreda. Resto di medio evo nel secolo XX, che rivela due cose: il rispetto della tradizione nelle minime cose e il senso d i libertà. Ci sono in Inghilterra le contee che potrebbero essere prese per regioni, come ci sono nellYAmericadel Nord i local Governments ; tutti i corpi autarchici sono chiamati local Governments; i loro diritti tradizionali sono rispettati; ed essi non invadono i diritti del centra1 Government, del governo centrale. Anche l e deliberazioni normative dei corpi locali in Gran Bretagna si chiamano leggi: municipal laws, county laws e così via. I n u n paese. i n cui non esiste costituzione scritta, la tradizione si mantiene salda, si adatta alla storia, e viene meno con moto spontaneo e con dinamismo interno, senza bisogno di rivedere gli statuti e rifarli da capo a fondo. Nei paesi dove la tradizione non vincola e la stessa legge facilmente si viola, si tende alle formule rigide e complicate, al punto che la legge stessa non si esegue se non c'è (com'è i n Italia) u n regolamento di esecuzione, e il regolamento stesso non fa testo se non arrivano per circolari gli ordini del potere amministrativo e ministeriale. Altro esempio di regionalismo di eccezione ci venne dalla repubblica spagnola del 1931, quando fu concessa una certa autonomia ai catalani e ai baschi. I1 tentativo fu contrastato fortemente; fu attuato a Barcellona che p e r difendersi prese verso Madrid un'aria antagonista; i baschi tentarono di riprendere i vecchi privilegi. Ma le rivolte e la guerra civile annullarono quelle autonomie, e Guernica, la città sacra dei baschi, f u bombardata dagli aeroplani di Hitler, che vi fecero il primo saggio dei nuovi metodi di guerra (l). La Spagna non avrà pace se non riconosce l'autonomia di questi-due nuclei etnici. Ma il problema spagnolo non è'paragonabile a quello italiano, neppure nei riguardi dei nuclei allogeni: il tedesco dell'Alto Adige e l'italianissimo (con parlata francese) della Valle di Aosta, per (l) Si sostenne che Guernica f0ss.e stata bombardata dai rossi* ma fu dimostrato che era una voce fatta correre per nascondere la verità dei fatti (N.d.A.).


non parlare dei ~ o c h isloveni di Gorizia, dopo che 171stria ci Ri tolta. La Repubblica tedesca di Weimar riconfermò la struttura pluristatale del caauto impero, ma con l'estromissione delle vecchie dinastie volle attenuare ancora di più l'autonomia degli stati per unificarli nel Reich. L'opposizione della Baviera arrivò al punto che i cattolici si divisero formando un partito popolare bavarese distinto dal partito del centro che mantenne in Baviera per qualche tempo una propria organizzazione. COmunque, il regime di Weimar per quanto attenuato restò sempre federale, e gli stati mantennero una benchè limitata sovranità. L'Austria mantenne le diete locali a sistema decentrato; la Cecoslovacchia fu dualistica per via degli slovacchi, che difesero.fortemente le loro autonomie. Ma qui come nel Belgio (autonomia dei fiamminghi) si trattava di differenze etnico-linguistiche, più o meno accentuate da contrasti politici. I n sostanza, il paese che potrebbe essere preso come esempio di un regime strutturale regionalistico non è altro che la Svizzera con i suoi cantoni. Questi nacquero liberi, difesero e rivendicarono la loro libertà unendosi insieme, combattendosi fra di loro, fin che, attraverso una Storia tenace, forte e gloriosa di sei secoli,-formarono non solo uno stato federale ma una nazione a tre lingue (oggi a quattro): la nazione svizzera. I1 cantone non è uno stato, ma si sente libero e sovrano come uno stato; si è autolimitato confederandosi, ma rimane il fattore efficace, la matrice della confederazione; non ha pregiudizi linguistici e comunica in tutte le lingue; non manca di divisioni politiche in partiti, ma nessun partito viola i diritti del cantone. La regione come concepita dai regionalGti, sarebbe qualche cosa di più delle contee inglesi, qualche cosa di meno dei cantoni svizzeri. Dovrebbe rispondere alle esigenze dell'autonomia locale e dovrebbe inserirsi nello stato unitario senza alterare lo spirito e la struttura. , Questo il problema affidato all'assemblea costituente.

7. - Lo stato di fatto già creato con i ~rovvedimentiadottati per la Valle di Aosta, con la creazione degli alti commis-

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sariati per la Sicilia e per la Sardegna, e gli impegni presi per il Trentino- Aldo Adige, indussero i membri della sottocommissione e poi la costituente stessa a fare una distinzione f r a regioni a statuto speciale e regioni a sistema normale. Alle prim e quattro f u titolarmente aggiunto i l Friuli-Venezia Giulia, con una sospensiva transitoria per ragioni d i opportunità politica (l). Questa distinzione f u dettata assai più dal timore che estendendo alle altre quindici regioni (sedici col Friuli Venezia Giulia) il diritto d i statuti speciali si potesse compromettere l a saldezza unitazia dello stato, mentre limitandola a quattro regioni, due periferiche e due isolane, tutte in condizioni d i evidenti particolarità, il complesso strutturale dello stato sarebbe rimasto saldo. La decisione suddetta, che potrebbe deporre a favore d i una discreta prudenza nell'evitare il cosiddetto «. salto nel buio D, in sostanza derivava da un altro stato d'animo, quello d i voler mantenere intiero e intatto il potere legislativo statale anche in materia locale, e i l timore che dandolo alle regioni potesse ven i r meno quella uniformità d i leggi che non solo a i bigotti e agli ignoranti, m a a molte persone illuminate sembra dover essere uno dei caratteri dell'unità nazionale. Questa fissazione, antica e recente, che l a regione possa intaccare l'unità della patria, non solo h a resa i n sul nascere assai contrastata la istituzione della regione, ma l'ha fatta nascere con tali deficienze e con tante restrizioni, che, come vedremo, ci vorrà della pena a caratterizzarla e renderla vitale. Notiamo ciò non perchè non approviamo la varietà dei tipi e degli statuti, noi che ammiriamo l a varietà degli statuti cantonali della Svizzera, ma perché avremmo amato che l a costituzione si fosse limitata a fissare i cardini de117istituto regionale, lasciando a ciascuna regione, isola o continente, del nord o del centro O del sud, d i darsi il proprio statuto. È vero che chi legge il titolo V della parte seconda della no-

(') (( Alla regione del Friuli-Venezia Giulia di cui all'articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l'articolo 6 n (Disposizioni transitorie e finali della costituzione).


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stra costituzione può' avere l'impressione che sia stato fatto proprio così, m a nella sostanza le sedici regioni a règime ... ordinario (come chiamarle?) hanno poco da mettere nei loro statuti che potrebbero chiamarsi senz'altro regolamenti. I1 primo punto che caratterizza la regione autonoma è la potestà legislativa p e r materie di propria competenza e dentro i l proprio territorio. Così precisò il relatore on. Ambrosini i termini della discussione avvenuta alla sotto-commissione: La divergenza d i vedute, che si era avuta riguardo all'articolo 2 del progetto del relatore (l), continuò e si manifestò più concretamente riguardo agli articoli 3 e 4, che si riferiscono alla potestà legislativa della regione, al punto cioè maggiormente controverso. L'articolo 3 tratta di una potestà legislativa diretta attribuita p e r determinate materie alla regione, coi limiti e le cautele d i cui faremo presto cenno. L'articolo 4 tratta d i una potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dello stato ». I1 progetto dell'on. Lami Starnuti, siccome si è detto, riconosceva alla regione soltanto la potestà normativa per l'attuazione delle leggi dello stato ». Nel sistema proposto dall'on. Grieco si ammetteva anche l a potestà legislativa di « integrazione 1). L'articolo da lui formulato i n proposito corrisponde sostanzialmente all'articolo 4 del progetto del relatore. Esso infatti dice: C La regione h a potestà legislativa di integrazione delle norme direttive e generali emanate con leggi dallo stato p e r le materie di sua competenza e d ogni volta ciò sia espressamente dichiarato nelle leggi dello stato M. L'on. Zuccarini d'altra parte proponeva nel suo progetto ( n . 29) che all'assemblea della regione si attribuisse la legislazione esclusiva su tutte le materie che la legge costituzionale non abbia riservato all'amministrazione generale dello stato ». (C Esaminando i suddetti vari sistemi, il relatore notò che poteva farsi pregiudizialmente una differenziazione fondamentale (l)

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relatore, detto impersonalmenie, è lo stesso on. Ambrosini


fra quello, di più spinto regionalismo, proposto dall'on. Zuccarini e d assecondato in generale dall'on. Lussu, e gli altri tre sistemi rispettivamente proposti dagli on. Ambrosini, Lami Starnuti e Grieco. L'articolo 3 infatti diceva tassativamente che la regione h a nelle materie determinate la potestà legislativa diretta in armonia coi principii della costituzione e delle leggi fondamentali dello stato e nel rispetto degli interessi nazionali », formula alla quale lo stesso relatore propose, per rendere più chiara la disposizione e per differenziarla nel contempo più decisamente da quella dell'articolo P , la seguente variante: ...in armonia con la costituzione e coi principi fondamentali dell'orientamento giuridico dello stato e nel rispetto degli interessi delle altre regioni e dello stato )) ('). Non ostante gli accorgimenti della maggioranza della seconda sotto-commissione, la costituente approvando l'art. 117 stabilì che « La regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato, semprechè le norme stesse non s i a n o i n contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni ». Si ebbe cura i n questo articolo di evitare 1a.parola legge e si sostituì con quella di a norme legislative »; ma negli articoli successivi si parla di « leggi ». Comunque, queste norme o leggi dovranno restare dentro i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato M. P e r u n mediocre filosofo è arduo ammettere che le leggi dello stato) (( stabiliscono principi £ondamentali D. Le leggi sono o debbono essere poggiate su principi fondamentali etici, politici, economici o sociali; questi principi debbono essere validi per tutti, abbiano o no avuta una qualsiasi applicazione legislativa, sia dello stato, sia della regione. Nel caso presente, a parte l'infelice formula di principi fondamentali stabiliti dalle leggi Sello stato, il proponente inten. deva dire che le regioni non potranno porre nella loro legislazione altri principi generali che quelli supposti o enunciati in ogni singola legge dello stato. La parola (C singola fu tolta, per evitare una precisazione inopportuna, potendo la materia di(') Relazione tlell'on. Ambrosini

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Atti dell'assemhlea costituente.

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pendere da varie leggi, spesso da una moltiplicità di leggi (data la ... inflazione legislativa che svaluta i nostri ordinamenti), sì che a ripescare i vari principi generali (non sempre armonici nè coerenti) che sono sottintesi, inclusi o annunziati in ogni singola legge, ci vorrà u n lavoro selettivo da affidarsi agli uffici legislativi dello stato e della regione. Secondo la più stretta interpretazione, data da coloro che discussero a lungo questa tormentata disposizione, le leggi dello stato hanno vigore nelle regioni senza alcuna restrizione. Le assemblee regionali potranno emanare leggi locali di adattamento e di esecuzione. E poiché, aggiungo io, ad ogni disposizione particolare delle leggi dello stato si può trovare un principio generale, come u n chiodo cui appenderla, così la legislazione regionale si potrà ridurre a pura regolamentazione con qualche ritocco più o meno felice. Ci f u chi aggiunse che lo stato può, cambiare principi generali a piacimento; e le regioni subito a C legiferarne » gli adattamenti. Una specie di tela d i Penelope, affidata alle mani ... poco delicate dei componenti il parlamento e i consigli regionali. Si ritenne che anche i regolamenti dello stato avessero vigore nelle materie devolute alle regioni fino a che i consigli regionali delibereranno in merito. Ciò può valere in via transitoria *èr una specie di continuità legislativa che nell'ordinamento italiano esige il regolamento come elemento indispensabile di attuazione. Tra parentesi, ci sono regolamenti che alterano lo spirito delle leggi; ci sono regolamenti atti a ritardare l'eseguibilità delle leggi; ci sono regolamenti che rendono ineseguibili le leggi: si tratta di una selva densa di regolamenti che servono in primo luogo a far aumentare il numero degli impiegati di ogni dicastero, e non si può negare così che una delle finalità delle regolamentazioni è presto raggiunta. Se lo spirito legislativo e regolamentare dello stato italiano invaderà le regioni ( e , la cosa sarà facile per il previsto e non evitabile passaggio del personale dello stato alle singole regioni) noi regionalisti avrem6 mo di che lamentarci per lungo tempo! Quali i limiti imposti ai varii organi legislativi dello stato dal famoso articolo 117 della costituzione? Dovrà lo stato, nelle materie attribuite alle regioni, limitarsi a legiferare per prin-


tipi generali? L'on. Ambrosini fu tassativo quando disse che la costituzione, per l e materie elencate nell'articolo, pone determinati limiti alla potestà legislativa della regione, ma ne pone anche uno allo stato, il quale, per le materie stesse, dovaà limitare la sua legiferazione all'approvazione di principi fondamentali; oltrepassando questo limite, lo stato invaderebbe la sfera riservata alla potestà legislativa delle regioni ». L'affermazione di Ambrosini è logica e giuridica, ma bisogna portarla avanti nelle sue conseguenze: primo, che una legge per principi non sarà mai eseguibile se non si avrà l a corrispondente legge regionale di attuazione; secondo, che se il parlamento emette, nelle materie indicate dall'art. 117, una legge dettagliata con l'ordine di eseguibilità, l e regioni potranno oppugnarla avanti la corte costituzionale. La questione potrà essere sollevata a proposito del disegno di legge Segni sui patti agrari, dato che l'agricoltura è inclusa nell'elenco dell'art. 117 ( l ) . Forse per il fatto che ancora le regioni a tipo ordinario non hanno avuto inizio, il ministro h a presentato u n disegno di legge dettagliato ed esecutivo. Ma dato che per legge è stato fissato al 30 ottobre 1949 l'ultimo termine delle elezioni regionali, la futura legge sui patti agrari non potrebbe avere che efficacia transitoria, fino a che le regioni non delibereranno jure proprio; osservando solo i principi generali della legge. Potrà anche avvenire che una simile legge, invadendo il campo della regione, possa essere impugnata avanti la corte costituzionale. I n questo e in simili casi sarebbe da preferire che il parlamento legiferi scheletricamente per principi (l). A proposito, nel disegno di legge n. 211,,« costituzione e funzionamento degli organi regionali » è stato proposto u n articolo, il 38, che suona così: Le leggi della repubblica che stabili( l ) La Sicilia ha in materia agraria la legislazione esclusiva, limitata solo (C tlalle riforme agrarie e industriali deliberate dalla costituente (articolo 148). ( 2 ) Sembra che si vada insinuando l'idea di stabilire che l e regioni noh potranno legiferare nelle materie proprie se il parlamento non abbia prima approvate le leggi scheletriche. Ecco nn bel modo di paralizzare le regioni in SUI nascere ovvero di produrre una selva di leggi inutili fuori tempo e fuori tono (N.d.A.).


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scono principi fondamentali nelle materie indicate nell'articolo 117 della costituzione entreranno immediatamente in vigore nelle regioni. I consigli regionali dovranno apportare alle leggi regionali le conseguenti necessarie modificazioni 1). Dal fatto che la legge per principi, o scheletrica, entri in vigore, non ne consegue che sia eseguibile, solo importa la -facoltà data a.i consigli regionali di formulare le leggi di applicazione entro u n lasso d i tempo discretamente regolare per preparare il disegno di legge, passarlo alla competente commissione consiliare, farlo discutere e approvare dal consiglio e pubblicarlo ( d o p o le pratiche d i rito) sul Bollettino Ufficiale. Sarà bene soppdmere quell'« immediatamente », proposto secondo il perfetto stile burocratico, non essendo la legge schematica che il primo atto d i una nuova procedura legislativa. I consigli regionali non possono essere. obbligati dall'alto a legiferare essendo organi autonomi e d elettivi. Essi' rispondono dei loro atti al proprio corpo elettorale, i l quale potrà servirsi della petizione o del referendum. Un secondo limite^ imposto dal suddetto articolo 117 è i l séguente: « sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre regioni ». « L'interesse nazionale » al singolare può denotare u n interesse politico, mentre l'interesse di altre regioni non può essere che quello derivante dal fatto territoriale p e r questioni di carattere economico o amministrativo. I1 primo è troppo elastico e può d a r luogo a conflitti di vaLutazione fra assemblee regionali e parlamento, dato che p e r l'articolo 127 della costituzione i contrasti di interessi verranno decisi dalle camere ». , Lo spirito di questa disposizione è chiaro: si è voluto subordinare la potestà legislativa delle regioni a quella del parlamento. I1 criterio giuridico è assai discutibile; quello politico, se di interesse politico si può parlare, non avrebbe base seria. I n u n reale conflitto politico fra potere centrale e potere regionale, il governo può ricorrere ailo scioglimento del consiglio. P e r le violazioni d i legge o per gli eccessi di potere, vi sono i rimedi normali fissati nella costituzione. I1 conflitto di interessi, se derivante da diritti, va espletato avanti le magistrature. I n ogni caso l'intervento politico, se è questo i l senso della frase, sarebbe eccessivo e disturbante.


Se la prima parte dell'articolo 117 è discutibile e dimostra le perplessità a concedere alla regione veri poteri legislativi, l'elenco delle materie attribuite alla competenza regionale dimostra le titubanze di una maggioranza poco convinta dell'istituto stesso che essa faceva nascere.

' A 'complicare la matassa, fu aggiunta alla costituzione una disposizione transitoria, I'VIII, dove si stabilì che ci leggi della repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione i l passaggio delle funzioni statali attribuite alle regioni ». Secondo gli umori del governo e delle due camere, queste leggi larghe o più strette, fino a l punto di ridurre le saranno competenze della regione, siano amministrative che legislative. É vero che tali leggi potranno essere impugnate avanti la corte costituzionale, ma è anche vero che la stessa corte nell'interpretare la costituzione potrà essere larga o stretta secondo l e correnti che vi prevalgono. La costituzione, all'art. 126, prevede anche u n altro organo, quello d i una commissione d i deputati e senatori che dovrà essere « costituita per le questioni regionali con legge 'della repubblica ('). La legge d0vr.à ancora venire e si ignora quali competenze saranno devolute alla detta commissione, oltre quella, fissata dalla stessa costituzione, d i dare il suo parere nel caso d i proposto scioglimento del consiglio regionale. Nel tipo d i stato costituzionale quale è l'italiano le commissioni parlamentari non hanno diritto di interferenza nell'amministrazione governativa nè d i controllo diretto sugli enti locali. Probabilmente si volle escludere il parere del consiglio di stato circa l o scioglimento dei consigli regionali e si preferì u n organo parlamentare per avere u n correttivo più efficace ai possibili arbitri del governo. Poiché non abbiamo ancora la legge, c'è 'da augurare che non si venga. con inopportune disposizioni, a creare u n altro

(1) Nel citato disegno di legge n. 112 i : stato proposto un ,articolo (il 28) col quale si precisa il numero di otto deputati e otto senatori eletti dalle rispettive camere quali componenti la commissione « p e r l e questioni regionali D. La commissione elegge nel proprio seno il presidente e il segretario (N.d.A.).


organo di tutela che imponga una dipendenza parlamentare ai corpi regionali eletti con suffragio universale. Purtroppo, non sono solo questi gli indici della diffidenza legislativa verso la regione; avremo agio di riparlarne quando toccheremo della struttura amministrativa. Ciò non ostante i regiornalisti debbono ringraziare la maggioranza dell'ass~mblea costituente se, attraverso strappi e storture, poté arrivare a dare vita alla nuova creatura. Starà ai regionalisti che saranno messi alla prova, formare un ambiente di fiducia attorno alla regione fin dalla sua prima attuazione.

8. - La potestà legislativa diretta che fu negata 'alle regioni ordinarie, fu invece concessa alla regione siciliana in virtù dell'articolo 1 4 dello statuto dove è scritto: « L'assemblea, nell'àmbito della regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello stato, senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla 'costituente del popolo italiano, ha la legislazione esclusiva sulle seguenti materie ... N. Fra'le materie indicate in questo articolo le più notevoli SOno: agricoltura e foreste, bonifiche, industria e commercio, urbanistica, lavori pubblici, regime degli enti locali, istruzione elementare, musei e biblioteche. Nello stesso statuto c'è una limitazione che a prima vista sembra identica, ma non lo è, a quella dell'articolo 117 della costituzione; per alcune materie quali igiene e sanità, assistenza sanitaria, disciplina del credito, legislazione sociale, istruzione media e universitaga, e simili. Anzitutto la regione ha facoltà, e non dovere, di assumere tali servizi; se l i assume, l a legislazione dovrà essere dentro « i limiti dei principi ed interessi generali cui s'informa la legislazione dello stato 1) (art. 17). La formulazione dei limiti qui è molto più chiara e logicamente più esatta di quella dell'articolo 117 della costituzione. Nel primo ,si parla a di principi e interessi cui si informa la legislazione dello stato N ; nel secondo si parla di « principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello stato 1); nel primo si parla di interessi cui si informa la stessa legislazione, nel secondo si fa riferimento al possibile contrasto con l'interesse nazionale 1). I due tipi di legislazione ammessi dallo statuto siciliano .so-


gliono essere classificati come legislazione esclusiva (art. 14) e concorrente o , integrativa (art. 17); ovvero primaria (art. 14) e secondaria (art. 17). Ma per essere esatti nei due casi si deve parlare di legislazione « autonoma » limi.tata solo p e r l'art. 14 dalle leggi costituzionali e per l'art. 17 dai principi e interessi generali cui si informa la legislazione dello stato. Sicché, nel primo caso, in tutto ciò che non è stato approvato con procedura costituzionale (come la costituzione dello stato e gli statuti speciali) la regione p0tr.à .per le materie dell'art. 14 e nelI'àmbito proprio adottare principi generali diversi da quelli adottati dalle leggi ordinarie dello stato; mentre per l e materie indicate dall'articolo 17, non può oltrepassare i limiti derivanti oltre che dalla costituzione anche dai principi e interessi generali dello stato. Poiché nel primo caso abbiamo disposizioni concretate in formule (leggi costituzionali) e nel secondo abbiamo solo elementi etico-giuridici (principi generali) o dati di apprezzamento (interessi generalik così la legislazione emanata in base all'art. 17 dello statuto siciliano lascia margini di discussione e di controversia assai larghi nell'individuare quei principi e quegli interessi che eventualmente potrebbero essere violati da leggi regionali ('). Dove la dicitura vaga dei testi costituzionali non darà grande appoggio, saranno la giurisprudenza e la pratica che guideranno, con più o meno sicurezza, lo svolgersi dell'attività legislativa della regione. Un punto è stato affermato dall'alta corte per la regione siciliana che, in questo inizio legislativo, merita rilievo, cioè che l e leggi dello stato non abbiano bisogno di essere recepite dalla regione per essere valide. La regione siciliana ha due diritti da far valere se si sentirà lesa: o ricorrere all'alta corte per incostituzionalità, ovvero modificare la legge statale adattandola'ai bisogni regionali (2). Gli altri tre statuti speciali annessi alla costituzione, leggi ( l ) Tra i nove ricorsi discussi e decisi dall'alta corte siciliana tre riguardavano l'applicazione dell'art. 1'7. (2) L'assemblea regionale della Sicilia fin dai primi atti introdusse

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costituzionali anch'essi, precisano la potestà legislativa delle singole regioni più o meno sulla falsariga dello statuto. siciliano, ma con u n giro di parole forse più cauto. Gli effetti pratici saranno probabilmente gli stessi. Ecco l e tre formule: Sardegna (articolo 3) e Valle d'Aosta (articolo 2): « I n armonia .con la costituzione e i principi ilell'ordinamento giuridico dello stato e nel rispetto degli obbligi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della repubblica, la regione ha p0test.à legislativa nelle seguenti materie ... N. L'articolo 4 dello statuto del Trentino-Alto Adige è identico in tutto alla disposizione riportata, meno che nella chiusa dove invece di C( potestà legislativa » è scritto: « ha la potestà di emanare norme legislative D. S e ' l e parole usate non sono il frutto del gusto giuridico del compilatore, si dovrebbe dedurre che nei primi due statuti si tratti d i « legislazione esclusiva » come per la Sicilia; mentre che nel caso del Trentino-Alto Adige la facoltà è solo concorrente e integrativa. La differenza fra i tre e lo statuto siciliano sarebbe solo nell'avere introdotto in questi ultimi « i principi dell'ordinamento giuridico come termine con il quale mantenere armonia. La cosa potrà avere più o meno importanza secondo l'interpretazione pratica e cogente che sarà data alle parole di ordinamento giuridico dello stato N. Ma poiché gli stessi statuti nel distinguere le materie che ricadono sotto la potestà legislativa delle tre regioni, creano ' p e r l e seconde elencate altri limiti, è da conchiudere che con le diciture sopra riportate si sia data alle-tre regioni, con limiti più o meno precisi e larghi, una vera legislazione primaria. Gli altri limiti sono così formulati: Sardegna (articolo 4) e I'rentino-Alto Adige (articolo 5): Nei limiti del precedente articolo e dei principi'stabiliti dalle leggi dello stato la regione emana norme legislative sulle seguenti materie ... ». Valle d i Ao-

nelle sue leggi l'istituto della recezione delle leggi dello stato. L'alta corte, nel caso deciso, qualificò questa formalità come irrilevante. Si trattava dell'applicazione di leggi finanziarie in rapporto all'interpretazione dell'articolo 36 dello statuto. (N.d.A.). >r


sta (articolo 3): La regione h a la potestà di emanare norme legislative di integrazione e d i attuazione delle leggi della repubblica, entro i limiti indicati nell'articolo precedente, per adattarle alle condizioni regionali, nelle seguenti materie.. . D . Le due formulazioni rendono u n suono diverso per quanto l'idea direttiva sia la stessa. I n ambo i casi si tratta d i legislazione integrativa e secondaria per la quale è permessa anche l a modifica delle leggi dello stato per adattarle alle condizioni regionali. Non so fino a qual punto il parlamento italiano sia disposto a legiferare con norme generali. I compilatori dei disegni d i leggi soffriranno parecchio a scrivere pochi articoli sopprimendo quella precisazione soffocante che è nel loro stile. Gli stessi commissari parlamentari avranno difficoltà a limitare il loro desiderio di introdurre emendamenti 1). Le leggi scheletriche saranno una bella novità per l'Italia. Dall'altro lato, le assemblee regionali dovranno fare bene attenzione per non violare quelli che sono « i principi dell'ordinamento giuridico dello stato 1) e per differenziarli da quelli che sono i principi stabiliti dalle leggi dello stato 1) e che logicamente non debbono essere confusi con i principi di ordinamento giuridico. Se poi i l parlamento, invece di limitarsi « ai principi vorrà legiferare sulle norme d i esecuzione 11, allora le quattro regioni a statuto speciale potranno eccepire l'eccesso d i potere o la incompetenza del parlamento, e le altre sedici regioni avranno ben motivo d i f a r lo stesso in base all'art. 117 della costituzione, che p0tr.a essere interpretato i n maniera diversa dall'opinione personale espressa da coloro che lo formularono.

9. - La potestà legislativa, sia esclusiva sia concorrente, attribuita alle regioni è limitata alle materie fissate nella costituzione o negli statuti speciali. La discriminazione tra regi?ni e regioni f u dovuta al fatto che gli statuti speciali furono proposti dalle consulte locali e poi elaborati al centro, mentre le disposizioni inserite nella costituzione furono elaborate dalle varie commissioni dell'assemblea costituente che poi le approvò i n maniera transattiva fra regionalisti e antiregionalisti, i quali


ultimi ricorsero alle votazioni segrete per sabotarle. Non so se possa darsi cosa più irragionevole dell'abuso che i gruppi della costituente fecero della votazione segreta, nella speranza di attrarre così qualche palla in più, da ... « convittori » che temevano l'occhio indiscreto del « prefettino ». Così avvenne che per pochi voti furono sottratte alle regioni alfabeticamente e industrialmente più progredite, quali il Piemonte, la Lombardia, l a Liguria, il Veneto, materie come quelle dell'industria e commercio, che, invece, furono lasciate alla Sicilia, alla Sardegna e alla Valle d'Aosta. Non si può mettere in dubbio che le camere di commercio abbiano carattere locale (così fu che il Trentino-Alto Adige le rivendicò a sè) e non si comprende la resistenza fatta dal ministero dell'industria e commercio per volerle sotto la sua competenza. , Coloro che si sono opposti a che l'industria e i l commercio fossero date alle regioni, a tutte le regioni, ubbidivano a idee di pianificazione, di monopoli statali, di fav0ritism.i statali. Se c'è u n settore nel quale governi e'camere si siano mostrati, in più di mezzo secolo, impari a dirigere e regolare l'economia del paese, è stato proprio in quello industriale. Le crisi che sono cadute sulle spalle del cittadino italiano partono proprio dal centro governativo, che in tale materia ha sempre seguito una politica dannosa e a lunga scadenza irrimediabile. I regionalisti hanno ragione a voler sottrarre allo stato quella parte delle industrie e dei commerci che ha carattere regionale. Anzitutto le regioni non hanno nè la zecca, nè il torchio; non hanno diritto a regolare 1: tariffe doganali; non possono addossarsi nessuna Ansaldo nè buttare i denari che non hanno in nessuna Cogne; le creazioni tipo IRI mancherebbero di base nelle regioni. È vero che le regioni interessate all'dnsaldo, alla Cagne, al171RIpotranno rivolgersi a Roma e sollecitarne i provvedimenti ; ma se tali provvedimenti incidessero sulle altre regioni, ci sarebbe per lo meno una discussione o un conflitto di interessi, che servirebbe a far evitare i decreti affrettati tipo FIM, o gl'impegni di integrazione dei costi come nelle commesse delle navi estere. Scrivendo questo, non nego che lo stat.0 debba intervenire e

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debba anche affrontare i problemi della nazionalizzazione o statalizzazione, come l'Italia liberale fece a suo tempo con l e ferrovie e con l'istituto delle assicurazioni, senza attendere l e demagogie pianificatrici rosse o gialle. Basta guardare gli Stati Uniti divisi in quarantotto stati, (stat i e non regioni), e la Svizzera divisa in ventidue cantoni (cantoni e non regioni), per non parlare del Regno Unito, del Canadà, dell'Australia e della Nuova Zelanda, per accorgersi che l'economia del paese non è turbata, ma resa più potente dal concorso e dalla vigilanza di singoli stati o cantoni sugli atti del potere centrale. Altra materia attribuita alle quattro regioni a statuto speciale, ma sottratta alle regioni di diritto comune, è stata quella della istruzione. La Sicilia h a la legislazione esclusiva sull'istruzione elementare, i musei, le biblioteche e le accademie, e a sua facoltà può avere la legislazione limitata dai principi generali sull'istruzione media e universitaria. La Sardegna ha la legislazione di integrazione e attuazione in tutta la materia scolastica. La Valle d'Aosta ha la istruzione tecnico-professionale e le biblioteche e musei di enti locali, come legislazione primaria; la istruzione elementare e media come legislazione secondaria. Nello statuto del Trentino-Alto Adige la istruzione postelementare e di avviamento professionale è stata attribuita alle provincie, mentre circa l'ordinamento scolastico vi sono disposizioni rispondenti alla situazione mista di popolazioni italiane e allogene. Milanesi e pavesi, fiorentini e pisani, torinesi e genovesi, veneziani e padovani, romani e napoletani si domanderanno per quale ragione di inferiorità non potranno le loro regioni avere voce in capitolo nell'ordinamento della istruzione elementare e media, nei musei e nelle accademie e perfino nelle loro gloriose università, più gloriose nel tempo antico che non sotto l'unificazione e l'uniformismo del fu regno d'Italia. Ma no: la repub-i blica nega. loro il diritto di occuparsi della istruzione (tranne l'artigiana e la professionale) perchè il mastodontico ministero della P.I. deve mantenere statizzati e regimentati i maestri e l e maestre: i professori e. gl'insegnanti, occupandosi ~ e r f i n odei

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trasferimenti, permessi e coricorsi e pensionamenti di tutto i l personale scolastico compresi bidelli e uscieri. Quanto un tale accentramento sia dannoso per l'istruzione italiana, non c'è persona con la testa sulle spalle che non lo aff e r m i ; ma tra i l vecchio pregiudizio liberale » contro la scuola libera e contro la scuola dipendente dagli enti locali, e il nuovo sindacalismo scolastico, che crede d i garantire il maestro solo se h a la marca d i impiegato statale, coloro che domandano a gran voce libertà per la scuola, non hanno che i l conforto d i rileggere gli articoli 33 e 34 della costituzione e sperare nel futuro ordinamento, nel quale l'insegnamento dell'arte e della scienza sarà « libero », e nel quale le istituzioni di alta cultura avraniio ordinamenti autonomi, quanto « i limiti delle leggi dello stato » con l'aria che tira, saranno assai più stretti di quelli che generali » o derivano dai « principi giuridici N o dai « dallY«interesse nazionale » che formano i limiti dell'attività normativa delle regioni ! Altra materia sottratta alle regioni ordinarie è stata quella del credito e del risparmio, mentre molto opportunamente si trova elencata negli statuti speciali nelle seguenti posizioni: Sicilia fra le materie facoltative e a legislazione concorrente: « disciplina del credito, delle assicurazioni e del risparmio 1) ( a r t . 17); Sardegna con potestà secondaria: limitatamente alle istituzioni e ordinamenti degli enti di credito fondiario e d agrario, delle casse d i risparmio, delle casse rurali. dei monti frumentari e di pegno e delle altre aziende d i credito di carattere regionale ; relative autorizzazioni » (art. 46) ; Valle d'dosta con potestà integrativa e d i attuazione sulla istituzione d i enti d i credito d i carattere locale ( a r t . 3 ) ; Trentino-Alto Adige con potestà secondaria sull'« ordinamento degli enti di credito fondiario, d i credito agrario, casse d i risparmio e casse rurali nonché delle aziende d i credito a carattere regionale » (articolo 5). I1 problema che più ha interessato,Valle d7Aosta e TrentinoAlto Adige è stato quello delle acque e della energia elettrica. Le soluzioni fissate dagli statuti sono state u n compromesso lungamente discusso fra i rappresentanti delle rispettive regioni C i rappresentanti dello stato. E r a necessario che ciò avvenisse p e r legge costituzioiiale allo scopo di ben precisare i diritti recipro-


ci. Le clisposizioni adottate p e r la Sicilia e la Sardegna circa l e acque non diedero motivo a discussioni trattandosi di isole. Tutte le altre materie attribuite i n più alle regioni a statuto speciale, che non si trovano elencate nell'articolo 117 della costituzione, non danno luogo a seri rilievi. Quel che ha dato una certa preoccupazione ai tecnici specializzati è stato i l passaggio delle foreste sotto la competenza della regione, di tutte le regioni. Si h a paura che l e regioni siano meno gelose della conservazione e 'tutela delle foreste che non sia lo stato, e che il corpo forestale venga a perdere di autorità, sì che l'avvenire del regime forestale del paese n e sia

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,Non nego la giustezza d i simili preoccupazioni; ma a essere sinceri, se le foreste italiane sono state massacrate, se l e condizioni delle nostre montagne, specie nel mezzogiorno, sono pessime, grave è la responsabilità che pesa su tutti i governi passati, proprio i n questo ramo, misconosciuto, abbandonato, rovinato. Non credo che le regioni saranno finanziariamente i n grado d i ovviarvi. C'era una grande occasione per iniziare la bonifica forestale, quella del piano ERP: il governo fin oggi l'ha deplorevolmente trascurata, e non si vede i l segno di una minima resipiscenza. I quattro o cinque miliardi sul fondo-lire messi a disposizione del ministero dell'agricoltura e dieci miliardi più o meno sciupati per i cosiddetti cantieri di rimboschimento, saranno cerotti sopra una gamba d i legno, se non s a r a i no denari buttati a l vento. Domani i l governo sarà spinto dalle regioni a fare quel che non avrà fatto fin oggi, o le regioni saranno spinte e guidate dal governo a fare quel che i l governo non avrà potuto e saputo fare. Nego che l'istituto della regione tolga al governo ogni responsabilità in materia forestale. Posso e debbo credere, nell'interesse del nostro paese, che sarà questa una nuova occasione p e r fissare u n programma i n grande per la sistemazione idraulico-forestale in tutte le regioni, da u n capo all'altro d'Italia, perché più o meno tutte le montagne debbono essere considerate come « zone depresse! n.


Se Serpieri h a attaccato la competenza regionale per le foreste, Jandolo l'ha attaccata per l'agricoltura. P u r essendo essi tecnici di primo ordine e di grande esperienza, mostrano di avere in materia d i agricoltura e d i foreste una fiducia verso i l governo centrale che questo non ha mai meritato dacché l'Italia è stata unita. Tanto più che essi non ignorano quali i progressi fatti da tutti gli altri paesi civili in materia di politica agraria e forestale, .mentre l'Italia è rimasta indietro di mezzo secolo. Ho già parlato delle foreste; limitandomi all'agricoltura hasterà guardare lo stato in cui si trovano le stazioni sperimentali: basterà constatare a che siano ridotti gli istituti di credito agra; rio e quale carenza di provvedimenti adatti ne abbia impoverito la stessa inadeguata potenzialità del passato; basterà ricordare la battaglia del grano e i danni che recò al regolare sviluppo produttivo della nostra agricoltura ; ' basterà osservare l'economia armentizia del mezzogiorno e le isole per restarne rattristati ; basterà informarsi dell'opinione degli americani dell'ERP circa i nostri sistemi di bonifica agraria per convincersi ancora di più che in materia di agricoltura l'Italia è una reale zona depressa. Non dico che l e regioni faranno meglio; è possibile che ci siano quelle che faranno bene e altre che faranno male; il ministero potrà spingere, coordinare, integrare le iniziative locali, proporre leggi schematiche, fissare principi generali sui quali l e regioni saranno chiamate a legiferare, mandare ispezioni e missioni tecniche da per tutto. E se, come è oggi per il piano ERP, il ministero dell'agricoltura avrà miliardi a disposizione, nell'assegnarli potrà mettere quelle condizioni che riterrà più tecnicamente opportune. Saranno anche le regioni che con leggi locali potranno rendere più utile o meno dannosa (secondo l e località) la legge sui patti agrari che è davanti al parlamento, Non metto in dubbio i poteri di emergenza, specie in materia di alimentazione, che ha lo stato, sia esso unitario o confederale. Agitare questo tema contro l e regioni ( o contro i cantoni in Svizzera o contro gli stati in America) dimostrerebbe passionalità o superficialità. Sarà bene che il prof. Serpieri e i l prof. Jandolo facciano u n confronto fra l'agricoltura e la silvicoltura svizzera e la no-

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stra. Essi sono bene informati che la politica agraria è competenza assoluta dei cantoni, mentre la Confederazione ha solo diritto di alta vigilanza sulla polizia delle opere idrauliche e delle foreste (art. 24). Niente di più, ma questo basta. È da augurare che l'Italia possa arrivare, in queste e in altre materie, al livello della Svizzera.

10. - La direttiva di cooperazione fra regione e stato dovrebbe essere la politica del futuro. I3 chiaro che si deve giuridicamente precisare il campo di azione degli organi del nuovo istituto che viene a inserirsi nella struttura dello stato nazionale. Ma è anche ovvio che i rapporti debbono basarsi sulla reciproca fiducia. Vedremo più in là perchè nell'esperimento siciliano sia in parte mancata simile fiducia. e quale danno abbia recato all'isola che ne ha subito le conseguenze. Se il più discusso è stato il problema della natura e dei limiti della potestà legislativa della regione - potestà che ha destato le opposizioni degli antiregionalisti e le riserve di certi regionalisti - i l più favorito è stato quello del decentramento per regioni. anche da coloro che temono che l'autonomia possa scompaginare la struttura statale. In materia di decentramento di servizi di stato, l'Italia non ha mai mancato di fame larga esperienza. La istituzione di tribunali e di corti di appello locali è un decentramento dell'amministrazione della giustizia; un tempo c'erano anche le cassazioni largamente regionali, che per amor di unificazione quasi dispotica furono purtroppo soppresse. Le intendenze di finanza sono+molto localizzate, hanno gi,à qualche potere delegato,. che potrebbe essere anche più largo; bene o male funzionano da organi decentrati. Organi decentrati sono i compartimenti ferroviari, i provveditorati per le opere pubbliche, gli uffici distaccati di un certo numero di enti statali (strade, foreste, ecc.) che localmente adempiono, bene o male, i loro compiti. Non parliamo dei provveditori agli studi, degli uffici sanitari ~rovinciali,degli uffici del lavoro, dei circoli postali e telegrafici, degli organi locali dell'industria e commercio, degli ispettorati agrari e forestali. Non c'è ministero che non si

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sia installato i n tutte le regioni e i n moltissime provincie, i n distretti, circondari, comuni, si clie sarà difficile sopprimere u n numero sempre crescente d i uffici locali dello stato, ora che, sorta la regione, questa dovrebbe subentrare in un'eredità per tanta parte fallimentare od oherata d i grosse ipoteche. Breve, decentramento dei servizi statali esiste e ha dato buoni e cattivi frutti, come tutte le cose d i questo mondo. È mancata e manca una cosa sola a tanta folla d i burocrazia locale: l'opera del libero cittadino eletto da liberi cittadini che cura gli interessi delle comunità locali di liberi cittadini. Vi è i l funzionario della periferia che,ubbidisce. al funzionario dei centri ministeriali dai quali dipende, e che vede i problemi locali attraverso altri occhi che non sono quelli locali. Portati p e r virtù d i carriera da u n punto all'altro del paese, secondo i l passaggio di grado e d i funzione, i funzionari vivono in luogo una vita precaria i n attesa del posto definitivo. La parola burocrazia viene dalla Francia e significa dominio del burò, cioè degli impiegati degli enti pubblici, clie tendono a creare u n sistema uniforme per tutto i l paese per potere dentro i l sistema regolare le attività pubbliche. Non si mette i n dubbio nè la necessità dell.'organizzazionc burocratica dello stato nè i l vantaggio dei rapporti normali fra centro ~ e r i f e r i ap e r l'andamento regolare dei servizi, n è la benemerenza della classe impiegatizia, che invece d i burocrazia (termine critico) dovrebbe chiamarsi, come in Inghilterra, « civi1 service » : servizio civile. Ma non si può nè si deve sostituire i l potere libero col potere burocratico; ognuno al suo posto. Dove lo stato deve funzionare da solo, a l centro o alla perlferia, siano organi statali a disimpegnare i servizi; quando lo stato può chiamare i cittadini a portare il loro contributo libero e cooperatore, se li associ; quando i l cittadino deve curare gl'interessi del natio luogo, municipio o' provincia o regione, sia il cittadino del luogo ad amminjstrare e dirigere gli enti locali. La regione h a tre funzioni: quella d i amministrazione autonoma degl'interessi propri; quella d i cooperazione con l o stato p e r gli interessi comuni quello d i decentramento per gl'interessi centrali sul posto.


I1 vantaggio notevole che se ne avrà sarà anzitutto quello di dissipare la mentalità già formatasi per via della centralizzazione statale, poi accentuata dalla perversione dittatoriale, che a tutto debba provvedere lo stato. Siamo arrivati a l punto che senza interventi statali nulla regge più in Italia, nè economia privata, nè amministrazione pubblica d i comuni, provincie e opere di beneficenza, nè qualsiasi iniziativa d i interesse comune. Lo stato non interviene senza ingerirsi e senza f a r pagare il suo intervento con la perdita della libertà, dell'ente favorito. Si soffoca i l paese con gli enti statali; non ce n'è uno che non abbia da cinque a dieci funzionari statali come amministratori e sindaci d i azienda. Anche se dovessero andare bene, è impossibile che non vadano male, con tanti controlli e vincoli dentro i quali si infilano gli intrighi e gl'interessi privati. Bisogna cominciare a rifare l'autonomia finanziaria degli enti pubblici locali e generali. Ogni ente abbia l e sue entrate, se l e amministri da sé, con propria responsabilità e senza pretendere nulla dallo stato. Se lo stato (parlamento e governo) vorrà perseguire speciali fini di interesse pubblico, nazionale o locale, assegni suoi fondi a tale scopo, li gestisca possibilmente a mezzo dei suoi organi normali o li affidi agli enti locali. purché la gestione sia semplice, a scopo fisso e a termine dato. La costituzione ha giustamente stabilito che le « regioni hann o autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della repubblica, che la coordinano con la finanza dello stato, delle provincie e dei comuni n (art. 119). Chiaro: senzà autonomia finanziaria la regione, anche dotata di larga potestà legislativa, sarebbe u n ente senza reale autonomia, ridotto pari a qualsiasi altro ente che dipenda dallo stato. I l governo non ha ancora presentata alcuna legge sulla finanza regionale, m a ne sono in corso gli studi. Le disposizioni finanziarie p e r le quattro regioni a statuto speciale, sono state u n tentativo di approssimazione, che dovrà essere verificato dai risultati. Nello statuto siciliano fu data alla regione il diritto d i deliberare tributi riservando allo stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto. I1 gettito rispet-

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tivo è stato nel primo anno del 61 per cento circa alla regione e del 39 per cento allo stato. Essendo sorte varie contestazioni circa l'estensione e la portata dell'art. 36 dello statuto, con decretolegge fu stabilito u n regolamento provvisorio fra stato e regione, che è quello che vige. Per esso l a regione riscuote, paga i suoi servizi e rimborsa lo stato dell'ammontare delle spese che questo fa per i servizi non ancora passati alla regione. Diverso è stato i l sistema adottato per l e altre tre regioni a statuto speciale: per principio è stata fissata una percentuale sul gettito delle entrate principali dello stato e sono state devolute certe entrate particolari, ovvero a carattere locale. P e r la Sardegna le entrate e le percentuali sono state fissate nello statuto (articolo 3); per la Valle di Aosta, le percentuali saranno fissate dallo stato sentito il consiglio della Valle (articolo 12); per i l Trentino-Alto Adige la determinazione-sarà fatta ogni anno « d'accordo fra il governo e il presidente della giunta regionale 1) (art. 60). Non si può a priori portare un giudizio su questi vari metodi, p u r essendo legittimi nella loro stessa varietà. Si dovrà vedere se e quanto possano essere sufficienti ai servizi regionali, tenuto conto del naturale sviluppo e dei semizi e delle entrate. Quel che importa sia per l e regioni speciali sia per l e altre è che l e entrate siano discretamente sufficienti; né troppo larghe né troppo strette; che i servizi si conducano con la più scrupolosa economia, senza esagerare nelle spese; che la regione sorta senza debiti debba tenersi lontana dal fare debiti' per l e gestioni ordinarie, ma solo, in casi specialissimi per opere non solo di utilità generale, ma sostanzialmente redditizie, sì da produrre almeno quanto possa bastare per redimere i debiti. Se si incomincia così e si persevera così, la regione avrà u n avvenire; altrimenti sarà catalogata fra gli invalidi di diritto pubblico, parassita dello stato, come tutti gli enti autonomi, autarchici, statali, parastatali, commissariali che han pullulato e pullulano ancora sul bel suolo d'Italia.. I1 coordinamento delle finanze della regione con quelle dello stato, l e provincie e i comuni, voluto dalla costituzione, è saggio, legittimo e da perseguire con ogni sforzo. Però, la materia è molto complessa, e dovrà essere inquadrata in quella riforma



che abbiano speciali bisogni cui provvedere o eccezionali iniziative da sostenere. Fra queste la stessa costituzione sottolinea « la valorizzazione del mezzogiorno e delle isole »'. La cosiddetta q e s t i o n e meridionale è una catena al piede del nostro paese, semp;e presente? sempre discussa, mai affrontata i n pieno. Oggi è all'ordine del giorno. Errori, incomprensioni, egoismi, dissipazione di forze sono stati i fattori umani, oltre quelli naturali, che hanno reso cronica per più d i ottant'anni la crisi meridionale. Che la costituente abbia sentito i l dovere d i porre il problema sul piano nazionale, è da reputarsi grande merito. Ai propositi così solennetilente affermati debbono seguire i fatti; e il governo attuale h a promesso d i utilizzare i fondi ERP anche a questo scopo. A proposito del quale, così scrivevo .di recente su vari giornali: « É venuto i1,momento per u n risorgimento meridionale completo nel quadro del più largo risorgimento nazionale. C< I canoni d i questo risorgimento sono tre:

1. « che l'economia nazionale è una e solidale; non vi è un'economia del nord ( l a preferita) e un'economia del sud ( l a trascurata); dalle Al'pi al Lilibeo (Sardegna compresa) la economia è unitaria. Le differenze naturali e storiche a danno del sud debbono essere attenuate non abbassando il livello del nord m a elevando il livello del s u d ;

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2. (( che un sud agricolo di fronte a u n nord industriale è uno « slogan >) che non ha senso. Nell'economia moderna agricoltura e industria si dànno la mano; moltissime industrie utilizzano i n parte o in tutto i prodotti agricoli; ogni giorno,più le' due economie si completano perché la popolazione delle industrie meccaniche non potrà mai vestirsi di acciaio e mangiare ghisa, e la popolazione delle produzioni agricoleanon può farsi l e case di paglia e l e pentole d i granturco. « Ma se un'economia agricola povera fosse il destino del mezzogiorno, questo non sarebbe mai posto in condizione d i poter assorbire la merce prodotta dalle imprese del nord, siano Ansaldo, Breda, Fiat, Caproni, anche se dovesse pagarla con moneta già svalutata dal gettito di miliardi che sono andati e che andranno ad Ansaldo, Breda, Fiat e Caproni. Né il mezzo-


giorno potrebbe utilizzare le navi mercantili d e l l a ' Finmare ( i l cui costo sarà stato pagato anche dai « terroni 1)) non avendo prodotti da poter spedire a Biienos Aires, New York e Calcutta;

3. che si aboliscano, infine, l e protezioni invisibili ( e perciò arbitrarie) attraverso permessi di importazione e concessioni di valute; che si sopprimano i monopoli diretti e quelli indiretti fatti di privilegi dati a enti e società formati con denaro dello stato; che cessi l'afflusso d i denaro pubblico a d aziende deficitarie e insanabili. È u n passivo che pesando sulla nazione incide di più sulla economia povera e contratta del mezzogiorno e delle isole. « Conclusione: il risanamento dell'economia nazionale e la rivalorizzazione dell'economia meridionale devono essere alla base di un'azione concorde fra tutti gli italiani ( l ) . A questo stesso criterio di ricostruzione nazionale, e non certo particolaristico, come qualcuno sussurra spesso a proposito d i questione meridionale, sono state inspirate certe disposizioni che si trovano negli statuti speciali delle quattro regioni. Nello statuto siciliano è stato previsto che C< Lo stato verserà annualmente alla regione, a titolo di solidarietà nazionale, una somma da impiegarsi, in base ad u n piano economico, nell'esecuzione di lavori pubblici D. Quest'obbligo è stato inizialmente e parzialmente riconosciuto nel decreto legislativo del 5 marzo 1948 n. 121 e nella legge del 29 dicembre 1948 n. 1522 sui lavori pubblici per la disoccupazione invernale. Nello statuto sardo all'art. 8 sono indicati contributi straordinari dello stato per particolari piani di opere pubbliche e d i trasformazioni fondiarie; e all'art 13 è detto che « lo stato col concorso della regione dispone u n piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell'isola n. Nello statuto valdostano sta scritto all'art. 1 2 che « P e r provvedere a scopi determinati, che non rientrino nelle funzioni normali della Valle, lo stato assegna alla stessa, per legge, contributi speciali 11. ( l ) Vedi Il Mercantile di Napoli, 16 ottobre 1948, Siciliu clel Popolo di Palermo, 16 ottobre 1948.

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La regione tridentina alto atesina ha avuto assegnato tale sistema tributario oltre le fonti patrimoniali, da presumersi che basti da sé anche per la soluzione d i problemi speciali. I n questo i compilatori dello statuto han dato prova di preferire (come avrebbe fatto chi scrive) l'auto-sufficienza finanziaria piuttosto che invocare ogni quarto d'ora i concorsi statali. È da sperare che anche le regioni meridionali e isolane arriveranno, con sana amm-inistrazione, con serie iniziative e. con vigile attività a divenire autosufficienti,. I1 che renderà u n gran servizio anche al carattere dei nostri uomini politici, del centro e della periferia, perché i rapporti fra stato, enti locali e popolazioni vengano mantenuti nella linea della. più rigida- amministrazione e -della più schietta dignità.


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LA REGIONE NELLA COSTITUZIONE

11. - La costituzione agli articoli 118 e seguenti fissa la struttura politica e amministrativa della regione a base elettiva e democratica. La costituzione demanda a una legge ordinaria « i l sistema d'elezione, il numero e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità » e stabilisce che « nessuno può appartenere contemporaneamente ad u n consiglio regionale e a una delle camere del parlamento, o a u n altro consiglio regionale ». I l divieto è stato opportuno per evitare non solo il cumulo delle cariche (come è purtroppo uso per i consigli comunali e ben altri consigli d i enti statali e para-statali) ma anche per la diversità e in certi casi opposizione d i responsabilità e per i l buon andamento dei corpi elettivi, non avendo gli onorevoli il privilegio della « bilocazione 1). È prevalso il sistema elettorale diretto segreto e a rappresentanza proporzionale, così per la Sicilia nelle elezioni delf'aprile 1947, p e r il Trentino-Alto Adige i n quelle del dicembre 1948. Così sarà per la Sardegna secondo l'art. 16 dello statuto. I n quello della Valle d i Aosta (art. 16) è detto solo che i trentacinque consiglieri saranno eletti « a suffragio universale, uguale, diretto e segreto, secondo l e norme stabilite con legge dello stato sentita la regione » (l). È già avanti la camera il disegno d i legge governativo del 1 0 dicembre 1948 n. 212 dove è previsto il sistema proporzionale per le elezioni delle altre regioni, sistema ( l ) Le elezioni per la Valle d'Aosta, a sistema maggioritario, sono state fissate per il 24 aprile 1949: quelle della Sardegna per 1'8 maggio 1949.


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del resto adottato oltre che per la elezione dei deputati alla camera, anche p e r la elezione dei consiglieri dei comuni al disopra d i 30 mila abitanti. Ad evitare l'inconveniente di mag.gioranze composite e deboli, Sèmbra che verrà applicato i l metodo D'Hont. Ma più che i metodi elettorali, dovrebbe correggersi l a mentalità elettoralistica di partiti improvvisati, formati da gruppi pe.rsonalistici e locali, che servono a far disperdere voti e sminuzzare la rappresentanza elettiva. L'educazione politica occorre con qualsiasi sistema; educazione che non si è mai potuta fare in Italia sia perché i l suffragio universale fu adottato per l a prima volta nelle elezioni del 1913 e la proporzionale in quelle del 1919-e del 1921, sia p e r la triste parentesi fascista del 1922-1943, nonché per la guerra e il dopoguerra. Le elezioni ripresero con quelle municipali del 1945, poi quelle p e r la costituente de1.1946, e via d i anno in anno con prove continue, locali e generali; così il pubblico si abituer.à, forse, all'esercizio del voto come un dovere, una responsabilità e u n rischio. È da sperarlo. Gli organi della regione sono più o meno calcati su quelli degli enti locali: consiglio, giunta, presidente regionale. I1 consiglio regionale avrà una sua presidenza, come l'aveva i l vecchio consiglio provinciale. La costituzione all'art. 121 delinea la figura d i tali organi e rimanda ai singoli statuti regionali la precisa~ionedelle competenze e delle funzioni, secondo lo sviluppo che prenderà l'amministrazione regionale. Negli statuti speciali ci sono alcune disposizioni caratteristiche di poco rilievo. Si tratta d i materia soggetta all'esperienza; ogni precisazione a priori può guastare ( l ) . L'impostazione costituzionale e statutaria, organica e funzionale, dà alla regione carattere prevalentemente amministrativo, p e r quanto il sistema elettorale possa impegnarvi troppo i partiti. Una certa fisionomia politica è data alle regioni da due disposizioni costituzionali: la prima, all'articolo 57, dove

( 1 ) All'art. 38 dello statuto sardo è stabilito che u i mernbri della giunta hanno diritto di assistere alle sedute del consiglio anche se non ne facciano parte D. È così ammesso il diritto di nominare nella giunta membri estranei al consiglio (N.d.A.).

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è detto che il senato è eletto a base regionale, u n senatore ogni duecentomila abitanti o frazioni da centomila in s u ; e dentro i limiti (eccezion fatta per la Valle di Aosta) di non meno d i sei senatori per regione. Si voleva dai regionalisti creare u n collegamento istituzionale fra regione e senato; per maldestrezza d i commissari e incertezza di partiti, si finì col ridurre i l collegamento a una leggera sfumatura elettorale. La battaglia f u perduta in pieno e nella costituzione ne rimasero solo le traccie. P i ù fortuna ebbe la regione per la nomina del presidente della repubblica. alla quale partecipano tre delegati per ogni regione eletti dal consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze D. La Valle dlAosta h a u n solo delegato ( a r t . 83). P e r la prima elezione del presidente della repubblica, avvenuta nel maggio 1948, la disposizione transitoria I1 sospese indirettamente l'intervento della rappresentanza regionale della Sicilia (l'unica già costituita), perché non erano costituiti (( tutti i consigli regionali n. La partecipazione dei consigli regionali alla elezione del presidente della repubblica con cinquantotto elettori (se il Molise farà regione a sé), dà alla regione una certa caratteristica organica istituzionale che nella costituzione rimase appena accennata. Invece che elementi strutturali di politica organica e costriittiva si teme che le regioni divengano focolai d i infezione politica. I paesi latini quando fanno politica, la portano fino alla esagerazione. I n questa ripresa democratica, dopo che il nostro paese ha subito dure esperienze dittatoriali, è stato dato u n aspetto così esageratamente politico a tutta la vita pubblica (compresa quella amministrativa dei piccoli comunelli) che sarà difficile riportarla a più sano orientamento. Purtroppo, i l primo debutto regionale siciliano è stato inficiato da tale politica. Le sinistre, volendo ricreare a Palermo quel tripurtito che a Roma andava in frantumi, forti del numero dei seggi e manovrando sui piccoli partiti, hanno costretto l'assemblea a fare discussioni politiche quasi in ogni seduta; hanno proposto una ventina di voti di sfiducia e non ci sono


riusciti per quei due o tre o cinque voti che, come si dice, « hanno salvato la situazione 1). Anche i due rami del parlamento eletti il 18 aprile 1948 sono attaccati dalla filòssera politicodemagogica p e r la posizione presa dal comunismo d i servirsi degli istituti parlamentari a fini extra-legislativi. In questo clima ogni ente amministrativo si trasforma i n politico o si infetta di politica a scopo di parte. Nessuna meraviglia se la politica, la falsa politica, abbia infestato tutte le pubbliche amministrazioni. Non si tratta di malattia nuova per l'Italia, si tratta di riaciitizzazione dovuta alla situazione difficile d i questo dopo guerra. , Occorre curarla con una dieta rigida, almeno negli enti locali dove la logorrea politica dovrebbe essere bandita, a vantaggio del metodo amministrativo. Ogni sforzo in questo senso sarà proficuo, specialmente per mantenere alle regioni, fin dal loro inizio, il proprio carattere. Uno dei motivi delle riserve che si vanno insinuando contro le regioni è dato dalla domanda che si rivolge i n tono d i rimprovero ai regionalisti: « cosa succederà se una regione cadrà i n mano ai comunisti? » Si parla principalmente delle regioni della « linea gotica ».Debbo dire la verità che la domanda non m i preoccupa più d i quell'altra: « cosa accadrà se i comuni di Torino, Genova e Milano (il triangolo famoso) cadranno in mano ai comunisti? » I primi due ci sono già da due anni circa: Milano h a qualche tinta più sbiadita ma mostrò la sua vera faccia quando si trattò della rimozione del prefetto Troilo. Posizioni scontate queste, come saranno fra u n anno scontate l e posizioni regionali di' Toscana e d Emilia - Romagna se « cadranno » in mano comunista (l). Le rivolte, se mature, si possono tentare senza avere in mano l'amministrazione delle- regioni; se non sono mature, non si possono tentare nemmeno se si avranno i n mano le amministrazioni delle regioni. Se poi i futuri consiglieri regionali rossi violeranno l e leggi, (l) Per i comunisti valgono assai di più le roccheforti delle Ansaldo, delle Breda e delle Cogne che tutti i comuni e le provincie e l e regioni in mano loro (N.d.A.).


si arrogheranno poteri che non avranno, trasformeranno le reroccheforti, ci saranno di sicuro i commissari del gioni in governo a fare il loro dovere, e la commissione parlamentare a dare il parere per lo scioglimento di siffatti consigli regionali. Le situazioni sono quelle che sono: l'ambiente nazionale è contrario alle avventure; ma è anche contrario ad aver paura delle avventure, che è quella debolezza che fa cadere nelle trappole. La forza di una maggioranza è quella di essere e sentirsi tale in ogni evenienza; il giorno che cede all'impulso della paura, si frantuma. A meglio classificare i l carattere amministrativo della regione, la costituzione ha previsto la figura del commissario del governo ( n e l decreto che approva le norme di attuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige c'è anche un vice commissario che risiederebbe a Bolzano). I1 commissario « sopraintende alle funzioni amministrative esercitate dallo stato e le coordina con quelle esercitate dalla regione (art. 124). La formula dell'articolo non è felice, e tradisce le perplessiti politiche e l e incoerenze giuridiche che tormentarono i nostri costituenti. Quali saranno queste funzioni amministrative esercitate dallo stato? Non quelle amplissime che hanno oggi i prefetti su provincìe, comuni e opere pie. Se a qualche cosa serviranno l e regioni, sarà proprio a tutelare le autonomie locali e a vigilare sulle amministrazioni della regione. Ciò risulta dall'articolo 130 della costituzione e dagli statuti speciali, con norme diversamente formulate ma aventi tutte lo stesso scopo: statuto siciliano articoli 14, 15 e 1 6 ; statuto sardo articolo 46; statuto valdostano articolo 43 ; statuto trentino-alto atesino articoli 5 e 54. Nella costituzione è detto anche che la regione può delegare le sue funzioni alle provincie e a i comuni o ad altri enti locali valendosi dei loro uffici (art. 118). Lo stesso risulta dagli statuti speciali. Stando all'indagine a cui ci obbliga l'interpretazione dell'art. 124 della costituzione, dobbiamo pertanto escludere che tra l e funzioni amministrative esercitate dallo stato e affidate al commissario del governo ci siano quelle di vigilanza e di controllo sugli enti locali. Forse sovraintenderà costui ai geni civili per

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i compiti statali: porti, strade nazionali, edifici deIIo stato e simili? E che ci starà a fare il provveditore regionale alle OO.PP.? Forse avrà ingerenza sugli intendenti di finanza? Sui medici provinciali? Sui provveditori? Sugli stessi prefetti, se e in quanto i prefetti resteranno nel quadro dell'amministrazione civile? Nel decreto per le norme d i attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige del 12 dicembre 1948 n. 1414 c'è già ingrandita la figura d i questo commissario del governo (articoli 16-22), con uffici, personale e competenze tali da obbligare ad abolire i prefetti, passando anche la polizia ai nuovi venuti ; .così quel che u n giorno si chiamava (C prefetto da ora i n poi si chiamerà, nel Trentino, commissario del governo ». P e r u n anno e mezzo hastava a Palermo il prefetto a farla anche da commissario del governo; ora ci saranno i n Italia altri venti funzionari con sede propria, indennità, uffici bene attrezzati, e ciò per un modesto lavoro d i coordinamento, che si h a l'impressione ingrosserà per strada, a beneficio della carriera civile e del fiinzionarismo statale.

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Qualche cosa di più si trova nel disegno di legge n. 211 Costituzione e funzionamento degli organi regionali D. Nel costruire quell'organo di controllo sulle regioni, del quale si parla all'art. 125 della costituzione, è proposto i l commissario del governo quale presidente mentre sarebbe stato giusto che vi fosse proposto u n funzionario della corte dei conti o del consiglio d i stato o chiunque altro non'abbia veste politica. La lotta ingaggiata fin dal 1901 dall'associazione dei comuni e dall'unione delle provincie contro l'ingerenza amministrativa dei prefetti, quali presidenti dei consigli d i prefettura e delle giunte provinciali amministrative, dovrà forse essere iniziata da ora in poi contro questa ibrida figura del commissario del governo. Ciò sarebbe assai strano oggi in regime repubblicano per enti quali le regioni, mentre poteva essere non dico giustificato ma inquadrato, i n regime monarcliico e per enti locali d i minore importanza. Bisogna ritornare ai principii: l'autonomia amministrativa h a per hase la distinzione netta fra politica e amministrazione; l'ingerenza politica nelle pubbliche


an~ministrazionilocali è stata uno degli errori più gravi commessi in Italia dal risorgimento ad oggi. 11 controllo di legittimità e casualmente d i merito, quale fissato negli statuti speciali, è più o meno sulle linee schematiche della costituzione, con l'aggiunta di garanzie contro l'ingerenza politica che possono reputarsi soddisfacenti. I n quello sardo è stabilito che C( u n rappresentante del governo ( è tolta l'antipatica denominazione di commissario) (C sovraintende alle funzioni amministrative dello stato non delegate e le coordina con quelle esercitate dalla regione n. La formula assomiglia con lieve variante all'articolo 124 della costituzione. L'articolo 33 è ricalcato sull'articolo 127 della costituzione, ma vi è stata omessa l a parola (C commissario del governo n, sostituita con governo della repubblica D ; vi è stata introdotta la condizione che per 1,a dichiarazione d i urgenza occorra la maggioranza assoluta » ( i l legislatore sembra abbia dimenticato che le elezioni del consiglio regionale vengono fatte col sistema proporzionale). Nello stesso statuto non c'è parola circa i l relativo organo; l'omissione f u voluta, p e r evitare ogni ingerenza prefettizia o commissariale. Nello statuto valdostano, all'art. 45, si parla d i «. èommissione di coordinamento 1) ( i l nome soddisfa meglio gli autonomisti). composta d i u n rappresentante del ministero dell'interno, uno del ministero delle finanze e uno designato dal consiglio della Valle; a tale commissione sono demandati ( a r t . 46) il controllo cli legittimità e il diritto di richiesta di riesame. Nello statuto del Trentino-Alto Adige (articoli 76-77) il titolo è C( commissario del governo n, i l quale oltre a coordinare e vigilare lo svolgimento delle attribuzioni dello stato ( t r a n n e giustizia, difesa e ferrovie) vigila sull'esercizio delle funzioni delegate dallo stato a (C regione, provincia e comuni ( è naturale) e compie gli atti demandati dalle leggi al prefetto in quanto non siano affidati ad organi locali. Circa il controllo sulla legislazione regionale ( e provinciale) è applicato per intiero il testo dell'articolo 127 clella costituzione con fraseggio leggermente modificato. Lo statuto siciliano prevede il commissario del governo solo per promuovere, se del caso, l'impugnazione delle leggi regionali avanti l'alta corte p e r la regione siciliana e per proporre l o scioglimento dell'assemblea regionale (art. 8, 27 e 28).


I1 controllo sugli atti della regione è esercitato per statuto dalle sezioni del consiglio di stato e della corte dei conti ( a r t . 23). Di questa speciale legislazione parleremo più avanti. I n conclusione, il regime speciale delle quattro regioni è inspirato a criteri di più larga autonomia; non ci sono motivi perché, con i giusti adattamenti, tali criteri non debbano essere applicati alle altre regioni.

12. - Data l'istituzione della regione, fu messa in dubbio la coesistenza della provincia, come ente autonomo, p u r ritenendola utile come organo d i decentramento sia statale che regionale. La questione fu dibattuta anzitutto sopra il terreno aspro dell'esclusione dell'uno o dell'altro istituto; poscia si convenne in sede costituzionale, di lasciare la provincia sia come ente autonomo sia come organo di decentramento. Le disposizioni relative sono contenute negli articoli 128 e 129 della.costituzione c o i u n rimando a leggi generali della repubblica, per determinarne l e funzioni. Quella qualifica di leggi ((generali lascia perplessi. Si è voluto, interpretando frasi staccate e dichiarazioni affrettate di membri della commissione della costituente, vederci la intenzione di leggi uniformi per tutte le provincie ( e i comuni), il che è assai discutibile, data la esistenza di statuti regionali speciali. Intanto nel disegno di legge per le elezioni dei consigli regionali è stato introdotto un titolo riferentesi alla nomina delle deputazioni provinciali a carattere provvisorio fino alla modificazione del testo unico della legge comunale e provinciale. La provincia, nel vecchio ordinamento, non era solamente un ente amministrativo per certi determinati servizi locali, ma era un organo politico-amministrativo locale nel quale gli eletti per i consigli provinciali cooperavano in via subordinata con le aut0rit.à statali per i servizi a carattere misto. 11 prefetto era non solo il capo dei servizi statali nella provincia e il presidente degli organi di tutela, sì bene anche il capo dell'amministrazione provinciale. 1 consigli erano convocati contemporaneamente in sessione ordinaria i n tutte le provincie del regno e in tale occa-


sione i cittadini facevano i rilievi politici e amministrativi sia di carattere locale che generale. I n seguito, al prefetto f u tolta la presidenza dell'amministrazione provinciale (deputazione), ma egii interveniva nelle sedute del consiglio e apriva la sessione a nome del re. Ricordo che nella sessione ordinaria dell'agosto 1905, intervenendo p e r la prima volta quale consigliere provinciale di Catania, feci l e più ampie affermazioni d i autonomia, augurando che mai più si vedesse u n prefetto aprire le sessioni in nome del re ed assistervi quale autorità, cosa che repugnava ad i n consesso libero eletto da liberi cittadini. Nell'ambiente d i Catania, dove allora dominava il socialismo semi-ministeriale d i De Felice Giuffrida, il mio discorso sembrò più a sinistra dei rossi, e l'on. De Felice dovette intervenire appogg;ando i . miei. voti con .un certo mal celato disappunto. I1 prefetto i n carica, p u r essendo mio amico personale, dovette protestare contro gli apprezzamenti che si riferivano al governo e all'autorità dello stato. Allora la lotta per le autonomie comunali e provinciali era generale in Italia e i congressi nazionali si succedevano annualmente con u n crescendo di consensi anche da parte radicale e liberale ( l ) . Chi scrive ne fece parte fin dalla fondazione e ne fu per ventiquattro anni consigliere e vice presidente. Ho accennato a questo episodio per i bigotti di oggi, ricordando fatti d i oltre quarant'anni fa, per mettere in evidenza che non si tratta nè d i improvvisazione, nè di reazione antifascista, sì bene d i una dottrina, che può essere contraddetta, mai trattata come una montatura nè come u n tradimento alla nazione. La provincia ebbe u n colpo secco dal fascismo quando fu soppresso i l vecchio ordinamento, e venne a cessare l'unica voce delle popolazioni locali. Del resto chi avrebbe avuto il coraggio di protestare contro Mussolini, come si faceva ai bei , tempi contro Crispi o contro Giolitti? Allora la provincia con(') Fecero parte del consiglio dell'Associazione dei comuni e n e furono presidenti i liberali senatori Greppi, Lucca e Teofilo Rossi; n e furono consiglieri i sindaci d i Roma, Borghese e Nathan, l'assessore Rossi Doria e altri (1V.d.A.).

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correva con i rappresentanti dello stato alla tutela d i merito dei comuni e delle opere pie, aveva rappresentanza i n vari corpi statali amministrativi e finanziari, fissava regolamenti e tutelava iniziative cooperando così in certo modo, con lo stato, p e r quel poco che uno stato accentratore e uniforme poteva permettere. Purtroppo, i n Italia l'indirizzo amministrativo è andato peggiorando, per avere dato vita a enti centrali e periferici per ogni servizio, senza mai più utilizzare l'ente provincia (come nel primo tempo della unificazione) e sottraendo alla sua conipetenza servizi tradizionalmente a d essa attribuiti. La finanza provinciale in genere regge poco per provvedere ai servizi attuali. Si è presa l'abitudine d i dare concorsi integrativi dello stato, invece di rinsaldarne la finanza con provvide leggi. Così le provincie sono andate ad accrescere gli enti parassiti, che piatiscono ai ministeri qualche briciola delle lire fatte in serie dal torchio. Attendiamo, perciò, con una certa diffidenza la riforma della finanza locale - che dovrebbe essere come vuole la costituzione coordinata tra comuni, provincie, regioni e stato - perché fin oggi si va i n u n circolo vizioso: non si potrà fissare il fabbisogno delle provincie (limitandoci a queste, per i l tema in esame) fino a che non saranno precisati tutti i servizi ad essa spettanti; nè si potranno troppo ampliare tali servizi senza una congrua finanza. Dall'altro lato, se non si rinsangua, la vita provinciale minaccia di rimanere anemica e sterile. La grande riforma amministrativa che si attende, dovrebbe dare alle provincie tutti i compiti assistenziali periferici, quali essi siano, regionali e statali o parastatali. Oggi ogni ministero h a la mania d i creare propri organi periferici: la moltiplicazione di centinaia d i enti p e r cento provincie ci darebbe un'elefantiasi funzionale senza precedenti. Naturalmente, quale burocrazia centrale non desidera avere i propri dipendenti sul posto da potere trasferire a piacimento? ogni ministero è oggi u n regno chiuso che svolge tutte le sue funzioni d a sé; questa idea è talmente radicata nella mente del nostro funzionario che sarà pressoché impossibile modificarla 3


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del resto i primi a d opporvisi sono i ministri che arrivati a quel posto credono di doveici stare per tutta la vita. \ La provincia organo\\di decentramento statale e regionale , sarà avversata aiiclie perche la pioviriciti è e deve iestaie oigaiìu \ elettivo; i burocrati di Roma odiano gli organi elettivi, al punto che si pensa (spero che sia u n falso allarme) di riordinare le camere d i commercio con presidenti nominati per decreto dal ministro dell'industria. Mentalità fascista che perdura ! P e r giunta non si h a il coraggio d i ridurre al giusto numero il personale reclutato negli uffici periferici dei ministeri e degli enti statali e parastatali. I n Italia u n qualsiasi avventizio chiamato per pochi giorni in una pubblica amministrazione, diviene inamovibile. L'assemblea e lo stesso governo regionale siciliano (l) sernbrano affetti di mimetismo in materia di creazione d i enti centrali e periferici, e tendono anch'essi a fare degli assessorati u n regno chiuso e incomunicabile. F i n ora si tratta d i sintomi; ma se saranno accettate le proposte d i leggi di iniziativa. parlamentare )) per creazione di enti di diritto pubblico, ne nascerebbe tale rete d i uffici, tale folla d i impiegati intrecciantisi con c~uelli dello stato, da venirne fuori una spesa senza pari e uno sminuzzamento di servizi che p e r ciò stesso porterebbero sia all'inflazione del personale come pure alla paralisi funzionale. Purtroppo la mentalità formatasi in Italia sotto il fascismo non è cambiata; chi h a avuto il torto-di essere stato all'estero durante quei tristi anni si sente spaesato e perde la pazienza al solo vedere questa folla d i enti parassiti, di uffici inutili, di specializzazioni senza competenze, di complicazioni d i servizi senza che il cittadino ne sia veramente servito. Se la provincia verrà rifatta su basi salde, anche come ente di clecentramento statale e regionale, avremo risolto uno dei p i ù gravi problemi della pubblica amministrazione. Secondo noi è stata buona idea, quella di evitare pel momento la ricostruzione dei consigli provinciali e lasciar la questione '\

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A l centro c'è stata una critica piccina sul titolo di governo regio-

nule, titolo che è nello statuto e che risponde all'antico modo di nominare

le ninministrazioni locali. modo rimasto in uso in Inghilterra (N.d.A.).


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impregiudicata per l'avvenire ( l ) . Se il cittadino eletto ha desi/ derio di sfogarsi con lunghi discorsi, pazienza, ci saranno parla/ mentini 1) in tutta Italia (oltre il parlamento nazionale) dove poter fare il giorno notte e parlare ciaLcuno per due o tre ore di seguito. Averne altri cento, uno per ogni provincia, sarebbe un'inflazione alquanto esagerata. I1 lettore non creda che nel d i r ciò, abbia intenzione di svalutare l'istituto parlamentare che non solo io rispetto ma che reputo al disopra di qualsiasi istituto pubblico, essendo di per sé indice di libertà ed espressione della volontà popolare. Ma non posso non mostrare il rincrescimento degli amici veri della libertà, per l'abuso che si fa del parlamento e delle assemblee degli enti pubblici (compresi i consigli comunali) rendendone difficile il funzionamento e alterandone il carattere prevalentemente deliberativo. I troppi discorsi potrebbero essere anche utili se impedissero la fabbrica affrettata delle leggi, ma al contrario spesso la lungaggine dei discorsi dà motivo a d accelerare l'approvazione degli articoli dei disegni di legge. Ad un organo strettamente amministrativo e prevalentemente di decentramento statale e regionale, come è concepita la nuova provincia, basterebbe un nucleo ristretto di persone che debbono intendersi, organizzare, realizzare. Nel disegno di legge n. 212 è stabilito che le deputazioni provinciali saranno composte da otto a quattordici membri, secondo la popolaz<one di ogni provincia (art. 20): preferirei il numero dispari. É stata proposta per tale corpo la elezione di secondo grado. Essi sarebbero scelti per metà dai sindaci della provincia; l'art. 26 vi mette dentro i commissari per i comuni che non hanno sindaci, ma è da preferire che i commissari siano tenuti in disparte non potendo essi rappresentare democraticamente un comune. L'altra metà verrebbe nominata dai consiglieri regionali eletti nella provincia relativa. La proposta è troppo localistica e toglie alla nomina i l carattere d i solidarietà e di ~ o r r e s ~ o n s a b i l i tregionale. à Forse i compilatori si saranno preoccupati dei colpi di maggioranza

( l ) Non mancano i favorevoli alla ricostituzione immediata dei consigli ~rovinciali:l'unione delle provincie si è pronunciata in questo senso e anche non pochi deputati (N.d.A.).


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di un consiglio regioqale che non tenga conto dell'orientamento politico della provincia,,cosa purtroppo non improbabile in questo clima arroventato di politica di partito. La proposta disposizione è di carattere transeunte, vaievoie solo per la prima ricostituzione delle deputazioni provinciali, con rimando alla riforma degli enti locali, comunali e provinciali, in corso di elaborazione. Pertanto, l'esperimento gioverà a farne constatare i vantaggi e gli inconvenienti. Lo stesso disegno di legge precisa per i deputati provinciali e per il presidente della deputazione, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità. Sarà bene estendere la incompatibilità a tutti i sindaci e a tutti i deputati provinciali della regione, che per ragioni amministrative possano essere elettori nella provincia, e ciò sia per il dovere della residenza personale sia per evitare il cumulo di cariche e di responsabilità. Negli statuti speciali, le provincie hanno avuto diversa sorte. Quello siciliano è radicale: all'articolo 15 è scritto che (C Le circoscrizioni provinciali e gli organi ed enti pubblici che ne derivano sono soppressi nell'àmbito della regione siciliana. « L'ordinamento degli enti locali si basa nella regione stessa sui comuni e sui liberi consorzi comunali, dotati della più ampia autdnomia amministrativa e finanziaria. cc Nel quadro di tali principi generali spetta alla regione la legislazione esclusiva e l'esecuzione diretta in materia di circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali ». Nel fatto, l'assemblea regionale, pur chiamata dall'art. 16 dello statuto a dare corpo al nuovo ordinamento amministrativo, fin oggi non ha preso alcuna decisione. In ciò è stata prudente sia perché l'esperienza ha potuto servire a far comprendere la necessità di mantenere la provincia amministrativa (non parlo di quella politica) come ente autonomo e come organo di decentramento, sia perché anche l'esperienza del primo periodo di amministrazione servirà meglio alla scelta dei servizi che si dovranno decentrare e del modo di attribuirli alla provincia. Lo statuto sardo all'articolo 43 stabilisce che « Le provincie di Cagliari, Nuoro e Sassari conservano l'attuale struttura di enti territoriali » e all'art. 44 che (5 La regione esercita normal-


mente le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali o valendosi dei loro uffici D. i La regione valdostana h a ovviamente assorbito in sé la provincia trattandosi d i regione uniprovjnciale a tipo proprio. I1 Trentino-Alto Adige ha invece conservato e regolato le due provincie, .Trenta e Bolzano, con caratteristiche proprie. date le condizioni speciali delle zone a! popolazione allogena. Ogni regione pertanto avrà u n buon margine d i iniziative p e r poter regolare i problemi che derivano dall'ordinamento provinciale, p e r attuare il proprio decentramento e coordinarlo, d'accordo con gli organi dello stato, con u n decentramento statale che semplifichi i servizi e che, senza esagerata soprastruttura, risponda meglio ai bisogni locali.

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13. - La parte più importante dell'oydinamento locale risiede-,negli organi di controllo della legittimità e in certi casi del mèrito. Da 'mezzo secolo a oggi piovihcie e comuni si 'sono agitati p e r scuotere il giogo del controllo politico, formato dalle giunte provinciali amministrative, dai consigli di prefetture, dai prefetti investiti d i poteri larghissimi e dal ministero dell'interno i n cede di ricorso. L'unico organo che è rimasto quasi immune dagli attacchi degli autonomisti è stato il consiglio di stato, nel doppio carattere di organo consultivo e di organo giurisdizionale. Ora, finalmente, è giunto il momento della realizzazione di una riforma radicale quale auspicata dagli autonomisti, come pure da giiiristi disimpegnati da preoccupazioni politiche e burocratiche. L'articolo 130 della costituzione fissa le linee di questo nuovo ordinamento: « Un organo della regione, costituito nei modi stabiliti da legge della repubblica, esercita, anche in forma decentrata, i l controllo d i legittimità sugli atti delle provincié, dei comuni e degli altri enti locali. I n casi determinati dalla legge può essere esercitato il controllo d i merito nella forma d i richiesta motivata agli enti deliberanti di riesaminare l a loro deliberazione n. Nell'attesa d i simile legge, sarà bene indicare i criteri clie dovrebbero essere tenuti presenti. Evitare anzitutto di reintrodurre i n tale organo il prefetto o di darvi posto al commissario


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del governo nominat? p e r l e regioni. Bisogna farla finita con l'ingerenza politica nègli organi di controllo; se abbiamo severamente biasimata la pioposta d i mettere i l commissario del governo a presidente della commissione diL controiio p e r l a regione, sarebbe addirittura contro lo spirito della costituzione introdurla i n quel che è chiamato « organo della regione ». I n secondo luogo, ammettiamo che ci siano dei tecnici dell'amministrazione statale come membri referendari, che partecipino con voto consultivo alle sedute di tali organi in sede consultiva; mentre con l'intervento d i due legali a voto deliberativo nominati da organi dello stato su cinque componenti (gli altri tre nominati dalla regione) sarebbe da istituire l'organo di primo grado di giustizia amministrativa. I quattro statuti speciali hanno alcune disposizioni che meritano di essere messe in rilievo. Lascio p e r ultimo l'ordinamento siciliano che nel complesso h a preso u n aspetto interessante, da meritare u n esame particolare e accurato. Lo statuto sardo (articolo 46) e quello valdostano (articolo 43) rimandano a legge regionale. armonizzata con i principi delle leggi dello stato, quel che la costituzione rimanda a leggi della repubblica. Lo statuto del Trentino-Alto Adige ha una serie di disposizioni particolari che regolano le competenze della regione e delle provincie, e all'art. 78 stabilisce che nella regione vengano istituiti organi d i giustizia amministrativa di primo grado secondo l'ordinamento che sarà fatto con legge della repubblica. I1 valore della disposizione d i questo articolo risiede nellit- seconda ,parte: Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della regione D. Così resta soddisfatto i l desiderio della provincia di Bolzano. Lo statuto siciliano all'articolo 23 stabilisce che Gli organi giurisdizionali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. « Le sezioni 'del consiglio d i stato e della corte dei conti svolgeranno a l t r e s i % l efunzioni, rispettivamente consultive e di controllo amministrativo e contabile. « I magistrati della corte dei conti sono nominati, d i accordo, d a i governi dello stato e della regione. « I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria


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contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal presidente regionale, sentite le sezioni regionali 'del consiglio di stato D. I1 problema che rese perplesso i l consiglio dei ministri fu principalmente quello di istituire in Sicilia due sezioni del consiglio d i stato, la consultiva e la giurisdizionale; si cercava una formula p e r salvare lo spirito del citato articolo, creando u n organo locale con funzioni pari a quelle del consiglio di stato e con eccezioni che non ferissero le disposizioni statutarie. Dopo lunga elaborazione e lo studio di vari schemi, si arrivò al decreto legislativo del 6 maggio 1948 n. 654 dal titolo Norme p e r l'esercizio nella regione siciliana delle funzioni spettanti a l consiglio di stato (Gazzetta Ufficiale n. 135-15 giugno 1948). I1 nuovo organo è stato chiamato: Consiglio d i giustizia amntinistrativo p e r l a regione siciliana, e ad esso spettano l e funzioni indicate dall'art. 23 dello statuto. 11 consiglio è presieduto da un presidente di sezione del consiglio d i stato; i n sede consultiva è composto da due maiistrati del consiglio di stato, u n prefetto e quattr6 esperti; in sede giurisdizionale da due magistrati del consiglio d i stato e due giuristi professori di diritto delle università o avvocati abilitati al patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori. Solo il. prefetto è designato dal ministero dell'interno; presidente e magistrati sono designati dal presidente del consiglio di stato, espérti e giuristi sono proposti dalla giunta regionale. La combinazione è risultata tecnico-giuridica e non politica ; i l primo inizio ha avuto u n largo consenso di stima per merito delle persone scelte a posti così delicati. Quel che interessa notare è che mentre i l predetto consiglio regionale esercita le attribuzioni devolute dalla legge a l consiglio d i stato i n sede giurisdizionale nei riguardi degli atti e provvedimenti definitivi dell'amministrazione regionale e delle altre autorità amministrative aventi sede nel territorio della regione, esercita anche in grado d i appello l e funzioni attribuite a l consiglio d i stato, i n sede giurisdizionale, sulle decisioni della giunta provinciale amministrativa o altri organi che potranno essere istituiti (art. 5). Nello 'stesso articolo 5 sono previsti i casi di ricorso al consi,


glio di stato a s e z i ~ n i ~ r i u n i t nelle e, quali partecipano di diritto \ due magistrati del consiglio regionale. > I Mentre per le due sezioni del consiglio di stato f u adottata la nuova soluzione, per la corte dei conti si credette meglio istituire a Palermo le due sezioni, quella di controllo e quella giurisdizionale volute dall'articolo 23. Alla prima sezione sono sottoposti gli atti del governo .e dell'amministrazione regionale e il rendiconto .generale della regione, nonché tutti gli atti degli. organi locali dello stato che per le leggi vigenti sono sottoposti a tale controllo. Alla competenza della sezione giurisdizionale vanno soggetti i giudizi sui conti dei tesorieri ed agenti contabili della regione, i giudizi di responsabilità, i giudizi sui ricorsi e sulle istanze concernenti il trattamento di quiescenza degl'impiegati, i giudizi in grado di appello delle decisioni dei consigli di prefettura. Nei casi ammessi per l'appello, questo va alle sezioni riunite della corte dei conti. La soluzione adottata per la corte dei conti, che gi.à aveva un precedente iniziale durante l'alto commissariato, è risultata soddisfacente e utilissima all'organizzazione amministrativa della P regione. Le sezioni di altri organi giurisdizionali centrali che sono previste dal citato articolo dello statuto (fra le quali una sezione della cassazione) non sono state finora istituite, non ostante l e reiterate richieste del presidente regionale. Solo venne ad essere costituita l'alta corte per la regione siciliana regolata dagli articoli dal 24 al 30 dello statuto e dal decreto legislativo del 15 settembre 1947 n. 942. I giudici.sono sei, nominati tre dalle due camere riunite insieme ( p e r la prima volta dall'assemblea costituente) e tre dall'assemblea regionale con l'aggiunta di u n supplente per parte. I sei nominano i l presidente e il procuratore generale (l). ( l ) Per la prima nomina furono eletti dall'assemblea costituente il presidente della corte dei conti, A. Ortona, i l prof. Bracci dell'università di Siena e l'on. Umberto Merlin; dell'assemblea regionale l'on. V. E. Orlando, il prof. don Luigi Sturzo e I'avv. Giovanni Selvaggi. I sei elessero presidente l'on. I. Bonomi e procuratore generale il magistrato G. Messina i quali per vari motivi declinarono la nomina e furono rispettivamente sostituiti dall'ex-avvocato generale G. Scavonetti e dal magistrato E. Eula (N.d.A.).


Due sono i compiti dell'alta corte: giudicare sulla costituzionalità delle leggi emanate dall'asseniblea regionale e delle leggi e regolamenti dello stato rispetto allo statuto siciliano, e giudicare dei reati compiuti dal presidente e dagli assessori regionali nell'esercizio delle loro funzioni dietro accusa dell'assemblea regionale o del commissario del governo. I ricorsi contro l e leggi regionali sono promossi da u n commissario nominato dal governo dello stato, e dal presidente della regione o anche dal commissario del governo .contro le leggi e i regolamenti dello stato. Una disposizione è conte-nuta negli articoli succitati che a prima vista può sembrare giuridicamente discutibile, ma clie p u r i n una forma non chiara dimostra i l fine legittimo cui tende. L'art. 29 prescrive: cc 1'alta"corte decide sulle impugnazioni entro venti giorni dalla ricevuta delle me'desime ». I1 comma seguente dà la chiave di questa prescrizione così inusitata: «Decorsi otto giorni, senza che al presidente regionale sia pervenuta copia dell'impugnazione, ovvero scorsi trenta giorni dalla impugnazione, senza che al presidente regionale sia pervenuta da parte dell'alta corte sentenza di annullamento, le leggi sono promulgate ed immediatamente pubblicate nella Gazzetta U#iciale della regione 1). I n sostanza, l'articolo non può imporre all'alta corte u n termine perentorio, oltrepassato il quale possa ritenersi decaduta ogni azione giudiziaria. La corte, se vi sarà u n motivo legittimo, potrà f a r passare i termini segnati; i l solo effetto del ritardo al di là del termine sarà quello di dare alla regione (trattandosi di legge regionale) i l diritto di pubblicarla sulla propria Gazzetta Ufiiciale e darvi esecuzione. Se poi l'alta corte si pronunzierà per l'annullamento della legge, tutti gli atti eseguiti i n forza della stessa cadranno nel nulla. Non sarebbe forse anche questa la sorte delle leggi e dei regolamenti dello stato, impugnati dalla-regione, nel caso che l a decisione dell'alta corte fosse per l'annullamento? cadrebbero i n non essere anche tutti gli effetti ~ r o d o t t idalla esecuzione d i tali leggi o regolamenti, dato che leggi e regolamenti statali sono esecutivi entro u n termine a p a r t i r e dalla data 'della pubblicazione nella Gazzetta uBiciaLe; non essendo soggette (come sono


le leggi regionali) alla conoscenza preventiva d i alcuna autorità, L' nè potendo la loro pubblicazione essere sospesa per l'impu\t. gnazione che ne facciano le regioni. Lo scopo dei termini fissati dall'articolo 29 dello statuto siciliano è ben chiaro; si è voluto evitare che l'impugnazione d i incostituzionalità fatta dal commissario del governo avesse l'effetto di una sospensiva a tempo indeterminato, potendosi i l procedimento legale presso l'alta corte protrarre per mesi ed anni. Onde, se ciò avvenisse al di là dei trenta giorni prescritti, le leggi regionali potranno essere senz'altro promulgate e pubblicate. I1 caso è avvenuto nel settembre 1948, quando l'alta corte, p u r convocata p e r i l 3 settembre, sospese l'esame dell'impugnazione del commissario Vittorelli, contro la legge sul riparto dei prodotti agrari. Passati i termini, il presidente regionale non pubblicò la legge in attesa di u n amichevole componimento che era i n corso. Ma il commissario privatamente fece rilevare che la disposizione dello statuto era tassativa e quindi la non pubblicazione creava un'incertezza legale che poteva essere lesiva del diritto dei terzi. La regione però attese i l promesso ritiro del ricorso, i l che avvenne prima che la legge fosse pubblicata e avesse quindi vigore legale. A parte il caso in parola, l'alta corte h a avuto fin oggi cura di emettere le sue decisioni dentro i termini fissati dall'articolo 29. Sia nel periodo delle discussioni per il coordinamento dello statuto da parte della costituente, sia durante l'esame da parte clella commissione senatoriale del disegno di legge previsto dal comma dell'articolo 137 circa le norme per la costituzione e i l funzionamento della corte costituzionale, si è affacciato il proposito della soppressione dell'alta corte per la regione siciliana. I1 ministro Grassi portò al consiglio dei ministri del 5 gennaio 1948 i l disegno d i legge riguardante tale soppressione, ma il consiglio ritenne che in base alla norma VI1 delle disposizioni finali e transitorie della costituzione, l'alta corte debba continuare le sue attribuzioni fino all'entrata i n funzione della corte costituzionale della repubblica 1) (comunicato ufficiale). Essendo però gli statuti speciali dichiarati legge costituzionale, ed essendo stata pronunziata la incostituzionalità della disposizione di legge che autorizzava per clue anni la procedura


ordinaria per l e modifiche dello statuto siciliano, qualsiasi atto che riguarderà l'alta corte per la regione siciliana dovrà essere approvato con la fissata dall'articolo 138 della costituzione ( l ) . Qualcuno si è domandato come mai la consulta siciliana abbia avuto l'idea di una corte costituzionale esclusivamente per la Sicilia. La ragione è una sola: il siciliano è diffidente p e r istinto e per esperienza ; in politica non ha mai dato credito alle promesse dei governi centrali, fossero stati un tempo quelli d i Napoli o di Madrid e sotto il periodo unitario, quelli d i Torino, Firenze e Roma. L'ultima fase, la fascista, colmò la misura. Anche la Roma antifascista portava il peso del passato. Fidarsi è belie,non fidarsi è meglio. Ecco la vera origine dell'idea di un'alta corte, a tipo paritetico esclusivamente per la Sicilia. I1 fatto che sia stata costituita la corte costituzionale non diminuisce le diffidenze isolane verso la legislazione statale, proprio per uno stato d'animo che direi storico; anzi l e accresce p e r la canea giornalistica e politica che si è scatenata contro la Sicilia, per l'atteggiamento tenuto dalla stessa ,costituente circa il coordinamento nell'approvare il famoso emendamento Persico-Dominedò, per la stessa fretta che si dimostra nel volere abolire l'alta corte, per tutto l'armeggio d i uomini e di partiti che dimostrano come labili siano le memorie di un passato assai vicino, quello del separatismo, e come vivace sia la reazione contro la Sicilia che in sostanza non domanda che il rispetto della sua autonomia promessa e concessa in giorni assai fortunosi per l'isola e per la patria. I n sei mesi di funzionamento dellialta corte sono state ricevute venti impugnazioni, delle quali dieci ritirate dalle parti i n seguito ad accordo; dieci decise con nove sentenze essendo

(1) In questo senso si è pronunziato il senato, il 4 febbraio 1949, approvando l'ordine del giorno Azara che suona così: I1 senato, considerato che la questione concernente l'alta corte per la Sicilia deve essere risoluta nel quadro della costituzione con legge costituzionale, che detti l e opportune norme di zttuazione; Invita il governo a presentare prontamente al parlamento il disegno .di legge costituzionale suindicata v.


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state due cause riunite in u n a ; contro la regione vi sono avuti sei ricorsi del commis~ariodel governo dei quali due rigettati \ e quattro parzialmente accolti; contro lo stato, tre ricorsi del presidente della regione, 'due rigettati e uno accolto. \ I criteri che derivano da tali decisioni sono accennati nel capitolo quinto. Quel che interessa notare si è che, a parte qualsiasi apprezzamento sul tipo dell'alta corte, questa è servita a richi'amare l e due amministrazioni, dello stato e della regione, al senso di limite necessario anche nel legiferare. In sostanza, u n nuovo istituto, la regione, che è stato inserito nella struttura dello stato, con tante prevenzioni e tante avversioni, dovrà essere garantito fin che si arrivi alla mutua comprensione e cooperazione del centro con la periferia, e viceversa (*).

( l ) Per l'attività di Luigi Sturzo quale membro dell'alta corte siciliana, vedi il volume L. Stuno, Scritti di carattere giuridico, I1 sez. Bologna; Zanichelli, 1962.


FUNZIONI - SERVIZI - UFFICI - PERSONALE

14. - T r a le funzioni assegnate alle regioni, le più delicate sono quelle statali che sono state o che potranno essere delegate a organi regionali. La costituzione prevede che lo stato possa « con legge delegare alla regione l'esercizio di altre funzioni amministrative (art. 118). L'inciso « altre » è messo per distinguere quelle delegate da quelle che la regione esercita jure proprio p e r l e materie elencate nell'articolo 117. All'articolo 121 è stabilito che « il presidente della giunta ... dirige le funzioni amministrative delegate dallo stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo centrale ». Nel disegno di legge succitato ( n . 211) è ripetuto, all'articolo 8, quanto è disposto dall'articolo 121 della costituzione. Nei quattro statuti speciali esistono deleghe particolari. P e r la Sicilia all'articolo 20 esiste una disposizione generica così formulata: « I1 presidente e gli assessori regionali ... sulle altre non comprese negli articoli 14, 15 e 17 svolgono un'attività amministrativa secondo l e direttive del governo dello stato. Essi sono responsabili d i tutte le loro funzioni, rispettivamente, di fronte all'assemblea regionale e a l governo dello stato ». E l'art. 21 stabilisce che il presidente rappresenta altresì nella regione il governo dello stato, che può tuttavia inviare temporaneamente propri commissari per la esplicazione di singole funzioni statali N. L'art. 31 riguarda i servizi di polizia, e a parte l'ultimo comma dove è detto che « il governo regionale può organizzare corpi speciali di polizia amministrativa per la tutela di particolari servizi e interessi tutto l'articolo riguarda un servizio di stato


che è attribuito alla regione; non per questo cessa di essere u n servizio statale. t: Lo statuto sardo, stabilisce che « il presidente della giunta regionale dirige le. funzioni amministrative delegate dallo stato alla regione, conformandosi alle istruzioni del governo » (articolo 47); che « il governo della repubblica può delegare alla regione le funzioni di tutela dell'ordine pubblico ... » ( a r t . 49). I n forza dello statuto valdostano i poteri dello stato riguardo l a polizia e l'ordine pubblico e riguardo l'ordinamento degli uffici d i conciliazione sono delegati ope legis per il preciso disposto &gli articoli 41 e 44; non occorre quindi ulteriore delega. P e r il resto è stabilito a l comma secondo dell'art. 44 che i l presidente della giunta regionale « dirige le funzioni amministrative delegate dallo stato alla regione. conformandosi alle istruzioni del gdverno, verso i l quale è responsabile n. Identico disposto del comma citato contiene l'articolo 35 dell o statuto del Trentino - Alto Adige; l'art. 79 prevede la delega riguardo l7ufEcio dei giudici conciliatori e vice conciliatori, e demanda la vigilanza sugli uffici d i conciliazione alle giunte provinciali (art. 80). I1 mantenimento dell'ordine pubblico è stato sottratto all'autorità regionale, affidandolo al commissario del governo (art. 77). All'art. 13 è detto che « lo stato può delegare con legge, alla regione, alla provincia e ad altri enti pubblici locali funzioni proprie della sua amministrazione n. Quali saranno le altre funzioni di stato che mano a mano potranno essere delegate alla regione oggi non è prevedibile. Se, come si spera, le amministrazioni regionali sapranno essere rigide nell'osserianza delle leggi e nell'uso del pubblico denaro e zelanti del bene delle regioni, conquistando così la fiducia delle popolazioni locali e quella della nazione, allora governo e parlamento sapranno di avere cooperatori e non oppositori. Dall'altra parte, se governo e parlamento cesseranno d i ispirarsi a d u n accentramento burocratico e potestativo opprimente, susciteranno sul'serio lo spirito di fiducia e di collaborazione fra il centro e la periferia. Grave è i l problema p e r ambedue le parti, perchè soprattutto è grave il problema del funzionamento sul quale le diie parti debbono poggiare. Si sa e si ripete che lo stato è aggra-


vato da una massa enorme d i funzionari.iHo sentito parlare di riforma burocratica fin dai primi passi, della mia attività amministrativa, che ebbe inizio nel 1899. Mezzo secolo: nel quale nè lo stato n è gli enti locali hanno saputo o potuto regolare questa branca vitale e d essenziale della vita pubblica. F i n da allora si parlava d i funzionarismo e di pletora di impiegati. Non h o sott'occhio l e statistiche per fare u n confronto; ma si sa che i l fascismo ingrossò la burocrazia sia per la creazione d i enti parastatali, sia per l'inflazione dei ruoli, sia p e r la moltiplicazione di sine-cure p e r i propri adepti. I1 sistema facile sotto una dittatura, è divenuto facilissiinp durante e dopo la guerra, quando hanno avuto mano libera l a esarchia e i l tripartito, ed è stata ordinaria la legislazione per decreti nonché le riforme degli organici a tamburo battente prima che entrasse a funzionare il parlamento. . .Ora la burocrazia stata!e è ingorgata col blocco dei licenziamenti; le esigenze di carriera, la necessità di smobilitare uffici e dicasteri, creati p e r il periodo di emergenza o mantenuti p e r triste eredità del passato regime, rendono difficile una riorganizzazione efficiente. I n questo stato di cose si inserisce il problema della creazione e-sistemazione degli uffici delle regioni. La disposizione transitoria VI11 della costituzione stabilisce che « leggi della repubblica regolano il passaggio alle regioni d i funzionari e dipendenti dello stato, anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. P e r l a formazione dei loro uffici, le regioni devono, tranne che i n casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello stato e degli enti locali Nel disegno d i legge n. 211 sono state previste delle norme che regoleranno il passaggio alla regione dei funzionari statali e locali ( a r t . 33,. 34, e 35), fra le quali è prescritto che con legge della regione saranno adottate le norme p e r l'inquadramento nel ruolo del personale delle amministrazioni dello stato e d i quello degli enti locali che faccia domanda di passaggio alla regione n. Fissato questo punto e stabilito che la regione potrà chiederne l'assegnazione come « temporaneamente comandato », all'art. 34 è .disposto che la scelta di tale personale sarà fatta


« dalle amministrazioni di appartenenza ».La cosa è enorme: \ obbligare la regione ad accettare un personale « imposto dal-

l'amministrazione dello stato, senza quell'accordo che in ogni caso sarebbe opportuno, non ha affatto senso. All'articolo 35 poi è stabilito che i l suddetto personale « avrà funzioni adeguate a quelle svolte presso l e amministrazioni di appartenenza D. Questa disposizione è giusta in sé, ma non deve far parte di una legge generale, si bene delle condizioni di servizio che saranno fissate dalla regione, e che il funzionario prima di ricevere il comando dovrà conoscere ed accettare. Non ostante le disposizioni suddette, il problema del passaggio del personale statale alle regioni non è per nulla risolto. Esso è così grave che occorre uno studio adeguato a risolverlo. La regione è ente autonomo e allo stesso tempo organo d i decentramento; per ambo i titoli essa sostituisce lo stato nelle funzioni che esercitava ed esercita tuttora sia dal centro sia a mezzo di uffici distaccati o di funzionari comandati. A rigore di termini, non dovrebbe avvenire, per tali servizi, nessun aumento globale di personale, perché quello locale, non solo è sufficiente ai servizi che già gestisce lo stato ma è talmente esuberante, che il dippiù (con l e dovute selezioni) potrebbe passare al centro regionale. Si prevede anche un adeguato sfollamento dei ministeri. Dovendo, com'è prescritto, passare alle tegioni lavori pubblici di carattere regionale e locale, agricoltura e foreste, servizi turistici, scuole, e così di seguito per tutto quanto è elencato nella costituzione e negli statuti speciali, c'è da sperare che i ministeri si affrettino a far passare alle regioni quel personale che ( a parte l'ingombro attuale per l'inflazione impiegatizia) non avzà più ragione di rimanere al centro. Si sa, questa è una nota che suona male. L'opposizione alla regione non è strettamente politica, essa è principalmente amministrativa. Che ci sia u n personale centrale del ministero dell'agricoltura che, a parte le proprie competenze, coordini sul piano nazionale quel che le regioni attuano sul piano regionale, è cosa ragionevole e necessaria. Ma non sarebbe nè legittimo nè serio, sia per l'andamento dei servizi sia per la spesa, che si mantenessero i vecchi uffici centrali senza mansioni efficienti,


sol p e r rispettare quadri, gradi e larghe possibilità di carriera. Quel che si dice per l'agricoltura, vale per tutti gli altri servizi passati alla regione. I1 p r i ~ i i obilancio della regione siciliana è stato di quattordici miliardi; su tale base, a occhio e croce, la spesa delle regioni sarà di 150 miliardi all'anno, che andranno a diminuzione delle entrate dello stato. Si deve quindi rev vedere una corrispondente diminuzione delle spese di tesoro. Non c'è dubbio che le spese per quei servizi locali che passeranno alle regioni, andranno a diminuzione degli impegni del tesoro. Così è avvenuto i n Sicilia. E se attualmente figurano ancora certi servizi a peso dello stato, è perché l'attuale gestione provvisoria, regolata dal decreto legislativo del 12 aprile 1948, fa rimando ad un provvedimento definitivo che regoli i rapporti tra stato e regione. Supposto adunque che si tratti della cessione alle regioni delle entrate statali pari, al gettito di oggi, d i 150 miliardi (c'è chi prevede senz'altro 200 miliardi), deve essere cura del tesoro; con il concorso dei vari ministeri, di sgravarsi del peso corrispondente d i personale e servizi. Occorre quindi avere il coraggio d i fare u n taglio netto, di diminuire i quadri del personale ministeriale almeno per la stessa somma che graverà sui bilanci della regione. Questa operazione dovrebbe essere u n preludio della riforma burocratica della quale (come ho detto) si parla da mezzo secolo. Giolitti nel 1921 la voleva affrontare ed esigeva di averne dal parlamento i pieni poteri. Gli umori dei due partiti più numerosi, socialisti e popolari, non erano favorevoli a una delega di poteri l'indomani delle elezioni generali volute da Giolitti proprio col proposito d i diminuire l'efficienza di questi due partiti, i quali invece ritornarono alla camera il primo con pochi seggi d i meno e i l secondo con otto seggi di più. Giolitti, del resto, aveva compreso di essere u n tollerato dopo una campagna così male impostata, dalla quale emersero i 35 fascisti da lui favoriti, che portarono a Montecitorio il cavallo di Troia. Cito l'episodio p e r riconoscere che Giolitti aveva ragione nell'impostare il problema della riforma e darvi l'importanza che meritava; non aveva ragione a chiedere i pieni poteri proprio l u i che non poteva avere una maggioranza senza i popolari.


Potrebbe oggi chiederli De Gasperi, che ha una notevole maggioranza governativa e p e r di più una maggioranza effettiva del proprio partito? Ovvero saprà fare a meno dei pieni poteri, portando l'affare al parlamento? È quel che si augura ogni onesto cittadino, che è pensoso delle sorti del paese e dei pubblici servizi. Al posto d i Quintino Sella c'è u n altro biellese. Possiamo domandargli che imiti i l suo compaesano? C'è u n compito nuovo p e r i ministri del 1949, quello di rii formare i servizi del proprio dicastero dandovi un'impronta moderna. Imitare gli - uffici amministrativi delle grandi aziende private, andando a studiarli ove si trovano, anche in America. T r e gli elementi fondamentali: primo, la responsabilità personale ; secondo la sveltezza dell'ingranaggio ; terzo, l'adeguato stipendio e il rischio, per chi non fa i l proprio dovere, d i poter essere mandato via. Mi diceva u n americano che gli impiegati italiani lavorano poco, fumano troppo, leggono troppi giornali, parlano troppo e hanno troppe carte sui tavoli. Egli si riferiva agl'impiegati privati d i banca e di aziende industriali. Gli domandai se avesse visto un ufficio ministeriale. Mi disse di no. Primo, responsabilità personale; nei ministeri ciò non esis t e ; c'è u n sistema di scarica-barile assai sconcertante, dal segretario al capo-sezione e poi al capo-divisione e poi al direttore generale; se c'è u n qualche appiglio, le carte passano per pareri e contro-pareri, ad altre divisioni o alle altre direzioni generali o peggio ai gabinetti, che hanno subito in questi ultimi tempi un7inflazione senza pari. E che dire delle ragionerie particolari e generali? e di quella del tesoro che per mesi e mesi tiene decreti innocui dove non c'è ombra di spesa? Così si sballottano gli affari da un'ufficio all'altro, da u n ministero all7alt r o ; p e r mesi intieri, e d anni anche. Se poi l'affare è caratterizzato come « politico n, allora tiitti i freni non funzionano-più e tutte le formalità sono superate. I n sostanza, la responsabilità reale è una sola, quella del ministro; i l quale essendo uomo, limitato come tutti gli uomini, non ha il tempo di occuparsi di tutti gli affari del suo dicastero, n è la possibilità d i esaminarli, nè spesso la capacità tecnica d i valutarli. Egli h a l a sua responsabilità politica e direttiva, a


grandi linee e nell'orbita della politica generale adottata dal governo in solido, approvata dal parlamento e consacrata nelle leggi. P e r il resto, siano i direttori generali e i loro diretti dipendenti a prendersi le responsabilità, senza scaricarle ad altri nè evitarle per se stessi. Ma per far ciò, occorre anche snellire gli uffici, evitare i l carteggio inutile; rendere rapido il passaggio delle pratiche, distribuire bene l e competenze e con le competenze le responsabilità. Non discuto su orario continuativo od orario diviso, ma sull'orario, orario effettivo e non nominale. Orario ordinario che rende, e non straordinario che serva a rimediare quel che non si è fatto durante l'orario ordinario. Pagate bene, risponderà il milione di travets italiani. Vero; ma poiché si può fare meglio e più con mezzo milione d i i m piegati, che non si fa con u n milione e più, bisognerebbe cnrrere i l rischio del licenziamento per mancanza di rendimento. Così chi sente i l pungolo del rischio ed h a in vista il peso della responsabilità, può dare al pubblico servizio i l suo effettivo lavoro ed esserne pagato bene. Altrimenti, sarà inutile parlare di riforma burocratica. Un s i m i l ~piano non si realizza in u n giorno nè in u n anno, ma a lunga portata, perché la eliminazione del personale superfluo avvenga senza gravi scosse e con una gradualità lungimirante e realistica. Però ecco i l punto; ora che ci sono le'regioni da sistemare, occorre fare due passi importanti. Primo, sgravare l'amministrazione dello stato del personale superfluo e non aumentare la spesa pubblica: cioè mantenere le diminuzioni dell'attivo e del passivo al medesimo livello. Secondo, dare precise istruzioni perché le regioni nell'impiantare i propri servizi, si ispirino ai seguenti criteri: responsabilità del funzionario, snellezza della struttura burocratica, rigore nell'andamento dei servizi. So bene che m i si dirà che la regione siciliana iion ha applicato questi criteri, e d h a cercato d i imitare lo stato nel fissare ruoli, gradi e tabelle. Purtroppo, i burocrati sono tutti. gli, stessi, tanto a Roma che a Palermo. Idee moderne non penetrano facilmente negli ambienti amministrativi. Ci vorrà ... una mezza rivoluzione. Perfino servizi modernissimi e d i pura contingenza,


quali i commissariati dell'alimentazione e dell'igiene e sanità e il ministero del commercio estero, hanno avuto cura di organizzarsi in sezioni, divisioni, direzioni generali con ruoli e tabelle come se dovessero durare i n eterno e burocratizzando servizi che dovevano mantenersi nella linea della più svelta caratteristica di servizi commerciali e tecnici. Se non si tenta una via diversa, anche regioni, provincie e comuni saranno organizzati sullo stampo dello stato, sì che le migliori energie e le migliori volontà si sentono impari allo sforzo che fanno per servire la nazione.

15. - I1 burocrate che legge queste pagine mi prenderà per un nemico, uno che non sa apprezzare il lavoro del travet italiano. Debbo dire che negli anni in cui avevo effettivi contatti con la burocrazia ministeriale, potei apprezzare fedeltà, competenza, assiduità al lavoro e zelo. Oggi ho assai limitate occasioni a ciò, ma apprezzo moltissimo quei pochi funzionari che personalmente conosco. Purtroppo, non posso apprezzare il sistema: se per esaminare e risolvere il piccolo e insignificante ricorso di una maestra, che si lagna di essere stata trasferita di scuola senza essere stata prima interpellata nè essere stata sottoposta a procedimento disciplinare, occorre un anno (dico u n anno, e l'affare è passato per le mie mani) ciò vuol dire che c'è qualche cosa che non va. Se per dare un parere, quale esso sia, circa l'apertura o la chiusura di u n mulino (cosa che dovrebbe essere lasciata al libero rischio industriale) ci vogliono cinque o sei' mesi di va e vieni, è. chiaro che qualche cosa non va. I1 piccolo affare del richiamo di un impiegato in servizio è stato rinviato per un anno e mezzo dal consiglio d i amministrazione che doveva dare il parere, e ciò non per ulteriore (( istruzione » o per mancanza di documenti o per ritardo della malfamata ragioneria generale, ma solo perchè non si arrivò mai a quel numero dell'ordine del giorno. P e r u n anno e mezzo un impiegato di mia conoscenza ha avuto notizia che il suo procedimento disciplinare era in corso, sempre in corso! Cito questi piccoli fatti insignificanti per dare un'idea della velocità che prendono gli affari nei ministeri. Se si facesse una indagine di quante leggi non sono state applicate per mancanza di regolamenti o di disposizioni esecutive, ne verrebbero fuori


cifre sbalorditive. P e r questo, io reputo che sia buon metodo applicare o sveccliiare le leggi esist-enti e non fare leggi nuove, tranne le leggi cardini e quelle di spese fuori bilancio. Detto ciò, accenno ai motivi che rendono difficile i l passaggio del personale statale alle regioni. Primo, la questione della carriera. Lo statale d i ruolo vuole rimanere impiegato d i stato e ne h a diritto incontestabile. Passerà quindi alle regioni come comandato. A parte le difficoltà d i alloggio in residenze di provincia, nessuno o quasi si sposta di propria volontà tranne che non abbia in vista u n miglioramento di carriera o motivi d i particolare preferenza. Nel nostro caso poche speranze d i miglioramento; timore (cosa avvenuta) che i consigli di amministrazione del personale ministeriale non tengano conto delle note di merito del personale delle regioni; formazione quindi d i due ambienti: quello degli statali dei ministeri e quello degli statali delle regioni; per la carriera, la formazione di due ambienti riesce assai dannosa. Dall'altro lato, se si inizia il sistema d i rotazione del personale dai ministeri alle regioni e viceversa, i servizi relativi ne risentiranno p e r mancanza d i continuità, per i l senso del precario che impaccia e disvoglia. Guardando il problema dal lato della regione, si avrà u n personale non proprio, errore iniziale che a lungo andare si scont e r à ; u n personale che desiderando miglioramenti di carriera non vede nei ruoli regionali ( a meno che non vengano fatti ruoli aperti) possibilità di promozioni; un personale che avrà difficoltà a mantenere quell'intesa con gli am9iinistratori della regione, dai quali effettivamente non si sente di dover dipendere. E mi fermo a descrivere questa specie di mezzadricc perchi? lascio supporre a chiunque.se una casa, un'impresa, u n ufficio potrà mai andare avanti con u n personale in prestito. I1 primo interesse della regione è quello di avere u n personale proprio; dovrà quindi favorire la possibilità dei passaggi dal ruolo statale a l ruolo regionale. Questo potrà farsi fissando paglie e garanzie identiche (escludo paghe superiori per evitare una specie d i concorrenza inopportuna); limitando i-posti d i ruolo, stabilendo ruoli aperti con la clausola, bene inteso, che l'amministrazione regionale sarà facoltata a introdurre nei pro-


p r i regolamenti clisposizioni ispirate ai principii che saranno fissati per la riforma burocratica dello stato. Se con questo sistema'i posti chiave saranno coperti, poca importanza avrebbe il passaggio a tempo determinato, dallo stato alle regioni, di personale subalterno o avventizio, e con la facoltà che le due amministrazioni possano prorogarne d i anno in anno lo stato d i fatto, finché si renderanno vuoti i posti da doversi coprire con nomine ordinarie secondo i regolamenti regionali. I1 problema si ripresenta sotto altro aspetto per i l personale degli uffici e servizi locali che passeranno alle regioni. Due i casi: o tali uffici saranno mantenuti perché utili e necessari, oppure tali uffici saranno soppressi perché inutili o dannosi. Forse anche gli inutili resteranno perché non si avr.à il coraggio d i sopprimerli. Purtroppo è così: il coraggio non è d i tutti. Parliamo dei primi: p e r esempio i maestri delle .scuole elementari della Sicilia e della Valle d'Aosta saranno alla diretta dipendenza della regione, la quale avrà diritto di assumerli, d i mantenerne la disciplina, d i trasferirli, di promuoverli, d i metterli in pensione, tutto secondo le garanzie della relativa carriera. Gli insegnanti ingaggiati dallo stato, p u r passando alla dipendenza della rispettiva regione, avranno diritto all'osservanza delle attuali condizioni di carriera. Così p e r il personale degli uffici locali dell'agricoltura e foreste, dei lavori pubblici e d i ogni altro ministero che passerà propri servizi alle regioni con i l relativo personale. Però, e questo è un punto che non potrà essere messo i n discussione, l'attuale personale statale potrà rifiutare l'opzione p e r la regione e richiedere d i rimanere statale con destinazione ad altri servizi e dicasteri, oppure restare nei servizi locali alle condizioni sopra indicate per ogni altro personale statale comandato presso le regioni. Tutto ciò sembrerà complicato; urterà l e suscettibiliti sindacali degli statali; ci saranno forse minacce d i sciopero se l a cosa non è d i gusto di partiti e d i certi gruppi d i p u n t a ; ma la ragionevolezza d i tali criteri non potrà essere messa in dubbio. Se la regione deve entrare nella struttura statale, come u n


ente che ha personalità e responsabilità propria, non potrà fare a meno di personale proprio o discretamente appropriato. Passiamo al personale degli enti parastatali che hanno nelle regioni uffici e organismi propri che interferiscono nelle competenze delle regioni. Qui non parlo degli enti nazionali che sfuggono alla competenza della regione, tranne che per dire, ancora una volta, di abolirli se si tratta, come è per molti, di enti parassiti dello stato, superflui alla vita pubblica, creati sotto lo stimolo autarchico o per ridurre la libertà industriale e commerciale del paese. Comprendo bene che ci sono di mezzo tanti impiegati che hanno la legittima aspirazione di non perdere l'impiego e che hanno il diritto a vivere. Ma non sono gli enti per gli impiegati, sono gl'impiegati per gli enti; se tali enti divengono inutili o peggio dannosi, sarà bene o trasformarli o sopprimerli. I1 problema della disoccupazione impiegatizia si deve affrontare nel suo complesso sociale, che è quello del ceto medio, problema più impellente di quella di ogni altro ceto, meno i braccianti disoccupati; ma è anche problema a lunga portata. Non è qui il caso di esaminarlo nelle sue caratteristiche e nei suoi rimedi. Non si ingannino coloro che credono di risolverlo con l'inflazione impiegatizia; faranno la strada a tutte le più cervellotiche nazionalizzazioni, al socialismo di stato e al passaggio definitivo al comunismo, economico che per noi italiani creerebbe addirittura un vero impoverimento nazionale. Lo stato farebbe bene ad assistere a mezzo di fondi di disoccupazione coloro che perderebbero impieghi di enti parassiti, e non ne troverebbero altri adatti, anziché mantenere gli enti che costano il doppio o il triplo. Da parte delle regioni, che per fortuna non hanno (almeno per ora) nè possibilità di bilancio, né debito pubblico , né enti parassiti a carico, è da augurare che i relativi amministratori ci pensino due volte ad accollarsi enti deficitari ed inutili. Ho paura che da questo orecchio poco ci sentiranno coloro che hanno la preoccupazione di guardare lo stato per poterlo imitare; di tale difetto non è stata immune fin oggi la regione siciliana, ma è in tempo a correggersi. I miei amici debbono essere convinti che l'amministrazione statale, quale è stata eredi-


tata dal fascismo e quale è stata ridotta, per necessità di emergenza o per inesperienza di uomini, non è affatto degna d i essere imitata nelle sue deviazioni, sì bene nelle sue tradizioni di prima dell'altra guerra, e con quelle modernizzazioni che sono necessarie per rispondere al complesso dei bisogni presenti. Quindi, niente enti parastatali, niente autarchia economica, niente interventi nell'attività privata del cittadino. Se la regione vuole ottenere u n dato indirizzo pratico che crede il migliore, sentiti i tecnici, dia premi, stabilisca esenzioni, concorra se può a prepararne l'ambiente con l'istruzione adeguata, con istituti di sperimentazione e simili. L'intervento nella industria, dando o negando permessi per impiantare nelle campagne un motorino elettrico o per aprire u n mulino o per fabbricare del sapone, è cosa che ogni regione dovrebbe ritenere residuo fascista, o ferrovecchio di intementismo autarchico. I signori cittadini, industriali e commercianti, prendano le loro iniziative da sé, e assumano i rischi che comportano. Bisogna finirla con gli interventi prefettizi o statali o regionali, tutte l e volte che gl'industriali accusano un deficit o minacciano di chiudere bottega. Senza rischi non c'è economia sana, ma economia ammalata ed economicamente insanabile. Certo che l'operaio deve essere difeso, ma con regolari casse e istituti d i disoccupazione, non col fare sussidiare dallo stato (domani dalle regioni) le industrie e gli impianti che non reggono, e con l'inventare enti nuovi che pretendono sussidi, favori e diritti di monopolio. Che lo stato, che oggi ha sulle spalle centinaia di enti, curi di sbarazzarsene se e come p u ò ; ma le regioni che vengono su libere da impegni stiano in guardia a non assumere certe eredità senza beneficio di inventario, e, soprattutto, a non lasciarsi indurre in tentazione da tutti i promotori di enti che per prima domanda vi dicono: dateci i milioni e i miliardi e li amministreremo noi. Presidenti, giunte, consiglieri debbono rispondere che i milioni e i miliardi propri deve ammnistrarseli la regione e non altri. Mentre io sono contrario agli enti di diritto pubblico che fanno i commercianti, gli industriali, gli agricoltori, gli impresari e simili, non solo non ho obiezioni ma sarei pronto a favorire i consorzi di privati o di associazioni, banche e istituti fi-


nanziari, che a loro rischio e pericolo, con qualche favore pubblico assai limitato, p e n d a n o iniziative utili alle popolazioni locali e alle stesse regioni, col patto, che se riescono siano loro i vantaggi, e se non riescono siano p.ure loro le perdite. Nessun ente pubblico deve garantire al privato i rischi che corre; solo così può rinascere i l nostro paese. È vero che ancora esistono leggi fiscali di favore per enti d i diritto pubblico. È da sperare che i l ministero delle finanze abolisca questi privilegi e conservi solo quelli che potranno anche concedersi ai consorzi e società che non abbiano scopo d i lucro. Purtroppo, queste veri& lapalissiane cadono in u n ambiente morfinizzato, che non dà segno d i ripresa. Chi legge la Gazzetta Ujeiciale della repub'blica ( e anche u n po' quella della regione siciliana) trova d i tanto in tanto certi decreti, sian.0 o no legislativi, dove è detto, il tale knte (sia per esempio la mostra di oltre mare di Napoli) è amministrato da u n consiglio composto d a u n rappresentante del ministero A, e un'altro del ministero B, e così una filastrocca, compresi i sindaci presi fra i ragionieri dello stato. L'effetto è semplicemente assurdo. Questi signori che tutt'altro sanno che di acciaio, di ghisa, di metano, d i banane, di petroli, d i carbone, di prodotti chimici e farmaceutici, e che p e r il loro ufficio sono impegnati a decifrare carte e d emarginare pratiche, trapiantati nei consigli di amministrazione una volta ogni due o tre mesi, spesso anche nei comitati direttivi p e r due o tre volte al mese, vi portano una mentalità burocratica, ovvero si rimettono al presidente e a l direttore generale, avallano la gran parte delle iniziative o se fanno dei rilievi sono d i carattere formale e regolamentare. I ministeri non vi sono d i fatto nè rappresentati nè garantiti; i deficit si sovrappongono ai deficit; e il ricorso normale, con le relazioni favorevoli dei sindaci, è alle casse dello stato. È vero che così certi burocrati, sia quelli meritevoli d i considerazione e specializzati, sia gli altri gros bonnets e intriganti, pigliano gettoni d i presenza e arrotondano lo stipendio; ma sanno essi dirci p e r quante ore rimanga deserto i l loro ufficio per .aver fatto buona collezione d i tali nomine? e quanta benzina sciupano per muoversi dall'ufiicio ? Le regioni si guardino bene dall'imitare lo stato, e fissino fin


da oggi che non solo non debbono creare enti nuovi e debbono smobilitare gli enti parassiti che esistono, ma debbono evitare che i loro funzionari divengan? amministratori' di società private, danclo loro responsabilità e lavori che non competono. La rete eli cointeressi che si crea, anche se il funzionario sia specchio d i onestà, è tale che gli enti saranno sostenuti e avvantaggiati dall'influsso della burocrazia sulla legislazione e sull'amministrazione della regione (com'è purtroppo oggi nello stato) sì che il parassitismo reale e funzionale trionfa e trionferà di ogni ragione di interesse pubblico e d i qualsiasi valutazione economica pel bene del paese.

16. - I1 passaggio degli uffici e del personale dallo stato alla regione, dovrà farsi appena i corpi regionali saranno costituiti, per evitare quei gravi inconvenienti che ha dovuto incontrare fin oggi la regione siciliana. Dall'altro lato, la regione deve essere ben preparata a dare u n esatto indirizzo ai servizi dei quali è così autorevolmente investita. Questo punto non mi pare che sia stato bene prospett a i ~fin oggi dalle varie regioni a statuto speciale che vanno sorgendo. Le due di confine hanno viva la coscienza dei loro cliritti traclizionali, dato che si' tratta d i nuclei relativamente emogerrei che non han perduto, non ostante la raffica fascista, il senso clella loro personalità. Le due grandi isole, più che i riflessi tradizionali, sentono il disagio economico e la mancanza di servizi pubblici (strade, scuole, ospedali, acquedotti, fognature e simili). Lo stadio arretrato della loro economia e la difficoltà di creare iniziative locali cli larga portata, fa guardare la regione come un canale per i l cpale passino gli aiuti statali. Mentre è giusto che lo stato ripari i passati errori verso le isole (come verso il mezzogiorno continentale), sarebbe gravissimo errore mantenere tali regioni i n condizione di pezzenti che domanclano l'elemosina o d i clienti che guardano nelle mani dei patroni e benefattori, o, peggio, d i litiganti che sperano di ottenere la quota di vecchia eredità i n parte fallimentare. Le regioni depresse esigono gli aiuti dello stato i n forza di u n preciso clisposto della costitiizione e clei propri statuti. Que-


sto titolo l e mette a paro con tutte l e altre regioni per doverosa solidarietà nazionale e sullo stesso piano dello stato, con il quale e facile di annosi prodebbono cooperare per la s o l ~ ~ i o nnon blemi. Tutto ciò non solo non esonera le regioni e le relative popolazioni a prendere iniziative proprie - anche audaci purché bene studiate e bene ponderate, e occorrendo approvate per referendum - per mettere in valore le energie esistenti, morali e materiali, ma le impegna ai sacrifici necessari per adeguare i servizi pubblici ai bisogni delle popolazioni (l). La direttiva principale che deve tener presente la regione, a proposito di servizi pubblici, è la rispondenza ai reali bisogni regionali. P e r intenderci, concretizzo la massima in u n problema di urgente attualità. Secondo l'art. 117 della costituzione l'istruzione artigiana e professionale spetta alle regioni. Intanto è da ritenere che le così dette scuole di avviamento fanno parte del complesso artigiano e professionale e quindi passeranno alle regioni. Cosa fare di tali scuole? Ecco u n problema grave e gravido di conseguenze. Ogni regione vedrà di metterle in armonia con le condizioni ambientali. Secondo certi rilievi, non del tutto inesatti, tali scuole per il novanta per cento producono degli spostati, non riescono a essere fine a se stesse, non creano artigiani e artigianelle, non piccoli agricoltori o piccoli lavoratori industriali. I1 ragazzo che ha finito il corso di avviamento si trova in condizioni d i inferiorità di fronte ai coetanei che, a scuole elementari finite, sono andati in una bottega o in u n campo. Gli manca l'esercizio e la pratica del lavoro, gli manca la tecnica elementare e tradizionale del ciabattino, del falegname o del fabbroferraio; saprà meglio leggere e scrivere e spera, seguendo altri corsi, ottenere una carta qualsiasi, e divenire... fattorino postale o telegrafico, usciere o bidello, guardia municipale o campestre, poliziotto o guardia carceraria, tutto, meno che divenire lavoratore di quel

( l ) Non risponde a sano criterio amministrativo che lo stato e la regione si surroghioo nelle spese di spettanza dei comuni se questi non abbiano prima applicate tutte le tasse che le leggi consentono per gli enti locali (N.d.A.).


mestiere o quell'arte alla quale la scuola lo avrebbe dovuto avviare. Tali sc.uole, dovrebbero essere fuse con quelle effettivamente professionali sì da ben servire alla popolazione operaia e agricola. I1 vecchio orientamento di aprire scuole i n ogni comune per la borghesia professionista, scuole classiche e tecniche trascurando quelle artigiane e professionali, deve cessare. I borgliesi possono mandare i loro figli nei centri provinciali e nelle altre città già fornite cli tali istituti; i borghesi possono sostenere le scuole private a pagamento per l'avvenire dei loro figli. Invece le popolazioni rurali e operaie hanno bisogno d i scuole, non solo quelle elementari diurne e serali, ma scuole adatte p e r preparare i loro-figli al lavoro qualificato, che sarà una ricchezza p e r le rispettive famiglie e per i l paese. La riforma scolastica adatta alla situazione sociale di ogni singola regione dovrebbe essere i l sogno di ogni buon regionalista, perchè dalla scuola dipende i n gran parte la sorte del paese. Ma non si creda che si possa riformare la scuola con i regolamenti, l e circolari, l e leggi formali, l e norme didattiche, la regimentazione dei maestri, e così via. Roba vecchia e rancida dello statalismo scolastico italiano. Se vi saranno nel territorio regionale due o tre scuole industriali e agrarie mal messe, 'che le regioni vi spendano quanto loro è possibile, per metterle i n piedi con attrezzature modernissime, officine e campi sperimentali, corsi pratici complementari, si da farne venir fuori dei tecnici d i primo ordine. Quando il paese sa che quella scuola (quella, individuata) produce buoni tecnici, l i cerca. Che conta i l diploma? conta l'abilità: e la selezione la fa la vita. Ecco quello a cui debbono aspirare le regioni. Se i l mezzogiorno e le isole non si svincolano dalla mentalità impiegatizia p e r dare tutta l'importanza alla produzione economica a base a i tecnica, non potranno mai sorgere. Le scuolette di avviamento sono roba frusta da trasformare. I1 sistema delle borse d i studio dovrebbe essere larghissimo, perchè gli studenti di famiglie non abbienti possano, avendone l a capacità, percorrere i corsi degli studi superiori. Quel che si dice per i l ramo scuola, vale per tutti i rami dell'attività regionale. F r a questi, in primo rango,. la sistemazione

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montana, l e bonifiche integrali, i lavori pubblici, lo sviluppo industriale e commerciale. Non sostituirsi mai alle iniziative private, non comprimere, con enti burocratizzati e privilegiati, la iniziativa privata. Favorirla per quanto è possibile; integrarla e renderla efficiente, dove è mancl~evole. Consigli consultivi, comitati tecnici, commissioni speciali sono utili strumenti di una vasta amministrazione come la region a l e ; sarà bene non eccedere nel moltiplicare comitati e commissioni, il troppo impaccia. Sul piano consultivo ci sarebbe d a creare una reale cooperazione delle regioni fra d i loro, e della regione con l o stato, sì da rinnovare gli indirizzi dell'amministrazione pubblica e renderla per quanto è possibile coerente. Col tempo e la esperienza si potrà arrivare ad una riforma tecnico-amministrativa che sarà utilissima per tutto il paese. All'inizio si avranno gli inconvenienti derivanti da poca esperienza amministrativa dei neo-eletti alle regioni, dallo spirito politico che vi si infiltrerà subito, dalla mancanza di personale esecutivo e burocratico adatto e da difficoltà d i articolazione organizzativa. Ciò è nella natura delle cose. I vantaggi, e notevoli, si avranno col tempo. Si andrà formando una nuova classe dirigente con capacità amministrative, si migliorerà I'organizeazione dei servizi, si correggeranno gli errori e si svilupperanno le energie. Se l'amministrazione centrale dello stato, invece d i mostrare gelosia verso la nuova venuta, invece d i usare diffidenza verso l e amministrazioni regionali, collaborerà fiduciosa, le cose andranno bene. Bisogna, nel passaggio dei servizi, essere netti: quel che è della regione, alla regione; quel che è dello stato, allo stato. Perciò, i vari decreti presidenziali e legislativi e l e leggi previste dalla costituzione dovranno essere limpidi e netti. Bisogna vigilare a che non si insinuino nel fraseggio dispositivo, norme restrittive che non sono nella lettera e nello spirito della costituzione ( l ) . (l) La conimissione della caniera dei deputati, che sta esaminaodo il disegno di legge 211 (costituzioiie e lunzionarneiito degli organi regionali) sembra che voglia precisare e regolare a priori tutte le competenze dclla


I n coneli~sione, i l problema dell'organizzazione dei servizi regionali deve essere studiato e risolto con criteri adatti alla novitĂ dell'istituzione, ai bisogni locali, ai fini pratici di piena efficienza.

regione, voglia dare nornie fisse per la compilazione degli statuti e arrivi a volere impedire la legiferazione regionale se non esistono leggi per principi generali (cnme se ogni legge esistente non sia fondata sii principi). Tutto ciò è fnitto di una preoccupazione che la polemica antiregionalista ingrandisce a scopi politici ovvero per secondare l'opposizione della biirocrazia dei ministeri. Stiano attenti i singoli commissari e curino di non soffocare nelle fascie e a mezzo di fascie legali l'ente regionale (N.d.A.).


LO STATUTO SICILIANO E LA PRIMA ESPERIENZA REGIONALE

17. - L'istituzione della regione siciliana ebbe a l suo nascere carattere prevalentemente politico. L'alto commissariato per la Sicilia e i l decreto luogotenenziale che lo istituì, nonché i vari provvedimenti alleati e governativi con i quali f u collegato, davano già l'idea di una larga autonomia con la quale si voleva, da uomini rev vi denti, riconoscere la speciale condizione dell'isola e le sue esigenze di rinascita, nonché la necessità di una pacificazione con le frazioni separatiste che l'agitavano. Vari tipi di statuto erano stati redatti in quel periodo, che andavano da un'autonomia a tipo cantonale o federalista ad una autonomia moderata ma a tipo costituzionale e saldamente garantita dai colpi d i maggioranze parlamentari ostili. I1 testo preparato dalla consulta siciliana insieme all'alto commissario Aldisio incontrò non poche difficoltà alla consulta nazionale e al consiglio dei ministri, difficoltà che furono superate sia per le insistenze d i siciliani responsabili sia per l'intervento del presidente del consiglio, on. De Gasperi. Lo statuto fu approvato e sanzionato dal decreto legislativo luogotenenziale del 15 maggio 1946 con la sola clausola d i dover essere sottoposto all'assemblea costituente, per essere coordinato con la nuova costituzione dello stato ». I1 decreto fu registrato con riserva alla corte dei conti i l 9 giugno successivo. Non si può mettere in dubbio che l'imminenza delle elezioni p e r l'assemblea costituente e dell'appello a l paese p e r i l referendum sulla forma dello stato, abbiano anche influito a far approvare tale statuto. Ma queste e altre circostanze politiche


che favorirono i l nascere della speciale autonomia siciliana ne accrescono quel significato, che fu definito: atto di pacificazione. Non mancarono critiche e allarmi e si insinuò i n parecchi l'idea che lo statuto, così approvato, potesse essere rifatto e rimpastato dalla costituente con atto unilaterale, sopprimendo quegli istituti e modificando quelle disposizioni su cui i siciliani contavano di p i ù p e r la loro reale autonomia ed efficiente rinascita. Dall'altro lato si premeva a che fosse data esecuzione allo statuto; e per tanto fu nominata la commissione paritetica prevista da117art. 43 dello stesso con il compito di determinare « le norme transitorie relative al passaggio degli uffici e del personale dello stato alla regione, nonché le norme per l'attuazione del presente statuto » ( l ) . Delle norme determinate dalla commissione, il consiglio dei ministri diede corso a quelle riferentisi al funzionamento degli organi della regione (D. L. 25 marzo 1947 n. 214) e sul commissario dello stato (D. L. 10 maggio 1947 n. 307). Le elezioni furono indette pel 20 aprile 1947 e l'assemblea regionale si insediò il 25 maggio successivo. Ma avvenne, purtroppo, u n primo intoppo che fin oggi è stato superato solo parzialmente. I1 governo non diede corso alle altre norme transitorie formulate dalla commissione paritetica per i l passaggio degli uffici e del personale dallo stato alla regione e quelle per l'attuazione dello statuto; solo p e r non rendere vane le nomine del presidente regionale e della giunta e per non impedire i l funzionamento di quei servizi già i n atto durante i tre anni del commissariato, emise u n decreto legislativo con il quale furono attribuiti al presidente regionale (=) tutti i poteri de117alto commissario. I1 fatto non rimediò alla situazione amministrativa che si veniva a creare; pertanto una serie di altri decreti dovettero essere emanati, secondo le esi-

( l ) A rappresentare lo stato furono chiamati i l prefetto G. Li Voti e il dott. V. Marcolini ispettore generale del tesoro; a rappresentare la regione l'on, avv. G. Guarino Amella e il consigliere di stato V. Uccellatore. (2) Fu eletto presidente regionale, il 27 maggio 1947, I'avv. Giuseppe Alessi. Dimessosi nel gennaio 1949, dopo il voto del governo centrale circa l'alta corte per la Sicilia fu nominato il prof. Franco Restivo.


genze del caso e senza tener conto delle « determinazioni » della commissione paritetica. Ho ripetuto più volte la parola « determina 1) clie si trova all'art. 43 dello statuto, perchè la suddetta commissione ritenne, con tre voti contro uno - e risulta dalla relazione premessa alle proprie decisioni - che i suoi fossero poteri delegati si che per la esecuzione dei propri deliberati non occorresse altro clie un decreto del presidente capo provvisorio dello stato. L'ufficio legislativo della presidenza del consiglio dei ministri, e forse lo stesso ufficio del capo provvisorio dello stato, ritennero che, non ostante la pariteticità della commissione e non ostante l'uso della parola inusitata « determina », ci volesse un atto formale di approvazione. I1 consiglio dei ministri non solo non h a approvato tutte l e « determinazioni » della commissione paritetica, ma con atti a carattere unilaterale ha modificato quelle cui ha ritenuto dover dare corso, supplendo alla mancata pariteticità con l'eventuale intervento del presidente regionale alle sedute del consiglio dei ministri, giusta il disposto ( n o n sempre osservato) del secondo comma dell'articolo 2 1 dello statuto siciliano. Oltre i decreti riguardanti la elezione dei deputati regionali e degli organi della regione e del commissario del governo, i provvedimenti adottati con la suddetta procedura in forma di decreti legislativi sono stati quelli per l'alta corte, per la continuazione dei poteri alto commissariali, per disciplinare provvisoriamente i rapporti finanziari.fra stato e regione, per la istituzione del consiglio regionale di giustizia amministrativa, per l'istituzione d i due sezioni della.corte. dei conti in Palermo, per i l passaggio dei servizi dell'agricoltura e delle foreste. Tutta l'altra materia riguardante i servizi è stata fatta in base ai poteri alto commissariali, ovvero per intese amichevoli fra ministeri e assessorati, o in via di fatto e senza sontrasto; spesso però i servizi sono rimasti paralizzati da una specie di ostruzionismo tacito o aperto da parte degli organi centrali. Così è avvenuto che da una parte l'amministrazione regionale, forte del suo diritto statutario: ha emesso provvedimenti come 'se i servizi fossero effettivamente nelle mani della regione, mentre altre volte si è astenuta dal legiferare e dall'intervenire, per evitare nuovi motivi di attrito. ~'a&ministrazione cen?


certe volte si è ricordata che esiste uno statuto che va rispettato ; altre volte è intervenuta in materie non più di com1t petenza statale, con gravi inconvenienti non del tutto superati. \ I l motivo centrale che veniva ripetuto spesso durante i l primo semestre della gestione regionale autonoma era che lo sta\ tut: non fosse stato ancora coordinato ai sensi del decreto legislativo del 15 maggio 1946. Sembrava superfluo rispondere che il coordinamento doveva seguire e non precedere-la formulazione della costituzione, mancando altrimenti il testo con il quale lo statuto dovesse essere coordinato. Non bastava far rilevare il fatto della esecuzione data allo statuto circa le elezioni e l a costituzione degli organi regionali, nonchè la precisa disposizione dell'art. 42 che fissava a tre mesi data ( a partire dal 15 maggio 1946) l'obbligo della convocazione dei comizi; i l legislatore prevedendo ciò non-poteva supporre che i n tre mesi, sarebbe stata compilata e approvata la costituzione q u a n d o ' l a stessa legge p e r la quale venne convocata l'assemblea costituente, as,segnava già otto mesi d i tempo e prevedeva la proroga di altri quattro mesi. Purtroppo, erano questi i cavilli con i quali si ostacolò i l funzionamento regolare della regione e se ne ritardò, rendendolo difficile, l'esperimento. Questo fu anche intralciato dal fatto che, salvo quei pochi funzionari statali che si trovavano sul posto per gli uffici altocommissariali, il centro non favorì l'invio d i funzionari che avessero cooperato con i nuovi responsabili della regione, ai quali non si poteva negare buona vo1ont.à e attività, ma dai quali non si poteva pretendere pratica nei pubblici affari. Era naturale che il funzionario statale non ambisse di scendere , d i gradino p e r divenire funzionario regionale (perfino i maestri elementari e i segretari comunali inorridiscono al pensiero d i non essere più qualificati come statali !); ma funzionari comandati alla periferia se ne trovano se sono garantiti nella carriera. Non dico che ci siano state rappresaglie contro i funzionari applicati alla regione, ma si può supporre da qualche indizio che non siano stati tenuti nel debito conto. A rendere più difficile nell'opinione pubblica della capitale la situazione della regione siciliana contribuirono certi atteggiamenti e certi atti, che si sarebbero potuti evitare e certi altri o


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ingranditi o svisati. Anzitutto urtò a Roma che si di parlamento siciliano. I1 paragone corse naturale; Palermo h: un gran ricordo dei suoi parlamenti. Come non ricordare il 1812 e i l 1848? Se la Sicilia che fa parte della nazione italiana guarda al parlamento nazionale come a presidio di libertà, la Sicilla autonomista guarda anche all'assemblea regionale ( i l suo parlamento) come presidio dei diritti propri inalienabili. Ai deputati regionali ( è lo statuto che li qualifica deputati) fu dato dell'onorevole; piccola vanità o conseguenza del nome statutario? Governo regionale ( è lo statuto che parla di governo regionale cioè la giunta più il presidente): la frase suonò strana a Roma. Peggio, l e indennità ai deputati della regione furono fissate nella stessa misura d i quelle dei membri dell'assemblea costituente. Ci fu chi pretese all'immunità parlamentare, e l'affare venne a galla con l'arresto del deputato regionale Cortese di Caltanisetta (legalmente non vi è fondamento a simile privilegio preteso dall'assemblea regionale). Anche il titolo di Gazzetta ufliciale della regione siciliana fece noia ( è così chiama. ta dallo statuto), sì che negli altri statuti speciali si parlò di Bollettino Ufliciale e non di Gazzetta, come si parlò di consiglieri e non di deputati. La stessa organizzazione della presidente dell'assemblea re.. gionale, con la pubblicazione di resoconti stenografici e con un forte apparato impiegatizio, diedero motivo a critiche non del tutto ingiustificate. Anche in provincia si parlò ( e d era naturale) delle esagerazioni di Palermo, per certi provvedimenti affrettati che diedero motivo a lamentele. È un fatto constatato che tutte l e riforme prima della realizzazione prendono colore di avvenimenti desiderati e creano speranze esagerate; dopo la realizzazione destano disillusioni e danno motivo ad aspre critiche. Non fu così della stessa unificazione italiana? All'epopea del risorgimento non seguì « 1'Italietta 1) dell'epoca umbertina? E che critiche e maledizioni di letterati e di poeti, di deputati e di demagoghi, di popolazioni anonime che si sentivano abbandonate! Coloro che ripetono che la regione non piace neppure ai ... regionalisti, non si illudano del preteso fallimento N dell'autonomia siciliana e della pretesa « disaffezione » dei siciliani stessi.


Questi ultimi hanno l'abitudine ( e anche u n poco la ragione) di%criticare, ma se si toccano i loro diritti (reali o immaginari) I allora gridano: di-qui-non-si-passa! Con questo stato d'animo l furono seguite dai siciliani le fasi del cordinamento dello sta! tutq durante gli ultimi tre mesi dell'assemblea costituente. I n che dovesse consistere il coordinamento non era ben precisatb, perché a non pochi lo statuto siciliano sembrava troppo largo\,e come tale da non potersi inquadrare nella legislazione nazionale. Altri tendevano a conciliare l e esigenze isolane con i criteri direttivi della costituzione e limitavano la critica a pochi punti, che desideravano fossero modificati: finanze, polizia, ordinamento provinciale, alta corte. La tesi dei siciliani era radicale, anzitutto perché l'effettiva portata d i u n coordinamento è assai più limitata che non sia quella di modificazione e variazione. I1 coordinamento formale riguarda solo la formulazione degli articoli delle leggi per mantenere la univocità degli istituti identici e i l fraseggio giuridico adatto, mentre il c ~ o r d i n a m e n t osostanziale può essere applicato solo a quelle disposizioni statutarie che sarebbero i n contrasto con i principii costituzionali, non mai a quelle che per la natura di statuto speciale sono diverse e più larghe di quel dhe la costituzione avesse normalmente stabilito; Questo criterio era stato più o meno seguito per gli altri t r e statuti speciali i quali, però, essendo stati sottoposti all'assemblea con le modifiche già concordate, non diedero luogo a grandi controversie e divennero rapidamente leggi costituzionali. Lo statuto siciliano, invece, era già una legge costituzionale, se non formalmente certo sostanzialmente, in quanto modificatrice della struttura unitaria e uniforme dello stato e i n quanto emessa da un organo che assommava in sé tutti. i poteri dello stato, quale c~uelloche regolò i l paese dalla caduta del fascismo fino alla elezione della costituente. Lo stesso organo aveva deliberato di modificare lo statuto del regno ed eventualmente l'istituto monarchico mediante la convocazione d i un'assemblea costituente e di u n referendum. Si trattava quindi di potere rivoluzionario e completo che aveva concesso alla Sicilia un7autonomia speciale con la sola condizione del coordinamento dello statuto alla costituzione.


La co,mmissione competente trovandosi di fronte a tesi con-I i trastahti fra la revisione per intiero dello statuto ( e il relatore ne fece una compilazione ex-novo) e il semplice coordinamento, i ridottasi allo spirare dei poteri dell'assemblea costituente, propose l'approvazione dello statuto coine legge costituzionale con la limitazione che fosse dato al parlamento il potere d i moaificarlo, se la necessità se ne presentasse, d'intesa con l'assemblea regionale. Durante la discussione, quel d'intesa fu tramutata i n intesa », e fii assegnato i l termine di due anni alla facoltà d i modifiche per legge ordinaria. L'esito non contentò nessuno e non chiuse la partita. Da un lato la regione oppose l'impugnazione per incostituzionalità, dall'altro i 'vari minisieri, meno quello dell'agricoltura, non diedero corso al passaggio dei servizi.

18. - I1 5 luglio 1948 fu discusso in udienza pubblica dall'alta corte i l ricorso della regione contro la decisione dell'assemblea costituente del 31 gennaio 1948 approvata nei termini seguenti: « Ferma restando la procedura di revisione preveduta dalla costituzione, l e modifiche ritenute necessarie dallo stato e dalla regione saranno non oltre due anni dalla entrata in \ ' g ore della presente legge approvate dal parlamento nazionale con legge ordinaria, udita l'assemblea regionale della Sicilia 1). La tesi della regione era che la clausola della procedura ordinaria per le modifiche allo statuto ritenute necessarie dallo stato e dalla regione, durante i primi due anni, fosse incostituzionale, i n quanto poteva rendere nulla la natura di legge costituzionale dello statuto e in quanto sotto il pretesto della necessità ( d i dubbio carattere giuridico) potevano essere annullati con colpi di maggioranza i diritti acquisiti della regione siciliana. I1 rilievo più importante da farsi, a proposito di questo singolare giudizio, riguarda la competenza che l'alta corte h a affermato appartenerle, di valutare i l carattere della deliberazione dell'assemblea costituente per poterne giudicare la costituzionalità o meno. Ignoro se negli atti giudiziari degli altri paesi si trovino precedenti che possano somigliare a questo. Certo è interessante, dal punto di vista giuridico, il fatto che


npll3esercizio del suo potere l'alta corte abbia avuto occasioni. di, dover affrontare una questione di competenza così delicata e ', d i averla risolta affermativamente. irca l a competenza dell'alta corte ebbe a pronunziarsi favo\C revllmente lo stesso procuratore generale, dott. Eula (magistrato di alto valore e d i prudente discrezione); ; forse lo stesso avv. 1 Latour vi si oppose più per dovere di difesa che per stretta convinzione giuridica. Più importante f u la decisione del merito della causa, in quanto l'alta corte trovò validi i motivi d i incostituzionalità e l i applicò al caso, annullando i l valore limitativo del comma i n cliscussione circa la procedura di revisione, restaurando anche p e r i primi due anni la procedura costituzionale per qualsiasi modifica allo statuto siciliano. Nel fatto, la costituente si trovava stretta dai termini che spiravano: o doveva confessare di non avere proceduto al coordinamento dello statuto siciliano ovvero doveva inserirlo .nella costituzione come già coordinato ; trovò l'uscita d i una revisione ordinaria entro due anni, per dare così al parlamento l'autorità d i fare il coordinamento senza però chiamarlo tale. Le modifiche allo statuto sarebbero derivate da una necessità sopravvenuta riconosciuta dal governo statale o da quello regionale che ne avrebbero fatta proposta. I1 procuratore generale Eula, appoggiando la difesa dello stato, volle interpretare questa facoltà nei limiti d i modifiche non essenziali, cioè adattamento, aggiornamento, perfezionamento al fine d i adeguare lo statuto alle esigenze della regione e dello stato. Questa non fu l'opinione dell'alta corte, nè poteva esserla, non derivando dal testo, nè da elementi che i l testo potesse fornire, una limitazione che non fosse quella d i una eventuale necessità non altrimenti definita dal testo del deliberato della costituente: « Le modifiche ritenute necessarie dallo stato e dalla regione n. La procedura'delle modifiche eventuali degli altri tre statuti speciali è prevista negli stessi statuti. Lo statuto sardo, all'articolo 54 stabilisce: L'iniziativa d i modificazione del presente statuto può essere esercitata dal consiglio regionale o da almeno ventimila elettori. &

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I progetti di modificazione del presente statuto di iniziativa

governativa o parlamentare sono comunicati dal governo della repubblica al consiglio regionale, che esprime il suo parere entro u n mese. « Qualora un progetto di modifica sia stato approvato in prima deliberazione da una delle camere ed il parere del consiglio regionale sia contrario, il presidente della giunta regionale può indire u n referendum consultivo prima del compimento del termine previsto dalla costituzione per la seconda deliberazione. « Le disposizioni del titolo I11 del presente statuto possono essere modificate con leggi ordinarie della repubblica su proposta del governo o della regione, in ogni caso sentita la regione. « Le disposizioni concernenti le materie indicate nell'articolo 123 della costituzione della repubblica possono essere modificate con le forme prevedute nello stesso articolo N. Dal suddetto articolo deriva che alla procedura costituzionale per lo statuto sardo, fatta eccezione del titolo 111: finanze, demanio e patrimonio e le disposizioni circa le norme per l'organizzazione interna della regione modificabile con procedura ordinaria sentita la regione stessa, è stato aggiunto un referendum rehonale preventivo e consultivo che la costituzione non prevede. Lo statuto valdostano all'art. 50 fissa la procedura costituzionale per tutto lo statuto ad eccezione degli articoli concernenti la organizzazione interna della regione. P e r la parte finanziaria si procederà d'accordo con lo stato e la regione, il che rende p i ù . efficace l'intervento della regione valdostana, che non sia quello, della procedura costituzionale. Lo statuto del Trentino-Alto Adige, agli articoli 88 e 89, ripete 10,stesso di quel che è stabilito per la Valle d'Aosta. Per l a materia finanziaria della regione e delle provincie, le modifiche, sia pur fatte con procedura ordinaria, debbono essere precedute da « concorde richiesta del governo (centrale) e della regione » ; l a . stessa concorde richiesta occorrè per la materia degli art. 24 e 43 relativa al cambiamento biennale del presidente regionale e del presidente del consiglio ~ r o v i n c i a l edi Bolzapo. Come si vede, la pretesa dell'emendamento Persico-Dominedò, che ebbe il voto della maggioranza dell'assexnblea costituente,

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di, introdurre con procedura ordinaria nello statuto siciliano del! 1eAmodifiche « udita l'assemblea regionale » ( e si battagliò fra d'?tesa e udita) era un'eccezione ( i tre statuti speciali erano @\stati approvati) che tradiva lo stato d'animo di diffidenza e i di contrasto verso la regione siciliana. Non si può far torto alle nascenti regioni di esigere tante garanzie per i loro statuti, diffidando degli umori delle'maggioranze parlamentari e delle disposizioni poco favorevoli della burocrazia dello stato. Di questa diffidenza si sono avuti i segni nelle varie controversie portate dalle due parti avanti l'alta corte. Questa, nelle sue altre otto sentenze, ha avuto occasione di precisare certi punti che potevano essere poco chiari e nello statuto e negli adattamenti alla legislazione precedente. Una delle leggi siciliane più biasimata dagli organi centrali è stata quella che rimette in vigore a determinati fini e per nuove società industriali l'istituto delle azioni al portatore. L'alta corte rigettò il ricorso dello stato perché la materia « industria e commercio » in forza dellyart. 1 4 dello statuto è di competenza esclusiva della regione siciliana, e perché la clausola ivi contenuta « salva la disciplina dei rapporti privati 1) non poteva riguardare la questione dato che il codice civile prevede che le azioni delle società possono essere al portatore, pur avendone sospeso l'uso. per disposizione transitoria. La sentenza fece scandalo perché ( a parte la questione giuridica della competenza esclusiva della' regione che non entra nelle abitudini mentali di certa gente) vi si vide un contrasto di interessi non tanto fra stato e regione, quanto fra economie favorite ed economie trascurate, contrasto che si può rilevare in molte leggi dello stato. All'obiezione che i titoli al portatore emessi in Sicilia potrebbero circolare nel resto del territorio nazionale, fu risposto che anche i titoli stranieri al portatore circolano in Italia senza seri inconvenienti. Fin oggi la pratica esecuzione della legge non ha dato motivi a gravi rilievi; ma il ministero delle finanze, nonostante la sentenza, mantiene la sua opposizione. Un terzo ricorso riguardò i poteri della regione in materia finanziaria; perché l'assemblea regionale nel recepire il decreto legislativo del 25 novembre 1947 n. 1283 circa l'esenzione


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dell'l per cento in aggiunta alle aliquote vigenti in materia l i imposte generali sull'entrata: deliberò l'esenzione per gli esercenti professioni arti e mestieri che corrispondono l'imposta i n abbonamento e i redditi dei quali ai fini dell'imposta di ricchezza mobile siano accertati e accertabili in categoria C. L'alta corte ritenne che le leggi finanziarie dello stato hanno effetto in tutto' i l territ,orio senza bisogno d i leggi regionali d i recezione, ma che l'assemblea siciliana ha il diritto di modificarle adattandole alle esigenze locali. Con questa decisione è stata data una prima interpretazione della portata dell'articolo 36 dello statuto che riguarda i poteri finanziari della Sicilia e ne caratterizza l'autonomia. I n connessione a questa sentenza-va l'altfa circa il D. C. 15 dicembre 1947 n. 1419 sul credi& alle medie e Piccole imprese industriali. La regione ricorse contro gli articoli 11 e 14 ultimo comma. Nel primo era omessa la statuizione che le modifiche ( e nel caso presente l'approvazione) dello statuto della relativa sezione speciale del Banco di Sicilia spettassero alla competente autorità regionale e non mai a l tesoro. L'alta corte ritenne che con tale omissione il legislatore non avesse inteso violare la competenza speciale della regione in quanto doveva ritenersi implicita nel congegno della legge. Con il ricorso contro l'art. 1 4 la regione si opponeva alla facoltà esercitata dallo stato a concedere esenzioni fiscali nell'àmbito della Sicilia. L'alta corte ritenne che lo stato h a una tale facoltà i n quanto la legge è valida anche p e r la Sicilia. La regione dal canto-suo potrà, modificandola, adattarla alle esigenze locali. Altro ricorso f u presentato dalla regione contro il decreto legislativo del 5 maggio 1948 n. 631 che carica sul bilancio siciliano la maggiore spesa dei servizi sanitari nella Sicilia, violando il decreto 12 aprile 1948 n. 507 concernente la disciplina provvisoria dei rapporti finanziari tra lo stato e la regione siciliana. L'alta corte respinse i l ricorso perché il ministero del tesoro dichiarò, prima della decisione, che la norma impegnata resterà inoperante qualora i servizi sanitari non saranno trasferiti alla regione ». Infatti si tratta di quei servizi che la regione, p e r l'articolo 17 dello statuto: ha la facoltà ma non il dovere d i avocare a sé e che nel fatto non h a fin oggi avocati. Inoltre nel sud-


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detto .accordo provvisorio,-è prevista « un'operazione di conguaglio 1 finale dopo il passaggio dei servizi e del personale alla regione \i stessa D. #'Altridue recenti ricorsi avanzati dal commissario del governo per pretesa incostituzionalità di due leggi regionali, hanno dato occasione all'alta corte d i ribadire i criteri già adottati dell'interpretazione dell'articolo 36 dello statuto, ammettendo nel caso d i esenzioni fiscali sia a favore delle nuove costruzioni i n genere sia p e r l'ente regionale delle case operaie, il diritto dell'assemblea regionale a decidere, e annullando alcune disposizioni non conformi ai limiti già fissati nella precedente sentenza. Infine, due ricorsi riguardavano problemi dell'istruzione. 11 primo, la istituzione di due facoltà, una di agraria all'università d i Catania, l'altra di economia e commercio all'università d i Messina. L'alta corte, in base all'art. 17 dello statuto, ammise la competenza della regione a istituirle a carattere regionale e a carico degli enti che ne sono stati promotori e finanziatori. I1 secondo, la istituzione di u n consiglio regionale dell'istruzione che l'alta corte dichiarò incostituzionale perché la legge regionale attribuiva al nuovo consiglio l e funzioni che i n virtù delle vigenti reggi sono esercitate dai corpi consultivi del ministero della istruzione. La disposizione f u ritenuta lesiva delle posizioni del personale statale della istruzione circa la nomina, la carriera e la quiescenza. Accennando rapidamente al lavoro dell'alta corte, vale la pena notare l'utilità che può derivare dalla formazione d i una giurisprudenza d i diritto regionalistico, nel guidare i primi rapporti fra stato e regione e nel far comprendere agli amministratori e ai burocrati i limiti derivanti dalla retta interpretazione della costituzione, degli statuti regionali e delle leggi che vi si riferiscono. 19 - Una delle questioni la cui soluzione è stata fin oggi evitata, ma che dovrà essere al più presto affrontata, è quella derivante dall'interpretazione dell'art. 43 dello statuto siciliano. L'alta corte non h a avuto occasione di occuparsene, e non credo che se ne presenti l a necessità. Fino alla data di funzionamento dell'attuale parlamento, il consiglio dei ministri aveva normali poteri legislativi, e ne usò i


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più volte, come abbiamo visto, per l'attuazione dello Statuto siciI liano e la formazione di organi giurisdizionali. Secondo il nostro avviso, p e r alcuni d i quei provvedimenti non occorrevano decreti legislativi essendo sufficienti i provvedimenti di competenza dei ministri o del consiglio dei ministri, specie per i l passaggio degli uffici ( l ) . Lo stesso si può dire per tutta la materia normativa circa il passaggio dei servizi dello stato alla regione. Lo spirito e l a lettera dell'art. 43 dello statuto sono assai chiari e tendevano alla rapida attuazione di tale passaggio, che si prevedeva dovesse avvenire anche prima delle elezioni generali per le due camere. Infatti, fin dal marzo 1947 i lavori della commissione paritetica erano stati compiuti, e nello stesso mese, in base a taii lavori, f u convocato i l corpo elettorale della Sicilia per eleggere i consiglie~idell'assemblea regionale. Sarebbe incongruo e antitetico supporre l'esistenza degli organi della regione senza alcun funzionamento: paralizzati per quasi due anni dall'attesa d i future leggi che dovevano essere discusse dal parlamento. Purtroppo, parte del lavoro della suddetta commissione è rimasto negli archivi, e il consiglio dei ministri non è stato neppure chiamato a deliberare in merito. Oggi si muovono varie questioni procedurali e d i merito, che vale la pena esaminare. La prima, se e fino a quale punto il consiglio dei ministri sia obbligato a tener conto dei lavori della commissione paritetica. E nel caso che, in parte o in tutto, non ne accetti le decisioni ( o determinazioni), se debba rimandare i'affare alla stessa commissione p e r . u n riesame o prendere. diretti accordi con i l governo regionale, ovvero possa decidere unilateralmente d'autorità. Qualsiasi delle tre vie venga presa, rimane da risolvere se le (l) All'art. 37 del disegno di legge 211 (costituzione e funzionamento degli organi regionali) l: previsto che « il passaggio dallo stato alla regione di uffici che attendono a compiti riflettenti le materie di cui all'art. 117 della costituzione sarà disposto con decreto del presidente della repubblica su proposta del ministro competente, udito il consiglio regionale ». La disposizione è opportuna a distinguere la materia legislativa da quella esecutiva (N.d.A.).


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decisioni del consiglio dei ministri debbano rivestire il carattere ' t dk!decreti legislativi (come è stato fatto dal marzo 1947 al mag.gi\\l948), ovvero possano avere il carattere di decreti presidenziali, come è previsto all'art. 31 del disegno d i legge n. 211 già citato i n nota. C,'è chi opina che si debba applicare al caso della regione I siciliana non più l'art. 43 dello statuto, sì bene la VI11 delle disposizioni transitorie della costituzione, dove è disposto che leggi della repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite allc regioni N. Si è obiettato che tale disposizione non si applica alle regioni a statuto speciale, nel quale è previsto i l modo d i 'passaggio d i tali funzioni. Nello statuto sardo (art. 56) è stabilito che una commissione paritetica d i quattro membri, nominati dal governo della repubblica e dall'alto commissario p e r la Sardegna, sentita l a consulta regionale proporrà le norme relative al passaggio degli uffici e del personale dello stato alla regione, nonché le norme di attuazione del presente statuto. Tali norme saranno sottoposte al parere della consulta o del consiglio regionale e saranno emanate con decreto legislativo 1). Nello statuto vuldostano nulla d i specifico è detto, perché la gran parte dei servizi sono gi.à in mano alla regione (l). L'art. 95 dello statuto del Trentino-Alto Adige è più stringato e prevede un solo decreto legislativo con il quale saranno emanate le norme di attuazione della presente legge n. Norme d i attuazione, non passaggio di funzioni; tali norme sono state emanate col decreto 1 dicembre 1948 n. 1414. Si fa riserva all'art. 29 di emanare altre norme con la stessa procedura indicata all'art. 95 dello statuto. I n sostanza, p e r gli statuti speciali è i l consiglio dei ministri che provvede con decreto legislativo alle norme d i attuazione, salvo p e r la Sardegna p e r cui tale decreto ( o più decreti) è preceduto dal lavoro della commissione paritetica. Nel caso della Sicilia non si può affatto applicare la dispo\ q

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(1) Col disegno di legge n. 244 vengono precisate le attribuzioni della giunta giurisdizionale amministrativa della Valle d'Aosta; camera e senato l'hanno già approvato.

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sizione VI11 della costituzione, essendo tuttora i n vigore l'art. I 43. Se vi sono controversie, occorre adire di nuovo la commissione paritetica ; se invece si raggiunge l'accordo f r a governo centrale e governo regionale, si potrà evitare (credo io) i l ritofno alla commissione paritetica. Nei due casi i l provvedimento deve essere adottato p e r decreto legislativo, come è previsto negli statuti succitati, solo per le materie di attuazione dello statuto che innovano le istituzioni vigenti (come è stato fatto in parte p e r le sezioni giurisdizionali previste dall'art. 23 dello statuto siciliano); mentre p e r il passaggio dei servizi e uffici, riguardante le materie indicate agli articoli 14, 15, 17 e 36 dello statuto, basterà u n decreto presidenziale su proposta del ministro competente, e nei termini precedentemente concordati fra stato e regione.

20. - Quale sia stato l'orientamento e lo sviluppo amministrativo della regione siciliana nei primi diciotto mesi d i esistenza non è facile rilevare. La regione non è stata sostenuta da un'opinione pubblica coerente e fiduciosa. L'esito delle elezioni non fu propizio, sia p e r il razionamento dei partiti sì che nessuno ebbe la maggioranza dei seggi; sia per l'equivoco creato dal fatto che al partito più numeroso, il blocco del popolo, non f u data l'adesione d i altri partiti p e r la formazione della maggioranza; f u invece data al partilo democristiano, il secondo d i numero, i n modo da lasciare allo stesso la responsabilità di minoranza che amministra con l'appoggio d i una maggioranza frazionata. Alla prima crisi la giunta fu rifatta con l'introduzione d i elementi d i altri partiti. A parte le deficienze di u n organismo che nasce ex novo, senza attrezzatura amministrativa, senza burocrazia propria, senza tradizioni politiche - tranne i l sentimento della dell'isola mai voluta riconoscere in ottantasei anni d i unitarismo uniforme e centralizzato - i primi inizi dànno elementi sicuri d i uno sviluppo efficiente. Ciò non ostante, non c'è persona in Sicilia che non si lagni della regione; e non potrebbe essere diversamente. Mancava fin oggi uno schermo immediato, che fosse il primo bersaglio del malcontento sì che tutte le lamentele erano contro


Rorna ; ora c'è, è la regione, è Palermo ! tutti gli strali si appuntano su Palermo. I partiti sono i primi; il blocco del popolo non manca di accusare la maggioranza, i democristiani, il presidente e la giunta, perché naturalmente non si è adottato il suo programma nè si sono seguiti i suoi moniti. Continuano le critiche dei ceti interessati, che prima avevano a Roma i loro canali, oggi debbono formare i nuovi canali a Palermo ; e ~ o i c h é molti affari non sono decisi a Palermo ma a Roma, e non si sa ancora l a esatta competenza della regione e dello stato, p e r colpa del ritardato passaggio dei servizi, così molti si sentono disorientati e annoiati incontrando nuove r e q o r e a l sollecito disbrigo degli affari. Si sa, del resto, che le scarpe nuove danno assai più noia delle scarpe vecchie. Ciascuno poi crede che la sua questione, la sua richiesta, la sua proposta dovrebbe avere corso immediatamente e secondo il proprio desiderio; sì che molti regionalisti convinti, si trovano nello stato d'animo d i coloro che vedono cadute tutte le speranze , di non si sa che brillante avvenire. Vari siculo-americani, che hanno la convinzione che tutto possa farsi rapidamente, venendo a visitarmi dopo u n giro in Sicilia, si sono lagnati con me che in certi comuni manchi l'acquedotto, i n altri non ci sia la luce elettrica, in alcuni non ci siano alberghi clecenti, conclusione; ma che fa la regione? Questa domanda semplicista è ripetuta da quanti vogliono vedere in u n giorno risolti i problemi annosi della Sicilia. Leggendo la Gazzetta Ufficiale della regione, i l resoconto del primo anno e i due bilanci preventivi, si può avere un'idea approssimativa dell'andamento degli affari. Un punto è interessante sopra gli altri, che si sia proceduto a quel coordinamento regionale dei servizi e a l rilievo dei bisogni dell'isola che serviranno ad avviare piani e soluzioni integrali. Ciò si sta facendo principalmente nei settori dove è stata -$ossibile l'intesa fra Roma e Palermo. Accenno al ramo « agricoltura e foreste ».Da principio l'attività assessorale fu assorbita dall'applicazione del decreto Segni sulle terre incolte e dall'attuazione di leggi regionali sulle ripartizioni dei prodotti e simili. Naturalmente le questioni erano scabrose e intanto si seguì, più o meno, la politica del centro e la prassi dell'alto commis-


sariato. Si comprese subito che questa politica d i contingenza non risolveva i problemi e acuiva le situazioni, mentre era necessario dare maggiore spinta alla bonifica, attivare i consorzi, eseguire l e opere in corso. Vennero. i n buon punto i finanziamenti del centro sia con la legge del 5 marzo 1948, sia con gli aiuti AUSA, sia infine con il piano ERP in corso d i approvazione. L'esistenza della regione ha dato alla Sicilia tre vantaggi in questo campo: quello di una progettazione che abbraccia e coordina tutti gli interessi dell'isola; quello della cooperazione degl'interessati e la possibilità di progettazioni serie e concrete; quello d i u n organo rappresentativo presso l'amministrazione statale. A questa è stato richiesto il necessario finanziamento per la sistemazione montano-forestale, per la quale si sono iniziati studi e progettazioni. I1 problema principale sul quale verte la cura della regione è quello della bonifica integrale della piana d i Catania, che è legato alla formazione dei serbatoi e degli impianti idro-elettrici e della sistemazione montana del Salso-Simeto. Tutto u n complesso d i grande importanza a l quale è gi.à impegnato l'ente siciliano d i elettricità. Lo stesso risultato si è avuto nel campo dei lavori pubblici. I1 decentramento del servizio dei lavori pubblici per regioni rimonta a prima della istituzione dell'alto commissariato siciliano. Mancava, però, come è stato fin oggi per tutti gli altri provveditorati esistenti, u n centro elettivo e responsabile, da poter dare sistema e organicità alle varie proposte d i lavori pubblici d i interesse regionale. P e r i l fatto poi dei danni d i guerra, della disoccupazione stagionale e della mancanza d i pro. gettazione preventiva, essendo ogni regolare progettazione subordinata all'assegnazione legale dei fondi, i provveditorati erano sollecitati caso per caso, e obbligati alle improvvisazioni d i lavori occasionali, quando non ricorrevano alle regie d i malfamata memoria. Poco a poco l'assessorato regionale della Sicilia h a potuto coordinare i lavori in corso, dare preferenza a quelli d i maggiore rilievo, distribuire l e spese tenendo conto dei bisogni delle singole provincie ; e dopo una serie d i riunioni d i sindaci e amministrazioni provinciali, fare piani regolari per tutto il campo


complesso di opere di interesse regionale e locale. Nel far ciò è stato favorito dalle assegnazioni statali del dicembre 1947, del marzo 1948 e recentemente dalla legge dei venti miliardi del piano ERP. P u r mancando fin oggi il passaggio regolare alla regione dei servizi dei LL. PP. e p u r non avendo la regione propri uffici tecnici, si è stabilita fra assessorato e provveditorato buona intesa e collaborazione fiduciosa; sono stati anche utilizzati caso p e r caso gli uffici tecnici provinciali e comunali, sì da poter ottenere il più rapido e il migliore risultato possibile in un periodo di precarietà funzionale. Nel campo dei trasporti si è avuto u n reale successo per l'approvazione, i n sede tecnico-consultiva, del piano regolatore delle ferrovie siciliane per il completamento della rete. Ciò è avvenuto dopo più d i sei mesi di lavori sul posto di una sottocommissione nominata su richiesta della regione e presieduta dal rappresentante regionale ( l ) , e poi approvata dalla commissione per lo studio del piano regolatore delle ferrovie, in data 9 aprile 1948, in seguito adottata dai ministeri dei lavori pubblici e dei trasporti, che già avevano fissato le relative competenze circa i nuovi lavori e la precedenza da darvi. Allo stesso tempo veniva concordato con il ministero dei trasporti l'impianto di due centrali termo-elettriche, una a Palermo in società fra l e ferrovie, l'ente siciliano di elettricità e la società generale elettrica siciliana, l'altra a Messina di' proprietà e gestione delle ferrovie, per la elettrificazione delle linee Messina-Palermo e Messina-Siracusa. La cooperazione regionale con lo stato ai vari problemi dei trasporti è stata abbastanza regolare, mentre l'assessorato .ai trasporti ha per suo conto preso iniziative e sviluppato attività =tili al miglioramento dei servizi locali. Questo assessorato tiene anche la marina che purtroppo nor. rappresenta fin oggi un ramo così importante come dovrebbe essere per un'isola della lunghezza di coste e della posizione mediterranea quale la Sicilia. Ma questo è un motivo per affrontare in un prossimo avvenire il problema nella sua complessità (l)

L'avv. Gesualdo La Rosa fu Giacomo.


con soluzioni a lunga portata. Le questioni del cantiere d i Palermo sono state continue e pressanti e l'opera regionale è stata apprezzata. L'igiene e sanit.à non è ancora passata alla competenza regionale, ma la unificazione regionale dei servizi medico-provinciali fu fatta in Sicilia dagli alleati e. tuttora è in vigore e ha dato buoni risultati. Con l'intervento degli aiuti AUSA, integrati dalla regione, si è provveduto a dei miglioramenti in vari ospedali dell'isola; ma molto di più si attende con il piano ERP. La visita dell'alto commissario Cotellessa è stata utile per il rilievo delle condizioni arretrate dell'isola in materia di assistenza sanitaria e i n materia d i risanamento igienico. Superfluo accennare a tutti i servizi di carattere ordinario, a i quali nelle altre provincie provvedono medici provinciali e prefetti; i n tali casi i l vantaggio di u n cen,tro regionale è sostanzialmente funzionale e limitato ai mez2i.e all'attrezzatura della quale si dispone. Sono gi.à in preparazione progetti d i sanatori e preventori antitubercolari, colonie antitracomatose, e altri istituti particolari d i interesse igienico ( l ) . L'istruzione ha avuto u n buon impulso con la istituzione di 600 scuole sussidiarie, 1130 scuole popolari, 1330 nuove classi. Inoltre la regione approvò una legge nel luglio 1948 p e r la riduzione del numero massimo~di alunni delle scuole elementari; i n base a tale legge occorrerà provvedere a d altre 863 nuove classi nel prossimo esercizio. Sono state riconosciute legalmente 79 scuole medie già autorizzate ed è stata consentita l'apertura d i 85 nuove. Sono state istituite le facoltà d i agraria all'università d i Catania e quella d i economia e commercio all'università di Messina. Oltre la maggiore regolarità e speditezza deì servizi locali, c'è da mettere i n conto una serie di provvedimenti e aiuti p e r

( l ) E in corso di esame un progetto dell'assessore dott. Petrotta per dotare i piccoli comuni e i villaggi siciliani di ambulatori, posti di pronto soccorso. A questo scopo l'assessore si è messo in contatto con il ministro del lavoro e della previdenza sociale e con l'alto coiniiiissario per l'igiene e sanità (hl.d.A.).


gli asili infantili, per l'igiene degli alunni (essendo stata clecisa l'obbligatorietà della visita oftalmica) e per i patronati scolastici. C'è molto da fare in Dopo u n periodo di diffidenze si va trovando presso il ministero della P. I. della comprensione ; si sono già fissati utili accordi e si spera che presto si effettuerà i l passaggio completo dei servizi scolastici alla regione. Se la Sicilia saprà i n questo ramo corrispondere alle esigenze dell'istruzione pubblica, si dovrà ritenere vi,nta una prima battaglia per la libertà della scuola. L'organizzazione turistica si va avvantaggiando d i u n programma importante già elaborato e presentato al commissario del turismo i n Roma. Si sono allacciati rapporti con centri esteri. Si spera d i realizzare u n centro turistico mondiale intorno all'E tna. Industria e commercio : problemi seri. Perché l'amministrazione centrale si sia mostrata diffidente e solo da p o c o abbia studiato i termini di passaggio dei servizi alla regione, rendendo difficile l'attività dell'assessorato, non si può spiegare. L'attivit.à normale dell'assessorato è stata quella di seguire le varie questioni e venire a Roma a sostenerle sia presso il commercio estero, sia presso l'industria e commercio. Largo è stato il servizio cli permessi o decreti locali in materia di apertura o chiusura cli esercizi; la mia opinione in materia è per l'abolizione d i ogni intervento d i autorità, tranne che per l'osservanza delle leggi di sicurezza e di igiene pubblica. I1 campo p i ù importante di attività assessoriale è stato quello minerario (zolfi), quello agrumario (camera agrumaria e derivati d i agrumi), quella del piano E R P per favorire nuovi impianti. I1 p i ù discusso provvedimento è stato quello che consente i titoli a l portatore p e r le nuove aziende industriali. Sono i n corso varie iniziative p e r favorire l'industrializzazionk dell'isola, per quanto ancora in concreto non si siano fatti passi notevoli. Ma l'orientamento è stato preso e si svilupperà i n u n prossimo avvenire. Di primaria importanza sarà la raffineria d i petroli che si sta per impiantare ad Augusta. L'assessorato del lavoro, p e r i l mancato passaggio dei servizi, è tuttora u n ufficio di coordinamento e di smistamento, p i ù che u n centro d i attività rispondente al17importanza che


merita. Le occasioni di vertenze han dato molto da fare all'assessore del ramo come pure l e questioni sorte per l'applicazione del D. L. sull'imponibile della mano d'opera nonché i ricorsi (circa mille) sui contributi unificati della previdenza. L'utilità dell'ufficio di statistica del lavoro è evidente ed è stato u n bene istituirlo e attrezzarlo. La sorveglianza della regione sui comuni e sugli enti morali è gi.à in funzione e procede con serietà e prudenza. Con l'istituzione del consiglio regionale di giustizia amministrativa e con le sezioni della corte dei conti il decentramento funziona regolarmente. I1 suddetto consiglio iniziò il funzionamento i l 27 luglio e dentro l'anno 1948 la sezione consultiva ebbe 63 richieste di parere delle quali ebbero corso 58. Fra queste, 11 riguardarono proposte d i scioglimento d i consigli comunali. La sezione giurisdizionale ebbe trasmessi dal consiglio d i stato per competenza 163 ricorsi e altri 61 furono depositati dentro dicembre. Di questi furono date 43 decisioni definitive, 7 interlocutorie e 14 ordinanze su domanda d i sospensione. L'assessorato più importante e denso di lavoro è quello delle finanze. Gli accordi provvisori con i ministeri della finanza e del tesoro non hanno evitato controversie e ritardi. Ciò non ostante i servizi sono stati bene organizzati e i controlli tutti funzionanti. A leggere i l bilancio 1948-49 vien fatto di osservare che la regione non potrà svilupparsi bene con un'entrata che arriva a circa 17 miliardi con i quali si coprono appena i servizi statali che son passati o i n corso di passaggio alla regione. P e r u n avvenire di riorganizzazione e d i risorgimento siciliano, ancora si dovrà preparare u n piano decennale organico e coraggioso. Forse i l lettore poco esperto d i amministrazione o molto tiepido di regionalismo dirà che quel che h a fatto la regione siciliana i n u n anno e mezzo poteva essere fatto, e sarà stato fatto nelle altre regioni, da prefetti, provveditori p e r l e 00. PP., provveditori scolastici, medici provinciali e così via; sarebbe bastato u n migliore o più vigile coordinamento a l centro. Chi pensa così mostra d i non avere un'esatta idea di quel che sia la vita amministrativa locale, preferendo l'ordinamento burocra-


tico centralizzato a quello elettivo. Per giunta, non si rende conto del vantaggio della formazione di una classe dirigente che abbia esperienza amministrativa, nè dà la dovuta importanza al coordinamento regionale dei servizi e al controllo regionale su quel che i ministeri vanno elaborando e attuando circa i problemi di carattere locale. La Sicilia va facendo la sua piÚ importante esperienza.


L'UNITA' DELLA NAZIONE

21. - Questo mio scritto esce in un momento di perlessità, dubbi, contrasti: avversioni, e forse alla vigilia d i una forte battaglia parlamentare, dato che liberali, socialisti, indipendenti e frazioni d i altri partiti si schierano contro l a regione. Se si dice che la regione rinsalda l'unità nazionale, costoro sogghignano o satireggiano, tanto sono convinti c.he l'Italia andrà in pezzi. I francesi, dopo avere nel 1918 ricuperato l'Alsazia e l a Lorena, che dal 1870 in poi erano state unite alla Prussia e facevano parte dell'impero germanico, volevano d i colpo introdurvi la legislazione e i l tipo dell'amministrazione dello stato centralizzata e uniforme. Alsaziani e lorenesi resistettero' minacciarono di rivoltarsi ogni volta che atti amministrativi o legislativi toccavano i Ioro ordinamenti, superarono parecchie crisi e non cedettero. Ma la Francia ebbe quelle popolazioni fedeli anche durante la seconda guerra e la conseguente occupazione e annessione, e più fedeli che i. ;ichyioti di Parigi e d i Lione; quando cessò l'occupazione, furono felici e unanimi a ritornare alla Francia dopo i l secondo distacco. Non sono le leggi proprie e i propri statuti che creano i distacchi dolorosi, come quello dell'Irlanda, sì bene i maltrattamenti che iii nome dello stato vengono inferti alle popolazioni, che per storia, per tradizione, per eventi eccezionali, credono d i rivendicare una loro personalità e di volere rispettati i propri privilegi. Se ai tempi d i Gladstone si fosse approvato 1'Home Rule promesso all'Irlanda, non si sarebbero avute le rivolte successive, nè la guerra civile durata cinque anni dal 1916 a l 1.921.


Se il fascismo non avesse usato i metodi drastici sulle popolazioni slovene del171stria, le pretese della Jugoslavia non avrebbero avuto base presso gli alleati. Se il fascismo non avesse urtato le tradizioni valdostane e ferita quella popolazione nell'attaccamento alla lingua propria, non si sarebbero avuti i momenti difficili della guerra e del dopoguerra, che alimentarono le pretese francesi sull'italianissima Valle d'Aosta. Non giustifico il separatismo siciliano: l o spiego. E spicgo i risentimenti non solo della Sicilia, ma della Sardegna e del mezzogiorno continentale, risentimenti che in ogni regione prendono propria fisionomia. P e r esserci u n pericolo p e r l'unità della nazione, ci dovrebbe essere o un'attrazione verso altri centri politici diversi, ovvero il senso della propria sufficienza, sulla quale poggiare i l distacco e l'indipendenza. Nessuna delle regioni italibne sente attrazione verso i paesi d i confine. È ridicolo, a non dire altro, supporre che il Piemonte e la Liguria aspirino a unirsi alla Francia, che il Trentino voglia ridivenire austriaco, che la Lombardia voglia unirsi alla Svizzera, suddividendosi i n una decina d i cantoni. La Sicilia e l a Magna Grecia unirsi alla Grecia o all'Albania? La Sardegna alla Catalogna? Gli antiregionalisti non sono così cretini da supporre che ci sia un lembo solo d'Italia che voglia perdere la indipendenza nazionale; essi si preoccupano d i ben altro, che ogni regione pretenda d i reggersi da sé e quindi attenui i l senso dell'unità nazionale. Questa preoccupazione è semplicemente infondata, sia dal punto di vista del sentimento nazionale che è vivo i n tutti senza eccezione ; sia dal punto d i vista degli interessi e della rete di interessi che legano le parti al tutto; sia dal punto d i vista della stnittura dello stato, che mantenendo, attraverso i propri organi di legislazione generale, giustizia, difesa, polizia, finanza, dogane, politica estera, ha quanto occorre per dare indirizzo nazionale ed unitario al paese. Che se ciò è fatto, e ben fatto, i n paesi confederati, cosa dire del nostro che mantiene la sovranità solo a l centro? Il sociologo sa bene che l'unità di qualsiasi nucleo sociale parte da, e si perfeziona nella coscienza che i consociati hanno di tale unità, in quanto.& coscienza di vivere l'uno p e r l'altro.


Marito e moglie divisi di luogo e senza comunicazione fra di loro, per motivi di guerra, di prigionia, o altro motivo estrinseco alla loro volontà, formano e sono una società vivente per la coscienza che hanno di essere uniti e uni. Ma se, al contrario, la loro vita materialmente unita è separata nelle loro coscienze per legami extraconiugali, la loro unità societaria è rotta pur essendo ancora efficiente di fronte alla legge e di fronte alla chiesa. Così è per una nazione. Le rotture che portano alle guerre civili e al tentativo di secessione, come durante il secolo scorso negli Stati Uniti d i America fra il nord e il sud, in Svizzera fra i vari cantoni, sono causate anzitutto da rottura di coscienza unitaria. Così fu per noi l'avventura fascista, che divise la popolazione italiana e creò i motivi di fratture nelle zone periferiche, l e allogene dell'Alto Adige e della Venezia Giulia, la Valle d'Aosta e la Sicilia. Se la linea gotica fosse durata quattro o cinque anni in più e la popolazione fosse stata passiva e non impegnata nella guerra, sarebbe stata più difficile una saldatura fra nord e sud quanto pie debole si fosse trovato lo stato italiano e quanto più indebolita fosse stata l'idea nazionale, compromes. sa dal fascismo e non animata dalla resistenza bellica. Al contrario, la resistenza volontaria tanto al nord che al centro e aI sud, la insofferenza a subire anche l'occupazione alleata, i l risentimento per l e mancate promesse, le speranze di u n trattato di pace meno gravoso e meno ingiusto, rifecero d i colpo lo spirito nazionale, i l senso d i unità e la coscienza del nostro essere d i italiani. E se nel cacciare lo scorie fasciste si fosse stati più accorti a vedere in molti tra i fascisti quell'amor patrio, deviato ma vero, che li aveva legati all'avventura, e se si fossero processati solo coloro che avevano a loro carico reati comuni, siano stati o no coloriti da « scopi nazionali I), si sarebbe evitata una frattura spirituale che nè attenuazioni legali nè amnistia hanno fin oggi colmata. Altra frattura ci han portato i comunisti, non per la loro ambizione a divenire maggioranza e a prendere le redini del potere; ma per la loro dipendenza dal cominform e per la loro aperta volontà di asservirci a Mosca. L'esperienza fatta dai paesi passati al di là del sipario di ferro, che han perduto la libertà e l'indipendenza, ci mostra chiaramente che i dirigenti comunisti


non han più coscienza unitaria italiana, e vanno formando nelle masse una coscienza imperiale comunista. Fortuna che l'innesto di tale coscienza è sociologicamente tanto più difficile quanto più radicata è nelle abitudini, negli affetti e negl'interessi del popolo italiano la coscienza nazionale. Per questo, tranne il caso di u n colpo d i forza o di guerra, le masse non saranno trascinate mai ad aprire da sé le porte allo straniero. La frattura di coscienza unitaria può avvenire, ma le reazioni psicologiche a favore della nazione italiana anche nel campo comunista non mancheranno. Le regioni non hanno nè motivi di coscienza, nè vantaggi economici, nè entusiasmi politici da eccitare nelle masse contro la madre patria. Non avranno neppure possibilità finanziarie di vivere indipendenti dal centro. Potranno avere dissensi col governo, avranno anche urti col parlamento, si sentiranno maltrattati (come la Sicilia) e reagiranno sul terreno dell'opinione pubblica; faranno dimostrazioni d i piazza, se i motivi colpiranno la fantasia popolare. Non ci furono forse un tempo i moti di Palermo, le ribellioni delle provincie meridionali, i fasci d i Sicilia? Chi non ricorda l e sommosse di Milano nel 1898? e la settimana rossa nel 1913?... I1 governo, i governi facciano u n esame delle loro colpe, e i partiti anche. Ma l'Italia dei Mille d i Garibaldi è onehe l'Italia del Grappa, è l'Italia nostra, di tutti; non è l'Italia dei governi, nè l'Italia dei partiti, nè delle regioni: è l'Italia degli italiani veramente e sostanzialmente una ( l ) . ( l ) Fa meraviglia che i firmatari di un manifesto antiregionalista, fra i quali si trovano nomi di studiosi e di scrittori che fanno onore alla patria. abbiano potuto sottoscrivere ad affermazioni come queste: « A questa Italia una. uscita dalle mani di Dio e degli uomini, già collaudata da quasi un secolo di sempre più visibili e rapidi avanzamenti di ogni sorta d i attività, si è fatto il processo e la condanna è pronunciata, anzi è in via di esec~izione.Già si coagulano gruppi dirigenti e interessi locali, che dalla logica stessa delle cose saranno portati ad approfondire sempre più i solchi entro la società nazionale. Non esisteva uno spirito regionalistico. Noi lo abbiamo attizzato. Noi lo stiamo creando. Ci dividiamo, creiamo i piccoli «stati regionali », veniamo con ciò a rendere anche più difficile e grave di incognite la nostra eventuale inserzione in un grande complesso di nazioni e di stati n.


La vita regionale è vita locale nello spirito unitario; la ripresa d i attività locali sarà a vantaggio d i tutto il paese; l'educazione sperimentale delle classi dirigenti creerà nuovi e migliori amministratori; il dibattito fra centro e periferia farà più viva la stessa amministrazione. Dopo ottantanove anni d i asfissiante uniformismo e d i monopolismo centralizzato, che l'Italia abbia, come tutti i paesi moderni e civili, una vita politica e amministrativa più articolata, u n controllo pubblico più efficiente, una giustizia distiibutiva più proporzionata: ecco gli scopi del sano e vero regionalismo ( l ) . Roma, 6 gennaio 1949.

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Rla dove vivono costoro che parlano di piccoli « stati regionali N, per colpa dei p a l i ((veniamo a rendere difficile e grave di incognite la nostra eventuale inserzione i n un grande complesso di nazioni e di stati » ? Roba da spaventapasseri. Certuni d i costoro avrebbero dovuto dir ciò sul serio a Mussolini e suoi collaboratori. Dovrebbero ripensare alle responsabilità di quanti in Italia cooperarono a scatenare la seconda guerra mondiale, non mai ai siciliani o ai valdostani o ai giuliani e trentini di dopo guerra, i cui pretesi « stati regionali » non impediscono nulla. Circa il processo storico al secolo di vita unitaria, gli storici del maniiesto non hanno che a rileggere quanto gli stessi italiani, critici e ipercritici quali sono, hanno detto e scritto anno per anno e giorno per giorno dal 1848 a l 1948, con la sola eccezione del periodo fascista, quando chi volle parlare alto e franco dovette andare all'estero. (N.d.A.). ( 1 ) Sembra intenzione degli antiregiorialisti « attivi » di fare appello al popolo promuovendo un referendum per l'abolizione della regione. Ignorandosi i termini per il referendum: non può darsi una opinione i n merito. Solo è da avvertire che non risponde agli interessi nazionali il tentativo di modificare la costituzione senza avervi dato esecuzione e senza averne consolidato l o spirito e la lettera. Non sarà un fatto senza gravi conseguenze quello di accendere una disputa popolare sopra uno dei cardini della riforma statale sancita dalla costituzione e già i n atto per l e quattro regioni a statuto speciale. Più gravi sarebbero le conseguenze se si tentasse di trasportare il prohlenia regionale sul piano della lotta anticomunista. Naturalmente, non vi si presteranno i regianalisti convinti; m a quando si scatenano certe passioni alimentate dalla paura, non si possono prevedere l e conseguenze. La costituzione è d'ieri ed è ancora troppo fragile. I l tentativo di smantellarla può avere un seguito (Ai.d.A.).


PROGRAMMA MUNICIPALE (1902)



I. PROGRAMMA MUNICIPALE Egregi colleghi, Non è u n lavoro fac'ile quello addossatomi d i redigere una relazione sufficiente, se non completa, sul Programma municipale (*), e disegnarne l e linee principali. Onde sento il bisogno d i dichiarare i n sul principio che, sia p e r l a diffico1t.à intrinseca del lavoro, sia p e r la non intiera preparazione di coltura adeguata, sia p e r la brevi& del tempo e molteplicità di fatiche nell'organizzare il convegno, la presente relazione e l e proposte annesse non sono altro che u n largo canovaccio, sul quale tutti i convenuti, discutendo e deliberando, lavoreranno alla formazione d i u n programma che risponda al momento storico che attraversiamo, alle esigenze dell'attuale vita amministrativa, ai principi finanziari, economici, sociali e morali accertati come veri e come più rispondenti ai bisogni del popolo e alla funzione dei comuni. Non è da oggi che i cattolici italiani, nella nuova attività d i vita pubblica, hanno avuto d i mira, anche dopo che si appartarono dalle lotte politiche, di portare nelle assemblee elettive dei comuni e delle provincie, almeno nei centri più evoluti, l a loro voce, diversa da quella degli uomini di altri partiti, sostenendo qua e là non indegne lotte, qualche volta coronate da successi, anche clamorosi, e da forti affermazioni di principi di religiosità e fedeltà a l papa.

( 8 ) Relazione e proposte al l o convegno dei consiglieri cattolici siciliani 6 e 7 novembre 1902. tenuto a Caltanissetta il


TJn largo periodo d i queste lotte, per lo più basate su compromessi e alleanze con gli uomini di parte moderata, non so se furono l'inizio d i u n partito nuovo che si affacciava, benché lentamente, nella vita municipale italiana sotto l'insegna religiosa, oppure lo sforzo degli elementi e dello spirito antico conservatore, i cui uomini, nello sconquasso di idee e d i reggimenti, si afferravano alla affermazione religiosa come all'antitesi più vibrante di vitalità contro la cristianizzazione e la laicizzazione imperante nella pubblica attività dell'Italia, assurta a dignità nazionale.. Forse l'una e l'altra cosa insieme, indistinte, incomprese, e quindi localizzate nel movimento che mai divenne generale, e ristretto alla resistenza in nome della .religione e dell'onestà; resistenza generosa, in tempi più fortunosi e d i maggiore intolleranza che non sia oggi, e nella qiiale non rare volte si mostrarono a sostenere essi soli, i cattolici, la stessa elementare onestà amministrativa, compromessa dagli uomini nuovi sopravvenuti nello sfasciarsi d i antichi regimi, con la pseudo-aureola d i martiri e la voracità d i affamati. Però, come durante il corso della parabola ascendente del liheralismo l e attività dei cattolici, per ragioni complesse che non è i l caso d i analizzare, si restrinsero in gran parte al concetto religioso della vita e a uri'opposizione negativa, e perfìno anche passiva, senza assimilare la vita moderna nei suoi elementi d i perenne civiltà e nella forza della sua realtà; così non potè maturare e d elaborarsi un vero programma municipale positivo, nè fissarsi l'azione dei consiglieri cattolici sopra una base elettorale propria cosciente, n è stabilirsi un organismo nazionale popolare, nè generalizzarsi i l movimento ai numerosi comuni e alle provincie italiane. Anzi la stessa attività municipale nei cattolici, tranne in pochi centri, fra i quali da segnalarsi quasi unica la forte Bergamo, cominciò a declinare e a perdere terreno, senza aver lasciato che solo il ricordo d i una coscienziosa amministrazione, qua e là sperduto fra le troppo visibili concessioni e transazioni e tentennamenti e incertezze e paure. Onde al sopravvenire delle nuove democrazie sociali, nella rinascenza dell'idea municipale, d i vita autonoma, di funzioni complesse nel rapporto delle esi-


genze popolari, i cattolici si son trovati organicamente impreparati. Le nostre masse cattoliche, i nostri uomini di vita pubblica, p u r nell'insito e intimo contrasto fra l'idea tradizionale e l'attuale vita dei comuni ridotte a funzione amministrativo-burocratica oppressa dal peso dello stato accentratore, pur nel visibile stacco tra la rappresentanza del popolo e i l popolo stesso, non avevano sentito i n tanti anni la forza viva delJe grandi idee e della reazione creata da tale anormale comprensione, l'impulso di una vitalità artatamente circoscritta ; è mancata la visuale del problema, e perciò in tanti anni è mancato ai cattolici i l programma e l'organizzazione municipale. Intanto si elaborava fuori del nostro campo la nuova coscienza popolare; e mentre i pochi uomini d i studio d i parte nostra ricercavano nelle gloriose storie dei comuni italiani l'idea mad r e della libertà e della vita municipale, l e nuove correnti democratiche, latenti nell'interno della coscienza cristiana d i quegli uomini che si erano staccati a tempo da u n passato che nessuno p i ù dovrebbe rimpiangere, vivificavano gl'ideali, quasi spenti nel singulto dell'eterno Geremia. Pochi anni sono bastati a modificare u n ambiente e a sviluppare presso i cattolici i germi di una azione positiva nella vita pubblica; e si è sentito subito il bisogno d i mettere a base delle lotte elettorali non una negazione o una reazione, non la idea religiosa messa come insegna d i lotte cittadine, non una o pii1 persone dall'etichetta d i cattolici autorizzati dalle benedizioni dell'autorità ecclesiastica locale, non la condizione incosciente imposta da pochi e valutata dal valore numerico più che dal valore delle idee, m a u n programma ; cioè un.complesso di principi e d i propositi che rispondano ai criteri amministrativi e sociali del comune e al grado d i evoluzione e d i cultura del corp o elettorale. I cattolici d i Torino per i primi diedero l'esempio, fissando u n programma elettorale che resterà notevole negli atti della vita pubblica dei cattolici italiani, sia perchè f u il primo tentativo della codificazione (passi l'analogia del termine) dei nostri ideali municipali, sia perchè preludiò il nuovo orientamento dell'azione sociale dei comuni. Dopo Torino, in altre città d'Italia


i cattolici si sono affermati nelle elezioni municipali in base a programmi ben definiti; e in Sicilia noterò quelli di Palermo nel 1900, d i Caltagirone nel 1899 e nel 1902, di Girgenti e Sciacca nel 1901. Vero è che, a esser sinceri analizzatori dei fatti e a coglierne il loro valore, tali programmi, per lo più elaborati da qualclie studioso di parte nostra e accedati dagli amici e dai comitati elettorali, non hanno avuto penetrazione non solo nella massa elettorale, ma neppure nella coscienza di qualclie eletto. È stata sin oggi la riflessione del pensiero dei colti, che projetta una luce che ancora in gran parte è invisibile all'occhio dell'elettorato cattolico; il quale, tra l'altro, manca d i educazione specifica e sente ancora i problemi della vita pubblica molto elementarmente e semplicisticamente. Però l e affermazioni, moltiplicate, rese solide dalla susseguente azione, penetrano nella coscienza del popolo e creano, o meglio, fanno sentire gli stimoli di u n bisogno nuovo, che è indice di un nuovo passo nel cammino della civiltà. È perciò che solo ora, - dopo la formazione di un partito cattolico sociale positivo, e non semplicemente negativo, e fondato sulle condizioni e sullo svolgimento della psiche collettiva; oggi eminentemente democratica: - dopo i vari tentativi isoiati, iniziali, e le affermazioni di idee prima sporadiche e poi più diffuse; - dopo la delineazione generale dei caratteri, delle finalità, della portata della democrazia cristiana; - solo ora è possibile la elaborazione collettiva, e non singolare, del nostro programma municipale, adatto alle esigenze di ogni singola regione; sin che a poco a poco, per movimento centripeto e popolare, verrà a formarsi il programma e l'organizzazione nazionale del partito municipale democratico cristiano. E noi siciliani oggi diamo il primo esempio di u n tentativo audace, ma oramai maturo; tentativo al quale con benevolenza guardano i cattolici delle altre regioni italiane assai più di noi evolute nelle attività della vita municipale. Audace il tentativo, o egregi colleghi, perchè da quanto ha riferito il relatore (*) sul(*) Riporto alcuni tratti della relazione del consigliere comunale Gaetano Colomba di Seordio, segretario del convegno, sullo stato del nostro


lo stato del nostro movimento municipale dell'isola, si vede ben chiaro come in Sicilia occorra un'azione vigorosa, energica, perchè si superino ostacoli quasi insormontabili e si arrivi a costituire u n vero partito democratico cristiano, diverso dagli altri, che rompa i legami di partiti e d'interessi personali e familiari, che formi una coscienza ben chiara, netta, forte dell'elettorato cattolico, che diffonda le nostre idee municipali presso il popolo e le sostenga nei consigli. È perciò che se questo convegno rappresenta per ora una forza limitata. u n elettorato pressochè amorfo, dei consiglieri cattolici per sentimento più che per posizione netta nella vita pubblica, esso però ha la forza insita dell'affermazione dei principi e la vitalità di un programma, che da oggi avrà l'impronta, non personale e particolare, ma collettiva e regionale. Pertanto, sin dal primo nostro apparire in un campo di vita pubblica collettiva della regione, per quanto possano essere limitate le forze che rappresentiamo e ancora amorfo l'elettorato che ci sorregge, è necessario fare una dichiarazione preli-

movimento elettorale e in generale dell'elettorato d i sicilia. (Nota de217Autore).

... Lo stato dell'azione elettorale di parte nostra si può così riassumere: 1. Nessuna organizzazione del corpo elettorale, che è amorfo, incosciente, sebbene in molti piccoli comuni senta l'influenza del clero. Però tale influenza non potrà considerarsi come un fattore elettorale cattolico, ma solo come una condizione d'animo sulla quale potrà contarsi in u n dato momento, e sulla quale in altro momento non potrà contarsi; 2. Nessuna ediicazione elettorale cattolica di idee e di programmi, p e r cui l'elettorato sappia distinguere il valore dei partiti e sappia discernere i criteri amministrativi secondo i quali debbono reggersi i comuni; 3. Nessuna, o quasi, indipendenza del corpo elettorale cattolico. cioè degli elettori appartenenti alle associazioni cattoliche, dai partiti locali, in modo che possa affrontarsi sul serio un'azione elettorale autonoma, e anche, se del caso, contraria ai partiti locali; 4. I comuni siciliani sono nella loro grande maggioranza schiavi dei partiti personali-politici, per cui la vita dei comuni è subordinata intieramente agli interessi politici, alle consorterie di sfruttamento. E coloro che sono militanti nelle nostre opere cattoliche, ma non partecipano in nome dei cattolici alla vita pubblica, per necesstà si trovano portati su da tali partiti, e devono sostenere i criteri delle maggioranze o delle minoranze .


minare costituente, prima che i l programma stesso si forinuli : affermare, cioè, la nostra esistenza d i partito bmunicipale deneocratico cristiano di Sicilia, autonomo, libero e indipendente da qualsiasi altro partito amministrativo, da qualsiasi interesse personale, da qualsiasi combinazione partigiana, da ogni vincolo politico. Sembrerà superflua tale dichiarazione d i costituente d i partito a coloro che non conoscono la nostra vita siciliana; e la parola partito purtroppo offenderà le pure orecchie d i coloro che p e r ipocrito istinto cambiano i l nome partito con delle circonlocuzioni più o meno significative, o confondono i l carattere d i una vitalità autonoma nella vita pubblica, informata a principi religiosi, con la stessa religione; essi conchiudono, logicamente, che i l cattolicesimo non è u n partito. Noi consentiamo con coloro che nella vita pubblica escludono la religione dalle vedute di parte, e affermiamo la nostra vitalità di partito, non i n nome della religione, ma i n nome della democrazia cristiana,

a cui appartengono. Per cui non sono rari i casi che si trovino buoni cattolici e anche preti iscritti ai due partiti contrari che si contendono il potere in consiglio, combattendosi a vicenda; e tali cattolici, preti e laici spesso per ragioni di pmdenza o di opportunità si astengono dalle affermazioni religiose, concedono qualche volta i1 loro voto p e r proposte non consone ai retti criteri amministrativi, e contrihuis~onoin generale alla vitalità dei p a r t i t i politici-liberali. 5. Quasi i n nessun comune di Sicilia vi è un partito di idee e di programmi, tranne i n poche parti; e per i primi hanno mostrato di sentire il bisogno che alla vita amministrativa sia necessaria base un programma, quei cattolici che si sono organicamente ed efficacemente affermati da circa tre anni; e che oggi rappresentano il primo nucleo, le prime aspirazioni. il movimento iniziale delle nostre forze; 6. Non vi è nessun affiatamento 'fra eletti ed elettori, per cui i consiglieri sono come arbitri delle sorti dei comuni, non riconoscendo negli elettori che solo il dovere di dare il voto. P e r cui l'elettorato è in gran parte incosciente e corrotto. La corruzione è in Sicilia portata ad un'eiiorme potenza, spesso è arbitra delle vittorie, e non rappresenta una forza isolata e individuale, ma collettiva e organica. Onde è necessario che l'operaio, l'agricoltore, l'elettore bisognoso vengano emancipati, e condotti a un grado di educazione morale e civile elevata, per poter seriamente sostenere l e nobili lotte di idee e di programmi I]...


come complesso di idealità popolari, ispirati alle verità religiose, in tutto l'ambito della civiltà cristiana. Oggi che per ragioni superiori a noi è preclusa la via della vita politica parlamentare, e le nostre forze elettorali sono limitate, e le nostre stesse associazioni cattoliche per condizioni locali, per coalizioni di famiglie, per cumulo di interessi personali, per servitù di cleri a grossi borghesi e a signorotti feudali, l'esplicazione libera, autonoma delle attività municipali si rende estremamente difficile; oggi che in Sicilia da noi si comincia a balbettare qualche cosa di idealiti municipali, di doveri sociali dei comuni, di partito di idee e di programma, è necessaria una vasta organizzazione, che metta il corpo elettorale sul binario della vita maestra, che lo emancipi, lo istruisca, l'organizzi, lo rafforzi, lo slanci alle lotte, preparando così il terreno alle grandi e nazionaii affermazioni municip'ali e politiche, anche nel regime astensionista. I n Sicilia domina il partito affarista, alla cui base sta una coalizione di interessi personali, intesi a sfruttare i municipi; sulla cui vetta torreggia l'interesse politico, anch'esso personale, sfruttante tutte l e energie paesane, incatenando e aggiogando i nostri comuni ai favori e ai soprusi dei ministeri. È u n turpe mercato, senza idealità, che in una corsa e rincorsa al potere, sbalzata in vece alterna dalle maggioranze, alle minoranze, rovina i municipi, dissangua il popolo, oppresso. da tasse, e mantiene il tenore della vita collettiva delle città in grado inferiore allo sviluppo della civiltà presente. A destare gli entusiasmi di una nuova vitalità occorre che si avanzi un partito di idee, che risponda alle gravi condizioni presenti, che determini la reazione, crei la riscossa dal vile sersaggio. Non nascondo che in Sicilia 1a.lotta sarà difficilissima e a condizioni impari; ma solo il coraggio e l'audacia del bene può superare gli ostacoli che ci si parano avanti. Con questi antecedenti storici e logici, con .questi criteri, con queste finalità e speranze affrontiamo lo studio della formazione del nostro Programma municipale.


A) Costituzione del comune

Come prima che-un'attiviti possa destarsi e svolgersi, è necessario che essa sia costituita, anche elementarmente, nel suo organismo; così allo studio degli oggetti delle attività consiliari deve precedere quello costituzionale dei consigli stessi. Vero si è che non sta a noi stabilire l e norme legali e regolamentari, che creano la figura giuridica dell'ente comune, come dell'ente provincia, e che stabiliscono i modi e i limiti della partecipazione popolare a tali amministrazioni. Però a noi spetta oggi u n compito delicato e importante, preparare cioè l'ambiente a quelle riforme legislative che rispondano meglio alla natura dei comuni ed ai bisogni dei consociati; per cui è doveroso fissare i n u n programma - che non è solo una guida pratica immediata, ma u n complesso di principi e di ideali da rivendicare - quanto, secondo noi e nelle circostanze presenti, deve entrare nella costituzione del comune. Io intendo parlare di quel gruppo di rivendicazioni e di istituti che vengono dette autonomia comunale, referendum popolare e rappresentanza proporzionale; rivendicazioni che toccano il diritto costituzionale dei comuni stessi e che ne sono la base di ogni vera e reale attività. Tutta la storia dei comuni nel secolo XIX è stata ora una lenta invadenza, ora una lotta aperta del potere centrale contro la vita municipale e contro quegli elementi tradizionali, misti di autonomia e d i feudalesimo, di disgregamento e di privilegio, di larghi poteri e d i servilismo regio, che caratterizzarono i comuni della fine del secolo decimottavo. Con la caduta del feudalesimo politico e terriero, si modificò molta parte di vita locale,


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e le agitazioni politiche resero a discrezione soggette le antiche municipalità, che poscia vigoreggiarono nel rinascimento patriottico, sinché il nuovo assetto nazionale con l'istituto dell'elettorato amministrativo mise il popolo i n condizione di partecipare alla vita locale, controbilanciando (si credeva) i poteri dello stato e l'elemento autoritativo. Però questa partecipazione prima ristretta al censo ed agli uffici, poscia allargata e poi di nuovo in parte limitata, ebbe solo la parvenza d i una nuova vita locale che si ridestava: i l livellamento civile, che rendeva al popolo i suoi diritti,.riusciva a creare u n corpo amorfo, inorganico, indeterminato, e la forza politica unificava artatamente le ragioni organiche della vita pubblica, assommata di diritto e di fatto in mano allo stato. Questo immenso organismo moderno, che si chiama stato, è un'enorme piovra, che assorbe la vita comunale e la riduce a carattere politico: la prevalenza di tale elemento sovverte l e ragioni municipali, paralizza le attività paesane o le travdge nell'agitarsi scomposto dei partiti. I comuni han perduto intieramente la loro autonodia, la loro personalità, livellati da una legge che riduce Roma, Napoli, Palermo alla stessa entità delle più piccole borgate, dei villaggi sperduti sulle montagne, che ancora non hanno che una via mulattiera di accesso. Non v'ha comune che non sia soggetto, anzi oppresso, da influenze, imposizioni, in forma più o meno legale, di autorità politiche, che guardano lo svolgersi della vita locale dall'angolo visuale del ministerialismo cui servono, del partito che sono obbligati a sorreggere, dell'interesse, anche illecito, che garantiscono con i ripieghi burocratici e le armi legali di cui dispongono. E il popolo, nell'esercizio della sua sovranità di u n giorno, dimentica e non ha esatta visione delle condizioni municipali, e subisce per necessità, per fatalismo, un ambiente artefatto, viziato, formato da mille compromessi, da losche consorterie, da turbolenti agitatori, da corruttori in guanti gialli preoccupati piu che altro della posizione politica. Tutto ciò xiesce tanto più dannoso quanto non è dato a i municipi nessun mezzo idoneo di svincolarsi dall'opprimente centralismo di stato, dai suoi ceppi legali, burocratici, politici, che ne violano i diritti e ne paralizzano e sovvertono la vita. È il


concetto liberale che informa tutta la legislazione moderna; esso, come scompose l e classi organate togliendo loro i l carattere giuridico e civile, e perfino (nella prima epoca del liberalismo classico) non riconobbe agli operai facoltà di consociarsi a scopi professionali; così, partendo dal principio che tutto deriva dallo stato, unico e assoluto detentore delle ragioni sociali dei popoli, ridusse i comuni a enti amministrativi burocratici, con larvate funzioni proprie, che di fatto riescono a essere emanazioni dei voleri e deglTindirizzi del potere politico, sia per l e molteplici limitazioni d i leggi e regolamenti, sia per gl'impacci del controllo politico; sia per l'enorme ingerenza del potere esecutivo, che può senz'altro mandare a spasso l e stesse rappresentanze popolari, e ridurre all'impotenza un'amministrazione comunale, con la quale entra in lotta; sia per l'imposizione d i oneri d i stato addossati ai comuni, o per la sottrazione di competenze che spettano ad essi, in una violazione perpetua d i diritti ingeniti, preesistenti, inalienabili. Oggi una riviviscenza di idealità municipali si va £scendo strada nell'animo degli studiosi, e una viva reazione contro lo ingiusto centralismo d i stato va destando delle correnti forti per le-,rivendicazione delle autonomie comunali, ed è sorta un'associazione d i comuni italiani a questo scopo, associazione clie si è g i i affermata i n un primo congresso nazionale, e clie fra giorni terqà-il secondo congresso nella nostra isola. Non ostante che tale associazione sia stata promossa e sia diretta da persone appartenenti ai partiti estremi, è doveroso da parte nostra parteciparvi e sostenerla, perchè l'ideale ch'essa prosiegue è i l nostro ideale, prima che da essi, sostenuto da noi, che abbiamo al riguardo criteri più esatti, mire più obiettive e disinteressate, principi solidi, una gloriosa tradizione storica e, per quanto. platoniche i n pratica, affermazioni non di ieri, dei diritti dei comuni contro l a invadenza dello stato. Noi partiamo da un principio fondamentale nell'etica sociale e nella filosofia del diritto, che, cioè, la formazione specifica degli organismi naturali della società risponde a bisogni specifici coordinati fra loro, ma autonomi nella loro funzione essenziale. Così la famiglia, così la classe, così la tribù, la contea, i l borgo, il comune, secondo la diversità dei tempi. così infine l e


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( l o stesso dicasi del borgo o della tribù o della contea o di altra accidentale configurazione territoriale dei popoli) è creato naturalmente dalla coesistenza in civico territorio d i famiglie e di classi, le quali convengono nel reciproco aiuto e nella comiinanza di beni, di interessi, di vitalità economiche, morali, SOciali, nel mutuo contatto continuo della vita quotidiana. Questa comunanza, più o meno ristretta, secondo lo svolgersi delle attività individuali e collettive, secondo la sufficienza della località a soddisfare i bisogni di qualsiasi natura, ma principalmente economici, crea per necessaria esigenza le unità organiche, costituisce questi enti locali, i quali disseminati in territorio geograficamente e naturalmente uno per ragione di usi, costumi, lingua, tradizioni, formano nel progresso del vivere civile l e nazioni, possibilmente regolate da unicità di regime. Non è perciò che lo stato deleghi i suoi diritti supremi alla famiglia, alla classe, al comu'ne; ma è lo stato che a tali diritti garantisce l'esercizio, per il ministero della legge, della giustizia e della forza, in epoche progredite affidate solo ad esso, che pexciò regola, tutela, coordina i diritti preesistenti, organici, naturali della famiglia, della classe, del comune. E ' i diritti del comune, che sorgono dalla sua stessa funzione in forza di quella comunione territoriale sono inalienabili delle classi e delle famiglie, la quale geneticamente e specificatamente costituisce il comune nel suo essere giuridico, nella sua funzione collettiva, nel diritto di amministrare i beni comuni, di regolare le quote dei consociati per la soddisfazione dei bisogni collettivo-territoriali di diverso ordine, sia morale (come l'esplicazione delle attivit,à religiose, intellettive, di cultura'ed educazione), sia sociale (come il regolare i rapporti fra le classi, stabilire la loro rappresentanza professionale, coordinarne gli interessi, provvedere ai poveri, indigenti, ammalati, orfani), sia materiale (come strade, edifici pubblici, annona, polizia, illuminazione, acqua, ecc., ecc.), sia infine complementare, intervenendo in ciò che l'iniziativa privata o non può fare o fa male: i n generale il comune rappresenta tutti gli interessi che sorgono e si sviluppano nell'ambito e per le ragioni di comunanza territoriale locale e per i rapporti delle famiglie e delle classi.

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cazioni municipali, poichè, secondo il punto d i vista da cui si parte, pigliano valore la ragione e forza gli argomenti. Onde giustamente noi non vogliamo che i comuni siano alla mercè del potere centrale; noi vogliamo che essi possano svolgere senza inutili e dannosi impacci quelle attività intrinseche, che nastono dalla propria natura; che non siano obbligati a oneri, a regolamenti, a routine, che rendono impossibile lo svolgersi di u n retto funzionamento, specialmente oggi che il comune, per l e presenti evoluzioni sociali, assurge a un compito di notevolissima importanza, perchè nella mancanza di organizzazione professionale, non solo giuridicamente riconosciuta, ma reale e armonica, il comune (l'unico ente che ha un organismo locale), h a i l compito straordinario, come vedremo, di surrogare la funzione collettiva della classe in quello a cui la classe non organizzata non può provvedere; e ciò oltre al compito ordinario, reso oggi di somma utilità, di coordinare l'interesse delle diverse classi esistenti ne117ambito comunale e di dare svolgimento alle giuste ed eque tendenze sociali innovatrici. Però l'autonomia municipale che noi reclamiamo deve essere tale che:

a) non disgreghi la compagine nazionale, che è costituita dalla cooperazione di tutti i comuni al fine degl'interessi collettivi generali : :

b) non lacci ai consiglieri comunali tanta libertà senza limiti e controllo da far pericolare la consistenza amministrativa dei comuni, e da renderli non rappresentanti, ma padroni assoluti degli interessi di tutti; C ) che vi siano mezzi legali e sufficienti per colpire gli amministratori infedeli al loro mandato.

A soddisfare a tali condizioni è necessaria una serie d i provvedimenti, di triplice natura : 1) l'intervento dello stato nella funzione complessa dei comuni fra d i loro, nella modificazione legislativa dei diritti e dei doveri di tutti e di ciascuno, nella vigilanza perchè sia osservata la legalità delle forme;

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2) l'intervento del popolo nelle questioni più importanti della vita comunale e l'esercizio ordinato di un controllo pubblico razionale ;

3) l'intervento dei poteri giudiziari contro gli tori che violano la legge o malversano la pubblica tervento invocato o per deliberazione di consiglio, sione di autorità governative, o per iniziativa del della legge, o per azione popolare.

amministrafinanza; ino per deciprocuratore

Lo scopo è evidente: invece di avere un'imposizione anonima autoritaria o un controllo fittizio e impotente o una responsabilità civile mascherata fra le clausole legislative, insomma, invece che la vita venga dall'alto al basso, e che perciò i consigli si adagino alla servilità dei soggetti, che temono da u n momento all'altro essere sbalzati giù dai seggi vellutati per arbitrio governativo; venga dal basso all'alto, democraticamente e vigorosamente, come i ricordi solenni dei comuni italiani impongono a noi non degeneri del nome italiano e della vita democratica. Lo stato così si limita alla tutela legislativa e al controllo procedurale, senza quell'intervento che paralizza la vita, che soffoca la libertà, che confonde l'amministrazione e l'attività locale con la politica generale; per il resto il potere giudiziario, senza le agitazioni e i tornaconti del ministerialismo strapotente, renderebbe difficile quel che oggi è facilissimo, la malversazione, lo sperpero, la mala amministrazione, il peculato; e il popolo entrerebbe esso, non pro forma ma effettivamente, ma sempre, nelle attività comunali ; ne avrebbe così migliorata l'educazione civile, resa più viva la coscienza degl'interessi comuni, sollevata la personalità; mentre un nuovo fiotto di vita vera, vissuta pervaderebbe i comuni, rinati alle virtù dei liberi reggimenti. È questa la precipua ragione per sostenere l'istituto del referendum popolare. Non è solo un correttivo giuridico alla autonomia dei comuni, o meglio un limite razionale all'attività dei rappresentanti del popolo, limite consono alla natura del comune e rispondente ai principi di autonomia; non è solo un mezzo più sicuro di far prevalere il buon senso comune alle vedute personali o utopistiche o interessate o arbitrarie di po-


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chi mandati al potere; è un'esplicazione legittima di vita collettiva, una efficace partecipazione del popolo alla vita pubblica nelle questioni più ardue, più gravi, di maggiore interesse morale, sociale, economico, è la vera e reale manifestazione dei bisogni collettivi e dello spirito dell'ambiente, di cui il voto popolare è il prodotto più rappresentativo e più sintetico. I1 referendum popolare può essere consultivo o deliberativo, imposto dalla legge o invocato dai consigli; ma per la sua natura non può avere per oggetto che gli affari di maggiore interesse municipale, che riguardino la riforma dei sistemi tributari, o forti spese che vincolino i bilanci per molti esercizi finanziari, o la trasformazione dei p b b l i c i servizi, o regolamenti che assumano carattere di norma di vita pubblica. Altri menti sovvertirebbe le funzioni amministrative dei consigli e degenererebbe in agitazioni personali e in divisioni faziose. Molti han paura grande del popolo e del suo intervento -della vita pubblica, e come vogliono ristretto l'elettorato, così vogliono limitate le manifestazioni del pensiero e della vita popolare; quindi trattandosi di referendum, cioè di deliberati e di voti del popolo sopra questioni amministrative, che non riguardano, quindi, la designazione pura semplice assoluta dei candidati, a cui si dà mandato illimitato, temono che la gran massa, che ha pochi interessi da tutelare, possa sopraffare coloro che rappresentano nel comune forti interessi economici; e ciò specialmente oggi che la lotta di classe è alimentata dallo odio e dalla propaganda di teorie sovversive. A questa aggiungono la difficoltà, di qualche peso specialmente nel mezzogiorno, della mancanza di un'educazione di vita pubblica del nostro popolo. E se l e attuali lotte elettorali nei nostri centri, piccoli o grandi, trascendono e si tramutano in fazioni personali, in antagonismi d i £amiglie, in interessi di consorterie, che dire quando il popolo, ignaro delle più semplici questioni amministrative, è cliiamato a giudicare di una questione finanziaria O d i u n problema edilizio? Le due difficoltà, una di indole sociale l'altra di capacitg e serenità morale, sono abbastanza gravi; non tali però da far ritenere l'istituto del referendum popolare come un'utopia pericolosa e poco pratica; anzi al contrario, è a ritenersi che ogni


che nessuno potrà mai frenare, torna a vantaggio dell'intera società, alla quale le guise violente di rivoluzioni e di reazioni portano i più gravi e diuturni squilibri. É da premettere che i l referendum popolare, come abbiam visto, è u n istituto rispondente alla natura del comune e alle esigenze della vita collettiva; si tratta adunque di trovare come nella pratica possa funzionare senza quegl'inconvenienti, che potranno turbare l'andamento stesso della società. Sotto questo punto d i vista non bisogna essere nè ottimisti nè pessimisti, ma è necessario tener presente che tutti gl'istituti umani hanno il loro lato manchevole. L'elettorato lascia la libertà delle nomine al popolo, ma può portare nei consigli uomini poco onesti; l e nomine autoritarie possono assicurare, se vuolsi, maggiore onestà, ma comprimono la libertà, creano i piccoli tiranni feudali ... e così di seguito. Lo stesso può dirsi delle monarchie e delle repubbliche, dei regimi costituzionali e degli assoluti, del protezionismo, del libero scambio ... all'infinito. Solo le epoche, l'educazione dei popoli, lo svolgersi della civiltà, il grado di cultura, le ragioni economiche, tutto il complesso della vita fa prevalere una o altra forma, che nella tendenza al progresso cerca d i concretizzare e render solide e durature quelle guise che più rispondono alla natura e ai bisogni della collettività e alla opportunità del momento storico che si attraversa. . Oggi solo il misoneico può chiudere gli occhi allo svblgersi delle aspirazioni d i vita pubblica più intensa e all'istintivo bisogno di correggere i danni d i una disgregazione antisociale, che h a rovinato la vita civile e d economica dei popoli; solo i l misoneico può aver paura del popolo regolarmente organato, mentre tollera, non può far altro, il montare dei disordini di u n popolo, che riunito caoticamente, sente più vivi gl'impulsi della violenza là dove non h a mezzi legali per far valere l e sue ragioni, costretto com'è a subire le pressioni politiche e amministrative dei pochi che comandano e sfruttano. Manca l'etlucazione della nuova vita civile: è vero; per noi siciliani è verissimo ; occorre iniziare questa educazione ; e provvedervi razionalmente e progressivamente. E il referendum popolare, applicato gradualmente, invocato nei più vivi interessi


comuni, che i l popolo discute, perchè lo toccano da vicino, anche solo come parere, se non vuolsi avere per i primi momenti i l vincolo impegnativo di u n voto non ancora maturo, è esso stesso un potente mezzo di educazione, meglio assai del vero elettorato per l e nomine dei consiglieri. Poiché attraverso le persone si smarrisce l'idea degl'interessi comuni; nella concezione dell'utile individuale il bene collettivo perde la sua potenzia1it.à; e la indeterminatezza degl'interessi municipali non può avere efficacia positiva sulle decisioni, spesso passionali, dell'elettore. Tutti questi inconvenienti per l'esercizio sereno del voto, che si riscontrano nella designazione dei candidati, sono eliminati o attenuati nel caso di una decisione collettiva degli elettori sopra un determinato e sentito oggetto di interesse cittadino. È perciò necessario che s'incominci; e nella pratica i consiglieri cattolici, oltre a sostenere con la parola e con la stampa e con gli altri mezzi consentiti dalle leggi che l'istituto del refererìdum popolare venga introdotto nella. nostra legislazione; debbono, quando è opportuno e quando credono che il corpo elettorale possa sostenerne la prova, invocare il parere degli elettori nelle questioni più complesse e importanti della vita municipale. Questi saggi e queste prove prepareranno il terreno alla sanzione legislativa, che non crea le leggi ma le co.glie dalIo spirito e dai bisogni della società. A completare però lo studio degli elementi costituzionali del comune e delle rivendicazioni civili, rese urgenti dal presente squilibrio sociale, occorre aggiungere I'istituto della rappresentanza proporzionale; esso si collega naturalmente alla autonomia comunale e al referendum popolare, perchè deriva da una identica concezione fondamentale, cioè che l'ente comune è l'emanazione diretta delle famiglie e delle classi consociate e localizzate in unico territorio, alle quali spetta i l diritto e la responsabilità della vita locale. Non posso entrare a discutere sulle diverse forme di rappresentanza proporzionale, andrei molto per le lunghe con poca utilità; reputo che noi oggi si debba affermare un piincipio, riconoscere l'esistenza di un diritto, per cooperare efficacemente alla elaborazione graduale di un istituto razionale e rispondente a natura. Tutte le forze vive sociali debbono essere giuridica-


mente rappresentate nei consigli della città, in modo che questi possano rappresentare il complesso della vita cittadina, nella proporzionalità delle diverse energie. É questo un principio che non può essere disconosciuto nella sua forza ingenita, nella sua stessa inalterabile evidenza: i l nodo della questione sta non nel principio ma nella sua ragione pratica. I1 liberalismo classico, livellando, assunse l'unità individuale del cittadino e la pose di fronte a tante altre unit,à, le quali con collegamenti numericamente più o meno estesi, creano le maggioranze e le minoranze costituzionali. I1 fatto non risponde alla teoria : maggioranze e minoranze non vengono dal numero, non rappresentano il numero; ma le ragioni preconcette, gli atteggiamenti di parte, i principi, le divergenze di vedute costituiscono nei consessi pubblici le maggioranze e le minoranze. Tali fattori d i questa discriminazione elementare, sono riducibili ad altri elementi extra-consiliari, come l'interesse, l'educazione, le'ragioni di famiglia o di classe, le vedute politiche e così via. Non ha quindi valore il numero che si chiama elettore cittadino, nel suo assoluto disgregamento individuale; infatti esso-cerca un collegamento, sia pure fittizio, organico, per far valere un'idea, una tendenza, un interesse, un programma. Occorre scendere più giù nella scala degli organismi sociali e arrivare alla classe per avere un punto di appoggio all'esplicarsi di tante tendenze e allo svolgersi di tanti interessi; i quali, essendo per sè stessi disparati e anche contrari, debbono avere il mezzo naturale e legale di tutela, di rappresentanza, di manifestazione. È urgente che la tirannia del numero, sia essa borghese o proletaria, non sopraffaccia i legittimi interessi della collettività. Questo concetto si va facendo strada, e nella pratica stessa, nell'amorfo cozzare degli elementi di vita, va cercando di soppiantare le consorterie insediatesi perpetuamente nei nostri comuni. È sopraggiunto il partito di idea a dare la scossa alla -coalizione delle cricche, - manca però la rappresentanza proporzionale di partito, quindi non tutte le idee possono aver voce, se non hanno un numero tale di aderenti, che controbilanci la forza degli altri partiti. Da questa rappresentanza, che potrebbe essere legalmente riconosciuta e regolata, potrebbe forse in principio aversi l'elemento iniziale alla rappresentanza


proporzionale degl'interessi collettivi, su cui necessariamente si eleva il partito di idee; e alla sua volta si potrebbe arrivare alla rappresentanza proporzionale di classe, su cui si basa l'interesse collettivo. S a r i forse con tale processo e con altro, poco monta, preparato il terreno a quel riconoscimento giuridico con diritti civili e politici alle classi organate, che è la più salutare e necessaria rivendicazione del proletariato e della società per il loro avvenire e progresso. I n tal guisa il popolo più coscientemente parteciperà alla vita municipale e contribuirà alla rinascensa dei nostri comuni ritornati liberi e autonomi. Queste aspirazioni, per quanto legittime, contrastano, è vero, con l e tendenze della politica odierna, con lo sfruttamento del potere centrale, con i principi di quel liberalismo che ha tolto la libertà ; quindi sono poco vicine ad essere rea1izzat.e. Esse non costituiscono neppure l'immediato oggetto delle sollecitudini di un consigliere comunale e sfuggono alla percezione, anche limitata, della maggior parte dei cittadini, educati in un ambiente contrario e senza sensibili tradizioni; anzi, perchè sostenute dai socialisti, per molti hanno un odore troppo sospetto, dimenticando che furono in altri tempi vera gloria italiana. Però noi consiglieri abbiamo il dovere di riportare il comune alla sua naturale funzione; è quindi opportuna e necessaria quell'agitazio= legale e di pensiero che abbia questa mira ; è forza morale, se non legale l'unione di tutte, di molte rappresentanze civiche a questo fine; è l'educazione dell'elettore la lotta generosa per sì nobile ideale. Noi non siamo i legislatori, ma, lo ripeto, prepariamo il terreno alle leggi, ne formiamo lo spirito, ne sollecitiamo l'attuazione in nome di diritti violati, di bisogni sentiti, d i giustizia conculcata. Uno dei mezzi adeguati 3 tale scopo e per sè anche u n ohiettivo di agitazione legale, si è il mettere in evidenza, davanti al popolo e davanti a i rappresentanti della nazione, tutti gli inconvenienti di ordine amministrativo, finanziario, moralei derivanti dalle attuali leggi e regolamenti comunali e provinciali. La critica degl'intendimenti è stata addirittura demolitrice per una legge cucita e ricucita le tante volte; ma specialmente per i regolamenti, nei quali è manifesta la tendenza a restringere: a intralciare, contraddicendo anche alla legge, in modo che il


funzionamento amministrativo riesce aggrovigliato, formulistico, vincolato. Occorre regolare quel che riguarda i l visto dell'autorità tutoria, che spesso mette l'arena sull'inchiostro; liberare i comuni dalle spese di pertinenza dello stato; togliere a l sindaco, capo del potere esecutivo, la presidenza delle assemblee consiliari; a non parlare degl'inconvenienti derivanti dai rapporti dei comuni con il consiglio di prefettura e l a giunta provinciale amministrativa, peggio poi del sistema tributario e d i mille altri inconvenienti, pei quali urge una riforma, s'intende, in senso più razionale e in ordine ai fini e agli ideali di autonomia. Anche questo è uno dei nobili scopi dell'Assodazione dei comuni italiani, a l cui conseguimento è dovere concorrere con tutta l'energia dei nostri ideali. P e r completare il quadro delle condizioni costituzionali dei comuni e della vita locale, occorrerebbe parlare delle provincie, sia in sè stesse come ente amministrativo, sia nei rapporti con i comuni, come sede d i organismi centrali, che influiscono potentemente sullo svolgersi delle attività municipali. Però l'argomento è così vasto e l'ambiente nostro è p u r troppo sì poco preparato, che ho stimato opportuno rimandare la trattazione ampia di questo argomento al 2" convegno, limitandomi p e r ora ad u n accenno d i massima e all'affermazione di u n disagio che si percepisce facilmente. La questione, come è posta oggi da pochi convinti dei molteplici inconvenienti, è abbastanza brusca e radicale: cioè, « se la provincia debba o no esistere e quale possa essere il futuro ordinamento intercomunale N ; e sinceramente, chi h a u n po' d i esperienza nella vita pubblica riconosce pur troppo come non possano essere diversi i termini del problema. La provincia i n tanto ha valore organico-territoriale in quanto riunisce i comuni, vicini per ragioni topografiche, di viabilità, di interessi economici, per quelle funzioni amministrative, alle quali ogni comune da sè non basta e che pur non sono d i pertinenza dello stato. Logica vuole che come i comuni rappresentano le classi e l e famiglie, le provincie alla loro volta rappresentino i comuni e i loro interessi, i n un concetto organico proporzionale: e come ai comuni rivendichiamo i diritti d i azctonomia e invochiamo per essi gl'istituti di referendum po-


polare e di rappresentanza proporzionale, lo stesso evidentemente debba dirsi per le provincie, guardate come enti amministrativi intercomunali. E d è su questo carattere di intercomunalità clie bisogna insistere prima di tutto per la vera naturale rappresentanza ; in secondo luogo per le più opportune circoscrizioni territoriali; i n terzo luogo perché la provincia non invada i diritti dei singoli comuni e non la si gravi di pesi di carattere statale; e infine perché non si trasformi in organismo politico. Se questo può dirsi per quel che riguarda l'ente amministrativo, per quel che riguarda invece il congegno di tutela, di vigilanza, bisogna dire tutto il male possibile: consigli d i prefetture, giunte provinciali amministrative, consigli provinciali scolastici, geni civili, prefetto con l e sue funzioni, non solo politiche ma amministrative, sono la forza del centralismo di stato, il mezzo di soffocare le libere attività cittadine, il passaporto delle sopraffazioni e delle illegalità. Nei riguardi puramente amministrativi, si lia un'invadenza enorme che intralcia u n regolare svolgimento della vita locale per l'ingenito difetto che la loro autorità, la quale arriva sino al più minuto fatto di vita locale e livella l e grandi città alle più piccole borgate, scende dall'alto della politica ed è perciò sospetta. H o cercato di sintetizzare in poche linee i punti principali, e l e loro ragioni, del nostro programma riguardo la costituzione dei comuni; sento che l'argomento mi trascinerebbe troppo oltre. Invoco da voi egregi colleghi, tutta l'efficacia del vostro zelo, perchè queste idee vengano rese comuni, perchè il corpo elettorale l e comprenda.

In Sicilia,è enorme la difficoltà alla esatta comprensione di questi postulati; è purtroppo viva la tradizione di dipendenza dal potere centrale, invocato in appoggio da tutti i partiti personali, che sollecitano le compiacenze del governo, che hanno bisogno dell'appoggio dei prefetti, che per vincere nelle lotte reclamano perfino lo scioglimento del consiglio e la nomina d i regi commissari, che sono la più aperta violazione dei diritti


autonomi dei comuni e il mezzo più efficace per asservire questi alle mire politiche. Al nostro popolo, così male assue£atto, bisogna parlare di autonomia e di diritti dei comuni; e lo studio e la convinzione sono necessari per penetrare nel suo animo e £armarne la coscienza al nobile sentire degli ideali di libertà.


111.

B) Funzione del comune

Passando a parlare della funzione del comune, debbo inoltrarmi i n un campo troppo complesso e tale che esigerebbe tempo e studio; per necessità, sarò compendioso e veloce: sono pochi e larghi tratti, che molto suppongono, che lasciano lacune inevitabili in una semplice relazione, per quanto lunga; e questa già passa la misura. Occorre sin da principio distinguere la funzione del comune i n ordinaria e straordinaria, tanto per partire da u n concetto fondamentale; perchè, se la funzione scaturisce dalla natura dell'organismo e dalle sue finalità, l e quali nel caso nostro sono l'esecuzione di beni morali e materiali determinati dalla convivenza i n u n stesso territorio di famiglie e d i classi, nel quale territorio si esplica la complessa vita cittadina d i religione, d i educazione, d i civiltà, d i interessi economici, d i rivendicazioni morali, di attivit.à, virtù, contatti sociali; è ovvio che tutto quanto da questo territorio dipende, a questo territorio ha legame, alla vita in esso esplicantesi ha rapporto, nella sua guisa sintetica e collettiva, appartiene al comune. come sua funzione ordinaria. La funzione straordinaria invece viene indicata dalle diverse contingenze dei tempi, dallo svolgersi della civiltà, la quale non crea di botto organismi nuovi, non trasforma d'un tratto i vecchi secondo il manifestarsi novello d i bisogni; ma spesso, per esigenza d i natura, si serve di quanto esiste per colmare l e lacune, sicchè i l vecchio viene trasformato e il nuovo, maturato attraverso l'esperienza, viene creato. Così u n tempo i comuni


ebbero anche funzione statale, oggi i comuni suppliscono alla deficienza delle classi non giuridicamente esistenti. La doppia funzione ordinaria e straordinaria dei comuni si moltiplica negli oggetti sui quali si esplica l'attività municipale. e si sviluppa i n forme adeguate ai bisogni, adatta l'attività alla civiltà progrediente, determina u n cumulo d i energie sprigionantesi da tutta l'agitata vita moderna. Però, coms abbiamo constatato che oggi l'organismo municipale nella sua costituzione è stato violato dall'invadenza statale, così dobbiamo constatare che lo stato h a anche ristretto le funzioni del comune, alcune delle quali sono le più rispondenti al carattere comunale. Precipua tra le funzioni comunali è quella della istruzione e d ecliicazione della gioventu e del popolo. Benchè tale compito spetti per sè alla famiglia, nella quale l'intima autorità e compagine naturale determina l e ragioni educative della prole; pure, specialmente nella complessa vita moderna, i l comune e l o stato entrano come ausiliari del diritto delle famiglie consociate per rendere agevole e per garantire a tutti la istruzione e d educazione collettiva. Ma i l comune, a preferenza dello stato, vi entra, ecl è naturale, i n modo più diretto; perché i padri d i famiglia che i n certo modo delegano l'ente che essi stessi, come tali, costituiscono, a provvedere a quanto riguarda l a parte collettiva dell'istruzione ed educazione di cultura generale, lasciando allo stato, in via sussidiaria e i n u n largo regime cli insegnamento libero, l'ordinamento universitario. Con ciò non intendo punto alludere al monopolio dell'insegnamento nè da parte dello stato, nè da parte dei comuni, essendo u n cliritto d i natura la libertà d'insegnamento; ma solo considero la funzione comunale come u n mezzo adeguato della esplicazione collettiva, come una emanazione del diritto paterno, come u n legittimo aiuto e completamento dell'istruzione ed educazione familiare senza menomare o costringere i santi diritti della libertà. Sotto questo punto d i vista l'istruzione ed educazione della gioventù e del popolo, la formazione d i una cultura generale nell'ambito comunale sono funzione municipale. Oggi per legge il comune ha solo la cura delle scuole elementari, sopra le quali lo stato per mezzo del ministero della


istruzione pubblica, dei consigli provinciali, scolastici, dei provveditori e degli ispettori esercita non una giusta sorveglianza, ma una invadenza direttiva spesso sanzionata da leggi e regolam e n t i ; sicchè ai comuni non resta altro che l'obbligo d i pagare. E forse non è lontana la legge dell'avocazione delle scuole elementari allo stato, ultima ferita alla invano invocata autonomia municipale. P e r quanto l'influenza del comune nella scuola sia limitata, per quanto u n regime tirannico violi u n sacro principio d i libertà e sia enormemente impacciata l'iniziativa locale, il comune per rispondere al suo altissimo e delicatissimo compito dovrà metter tutta la sua cura al retto svolgersi della scuola, alla nomina degl'insegnanti e loro moralità, alla praticità educativa dei metodi, alla disciplina scolastica, dando sussidio agli alunni poveri per libri, istituendo la refezione, promovendo gare, premiazioni, feste religiose e civili, sì che tutto l'ambiente scolastico educhi e nobiliti. Ma non basta: occorrono scuole serali e festive, scuole d i canto, d i disegno, scuole professionali, rurali . e complementari. P e r quanto siano limitate le risorse dei comuni, bisogna provvedere efficacemente all'insegnamento popolare; la giusta cultura dei veri rappresentanti del popolo, perchè si elevi il grado di educazione morale e tecnica dei comuni, specialmente in Sicilia, dove l'analfabetismo è una piaga generale, con danni seri della nostra popolazione, sia per I'esplicazione ordinata e pacifica della vita civile e politica, sia per la crescente emigrazione all'estero, sia per lo sviluppo professionale (specialmente agrario), sia per u n più adeguato contatto con la civiltà presente. È anche una funzione del comune sussidiaria e i n senso rappresentativo, i n quanto che esso è l'ente che coglie i n sintesi i bisogni e le aspirazioni e la vita del popolo, fin nelle più elevate manifestazioni, il concorrere alle esplicazioni del culto religioso. I1 culto religioso è u n vincolo esterno dell'intera fede d i u n popolo, è la ragione artistica della religione, è il mezzo esteriore dell'interiore riforma dello spirito e dei costumi. Tutta l a nostra vita comunale tradizionale è pervasa d i questo alto concetto d i unità esteriore della fede, a cui l'ente collettivo con-


tribuisce con la sua forza morale e con i suoi mezzi materiali; e si notano oggi gli avanzi d i tale tradizione nei residui degli oneri di culto che si trovano in tutti i bilanci comunali, nei diritti di patronato laicale che molti comuni vantano p e r loro antiche generose largizioni alla chiesa, nell'intervento della municipalità alle solenni funzioni religiose. La raffica violenta della rivoluzione molto spazzò, molto abbatté e distrusse ; non potè distruggere l'insita natura dell'ente rappresentativo, come non potè togliere dal cuore del popolo la fede avita, p e r quando attenuata e inquinata. Però coloro che p e r lo più salgono a sedere negli scranni vellutati dei consigli dimenticano spesso che rappresentano u n popolo credente, e muovono la guerra a quanto è rimasto ancora intatto, violando, r o v i ~ a n d o ,distruggendo. È superfluo insistere per noi cattolici su questo argomento. I1 comune non invade nè deve invadere nessun campo; rappresenta i l popolo anche nell'esplicazione collettiva della fede, e quindi è suo dovere concorrere in nome del popolo alla esplicazione del culto, e con esso inchinarsi ad adorare Dio e a riconoscerne i supremi diritti. Una funzione assai più complessa è quella che oggi chiamia? mo sociale. Insita nella natura dell'organismo, sì esplica secondo che l a società si sviluppa, si evolve, cammina. Non è d i oggi, nè di ieri; ma oggi piglia u n aspetto diverso d i quel che poteva essere in altri tempi, alla stessa guisa che la società tutta è mutata da quel che era. I1 concetto fondamentale di questa funzione è sempre basato sul valore rappresentativo della collettività che ha il comune limitatamente al territorio e al soddisfacimento immediato dei bisogni della popolazione ivi riunita, quando a tali bisogni non possano effettivamente e completamente provvedere nè gl'individui p e r sè, nè le famiglie e le classi singolarmente e i n forma autonoma, nè lo stato come tale, non trattandosi d i cosa che riguardi l'ordinamento generale della nazione. È qui che si apre u n vasto orizzonte alla funzione sociale del comune, oggi in cui son cessate le coartazioni e i privilegi d i casta delle famiglie, specialmente nella nobiltà, e le classi atomizzate mancano di figura e d i vita giuridica, e tutto quanto riguarda l a

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vita locale mette capo al municipio e in esso ha, per quanto amorfa, legale e morale rappresentanza. I municipi possono anzi tutto esser considerati come grandi propr'ietari sia d i beni rurali che d i energie industriali. La gestione amministrativa d i questi beni patrimoniali è per lo più sullo stampo dello sfruttamento borghese della proprietà non solo, ma per i l fatto che si tratta d i bene d i tutti e di nessuno, i l vantaggio precipuo suole essere degli speculatori, che con le coalizioni nelle aste, sotto il muso di compiacenti amministratori, prendono le terre in fitto a basso prezzo, per poi riconcederle ad alti prezzi al popolo, il quale anche sui beni della collettività è costretto a sentire la enorme pressione capitalistica dello sfruttatore e dell'intermediario. Riguardo alle energie industriali i municipi per lo più si limitano alle concessioni, spesso vantaggiose per i concessionari, quando non trascurano del tutto ( e avviene comunemente) cespiti notevolissimi d i entrata e di ricchezza generale. Così, men. t r e i l comune per i l primo dovrebbe gradatamente elevare la condizione della proprietà alla sua vera funzione sociale, determinare le più elevate produzioni, avviare la cultura agraria per u n a via razionale, tentare la socializzazione municipale d i quelle industrie collettive, o che appartengono a l comune, o che i l comune può intraprendere perché a ciò non valgono i cittadini come potenzialità collettiva; invece i l comune, in mezzo a tanto progresso, è peggio, diviene, i l pezzo fossile della civiltà presente. I beni demaniali, poi, dei nostri comuni di Sicilia, e cori molti, hanno subito il più irrazionale metodo di utilizzazione, regolati come sono secondo la lettera della legge del 1841, rovinosa nelle sue conseguenze per i comuni stessi e per i poveri, ai quali si fa il dono di u n pezzo di terra, non d i rado minuscola (passando sopra alle disposizioni stesse della legge, p e r accontentare la folla) senza mezzi d i produzione, e peggio gravati da oneri, che i comuni poscia a stento esigono. E avviene che cessato il vincolo ventennale della inalienabilità, i l quotista-possessore cede Iri terra all'usuraio, che gli h a prestato magri capitali a d altissimi interessi. E passo avanti. - Una delle istituzioni municipali che dovrebbero generalizzarsi, ma che p u r troppo ha contro l'opposi-


zione e la resistenza della maggior parte dei consiglieri e anche delle autorità tutorie, è l'ufiicio municipale del Lavoro, da parecchio tempo funzionante all'estero, e in pochi comuni d'Italia fondato specialmente per l'attività dei cattolici. L'ufficio municipale del lavoro ha per scopo la tutela delle classi lavoratrici nei bisogni collettivi, nella. disoccupazione, negli scioperi, ecc. ; per cui raccoglie i dati statistici delle condizioni del lavoro nella città e nei comuni vicini per le informazioni più esatte, agevola il collocamento degli operai, fornisce notizie autentiche sull'emigraxione, propaga i benefici della cassa di previdenza, agevola la formazione e lo sviluppo della cooperazione,-il miglioramento dell'agricoltura, lo sviluppo dell'istruzione professionale. Non è possibile che tale ufficio possa esser costituito liberamente, da operai organizzati, i quali, per le scissure d i partito, le diffidenze reciproche, la 0rganicit.à delle associazioni operaie, non potrebbero darvi vita o lo trasmuterebbero in arma d i lotta incomposta fra di loro. E non basta: il comune dovrebbe per il primo introdurre negli appalti di lavoro le clausole sociali per il minimo di salario, il massimo delle ore di lavoro, il riposo festivo; perché esso è u n grosso costruttore e proprietario, e insieme ente collettivo sociale, e riuscirebbe autorevole ed efficace esempio per u n più vasto e umano trattamento della classe lavoratrice. Insistere sulla necessità e giustizia di tali clausole, avanti a un'assemblea di democratici cristiani è superfluo; però è doloroso che in Sicilia sin oggi si sia avuto un solo tentativo di parte nostra ( è inutile pensare ad altri), tentativo che ancora non ha ottenuto un esito soddisfacente. Potrei continuare su questo tono a lungo, ma fo punto; solo u n breve accenno al piccolo comune rurale che in Sicilia è un tipo molto diffuso e rilevante. A parte la questione dell'entità amministrativa e organico-specifica del comune rurale, sulla quale riferirà l'avvocato Vincenzo Mangano, il comune rurale h a l'obbligo sociale d i entrare più direttamente e più immediatamente nella vita agricola dei suoi abitanti; perché quanto meno sono i mezzi morali, educativi e materiali, di cui dispongono l e famiglie, tanto più necessaria è la funzione sociale del comune. Come si vede, tale funzione è assai complessa ; e noi facciamo


opera doverosa ad affermarla nella sua più larga portata, metterla come uno dei cardini del nostro programma municipale, farcene propagatori e propugnatori dentro e fuori i consigli, formare, vincere gli ambienti refrattari, che respingono spesso a priori e senza discutere, il nuovo come tale, per una malattia misoneica incurabile. Prima di passare alla parte finanziaria e amministrativa del programma, accennerò, tanto per completare le linee generali del programma, a una proposta nuova in parte e vitale per la Sicilia, lasciando che l'avv. Mangano entri nei dettagli; cioè che i comuni debbano partecipare all'agitazione regionalistica della Sicilia, come tali e come un'associazione organica, sia per interessi propriamente comunali (come la sistemazione dei territori); sia per gl'interessi regionali (specialmente in ordine alle enormi crisi dei vini, dei grani e degli agrumi); sia per le rivendicazioni contro lo stato, che ha misconosciuto i diritti dell'isola nostra; sia finalmente per i1 decentramento regionale, che è per noi vera condizione di vita. I comuni, non platonicamente, ma in forme efficaci e se vuolsi giustamente e legalmente rivoluzionarie, debbono far opera comune di salvezza; è questa certo una funzione straordinaria e se vuolsi politica, ma necessaria ed urgente. Per quanto riguarda la parte finanziaria e amministrativa bastano poche note esplicative delle proposte ; anzi l a lettura di esse è sufficiente a mettere in g a d o ciascun consigliere qua intervenuto, di discutere e deliberare. Mi fermerìb solamente su tre questioni dibattute e interessanti, non per trattarle con una certa larghezza - sarebbe impossibile in questo primo tentativo di programma e di organizzazione - ma per affermare quei principi fondamentali, che dànno la chiave alla soluzione più adeguata. Nei convegni seguenti queste questioni formeranno oggetto di relazioni e discussioni speciali. E primieramente sui metodi di tassazione. In Sicilia è condizione normale di quasi tutti i comuni la tassazione sul consumo, principalmente sui generi di prima necessità o di carattere popolare; le cui due forme principali di cinta daziaria nei comuni chiusi e di dazio sulla piccola rivendita, nei comuni aperti, sotto diversi aspetti gravano ingiustamente e in modo


sproporzionato sulle condizioni finanziarie del lavoratore. I1 dazio sulla piccola rivendita si traduce in un odioso privilegio del nostro produttore e proprietario, il quale costituisce i nove decimi della popolazione possidente di Sicilia; perché è solo il piccolo consumatore, il lavoratore, che non ha prodotti propri e compra a minuto, quegli che paga la tassa da cui è colpito il rivenditore. Le altre forme di tassazione che si usano nei nostri comuni sono spesso irrazionali, angarianti, fissate da chi ha in mano il potere, che non è certo il lavoratore, con senso egoistico e partigiano. Lo stesso foccrtico o tassa di famiglia, riesce nei nostri piccoli comuni, e forse anche nei grandi, una fortissima arma di partito e di basse vendette personali. Stabifito come principio tributario che paghi più chi più ha. in un giusto sistema progressivo, ed escluse dalla tassazione le entità minime che servano a l diretto mantenimento personale del lavoratore; in un regime finanziario equanime e razionale non debbono esser gravati da imposte i consumi popolari, e il lavoro non deve essere colpito. Queste idee generali possono trovare il correttivo dei fatti correnti e dei bisogni immediati delle popolazioni, ma stanno a guida e a limite dell'azione dei consigli ; i quali dovrebbero rivendicare dallo stato l'abolizione dei dazi di consumo e della piccola rivendita, o almeno modificar voci e tariffe comunali, sì da colpire di preferenza i generi di lusso e quelli che pur dando un gettito sufficiente, non alterano le condizioni del mercato interno sopra alla potenzialità generale. È superfluo insistere in questi criterii che sono accolti da tutti coloro che guardano le finanze locali anche dal punto di vista dell'equità e della giustizia: solo è da rilevare che in Sicilia si segue un andazzo troppo superficiale o meglio preadamitico in materia di tassazione; gl'istituti borghesi e parassitari si sono sviluppati senza che voci libere si sian levate a vantaggio del popolo, che poi, in momenti di fanatismo e di furore, abbatte, incendia i casotti daziari e tumultua avanti i palazzi municipali. Queste forme patologiche periodiche della esplosione popolare indicano evidentemente il male, al quale sovente per la pressione della piazza si provvede con rimedi affrettati, impari e perfin rovinosi. Un altro punto interessante in materia di finanza comunale


è la questione della municipalizzazione dei pubblici servizi. I n generale da noi si è poco preparati a forme amministrative municipalizzate: l'appalto, la concessione ha per molti meno inconvenienti e sopra tutto meno noie; e l'idea e il nome di municipalizzazione, sostenuta dai socialisti, quasi quasi fa paura. Non di meno già da parecchi anni e in vari luoghi esistono dei servizi comunali municipalizzati, senza che la novità della parola sia venuta a confermare le paure dei nostri uomini; e la storia del passato ci mostra, benché in modo sporadico, come tale istituto non sia una pretta novità. I n questo accenno io non intendo porre la questione sotto i l punto di vista sociale; ma solamente come mezzo di ricostituzione della finanza comunale, per i servizi pubblici produttivi (illuminazione, acqua potabile, tramvie elettriche, mulini, panifici); e come mezzo di miglioramento dello stesso servizio pubblico. Così, pur ammettendo che la municipalizzazione dei pubblici servizi i n linea di massima corrisponde alle esigenze sociali del comune, caso per caso si dovrà vedere se di fatto la municipalizzazione di u n dato servizio tornerà più o meno a vantaggio finanziario del comune, o se questo vantaggio dovrà subordinarsi all'interesse sociale e al miglioramento del servizio stesso. Tale criterio abbastanza relativo, preserverà da timori infondati e da subitanee vaghezze; mentre l'esperienza c'insegnerà la migliore via da seguire. I1 terzo problema, anch'esso di notevole importanza, è quello dei consorzi intercomunali, specialmente fra i piccoli comuni rurali vicini, per quelle opere o per quei servizi, che ad ogni singolo comune costerebbero troppo, e che invece, provvedendovi con consorzi intercomunali (quando sono possibili) costerebbero assai meno e darebbero gli stessi vantaggi. Ciò specialmente varrebbe per gli ospedali, i cimiteri, i l servizio d'igiene, e in non pochi casi per l'impianto della luce elettrica, il servizio dei tramwai, delle carrozze, e perfino delle bande musicali. Vero è che questa idea urta troppo, enormemente anzi, contro lo spirito campanilistico dei nostri comuni; ma sta proprio qua i l merito di un partito giovane e di una propaganda ben fatta : nello sviluppare, cioè, sempre meglio nell'anima del popolo il senso della civiltà.


E faccio punto: - raccomandare limitazione di spese superflue, serietà e onestà amministrativa, oculatezza nella scelta del personale, son cose troppo comuni e troppo note, né vale la pena parlarne. I1 nostro partito, sia all'opposizione che al potere, deve portare intiera l'impronta di un partito impersonale, equilibrato, amante sul serio del bene del paese; così potrà acquistar fiducia e progredire. Con queste idee, che rompono coalizioni interessate, tradizioni inveterate, disturbano orientamenti politici e servilità ministeriali, noi affrontiamo una lotta difficile, odiosa, e sopra tutto impari alle nostre sole forze per ragioni politiche e per poca coesione interna. Eppure la fede nell'avvenire e il coraggio delle grandi imprese non ci manca. Per questo oggi, in questo solenne convegno affermiamo in modo categorico la nostra personalità e il nostro programma; augurando che questa data non resti dimenticata nell'ascensione del partito democratico cristiano d i Sicilia.


Deliberazione e dichiarazione

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del I convegno dei consiglieri cattolici siciliani in ordine al programma municipale

IL

1"

CONVEGNO DEI CONSIGLIERI CATTOLICI S I C I L I A N I

tenuto i n Caltanisetta il 5 , 6 , 7 , JVov. 1902 i n assemblea generale, dichiara la compilazione di un programma municipale proprio, in ordine al quale

aflerma come concetto fondamentale il principio della vitalità organica del comune, come ente naturale e non artificiale, anteriore allo stato nella sua genesi, avente a ) funzione distinta e specificatamente diversa, cbnsdiritti inalienabili, sboccianti dalla natura stessa dell'ente e dai bisogni collettivi dei minori organismi (famiglie e classi) conviventi in unico territorio ; b) carattere naturalmente e fondamentalmente democratico ; C) finalità etiche e sociali proprie, coordinate a l l è finalità etiche e sociali degli individui e della umana convivenza;

dichiara che il partito municipale democratico cristiano siciliano è autonomo, libero ed indipendente da qualsiasi altro partito amministrativo, da qualsiasi interesse personale, da qualsiasi combi-


nazione partigiana, da ogni vincolo politico; ed ha propria personalità distinta, basata sulle idee informative del programma: stabilisce ed approva come base della vita e dell'attività cittadina municipale dei cattolici siciliani il seguente

PROGRAMMA SOCIALE A) Costituzione del comune. AUTONOMIA. - 1. Sostenere nei modi legali i diritti dei comuni riguardo l'autonomia ed il decentramento, contro lo stato assorbente ed accentratore e la burocrazia inceppante ogni sana iniziativa; autonomia e decentramento resi sicuri e vantaggiosi : a) dai limiti naturali dell'intemento dello stato, per la sanzione giuridica dei diritti inviolabili dei comuni e per la integrazione degl'interessi degli stessi nell'armonia degli interessi reali della nazione ;

b) dalla sorveglianza delle autorità giudiziarie, per l'osservanza della legge e della procedura legale negli atti amministrativi ; C) dal controllo popolare del referendum nelle questioni di maggior importanza ed interesse; d) dalle responsabilità civili e penali degli amministratori senza inceppamenti legali, e rendendo attuabile l'istituto della azione popolare,; affinché il comune ritorni nella sua naturale funzione ed abbia intero e garantito l'uso delle sue libertà.

REFERENDUM - 2. Sostenere il diritto popolare del referendum generale, sia consultivo che deliberativo, in forma organica, come funzione normale e obbligatoria di vita amministrativa, che verta sopra oggetti e deliberazioni di grave Interesse comunale, che riguardino la riforma dei sistemi tributari o forti spese che vincolino i bilanci per molti esercizi; e che sia


limitato alla relativa classe quando si tratti d i interessi ~ r o f e s sionali specifici. Proporre nei consigli comunali, l'applicazione del referendum quando per le circostanze locali, per la sufficiente preparazione del corpo elettorale, per la importanza della deliberazione che debba prendersi, possa ritenersi che il referendum possa rappresentare .un valore pratico ed u n mezzo educativo del popolo. RAPPRESENTANZA PROPORZIONALE - 3. P r o p u p a r e che venga dal lekislatore introdotta nei consigli comunali l a rappresentanza proporzionale nelle forme più possibili, e che indichino u n passo vero, certo e sicuro verso la rappresentanza proporzionale di classe.

PROVINCIA - 4. Propugnare, l'abolizione dell'attuale congegno provinciale, le cui funzioni d i amministrazione, d i interessi intercomunali e d i tutela finanziaria, scolastica e politica sui comuni nei suoi istituti di deputazione provinciale, giunta provinciale amministrativa, consiglio provinciale scolastico, consiglio di prefettura e prefetto, non corrispondono alle esigenze della vita e dei rapporti dei comuni fra di loro, intralciano e soffocano lo sviluppo delle attività democratiche, e sono l a forza del centralismo d i stato; - e sostenere quelle relative proposte, che eliminano tali inconvenienti in modo da far risultare organica e vitale l'azione amministrativa intercomunale, (con razionali circoscrizioni territoriali) e libera dalle inframmettenze politiche. LEGGEE REGOLAMENTO PROVINCIALE E COMUNAiLE - 5. Insistere perché il parlamento urgentemente riveda la legge comunale e provinciale per iniziare le riforme reclamate dalla coscienza dei diritti e delle libertà comunali, dalle esigenze sociali presenti e da un criterio più adeguato d i amministrazione, e anche per ovviare a degl'inconvenienti che dall'attuale legge comunale e provinciale sorgono per la vita amministrativa e sociale del comune e per la giusta libertà di azione dei corpi consiliari. Chiedere urgentemente la modificazione del regolamento della legge comunale e provinciale, perché vengano tolte l e . disposi-. zioni che, interpretando troppo restrittivamente la legge, meno-


mano le libert,à comunali e intralciano il regolare funzionamento delle amministrazioni.

B) Funzione del comune. RELIGIONE E MORALE - 6. Concorrere alla educazione religiosa, morale e sociale del popolo con le forze di cui dispone l'ente organico collettivo, integrante, specialmente in ciò, il diritto familiare; - per cui, riguardo a ciò, non solo non emettere alcun deliberato che violi la sana morale e offenda la religione cattolica; ma nell'ambito dell'azione consiliare e nei rapporti con le autorità ecclesiastiche osservare e continuare le gloriose tradizioni comunali cattoliche dei nostri antenati, allo scopo di promuovere sempre meglio lo sviluppo del senso morale e dello spirito religioso dei membri del comune, secondo le alte finalità etiche del comune. I n modo speciale, mantenere tutti gli oneri di culto anche facoltativi; fare impartire da persone idonee nelle scuole comunali l'insegnamento religioso; - imporre ai dipendenti e appaltatori dei lavori comunali l'obbligo dell'osservanza del riposo festivo ; - non concedere i teatri comunali per rappresentazione di opere immorali ed oscene ; - non aderire a nessuna pubblica affermazione contraria alla chiesa e al papa, né prestare all'uopo edifici pubblici ; - astenersi dalle votazioni che implichino anche indirettamente il riconoscimento amministrativo di leggi contrarie a i diritti dei soppressi enti ecclesiastici, o se del caso, ottenere la necessaria autorizzazione; - curare rigorosamente la onestà e religiosità degli insegnanti comunali. ISTRUZIONE - 7. Dare largo svolgimento alla funzione scolastica elementare sia per estendere la prima istruzione a tutte le classi sociali; sia per rendere più proficuo l'insegnamento; sia per elevare il grado dell'istruzione tecnica e sociale degli abitanti; sia perché davvero la scuola educhi e divenga valido coefficiente di benessere pubblico e formi le coscienze dell'elettorato oneste e adamantine, capaci di comprendere la portata degli interessi pubblici.


All'uopo combattere l'analfabetismo, specialmente delle nostre campagne, con scuole sussidiarie, o aprire scuole per adulti;' istituire la refezione scolastica pei fanciulli poveri; - elevare la istruzione tecnico-professionale, concorrendo alle spese o prendendo l'iniziativa per l'apertura di scuole di arti e mestieri e' per l'istituzione di cattedre ambulanti di agricoltura. Combattere, per rispetto al diritto di famiglia, per la giusta libertà d'insegnamento, per ragioni morali di primissimo ordine, il progetto di avocazione delle scuole elementari allo stato.

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FUNZIONE S O C I ~ E- 8. Sostenere il dovere e il diritto del comune di intervenire come ente organico nel dibattito sulla questione sociale, sia per la funzione sociale che ad esso compete in quanto tale, sia per la funzione di complemento delle classi riunite in uno stesso territorio, sia per la funzione straordinaria che nell'attuale disgregamento delle classi, a cui manca il riconoscimento giuridico e la ragione di ente, deve esercitare, sostituendo in parte le funzioni giuridico-amministrative delle classi professionali. Per cui: a) far sì che i beni rurali demaniali e patrimoniali avvantaggino sul serio le classi agricole più povere, m ~ n i c i ~ a l i z z a n d o dove è possibile le culture e l'acpuisto degli attrezzi agricoli, aiutando la formazione delle cooperative e l'istituto della piccola proprietà inalienabile e sostenuta da coefficienti necessari alla produzione ; b) utilizzare i demani industriali con la municipalizzazione e con altri metodi ritenuti più opportuni al caso, perché diano sviluppo alle industrie ed al lavoro cittadino; c ) istituire u n ufiicio del lavoro secondo i migliori criteii moderni, distinto per classe e con rappresentanze proporzionali, che abbia i l compito di tutela delle classi lavoratrici nella disoccupazione, negli scioperi ; promuova il miglioramento dell'industria e dell'agricoltura; appoggi il movimento cooperativo delle classi artigiane e rurali, la istituzione dei magazzini di depositi e lo sviluppo del credito agrario ; raccolga le notizie interessanti sul movimento del lavoro nelle città e nel circondario e dia il


suo parere nella proposta d i nuove tasse o nella modifica di antiche da discutersi i n consiglio; d ) introdurre nelle clausole contrattuali dei lavori pubblici il minimo di salario ed il massimo delle ore di lavoro ; e cercare negli appalti comunali di limitare p e r quanto possibile i tristi effetti di una sfrenata concorrenza dannosa ai lavoratori e. spesso rovinosa per i l comune, i cui lavori vengono necessariamente eseguiti male; e fare che tutto il-personale di servizio del comune abbia eque rimunerazioni e regolare pensione d i riposo. COMUNERURALE - 9. Sostenere il concetto della funzione organica specifica del comune rurale, come ente che ha carattere e natura propria i n rapporto ai problemi e alla educazione agricola della popolazione, avviandolo agli scopi naturali e logici di esso, come proprietario di terre e come regolatore dei patti agrari, con la funzione di classe professionale agricola e di artigianato agricolo. I

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IIVTERESSI SICILIANI - 10. Sostenere e difendere i giusti interessi siciliani materiali e morali, i n modo organico, promovendo le giuste rivendicazioni regionali delle nostre popolazioni, lungamente ed ingiustamente dimenticate o posposte dal potere centrale, ed iniziando agitazioni legali permanenti in tutta l'isola, in modo da far pressione sul governo e sul parlamento.

C) Criteri d i finanza e amministrazione. - 11. Curare con metodi rigorosi e con ampi criteri FINANZA sociali moderni l'a finanza comunale; per cui si propongono le seguenti norme e indirizzi generali :

wll'attivo a) consolidare, per quanto è possibile, nell'amministrazione dei beni patrimoniali rurali le entrate, sÏ che da una parte si accerti quello che spetta alla funzione del fattore terra, secondo il concetto cristiano della proprietà ; e dall'altra si combattano i monopoli dei grandi affittuari terrieri, che sogliono essere i


parassiti dei comuni e sogliono tener bassi i prezzi di fitto; e rivendicare con tutti i mezzi i tradizionali usurpi dei beni rural i comunali; b) tenere nella tassazione fisse le seguenti norme: che paghi più chi ha, con un concetto razionalmente progressivo, escludendo le quote minime che servono a1 giusto mantenimento personale e familiare ; - che non siano gravati i consumi popolari e necessari, e che non sia colpito il lavoro in quanto tale; - che si abbia di mira la razionale e graduale abolizione dei dazi di consumo, e che le attuali voci e tariffe siano tali da gravare di più i generi di lusso e i manufatti che fanno concorrenza al lavoro cittadino; - che nei comuni aperti venga urgentemente sostituita la tassa della piccola rivendita che colpisce il commercio minuto ed il consumo popolare, lasciando immuni i grossi produttori e rivenditori, con un'altra più equa e generale sulla produzione cittadina; c) respingere in linea di massima ogni prestito nuovo che non sia impiegato per opere continuamente rimunerative per la cittadinanza o per l'ente, o che urgentissimi e gravissimi bisogni non richiedano; d) sostenere la municipalizzazione dei pubblici esercizi non solo in ordine a criteri sociali e amministrativi, ma anche in ordine a criteri finanziari, per potere trarre dai servizi municipalizzati remunerativi quegli utili che o sostituiranno le tasse più gravose e più fiscali, o torneranno come rifluimento economico agli appartenenti al comune sotto forma di minore tassa per l'uso personale o collettivo dell'oggetto del servizio pubblico, o saranno destinati a nuove opere pubbliche di notevole utilità ;

nel passivo a) spese obbligatorie: restringere nei limiti del possibile gli stanziamenti d i spese imposte per legge, quando non corrispon- . dano ad effettiva utilità comune; b) spese facoltative: restringere a1 limite minimo le spese di lusso, e quelle che non riguardano oggetti di interesse popolare; estendere per quanto è possibile le spese per oggetti di indole sociale e di beneficienza pubblica quali uffici di lavoro, ospedali, ricoveri per inabili al lavoro, case operaie, ecc.;


c ) migliorare i servizi pubblici, adottando la municipalizzazione di essi con la formazione autonoma di corpi amministrativi speciali e indipendenti dall'influenza dei partiti locali e della politica ; d) promuovere e costituire dei consorzi intercomunali, specialmente fra i piccoli comuni rurali vicini, per quelle opere e quei servizi pubblici che potranno a forze riunite riuscire di minore spesa per ogni singolo bilancio e di maggiore utilitĂ comune, come ospedali, strade, cimiteri, servizio di igiene, ecc.

AMMINISTRAZIONE - 12. Stabilire come rigorosi criteri amministrativi : a) osservare le norme e le procedure amministrative, i regolamenti particolari, senza transigere nĂŠ tentennare; e controllare attivamente l'operato delle giunte amministrative, delle amministrazioni dei servizi municipalizzati, delle congregazioni di caritĂ , degli enti pii comunali e che in qualsiasi modo dipendono o vengono sussidiati dal comune; b) curare che nella nomina agli uffici amministrativi si osservi il criterio di votare per persone di provata onestĂ e fiducia, e fare tutte le nomine degli impiegati per concorso, affinchĂŠ si abbia personale abile, si tolga il favoritismo e si premi il merito ; C ) fare rigorosa revisione dei bilanci consuntivi, e formare i bilanci preventivi su dati certi e sicuri e non su cifre fittizie che nascondono molte falle ; d) curare la scrupolosa ed esatta regolarizzazione dei residui attivi e passivi che ingombrano i bilanci; e) stabilire che gli appalti per lavori comunali si facciano a schede segrete, onde evitare la sfrenata concorrenza che danneggia il comune ed il lavorante; e che nei lavori divisibili si faccia al concessionario l'obbligo di piccoli scandagli, sia per u n saggio criterio amministrativo, sia per agevolare il piccolo lavoratore ; f ) impedire che la vita amministrativa divenga o si mantenga piattaforma elettorale politica o esplicazione di favoritismi personali e di vendette di famiglia, e combattere con tutti i mezzi qualsiasi infiltrazione di influsso politico o qualunque servilismo ai prefetti e sottoprefetti e deputati spadroneggianti nei municipi.


I n rapporto a questo programma municipale IL

l" C O N V E G N O

C O N S I G L I E R I CATTOLICI S I C I L I A N I

delibera :

.

1" di far larga propaganda dei principi informatori e delle diverse disposizioni di questo programma, per rendere edotto e cosciente l'elettorato ; 2" di aderire a tutti quei movimenti legali, iniziati anche da altri partiti, che riguardino le autonomie e le libertà comunali; e specificatamente d i aderire all'Associazione dei comuni Italiani ; 3" di iniziare i lavori per promuovere !a Lega dei comuni siciliani per la difesa e tutela degli interessi regionali; 4" di promuovere nei consigli comunali voti e deliberazioni rivendicanti le libertà e le autonomie comunali, da trasmettersi al potere centrale, e di adesione all'Associazione dei comuni d'Italia, nella quale è necessario affermare le nostre idealità in norme del partito democratico cristiano e concorrere alla rivendicazione di diritti cosÏ importanti e necessari per la vita municipale ; 5" di promuovere un'inchiesta fra gli studiosi sia riguardo alle condizioni attuali delle provincie, sia riguardo alle proposte possibili di riforma, per portare al 2" convegno dei consiglieri cattolici siciliani u n materiale sufficiente a intraprendere una ampia discussione sull'argomento. 6" di promuovere un'inchiesta sulle condizioni finanziarie, amministrative e sociali dei comuni, e principalmente sui sistemi d'imposte e sulle condizioni dei comuni rurali.


SCRITTI RELATIVI ALL'ASSOCIAZIONE DEI COMUNI ITALIANI (1904

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1918)



SULLA PARTECIPAZIONE AL IV CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE COMUNI ITALIANI (*)

I giornali danno la notizia, u n po' laconicamente, della data del congresso dei comuni italiani, che avrà luogo in Napoli il 17, 18 e 19 del dicembre presente mese, e temo che anche i l I V congresso non sia stato preparato, per la semplice ragione che non si è provveduto i n tempo a far aderire i comuni all'Associazione nazionale, né le minoranze hanno affermato i l loro diritto d i rappresentanza (secondo l'ultimo deliberato d i Roma); né oggi si pensa d i aderire al congresso e di intemenirvi; anche perché, come al solito, sono sconosciute le date, le agevolazioni, e più che altro è trascurato il dovere d i concorrere con le nostre forze al vantaggio dei nostri comuni, e di rappresentare e affermare i l . partito cattolico. Sento dunque i l dovere di richiamare l'attenzione dei colleghi sopra u n fatto importante nella vita civile dei nostri com u n i , . p e r la rivendicazione di quelle autonomie, che sono la base delle nostre attività sociali e amministrative degli enti locali, p e r quella giusta lotta contro lo stato invasore e accentratore, che ha aduggiato col suo solo intervento ogni più sana e libera iniziativa municipale. Ricordo ai consiglieri comunali cattolici siciliani che è loro compito urgente, i n nome nei nostri principji e dei nostri deliberati 1. promuovere le adesioni dei consigli comunali all'Associa-

(*) Circolare ai consiglieri comunali cattolici di Sicilia.


zione nazionale dei comuni italiani, o almeno al I V congresso che sarà tenuto a Napoli il 17, 18 e 19 dicembre c.m. 2. qualora l a maggioranza consiliare neghi l'adesione, promuovere l'adesione della minoranza e delegare il rappresentante ; 3. fare conoscere a quanti è possibile l'importanza del prossimo congresso e fare propaganda per l'autonomia comunale. Infine prego tutti a dare dettagliato rapporto della loro azione sul riguardo a questo centro direttivo. Con ogni stima. Caltagirone, lo dicembre 1904.

I1 presidente Luigi Sturzo (La Croce di Costantino, Caltagirone, 4 dicembre 1904)

I L CONGRESSO DI NAPOLI

E L'AUTONOMIA COMUNALE DEL MEZZOGIORNO I n carattere testino e senza tanti rumori è stato annunziato dai giornali che il IV congresso dell'Associazione dei comuni italiani sarà tenuto a Napoli i l 17, 18 e 19 dicembre. La tattica è simile a quella dell'anno scorso : la cosa va assumendo l'aspetto quasi settario: gli adepti, o meglio, coloro che hanno monopolizzato l'Associazione sono e promotori e organizzatori e oratori e votanti ed eletti. E la bella iniziativa, per istinto settario, si va riducendo a una chiesuola, nella quale si soddisfano le tendenze di parte e le ambizioncelle personali, senza che nulla di reale si produca nella vita. La bandiera per l'autonomia comunale da nessun'altra associazione nazionale era stata assunta, tranne parecchi voti platonici dei congressi cattolici di un tempo ; perciò la novella Associàzione, benché promossa da radicali e socialisti, aveva avanti a sé u n avvenire Importante, si da pesare nella vita della nazione. Vero è che non mancarono gravi diffidenze, proprio per L'origine d i partito, che l'Associazione ebbe come una specie


.,

di peccato originale; e certo gli uomini messi a capo all'istituzione, non diedero mostra di quella equanimità e di quell'equilibrio che dovea servire a conciliare uomini di tendenze opposte e contrarie, che rappresentano tutti i comuni italiani. Dall'altra parte la stessa bandiera dell'autonomia, intesa in diversi sensi, e l'antipatia del governo verso l'Associazione, hanno reso titubanti molti consigli comunali ad aderirvi, e l'apatia normale della nostra razza, la poca propaganda, la poca coscienza hanno fatto i l resto: L'Associazione non ha progredito ; o meglio, non ha avuto vero sviluppo. Se questa è la diagnosi della malattia interna dell'Associazione, c'è di peggio se si guarda alla sua opera esterna e alla sua influenza nella vita parlamentare. I comuni e lo stato sono due organismi che si combattono, e non da ora, sul terreno della propria competenza: però sotto lo stato moderno la lotta è divenuta impari; una legge può rompere tradizioni inveterate; una circolare ministeriale scombussola amministrazioni ; un capriccio del prefetto rovina splendide iniziative. I1 comune è impari a resistere ;.subisce; ed ha subito per tanti anni, anche perché la concezione panstatale ha informato la vita pubblica per più di mezzo secolo come un dogma immutabile. Quando si pensò alla riscossa dei comuni, si credette maturo il tempo delle rivendicazioni comunali; e la concordia di uomini di diversa parte nel programma dell'autonomia fece per lo meno concepire la speranza che tali idee dovessero trovare tosto un terreno fecondo. In quattro anni però non sembra che l'idea abbia percorso un vero cammino in avanti: il parlamento ha votato leggi come quella dei sanitari, della municipalizzazione, delle pensioni deg17impiegati di segreteria, senza che vi si noti un accenno, u n segno, una qualsiasi accidentale modifica dello spirito riformatore delle leggi a favore del programma autonomista. La stessa legge della municipalizzaziom, se vuo17essere un'affermazione del diritto comunale di gestire direttamente le aziende proprie (cosa del resto non nuova nella vita dei comuni) riesce nella pratica piena di così noiosi impacci e vincoli, che quasi si desidera che non fosse mai stata votata. I n tutta questa continua invasione del potere centrale nelle


ragioni dei comuni, l'Associazione si è fatta poco viva a formare u n pensiero e a destare un'agitazione legale valida nella naziong e l e proposte dei congressi sono state dimenticate anche dagli stessi proponenti. Certo che il voto proposto lo scorso anno d i cancellare auctoritate propria da parte dei consigli, dai bilanci comunali del 1905 le spese d i indole governativa che gravano sulle smunte aziende municipali ogni volta che i l governo non avesse provveduto con una legge, poteva sembrare, anzi sembrò addirittura radicale e rivoluzionario; ma restò voto, con l'aggravante che non si crederà più alle affermazioni solenni di u n congresso. Ma non c'è solo questo di cui lamentarsi;. nessuno dei deputati e senatori che fan parte dell'Associazione h a per conto suo preso I'iniziativa d i proposte d i legge rispondenti ai voti dei congressi e a i bisogni dei comuni. Sarà stato ciò per inerzia o per vigliaccheria, certo non è lodevole. Con questi precedenti arriviamo al IV congresso che sarà tenuto a Napoli. Ricordo che nel congresso d i Roma dello scorso anno si battagliò a lungo sulla sede del futuro congresso: i socialisti volevano Bologna a tutti i costi e pour cause: Bologna allora era nelle mani dei radicali ed era per loro u n punto strategie0 per avere molti rappresentanti dell'estrema municipale. Prevalse invece l a proposta di Napoli, sostenuta dai liberali e dai cattolici con argomenti che non ammettevano replica: il dovere di far propaganda nel sud, ancora così servilmente governativo, così poco interessato alle rivendicazioni dell'autonomia comunale. E f u scelta Napoli. I o non so quanta preparazione vi sia perché il sud-Italia partecipi e s'interessi del congresso; e h o creduto mio dovere (come presidente dell'Associazione dei consiglieri cattolici siciliani) d i fare appello ai miei colleghi perché inducano i comuni, dei quali sono consiglieri, ad aderire all'Associazione dei comuni italiani e a mandare u n rappresentante al congresso di Napoli. E se la mia umile parola può trovare eco da queste colonne dell'ora, ripeto i l mio pensiero, che credo debba rispondere a l pensiero d i quanti s'interessano dei problemi p i ù vitali della nostra vita nazionale.


Io penso che un'Associazione dei comuni italiani per la rivendicazione dei propri diritti contro le invadenze dello stato sia opportuna e necessaria; tale associazione però, perché possa vantare il diritto a esistere, non deve assumere u n carattere politico ma deve far convergere le energie di tutti i partiti nel programma eminentemente municipale. È quindi necessario che vi possano trovar posto tutti i partiti (perché tutti i partiti sono nelle amministrazioni comunali d'Italia, dal moderato, al cattolico, al radicale, al socialista) aderendo al programma delle autonomie comunali e accettandone i mezzi pratici e idonei di rivendicazione. È perciò necessario che anche i liberali e i cattolici entrino a far parte dell'Associazione e vi portino il loro contingente di. idee e di forze, e contribuiscabo a render popolare u n pro. . quando gramma di vita per i nostri comuni. Tutti si è d'accordo si censurano i ceppi che lo stato ha messo ai comuni, ma non si ha il coraggio di insorgere e di - rivendicare quelle libertà che ci sono necessarie, e che sono un diritto, pur con quelle garanzie che rendono opportuno e duraturo l'esercizio stesso delle libertà comunali. I1 male principale di questo stato di cose che autorizza qualsiasi sopraffazione, si è che i. nostri comuni sono spesso la piattaforma politica dei nostri deputati; i quali sfruttano a vantaggio loro e del governo centrale quello stato di servitù nel quale sono costretti i municipi in forza di leggi e di organismi che premono su tutte le condizioni delle amministrazioni locali, ridotti, quasi, a semplici enti burocratici. La irresponsabilità degli amministratori, le cricche e le maggioranze sfruttatrici si adagiano bene all'ombra delle casse dei comuni, ripetendo quel che avviene nei ministeri e negli uffici governativi, con vantaggio di tutti i succhioni di questo mondo, sicuri dell'impunità. Ci sarebbe da scoraggiarsi nella lotta per l'onestà e la sincerità nella vita comunale, se di tanto in tanto non s'incontrasse della gente onesta e leale, e se l'ideale delle rivendicazioni non sorreggesse gli sforzi dei generosi. E perciò urgente che si ripigli nella sua portata il programma delle autonomie comunali, che si pervada l'Associazione dei comuni, portandovi un po' di energie nuove e sincere, e che si


inizi sul serio la lotta contro lo stato, che sembra n o n voglia ascoltare la voce. di coloro che rappresentano l e vittime d i u n ordinamento impossibile e oltremodo gravoso e i n g h s t o . Noi siciliani, facili a destarci nell'entusiasmo delle grandi i d e e , dobbiamo essere i primi a partecipare al congresso e ad a f f e r m a r e i nostri diritti e la nostra forza. (L'Ora, Palermo, 11 dicembre 1904).

I L IV CONGRESSO DEI COMUNI I T A L I A N I A NAPOLI 11 17, 18, 19, c.m. è stato tenuto a Napoli i l IV congresso d e i c o m u n i italiani, con l'intervento d i molti rappresentanti, e l'adesione d i circa tremila comuni. I l nostro comune d i Caltagirone veniva rappresentato dal sac. Luigi s t u r i 0 i n forza della delega avuta per i congressi d i Messina e R o m a , essendovi attualmente i l regio commissario, l e cui funzioni n o n sono riconosciute dalI'Associazione dei comuni. Altri sei democratici cristiani han partecipato al congresso, cioè il d r . Itlicheli, dort M . Sclafani, d o n ComonceWi, Cappelli, D9Addurio e Milano. La lotta fra l'antica maggioranza d i socialisti e repubblicani e l'elemento liberale si manifestò subito sin dalle prime discuss i o n i ; però arbitri della situazione furono i democratici cristiani e i radicali, che trascinarono con sé liberali moderati, swnfigg e d socialisti e repubblicani. T a l e vittoria portò sino al trionfo della lista concorciata, nella quale furolno eletti il sac. L . Sturzo e i l dr. Micheli d.c., e il c o m m . P. Niccolini clerico-moderato. Sul riguardo ripubblichiamo il seguente articolo del sac. Luigi Sturzo pubblicato sull'0ra d i Palermo d i ieri, che può dirsi u n vero studio sullo spirito del congresso. Alcune considerazioni postume sul I V congresso dei comuni italiani, ora chiuso a Napoli, forse non sono fuori luogo, come è


parso alla generalità dei giornali italiani che si sono occupati, con qualche telegramma di accenno, del congresso. Bisogna confessare che la nessuna preparazione del congresso ha fatto sì che pochi si siano accorti di questa annuale riunione dei rappresentanti dei municipi d'Italia, consociati al nobile scopo della conquista delle autonomie comunali. Quasi quasi, neppure se ne è accorta Napoli stessa che ci ha ospitati; tale ambiente di indifferenza è stato formato attorno alla vita d i una delle più nobili associazioni esistenti in Italia. La cosa non è del tutto inspiegabile, dati alcuni coefficienti specifici, ai quali io accennavo in un mio precedente articolo sull'ora; cioè la diffidenza di molti comuni a entrare in un'associazione promossa e diretta da radicali e socialisti; la paura di una lotta contro lo stato violatore dei diritti dei comuni; la sfiducia d i pratici risultati, mentre il governo continua la sua via di oppressione della vita comunale, sia amministrativamente, sia finanziariamente. A ciò si aggiunga, che, proprio nei giorni nei quali a Napoli si è tenuto il congresso per le autonomie comunali, a Roma, in parlamento, si discuteva (strana coincidenza) la legge sull'aumento degli agenti di pubblica sicurezza, che graverà per parecchi milioni sulle esauste finanze comunali, mentre si tratta di servizi pubblici inerenti alla funzione dello stato. Perciò il governo non voleva tanto rumore; la agenzia Stefani ha fatto il servizio peggiore possibile; i giornali di Napoli hanno impastato resoconti indecifrabili; la stampa liberale è stata poco rappresentata al congresso; solo giornali cattolici e socialisti hanno avuto un servizio più discreto. Così avviene che la nazione non sa quel che si sia fatto al congresso dei comuni, e quale eco debba avere questo congresso nella vita nazionale e comunale del paese. É perciò che, invitato da codesta redazione dell'ora, mi sono persuaso a mandar questo articolo, quantunque in parte riguardi l'opera mia e dei miei amici. Accennata ai congressi di Parma e Messina e assai di più a l congresso di Roma, è tornata, a Napoli, la questione dell'indi-


rizzo dell'Associazione dei comuni italiani, a proposito della relazione morale e finanziaria del consiglio direttivo. Liberali, costituzionali e democratici cristiani hanno rilevato come la diffidenza di molti comuni a entrare nell'associazione sia nata dal fatto che questa è stata promossa o diretta in maggioranza dai partiti estremi, i quali nei congressi precedenti han preso u n atteggiamento politico, se non nei deliberati, certo nella discussione e nello spirito che l'ha animata. La qual cosa è tornata a danno dell'Associazione stessa, che non ha potuto fin oggi spiegare una vera vita né estendere la sua attività, né h a potuto impedire o attenuare l'atteggiamento del governo, che continua nel sistema di oppressione e di servitù dei comuni. Su questo importante e vitale argomento si svolse la discussione del primo giorno del congresso, nel seno del quale si formarono subito due correnti : una sostenuta efficacemente dai democratici cristiani per i l carattere apolitico dell'Associazione, l'altra dai socialisti (con a capo gli onorevoli Dugoni e Gaudenzi), p e r u n atteggiamento politico orientato verso l'estrema sinistra. È la stessa questione sorta pure nei congressi degli insegnanti secondari e dei maestri delle scuole elementari. I socialisti dicono: volete l'autonomia comunale? volete lo sgravio dei bilanci comunali dalle spese di pertinenza dello stato? Bisogna premere sulla vita politica. Ora nessun partito che non siano i partiti estremi ha questo programma: dunque è sui partiti estremi che bisogna contare. A questi bisogna appoggiare l'Associazione dei comuni. I1 ragionamento ha un lato di verità che risulta dal fatto che pochi sono i deputati di parte liberale che siano favorevoli e. che accettino il programma delle autonomie comunali. Però, bisogna aggiungere che non vi è sufficiente preparazione nello spirito pubblico per una compenetrazione delle libertà comunali; per cui non si sono ancora rimossi molti pregiudizi che il liberalismo sistematico ha accumulato sulla libertà della vita locale. Ma ciò non obbliga a dare all'Associazione dei comuni u n c'olore politico d i partito, cosa che allontana la gran maggioranza dei comuni dall'entrare nella presente agitazione. Solo rende necessaria la propaganda presso tutti i partiti, perché


tutti si interessino delle urgenti rivendicazioni della vita cittadina. Sicché, tolto l'ostacolo delle diffidenze d i partito, i l congresso ha tentato d i trovare una formula nella quale tutti dovesséro convenire. La formula sostenuta dai liberali, dai democratici cristiani e dai radicali, fu che l'Associazione dei comuni italiani esclude da sé qualsiasi tendenza d i speciale partito politico; appoggia però quei deputati che accettano di sostenere il programma delle autonomie comunali. Sembrò p e r u n momento che anche i socialisti e i repubblicani accettassero tale ordine di idee, però, al momento della votazione, si astennero. P e r chi sa quanti sforzi ci sian voluti in tre anni di vita di questa associazione p e r arrivare a questo voto, e p e r chi compreiide come si trattasse addirittura d i vita o di morte d i tale nobile associazione, dovrà esser lieto di questo primo risultato del congresso d i Napoli, che, al riguardo ha preso u n atteggiamento diverso dai congressi precedenti, ed h a tolto ogni motivo d i diffidenza e d i ostilità. La seconda questione d i gravissima importanza era sull'atteggiamento da assumere da parte dei comuni italiani d i fronte a l governo, che, sin oggi, non solo non h a sgravato i bilanci comunali delle spese pertinenti allo stato, ma, anzi, h a aggiunto il resto con l'ultima legge sull'aumento del personale di pubblica sicurezza. Premetto che nel congresso d i Roma si era deliberato che se i l governo non avesse entro i l 1904 sgravati i comuni delle spese giudiziarie e di pubblica sicurezza, i consigli dei comuni consociati avrebbero dovuto cancellare dai bilanci tali spese ingaggiando la lotta contro l e giunte provinciali amministrative. Difatti circa 20 comuni hanno eseguito il deliberato di Roma ; gli altri non ancora. Ciò premesso, i l congresso d i Napoli doveva pronunziarsi sull'atteggiamento da prendersi da parte dei comuni d'Italia i n questa lotta contro lo stato. Socialisti e repubblicani furono subito per le dimissioni in massa dei consigli comunali ogni volta che le giunte provinciali amministrative (come è da prevedersi) inserivano d i ufficio le spese d i pertinenza dello stato nei bilanci comunali dai quali sono state tolte; e d i fare obbligo agli altri comuni che non lo


avessero fatto, di radiare tosto tali spese e essere solidali nelle lotte e nelle dimissioni generali. I rappresentanti di parte liberale invece non solo si mostravano contrari alle dimissioni dei consigli comunali, ma anche in parte contrari alla cancellazione tout court di tali spese. Radicali e democratici cristiani tentarono una via intermedia. Riconoscendo che prima di questa specie di sciopero di comuni sia opportuno sperimentare tutte le vie legali, si propose che sia formulata una petizione al parlamento affinché i comuni siano sgravati di tali spese ; che tale petizione sia votata da tuttti i consigli comunali e da questi passata ai deputati del collegio cui appartengono, con l'impegno di sostenerla al parlamento; che i comuni che hanno radiata la spesa continuino la lotta, alla quale l'Associazione dà il suo plauso e i l suo appoggio, e che per i provvedimenti definitivi venga indetto un congresso a Firenze, entro aprile, invitandovi tutti i comuni italiani, iscritti o no all'associazione. . I liberali, dopo lunga discussione, accettarono quest'ordine di idee, sostenuto anche dal consiglio direttivo, del quale eranpresenti oltre due radicali, un repubblicano e un socialista; ma socialisti e repubblicani presentarono un altro ordine del giorno che deliberava le dimissioni in massa; ordine del giorno che fu respinto con 36 voti contro 25; e fu invece approvato quello accettato dal consiglio direttivo con 33 voti, 22 astenuti e 1 contrario. Con questa seconda votazione, gli umori del congresso e della maggioranza di esso eran palesi; e l'ultima lotta per la nomina del consiglio direttivo, non ostante gli sforzi dei socialisti, diede esito favorevole ai liberali, uniti ai democratici cristiani e ai radicali, entrando i repubblicani e i socialisti in minoranza, mentre dalla fondazione dell'Associazione, fino a ieri, erano stati in maggioranza. Così il nuovo consiglio è formato da una maggioranza di quattro liberali, tre radicali, due democratici cristiani e uno clerico-moderato; e da una minoranza di tre socialisti e due repubblicani. I n esso, adunque, tutti i partiti sono rappresentati, in una razionale contemperanza; affinché tutti i comuni facciano parte


di questa Associazione, che ha il nobile ideale di rivendicare le libertà comunali, che rappresentano la più bella storia e le più gloriose tradizioni della nostra Italia. I1 congresso di Napoli, trascurato dalla stampa del paese, avrà reso il miglior servizio all'avvenire di questa agitazione, se arriverà, per i suoi deliberati, a dissipare dalla mente di molti sindaci e consiglieri comunali d'Italia che non si tratta di opera di partito, di un organismo affiliato ai partiti estremi, ma di un movimento nel quale tutti i partiti devono trovarsi d'accordo, nella rigenerazione morale ed economica deila nostra vita municipale, inquinata da tutto un sistema di infiltrazioni politiche, di gravami statali, di irresponsabilità, di corruzione. ( L a Croce di Costmtino, Caltagirone, 25 dicembre 1904).

LE SPESE DEI COMUNI DI PERTINENZA DELLO STATO I n questo momento in cui la stampa è preoccupata della crisi ministeriale, della guerra russo-giapponese e del processo Murri, l'avviso di convocazione di un congresso dei comuni italiani può passare sotto silenzio. Del resto, non si sa perché, è la sorte riservata ai congressi dei comuni italiani, che si succedono da vari anni, i quali lasczano sempre indifferente la nostra stampa, di qualsiasi colore, tanto che il paese non si accorge affatto di un movimento che dovrebbe essere preso sul serio da quanti sentono il bisogno di un risanamento fondamentale nella vita delle amministradoni locali. È perciò che richiamo l'attenzione della stampa, specialmente siciliana, perchè insista sull'importanza del prossimo congresso dei comuni italiani , che si terrà a Firenze i l 25-26 di questo mese, incitando i rappresentanti dei nostri comuni di Sicilia a prendervi parte con regolare rappresentanza, destando nel nostro ambiente quella fiducia e quell'ardore che sono necessari per vincere cause nobili e per formare la coscienza dei diritti dell'autonomia comunale. Non è da ora che i comuni italiani, così oberati da debiti,

'


cosĂŹ vincolati nei loro bilanci, assottigliati da u n lento e progrediente usurpo che lo stato ha perpetrato a danno della finanza locale, reclamano lo sgravio di quelle spese che o sono d i pertinenza dello stato (come l e spese giudiziarie o quelle di polizia) ed altre, che sommano a circa 20 milioni l'anno. Dopo varie vicende parlamentari, che non vale la pena riferire, nel 1888, nella nuova legge comunale e provinciale, fu messo u n articolo (79 della legge e 272 del testo unico, approvato con R. decreto del 10 febbraio del 1889) - col quale venivano esonerati i comuni di un gruppo di spese di pertinenza dello stato. L'articolo in parola diceva cosĂŹ:

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art. 272 - Cessano di far parte delle spese poste a carico dei comuni e delle provincie dal logennaio 1893: a) l e spese del mobilio destinato all'uso degli uffici di prefettura e sottoprefettura, dei prefetti e sottoprefetti; C( b) l e spese ordinate dal R. decreto 6 dicembre 1865, n. 2628, sull'ordinamento giudiziario ; C) l e spese ordinate dalla legge 23 dicembre 1875, n. 3839: per l e indennitĂ d i alloggio a i pretori; d) le spese ordinate dalla legge 20 marzo 1865, allegato B, sulla pubblica sicurezza, relativa al personale e casermaggio delle guardie di ~ u b b l i c asicurezza, come pure le spese relative alle guardie di pubblica sicurezza a cavallo, poste a carico dei comuni di Sicilia; ÂŤ e) l e spese di casermaggio dei reali carabinieri; f) l e spese relative alla ispezione delle scuole elementari; g) l e spese delle pensioni, agli allievi e alle allieve delle scuole normali, attualmente a carico della provincia i n forza dell'art. 203, n. 13 M. (C

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(C

Questo articolo di legge veniva a riparare in parte l'ingiustizia -che i governi italiani avevano commesso a danno - dei comuni e delle provincie, alle quali da una mano toglievano molti introiti, trasportandoli a vantaggio dello stato, come quello sulla ricchezza mobile, e sulle quali con l'altra mano facevano gravare oneri che di loro natura appartengono allo stato. Però, quell'atto di giustizia fu un lieve moment.0 di respi-


scienza; le condizioni non liete dei bilanci dello stato (come se quelle dei comuni e delle provincie fossero state e fossero liete) fecero tornare i l governo sui passi fatti, e dopo molto tentennare, lo sgravio deliberato per legge organica dello stato, d a incominciare i l lo gennaio 1893, f u il 3 luglio 1892 prorogato gradualmente per l'anno 1894 per quanto riguardava l e spese scolastiche; nel 1895, per quanto riguardava le spese di mobilio e d i alloggio delle prefetture, sottoprefetture, prefetti, sottoprefetti e pretori ; nel 1896, p e r quanto riguardava l e spese d i casermaggio dei reali carabinieri e delle guardie di pubblica sicurezza; per 1897, per quanto riguardava le spese per l'ordinamento giudiziario. Ma neppure questa dilazione bastò al governo; che il 21 febbraio 1894 proponeva una nuova proroga a tempo indeterminato col seguente articolo, che nel luglio 1894 diveniva legge: « L'esecuzione dell'art. 272 del testo unico della legge comunale e provinciale del 1 0 febbraio 1889, n. 5921, è sospesa fino a nuova disposizione legislativa. « La legge 3 luglio 1892, n. 322, presente la sostituzione de! presente articolo (sic) è abrogata 1). Così fu messa la pietra sepolcrale a d u n atto legislativo che, per caso forse, rendeva giustizia ai comuni. Sono intanto passati circa undici a n n i ; le condizioni del bilancio dello stato sono notevolmente migliorate, tanto che nel bilancio consuntivo del 1902-03 si sono avuti 69 milioni d i avanzo; e in quello 1903-04 si è arrivati a più dei 34 milion, circa previsti; le condizioni dei bilanci dei comuni invece sono peggiorate sensibilmente, tanto che i debiti dei comuni dal 1894 al 1900 sono saliti da 1.195.880.060 a 1.240.000.000; eppure l a provvida legge è tuttavia sospesa, aspettando la nuova disposizione legislativa, d i cui nella legge del 22 luglio 1894. Questo lo stato della questione, sulla quale 1'Associazione dei comuni italiani, tanto benemerita dei diritti locali, h a richiamato l'attenzione dei consigli comunali, e d i tutti i cittafacciano vivi dini italiani, perché si destino dal loro torpore, presso il governo, perché, finalmente, ,quantunque tardi, l a giustizia arrivi.

si

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A Roma, nel novembre del 1903, il congresso dei comuni italiani stabilì un termine perentorio, entro il quale il governo doveva proporre la invocata disposizione legislativa per liberare di tali spese i bilanci comunali; dopo il quale termine, cioè l'anno 1904, i consigli comunali, se non si fosse provvedutr? dovevano cancellare, addirittura, tali spese dal bilancio, affrettando la lotta contro il governo, fino ad arrivare alle dimissioni in massa. Difatti, fino al novembre scorso, non ostante molte promesse, il governo d'Italia non aveva fatto nulla, e quindi i comuni dovevano procedere oltre, ed affrontare la lotta. E u n buon numero di comuni, come quello di Catania e di Ravenna, hanno nei bilanci del 1905 cancellato tali spese, che certo l e giunte provinciali amministrative iscriveranno di ufficio nei bilanci dei comuni riottosi. E venne il congresso di Napoli del dicembre ultimo scorso. Ivi dovevano pigliarsi delle deliberazioni decisive i n ordine al contegno da tenere da parte dei comuni verso il governo, che non solo non accoglieva la petizione di sgravio, ma proprio in quei giorni continuava nel sistema di sfruttamento, facendo gravare sui comuni ancora di più le spese di polizia con la legge per l'aumento delle guardie di pubblica sicurezza e dei carabinieri. A Napoli però non si credette opportuno affrontare il problema, perché si era in troppo pochi a rappresentare i comuni d i Italia, nè vi era stata una preparazione sufficiente nella pubblica opinione, da rendere accette le mosse ardue di una dimissione in massa dei consigli comunali, quante volte il governo insistesse a mantenere la legge del 1894 a danno dei comuni. Allora fu deliberato di tenere a breve distanza u n altro congresso nazionale, a Firenze, al solo scopo di deliberare sui mezzi decisivi per ottenere i voluti sgravi, che rappresentano u n diritto elementare di giustizia. E il congresso di Firenze fra pochi giorni avrà luogo. È necessario pertanto che tutti i comuni d'Italia sentano la voce d i questa associazione, così benemerita di una causa santa, che partecipino al congresso, che ne accettino i deliberati e l i metta,no in pratica. Molti sono scettici sulla praticità di simili congressi, e av-


vezzi a lamentare i mali, senza affrontare l'arduità dei rimedi, si mantengono estranei alla agitazione; e questo è un male, u n gran male che corrode la fibra stanca della nostra borghesia liberale. Con tale sistema e con tale pregiudizio nulla si ottiene, nulla si può ottenere. Bisogna agitarsi e agitare, formare l'ambiente, costringere i deputati, fare impensierire il governo; e se occorre, per ottenere giustizia, scioperare, si scioperi p u r e ; si dimettano le giunte in segno d i protesta e abbandonino il potere. Quando il governo d'un tratto vedrà che mille, duemila comuni si agitano i n quel modo, penserà che non vi sono solo i ferrovieri a mettere in crisi u n ministero, ma anche i municipi, che con maggiore diritto reclamano per i propri amministrati. Questo. è il significato e il valore del prossimo congresso di Firenze. (La Croce di Costantino, Caltagirone, 19 marzo 1905).

IL CONGRESSO DEI COMUNI A FIRENZE

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È stato uno dei più solenni congressi che abbia avuto 1'Italia da molti anni i n qua, non solo per il numero degli intemenuti, ma anche per la forza morale che ha rappresentato e per il carattere pratico assunto, come una forte eco della coscienza nazionale che si va risvegliando. Non grandi e lunghi discorsi; anzi nessun discorso, tranne poche parole d'inaugurazione dette dal sindaco di Firenze, e pochi cenni del relatore sen. Mariotti sull'argomento che era all'ordine del giorno, cioè lo sgravio dai bilanci comunali delle spese di pertinenza dello stato. I1 resto, discussione, vivace, qualche volta irrompente, nel cozzo delle diverse idee, insofferente delle lungaggini e degli spunti retorici, coperti da u n vocio di riprovazione che faceva ammutolire i troppo ingenui oratori i quali volevano far suonare parole invece che agitare idee. Le idee avevano il campo; e sopra tutte quella che è l'insegna nobile delle rivendicazioni comunali contro le invadenze


dello stato, l'autonomia e la libertà dei comuni, inceppata e violata in tutto il complesso della legislazione, della finanza e della politica statale. Questo concetto, che aleggiava vivo, e che agli ottocento rappresentanti dei comuni, raccolti nella gran sala del consiglio (detta dei duecento) nello storico palazzo della Signoria di Firenze, non era che il sostrato, l'anima che riuniva in un sol ideale tanti uomini, divisi per ragione di partiti politici e amministrativi e spesso, nel terreno delle lotte civili, forti e costanti avversari. Tutta la sostanza della discussione si aggirò sui mezzi idonei a conseguire lo scopo particolare che formava l'oggetto del congresso ; cioè, se in vista al conteggio poco favorevole al governo, di concedere lo sgravio voluto rispondente ai diritti dei comuni, fosse conveniente una azione decisiva, una specie di pronunciamento dei comuni italiani, i cui consigli, a termine fisso, come alla scadenza di un ultimatum, dovessero abbandonare il posto e dimettersi in massa, ogni volta che il governo non riconoscesse i supremi diritti dei comuni; oppure se invece non si credesse meglio attendere che il progetto di legge sull'oggetto in discussione, presentato al senato dagli onorevoli Mariotti, Niccolini e Minucehi, dietro proposta del consiglio direttivo dei comuni italiani, venisse discusso, e che il nuovo gabinetto si pronunciasse sull'argomento pro o contro, prima di venire ai ferri corti. I1 secondo parere, il più prudente, fu accettato da una grande maggioranza di 224 contro 75 e 1 astenuto; e ciò per varie ragioni. Primo, perchè non si deve venire a estreme risoluzioni se non quando tutti i mezzi prudenti sono stati messi in opera, sia pure con risultato negativo ; e già un nuovo mezzo è stato proposto, quello del progetto di legge da pochi giorni presentato al senato. Secondo, perchè nessun mezzo estremo ha efficacia vera se non quando l'oggetto che lo richiede abbia una vera importanza assoluta, e non relativa, quale è lo sgravio di spese sia pure per dieci o dodici milioni l'anno sopra i bilanci di ottomila comuni. Terzo, perché ancora la pubblica opinione non è impressio-


nata e presa dall'argomento dell'autonomia comunale, tanto da concepire necessaria un'azione così violenta e radicale, quale è quella delle dimissioni in massa dei consigli comunali. Quarto, finalmente, perchè gli stessi consigli comunali (almeno la maggior parte) non sono in grado d i buttarsi nell'incognita delle dimissioni, anche per quello spirito così poco sincero, così poco convinto, che pervade la nostra vita pubblica; d a temere ragionevolmente che l e minoranze (nuovi krumiri) sfrutterebbero a loro vantaggio l'alea d i nuove votazioni; per cui, il pronunciamento votato da u n congresso come ultima ratio del diritto dei comuni, diverrebbe l a parodia d i una forza che non si ha, e resterebbe solo i l bel gesto di una deliberazione moralmente inadatta allo scopo. Dall'altra parte: chi si può fidare dell'esito di u n progetto d i legge, d e l e promesse del governo, dell'interessamento dei deputati e dei senatori? Se u n ministro o u n capodivisione influente dicono d i no, i cento progetti del senatore Mar'iotti resteranno a impolverarsi negli archivi, senza neppure ... il conforto di una esumazione. E i deputati? Ma chi crede alle loro promesse, le quali di fronte al ministerialismo di cattivo gusto, non restano che parole senza suono e senza significato? Ecco che p e r u n verso o per l'altro i due estremi concetti messi in discussioné al congresso d i Firenze, pigliati nel loro estremo significato, erano condannati a rimanere privi di efficienza pratica; e alla speranza dei prudenti si contrapponeva legittimamente la diffidenza degli audaci. Però, u n elemento di forza e di efficacia non era p e r anco toccato, ed entrò ben poco nella discussione; u n elemento che tutti sentivano e che penetrava le coscienze degli intervenuti: cioè la forza moraIe derivante dalla convinzione collettiva e dall'unanime percezione del diritto d i autonomia dei comuni italiani. La piccola battaglia sopra cui si esperimenta, nella vita pratica, per la prima volta questo diritto, dicevo più sopra: h a u n interesse relativo, certo non indifferente d i fronte alle difficoltà molteplici della finanza comunale, oppressa da spese e intisichita nelle entrate; ha maggiore interesse dal punto d i vista d i f a r


mantenere allo stato una parola data, un impegno assunto, qual è quello che deriva dall'art. 72 della legge comunale e provinciale; assurge però ad un interesse vitale, se si guarda il principio e il fondamento del diritto, cioè che i comuni sono enti autonomi, con amministrazione e vita propria, autonomi nel loro carattere costituzionale, nella loro ragione politica, nel fondamento della finanza locale. Così, la piccola battaglia combattuta ormai in tre congressi, quello di Roma, quello di Napoli e quello di Firenze, ha l'aspetto d'elle grandi rivendicazioni morali della civiltà presente ed indica il risveglio di quel glorioso municipalismo, che rese grande l'Italia. E noi notiamo come a Firenze la dimostrazione di questa convinzione, che si fa strada in tutti i partiti, è assurta ad una importanza di ordine generale; perchè a differenza dei congressi di Napoli e di Roma, dove la maggior parte o quasi dei congressisti rappresentavano, la estrema sinistra del parlamento e del paese, a Firenze invece il congresso rappresentava tutte le gradazioni della vita e del pensiero italiano, dalla estrema destra all'estrema sinistra, unanime nella forza di un grande diritto che si risveglia nella coscienza pubblica, il diritto dei comuni. L'ordine del giorno votato dalla maggioranza è stata la manifestazione di questo diritto e la ferma volontà di conseguirlo, non solo nel fatto particolare dello sgravioOdelle spese indicate nell'art. 272 della legge comunale e provinciale, ma nella sue molteplice estensione; volontà, che non deve indietreggiare neppure di fronte alle risoluzioni estreme, da pigliarsi. quando è matura la convinzione nazionale e quando il centralismo statale si vuole mantenere di contro alle legittime aspirazioni dei comuni, sopraffacendo le ragioni di un diritto, che diviene sentito nella coscienza di tutti. E a ciò sono valsi i congressi precedenti, 9 più che altro quello di Firenze, e a ciò varranno la propaganda, la stampa, le conferenze, la affermazione, lo studio, il dibattito. I socialisti hanno mostrato più fretta degli altri e il desiderio anzi la volontà di venire a risoluzioni estreme ; e ciò perchè quella tattica si confà alla ragione del loro partito e perchè già essi, prima dei conservatori, hanno agitato la bandiera delle autono-


mie comunali, per cui molti hanno creduto, per effetto d i allucinazione, che i l paese sia maturo ad una grande azione comunale contro l'oppressione e il centralismo di stato. Questa visione parziale dello stato presente, li ha resi corrivi nei loro propositi; per cui han minacciato perfino la' secessione dalla Associazione dei comuni, che secondo loro non corrisponde più alle aspirazioni nazionali. Essi hanno perciò disconosciuto l'importanza del congresso di Firenze, e il fatto notevole che . i liberali moderati sono entrati fidenti nella lotta per le rivendicazioni comunali, proprio a Firenze, unendosi in unico ideale anche con il partito democratico cristiano e con i partiti estremi. Tutto ciò h a u n grande significato; per cui oggi, dopo i l congresso di Firenze, si può credere sul serio a una rinascenza della vita del comune se si continua nel lavoro, nella propaganda, nella concordia; se i comuni mantengono fermi i propositi manifestati; se i molti consigli comunali ancora estranei all'associazione vi aderiscono e si interessano di tutto il programma delle autonomie comunali. Al lavoro alacre e concorde, adunque; io mi appello a tutti i partiti; che -ciascuno senta il dovere di sostenere i diritti comunali, che sono la salute della patria e il risanamento della vita pubblica locale.

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( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 2 aprile-1905).

I L CONGRESSO DEI COMUNI ITALIANI A TORINO Egregi colleghi, Ho l'onore di communicarvi che nei giorni 11, 12, 13, e 14 maggio avrà luogo in Torino il congresso dei comuni italiani. con un importante ordine del giorno, che viene riportato i n fondo alla presente circolare. I1 programma dell'autonomia municipale è uno dei capisaldi della nostra azione nella vita municipale, ed è nostro dovere concorrere a tutte l e affermazioni e manifestazioni che servono a mettere meglio i n vista i diritti dei comuni, a farne conoscere


la portata, a farne sentire l'influenza, anche e specialmente presso i pubblici poteri dello stato. E non è a trascurarsi la formazione della coscienza collettiva, i n ordine ai problemi municipali, alla loro origine e al loro sviluppo; perché come i l comune nel carattere della sua istituzione e funzione è più da vicino a contatto con il popolo, con la cittadinanza, con le classi, così trae maggiore vitalità e forza dal consenso dei più e dalla libera e forte partecipazione popol a r e e democratica allo sviluppo della vita municipale. Questa vita è paralizzata dal burocratismo imperante, dalla politica infestante, dal servilismo governativo; i l municipio h a perduto la sua fisionomia naturale e originaria, quando ~ e r d e n d o la propria libertà, è divenuto pupillo, sotto tutela; la democrazia popolare, restando i n larva, si è mutata in oligarchia burocratica e i n tirannide parassitaria. Occorre scuotere u n giogo d i scudi; tornare alle gloriose tradizioni dei comuni italiani, e rivendicare diritti imprescrittibili e sacri. È nota a t u t t i - i n questo campo l'azione dell'Associazione dei comuni italiani; e per quanto il governo abbia tergiversato d i fronte a i diritti dei comuni e a d impegni assunti per legge; per quanto ancora si senta poco dalle amministrazioni comunali l o spirito d i libertà e di solidarietà che deve animare tutti da u n capo all'altro d'Italia, pure si sono fatti dei passi notevoli nel campo delle affermazioni e delle idee, come nel campo della pratica. Non ultima la legge sullo scioglimento dei consigli comunali, che divenuto arma insidiosa di governo, ora è invece regolato da disposizioni legislative, che mostrano maggiore rispetto verso le amministrazioni municipali e danno maggiori ga- ' ranzie contro illegittime intromettenze e ,arbitri d i parte. Nel congresso d i Torino molti importanti argomenti saranno discussi, fra i quali la riforma dei tributi locali, l'abolizione &gl'istituti di tutela, e la riverulicazione integra del quarto di rend i t a dei beni delle soppresse corporazioni. È interesse supremo che tutti i comuni partecipino a questa nuova vita, che l i richiama alle origini e ai compiti nuovi d i civiltà o d i libertà; per cui mi rivolgo ai colleghi dell'Associazione, perchè insistano presso le rispettive giunte comunali,


affinchè aderiscano al congresso e vi mandino u n rappresentante. Le facilitazioni ferroviarie, anche per l'esposizione di Mi,la-. no, rendono meno oneroso l'intervento anche dei rappresentanti dei comuni siciliani a Torino, dove i ricordi d i fasti e libertà nazionali chiamano d'ogni parte d'Italia a fecondare i nuovi ideali d i u n rinnovamento nella vita della nostra patria. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 20 aprile 19.06).

I L CONGRESSO D E I COMUNI A TORINO P E R LA RINNOVAZIONE DEI CONSIGLI (*) 'Molto opportuna viene al congresso dei comuni la trattazione delle proposte riguardanti la rinnovazione dei consigli comunali fatte nella riunione del consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni tenutasi nell'ottobre scorso, ora che il ministro Sonnino sotto la pressione degli effetti dannosi delle leggi del 1894 e 1904 si è deciso a presentare alla camera dei deputati il progetto della rinnovazione integrale dei consigli comunali ogni quadriennio. I1 voto d i questo congresso o darà maggior forza al governo per insistere sopra u n provvedimento che non h a antecedenti nella nostra legislazione, o indichecà la via di una soluzione meno azzardata e più congrua a l serio problema che dalle discussioni teoriche è passato d'un tratto nella vita vissuta. I1 sistema della rinnovazione parziale dei consigli comunali (sia del quinto - legge 1865 - sia della metà - legge 1894 sia del terzo - legge 1904), si basa sii due concetti fondamentali: l a continuità amministrativa della rappresentanza popolare e i l controllo periodico del corpo elettorale; si evitano così due effetti perniciosi al retto funzionamento della vita pubblica; la discontinuità amministrativa e la fossilizzazione delle maggioranze o negligenti o prepotenti. Però la bontà delle idee e dei principi è venuta a cozzare (*) Intervento al V congresso dell'Associazione dei comuni italiani: tenuto a Torino nel maggio 1906.


con i risultati pratici della esperienza; a valutare i quali è duopo fis-re un punto di partenza che è ammesso da tutti come una vera conquista democratica; cioè la rappresentanza della minoranza introdotta dalla legge del 1889 con la istituzione del voto limitato. Dopo diciassette anni di prova si è ormai concordi nell'ammettere che la rappresentanza della minoranza nei consigli comunali è un controllo efficace alle amministrazioni, uno sprone al lavoro, un elemento sicuro a tener desta la pubblica opinione, almeno nei comuni di qualche importanza, e un mezzo di allenamento a partiti nuovi, che si affermano nel dibattito della vita pubblica locale. E non è inopportuna la proposta che questo istituto venga migliorato in modo che le maggioranze strapotenti non abbiano ad eliderne gli effetti con la tattica delle schede giranti; nè che una semplice disposizione di voti abbia a darvi vigore, come avviene in tanti piccoli comun i ; e che in fine sia il mezzo dell'affermarsi delle diverse tendenze collettive dei corpi elettorali. Però il principio della rappresentanza della minoranza adottato insieme al sistema della rinnovazione parziale dei consigli comunali, estese a due istituti diversi la ragione del controllo degli elettori, indebolendo la compagine delle maggioranze e spostando con troppa frequenza la base delle amministrazioni, anche con danno della sincerità della vita pubblica: vennero così elisi, almeno in parte, dall'uno i benefici effetti dell'altro istituto. - A prima vista, sembra che non esista un tale rapporto fra l'istituto del voto limitato e quello della parziale rinnovazione dei consigli; perchè i l primo è un controllo che si riferisce piuttosto al complesso degli indirizzi di amministrazione, non escliiso il carattere politico della maggioranza; l'altro al modo concreto di esercitare il mandato amministrativo sopra ogni singola questione; l'uno esterno e generale, l'altro interno e continuo. Pure nel reciproco contatto della vita dei corpi elettivi, vi sono momenti di vera interferenza fra i due diversi controlli, nei quali momenti l'equilibrio amministrativo si rompe, o rendendo le maggioranze deboli di fronte a minoranze potenti; o facendo divenire le minoranze forti di ieri, maggioranze oscillanti e non sicure abbastanza da formare un'amrninistrazione ; o


in fine originando l'equivoco di maggioranze fittizie condannate in una forma non decisiva dal voto elettorale quando, cioè, questo sia valso a esprimere fiducia nella minoranza senza che abbia potuto spostare di molto il carattere e la compagine della maggioranza. Così il controllo elettorale inficia la forza e le ragioni delle minoranze, alle quali il rapido passaggio non d à la forza della lunga preparazione, mentre toglie alle maggioranze la consistenza e la possibilità di attuare un programma; e anzi, crea fin dai piimi momenti della formazione dei consigli, la preoccupazione di mantenere a tutti i costi le posizioni conquistate. Questi risultati sono più o meno rapidi, secondo che la rinnovazione va per il quinto, o pel terzo, o per la metà; e l'effetto catastrofico è quasi sempre lo scioglimento del consiglio o la paralisi amministrativa da una all'altra elezione. La statistica degli scioglimenti dei consigli comunali da diciassette anni a questa parte, a cui ha dato luogo la impossibilità d i costituire una giunta che possa amministrare, si mantiene quasi immutata, con poche oscillazioni, di circa un centinaio all'anno. Vero si è che diverse ragioni di partiti locali e di intemperanze elettorali politiche sono mascherate da questa e da altre ragioni che servono alle consuete motivazioni dei decreti di scioglimento ; tuttavia nessuno può non convenire che gli effetti della simultaneità dei due istituti ( i l voto limitato e la rinnovazione parziale) han dato ragione alle successive riforme legislative, senza ancora trovare un sistema che contemperi l'esigenza dell'intervento del corpo elettorale con la coincidenza della compagine amministrativa delle rappresentanze consiliari. Di fronte al sistema delle rinnovazioni parziali, si propone quello della rinnovazione totale a periodo fisso; si cerca con esso di rendere più stabili le amministrazioni comunali, alle quali si dà u n tempo congruo per attuare il programma, in base al quale hanno ottenuto il voto della maggior parte degli elettori, che sono perciò in grado di giudicare più equamente i loro rappresentanti; si precisa meglio il compito delle minoranze, e si sottrae in parte la vita amministrativa alle continue pressioni e agitazioni della vita politica, alle lotte personali e all'intervento, più o meno giustificato, del potere centrale. Que-

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st'ultimo concetto è stato quello che h a indotto la commissione parlamentare che esaminava la legge sullo scioglimento dei consigli, a proporre che il ministero presentasse, come logica conseguenza, quella sulla rinnovazione integrale delle rappresentanze elettorali. Però, come tutte le cose umane, anche questo sistema ha i suoi lati deboli, e presenta qualche fianco scoperto alla critica; noto senz'altro due obiezioni, che credo riassumano tutto i l pensiero d i coloro che non sono favorevoli alla proposta della rinnovazione integrale, e che almeno hanno u n fondamento nella realtà della vita pubblica, quale si svolge da noi. La prima difficoltà si è che una maggioranza consiliare e una giunta che ne è l'emanazione, avendo avanti a sè u n periodo piuttosto notevole dentro il quale rimarrà indisturbata al potere, non ha una spinta continua al lavoro amministrativo, nè alle prepotenze d i parte h a come freno immediato o almeno più sensibile i l dover render conto a breve scadenza agli elettori. L'altra difficoltà, certo d i maggior peso, è che il corpo elettorale, p e r u n periodo relativamente non breve, non h a mezzo d i pronunciarsi efficacemente e qualche volta decisivamente sul complesso dei sistemi amministrativi della maggjoranza consil i a r e ; e da questa assenza, alla quale una notevole parte degli elettori si condannano da sè anche adesso col sistema della rinnovazione parziale, ne deriva u n maggior disinteressamento verso la cosa pubblica, nocivo sopra ogni modo nei regimi popolari, e quella mancanza di allenamento che sviluppa i partiti, determina forze vive, trasforma intieri ambienti. L'una e l'altra difficoltà rendono molti perplessi nell'accettare i l concetto della riforma testè proposta alla camera, che credono sia u n salto nel buio, anche perchè non si hanno quei precedenti d i fatto che possano far intravvedere la portata e gli effetti della riforma in parola. È bene notare anzitutto che la rappresentanza della minoranza nel sistema che andiamo studiando acquista il suo vero carattere e u n compito molto preciso e grave di responsabilità, che non abbia nel sistema della rinnovazione parziale; poichè come è tolta la possibilità che la maggioranza s'indebolisca o divenga minoranza, così a questa è tolta la immediata aspirazione

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a divenire d'un tratto maggioranza, e rifarsi dalle patite sconfitte, con una vece alterna nel sobbalzo continuo nel potere a danno del comune. Così l'una e l'altra si rendono più coscienti del compito che loro assegnano gli elettori, e la visione più esatta dei compiti amministrativi crea la visione meno parziale delle responsabilità. Forse questo dato psicologico non sembra a tutti chiaro, ma chi vi pensi u n po' sopra, trova che esso è u n fattore importante nella vita amministrativa di qualsiasi ente collettivo. Ora pel fatto che le minoranze consiliari hanno u n tempo più lungo p e r prepararsi l'avvento a l potere e una visione più esatta delle loro responsabilità, nella maggior parte dei casi si cletermina fra esse e i l corpo elettorale una serie di contatti efficaci, e un'azione consiliare più serena e più viva. Si dirà che i n molti comuni non è una sola la frazione di rninoranza; ve ne sono diverse, più o meno importanti, alle quali non è opportuno n è democratico precludere la via di far sentire la loro influenza d i pensiero e d i azione nell'ambito d i u n comune. Questa osservazione risponde alla realtà delle cose, p e r quanto riguarda i grandi comuni. P i ù sopra ho accennato come l'istituto della rappresentanza della minoranza nei consigli non è bene regolato dalla legge; e io credo (quantunque questa idea non sia divisa da alcuni miei colleghi del consiglio direttivo) che non si possa affrontare sul serio il problema della rinnovazione integrale dei consigli senza regolare meglio la portata del voto limitato, e la rappresentanza delle minoranze che hanno una base reale nei corpi elettorali. Ma credo che siamo ancor lontani i n Italia dalla rappresentanza proporzionale, che risponcle a un vero carattere delle moderne democrazie. Un altro istituto dovrebbe essere introdotto nella nostra legislazione, non p e r accidens, come è avvenuto nella legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi, ma come integrante le funzioni delle rappresentanze popolari e come controllo efficace e democratico, cioè l'istituto del referendum. E benché esso non si possa strettamente riferire alla riforma, di cui trattiamo, e venga a esser preso a sè, in tutta la sua portata, pure, negli effetti, darebbe luogo a quella partecipazione vitale e a quei contatti continui degli elettori nei rapporti con l a vita amministrativa d i u n comune, da compensare i n molta parte l'inerzia a cui


si teme siano condannati i corpi elettorali per effetto della riforma nel sistema delle rinnovazioni dei consigli.

Fatti questi rilievi sul complesso di una riforma che non credo si debba guardare da u n solo punto di vista, perchè le leggi analitiche, perfette in sè, spostano nel campo dell'attuazione pratica molti punti di riferimento e quindi molti bisogni collettivi, pongo la questione che oggi si dibatte in questi termini: - La somma dei miglioramenti che reca il nuovo progetto di legge compensa le deficienze che esso crea nella costituzione e nella vitalità dei corpi consiliari dei comuni? - E, in subordinato, l'istituto della minoranza (riformato e migliorato) e quello .del referendum amministrativo valgono a completare il sistema della vita elettorale dei comuni, migliorandone tutto il complesso anche nei rapporti continui fra amministrati e amministratori? Alla prima questione noi rispondiamo affermativamente; sia perchè abbiamo constatato che gli attuali sistemi non reggono nell'interesse degli enti che amministriamo, sia perchè si è sicuri che una vita amministrativa più stabile e meno fluttuante risponde a un bisogno sentito da tutti; benchè non ci nascondiamo che la prova del fatto possa dare elementi di esperienza che pel momento ci sfuggono; per cui aderiamo al nuovo progetto di legge anche perchè si possa provare col fatto se i miglioramenti che si prevedono nella vita amministrativa rispondano ai concetti a cui clinformiamo nel reclamare la riforma in discussione. Alla seconda questione per conto mio rispondo affermativamente, e repu'to che la riforma sulla rinnovazione dei consigli, col sistema integrale, non possa avere il suo vero e completo valore e non possa rispondere alle esigenze dello sviluppo della vita elettorale presente, senza che si migliori e si integri l'istituto delle minoranze e senza che sia introdotto quello del re£erendum ; e mi auguro di trovare in quest'assembléa un'eco delle mie idee. Resta a vedere quale debba essere il periodo delle rinnovazioni. Esclusi i periodi troppo breve di due anni e troppo lungo


di cinque, resta a discutersi se debba preferirsi la rinnovazione integrale ogni tre oppure ogni quattro anni. I1 governo ha proposto il periodo quadriennale, e benchè la estimazione della lunghezza o brevità dei periodi si basi in parte su elementi relativi e fin troppo soggettivi, pure credo che debba essere scelto il periodo di quattro anni perchè i n tal modo possa darsi alle amministrazioni comunali un tempo sufficiente all'attuizione del programma, e i n genere perchè si possano conseguire congruamente gli scopi della riforma, specialmente se si accolgono le proposte riguardanti la rappresentanza delle minoranze e il referendum. Poco c'è da osservare sulle disposizioni transitorie del progetto Sonnino e sulle aggiunte della commissione parlamentare ; noto solo che non trovo ragione di rinnovare per la prima volta i consigli eletti prima del lo gennaio 1906, perchè la vita annuale dei consigli comincia al lo settembre di ogni anno, quando hanno luogo l e sessioni .autunnali nelle quali si compilano i bilanci comunali. Io crederei che si debba fissare i l 1" settembre 1906, o che ogni comune rinnovato integralmente nell'ultimo biennio attenda il compiersi del relativo quadriennio per la rinnovazione. Concludendo si propone :

1) che si adotti nella nostra legislazione comunale il sistema della rinnovazione integrale dei consigli per ogni quadriennio ; 2) che si migliori il sistema delle rappresentanze delle minoranze; e che s'introduca nella legge comunale l'istituto del referendum popolare anche come integrazione dell'istituto della rinnovazione dei consigli, per la più intensa partecipazione del corpo elettorale alla vita amministrativa dei comuni. (La Croce di Costantino, Caltagirone, 20 maggio 1906).

Fra lo sciopero generale da una parte e la caduta del ministero dall'altra, il quinto congresso dei comuni italiani è passato nella stampa e nella opinione pubblica, tanto agitata, in secon-


d o e terzo ordine; e non n e resta che un'eco languida. Pure, f r a tutti i congressi precedenti è quello che; p e r serietà d i discussione e importanza d i deliberazioni; meglio rispeccliia il procedere progressivo di un'associazione che va affermando la sua importanza e la sua forza nella vita nazionale. La storia d i questa Associazione ( c h i la conosce?) si lega con la storia 'di uno dei problemi più gravi dell'età nostra: l'autonomia comunale. È strano che l'abitudine mentale formata dalla tradizione liberale centralistica e lo stato d i asservimento politico sia tale che l'idea di autonomia comunale trovi nelle coscienze dei p i ù una resistenza passiva a divenire principio elfettivo di azione, quale essa sia l'azione da svolgere; e che la forma concreta d i istituti soverchiatori, d i sopraffazioni statali, d i interessi politici, impedisca la visione netta ed esatta del comune moderno, libero nella sua funzione specifica e unito a tutta la nazione nella sua vitalità civile e politica. Tant'è, questa Associazione dei comuni italiani, sorta per la rivendicazione d i u n nobile e santo principio di libertà, clie è fonte di responsabilità individuale e d i prosperità collettiva; ha dovuto i n cinque anni d i vita lottare per l'esistenza, fra i l riso mefistofelico degli uomini d i governo, la diffidenza dei conser.vatori, e l'eccessivo entusiasmo nei primi anni dei socialisti. Forse, anzi certo, a paralizzare i l movimento di adesione, dcstato fin da principio, contribuì il prevalente colore che i socialisti, in maggioranza nel consiglio direttivo, diedero per i primi t r e a n n i ; però d a l 1904 al congresso di Napoli, si ottenne quella partecipazione proporzionale di tutti i partiti nel consiglio, che si è mantenuta quasi intatta in quello d i Torino; per modo che .oggi non mancano più le adesioni dei grandi comuni, da Torino a Venezia, a Roma, a Palermo; e nonostante alcune defezioni d i comuni amministrati da socialisti, si hanno ben 1.600 comuni aderenti, fra i quali moltissimi capoluoghi di provincia e di circondario. A essere sinceri, anche i più fervidi aderenti sono u n po' scettici sulla portata pratica dei congressi dell'Associazione, dei voti e deliberati. E questo stato d'animo è confermato dal fatto che dal 1901 a d oggi poca o nessuna strada si è fatta verso la rivendicazione concreta delle autonomie e libertà comunali.

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È questa un'osservazione troppo esteriore d i coloro che pensano che problemi così complessi possano avere delle soluzioni immediate. e che un7azione incipiente e sprovvista di forze legali possa dare risultati subitanei. I n questo genere d i movimenti, i l principale obiettivo immediato è quello di destare una coscienza latente con una serie di fatti esteriori legati alle còncezioni logiche che formano le convinzioni teoriche, e che l e riducano a principi pratici d i azione. A tale scopo immediato E diretta soprattutto l'efficacia d i un'associazione, che lega i n u n vincolo di solidarietà e di interessi individui o enti, e che dà luogo alle affermazioni dei principi astratti come dei diritti concreti, sopra i quali si esercita la mente e si afferma la volontà che mira ai risultati pratici. E perchè questa. coscienza da individuale divenga collettiva, da semplice e istintiya arrivi ad essere complessa e riflessa, giovano tutti i mezzi d i propaganda. stampa, congressi, conferenze, comizi. Così si crea quella che diciamo pubblica opinione. che è la base delle rivendicazioni collettive, e che è il sustrato reale d i ogni legge; la quale non è imposizione dall'alto al basso, ma espressione dei bisogni di molti in una ragione sociale. Ora a preparare questa pubblica opinione, a renderla generale, a elevarla a potenzialità effettiva mira, sopra tutto, l'Associazione dei comuni italiani, come potente organizzazione che non è basata sopra elementi fittizi, sopra categorie mentali d i pochi generosi, ma sopra elementi di carattere stabile, permanente, collettivo, e eminentemente rappresentativo d i bisogni e di diritti, quali sono i comuni. Possono, è vero, esservi a capo di questi enti, così complessi di vita, uomini non coscienti del loro compito, uomini che non comprendono come necessità di esistenza vera e reale dei comuni siano quelle libertà che s7invocarono per lo stato; nel carattere concreto de117elettorato amministrativo, dopo tant'anni di pressione centrale e d i lotte personali sfibranti, può essere che il senso delle libertà comunali sia airofizzato; ma resta nel fondo dell'anima collettiva quella scintilla che dà vita a un movimento fatale. come tutti i movimenti di emancipazione di popoli arrivati a maturità d i vita civile.


Oggi è necessario, al risanainento di tutta la vita nazionaie, che le forme organiche della vita civile, in una contemperanza di forze, riacquistino di fronte allo stato quelle libertà che i soli individui non possono far valere in una forma elementare di voto di nomina di rappresentanti; questa necessità di vita si sente nel contrasto fra le aspirazioni del viver civile e le maachevolezze dell'ordinamento presente, fra il bisogno di più intense guise di benessere collettivo e la limitazione delle manifestazioni organiche della vita; per cui, nel contrasto; esplodono forze brute, che danno valore di protesta anche alla violenza. Fissata così la base psicologica e la portata sociale della lega dei comuni italiani, viene ad essere come conseguenza logica il complesso delle finalità concrete che va assumendo il movimento autonomistico, in ordine alle rivendicazioni parziali dei diritti dei comuni. Tali finalità possono dividersi in due grandi categorie: quelle immediate e quelle piii larghe e generiche. Le prime si riferiscono a quei provedimenti di ordine legislativo, che o per iniziativa dell'Associazione stessa o per iniziativa parlamentare o governativa, vengono poste nel dibattito della nazione, ed hanno inizio e completamento nei due rami del parlamento. Uno di questi problemi è stato quello dello sgravio delle spese di pertinenza dello stato, cli cui i n via transitoria furono aggravati i comuni; per esso non vi sono solo voti dei congressi, petizione dei comuni, anzi radiazione addirittura dai bilanci, vi è addirittura una legge davanti al senato di iniziativa dell'Associazione stessa presentata dai senatori Mariotti, Niccolini e Minucchi. E benchè la resistenza del governo abbia fatto fin oggi tardare una decisione legittima e opportuna, pure si ha speranza che la pressione della pubblica opinione faccia trionfare i diritti dei comuni. E allo spirito diffuso dall'Associazione si deve la legge Sonnino sullo scioglimento dei consigli comunali, che speriamo non incontri al senato serie difficoltà, come la legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi con introduzione del referendum. L'intervento preventivo dell'Associazione dei comuni nelle discussioni di leggi che si riferiscono direttamente alla vita mu-


nicipale è molto salutare, e contribuisce a rendere più effettiva l'influenza di u n istituto che dovrà avere una grande funzione nella vita nazionale; e i deliberati del congresso, di Torino sull'avocazione delle scuole allo stato, a proposito dei ~rovvedimenti per il mezzogiorno, e sulla rinnovazione dei consigli comunali, non resteranno privi d i efficacia e senza alcuna eco nei due rami del parlamento. Alla su indicata categoria è da mettere l'azione iniziata pure al congresso di Torino sulla rivendicazione integrale del quarto di rendita delle corporazioni soppresse, devoluta ai comuni, e sulla istituzione di u n consiglio superiore dei comuni, come i l consiglio superiore del lavoro e il consiglio superiore della P.I., con basi elettive. A tale scopo principalmente si è deliberato di formare due comitati parlamentari, uno di senatori e uno di deputati per la difesa dei diritti dei comuni. La seconda categoria riguardà le affermazioni di principi generici, le riforme radicali, gli studi preparatori a tali riforme, l e inchieste e quanto può servire a dare ragione delle riforme da propugnare e sostenere; come sugli istituti di tutela, sul referendum, sulla riforma finanziaria e sociale. A tali lavori si è dato ultimamente u n notevole impulso, specialmente con la relazione Greppi sulla finanza locale, a proposito del progetto Maiorana; e u n questionario importante è stato trasmesso a tutti i comuni per una specie di referendum sulla materia; il quale potrà riuscire importante, se non dal lato tecnico, certo dal lato della espo.sizione dei bisogni e delle aspirazioni dei comuni, principalmente in ordine alle tradizioni e alle condizioni delle diverse regioni d'Italia. Se ancora la portata dell'azione benefica dell'Associazione non è più larga e il lavoro di assimilazione non è molto alacre, lo si deve alla ripugnanza nativa delle grandi e generose lotte da parte di organismi vecchi, falsati da leggi inadatte; o più che altro da quel cumulo di interessi personali che si legano ai partiti che tengono i l potere amministrativo per servire di piattaforma alla vita politica locale, fatta di dispettucci, di piccole truffe, di piccole vergogne, di piccoli favori, che i governi mantengono come mezzo di dominio nel fluttuare delle vicende politiche nazionaIi.

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A destare tutta una nuova personalità municipale ci vuole quel lavoro clie si fa dai partiti giovani, che tentano trasforniare l'attuale vita politica della nazione; e l'Associazione dei comuni sarà la macchina che elabora e produce i sentimenti latenti, i desideri inerti, ilbisogni impotenti in yn progresso di idealità, d i propaganda, di solidarietà, di iavoro. E il congresso di* Torino è ancora ,un passo avanti; è una nuova promessa p e r l'avvenire. (La Croce di Costantino, Caltagirone, 24 maggio 1906).

SULLE DISPOSIZIONI INCOSTITUZIONALI CONTENUTE NEL REGOLAMENTO ALLA LEGGE 25-2-1904 n. 51 APPROVATA CON REGIO DECRETO DEL 19-7-1906 n. 466 (*) Onorevoli colleghi, Nel novembre scorso i l consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni, prendendo in esame alcune disposizioni del regolamento generale sanitario 19-7-1906, col quale si aggravavano l e disposizioni in vigore, ledenti i diritti dell'autonomia comunale, deliberava comunicare ai municipi la relazione sommaria da me fatta in quella riunione sulle disposizioni incostituzionali del citato regolamento, p e r richiamarvi l'attenzione dei rappresentanti dei municipi e iniziare una opportuna agitazione; e rinviava a p i ù ampia discussione nel presente congresso, u n tema abbastanza complesso e grave. Tutta la legislazione nostra riguardo l'assistenza igienica e sanitaria h a u n carattere evidente di diffidenza verso l'ente comune, dalla cui dipendenza a poco a poco h a sottratto quasi p e r intero i l personale sanitario, perfino gli impiegati degli uffici di igiene. Questa tendenza è p e r alcuni giustificata, almeno i n parte, dalle, resistenze passive d i non pochi comuni (specialmente d i secondo e terzo ordine) che, o per ragioni finanziarie o per in(*) Relazione al VI congresso nazionale dell'Associazione dei coniuni italiani, tenutosi a Bologna nel maggio 1907.

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veterati pregiudizi, o per interessi locali, non hanno dato alla assistenza sanitaria ed igienica quell'impulso ed efficacia che è necessaria. \ Ma, a parte il fatto opposto che molti comuni si son messi sul serio alla testa del movimento igienico, certo si è che ad ottenere che il personale sanitario sia ben scelto e faccia il proprio dovere, basta circondarne la nomina e l e condizioni disciplinari con serie garanzie (come si è fatto per i segretari comunali); non è affatto necessario invadere il campo dei diritti comunali e ridurre i comuni alla semplice funzione d i registrare l'esito dei concorsi e d i pagare mensilmente quello stipendio, c h e con u n atto della giunta provinciale amministrativa può essere elevato anche per semplici considerazioni personali. L'ultimo regolamento del 1906 porta l e cose ad u n estremo a l quale prima non si era arrivati; e chi conosce quali influenze extra-parlamentari vi siano al riguardo, e come in fondo si faccia più una questione di classe anziché di vero e reale vantaggio collettivo, non troverà inopportuno che i l consiglio direttivo del17Associazione comuni italiani abbia richiamato l'attenzione dei sindaci riuniti a congresso su questa continua manomissione dei diritti comunali. Limitata com'è la mia relazione a semplici rilievi d i fatto sul punto della incostituzionalità di u n regolamento in rapporto alla legge, a cui si riferisce e dalla quale trae origine, non posso entrare ad esaminare il carattere dell'attuale legislazione sanitaria nei rapporti con i comuni; né è i l caso di discutere fino a che punto possa il servizio igienico e sanitario dirsi servizio d i stato o semplicemente comunale. Però fin da oggi, dato che si è sollevata una questione che chiamerei esegetica, siamo costretti a tornare sull'argomento per affrontarlo in tutta la sua portata; perché non si tratta di u n semplice fatto isolato o della critica a u n solo regolamento, ma di tutto u n ordinamento legislativo che è legato alle questioni più vitali della pubblica igiene e sanità, e che nelle incertezze di una legislazione che balbetta le prime sillabe, sténta a trovare la via p e r cui lo stato, gli enti locali e i privati cooperino ciascuno con le forze d i cui dispongono alla lotta civile e umanitaria contro tutti gli agenti c h e turbano l a pubblica igiene e la sanità dei cittadini.

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La questione sollevata oggi al congresso dei comuni ha anche importanza per il punto di vista da cui viene considerata; e benché sembri una questione semplicemente giuridica, in cui l e sottigliezze della casistica del diritto possono avere largo campo nel cercare il limite estremo oltre il quale una disposizione regolamentare si possa dire incostituzionale, pure essa assurge ad una larga questione morale, ed arriva ad una portata pratica di non breve importanza. Perché difatti, se un impulso di maggiore cura alla pubblica igiene e all'assistenza sanitaria dei poveri ne è venuta dagli organismi curati con la legge del 1888, non è a credere che ciò sia avvenuto perché quegli organismi a poco a poco siano stati staccati dai comuni e avvicinati di più all'ingranaggio dello stato; ma per forza delle cose stesse, al cui sviluppo ha reso un cattivo servizio, di ritardo e di ostacolo, la diffidenza verso i comuni e lo spirito di sopraffazione portato in nome della sanità e dell'igiene da persone troppo pressate dei diritti preponderanti dello stato e de~l'organizzazione della propria classe. Veramente trovare la nota di incostituzionalità in u n regolamento di stato per l'applicazione di qualsivoglia legge, in Italia non -è cosa né rara né unica, perché è invalso un sistema abbastanza largo in materia; per cui facilmente il governo travisa o anche frustra con i suoi regolamenti le intenzioni e le espresse volontà del legislatore; impone oneri che la legge non contempla; crea impacci burocratici, esagerando la portata di quelli che le leggi stesse mantengono o accrescono, rendendo sempre più difficile, o quanto meno ritardando il rapido svolgersi della vita collettiva nella nazione. Però se molte volte l'eccesso del potere esecutivo, che invade il campo del legislativo, segna del suo marchio i regolamenti alle leggi, non è u n caso frequente, anzi addirittura non esiste il caso i n cui da enti pubblici o da cittadini sia promossa una dichiarazione legale di incostituzionalità; forse anche perché non si h a né la facilità di farlo, né la fiducia nell'esito d i una azione che ferisce il potere esecutivo, pur essendo in un regime costituz'ionale e libero. I comuni, nel risveglio generale delle autonomie locali, hanno l'obbligo di sostenere i loro diritti contro la invadenza del po-


tere centrale, e di sollevare le questioni di incostituzionalità, specialmente quando la forma coinvolge la sostanza delle cose e il complesso degli interessi cittadini.

1. Degli uflicicrli sanitari t

Rilevo anzitutto che la figura dell'ufficiale sanitario presso u n comune è giuridicamente ibrida: egli è nominato dal prefetto per concorso a titoli e ad esami; prima veniva presentato dal consiglio comunale. Ha i doveri tli ufficiale del governo; dipende dal prefetto e dal sindaco; è capo dell'ufficio di igiene municipale, dove questo ufficio esiste; è pagato dal comune, presso cui serve. Una recente giurisprudenza dice che non è impiegato comunale. I1 regolamento generale sanitario ha aggiunto a tutto questo una specificazione che non pare appartenga alla natura d i ' u n regolamento; cioè che l'ufficiale sanitario per l e sue funzioni dipende dal sindaco in quanto questi è ufficiale del governo. Ora tutto quanto non è esplicativo della legge, nel senso di esecutività, non può aver luogo in un regolamento. I? dunque evidente che quello che il governo non credette di far dire al parlamento, perché forse non lo avrebbe detto, lo volle dire esso i n u n regolamento. La portata pratica di tale disposizione, perchè il regolamento 'non può avere portata giuridica ma solamente pratica, è questa: (C l'ufficiale sanitario per l e sue funzioni non dipende dal sindaco quale capo dell'amministrazione comunale ». Ora bisogna risalire a una questione più alta; se cioè tutto quel che riguarda l'igiene pubblica sia affidato al sindaco quale ufficiale del governo oppure anche come capo dell'amministrazione comunale. La legge comunale e provinciale art. 150, dice che il sindaco quale ufficiale del governo è incaricato di provvedere agli atti che nell'interesse della pubblica igiene gli sono attribuiti o commessi in virtù delle leggi e dei regolamenti ( q u i s'intende governativi); perché per l'art. 149 egli, quale capo dell'ammini-


strazione comunale, provvede all'osservanza dei regolamenti locali fra i quali, per legge, vi deve essere il regolamento igienico. Come esecutore delle leggi e dei regolamenti di stato è adunque ufficiale del governo, e come esecutore dei regolamenti e provvedimenti locali è capo del comune: e siccome per la legge del 1888 l'ufficiale sanitario ha l'obbligo d i assistere il sindaco per quanto riguarda l'igiene, questa assistenza e dipendenza deve riferirsi tanto ai provvedimenti igienici emanati per via di legge e d i regolamento governativo, quanto in forza dei regolamenti comunali. La limitazione del regolamento (art. 81) che dice per l'esercizio delle loro funzioni è equivoca: se I'ufKciale sanitario è anche capo dell'ufficio di igiene, quindi ha una gerarchia burocratica (ordine di ufficio, orario, ecc.), SoAo queste fuizihni del17ufficiale sanitario? Credo di sì, ma non riguardano affatto ragioni governative, né si riferiscono al sindaco quale ufficiale del governo, ma quale capo dell'amministrazione. È evidente adunque lo strappo fatto alla legge e l'incostituzionalità di una dicitura estranea alla legge, che pone limiti non consentiti dalla legislazione attuale e dalle mansioni dell'ufficiale sanitario. Noto solo questa incongruità, perché per il resto del regolamento non vi è nulla che sia oltre o in contraddizione alla legg e ; è la legge stessa sugli ufficiali sanitari che meriterehbe seri ritocchi, nei rapporti tra il comune e le mansioni d i questo mezzo funzionario governativo e mezzo impiegato comunale che potrà formare l'oggetto di uno studio particolare. % 2.

Dei medici condotti

a) La legge 25-2-1904 ha avuto per scopo di regolarizzare la posizione dei medici condotti e del personale sanitario, rendendola meno fluttuante e sottraendola agli arbitri degli amministratori, e dall'altra parte ha voluto circondare della dovuta garanzia le- nomine di persone elevate a tale ufficio delicato, nell'interesse della puhblica assistenza, fissando e determinando i modi di nomina. H o detto che lo stato ha mostrato la missima diffidenza verso i


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comuni, cosa certo che contribuisce a diminuire i l senso di responsabilità e a deprimere quella educazione politica che toglie i l valore alla libertà che sale dal popolo p e r subordinarla alla burocrazia politica imperante. Infatti ha investito il consiglio provin6ale d i sanità della nomina di tutti gli esaminatori dei concorsi al posto di sanitari, senza neppure dare una qualsiasi rappresentanza a l comune che deve poter tutelare non solo la bontà tecnica, ma anche, ed è di molro valore p e r medici, la bontà morale; oltre quel giusto titolo di rappresentanza diretta di tutti gli interessi di una città. La stessa legge stabilisce una formula vaga per determinare il merito dei concorrenti p e r l'idoneità; dice i più meritevoli, senza né una indicazione d i numero, né una precisazione che tolga o diminuisca i l possibile arbitrio -di u n collegio d i esaminatori che sono emanazione d i una sola.autorità. Ciò nonostante era da augurarsi che il regolamento non aggravasse tale -condizione -lesiva degli interessi dell'autorità comunale. Specialmente se si nota che la legge del febbraio 1904 all'art. 4 stabilisce che il regolamento deve indicare a riguardo i modi con cui la commissione sanitaria debba essere composta. Non così è avvenuto: l'art. 35 del regolamento dispone che la commissione formi la graduatoria soltanto dei concorrenti che avranno conseguito 27 su 30, indicandoli p e r ordine d i merito. È evidente che tale disposizione, se poco o nulla conferisce alla bontà della scelta, perché si sa che gli esami o i concorsi i n materia così delicata e disparata poco indicano della praticità e attitudine d i u n medico, costringe invece i comuni a subire quel nome o quei nomi che otterranno i voluti 27 su 30, senza il diritto almeno di una t e m a come p e r i maestri e1ementari;al fine dl poter scegliere con una, certa larghezza. Così, nella maggior parte dei casi, si può ritenere che il comune non elegge più, i l proprio medico condotto, ma resta alla mercé di interessi professionali, che si esplicano nel capoluogo di provincia e nella sede della prefettura. b) Ma non è bastato che la nomina dei medici condotti fosse fatta in ultima analisi dagli esaminatori, emanazione di u n consiglio politico burocratico; il regolamento invade addirittura i l campo dei diritti del comune, e stabilisce agli art. 39 e sgg. che le pene disciplinari vengano inflitte al personale sanitario sola-


mente dal prefetto, dopo aver loro comunicato personalmente gli addebiti che o per denunzia del sindaco o del medico provinciale crede di rilevare. Nel regolamento del 1901 vi già stabilita per la prima volta la subordinazione dei medici condotti al prefetto ( il che non esiste nella legge del 1888 né in quella del 1904); però vi era u n inizio importante all'art. 55: e senza pregiudizio dei rapporti fra comuni o consorzi e sanitari ». Era così una nuova autorità che s'imponeva ai medici, senza menomare quella comunale. Oggi nel regolamento del 1906 questa clausola è stata tolta senz'altro; e il sindaco ha solo la funzione di comunicare con un verbale la denunzia al prefetto. A parte la poco simpatica funzione di un sindaco che per fare osservare gli obblighi disciplinari deve denunziare al prefetto le mancanze del personale addetto all'assistenza sanitaria, cosa che credo nessun sindaco che abbia dignità sia disposto a f a r e ; a parte la incongruenza evidente della posizione di u n prefetto, che è costretto a invigilare sulla condotta di centinaia d i medici; l'infrazione della legge comunale e provinciale è evidente. Si tratta di impiegati del comune che sono messi fuori dell'orbita delle regolari dipendenze, i quali vengono così, nell'esercizio delle loro funzioni, subordinati di fatto a i medici provinciali e agli ufficiali sanitari: una vera organizzazione che si interpone tra lo stato e il comune, e che acquista di fatto una autorità perniciosa al retto andamento del più delicato dei servizi pubblici.

3.

Delle levatrici condotte

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La incostituzionalità di quanto riguarda le levatrici condotte è ancora più evidente. La legge del febbraio 1904 non parla affatto delle levatrici condotte; quindi per queste vige i l regime della legge 1888. Invece nel regolamento del 1906 si parla insieme d i medici e levatrici; stabilisce norme di concorso e disciplinari identiche a quelle stabilite per medici condotti. È chiara l'esorbitanza del regolamento al riguardo che sottopone a norme di nomina a cui la legge non obbliga. Peggio, perché si parla di disciplina e di dipendenza.


4. Dei laboratori comunali e consorziali d i igiene La prima violazione non a una disposizione tassativa d i legge, che manca addirittura, ma al senso e al valore della legge comunale e provincial; e a l carattere dell'ente locale, riguardo all'istitiizione d i laboratori Sanitari comunali, fu data dal regolamento del 1901 al cap. VII, dove vengono stabilite le modalità per la commissione esaminatrice per le nomine del personale dei laboratori comunali e consorzia> d'igiene previsti dall'art. 3 della legge del 1888, che dice solo « con convenienti laboratori per l e analisi, ecc. Evidentemente quel capitolo h a u n carattere regolamentare e normativo, però manca d i u n fondamento legislativo e quindi d i una forza giuridica; e alcune limitazioni d i diritto non sono interamente legali e illegittima è la disposizione che il capo del laboratorio debba amministrare solo i n sfera indipendente dalla rappresentanza municipale. E se le nuove disposizioni si fossero limitate a quelle del 1901, poco male, nel senso d i una restrittività non interamente ingiustificata né dall'altra parte interamente lesiva dei diritti dei comuni, tranne per quel che riguarda la autonomia amministrativa dell'organismo, che non è stata più ripresa nel nuovo regolamento. Però nel regolamento del 1906 la mancanza delle disposizioni legislative in materia riesce a dare più evidentemente i l senso dell'arbitrio quanto più le disposizioni sono lesive dei diritti dei comuni. Infatti, il personale del laboratorio comunale è non solo a concorso per titoli e p e r esame, una forma imposta e non so se interamente rispondente alla scelta migliore che possa fare u n comune, ma tale scelta è limitata a chi otterrà 45/50; alla commissione al solito è estraneo qualsiasi intervento comunale, almeno nella scelta dei tecnici, che è demandata al consiglio superiore d i sanità. I consigli comunali per giunte d i città grandi (perché nessun piccolo comune si può concedere il lusso di u n laboratorio igienico, e neppure tutte l e città che hanno più di 20 mila abitanti hanno il laboratorio) sono dichiarati insufficienti a scegliersi i propri tecnici per il laboratorio. Nessuna meraviglia che col


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tempo siano dichiarati insufficienti a scegliersi i propri ingegneri, persone tecniche, e i propri avvocati, o almeno insufficienti a scegliere i membri della commissione esaminatrice. Anche questo personale burocratico ( n o n è altro) è sottratto dalla disciplina della rappresentanza municipale, anche questo personale non può essere licenziato dal comune ma dal prefetto; insomma u n laboratorio municipale d'igiene non è un organo del municipio ma un'istituzione a sé. Anche i limiti della retribuzione degli impiegati dei laboratori è fissata dal regolamento, dove dice che le condizioni economiche non devono essere in nessun caso e p e r nessuna ragione inferiori al trattamento degli impiegati comunali. Irnpiegati comunali si intende quelli di segreteria. Ora può essere clie tale disposizione riesca ingrata o onerosa; e intanto determina u n obbligo e u n onere che non può essere stabilito per regolamento. Credo opportuno accennare infine a una grave disposizione dell'art. 7' per la quale i l prefetto contro l'opposizione o i l rifiuto d i tutti i comuni a costituire u n consorzio per i servizi sanitari, può costringerli con u n semplice decreto, stabilendone anche il regolamento, e sostituendo addirittura nelle loro mansioni tutti i consigli interessati. Tutto ciò h a i l carattere d i violenza. Contrario alla legge che all'art. 1 dice: « I comuni possono unirsi i n consorzio, tranne p e r quel che riguarda l'art. 15 della legge 27 dicembre 1888 circa i medici condotti ». È da notarsi che i l caso d i rifiuto d i tutti i comuni è così grave che non può risolversi con una invasione del potere politico; anche quando si tratta di importanti interessi della collettività. > Questi rilievi principali, e ce ne sarebbero molti altri, 110 creduto opportuno sottomettere alla discussione del congresso, perché l'opinione pubblica, rimasta inerte, insorga contro una continua violazione dei legittimi diritti comunali ; ed ho creduto opportuno riassumerli nel seguente voto : « I1 congresso, constatato che il regolamento generale sanitario del 19-7-1906 contiene disposizioni restrittive sulle libertà comunali, oltre a quelle sancite per legge, e tali che prevalentemente sono d i carattere legislativo, delibera:

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- di domandare al governo la sollecita revisione del regolamento generale sanitario, perché vengano tolte le disposizioni incostituzionali che esso contiene; - fa voti che l a legislazione sanitaria sia migliorata e che si tolgano le disposizioni lesive dei diritti dei comuni, la cui funzione non può essere ristretta ai soli doveri del pagamento degli oneri, ma dev'essere una collaborazione larga e d efficace al continuo miglioramento d i uno dei principali servizi pubblici; - protesta contro l a tendenza a formare del personale sanitario una nuova burocrazia di stato D.

LA NECESSITÀ ' D I UNA CLASSIFICA D E I COMUNI ANCHE COME PREGIUDIZIALE A UNA RIFORMA TRIBUTARIA (*)

I. Discutendosi il bilancio degli interni, nello scorso marzo, l'on. Giolitti ebbe a dichiarare alla camera dei deputati che, p e r quanto il governo riconosca l'utilità d i una classifica dei comuni, le difficoltà sono tali da distoglierlo dall'affrontare la soluzione dell'intricato problema. La conseguenza nichilista, alla quale venne i l presidente del consiglio dei ministri, non può essere accolta da coloro che studiano con serenità il problema comunale, é p i Ù ancora da coloro che lo vivono nel continuo lavoro di amministratori e sentono tutta la necessità e l'utgenza di una soluzione pratica ed efficace, sia nel campo amministrativoiche in quello finanziario. Certamente, molte e di varia natura sono le difficoltà che si devono superare i n u n lavoro di classifica dei comuni, e non si potranno mai eliminare tutti gli inconvenienti che deriveranno da una simile legge; non potendosi mai raccogliere e specificare in categorie, che rappresentano p e r sé delle astrazioni giuri(*) Relazione al VI1 congresso nazionale dell'Associazione dei comiini italiani, tenutosi a Venezia il 26, 27 e 28 aprile 1908.


diche, tutti aspetti di enti concreti quali sono i comuni. Occorre perciò trovare quella somma di elementi reali e non fittizi, inte. grali e non unilaterali, e per di più rispondenti al fine della classifica, da costituire una solida base specifica. All'uopo sono necessari quegli studi seri e sereni del problema che forse mancano a non poche leggi su materie d'indole locale, spesso fatte sotto la pressante visione di u n solo lato dell'argomento e con la perenne diffidenza verso liberi regimi comunali. Però, non ostante una sufficiente preparazione legislativa, si noteranno sempre delle manclievolezze i n una legge di classifica dei comuni, come in ogni legge che regola i fatti concreti degli enti locali; onde è necessario vedere se la somma dei vantaggi, che si prevedono dover derivare da una simile legge, sia maggiore della somma degli inconvenienti a cui si andrà incontro, per adottare una decisione pratica, rispondente all'importanza di u n problema, che non può, come crede l'on. Giolitti, rimanere insoluto. I1 consiglio direttivo della nostra Associazione nel proporre al congresso la discussione di questo tema ha voluto richiamare l'attenzione dei comuni d'Italia e di quanti s'interessano dei problemi della vita comunale, e dare luogo a una discussione che porrà in vista tanto la necessiti della classifica, quanto l e difficoltà da superare. Onde la mia relazione non è una esposizione concreta di idee discusse, ma un semplice contributo all'esame della questione, che nelle affermazioni concrete contiene, i n gran parte, vedute e criteri personali dai quali si può dissentire p u r concordando nella necessità di una classifica dei comuni anche come pregiudiziale alla riforma tributaria. Le leggi rispondono al loro scopo se riescono ad esprimere uno stato d'animo collettivo; esse completano, regolano, sanzionano quello che la vita crea, determina, evolve. E la legge stessa ha una vita di svolgimento, alla quale non può sfuggire senza cadere nell'anacronismo e nella fossilizzazione; perchè anche la legge scritta e sanzionata si deve svolgere insieme a i bisogni della collettività, che crea opportuni istituti, che perfeziona e modifica i propri presidi, che sviluppa nuove energie. Viene, pertanto, ovvia la domanda; è maturo il problema di una classifica dei c o m ~ n i , . d aesigere che una legge lo risolva


in una riforma giuridica? Risponde a una necessità, non solo obiettiva, ma psicologica, sì da affrontare le difficoltà? Vi è tale sviluppo negli elementi del problema da ritenere l'intervento legislativo una soluzione ? Dopo che la rivoluzione livellatrice di ogni classe e di ogni privilegio ruppe le antiche barriere e infranse i vecchi orga'nismi, e sulla eguaglianza sorse lo, stato moderno, era forse necessario che questo si consolidasse nelle nuove forme di accentramento per raggiungere i suoi fini storici. Però 'rnon poteva far ciò che con sacrificio della vitali&, a cui rispondevano gli organismi assorbiti o attenuati, diminuendo perciò la potenzialità di soddisfacimento dei bisogni peculiari, pel fatto stesso che se ne ampliava la estensione ; e costretto a creare un'organizzazione di stato che chiamiamo burocrazia, perché nel complesso funzionamento dello stato, alla responsabilità e libertà del cittadino si è dovuta sostituire la formula, la routine e la irresponsabilità del funzionario. I1 ciclo della formula individualista del cittadino e centralista dello stato può dirsi ormai compiuto; e come i l disagio economico e l'evoluzione sociale van creando aggruppamenti di interessi e di classi che tendono, necessariamente, ad u n riconoscimento giuridico, dopo che il fluttuante moto di composizione si fermerà in una forma stabile e naturale; così il sempre crescente squilibrio fra lo stato amministrativo e finanziario degli enti locali e la urgenza di soddisfare a un sempre crescente complesso di bisogni della collettività, determina una forte crisi d i carattere organico, e una vaga tendenza di raggruppamenti e di organizzazione; la quale, fra le molte incertezze naturali in ogni movimento psicologico-collettivo, 'si afferma nel primo stadio del riconoscimento di una necessità sentita. E per quanto il comune non abbia mai perduto, per naturale sua congenita forza, il carattere di organismo, pure le leggi ~arificatriciburocratizzanti il comune, ridotto a pupillo, hanno forzato la natura del comune; la sua forza organica e la sua libertà è stata la prima aspirazione sintetica, rappresentativa di tutti i problemi comunali, in cui tutte le opinioni e l e fedi politiche si sono trovate d'accordo. Specificando questo programma e analizzando questa neces-

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sità, per scendere al concreto della sua portata, fuori e oltre i problemi fondamentali e i diritti inalienabili di u n comune pari ad un altro, come in ogni uomo, si è parata avanti una difficoltà sia pratica, sia amministrativa di parificare i comuni di fronte a leggi specifiche. La quale diffico1t.à si risolve i n u n problema, che si può annunziare in questo modo: sono simili fra di loro tutti gli organismi comunali, o non si differenziano nella loro struttura e nei portati pratici della loro funzione? E se si differenziano, è possibile coglierne le differenze specifiche per u n pratico raggruppamento? Così i l problema della riorganizzazione autonoma dei comuni si risolve preliminarmente nel problema di classifica. Tale problema è sentito da tutti, perché derivante dalla natura stessa e dalla funzione -dei comuni: si proietta in molta parte della vita collettiva, anche fuori dell'ambito comunale; e come più vivo si è affermato oggi il problema principale della organizzazione autonoma municipale e si tende a d una larga riforma legislativa, così il problema della classifica dei comuni può dirsi entrato nella fase della discussione pratica e della preparazione vissuta. L'organismo del comune non è uno, tipico, assoluto ; è invece concreto, multiforme, relativo al suo sviluppo, alle crescenti esigenze dei cittadini, al moltiplicarsi delle funzioni col moltiplicarsi dei bisogni. Nessuno disconosce quanta diversità d i funzioni vi sia fra una grande c i t t i e u n piccolo comune rurale; e come, in tutti i rami della attività municipale, u n cumulo d i caratteri specificlii e diversifichi l'azione d i questi due enti; e non è possibile, se non per una deleteria funzione legale, parificarli amministrativamente e finanziarmente, supponendo identiche le condizioni morali ed economiche dell'uno e dell'altro comune. rlnzitutto, u n elemento storico di. grandissimo valore eleva moralmente su tutte le città italiane quelle gloriose che u n tempo ebbero funzioni e caratteri politici, accumularono tesori di sapienza e d'arte e che oggi, anche nel nuovo stato civile del regno unificato, devono irradiare in tutta la nazione la loro azione morale, della quale i municipi sono i più legittimi e i più gloriosi depositari. E per quanto quésta considerazione


possa sembrare di un valore sentimentale, pure risponde, secondo me, alla coscienza nazionale: alla quale ripugna vedere Roma o Venezia o Firenze soggette a u n qualsiasi funzionario d i prefettura, aver riveduti i propri atti e. dover chiedere quasi l a legalizzazione della propria missione. Ma se l'elemento storico e l'elemento d i cultura possono determinare un campo specifico a poche città, p e r cui i loro municipi, rappresentandone legittimamente l e tradizioni, devono secondarne lo svolgimento, presidiarne l e forze e sono l'esponente di una vita che sfugge alle semplici consiclerazioni burocratiche e alla fissità amministrativa, e che si solleva a compiti speciali che non possono essere assorbiti dallo stato e per i quali devono pure avere i mezzi sufficienti; accanto a tali elementi vi sono quelli più complessi, più estesi e più caratteristici per la vita dei grandi comuni densi d i popolazione. Centri di commerci e d i industrie, di movimento di capitali e d i collegamenti d i interessi, d i agitazioni politiche e d i iniziative amministrative; ove l'istn~zione è più svolta, il controllo della stampa perenne; ove si aggruppano e si riportano molti interessi dei comuni dei dintorni, la vita è più celere, le comunicazioni sono più rapide, gli scambi divengono vertiginosi, i nuovi ritrovati della scienza applicati all'industria incalzano; le miserie a cui' soccorrere sono maggiori, come sono maggiori i bisogni collettivi, centuplicati dalla coesistenza simultanea d i forze che si svolgono e cozzano e si trasformano; le grandi popolose città hanno una funzione amministrativa e organica così complessa, da non potere essere regolate con le identiche norme e con la medesima finanza e con lo stesso controllo con cui vanno regolati i piccoli comuni ove l a vita collettiva è limitata a poche esigenze elementari, ove è scarso u n controllo efficace nella pubblica opinione, e mancano spesso i mezzi adatti a uno svolgimento congmo della vita amministrativa. Questa classifica è così fondamentale e così sentita, che la legge vigente deve fare degli enormi adattamenti p e r regressi, nel contrasto della parola scritta col fatto vissuto. La difficoltà di classificare i comuni medi, che sono molti, e che rappresentano i due quinti della popolazione del regno, dipende dal coordinare i diversi elementi che influiscono nella


vita d i u n paese e che creano i l carattere specifico, che avvicina o verso la grande città o verso i l piccolo comune rurale. I1 concetto fondamentale è quello che le funzioni d i u n comune devono corrispondere alla complessità della sua vita e alle esigenze della collettività locale; a cui devono corrispondere i mezzi finanziarib e i presidi amministrativi; donde sorge la necessità obiettiva, che oggi è anche divenuta una necessità psicologica collettiva, della classifica dei comuni, che si basa nelle sue più larghe linee nei comuni grandi, medi e piccoli, non p e r semplice fatto numerico di popolazione, ma per lo specifico carattere della loro vita.

11. Quantunque sia implicita negli argomenti da me toccati, è opportuno insistere u n poco sulla seconda parte del tema, cioè che la classifica dei comuni è necessaria, anche come pregiudiziale alla riforma tributaria. La urgenza della riforma dei tributi locali è pari alla necessità, che nessuno può disconoscere, incalzando ogni giorno i problemi della finanza locale con u n rapido crescendo. E tanto più è imposta dai fatti una vera riforma radicale, escludendo qualsiasi rimaneggiamento del vecchio bagaglio tributario locale, quanto più è profonda la crisi e difficile la soluzione. L'argomento spaventa i legislatori, i diversi tentativi sono venuti meno prima d i affrontare i l fuoco della discussione; e dopo iI progetto Maiorana, è stato preannunziato u n progetto dell'attuale ministro Lacava, che pare, se non erro, abbia accennato a una classifica dei comuni .prima che Giolitti facesse le note dichiarazioni alla camera. È generale i l convincimento, basato sulla esperienza del fatto, in materia d i legislazione locale, che una legge d i indole generale mal si adatti alle condizioni specifiche e diverse d i città o regioni; perché non vi è legge che, col volere reggimentare, regolarizzare, coordinare il fatto locale con uniforme sistema p e r tutti i casi, non crei u n cumulo d'inconvenienti e d i sperequazioni i n un'apparente uniformità formale. Che se ciò avviene spesso in u n campo d i carattere amministrativo e morale, cosa bisogna dire quando si tratti di materia tributaria e finanziaria, ove lo spostamento di interessi legittimi, che crea una reale sperequazione o a-danno dei comuni o a danno dei citta-


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dini, è più immediatamente e più intensamente sentita? Che, per quanto si voglia supporre che i progetti d i legge siano elaborati dopo lungo studio del problema nella forma poliedrica i n cui si presenta, e che il legislatore i n materia così delicata cerchi d i prevedere e di eliminare le difficoltà che vengono dalla grande differenza d i interessi rappresentati dai diversi comuni, non con accomodamenti legislativi o regolamentari, come si usa, ma con u n provvedimento efficace e intrinsecamente evolutivo. Sorge, così, dalla natura stessa del probJema finanziario locale, la necessità di una classifica dei comuni, sotto lo specifico punto d i vista delle condizioni della popolazione dei singoli comuni e delle singole regioni. I n una forma rudimentale, parziale e illogica, esiste una classifica, o meglio una distinzione; la quale, specialmente agli effetti finanziari, non è reale, o è, p e r lo meno, semplicistica, non essendo basata sulle vere e complesse condizioni economiche. La supposizione, p e r esempio, che u n piccolo comune abbia ricchezza media inferiore a u n comune più grande, che la circolazione del denaro sia inferiore e quindi abbia meno valore rappresentativo, può avere u n valore di realtà se si mettono i n paragone due comuni rurali d i diversa grandezza; non mai se si paragonano u n comune rurale con uno industriale. Così, il limite delle imposte di carattere personale stabilito sul numero degli abitanti d i u n comune crea una sperequazione; che diviene sensibilissima, se, come capita nelle regioni ove l'industria è prevalente, nei piccoli comuni disseminati attorno alle grandi città industriali sorgono i grandi opifici capitalistici, a cui vantaggio cede il limite massimo imposto dalla legge al comune classificato sul semplice criterio della popolazione. E come poter fare u n paragone sui caratteri finanziari di u n grosso comune industriale dell'alta Italia e u n grosso comune agricolo del mezzogiorno, ove per lo più sono delle vere agglomerazioni urbane della classe agricola, che non abita sui latifondi deserti e nelle campagne distanti dalle città tre o quattro ore di cammino? Come molti compiti diversi ha u n comune industriale e deve soddisfare a u n cumulo d i bisogni creati dallo svolgersi rapido e vertiginoso dell'industria e dei com-


nierci, così baserà la sua finanza su cespiti diversi da quelli del comune agricolo. P e r accennare a una sperequazione tipica: nel mezzogiorno, l'agglomerazione urbana dei contadini fa gravare i l peso della imposta erariale e quindi delle sovrimposte locali sulle abitazioni degli agricoltori, vere case rurali e coloniche ; mentre nei centri industriali, ove la popolazione agricola è sparsa per le campagne; si può facilmente e più opportunnmente ricorrere all'inasprimento di questa imposta, che risponde all'incremento del valore dei fabbricati urbani. Però, la colleganza della sovrimposta dei fabbricati con quella dei terreni fa sì che un comune rurale del mezzogiorno, ove i terreni sono in aumento d i valore e sono u n cespite fondamentale e naturale p e r i l crescente incremento agricolo, se vuole aumentare il contributo del proprietario terriero, deve colpire anche il pro. prietario urbano, che nella gran maggioranza rappresenta la casa di abitazione del contadino. Nei centri industriali avviene il contrario: le sperequazioni divengono così sensibili, anzi, insopportabili. La legge sul mezzogiorno ha voluto troncare la testa al toro impedendo d i sovrimporre oltre la media quinquennale e promettendo ai contadini l'esenzione dall'imposta fondiaria urbana. Questa promessa è stata concretizzata i n un irrisorio progetto, che potrà beneficare qualche centinaio non d i contadini, ma d i miserabili: ma la disposizione generale di non poter sovrimporre ha colpito eguaImente il comune che ha sovrimposto 51 centesimi, come quello che è arrivato a 90 centesimi; quello che h a un vasto territorio, come quello che ne ha uno piccolo, quello che ha esaurito tutte l e risorse tributarie, come quello che non ne ha sperimentato che poche, creando una irrazionalità di stato di fatto, p e r avere generalizzato delle disposizioni legali, parificando i comuni, come faceva Procuste coi passeggeri. Continuo nel florilegio: la legge sul dazio d i consumo vieta ai comuni d i introdurre nuove voci o di inasprire le tariffe delle voci esistenti, se non vi corrisponda la identica diminuzione sui generi d i prima necessità; la disposizione h a tutta la parvenza d i voler garantire i cittadini contro nuovi aggravi locali: tale disposizione legislativa rimonta' se mal non ricordo, al 1892. Quanti comuni si siano sviluppati e trasformati d'allora a


oggi, aumentando le esigenze colletive alle quali si deve soddisfare, p e r u n sempre crescente sviluppo e incremento cittadino, non si può precisare, ma sono in gran numero. E certo tali comuni nel 1892 non avevano tassato alcuni generi trasformabili dall'industria, pel fatto che mancava l a industria stessa, alla quale il comune deve p u r dare molte agevolazioni, moltiplicando i mezzi di comunicazione interna, creando nuove vie interurbane e rurali, accelerando gli scambi, estendendo la pubblica illuminazione e simili; e invece d i f a r contribuire l'industria, dovrà ricorrere, per esempio, alla tassa di famiglia, che colpisce tanto l'industriale che l'agricoltore, o alla tassa bestiame, di semplice carattere agrario, o all'aumento d i sovrimposta che colpisce la proprietà fondiaria. Così, la disposizione del 1892 sul dazio d i consumo d à forse u n utile risultato nel comune agricolo, ma sperequa gli interessi d i u n comune industriale. Su questo tenore potrei continuare per u n pezzo, rilevando a ogni pie' sospinto l e difficoltà che crea una legge sui tributi locali identica p e r tutti i comuni; ma lo credo inutile, perché ogni persona, u n po' pratica d i amministrazione, le rileva da sé. È impossibile una sana e d efficace riforma dei tributi locali che non si basi sopra una razionale classifica dei comuni i n rapporto alle loro condizioni economiche attuali, e che consenta allo svolgimento tributario una sufficiente elasticità e una relativa libertà. Questa affermazione è in. perfetta antitesi con l'attuale sistema di uniformità e d i fissità assoluta; e ad alcuni può sembrare audace, temendo che possa nascondere in sé delle dannose sorprese. Però, a parte lo studio dei presidi necessari perché u n organismo finanziario tributario regga bene, a parte la forza d i controllo pubblico che, i n materia di interessi, è efficace e potente, i l criterio esposto h a l a sua forza nel modo di considerare l'ente locale formato sulle basi dell'autonomia, che è necessariamente autonomia di finanza, distinta e separata da quella dello stato e da u n continuo intervento statale che toglie e d à a i comuni, alterando e modificando gli elementi finanziari, o servendosi dei comuni a scopi finanziari di stato, come è l'abbonamento del dazio di consumo governativo. La classifica dei


comuni, sotto i l punto di vista finanziario, è perciò fondamentale per la libertà stessa del comune. Da questo rapido esame, derivano le seguenti affermazioni: a) che è necessaria una classifica dei comuni nel campo amministrativo, e che essa deve differenziare i comuni grandi, dai medi e dai piccoli, in rapporto ai diversi elementi che costituiscono il carattere e le funzioni de'i comuni; b) che la classifica dei comuni s'impone come pregiudiziale a una seria riforma tributaria; e che tale classifica si .deve basare sugli elementi economici specifici e prevalenti dei comuni, in un largo campo di attività e di sviluppo; C) che quindi le due classifiche non possono avere elementi identici, ma partono da diversi criteri ed hanno differente portata. Per completare la presente relazione, credo opportuno aggiungere un esempio di classifica, tanto per tentare un argomento difficile, dando a ciò un semplice valore deduttivo ed esplicativo dei criteri suesposti. Amministrativamente, la classifica dovrebbe avere come scopo precipuo quello di allargare il campo delle competenze amministrative e diminuire quello delle ingerenze governative: sì che il comune esca gradatamente daIie condizioni di pupiiio per divenire libero dei suoi. atti, compire coscientemente tutte le funzioni che gli spettano in rapporto alle esigenze della vita municipale e ai bisogni della collettività. Quindi, elementi integranti della classifica sono il complesso degli interessi rappresentato dal numero di popolazione e dalla forza finanziaria dei relativi bilanci comunali; il livello di cultura, d i cui sono indice gli istituti di istruzione, la percentuale dell'analfabetismo, che differenzia il centro urbano da quello rurale, la maggiore possibilità di controllo pubblico e la maggiore intensificazione di vita politica, di cui è esponente la stampa, e ne sono un indice gli uffici pubblici che hanno sede in un comune e che rappresentano anche un raggio di influenza di ogni genere sui comuni circostanti, e perciò una prevalenza e una influenza notevole nella formazione della pubblica coscienza e del maggiore senso della responsabilità.


Così potrebbe aversi questo tentativo di classifica:

I classe. Grandi comuni superiori a u n Certo numero di abitanti o sedi principali di regioni, o sedi di istituti superiori di istruzione. I1 classe. I capoluoghi d i provincia non compresi nella precedente classe, i comuni sedi di uffici superiori governativi, di istruzione secondaria, licei e istituti tecnici, qualunque ne sia la popolazione; o che abbiano una determinata popolazione e una percentuale minima di analfabeti.

111 classe. I capoluoghi di circondari non compresi nelle precedenti classi e l e città che abbiano altri istituti d i istruzione superiore alla elementare qualunque ne sia la popolazione; oppure una determinata popolazione e una determinata percentuale di analfabeti. ZV classe. Tutti gli altri comuni. Finanziariamente, la classifica non sarebbe esclusiva, sì da potere un comune per diverse cause appartenere a diverse classi. Gli elementi van dati dalle condizioni economiche locali e dal criterio della riforma tributaria, dovendo la riforma e la classifica compenetrarsi e completarsi. che, in qualsiasi progetto di riPerò nessuno di~conoscer~à forma tributaria, si dovrebbero tenere presenti le seguenti note classificative : a) piccolo comune rurale, b) grosso comune rurale o agglomerazione rurale, C) comune urbano con prevalenza rurale, d) comune urbano con prevalenza industriale, e) grande comune industriale e commerciale. Ripeto che questa classifica è semplicemente esemplificativa dei criteri della relazione, e quindi esce fuori da qualsiasi discussione e da qualsiasi critica. Un'obiezione si sarà affacciata alla mente di molti contro una cpalsiasi classifica amministrativa ; cioè che tale classifica tende o almeno avrà per effetto d i lasciare il piccolo comune in balia


della politica governativa, sotto la pressione della vigilanza e della tutela politica, e creerebbe cosi quella divisione dei comuni che invece l'Associazione tende a unire contro la invasione della burocrazia statale; la difficoltà sarebbe forte, se non le stesse di contro tutta l'azione, l'opera e la finalità dell'Associazione stessa, che tende a far penetrare nella vita e nella coscienza del paese, come nella legislazione, il principio del sacro diritto delle libertà comunali. Questo principio non può nè deve essere compromesso dalla portata della classifica; la quale, invece, contribuisce ad agevolare le conquiste dell'autonomia comunale, rendendola meno difficile; altrimenti, pel fatto stesso di volere a u n tratto l'intiera autonomia, dovrebbe essere respinto dal congresso il progetto del consiglio superio,re dei comuni, che involge certi adattamenti necessari coll'attuale ingerenza governativa, e si renderebbe anche vana tutta l'opera nostra. Inoltre, nessuno disconverrà che' se è necessaria la 1iberx.à a i comuni, questa, dopo uno stato di depressione e di irresponsabilità, deve essere gradualmente conquistata in rapporto alla maggior suflicienza di amministrare liberamente e alla maggiore efficacia del pubblico controllo. Da ciò la grande utilità di una classifica ; e come nessuno ha mai trovato illogico che u n comune piccolo abbia venti consiglieri e che uno grande ne abbia ottanta, cosi nessuno potrà protestare se; per esempio, alla giunta d i u n comune che amministra 20 mila lire all'anno sia consentito di deliberare le spese a calcolo entro lire 500, mentre alla giunta di u n comuke che amministra 20 o 10 milioni sia aumentata la cifra di sua competenza. P e r quanto poi riguarda la portata dell'ingerenza amministrativa delle prefetture, occorrerà far notare che la vigilanza di uffici tecnici, quali quello del genio civile o del consiglio di prefettura, sarà superflua per i comuni dove esiste u n ufficio tecnico o un ufficio del contenzioso e contratti, non così per i piccoli comuni che non hanno tali ufficij i quali, a parte qualsiasi criterio amministrativo, sono di vera garanzia agli interessi del municipio. Ho voluto notare queste differenze evidenti che portano a una diversa concezione del problema di classifica; ma nessuno dedurrà che non si dehba escludere anche pel piccolo comune quella ingerenza politi-


ca che ferisce le più sacre libertà comunali ; e la classifica perciò non deve certo essere fatta per sanzionare uno stato di oppressione politica, contro la quale tutti i comuni debbono lottare. Come semplice affermazione di massima, che sorga dalla presente relazione la quale vuole rimanere u n semplice contributo a l grave problema, propongo il seguente ordine del giorno: I1 VI1 congresso della Associazione dei comuni italiani: « I) afferma l a necessità d i una classifica dei comuni sia dal (C punto cli vista amministrativo che finanziario; (( 11) riconosce che riuscirebbe difettosa e inefficace e turbe« rebbe molti interessi una riforma dei tributi locali che non « avesse come base una classifica dei comuni rispondente alle « loro reali condizioni economiche; « 111) fa voti che il governo affronti con larghezza di criteri « il problema della classifica dei comuni, secondandone le legit(C time aspirazioni nel riconoscere i diritti dell'autonomia co« munale n. Venezia, 25 aprile 1908.

LA CLASSIFICA DEI COMUNI (*)

I. Al congresso nazionale dell'Associazione dei comuni italiani tenuto a Venezia lo scorso anno, presentai una relazione sulla necessità di una classifica dei comuni, anche come pregiudiziale a una riforma tributaria. L'importanza dell'argomento e la ristrettezza del tempo consigliarono il rinvio della discussione a Genova. Ma perché l'anno d i ritardo non trascorresse infruttoso, mentre al maturar dei problemi collettivi così agitata e veloce incalza la vita, e oltre all'affermazione di alcune conseguenze di inclole generale, si aprisse il campo a pratiche discussioni che (*) Relazione all'VIII congresso dell'Associazione dei com~ini italiani, tenutosi a Genova nel maggio del 1909.


meglio rilevano l o stato del pensiero di m o l t i ; il consiglio dirett i v o h a creduto opportuno c h e nel congresso d i Genova si entrasse nel merito del t e m a , discutendo i criteri pratici di u n a classifica rispondente alle attuali condizioni dei comuni. Dimostrando così che nella condizione generale del pensiero moderno può dirsi risoluta i n senso favorevole la pregiudiziale della necessità della classifica, che fin dal 1867 nei lavori della commissione parlamentare per la riforma della legge comunale e provinciale apparve matura, e che molte volte si tentò d i introdurre nella legislazione italiana con disegni d i legge che sfortunamente si arenarono nelle sirti della preparazione parlamentare. Nella relazione presentata al congresso d i Venezia venivo alle seguenti affermazioni : « a ) c h e è necessaria una classifica d e i comuni nel campo

amministrativo, e che essa deve diferenziare i comuni grandi dai m e d i e d a i piccoli in rapporto ai diversi e l e m e d i c h e costituiscono il carattere e le funzioni d e i c o m u n i ; b ) che la classifica dei comuni s ' i m p o m come pregiudiziale a una seria riforma tributaria; e che tale classifica si deve basare sugli elementi economici specifici e prevalenti dei comuni, in u n largo campo d i attività e d i sviluppo; c j c h e quindi l e d u e classifiche n o n possono avere elenlenti identici, m a partono da diversi criteri ed hanno diflerente portata ».

E da queste affermazioni facevo scaturire l'ordine del giorno che proposi al congresso nei seguenti termini : « I l congresso ecc.

I . afferma la necessità d i una classifica d e i comuni sia dal « punto d i vista amministrativo che finanziario; « I l . riconosce che riuscerebbe difettosa e: inefficace e turbe-

« rebbe molti interessi una riforma dei tributi locali che n o n « avesse come base u n a classifica dei comuni rispondente alle loro reali condizioni economiche ; N ZII. fa voti c h e il governo affronti con larghezza cli criteri « i l problema della classifica d e i comuni, secondandone l e legit-


time aspirazioni nel riconoscere i diritti dell'outonomia co« munale D. Queste affermazioni e questo voto, che rispondono anche oggi allo stato della questione, mi danno i l punto d i partenza p e r una seconda relazione, che nell'esame dei criteri pratici, su cui la classifica dei comuni deve essere basata, include anche (cosa non facile) un vero tentativo di classifica. P e r riuscire, poi, semplice e quindi per rendere più specifica la discussione, escludo dalla presente relazione quanto riguarda l a classifica dei comuni in armonia e agli effetti di una riforma tributaria; anche perché tale classifica è così intrinsecamente connessa con la stessa riforma tributaria, da non poterne stabilire gli elementi completi e concreti se non si precisano i criteri della riforma della finanza locale. Del resto la classifica generale di ordine amministrativo e costituzionale è come base e fondamento alla quale si riferiscono, con gli elementi specifici, tutte le leggi d i carattere speciale, e in particolar modo le leggi finanziarie e tributarie. Infine, perchè lo studio abbia u n punto pratico d i riferimento, i n modo che il pensiero divenga più concreto e più chiaro attraverso le linee di elementi prestabiliti i n mancanza d i u n disegno di legge posto oggi sul tappeto della discusione parlamentare, mi riferirò ad uno dei tentativi meno amorfi, al progetto Di Rudinì presentato nel 1897, che h a criteri non disprezzabili e fornisce utili insegnamenti per una discussione pratica. fattore di una classifica dei co11. I1 primo e il muni è dato dal numero degli abitanti. Esso è il più semplice e il più evidente, e quindi su di esso sono fondate le diverse disposizioni legislative i n vigore, come quasi tutti i progetti di classifica presentati al parlamento. Però, siccome l a popolazione è u n dato estrinseco e rappresentativo, perchè non si cada nell'arbitrario occorre segnare quel che intrinsecamente vi dà valore e costituisce la differenziazione dei diversi numeri. Nella relazione dello scorso anno così sintetizzavo gli elementi veri e reali d i una classifica dei comuni: « Amministrativamente lo classifica dovrebbe avere come sco-


po precipuo quello d i allargare i l campo delle competenze amministrative e diminuire quello delle ingerenze governative ; si che i l comune esca grudatamente dalle condizioni di pupillo per divenire libero dei suoi atti, compire coscientemente tutte le funzioni che' gli spettano in rapporto alle esigenze della vita municipale e a i bisogni della collettività. Quindi elementi integranti della classifica sono il complesso degli interessi rappresentato dal numero d i popolazione e dalla forza finanziaria dei relativi bilanci comunali; il livello d i cultura, d i cui sono indice gli istituti d i istruzione, la percentuale dell'analfabetismo, che differenzia il centro urbano d a quello rurale', la maggiore possibilità d i controllo pubblico e la maggiore intensificazione d i vita politica, d i cui è esponente la stampa e ne sono un indice gli uffici pubblici che hanno sede i n un comune e che rappresentano anche un raggio d i influenza d i ogni genere sui comuni circostanti, e perciò una prevalenza e un'influenza notevole nella formazione della pubblica coscienza a del nraggiore senso della responsabilità D. È evidente che la somma di questi elementi si trova nei co-

muni che hanno una popolazione numerosa, e che sono insieme centri di pensiero e di vita nelle diverse e molteplici attività sociali; e che van man mano (attenuandosi e digradando, come va diminuendo il numero degli abitanti, che forma il complesso di forze, di interessi, di scambi, di attriti necessari all'evolversi e al progredire di una città. E non v'ha dubbio che la vita comunale, nel movimento veloce della civiltà presente, ne è uno dei fattori più vitali e uno degli organi più espressivi; per cui il comune ha funzioni più complesse, secondo che più complessa è la vita creatavi attorno al numero sempre crescente di abitanti e allo sviluppo notevole di tutte le forme delle attività cittadine. È conseguenza logica, adunque, che nello stabilire la popolazione come base di una classifica dei comuni non si può dare al numero degli abitanti un valore assoluto, automatico. per sè stante; creando una vera e propria classe numerica, come potrebbe dirsi che siano attualmente le disposizioni della legge comunale e provinciale rispetto al numero dei consiglieri comunali e delle leggi speciali dei tributi locali, ove sono regolati la

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misura e i limiti delle facoltà tributarie. Ma, invece, vi si dà u n valore rappresentativo e relativo, come espressione d i altri fattori; e quindi viene circondato di elementi che ne correggono la portata, sì da avvicinarla alla realtà delle cose espresse e contenute. L'on. Di Rudinì non tenne conto nel suo progetto dell'elemento della popolazione e quindi divise i comuni in due classi: nella prima pose i capoluoghi di provincia e di circondario ; gli altri nella seconda. Però, seguendo il concetto dei fattori derivanti dalla natura del comune, portò una distinzione fondamentale fra comuni a popolazione riunita e comuni rurali a popolazione sparsa, tentando d i (C costituire, i n alcune determinate condizioni, dei comuni agricoli speciali, ai quali la legge chiede il minimo degli obblighi che la civiltà attuale consente, accordando loro, in pari tempo, le facilitazioni nei pubblici pesi, che il principio della eguaglianza tributaria può consentire n ; una specie di CC colonie agricole interne » ( relazione ministeriale). Inoltre, introdusse una disposizione, che la commissione centrale del senato propose d i abolire, ma che racchiudeva u n sano principio dinamico, benchè la dizione fosse abbastanza infelice; cioè che- il governo avesse facoltà d i passare con decreto reale dalla seconda alla prima classe quei comuni composti in prevalenza d i elemento civile, in cui i servizi e le finanze risultano regolarmente tenuti e sistemati ( a r t . 1). E d è .opportuno tener conto di tale disposizione o di una simile, per togliere alle classi la rigida fissità di ordini prestabiliti, e dare il mezzo a più rapidi sviluppi. Un altro elemento degno di nota e rispondente allo sviluppo della vita comunale, contemplò in modo speciale i l ministro proponente, cioè il consorzio intercomunale, a cui attribuiva la figura di ente morale, non solo per i servizi obbligatori, ma anche se liberamente costituiti <( per provvedere insieme a pubblici servizi n. La commissione del senato applicò. a tali. consorzi la classifica stabilita p e r i comuni. Il difetto principale deI progetto Di Rudinì è nella divisione dei comuni in due classi fondamentali, il cui solo fattore è la


designazione politica, in parecchi casi arbitraria e inadatta, di capoluoghi, di circondari e di provincie; onde il senato cercò di migliorare e rendere più complessa la ragione di classe, introducendovi timidamente il fattore della popolazione e completandolo con un altro elemento anch'esso estrinseco, i l mandamento. P e r non cadere i n u n semplicismo esagerato, dal quale sfuggono gli elementi veri e reali di una classifica, e per evitare il difetto di u n condensamento di note specifiche, che rendono complicate e poco pratiche l e leggi che vogliono ridurre i fatti a un'astrazione metodica, è necessità seguire un sistema leggermente eclettico; e tenendo il fattore popolazione come base e fondamento di una razionale classifica dei comuni, occorre circondarlo di elementi integrativi e correttivi, che servano a ridurlo alla più sincera espressione della realtà. a) Seguendo questi concetti, anzitutto è necessità storica e snciale porre in una classe distinta i grandi comuni storici, le grandi sedi, ove pulsa impetuosamente la vita, che pervade l e nostre regioni, e che hanno in tutto il complesso dello sviluppo cittadino la forza e l'elemento perenne del rinnovarsi e progredire della vita comunale. Mantenere ancora Roma, .Napoli e le altre grandi città nelle identiche condizioni di u n capoluogo di circondario, come è nel progetto Di Rudinì, o pari alle città che hanno 8.000 abitanti anche sparsi nelle campagne, come nel progetto Nicotera; o anche pari alle città che hanno 4.000 abitanti agglomerati, come nel progetto della commissione parlamentare istituita dallo stesso Nicotera, non risponde ai sani criteri di una classifica oggettiva e realistica. " h) Così riesce più facile formare degli altri grandi comuni una classe seconda; e non sarebbe irragionevole se venisse fissata come base di classe una popolazione di 20.000 ovvero 25.000 abitanti, mettendo per elemento completivo la qualità di capoluogo di provincia o di circondario, quand'anclie il numero degli abitanti sia inferiore ai 20 o ai 25 mila.

C) La terza classe viene da sè; vi avranno posto i coniuni che ahhiano una popolazione agglomerata non inferiore a 4.000 o


a 5.000 abitanti, o che siano capoluoghi di collegi o di mandamenti. d) Infine, gli altri comuni apparterrebbero alla quarta classe. I n questa classe non si comprendono i comuni rurali a popolazione sparsa per la campagna, per i quali si dovrebbe mantenere il criterio del ministro Di Rudinì, creando nella nostra legislazione questo tipo di comune, che necessariamente h a una grande diversità nella vita collettiva, e quindi ,nella funzione comunale.

A questi elementi di classificazione è opportuno aggiungere un altro, da me indicato l'anno scorso, del quale, in certo modo, ho trovato traccia nella relazione parlamentare Merzario al progetto Nicotera, ove si parla del numero degli elettori come uno dei criteri di classifica. Io avevo accennato alla percentuale. degli analfabeti, come mezzo correttivo della classifica; questa dolorosa condizione di fatto è una caratteristica dei grandi comuni del mezzogiorno e delle isole; nei quali, per diverse cause storiche ed economiche, la popolazione rurale si è accentrata, pletora di abitanti, senza che si abbiano i mezzi per provvedere ai bisogni collettivi, e mancando di quelle speciali condizioni che possano mettere tali agglomerazioni rurali alla pari delle città di uguale o anche di minor numero d i cittadini. Ora, una percentuale minima di elettori, che è effetto precipuo dell'analfabetismo e segno di poca preparazione politica, può bene servire come correttivo alla classe precisata dal numero degli abitanti o dalla qualità d i capoluogo, in modo che una percentuale di elettori, sotto il limite prestabilito, dovrebbe far passare il comune dalla classe propria alla classe immediatamente inferiore. Si dà così una spinta maggiore ad aumentare il numero degli elettori e quindi.a combattere l'analfabetismo, e si crea attorno al comune u n raggio sempre più largo di interessamento e di controllo. Infine, non è da trascurare la disposizione rudiniana del passaggio dei comuni di una classe inferiore ad una classe siiperiore per decreto reale, se date circostanze di fatto vi concorrono, in modo da corrispondere al vero progresso della città ; come


pure, per ragioni sopra esposte, è da tener conto del consorzio intercomunale e includerlo nella classifica. Riassumendo si avrebbero i seguenti criteri fondamentaIi:

1) che l'elemento principale della classifica è dato dalla popolazione ; 2) che va fatta distinzione fra comune rurale a popolazione riunita e comune rurale a popolazione sparsa; 3) che l e grandi città storiche, che tuttora sono centri della vita nazionale, vanno messe in una classe diversa; 4) che la qualità di capoluogo delle circoscrizioni politiche è un elemento correttivo della popolazione; per cui u n comune passa dalla classe inferiore a quella immediatamente superiore; 5) che la percentuale degli elettori, se inferiore a un dato limite, è anch'esso un correttivo in senso inverso, e fa passare un comune dalla classe superiore a quella immediatamente inferiore ; 6) che deve risiedere nel governo, sentito un corpo consultivo indipendente, la faco1t.à di poter assegnare un comune ad una classe superiore alla propria, se risponde a certe condizioni che ne manifestino la regolarità, l'incremento e la potenzialità ad O una vita più libera e più evoluta ; 7) che i consorzi intercomunali, anche se liberamente stabiliti, seguano la classe rispondente al numero di popolazione rappresentata dai comuni consorziati e ne abbiano identiche condizioni di libertà.

111. La classifica dei comuni non è certo uno schema senzx contenuto, ha una finalità e una coesistenza intrinseca con l'ordinamento amministrativo e il naturale sviluppo di esso. E proprio nello stabilirne la portata e gli effetti, i diversi disegni di legge presentati al parlamento risentono della diffidenza che, in tutta la nostra legislazione e nel convincimento di molti, vi è nei confronti del comune; e quindi mentre si cerca di introdurre qualche disposizione liberale, se ne trova un'altra più restrittiva, se ne inceppa il cammino con nuovi pesi e nuove catene burocratiche. L'on. Di Rudini, seguendo il metodo della maggiore sempli-


cità, ridusse a due le disposizioni liberali, segnate agli articoli 2 e 5: « P e r i comuni della prima classe non saranno p i ù sotto« poste all'approvazione della giunta provinciale amministrativa « l e deliberazioni p e r le materie indicate negli articoli 166 e 167 della vigente legge comunale e provinciale, eccettuate quelle « che importano contrazioni di prestiti o spese che vincolano « i bilanci oltre cinque anni » (art. 2). I1 valore dei contratti e l'ammontare delle spese per opere, « lavori ed acquisti, di cui agli articoli 157 e 259 della legge co« munale e sono rispettivamente elevati a L. 3000 « p e r i comuni d i prima classe e a L. 1000 per i comuni di se« conda classe II ( a r t . 5). A queste disposizioni d i carattere liberale, ne aggiunse subito altre restrittive p e r i 'comuni d i seconda classe, sottoponendoli a maggiore tutela, attribuendo alla giunta provinciale amministrativa perfino l'esame d i deliberazioni di spese che vincolano i bilanci oltre tre anni e qualsiasi autorizzazione a lite e svin: colo di cauzione; dando facoltà, p e r i comuni di prima classe, al ricorso d i u n quinto di consiglieri alla giunta provinciale amministrativa con l'effetto d i sospendere per sessanta giorni la esecuzione della deliberazione, cosa che avrebbe ridotto u n comune alla mercè d i una minoranza turbolenta, danneggiandone anche seriamente gli interessi. E, infine, volendo togliere l'obbligo d i trasmettere al prefetto le deliberazioni in copia, propose la trasmissione dell'elenco degli oggetti trattati, segnando termini e formalità che non solo attenuano, ma distruggono gli effetti voluti. I1 referendum proposto dal Di Rudinì come semplice facoltà dei comuni, nei casi di nuove tasse o di spese oltre i l sessennio, perdeva i l suo valore amministrativo e -la sua efficacia d i controllo; del resto, è questo u n istituto che va trattato a parte. Noi che lottiamo p e r la libertà e le autonomie comunali, p u r rendendoci conto della mentalità dell'ambiente parlamentare a riguardo, non possiamo concepire una classifica dei comuni per cosi povero contenuto e per così timide ed incerte disposizioni; noi domandiamo che si affronti vigorosamente i l problema delle libertà corniinali, e si segua un criterio largo e pratico nell'analisi delle singole disposizioni legislative e regolamentari.


La classifica, anzitutto, deve essere riguardata come u n auviamento pratico e graduale verso più larghe e complete forme di libertà amministrativa, e questa concezione risponde a u n principio fondamentale di educazione collettiva, per cui, ad ogni elevazione, occorre una corrispondente preparazione. È doveroso riconoscere che, nella vita amministrativa dei comuni, vi sono troppe lacune e notevoli deficienze, alle quali fa d'uopo provvedere con elementi collettivi e integrativi. Tali elementi possono trovarsi, specialmente per i piccoli comuni, nel raggruppamento i n consorzio, onde provvedere agli uffici e agli elementi tecnici, per i lavori pubblici, l'igiene, la sanità, l'istruzione, la ispezione finanziaria e simili; ma è necessità che non manchi una elementare vigilanza governativa, che senza violare il prin. cipio d i libertà riesca di controllo e di aiuto. Fermo tenendo, come base, la identità della natura giuridica dei diversi comuni e la eguaglianza costituzionale dell'ente autoarca, è chiaro che, salendo attraverso l e classi, si vada semp r e più acquistando maggiore libertà; e questa graduale ascensione deve rispondere, da una parte, a una maggiore sufficienza d i mezzi morali e materiali, onde provvedere ai bisogni della cittadinanza, alla più viva efficacia del controllo che attenua quello governativo; e dall'altra parte, a maggiori oneri che vengono imposti non solo dalla più complessa vita cittadina, m a dal maggior contributo civico ( l o chiamo così) che u n comune deve dare alla nazione sia nel campo della cultura, che i n quello dell'arte, che nello sviluppo dei commerci interni, nonchè i n quelle funzioni statali demandate ai comuni per giusto criterio d i decentramento di poteri e di agibilità di funzioni.

Si suole ripetere che, con questi criteri, si fanno gli interessi dei grandi comuni e si lasciano i piccoli comuni alla mercè del potere centrale, che continuerà a loro danno il sistema dell'oppressione politica. Nella relazione presentata a Venezia così rispondevo alla obiezione : K La difficoltà sarebbe forte se non L e stesse di contro tutta l'azione: l'opera e la finalità dell'Associazione stessa, che tende a f a r e penetrare nella vita e nella coscienza del paese, come nella


legislazione, il principio del sacro diritto delle libertà comunali. Questo principio n o n può, nè deve essere compromesso dalla portata della classifica; la quale, invece, contribuisce ad agevolare le conquiste dell'autonomia comunale, rencÈendola meno difficile; altirimeati, pel fatto stesso d i volere a u n tratto l'intiera autonomia, dovrebbe essere respinto dal congresso i l progetto del consiglio superiore dei comuni, che involge certi adattamenti necessari coll'attuale ingerenza governativa, e si renderebbe van a anche tutta l'opera nostra. Inoltre, nessuno disconverrà che se è necessaria l a libertà ai comuni, questa, dopo u n o stato d i depressione e d i irresponsabilità, deve essere gradualmente conquistata in rapporto alla maggior sufficienza d i amministrare liberamente e alla maggiore efficacia del pubblico controllo. Da ciò la grande utilità d i una classifica; e colme nessuno ha mai trovato illogico che u n comun e piccolo abbia v e n t i consiglieri e che uno grande ne abbia ottanta, cosi nessuno potrà protestare se, per esempio, alla giunta d i u n comune che amministra 20 mila lire all'anno, sia consentito d i deliberare l e spese a calcolo entro lire 500, mentre4 alla giunta d i u n comune che amministra 20 o 10 milioni sia aumentata la cifra d i sua competenza. Per quanto poi riguarda l a portata dell'ingerenza amministrativa delle preletture, occorrerà far notare che la vigilanza d i uffici tecnici, quali quello del genio civile o del consiglio d i prefettura sarà superfluo per i c o m u n i dove esiste un ufficio tecnico o u n ufficio del contenzioso e contratti, n o n cosi per i piccoli comuni che n o n hanno tali uffici, i quali, a parte qualsiasi criterio amministrativo, sono d i vera garanzia agli interessi del municipio. H o voluto notare qu-te differenze evidenti che portano a una d i v e ~ s aconcezione del d i classifica; m a nessuno dedurrà che non si debba escludere anche pel piccolo comune quella ingerenza politica che ferisce l e più sacre libertà comunali; e la classifica perciò n o n deve certo essere fatta per sanzionare u n o stato1 d i oppressione politica, contro l a quale t u t t i i comuni debbono lottare n.

A me sembra che sia ormai superata la difficoltà che si avanza a nome dei piccoli comuni, pel fatto stesso che con la


classifica non viene toccato il principio delle libertà comunali, m a solo è stabilita una graduatoria, secondo la potenzialiti effettiva e reale di ogni comune. A questo concetto rispondono tre criteri ventilati nella presente relazione, ai quali si deve informare un sano progetto di classifica; cioè: 1) la facoltà del passaggio alla classe immediatamente superiore, se il complesso del funzionamento corilunale risponde al progredire e alle esigenze della vita cittadina ; 2) l a facoltà d i creare liberamente i consorzi intercomunali, che avrebbero una classifica derivante dal totale degli abitanti dei comuni consorziati; 3) l'obbligo che si fa ai comuni di corrispondere alla conquista delle libertà comunali con maggiori oneri sociali rispondenti ai bisogni collettivi. Riassumendo : a) la classifica dei comuni h a una portata amministrativa rispondente alle graduali rivendicazioni delle libertà e,autonomie comunali ; b) tale gradazione ha, come punto di partenza, la parificazione costituzionale dei comuni e la uguaglianza nelle libertà fondamentali degli enti autonomi; e va fino alla più larga indipendenza amministrativa, nella quale rimane solo il controllo contabile degli organi governativi ; C) al più libero funzionamento dei comuni corrisponde u n numero maggiore di funzioni e un maggiore sviluppo d i servizi, i n rapporto ai bisogni della popolazione e al progredire delle attivit.à cittadine. Come esemplificazione dei criteri seguiti nella presente relazione, volendo tentare di concretizzare le disposizioni d i tutela e vigilanza governative applicate alle quattro classi sopra indicate, si potrebbe stabilire : Prima classe a) controllo contabile del consiglio d i prefettura ai conti consuntivi annuali ; b) diritto di annullamento da parte del ministero competente delle disposizioni dei regolamenti d i polizia urbana e rurale e d i edilizia vincolative della libertà individuale.


Seconda classe

a) e b) come sopra; C) approvazione tutoria dei mutui superiori al quarto delle entrate ordinarie ; d) approvazione tutoria dell'alienazione d i capitale superiore a L. 50.000. Terza classe a), b, C) e d) come sopra; e) visto del prefetto ai regolamenti organici comunali; f) visto del prefetto ai contratti attivi e passivi superiori a L. 25.000 ; g) approvazione tutoria p e r spese che vincolano i l bilancio oltre 9 anni. Quarta classe a), h), C), 4, e), f ) e g) come sopra;

h) visto del prefetto a i bilanci preventivi; i) visto alle deliberazioni d i classifica scolastica elementare.

N. B. Contro una determinata deliberazione non soggetta a tutela o vigilanza governativa, può i l quinto dei consiglieri fare regolare reclamo al prefetto, notificato al sindaco; e i l prefetto può richiamare gli atti e infra quindici giorni emettere u n decreto d i annullamento, contro i l quale è dato il ricorso nelle forme d i legge. I n questo esempio o tipo di classifica ( c h e è così chiaro da lasciar fuori ogni commento), ho conservato quzl tanto di controllo governativo che ~ u riuscire ò tuttora giovevole, fino a che la vita dei comuni non si evolva completamente, e fino a che non si trasformi tutto il complesso ordinamento amministrativo degli enti locali. Non insisto sulle singole disposizioni, nè su d i esse è possibile una discussione. Ciò può solo servire come punto d i riferimento ad un'analisi qualsiasi, e come una delle tante manifestazioni concrete di u n pensiero che si agita e si s v i l u ~ p a . I1 congresso è un'assemblea in cui solo le idee complesse e sintetiche possono formare oggetto di affermazione collettiva, e quindi solo i risultati ultimi possono accettarsi come espressione


d i u n volere comune. Onde è che in merito a l presente tema io credo che il congresso non possa che votare u n ordine del giorno d i indole generale, che p u r compendiando le idee svolte, si mantenga sopra a i dettagli particolari, che possoiio anche essere oggetto di critica e di studio. P e r cui, p u r tenendo ferme l e idee svolte e i criteri seguiti, credo d i riprodurre il pensiero comune i n questo ordine del giorno: « L'VI11 congresso nazionale del17Associazione dei contuni italiani riunito a Genova

affermando l'urgente necessità d i una legge che classifichi i comuni perchè l'ordinamento amministrativo risponda alla realtà della vita comunale e alle sue molteplici esigenze; riconoscendo che la classifica deve avere lo scopo precipuo d i ridurre gradualmente al minimo consentito dalla natura dei comuni liberi e autonomi, l'ingerenza e la sorveglianza degli uffici governativi ; prende atto dei criteri esposti nella relazione in ordine alla classifica come rispondenti, nel complesso, alla somma delle aspirazioni comuni.; delibera J i dare mandato al consiglio direttiva dell'Associazione dei comuni d i farsi promotore d i u n progetto di legge d i classifica dei comuni, agitando in questo senso la pubblica opinione.

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Genova, 19 maggio 1909.

t

I L PROBLEMA DELLA VIABILITÀ COMUNALE SPECIALMENTE NEL MEZZOGIORNO (*)

Restringo il tema, troppo vasto, a quanto deve interessare i comuni n&i'iiguardi della Liabilità; e tengo presente, nella trat(*) Relazione al IX congresso nazionale dell'Associazione dei comuni italiani, tenutosi a: P-dlermo nel maggio 1910.


tazione, le condizioni del mezzogiorno, perché hanno u n a importanza e richiedono provvedimenti d i carattere specifico. Ad agevolare i l mio compito credo opportuno fare presente al congresso lo stato della legislazione sulle strade ordinarie. La legge fondamentale, che codifica il diritto stradale, è quella sui lavori pubblici, allegato f, 3 marzo 1865 n. 2248. Le altre lèggi riguardano i provvedimenti di carattere amministrativo e finanziario, circa l'esecuzione delle linee stradali. Così f u dallo stato ampliata e condotta a termine l a rete delle strade nazionali, che fin dal 1862 era stata iniziata nel mezzogiorno; e venne formata ed ampliata la rete delle strade rotabili provinciali. Le leggi che si riferiscono a queste grandi arterie, dopo quella del 1865, sono quelle del 27 giugno 1869 n. 5147, 30 maggio 1875 n. 2521 ( c h e autorizzò la spesa d i 225 milioni p e r opere stradali e idrauliche); e poscia quelle del 28 luglio 1881 n. 333, del 12 luglio 1894 n. 367, del 30 giugno 1896 n. 226, del 31 luglio 1902 n. 297, del 30 giugno 1904 n. 239, e del 31 marzo 1904 a favore della Basilicata; con le quali si provvide a nuovi elenchi o ai mezzi necessari per dare sfogo agli impegni assunti con le leggi precedenti. Non tutti i provvedimenti adottati sono stati eseguiti, p e r r a g i ~ n i ~ f i n a n z i a r iee burocratiche; e purtroppo, anche se adottati, non avrebbero risolto interamente il problema della viabilità nazionale e provinciale; mentre s'impone la risoluzione d i nuovi problemi creati dallo sviluppo dei traffici e dalla diffusione d i nuovi mezzi d i comunicazione, quali la tranvia e l'automobile; per cui sono necessarie vie larghe e ben mantenute coi sistemi più rispondenti. L'on. Sonnino nel 1894 riferiva alla camera che p e r vie nazionali e provinciali si erano spesi e impegnati 209 milioni da parte dello stato e 83 milioni da parte delle provincie; e che a compiere la rete deliberata occorrevano ancora L25 milioni da parte dello stato e 112 milioni da parte delle provincie. I1 movimento che contrassegnò i l primo periodo dei lavori stradali, f u seguito da u n attardamento spiegabile solo p e r l a difficoltà che attraversò la finanza italiana ma che pregiudicò d i molto l e condizioni deficienti del mezzogiorno; al quale poco rimediò fin oggi l a legge del 1904 sulla Basilicata.


Le leggi di carattere comunale, delle quali specialmente mi occupo, sono quella del 30 agosto 1868 n. 4612, sospesa in gran parte dalla legge del 7 luglio 1894 n. 317, e alcune speciali: cioè la legge de11'8 luglio 1903 n. 312 sulle vie di accesso alle stazioni ferroviarie, e quella del 15 luglio 1906 sui comuni isolati, inserita fra i provvedimenti per il mezzogiorno e poi estesa opportunamente-a tutto il regno; legge che è stata integrata dalla leggina Sonnino, fatta nel presente anno, per quanto riguarda alcuni provvedimenti finanziari. Le leggine semestrali sui danni alluvionali delle strade provinciali e comunali, a cui fu dato valore di continuiti nel dicembre 1904, e quella sulle frane delle strade provinciali e comunali e degli abitati del giugno 1904, riguardano la manutenzione straordinaria e sono provvide certamente; basta averle notate nel non breve elenco.aelle leggi iige*nti in materia. Non esistono leggi fatte dal nostro parlamento riguardo l e antiche vie regie, l e trazzere e mulattiere comunali; solo ultimamente si ebbero dei provvedimenti sui tratturi delle Puglie. Nel tema proposto si è fatto un riguardo speciale al mezzogiorno perchè in esso le condizioni di viabilità sono più difficili: e ciò anzitutto per la natura montuosa del suolo che rende dispendiose l e vie rotabili. Questa grande parte della patria comune è formata da lunghe catene di montagne e di colli, da terreni accidentali e franosi, solcati da grossi torrenti. Le popolazioni rurali, per un complesso di ragioni, che è fuori argomento indagare e discutere, anzichè abitare in campagna, nei cascinali, nei piccoli poderi, nei villaggi e nelle borgate create dalla proprietà frazionata, che forma da sè una fitta rete di vie agrarie che mettono capo alla grande rete stradale, vive agglomerata nelle grandi e numerose città rurali, sorte spesso sulle cime dei monti, distanti l'una dall'altra molti chilometri di strade e di campagne. I1 latifondo forma la zona che direi neutra: essa per lo più è indifesa: sarà toccata dalle strade nazionali o ~rovinciali,perc h è l e esigenze dei progetti lo avranno richiesto; ma è u n fatto estraneo. I1 latifondo per sè non ha strade: è campagna nuda, che è attraversata da muli, per lunghi e malagevoli viottoli O


addirittura sul terreno dissodato p e r i servizi campestri; avrà per gli armenti l'avanzo d i vecchie trazzere, e sarà congiunto alla mulattiera o anche a qualche rotabile più o meno vicina. Vi sono zone d i latifondi di ben dieci o quindici mila ettari di terreno senza alcuna strada rotabile; e in alcune parti occorre fare perfino venti chilometri p e r raggiungere una via rotabile. Queste tre cause, cioè le condizioni del suolo, le agglomerazioni urbane e i latifondi, hanno reso di carattere speciale il problema della viabilità, non solo p e r le forti spese a cui si va incontro, ma anche per l a natura della viabilità dal punto d i vista agrario. La legge fondamentale del 1865 diede il carattere agrario esclusivamente alle strade vicinali, soggette a pubbliche servitù, e alle private, che non ricadono sotto il regime d i leggi speciali. Senza entrare i n u n argomento riservato ad altra relazione, noto solo che la via vicinale si sviluppa in località dove la proprietà rurale è frazionata, dove p e r i bisogni di molti utenti sorge una chiesa, si costruisce u n mulino, vi è una sorgiva d i acqua; dove l e vie comunali sono poco lontane, e vi si può arrivare con brevi percorsi d i strade; poco costose a costituire e a mantenere. Dove, invece, fra una strada e l'altra, provinciale o comunale, occorre traversare decine d i chilometri, per sterminati latifondi, senza normale abitazione, tranne del campaio o del ribattiere (*), non si può arrivare a parlare di vie vicinali ; occorrono strade p e r lunghezza, larghezza e opere d'arte, importanza d i territori, ragioni d i lavoro, d i carattere comunale agrario. Sembrerà strana quest'affermazione: anzi, qualcuno dirà che la natura di tali strade è perfettamente privata, e quindi d i nessun interesse comunale. Non è così: gabellotti, fittavoli di pascoli, operai a giornata, a migliaia vivono in questi latifondi e su questi latifondi, ove impiegano la loro attività, la loro energia, i loro capitali. Essi subiscono i l rincaro delle terre, senza poterne trarre i vantaggi che derivano dalla facilità dei commerci e dalla comodità ( e ) Guardie campestri.


dei mezzi di trasporto; essi espongono la vita ad attraversare, d'inverno, torrentacci furiosi; essi arrivano ad arrischiare i loro capitali, se sono bloccati dalle intemperie. E sono molti, la maggioranza dei lavoratori della terra, che partono la mattina all'una, alle due dopo mezzanotte, per fare tre o quattro ore di cammino a cavallo o a piedi e trovarsi sul far del giorno sul posto di lavoro; e ripartire la sera per rifare la medesima via. I1 proprietario latifondista può perfino ignorare l'esistenza d i tale stato di cose: egli sa che ha una rendita normale, variabile come i valori di borsa, che gli viene dalla terra, sconosce i pesi che gli sono imposti dalla natura della sua proprietà. Ho voluto insistere su questo punto, perchè non lo trovo accennato, neppure lontanamente, in nessun criterio della legislazione italiana; e bisogna rimontare alle mulattiere comunali, antiche arterie agrarie di carattere collettivo, che riunivano l e antiche trazzere regie, attraversanti per ogni lato sia l'agro bonificato, sia, benchè in minor numero, il latifondo. Le leggi italiane considerano le vie comunali come semplici comunicazioni fra piccole e grandi città, o le frazioni dei comuni, o fra il centro abitato e un punto di utilità o servizio collettivo, come il bosco demaniale, la chiesa parrocchiale, la fonte comunale, i l cimitero, la stazione, il porto. È escluso il carattere agrario, che invece sorge prepotente dalle specifiche condizioni del mezzogiorno, e fu concretizzato nella storia e nellà natura delle sue vecchie strade. Così oggi poniamo il problema della viabilità comunale nel mezzogiorno : cioè viabilità comunale interurbana, quale risulta dalle leggi vigenti; e viabilità comunale agraria, quale risulta dall'antica consuetudine. Primo : viabilità comunale interurbana. Comprendo in questa categoria tutto quanto per strade comunali è inteso nelle nostre leggi italiane, e specialmente in quella fondamentale del 1865 e in quella speciale delle strade obbligatorie del 1868, con i susseguenti provvedimenti legislativi. All'art. 16 della legge del 1865 e all'art. 1 della legge del 1868 sono chiaramente indicate le strade che si intendono per comunali. Cioè : ' a ) quelle necessarie per porre in comunicazione il maggior


centro d i popolazione di una comunità col capoluogo del rispettivo circondario e con quello dei comuni contigui; b) quelle che sono nell'interno dei luoghi abitati; C) quelle che dai maggiori centri di popolazione d i u n comune conclucono alle rispettive chiese parrocchiali e ai cimiteri, o mettono capo a ferrovie o porti, sia direttamente sia collegandosi ad altre strade esistenti; d) quelle che servono a riunire fra loro l e più importanti frazioni d i u n comune. E poichè occorrevano seri provvedimenti a dotare i comuni d i molte strade comunali, così, con la legge del 1868, si avvisarono i mezzi acconci a ciò, sia con l'istituzione d i speciale sovrimposta sulle tasse dirette, sia con una tassa sugli utenti, sia con la prestazione d'opera degli abitanti, sia con l a istituzione d i pedaggi temporanei, sia con i concorsi dello stato e delle provincie. I1 provvedimento fu anche imposto d'ufficio ai comuni riottosi o negligenti: furono classificate 43.000 chilometri di strade obbligatorie, e si diede alacremente mano all'opera. Però, dopo appena aver compiuto 13.000 chilometri d i strade e averne in corso d i preparazione circa 5.000 chilometri, attraverso a u n ingranaggio o deficiente o scorretto, i l governo, preoccupato dell'onere del concorso alla spesa, che sorpassò le previsioni, e che nelle deficienze dei bilanci dei LL.PP. creò imbarazzi allo stato o ai comuni, con un colpo, che allora sembrò coraggioso, nel luglio 1894 sospese la legge nei riguardi dell'obbligatorietà delle costruzioni e del sussidio del governo e delle provincie, meno che per le costruzioni i n corso. Altro che i 120 mila chilometri che Quintino Sella, nella relazione della legge del 1868, aveva detto fossero necessari per rimettere l'Italia i n condizioni d i viabilità discrete! La legge passò con una dichiarazione del ministro Saracco, che mi piace riportare, per f a r notare come è facile ai governi distruggere e ricostruire, promettere e attendere, specialmente quando si tratta degli interessi dei comuni: « Non è esatto, co<( me supponeva l'on. Diligenti, che il governo intenda con que« sta legge sopprimere quella del 1868. Niente di ciò. È una « semplice sosta, che si impone ai comuni per pochi a n n i : p i ù


« tardi, quando lo stato sia in grado di poter pagare effetiiva« mente i sussidi, la legge del 1868 riprenderà tutto i l suo impe« ro

D

(Atti parlamentari, 6 luglio 1894).

E mi piace pure accennare alla risposta dell'on. Diligenti, uno dei pochi che parlò e votò contro la legge del 7 luglio 1894: « On. ministro, i vantaggi di questa legge li vedrete tra molti

anni, se vantaggio saranno. i danni dei miseri comuni. Ma se « voi proverete il dolore, il danno sarà tutto delle nostre pro(( vince del mezzogiorno! )) (ibidem). La sospensione temporanea, accordata con la legge del 1894, dura tutt'ora, dopo sedici anni; nè si nota qualche lontano indizio che il governo studi il problema nella sua larghezza, e ripristini la legge 1868, con quelle opportune modifiche che la rendano, dopo più di quarant'anni, rispondente agli attuali bisogni e alle aggravate condizioni finanziarie dei comuni. Perchè, ed è bene notarlo, i difetti della legge del 1868, sia nell'ingranaggio burocratico reso molto pesante dal regolamento del 1874, sia nella forma delle prestazioni personali (che se poco urtano con le condizioni ambientali dei piccoli villaggi e solo per lavori di poca importanza, riescono difficili e onerose per grandi masse e per grandi lavori organici), ne resero facile i l seppellimento sotto il pretesto delle economie, senza che i comuni protestassero e le popolazioni interessate se ne risentissero. Dopo la legge di sospensione del 1894 sopra citata, si sentì il bisogno di speciali provvedimenti che non lasciassero interamente in abbandono specialmente i piccoli comuni. Così venne proposta e votata la legge de11'8 luglio 1903, n. 312, sulle vie di accesso alle stazioni ferroviarie e all'approdo dei piroscafi; i cui artt. 3 e 4 ripristinavano la legge del 30 agosto 1868, per quanto riguarda le strade rimaste incomplete. .Non ho potuto avere dati esatti sull'applicazione d i questa legge, e sull'uso che ne hanno fatto i comuni. Un interessante parere del consiglio di stato, adottato dal ministero dei LL.PP., ha esteso i benefici della legge del 1903 anche ad una seconda strada di accesso alla stazione ferroviaria, quando la prima è insufficiente al traffico, per forti pendenze o perché a sezioni ristrette.


P e r quanto n e sappia,.poco è stata l'applicazione, nei riguard i del completamento delle vie obbligatorie, anche perchè i l sussidio del quarto è parso poco rispondente ai bisogni dei comuni, specialmente in località come le nostre ove occorrono molte spese per opere d'arte. È da notare che la legge è temporanea, e i termini utili scadono p e r l e vie indicate all'art. 1, il 7 luglio 1911, e per q e l l e indicate all'art. 3, il 7 luglio 1913. P e r chi sa quali formalità occorrono, come sono pesanti le burocrazie dei geni civili e del ministero dei LL.PP, e per chi conpsce che i fondi non sono sufficienti alle richieste dei comuni, i quali incontrano anche al riguardo l e ostilità delle provincie interessate, può comprendere bene che alla scadenza della legge molti ancora saranno i comuni e le frazioni dei comuni che non avranno potuto ottenere i benefici della legge, che forse tuttora ignorano.

Un altro provvedimento necessario e atteso fu quello del 1906 sui comuni isolati, facendo gravare la spesa delle strade di allacciamento per quattro sesti allo stato, per u n sesto alle pro vincie e p e r u n sesto ai comuni. La legges però, si incagliò subito nelle formalità burocratiche. P e r avere gli elenchi definiti delle strade da costruirsi ci son voluti tre anni. Tirate le somme, i l governo si avvide che, con mezzo milione d i stanziamento all'anno nel bilancio dei LL.PP., ci volevano cento anni per completare 312 strade elencate, per le quali occorreranno di sicuro cinquanta milioni a carico dello stato. Nei suoi secondi cento giorni, Sonnino fece approvare una leggina suppletiva, che provvedesse sul serio alla spesa: ma siamo ancora troppo distanti dalla realtà; e occorrerà insistere a che ci siano i fondi necessari, e a che si proceda con la dovuta sollecitudine, trattandosi di problemi così gravi, così urgenti, che, con un senso d i meraviglia, si arriva a sapere com'è che in Italia, nel 1910, vi siano più di trecento comuni isolati. La legge non riguarda l e frazioni dei comuni, così h a deciso il consiglio d i stato, e il ministero ne h a seguito il parere. Occorre perciò provvedere a che anche le frazioni dei co-


muni non siano più isolate, e che vi si estendano i benefici . della legge del 16 luglio 1906. Passiamo al problema della viabilità coiilunale agraria. Essa interessa specialmente il mezzogiorno: e limito questa parte al problema delle trazzere e mulattiere ex-regie e comunali. Come dissi, i n tutta la legislazione italiana non si h a parola di tali antiche strade, che prima della costruzione delle rotabili servirono per le comunicazioni fra le città e per gli usi agrari delle nostre regioni. Ad esse si può indirettamente riferire solo l'ultimo comma dell'art. 16 della legge del 1865 riguardo gli elenchi comunali, in quanto che tali strade furono segnate negli elenchi precedenti, fatti dai comuni e approvati dall'autorità politica del tempo. Diversi comuni inclusero anche in tali elenchi le trazzere regie. Tali strade servivano al doppio uso: per i passeggeri in lettiga o a cavallo, e per il passaggio delle greggi e degli armenti. La normale larghezza di circa 60 metri delle trazzere regie e d i 16 di quelle comunali, non solo serviva per i l regolare regime delle acque e per vincere aspre pendenze, ma specialmente p e r l'uso di pascolo temporaneo agli animali di passaggio per lo svernamento dalle regioni montuose alle pianure. I1 centro d i tali trazzere era fatto a grandi selci, le cui tracce tuttora ancora esistono per uso mulattiero e per gli scoli di acqua. Col regime del 1865, lo stato si disinteressò delle trazzere regie, sostituite con le strade nazionali; delle quali u n certo numero seguì, fin dove le pendenze lo permettevano, il vecchio tracciato ; consentendo la concessione, a prezzo, dei tronchi relitti. L'ingordigia dei proprietari limitrofi fece di più: l'usurpo lento, graduale o rapido, garantito da facili compiacenze, e, più che altro, dall'abbandono giuridico delle strade, compì in molte parti-la distruzione; rimanendo solo delle tracce strette, perfinc di tre o quattro metri, per uso dei trasporti a dorso di mula. La mancata manutenzione delle trazzere non usurpate .da quelle comunali, più facili a conservare per l'interessamento degli abitanti del luogo, fece distruggere l e selciate, riducendo l e strade in torrentacci e in corsi d'acqua incerti e franosi. E l'incertezza della. competenza di intervento per la conser-


vazione e la polizia stradale paralizzò ogni azione, con I'aggiunta che nè la giustizia amministrativa nè quella del magistrato ordinario si è resa esatto conto delle condizioni giuridiche di tali strade. Queste trazzere oggi non servono pii1 per l e comunicazioni fra le città, restano però a prestare gran servizio per l e nostre campagne, per l e abbreviazioni dei lunghi percorsi delle rotabili nelle regioni montuose, per le comunicazioni fra i latifondi, per una infinità di vantaggi agrari dei piccoli e dei grandi coltivatori e della pastorizia. Da qui nasce la necessità di porre avanti il problema della esistenza, conservazione e rivendicazione di tali vie importantissime, di u n vero, demanio collettivo trascurato e in parte perduto. Anzitutto occorre precisare la natura giuridica di tali strade e le corrispondenti competenze. A me sembra evidente che avendo le ex-trazzere regie perduto il carattere di strade nazionali, e servendo oggi solo a scopo agrario, come è stato detto, che interessa la quasi totalità degli abitanti dei territori attraversati, tali strade hanno, di fatto,assunto il carattere di strade comunali-agrarie, come quelle della stessa natura che erano l e antiche mulattiere comunali. Ora è necessario e urgente, se si vuole salvare questo grande demanio nell'interesse del mezzogiorno, &e una legge dello stato ne riconosca la natura, ne precisi l e competenze, e ne affidi ai comuni, rispettivamente ai territori, la rivendicazione, la manutenzione e la polizia, semplificando le procedure di rivendicazione, e applicando a tali strade le disposizioni della legge del 30 agosto 1868; riferibili anche, ove occorra: a i consorzi intercomunali obbligatori. Insisto sulla proposta della obbligatorietà dei consorzi intercomunali, perchè spesso avviene che una strada perde parte delle sue funzioni se non è messa in condizione di poter essere usata in tutto il suo percorso; e perchè si può trovare qualche amministrazione che, per interessi privati, non sia sollecita a curare le rivendiche delle zone usurpate.


i 1 problema della trazzere è di carattere urgente e d i vero interesse comunale. Resta a toccare la questione finanziaria riguardo a i comuni; sia per la costruzione o ricostruzione delle strade previste nelle leggi del 1903 e del 1906, sia p e r quelle previste nella legge del 1868, se tornasse i n vigore ; sia per i l ripristino e l a sistemazione delle trazzere e mulattiere.

I concorsi dello stato e delle provincie per le leggi del 1903 e 1906 sono tali da non dover richiedere dell'altro: occorre solo che i l governo affretti i provvedimenti finanziari necessari. P e r i l ripristino della legge del 1868 non solo per i l completamento delle strade in corso, come fece con la legge del 1903 ( a r t . 3); ma per tutta la rete delle ordinarie comunali, facendo oggi una revisione dei vecchi elenchi, certo non basta il concorso del quarto, e occorre che lo stato abbia il coraggio di affrontare i l problema finanziario, come fece nel 1875, e d i risolverlo opportunamente, portando il contributo alla metà. P e r quanto riguarda le spese a gravare sui comuni, credo .che

il ripristino delle disposizioni del 1868, cioè l'aumento di cent. 5 d i sovrimposta sulle tasse dirette e la tassa speciale sui princi-

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pali utenti può d a r mezzo ad affrontare le spese, ottenendo l e necessarie agevolazioni della cassa depositi e prestiti p e r mutui occorrenti a pagar le spese. P e r tali mutui si debbono poter vincolare i due cespiti speciali sopraindicati. Le ragioni d i utilità agraria danno forza a scegliere tali cespiti d'entrata onde coprire l e spese; e i vantaggi economici saranno tali anche p e r gli utenti, che non risentiranno molto dei nuovi aggravi. Non m i sembra che i l diritto d i pedaggi e la prestazione d'opera corrisponda a l carattere di provvedimenti adatti ai tempi. Mi hasta questo cenno riguardo alla natura dei mezzi, non potendo nella presente relazione fare una divagazione sul tema dei tributi locali. ' '

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Concludendo, presento all'assemblea i l seguente voto, che riassume le considerazioni che in forma breve h o voluto esporre, come un semplice cenno di un problema che va trattato con uno studio ben più ponderoso e profondo, meritando tutto l'interessamento dei comuni e delle popolazioni del mezzo,'giorno.

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IL ZX congresso dei comuni italiani

p e r le considerazioni esposte della relazione d i cui prende atto, riconoscendo i n modo speciale i bisogni vivi e pressanti del mezzogiorno p e r u n razionale sviluppo e regime delle strade òrdinarie, mentre fa voto che venga completata al piÚ presto la rete stradale derivante dalle vigenti leggi, e siano estesi i provvedimenti adottati per la Basilicata a tutto il mezzogiorno cone tinentale e alle isole; delibera che siano promossi dal consiglio direttivo dell'Associazione i provvedimenti necessari : a) perchè sia ripristinata la legge del 30 agosto 1868, sospesa con la legge del 7 luglio 1894 e in parte rimessa i n vigore con quella de11'8 luglio 1903, apportandovi le necessarie modifiche, i n modo da poter completare la rete delle strade ordinarie. comunali ; b) perchè siano prorogate le scadenze stabilite dalla legge 7 luglio 1903; C) perchÊ sia estesa la legge del 15 luglio 1906 alle frazioni dei comuni; d) perchÊ siano dichiarate comunali obbligatorie le ex-trazzere regie e le antiche mulattiere comunali, rifacendone gli elenchi e provvedendo alla reintegra e al ripristino d i tali strade d i comune interesse agrario; e) perchÊ sia provvisto ai mezzi necessari p e r la viabilità comunale, non solo con i concorsi dello stato, in misura congrua e rispondente ai bisogni, ma anche ridando ai comuni l e facoltà dell'art. 2 a) e b) della legge 30 agosto 1868, e stabilendo i consorzi obbligatori intercomunali per l e strade che attraversano piÚ territori comunali n. Palermo, 4 maggio 1910.


P E R LE STRADE COMUNALI QUESTIONI PICCOLE E QUESTIONI GROSSE (*) I1 nostro amico sacerdote Sturzo, prosindaco d i Caltagirone, è noto come uno dei più appassionati agitatori d i questioni amministrative, e da molti anni nei congressi dei comuni italiani figura come relatore trattando svariati argomenti; e sono note le sue relazioni sulla CLassifica dei comuni (Venezia e Genova) e sulla viabilità (Palermo). Lo stesso argomento della viabilità comunale egli tratterà al prossimo congresso dell'dssociazione dei comuni, onde abbiamo voluto interrogarlo sui criteri informativi della sua relazione. La questione della viabilità comunale, egli ci ha detto, è una delle più complesse che vi siano in Italia ; e anche delle più Irascurate. La legge più moderna e più audace rimane sempre quella del 1868,sulle vie obbligatorie ; che sfrondata delle-difficoltà pratiche, che si ebbero a riscontrare allora, e d i parecchie gravezze, che oggi possono essere attenuate o anche tolte, potrebbe essere una legge veramente moderna e applicabile in tutta la sua estensione. Di 43.000 chilometri a cui si provvedeva con quella legge appena 13.000 furono eseguiti; e 500 erano in corso di esecuzione quando nel 1894 i l governo, preoccupato dell'onere del concorso alla spesa, che i n certi posti fu persino il doppio del preventivo, creando così imbarazzi allo stato e ai comuni, con u n colpo d i testa sospese la legge del 1868. Conseguenza fatale f u che molte strade rimasero incomplete, altre neppure appaltate ; alcune gi.à eseguite, non furono mantenute ; e molti milioni e molto lavoro personale furono buttati al vento. D'allora si è andati avanti con leggine speciali e con piccoli provvedimenti, quali quelli della legge del 1903 sulle vie d i accesso alle stazioni ferroviarie, quelli del 1906 p e r l'allacciamento dei comuni isolati. ( e ) Intervista rilasciata al Corriere d'Italia.


P e r la legge del 1903 lo stato fin dal 1907 aveva pagato oltre mezzo milione di sussidi, sopra u n impegno preso d i quattro milioni e mezzo. Con la legge del 1905 p e r l'allacciamento dei comuni isolati, dal preventivo fu stabilito che si sarebbe provveduto a 439 strade, delle quali 371 rotabili, 68 mulattiere, per la complessiva lunghezza approssimativa di 1306 chilometri. I1 nostro interlocutore nel citare questi dati, più o meno i n via approssimativa, ricordava come Quintino Sella nella relazione alla legge del 1868 aveva detto che p e r mettere I'ltalia i n condizioni d i viabilità discreta occorrevano 120 mila chilometri d i nuove strade, e concludeva che i n 43 anni non se n'erano costruiti che 25.000 chilometri. Continuando a d esporre lo stato della legislazione presente, egli soggiungeva che quando nel 1894 fu sospesa la legge del 1868, l'on. Saracco, allora ministro, dichiarava alla camera che non si trattava d i abolire l'impero d i quella legge, ma solo d i sospenderne p e r breve sosta la portata finanziaria, i n modo che quando lo stato sarebbe stato in grado d i pagare effettivamente i concorsi dovuti, la legge avrebbe ripreso tutto i l suo impero. Sono passati diciassette anni, e tranne le dispoiizioni incluse nella legge del 1903 p e r il completamento delle strade già incominciate (chilometri 5.000 dei quali pochi hanno avuto d i fatto la concessione del sussidio) nessuna legge è venuta a rimettere i n vigore quella del 1868, o meglio a rifarla adattandola alle esigenze presenti. Abbiamo osservato che lo stato h a avuto inoltre l'onere derivante dalle leggi p e r le strade provinciali. È vero, ci h a risposto i l sac. Sturzo, p e r le leggi del 1869, 1875 e 1881 sulle strade provinciali lo stato ha avuto degli oneri, ma essi n e l complesso non hanno superato, fino al 1907, i sei milioni. Si tratta di una rete principale, quale è quella provinciale, che è distinta per funzioni e caratteri da quella comunale, che non può essere confusa né trascurata con l'altra. Del resto la esigua cifra d i sei milioni in .quarant'anni circa, non dimostra affatto i sacrifici fatti dallo stato.


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- I1 ritorno all'impero della legge del 1868, sia pure modificata e adatta alle esigenze presenti, avvantaggerebbe le condizioni del mezzogiorno? Abbiamo rivolto questa domanda al sacerdote Sturzo, il quale nella relazione fatta al congresso d i Palermo aveva trattata a parte la questione delle trazzere siciliane. Egli ci h a risposto che le condizioni di viabilità del mezzogiorno sono ben diverse da quelle dell'alta e media Italia, ove l'abitante rurale è sparso nella campagna, così densa d i villaggi, borgate, frazioni, comunelli autonomi anche di 500 abitanti; p e r cui il concetto dell'art. 16 della legge fondamentale sulle vie del 1865 risponde alle condizioni di fatto di quella clie è la viabilità comunale. Tutte le leggi successive hanno mantenuto come cardine quel criterio. Ora d i fatto, essendo nel mezzogiorno la popolazione agglomerata nei centri, bastano poche arterie d i vie per lo più provinciali, e mettere i n comunicazione i comuni fra d i loro, o l e frazioni d i comuni, ove esistono. Così avviene il caso strano che u n territorio vastissimo quale quello del mezzogiorno e Sicilia è solcato da poche strade. Quando fu fatta la legge sul mezzogiorno, si volle provvedere alla viabilità con le disposizioni riguardo i comuni isolati. P e r l'agitazione fatta da molti deputati- tali disposizioni furono estese a tutto il regno. Si ebbe questo strano risultato, che delle vie classificate nel relativo piano regolatore in forza d i tale legge 342 appartengono all'Italia settentrionale, 42 alla centrale, 67 alla meridionale, 40 alla Sardegna e 9 alla Sicilia. Lo stesso quasi è a dirsi dell'esito della legge del 1903 sulle vie d i accesso alle stazioni ferroviarie. Siccome la rete stradale nel mezzogiorno è inferiore alle altre reti stradali, e la legge si riferisce ai comuni che non distano oltre 25 chilometri dalla stazione; così nel mezzogiorno e nella Sicilia si è avuto u n risultato inferiore alle previsioni. Fino a l 1907 l'Italia settentrionale aveva avuto assegnati circa 3 milioni di sussidi; l'Italia centrale oltre 410 mila lire; l'Italia meridionale 900 mila lire e la Sicilia 167 mila lire. - Qual'è adunque i l concetto che predomina nel mezzogiorno riguardo l e strade?


Un'idea concreta e geniale manca, perché manca l a visione esatta dei problemi locali, almeno nelle sfere politiche del mezzogiorno, essendo i deputati occupati pur troppo d i altri affari. Però le popolazioni sentono i l disagio della mancanza delle strade. Dall'inchiesta sul mezzogiorno risulta che il problema più grave da noi è quello delle strade. Le vecchie trazzere sono abbandonate e usurpate; ed il sac. Sturzo ricordava l'eco vivissima avuta i n Sicilia l'anno scorso p e r la sua relazione al congresso d i Palermo. La sicurezza delle campagne, la possibilità del funzionamento della propriet.à, lo sviluppo del commercio agrario, tutto dipende dalle strade. Perciò l'idea che si sostiene da molti, e che egli tornerà a trattare nel congresso, oltre al ripristino con le dovute modifiche della legge del 1868 e la tutela e rivendica delle trazzere comunali, si è che si dia ai comuni la facoltà dei consorzi obbligatori p e r le vie agrarie che attraversino u n datomterritorio, con il carattere di vie comunali, e con tutte le condizioni derivanti dalla legge del 1868, compreso il sussidio d i stato. Tale facoltà dovrà essere circondata da tutte le garanzie, ma non deve mancare se si vuole i l risorgimento del mezzogiorno agrario. - Un'ultima domanda: i l consiglio dell'Associazione dei comuni è d'accordo in tale ordine d i idee? I1 sac. Sturzo ha accolto anche quest'ultima domanda: e ci h a risposto così: - L'anno scorso accettò la mia relazione, ove in parte erano sostenute tali idee. I1 voto ebbe u n buon esito riguardo l a domanda di proroga dei termini assegnati dalla legge 1903 per l e vie di accesso alla stazione. E con la legge del 21 luglio 1910 sulle ferrovie della Basilicata e Calabria, fu abrogata ogni limitazione d i tempo. Nell'ultima seduta tenuta giorni fa fu accolta l a petizione del comune di Caltagirone per la proroga degli altri termini indicati dalla legge del 1903, e Meda fu pregato di presentare analogo progetto d i legge. I n quella seduta esposi per sommi capi le idee principali della mia relazione, idee che sono state i n massima accettate. -


Io confido che la questione delle strade comunali finirà per imporsi. Noi abbiamo augurato al nostro amico che la sua campagna, sostenuta con tanta convinzione d i efficacia, abbia ad avere buon esito, nell'interesse del maggiore sviluppo della vita nazionale. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 28 maggio 1911).

14. S U L L A V I A B I L I T À COMUNALE (*)

Piu che una relazione sulla viabilità comunale, la presente è u n a semplice comunicaiione; perché ad un anno d i distanza, n o n avrei che ripetere i n gran parte quel che esposi al I X congresso dell'Associazione dei comuni tenuto a Palermo nel maggio del 1910. I1 voto allora emesso fu il seguente: Il

IX congresso d e i comuni italiani

per l e considerazioni esposte nella relazione d i cui prende atto, riconascendo in modo speciale i bisogni vivi e pressanti del mezzogiorno per un razionale sviluppo e regime delle strade ordinarie, mentre fa voto che venga completata al più presto la rete stradale derivante datle vigenti leggi, e siano estesi i provvedimenti adottati per la Basilkata a tutto il mezzogiorno continentale e alle isole; delibera c h e siano promossi dal consiglio direttivo dell'Associazione i provvedimenti necessarii: a ) perché sia ripristinata la legge del 30 agosto 1868, sospesa c o n la legge del 7 luglio 1894 e in parte rimessa in vigore con quella de11'8 luglio 1903, apportandovi le necessarie modifiche, (*) Relazione al X congresso nazionale deli'Associazione dei comuni italiani, tenutosi a Roma nel giugno 1911.


i n modo d a poter completare l a rete delle strade ordinarie comunali ; b) perché siano prorogate le scadenze stabilite d a l l a legge 7 luglio 1903 ; C) perché sia estesa la legge del 15 luglio 1906 alle frazioni dei co,muni; d) perché siano' dichiarate comunali obbtìgatorie le ex-trazzsre regie e le antiche mulattiere comunali, rifacendone gli elenc h i e provvedendo alla reintegra e al ripristino di tali strade d i comune interesse agrario ; e) perché sia provvisto ai mezzi necessarii p e r la viabilità comunale, non solo con i concorsi dello stato, i n misura congrua e rispondente a i bisogni, ma anche ridando a i comuni le facoltà dell'art. 2 a) e h) della legge 30 agosto 1868, e stabibndo i consorzi obbligatori intercomunali p e r le strade che attraversano più territori comunali. Oggi tale voto si ~ u tornare ò ad emettere p e r intero, ~ o i c h é purtroppo la soluzione del grave problema non ha progredito d i u n sol passo, mentre i voti dei congressi e dei comuni, l e relazioni d'inchiesta sul mezzogiorno e la Sicilia hanno rilevato ancora una volta che i l problema della viabilità è il problema più urgente che esiste i n Italia.

Una sola disposizione messa, come p e r equivoco, nella legge sulle ferrovie della Basilicata e Calabria del 21 luglio 1910 ( a due mesi d i distanza del congresso di Palermo) teneva conto del voto della nostra Associazione, e abrogava i termini dell'articolo 1 clella legge 8 luglio 1903, n. 312, con la seguente disposizione segnata all'articolo 17 : I n tutte le provincie del regno è abrogata la disposizione dell'art. 1 della legge 8 luglio 1903 n. 312 relativa al termine prefisso ai comuni p e r l a costruzione delle strade d i accesso alle stazioni ferroviarie e all'approdo dei piroscafi postali D. Come l'assemblea ricorderà, tali termini sarebbero scaduti a Otto anni dalla legge, cioè 1'8 luglio del presente a n n o ; così invece rimane permanente l'onere dello stato a sostenere la metà clella spesa, e della provincia i l quarto, gravando solo per


u n quarto i comuni interessati, per le vie di accesso alle stazioni ferroviarie e agli approdi dei piroscafi. A ,nessuno sfuggirà l'importanza di tale disposizione d i legge, che rende u n notevole servizio al movimento e al traffico dei comuni, che siano infra la zona di 25 chilomerti dalle strade ferrate o dagli approdi marittimi e lacunali. Giova f a r conoscere a proposito di questa legge, che oramai è norma seguita dal ministero, in base a i responsi dei corpi consultivi, che le stesse disposizioni di legge si applicano quando u n comune voglia costruire una seconda stradai se la prima sia insufficiente al traffico o per acclività o per altre ragioni specifiche; o se la seconda strada all.acci il comune ad una stazione ferroviaria o -ad un approdo più vicino; come pure la legge viene applicata se si tratta di rettificare o migliorare le strade esistenti, o di prolungarle per allacciare i maggiori .centri di traffico e di popolazione. Però una disposizione di questa legge per quanto riguarda le vie di accesso alle stazioni o agli approdi per la sua forma restrittiva, merita d i essere rilevata e corretta. Si tratta del terzo capoverso dell'articolo 1 ove è stabilito: « Uguale trattamento verrà fatto a i comuni « che procederanno all'ultimazione di strade rimaste i n sospeso per la legge del 19 luglio 1894, n. 338, e destinate a raccordate frazioni o borgate con la stazione centrale ferroviaria dello stesso comune N. Non risulta che tale disposizione sia stata fin oggi applicata, tranne forse in qualche caso isolato. Pertanto l e frazioni dei comuni sono messe in condizioni di inferiorità rispetto al17allacciamento alle reti ferroviafie: è da notare che dal 1868 ad oggi delle frazioni nuove son sorte, altre hanno acquistato importanza per numero di abitanti e per opifici industriali ivi edificati; e per molti casi sotto l'impero della legge del 1868 o non si arrivò a costruire l e strade di congiungimento, o non si inclusero tali strade neppure nell'elenco; è conseguenza illogica purtroppo, che tali frazioni debbano essere escluse dal beneficio della legge del 1903. Se i termini dell'art. 1 della legge de11'8 luglio 1903 sono stati abrogati, sono però rimasti in vigore quelli dell'art.,, 3 riguardo l e vie obbligatorie previste dalla legge del 30 agosto


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1868. iniziate e non completate per effetto della legge del 19 luglio 1894, n. 338; tali termini scadranno 1'8 luglio 1913. E poiché questa disposizione legislativa non ha avuto larga applicazione, forse per la limitazione del sussidio dello stato al quarto della spesa, occorre prorogare i termini e stabilire degl'incoraggiamenti ai comuni, in modo che completino la rete iniziata ; affinché putroppo la enorme spesa già sostenuta non vada, come spesso avviene, intieramente perduta. E l'incoraggiamento più rispondente al complesso del servizio sarebbe quello d i stabilire dei concorsi per u n periodo di tempo, che potrebbe essere d i u n decennio, p e r le spese d i manutenzione, sia pure nella misura del quarto; perché in molti casi i comuni non affrontano la spesa della costruzione perché non hanno i mezzi p e r la manutenzione stradale. Dalla statistica ministeriale del 1907 risulta che fino al 30 giugno di quell'anno. in eseciizione alla legge del 1903, erano state presentate 304 domande, di cui 149 in istruttoria, 117 accolte, 38 respinte p e r u n totale di sussidi assegnati e concessi d i L. 610.325,97; d i cui pagate L. 534.598,2. La classifica per regioni va da u n massimo d i 85 domande e d i L. 1.105.284,07 d i sussidii per il Piemonte, a u n minimo di 3 domande e d i L. 6357 d i sussidio p e r la Sardegna: la Basilicata e le Calabrie fin allora non aveano avanzata nessuna domanda, e solo 5 domande l a Sicilia per L. 167.580 d i sussidi. Dal 1908 ad oggi non si hanno statistiche, e quindi non si può rilevare quanto sviluppo abbia dato la legge che esaminiamo alla viabilità comunale che più interessa al traffico. Però i l fatto che molte regioni hanno ben poco profittato dei benefici d i tale legge, quali i l Lazio, l'Umbria, le Marche, le Puglie, oltre quelle su citate. dà a d argomentare che ancora molto cammino si deve fornire p e r avere una completa rete stradale, che leghi la strada ferrata e' i littorali alle città e ai villaggi d'Italia. P e r quanto riguarda la legge del 1 3 luglio 1906 n. 383 sulle strade di allacciamento dei comuni isolati alla esistente rete stradale, non ho che insistere sulla proposta fatta lo scorso anno, cioè che quelle disposizioni siano estese alle frazioni dei comuni. Non è civile mantenere migliaia di cittadini isolati dal consorzio umano, sol perché l'abitato i n cui vivono non è u n


comune nel senso amministrativo della parola, ma solo una frazione. E dire che non son poche l e frazioni che toccano i quattro mila abitanti. La distinzione giuridica fra un comune e una frazione riguarda le ragioni dell'ente amministrato e non le condizioni topografiche dell'abitato e i mezzi di viabilità. - Altrimenti si arriva a questa ingiustizia patente che due centri di 1000 abitanti, ed egualmente isolati, sol perché il primo è comune autonomo ha diritto alla strada e l'altro perché è frazione non ne ha diritto. Del resto in via normale, tranne poche eccezioni, l e frazioni non sono molto lontane dai relativi centri, con i quali è logico e morale siano messi in comunicazione stradale. Inoltre è da richiedere che si consenta una revisione di elenchi o la formazione di elenchi supplettivi, ammettendo nuove domande di quei comuni, che p e r incuria o ignoranza d i amministratori o d'impiegati, non seppero nei termini voluti approfittare delle disposizioni di legge a loro riguardo.

Ho insistito sopra alcuni ritocchi necessari a far sì che dalle vigenti leggi del 1903 e 1906 si tragga il maggiore vantaggio possibile, senza modificare l'economia e la struttura giuridica ed economica delle disposizioni in vigore. Però resta sempre la grande lacuna di una legge organica che disciplini i l regime delle strade comunali obbligatorie, che ne sviluppi la rete, e che risponda a i più moderni criteri d i viabilità. E tale bisogno è sentito maggiormente nelle regioni montuose, ove la viabilità è più difficile e più necessaria ; nelle zone del latifondo, nelle provincie del mezzogiorno, ove la grande distanza dei centri abitati ha solo creato le arterie principali della rete stradale, senza dar luogo, come è avvenuto nei paesi disseminati di villaggi e città, a quella fitta rete stradale, che rende meno pressante il bisogno relativo per u n maggiore sviluppo alla viabilità comunale. Rifacendomi in proposito a quanto ebbi a svolgere nella precedente relazione, credo opportuno proporre anzitutto che all'art.


16 della legge del 20 marzo 1865 n. 2248 allegato F, sulla classifica delle strade comunali siano apportate le seguenti riiodifiche ed aggiunte: 1) Riconoscere come comunali tutte l e strade che congiungano le frazioni d i u n comune fra di loro, e non le p i ù importanti come è scritto alla lettera d); La ragione è evidente: i l carattere di comunale dato ad una strada comprende le ragioni di u n vero servizio p e r la communità degli abitanti: e non è la importanza cli una frazione, m a la esistenza d i essa, che crea rapporti di vero carattere comunale col resto de117abitato. 2) Aggiungere all'elenco come strade comunali, quelle che attraversano il territorio rurale del comune, p e r il servizio agrario degli abitanti del comune, congiungendo una larga zona rurale con i punti d i maggiore traffico. Accennai l'anno scorso alla grave questione delle vie agrarie, che attraversano lunghe estensioni di terre, perfino di 20 e 30 chilometri, senza incontrare u n abitato, senza attraversare una strada provinciale o nazionale. Tali arterie principali alla viabilità agraria non possono confondersi con le vie vicinali; esse sono d i natura essenzialmente comunali, a servizio della generalità degli abitanti; i quali vivono riuniti nelle grandi agglomerazioni rurali che sono i comuni del mezzogiorno, della Sicilia e d i alcune parti dell'alta e media Italia, e ogni giorno si recano a l lavoro dei campi, percorrendo p e r ore ed ore vasti territori inabitati. Però sarebbe inutile provvedere alle modifiche delle disposizioni organiche e di classifica, che regolano l a materia delle strade comunali, se rimarr,à insoluto i l problema dei mezzi per potere creare la rete stradale comunale che manca. È necessario che i comuni siano messi i n grado d i affrontare le spese di costruzione e manutenzione delle strade comunali. L'anno scorso si fece voto che oltre al concorso dello stato, venissero ripristinate le disposizioni a) e b) dell'art. 2 della legge del 30 agosto 1868, n. 4613, cioè: « a) una sovrimposta sulle tasse dirette non eccedente i l 5 p e r cento delle tasse erariali; b) una tassa speciale sui principali utenti n.


I1 criterio è rispondente al carattere e qualità d i servizio che rendono le strade comunali. Però è necessario stabilire che i comuni siano facultati a servirsi di tali entrate anche p e r la manutenzione delle strade comunali ; p e r evitare quel che accade sovente, che molte strade costruite sotto l'impero della legge del 1868 rimangono i n totale abbandono per mancanza d i mezzi. E d è urgente pel mezzogiorno che, indipendentemente da ogni altro provvedimento legislativo, almeno p e r la manutenzione stradale sia tolto i l divieto d i sovriinporre stabilito con la legge del 15 luglio 1906, rendendo così u n vero servizio all'agricoltura, a cui vantaggio si volle adottare quella disposizione. E oggi che i sussidii dello stato per le strade indicate alle lettere a) e C) dell'art. 1 della legge del 1868 sono quasi cessati, ( l a 30" ripartizione approvata nel 1906 portava la spesa d i sole L. 204.309) si può e si deve sciogliere Ia riserva da parte del governo per i l ritorno, con l e dovute modifiche, alla legge del 1868, perché la sospensione fatta con la legge del 1894 era solamente temporanea e transitoria. Insisto ancora sulla proposta d i .obbligatorietà dei consorzi intercomunali p e r la costruzione e manutenzione delle strade comunali, che attraversano p i ù territori, p e r arrivare a uno sbocco commerciale o al ricongiungimento con la rete stradale provinciale o nazionale, perché le divergenze fra comuni spesso creano veri stati d i abbandono di strade costruite con enormi sacrifici. Infine credo opportuno, per le ragioni esposte nella precedente relazione, che si ripeta il voto sulle trazzere d i Sicilia, perché siano dichiarate comunali e come tali classificate e rivendicate. I1 loro ripristino interessa vivamente tanto l'agricoltura che la pastorizia dell'intera regione. P e r le considerazioni suesposte, propongo che il congresso emetta i l seguente voto che riassume le modifiche necessarie alle leggi vigenti sulla viabilità comunale: '

I l X congresso dei comuni italiani p e r le considerazioni esposte nella relazione di cui prende atto,


1. rinnova il deliberato emesso nel I X congresso tenuto a Palermo nel maggio 1910 s i ~ l l aviabilità comunale; 2. propone che a modifica dell'art. 16 della legge 20 marzo 1865 allegato F: siano dichiarate comunali tutte le Strade che congiungano l e frazioni di rLn comune fra d i loro, o con le stazioni ferroviarie o scali di porti e laghi, e quelle che attraversando estese zone del territorio agrario d i u n comune lo, allacciano alla rete stradale principale o agli sbocchi commerciali; 3) propone che i sussidi governativi e le entrate indicate alle lettere a) e b) rlell'articolo 2 della legge 30 agosto 1868; n. 4613, si estendano alla manutenzione delle strade comunali; e che ooe occorre s i rendano obbligatori i consorzi intercomunali anche per la manutenzione d i quelle strade che attraversano pii1 territori comunali; e che si tolga a tale oggetto per i comunil del mezzogiorno i l divieto d i sovrimporre contenuto nella legge del 15 luglio 1906, n. 383. Roma, 6 giugno 1911

I L CONGRESSO DEI SINDACI A ROMA Importante oltre ogni dire è riuscito il X0 congresso dell'Associazione dei comuni italiani tenuto a Roma nei giorni 5, 6 e 7 giugno; non tanto per la solennità e concomitanza di feste, ricevimenti, garden parties, inaugurazioni che costituirono u n contorno vario, attraente, e non meno faticoso, quanto per l'importanza delle affermazioni, e dello spirito di esse. La seduta inaugurale e solenne dei sindaci d'Italia fu il 5 giugno al Corea, ove in pii1 di cinquemila, in un'affermazione solenne si votò l'ordine del giorno sulle libertà ed autonomie comunali. Questa grande e generosa bandiera, veramente italiana, fu l'àncora della libertà medioevale, fra i soprusi degl'imperatori, il dominio dei baroni e le fazioni di Guelfi e Ghibellini; e questa bandiera oggi, nella completa dedizione e vigliaccheria politica che incombe in Italia, sarà il risveglio di una coscienza collettiva e individuale, che è stata assorbita da un falso parlamentarismo trasformista, che vive di adattamenti, condiscendenze, soprusi, accentramenti, che violano ogni senso di libertà.


Ma se dieci anni di lavoro delllAssociazione dei comuni hanno a poco a poco ridestata la coscienza addormentata dei rappresentanti degli enti locali,-ed hanno fatto invocare le sante libertà contro la tirannide burocratica e politica; manca tuttora in molti, specialmente anzi soprattutto nel mezzogiorno, la coscienza dell'ente locale, trascinato com'è in tutti i pettegolezzi di partiti primitivi e personali, anche sotto i pomposi nomi d i partiti politici, in un ambiente fatto di astii, di dispetti, di vigliaccherie, d i tornaconti ... Solo la libertà., quest'aria salubre e rigeneratrice, unita alla maggiore responsabilità, potrà salvare l'ente locale dallo sfacelo. Questo nobile ideale, che avvince tutti i promotori dell'Asso; ciazione dei comuni, si traduce ogni anno in una serie di studi e di vivaci discussioni, su diversi argomenti d'indole amministrativa e tecnica. Quest'anno l'on. Meda di Milano riferì sul nuovo regolamento della legge comunale e provinciale che ribadisce le vecchie catene, e ne crea d i nuove alla vita comunale e provinciale. I l comm. Orefice di Brescia riferì su alcune questioni sanitarie, che sollevarono u n vivace conflitto nell'assemblea riguardo la questione del boicottaggio medico clie si esercita dall1Associazione nazionale dei medici condotti. La'questione pel primo fu affrontata dal nostro sac. Sturzo nel 1907 al congresso di Bologna, dal quale uscì la nota proposta di arbitrato, accettata dall'Associazione dei medici. Nel fatto ancora, non ostante molti lodevoli tentativi, non è arrivato a fare incamminare la lotta fra comuni e medici sopra un binario più. .. civile. I1 nostro sac. Sturzo riferì questo anno sulla viabilità comunale, sul quale oggetto aveva riferito a Palermo nel 1910. Nel numero scorso riportammo la relazione apprezzata per la sua tecnicità e sobrietà, ed approvata all'unanimità, dopo esauriente discussione sulle trazzere siciliane. L'on. Pietro Niccolini riferì sulle vie vicinali, anche lui ripigliando il tema del precedente anno. I l problema della viabilità è, dopo quello della istruzione,


il più grave problema del mezzogiorno e della Sicilia; e noi siamo orgogliosi che il nostro sindaco dal congresso d i Palermo a quello di Catania a quello d i Roma, porti alta e forte questa nota, e sostenga così valorosamente i nostri più vitali interessi. I1 comm. Bocca di Asti sul quarto d i rendita delle corporazioni soppresse, che l a legge diede ai comuni e la mala amministrazione dell'ente toglie e contrasta. Infine fu rieletto il consiglio direttivo; la maggioranza f u presa dai liberali, moderati e cattolici, e la minoranza dai radical-socialisti : il consiglio restò così composto : Greppi - presidente Bocca, Orefici - Vice presidenti Meda - Cassiere Caldara - Segretario Franco, Rodinò, Sturzo, Niccolini, Serragli, Campodonico, Tonari, Bonomi, Custini, Sighel, Finzi - Consiglieri. Quest'anno i comuni associati hanno superato i due mila, fra cui quasi tutti i capoluoghi d i provincia e d i circondario. È la marcia i n avanti u n po' stentata, ma sicura, delle libertà comunali. Loico (La Croce di Costantino, Caltagirone, 30 giugno 1911).

SULLA POLIZIA RURALE (*) ( a proposito della proposta di legge « Sui conkorzi rurali per la custodia dei campi nel mezzogiorno e nella Sicilia D, dell'on. P. Caso) Intendo limitare il soggetto d i questa relazione a poche osservazioni sulla questione generale della sorveglianza d i polizia rurale spettante ai comuni, e della tutela delle proprietà (*) Relazione al XI congresso nazionale dell'Associazione dei comuni italiani? tenutosi in Ancona ne1 giugno 1912.


e dei frutti delle campagne, e all'esame della proposta di legge d i iniziativa parlamentare sui consorzi rurali per la custodia dei campi nel mezzogiorno e nella Sicilia N. I1 mio compito è facilitato dal fatto che nel marzo testé scorso la camera dei deputati ha approvato la suddetta proposta, con quelle modifiche che erano state da me caldeggiate fin dall'anno scorso e accennate nella riunione del consiglio direttivo della nostra associazione tenuta a Torino il 22 ottobre 1911. Non riesce ~ e r òinopportuno il contributo che v i potrà dare il congresso dell'Associazione dei comuni italiani ; perché dovendo la proposta esser discussa dal senato del regno, presso la cui commissione di esame ha incontrato non lievi difficoltà. il voto favorevole di questo congresso insieme ai voti del15Associazione nazionale degli agricoltori italiani e dell'Associazione della cattedre ambulanti, emessi nell'aprile ultimo, potrà rappresentare l'autorevole espressione dei due principali interessati: i comuni e gli agricoltori. Risulta chiaramente dalla legge comunale e provinciale, fin dal primo inizio del regno d'Italia, la facoltà data ai comuni d i provvedere ai regolamenti di polizia rurale; i c u j t e r m i n i sono stati quasi normalmente precisati dall'art. 110 (già 63 del regolamento alla legge comunale e provinciale) e riguardano principalmente la comunione dei pascoli sui beni privati, la custodia degli animali, la tutela dal furto campestre, la manutenzione e pulizia delle vie vicinali, i consorzi delle acque, la distruzione degli animali nocivi all'agricoltura e simili. Ma quel che nelle disposizioni della polizia rurale ha sempre presentato non lievi difficoltà giuridiche e pratiche, è stata la custodia dei campi dai danneggiamenti, dai furti e dal pascolo abusivo. Questa materia naturalmente è regolata dal codice penale come repressione di reati: però non può sfuggire, per la natura della cosa, dalla vigilanza di corpi speciali di carattere locale, come ordinamento di prevenzione e di tutela dei cittadini, anche per l e difficoltà gravi della repressione, specialmente in determinate condizioni di luoghi, come nel mezzogiorno e nelle isole. Sono quindi naturalmente sorte da tempi remoti in forza


di usi e di tradizioni, e sotto diversi ordinamenti, istituzioni locali create dai bisogni collettivi, intese a prevenire e a reprimere tali reati e a tutelare gli interessi agricoli delle popolazioni; ordinamenti e istituzioni che hanno subito l e vicissitudini e l e incertezze di u n diritto mai' interamente affermatosi e spesso confusosi con le stesse prerogative regie, o con abusi feudali o con le consuetudini municipali. Quello che naturalmente ne veniva come conseguenza del bisogno, era la creazione di corpi di custodia, per lo più dette guardie campestri, sia per conto d i privati proprietari o di consorzi privati o di e s t i locali, che avessero insieme i l diritto e la forza per reprimere i reati e p e r tutelare i limiti delle proprietà, i frutti, le piante, le acque, i pascoli, le strade, e fare rispettare anche gli usi collettivi. I n Piemonte l'istituzione dei campari per la custodia dei frutti e dei possedimenti rimonta al decreto del 19 giugno 1430; ne era fatto obbligo ai balivi e ai castellani. E poscia nell'antica legge di P.S. ( 8 luglio 1854) del Piemonte, era stabilita la facoltà ai comuni di consorziarsi per la istituzione dei campari e guardie campestri; e nella legge 13 novembre 1859 si dava la facoltà ai consigli provinciali di disciplinare tale materia. I n Sardegna l e compagnie dei barracelli rimontano al secolo XIII; esse furono regolate con la legge 22 maggio 1853; e poi col R. decreto del 14 luglio 1898; tali compagnie sono vere società mutue di assicurazione, le compagnie d'armi, che col 1860 furono dette compagnie d i militi a cavallo, che col 1881 furono sostituite con le guardie di P.S. a cavallo e poi nel 1892 abolite. Lo sc'opo precipuo era la tutela della proprietà rurale. Nel nuovo ordinamento del regno non si hanno delle disposizioni legislative speciali né per i regolamenti d i polizia locale, né p e r la costituzione dei corpi di guardie campestri ; solo pochi elementi incerti si possono riassumere, come appresso:

A) P e r i regolamenti d i polizia rurale, oltre quel laconico e incompleto accenno della legge comunale e provinciale all'art. 126, cioè (( il consiglio comunale delibera intorno ... 6 O . . . come pure ai regolamenti di polizia locale attribuita dalla legge ai comuni e l'altro all'art. 192 (già 175) che dice: K sono obbli-


gatorie le spese ... per la polizia locale D, nonché al citato articolo 110 del regolamento alla stessa legge, si ha una notevole circolare del ministro dell'agricoltura Torelli, del 25 aprile 1865, dove vengono date opportune norme per la compilazione dei regolamenti di polizia rurale. I n essa al paragrafo VI è detto che tali regolamenti devono provvedere alla conservazione dei frutti delle campagne e di ogni prodotto agricolo .col prevenire i furti D. P e r quanto riguarda i pascoli, nella circolare si fa solo cenno dei regolamenti per i pascoli in comunione e non mai del .pascolo abusivo. Altre circolari furono emanate dal ministro dell'agricoltura il 30 novembre 1881 e 1'8 aprile 1885. Meglio e più che le circolari ministeriali la giurisprudenza amministrativa ebbe occasione di trattare della questione del pascolo abusivo nei riguardi dei regolamenti di polizia rurale, specialmente dal 1866 al 1875, perché in quel periodo quasi tutti i comuni o codificarono antichi usi locali, o rividero precedenti regolamenti nei quali si stabilivano misure restrittive al pascolo, specialmente caprino, confondendo spesso quel clie è competenza dell'autorità giudiziaria o perseguibile per querela di parte, da quel che è punibile per regolamento municipale. I1 criterio che prevalse in quel tempo fu sintetizzato dalla seguente massima del consiglio d i stato (22 maggio 1869): « Vi possono però essere dei fatti, i quali .se p e r al-cuni casi sono colpiti dal codice penale, possono per altri casi non preveduti da questo, e sotto altri rapporti essere regolati dai regolamenti municipali. Così quantunque il codice penale punisca nell'art 674 il reato di pascolo abusivo e nell'art. 672 n. 2 il danno recato col pascolo, nondimeno il regolamento di polizia rurale può disporre sul divieto dei pascoli inconciliabili coll'interesse generale del comune (art. 98 legge P.S.). I n questi casi, la contravvenzione consiste nella violazione dell'ordine « municipale, e quindi essa ricade nell'applicazione degli art. 146 e sgg. della legge comunale D. Però anche allora furono date molte decisioni perché i comuni nei loro regolamenti non eccedessero nelle disposizioni restrittive contrarie a i crlteri d i libertà d i industria, spesso


ispirate a u n vero sistema proibitivo; e si dovettero d'altro canto ammettere molte disposizioni, p u r esse gravi, che rendessero sempre più limitato e regolato l'uso del pascolo; fra cui l e disposizioni delle dichiarazioni scritte dei .luoghi d i pascoli, il permesso pel transito nelle strade, i l divieto d i pascolare sulle scarpate stradali, l e norme come condurre e tenere gli animali, i numeri dei custodi del gregge e simili. Dal 1886 ad oggi l a giurisprudenza si è andata volgendo sempre verso maggiore libertà e larghezza, e p e r cause diverse, che vedremo p i ù avanti, ne h a prodotto l'abuso; e si è arrivati fino a contestàre ai regolamenti d i polizia rurale i l diritto d i infliggere pene p e r fatti che la legge non contempla come reati, ma che p e r sé turbano l'ordinamento d i polizia e di tutela affidata ai comuni e ciò a proposito della grave questione del passaggio abusivo sui fondi aperti, affermando perfino che l'art. 63 (oggi 110) del regolamento alla legge comunale e provinciale che dà simile facoltiì a i comuni è incostituzionale ( C . S. sezioni riunite 18 ottobre 1907). Ma uri'innovazione radicale e profonda doveva venire con l a riforma del codice penale; e mentre il pascolo abusivo nel vecchio codice era u n reato di azione pubblica, divenne reato d i azione privata, e le stesse facoltà sancite negli antichi regolamenti di polizia rurale nelle revisioni successive subirono notevoli modifiche. L'effetto principale fu che la denunzia e il verbale delle guardie e degli agenti non costituiscono p i ù elemento di procedimento penale, occorrendo invece la querela d i parte ( a r t . 426 C.C.); al quale rimedio spesso nel mezzogiorno e nelle isole nessun ricorre p e r paura di una classe troppo pericolosa, che non d i rado arriva a i danneggiamenti d i vendetta e , d i rappresaglia.

B ) Corpi d i guardie campestri L'abolizione dei militi a cavallo e i l decadimento dei barracelli prima del 1898 sono gli ultimi fatti dello sfasciarsi d i vecchie istituzioni; mentre le guardie private, p e r l a poca disciplina, la nessuna autorità, la facile occasione all'abuso, i l nessun controllo politico rendevano l'opera loro tante volte inutile o dannosa.


Nella legislazione italiana non esiste nessuna disposizione \6~11a natura, istituzione e funzione delle guardie campestri, che possono essere corpi pubblici, se creati dai comuni come corpi d i polizia rurale; possono anche essere confusi con l e semplici guardie municipali, dislocate a servizio rurale. Invano nella legge comunale e provinciale e nel regolamento alla legge si cerca qualche disposizione specifica, tranne u n accenno d i sfuggita con la parola generica- d i agenti, ( a r t . 91 del regolamento vigente, gi,à 65, ove anche si. faceva menzione delle divise o distintivi). I1 ministro dell'agricoltura con circolare del 15 settembre 1873 raccomandava l'istituzione delle guardie campestri per l a polizia rurale e per la tutela della proprietà; e prima con nota del ministro dell'interno del novembre 1870 si. dichiarava che le deputazioni provinciali potessero obbligare i comuni a istituire tali servizi, e questo ribadiva i l 30 n o v e d r e 1881 i l ministro dell'agricoltura Simonelli, il quale pur riconoscendo'che la spesa p e r tali corpi non fosse categorizzata fra le obbligatorie, se il comune bisogno lo esigesse riteneva potersi obbligare i municipi a farlo, procedendo nelle forme di legge agli stanziamenti d i ufficio. Però i l consiglio di stato si era pronunziato fin dal 1866 che la spesa non fòsse obbligatoria; e che non potesse gravare alla sola contribuzione fondiaria con centesimi addizionali ( 5 maggio 1866); e che anzi se la custodia si limitasse p e r ragioni speciali a parte del territorio, si dovesse procedere con la costituzione d i consorzi volontari degli interessati e con le spese a loro carico ( 1 8 ottobre 1866); e infine che. i comuni potessero provvedere ai servizi d i polizia urbana e rurale con unico corpo d i !guardie municipali ( 1 maggio 1891). Sotto l'influenza di queste circolari e disposizioni, con difficoltà e incertezze, sorsero o si ricostituirono i n un certo numero d i comuni tali corpi di guardie campestri o privati o municip a l i ; p e r lo più male organizzati e mal pagati. E seguendo una antica tradizione, a preyenire i danni campestri, ai quali forse non d i rado potevano contribuire le stesse guardie, ché in alcuni posti divennero i naturali e occulti alleati degli abigeatari e d e i briganti di campagna, i comuni spesso posero a loro carico i l


rifacimento dei danni con la costituzione d i u n fondo speciale. P1 ministro dell'interno fin dal 10 agosto 1870 reputava che ciò fosse lecito ai comuni, stabilendo nei regolamenti d i polizia municipale l'obbligo p e r le guardie campestri d'indennizzare i danni e i furti che avvenissero nelle campagne affidate alla loro sorveglianza, facendo delle ritenute mensili sul loro stipendio p e r formare i l fondo onde sopperire all'indennizzo. Però in seguito anche tale forma d i assicurazione f u combattuta ed i l ministro dell'agricoltura i l 12 dicembre 1901 ordinava di doversi dal regolamento di polizia rurale eliminare l e disposizioni sulla responsabilità delle guardie per danni verificati nelle campagne e conseguentemente anche quelle che stabiliscono speciali norme per procedere all'accertamento dei dann i e alla relativa liquidazione. Purtroppo, mentre le vecchie istituzioni politiche speciali cadono o sono abolite, e quelle comunali e private sono scosse e per lo più languono, i regolamenti sono confusi e discordanti, l a giurisprudenza ingarbugliata, ingigantisce nel mezzogiorno e nelle isole la baldanza dei caprai, degli abigeatari, dei ladri di campagna ; p e r cui u n grido comune si solleva da tutti quelli che vedono così colpito - e non è esagerazione - il cespite delle vere attività economiche, cioè l'agricoltura. Raccolse l'eco d i questo grido i l ministro siciliano Di Rudinì i l quale con u n disegno d i legge del 30 novembre 1896 e modificato poscia dallo stesso il 13 aprile 1897 propose l'istituzione di u n corpo d i guardie campestri in Sicilia. Si trattava della istituzione d i u n corpo armato alla dipendenza del prefetto. con vere funzioni d i pubblica sicurezza e p e r reprimere l'abigeato. La proposta cadde, perché i n sostanza si creava u n altro corpo d i pubblica sicurezza-di stato, quantunque con carattere specifico che però avrebbe avuto dei naturali contrasti con l7ordinamento statale, senza i vantaggi veri e tradizionali degli ordinamenti municipali e locali. Però lo stesso Di Rudinì fu più fortunato con la Sardegna che con la sua natia Sicilia; e d il suo disegno di legge sui provvedimenti della Sardegna del 12 dicembre 1896 n. 362, poté arrivare ad essere approvato con due disposizioni fondamentali, cioè: a) la ricostituzione delle compagnie dei barracelli, che sono


tuttora regolate col R. decreto del 14 luglio 1898 emanato in forza della seguente disposizione di legge : art. 48: È data facoltà al governo del re di provvedere con speciali regolamenti ... (omissis)... alla ricostituzione delle compagnie dei barracelli ... Alla repressione dell'abigeato, del pascolo abusivo e dei danneggiamenti alle private' proprietà, con facoltà di comminare sia la confisca degli.animali trovati in contravvenzione, sia le pene stabilite dagli articoli 423 e 425 del codice penale »; b) l'altra, veramente modificativa del vigente codice penale, che dice (art. 80 del T.U. 10 novembre 1897 n. 894): N fino a nuova disposizione il pascolo abusivo e i danneggiamenti saranno considerati come reati di azione pubbl'ica ». Così giustificava la proposta l'on. Di Rudinì nella relazione fatta a l parlamento: (C Fra le cause che concorrono alla decadenza dell'agricoltura in Sardegna, sono da annoverarsi il frequente ed impunito danneggiamento delle proprietà private per spirito di vendetta o per odii personali, i furti di bestiame, nonché il pascolo abusivo, che specialmente nelle vaste regioni disabitate dell'isola, difficilmente può essere constatato nel momento nel quale avviene e quindi represso. Ad aumentare le difficoltà dello scoprimento degli autori si aggiunge l'obbligo posto dal codice penale alle parti che subiscono il danno di dare querela contro l'aiitore del medesimo, mentre date le speciali condizioni del luogo, non è sempre possibile ad esse avere gli elementi necessari per bene accertare l'autore e gli autori dei danni e per non esporsi quindi ad una controquerela ed alle conseguenze di un procedimento penale. In caso di danneggiamento fatto per odii personali o per vendètta, costringere il proprietario che subisce il danno a dare querela, può aggravare gli odii e portare gli interessati a maggiori eccessi, cioè alle violenze personali. Trattandosi poi di mupicipi e di enti morali che subiscono il danno, è ben difficile trovare sindaci e presidenti disposti a tutelare gli interessi ad essi affidati, in caso di danneggiamento, con un'azione vigorosa e cioè con l'autorità giudiziaria, la quale l i esporrebbe agli odii e alle rappresaglie dell'altra parte. a L'autorità giudiziaria dovrebbe pure in certi casi d'interesse generale poter agire d'ufficio in base a denuncia. Ad essa

'


infatti non mancano, con l'autorità di pubblica sicurezza, modo d'investigare e di raccogliere le prove tanto del danneggiamento quanto degli autori del medesimo, e questa istruttoria, che non può fare il privato, condurrebbe certo all'utile risultato di reprimere il reato, che tanta estensione ha preso in Sardegna, con pregiudizio della pubblica e privata proprietà M. Se le parole dell'on. Di Rudinì si possono applicare quasi per intero al me:zogiorno e alla Sicilia, e in parte anche ad altre regioni dell'Italia nostra, lo dica chi è giornalmente costretto ad occuparsi di tale servizio, lo dicano i sindaci, lo dicano anche gli agricoltori, che purtroppo subiscono continui danni per pascolo abusivo, che sono soggetti agli abigeatari di professione; e non è raro il caso di dover contare anche i danneggiamenti per rappresaglie e vendetta. Dall'altro lato è doveroso constatare che dalla ricostituzione delle compagnie barracellari in Sardegna si è ottenuto, a testimonianza di molti, il massimo risultato possibile sia per la polizia rurale che per la repressione dei reati. I1 carattere prevalente di mutua assicurazione di tali compagnie, che risponde a una tradizione quasi sei volte secolare, la possibilità di circoscriverle in ambienti agricoli ristretti e poco trasformati da una attività di scambi e dallo sviluppo d i altri interessi prevalenti, rende possibile questa forma di tutela che per forza di leggi e di costumi vive e prospera nel suo naturale ambiente. Mentre la provvida disposizione dell'art. 80 del T.U. riguardo la natura del reato del pascolo abusivo e dei danneggiamenti ha dato la necessaria forza e valore a questo corpo di guardie, la cui opera sarebbe stata vana, se non si fosse potuto colpire in forza di una legge che avesse affermato l a ragione collettiva, oltre che il diritto del privato, al procedimento penale.

Dal 1896 al 1910 passarono ben quattordici anni, senza che nessun provvedimento legislativo si fosse tentato per il mezzogiorno e la Sicilia sulla questione sempre per noi ardente e sempre di attualità della tutela delle campagne.


a.

Le inchieste sul mezzogiorno, i voti di pubbliche amministrazioni e di privati cittadini sulla vexata quaestio non fecero fare alcun passo avanti; e i provvedimenti pel mezzogiorno di sonniniana memoria, rifatti e travisati anche nella incompleta legge del 15 luglio 1906, si occuparono di molte altre cose ( f r a l e quali qualcuna inutile e dannosa), ma non si occuparono affatto delle gravi questioni della custodia e tutela dei campi, del pascolo abusivo, del furto campestre, del danneggiamento e dell'abigeato; come cosa che riguardasse solo l'ordinamento della polizia giudiziaria e del codice penale. Invece si trattava di una nuova legge di carattere sociale ed economico, d i notevole importanza, rispondente a seri e impellenti bisogni locali. La proposta di legge d'iniziativa parlamentare, presentata e svolta alla camera il 2 luglio 1910 dall'on. P. Caso sulla costituzione dei consorzi d i custodia rurale nel mezzogiorno e nella Sicilia ha segnato un progresso nella soluzione del grave problema; o meglio è servita ... a imterrompere la prescrizione! L'on Caso è partito da un dato di fatto e da u n concetto di prevalente natura economica dei comuni; e l'ha prospettata come la soluzione di un problema di gravissimo interesse, mà di carattere privato. Egli ha proposto la costituzione di consorzi obbligatori fra privati, con l'intervento del comune solo nel caso che sia possessore d i beni, per la costituzione di corpi di guardie campestri, che abbiano funzioni di guardie private e di agenti pubblici. Le spese di tale consorzio si sarebbero dovute ripartire cc i n ragione diretta dell'ammontare della rendita catastale dei terreni posseduti nel comune e inversa .della distanza di essi dal centro ». Un allegato alla legge dimostra approssimativamente quanto i comuni del mezzogiorno spendono per tale custodia, gravando l'importo sui magri ,bilanci, mentre spesso della istituzione di tali guardie si avvantaggiano proprietari e signori, che vivendo nelle città (specialmente i latifondisti) e perfino all'estero, non contribuiscono al comune sotto altre forme tranne che con la sola sovrimposta fondiaria, che poi per la legge del 15 luglio 1906 rimase fissa e inalterabile per i comuni del mezzogiorno. L t l t i m a leggina Giolitti discussa in questi giorni, toglie que-


sta anormale disposizione; ma non risolve affatto il problema d i cui discutiamo dal punto di vista finanziario, e forse i n qualche modo l'aggrava. Inoltre la proposta Caso stabiliva in forza d i legge (benché con altre forme) i l criterio animatore delle compagnie dei barracelli d i Sardegna, cioè la responsabi1it.à del corpo delle guardie campestri al risarcimento dei danni. A questo organismo però mancavano due elementi d i notevole importanza: a) la disposizione che il pascolo abusivo e il ' danneggiamento si dovessero considerare come reati d i azione pubbliza, b) l a municipalità del corpo delle guardie, come emanazione dell'ente pubblico naturale che h a l a vigilanza e la responsabilità della polizia rurale, le cui ragioni sono molto più estese della sola custodia dei campi p e r la tutela contro i danni e i furti campestri. Ciò rilevai io stesso al proponente, a diversi membri della commissione parlamentare e al consiglio direttivo della Associazione dei comuni. La commissione parlamentare (*), il 7 aprile 1911, accettò invece il criterio fondamentale della legge del consorzio obbligatorio fra privati indipendente dal comune, solo aggiunse l'articolo sul pascolo abusivo e sui danneggiamenti togliendolo d i peso dalla legge sopracitata sui provvedimenti per la Sardegna. Sopprimeva però la responsabilità solidale del corpo dell e guardie campestri se l'autore del danno non fosse scoperto. Inoltre semplificava la proposta d i legge p e r la parte contabile e amministrativa del consorzio, che opportunamente rimetteva ' ai regolamenti locali, e che doveva essere approvata dalla giunta provinciale amministrativa. La proposta fu trattata dalla camera dei deputati 1'11 marzo scorso; e l'assemblea legislativa, riformando i criteri del proponente e della commissione, aggiunse che i l corpo d i guardie campestri dovrà essere alla dipendenza del comune, riportandolo al suo naturale organismo, quale esiste per legge e per tradizioni

(*) La commissione parlamentare era coniposta dai deputati Aprile, Cascino, Pellegrini, Casolini, Chimienti, Valeri, Berenga, Berlingieri e Caso.


i n Italia; ed approvò nel resto, con pochi ritocchi, la proposta d i legge, secondo la relazione della commissione nel seguente testo : Art. .l Nei .comuni del mezzogiorno e della Sicilia alla custodia delle proprietà rustiche e private, dei beni demaniali, comuml2 e d i uso pubblico, all'osservanza delle disposizioni di polizia rurale e d alla vigilanza delle case rurali e degli armenti può; essere provveduto mediante un. corpo d i guardie campestri alla dipendenza del comune e a spese d i u n consorzio f r a tutti i proprietari dei fondi rustici esistenti nel territorio comunale compresol f r a essi il conune quando possieda proprietà d i tale natura. Al superiore testo si dovrebbe aggiungere l'art. 4 della legge sulla Sardegna, citato nel corpo di questa relazione, e la facoltà d'introdurre nei regolamenti locali la responsabilità solidale delle guardie per i danni e i furti in cui autori non vengano scoperti. Dato il testo della proposta di legge, non sembra che occorra l a dichiarazione che i comuni sono sgravati dalle spese che sopportano per l e guardie campestri, potendo solo contribuire per una quota facoltativa al maggior sviluppo del servizio, o anche se non integrativa secondo i criteri di opportunità, ai quali si possono ispirare i consigli comunali. Questa proposta di legge ha riscosso il plauso di tutto il mezzogiorno e della Sicilia, invocanti che sollecitamente fosse approvata dal senato. Però con vivo rincrescimento si è appreso c h e al senato tale proposta ha incontrato agli uffici nella commissione (*) di esame serie opposizioni. La presidenza del consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni, con nota del 18 aprile ultimo scorso, comunicò alla presidenza del senato il voto emesso nella seduta del 15 aprile;

(*) Essa è composta dai senatori Melodia, Borraco, Mele, Ragano, Gramaschelli e Sandrello.

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e l'Associazione degli agricoltori italiani e il congresso delle cattedre ambulanti, tenuto i n quei giorni a Roma, su relazione del sottoscritto, fecero lo stesso ; così come molti consigli comunali e provinciali del mezzogiorno manifestarono l'unanime consenso formatosi attorno alla proposta dei consorzi rurali p e r la custodia dei campi, e sollecitarono la presidenza del senato p e r la approvazione. Sembra che l'opposizione senatoriale al disegno d i legge si basi su cinque punti principali: 1 ) non sembra opportuno che la minoranza dei proprietari obblighi la maggioranza a costituirsi in consorzio. A questa obiezione si risponde che se il consorzio si dovesse costituire solo con l'adesione della maggioranza cesserebbe quasi la ragione della obbligatorietà. La proposta d i legge esige tre elementi: i l voto del quar* dei proprietari, i l voto dei 213 del consiglio comunale e il decreto del prefetto; e ciò perché siano garantiti i n tutti i modi gli interessi dei possibili dissenzienti; i quali anche possono ricorrere contro i l decreto del prefetto alla I11 sezione del consiglio di stato. Se per formare i l consorzio si dovesse raccogliere la maggioranza dei proprietari con le forme volute dall'art. 2 della proposta di legge, i n ben pochi comuni, e forse in nessuno, dato specialmente lo spirito individualista del mezzogiorno, si arriverebbe a formarlo.

2) Non sembra opportuno obbligare i proprietari che tengono i loro custodi, a pagare anche i custodi del consorzio. Questa difficoltà sorge dalla forma e ragione ordinaria data alla proposta di legge dell'on. Caso, cioè di corpo d i custodia privato; mentre dalla opportuna modifica della camera si è trasformata i n corpo d i guardie municipali campestri, che hanno non solo l a custodia dei campi ma la vigilanza della polizia rurale. Sotto questo aspetto cade la difficoltà che si è affacciata alla commissione senatoriale e si chiarisce meglio l'obbligo del contribuente a corrispondere la quota per il vantaggio che ne risente sia direttamente che indirettamente. P e r questo lato si dovrebbe fissare anche una quota d i contributo da parte del comune per servizio generale; m a la forma


accennata nel corso della presente relazione mi sembra più rispondente alle condizioni locali. Ma inoltre c'è una ragione specifica che milita contro q u e sta obiezione, che coloro che tengono i propri custodi sono i grandi proprietari e latifondisti, i quali per ragione della loro ricchezza hanno doveri sociali maggiori degli altri, anche nei rapporti degli altri piccoli e medi comproprietari, con i quali formano un tutto agrario inscindibile nel contatto delle grandi e piccole energie economiche. Del resto se la loro custodia privata è superflua possono abolirla; se non è superflua, renderà loro ben altri e diversi vantaggi che debbono quindi entrare nelle spese dalle quali non possono esimersi indipendentemente dalla costituzione dei corp i d i custodia.

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3) A tali corpi di custodia debbono provvedere i comuni. Quest'asserzione è vera; quando però i comuni sono messi i n grado di potervi f a r fronte, e non sono costretti, dalle magre risorse delle tasse e dall'aumentare dei servizi pubblici, a lottare con le più gravi difficoltà finanziarie. Oltre a ciò c'è da rilevare che, nelle specificazioni delle classi e delle industrie, nel differenziarsi dei centri urbani dai rurali, non è giusto colpire il consumatore non proprietario con tasse indirette o l'operaio e il cittadino con tasse d i reddito urbano e industriale, per un servizio eminentemente, agrario. Se a i comuni si desse l a facoltà d i aumentare dei centesimi addizionali sui terreni, per devolverne il ricavato alla costituzione d i tali corpi d i guardie, la questione del consorzio o d i altro ente potrebbe avere solo u n valore morale e politico d i prevalente carattere locale, e non mai u n valore economico e d i servizio pubblico. P ) ~ i c h i a r a r eil pascolo abusivo e i l danneggian~errtocome

reato di azione pubblica .non corrisponde a i nostri principi cli diritto Una forte risposta che ha i l valore di u n fatto compiuto, è il testo di legge per la Sardegna dal quale è stato riprodotto l'art. d i legge in discussione. Allora, di fronte ai provvedimenti urgenti della Sardegna, non si ebbe alcuna di%coltà, non sorse neppure discussione su tale proposta nè. alla


camera dei deputati nè a quella dei senatori, ed era la prima volta che si discuteva su ciò e a poca distanza d i anni dal nuovo codice penale. Sarà una legge eccezionale; anzi è una legge d i carattere eccezionale affermata nelle parole del legislatore: « fino a nuova disposizione ... )I. Si deve perciò vedere anzitutto se tale legge d i eccezione h a portato inconvenienti e quali in Sardegna, i n quindici anni da che f u applicata. Un coro d i voci risponde che è una legge che h a ridato la tranquillità turbata a quelle ca'mpagne, -ed ha contribuito a meglio educare lo spirito pubblico al rispetto della proprietà rurale. Sorge dopo ciò naturale la domanda, se il mezzogiorno e la Sicilia si trovino i n condizioni eccezionali da aver bisogno di tale legge. Chi è cieco e non vede dirà di n o ; ma chi conosce le condizioni del mezzogiorno e della Sicilia, e forse anche d i altre regioni, dirà che i l provvedimento è in ritardo di molti e molti anni. La distanza enorme da una città all'altra, e la forte agglomerazione rurale nel mezzogiorno e nella Sicilia rende i n gran parte disabitati i campi, anche quelli coltivati intensamente. I1 frazionamento poi dei demani quotizzati e delle terre censite ha moltiplicato la piccola proprietà dove non di rado manca la casetta p e r u n colono. Non è poi raro il caso che i l latifondo arrivi sino alla porta d i u n comune, e segreghi dall'abitato la proprietà frazionata dei suoi abitanti; e per giunta avviene qualche volta che molti proprietari che abitano in u n comune abbiano le loro proprietà rurali migliorate nel territorio d i u n comune limitrofo. I lavoratori vanno la mattina al campo e tornano la sera nel comune, e in generale la custodia privata dei fondi non esiste che i n qualche parte del territorio d i u n comune. La mancanza d'acqua, la malaria, la viabilità scarsa e difficile fanno spesso allontanare l e famiglie dalla permanenza sui campi. La popolazione sparsa i n rapporto all'agglomerato è in molti luoghi addirittura insignificante. Queste condizioni sono aggravate dal fatto che, nel mezzogiorno e nella Sicilia. l'industria delle capre da latte per l'uso comune è estesa in modo straordinario, anche perché mancano latterie di vacche, e per-


chè quasi tutti preferiscono, certo per abitudine, il latte di capra. Condizioni economiche poi e tradizioni invincibili contribuiscono al fatto normale che tali capre sono mantenute col pascolo nelle trazzere, sui margini dei fiumi, sulle scarpate delle strade e col pascolo abusivo. P e r giunta a tutto ciò, forse per atavismo e per la segregazione di classe dal resto della vita cittadina, molti caprai, quasi dappertutto, formano una parte non indifferente dell'elemento di fondo della malavita, della mafia, della prepotenza locale; appartengono spesso a vaste associazioni offensive e difensive, e si mettono in relazione con gli abigeatari e i ladri delle campagne. I1 contadino, l'agricoltore e il proprietario n e hanno paura; essi in certi paesi non vanno mai a deporre in pretura come testimoni, nè pensano affatto a querelarsi contro i caprai: temono che al danno del pascolo abusivo si aggiunga il danneggiamento per vendetta e rappresaglia; e non è timore infondato. Questo stato di cose è generale - almeno i n Sicilia - e giustifica il provvedimento sia pure di natura eccezionale. Ciò dico senza voler discutere sulle ragioni giuridiche della disposizione del codice penale vigente, e senza volerne alterare le linee e i contorni; benchè in questo tema molto ci sarebbe da discutere, che esula dal compito della presente relazione. Certo si è che la prova del fatto che nessun inconveniente di alcuna natura è stato mai segnalato nell'applicazione di tale disposizione i n Sardegna, è un valido argomento a sostegno della nostra tesi. E credano che la Sardegna è proprio in Italia; come la Sicilia e il mezzogiorno continentale. I

5) Infine restringere la legge a l solo mezzogiorno e alla Sicilia non è rispondente a i giusti criteri di legislazione nazionale. Che sia opportuno che la proposta di legge si estenda a tutto il regno fu rilevato da alcuni nella discussione del tema fatta dal consiglio direttiva dell'Associazione dei comuni. Si comprende bene che una legge vantaggiosa per tutta la collettività non si deve restringere a parte della nazione. Dare la facoltà ad altri comuni del regno a poter creare tali consorzi se l e condi-


zioni locali lo chiedano, è un atto di dovere e d i sapiente apprezzamento politico. Benchè a prima vista non sembri che questa legge possa trovare pratica applicazione dappertutto, p e r le diverse condizioni e d esigenze locali, pure in casi determinati potrà essere utile p e r quanto riguarda i corpi d i custodia e i relativi consorzi. Non sembra che possa dirsi lo stesso p e r l'articolo che caratterizza il pascolo abusivo e il danneggiamento come reati d i azione pubblica, poichè tale disposizione è basata su condizioni specifiche che forse mancano a gran parte del resto del continente; e quindi dubito della opportunità di estendere questa disposizione a tutto il regno. Ad ogni modo non ho argomenti a l riguardo p e r potere discutere la convenienza e mi rimetto all'altrui opinione. Riassumendo: i criteri e le disposizioni della proposta dell'on. Caso sui consorzi di custodia rurale, come nel testo approvato dalla camera dei deputati, sono tali, che p u r essendo migliorabili in qualche dettaglio, possono e debbono approvarsi, perché l'agricoltura del mezzogiorno e della Sicilia sia meglio tutelata; e perchè i comuni possano senza aggravi, anzi con sgravi d i spesa, meglio provvedere con corpi organici alla polizia rurale. Onde è da augurarsi che il senato, superando le difficoltà avanzate e secondando i yoti del paese unanimi e concordi, approvi la presente proposta di legge che ha formato oggetto d i questa sommaria relazione. Presento quindi i l seguente ordine del giorno: « L'XI congresso dell'Associazione dei comuni italiani, « - riconosciuto i l vantaggio notevole che porterà all'ordi« namento comunale sulla polizia rurale e all'agricoltura locale « la proposta di legge sui consorzi rurali per la custodia

dei

« campi nel mezzogiorno e nella Sicilia d'iniziativa parlamen« tare approvata dalla camera dei deputati 1'11-3-1912,

« - riconosciuto che risponde a sani ed equi criteri d i finanze « locali gravare le spese di tale consorzio sulla proprietà fon« diaria rurale, con opportuna distribuzione d i oneri, i n rappor-


to ai vantaggi, alleviando così i bilanci comunali troppo oberati ; (C - riconosciuto che il voto del quarto dei proprietari e dei 213 del consiglio comunale, perchè il consorzio sia costituito, C( contempera opportunamente i diversi interessi e le varie corC( renti locali, e garantisce l a società della istituzione delle guardie campestri ; -riconosciuto infine che per condizioni speciali del meza zogiorno e della Sicilia, formate da antiche tradizioni e da C( ragioni economiche e sociali diverse, sia da estendere a quelle regioni l'art. 80 del T. U. della legge 27-3-1907 sui provvedi(C menti p e r la Sardegna che riguardano il pascolo abusivo e i danneggiamenti come reato d i azione pubblica; - riconosciuto che sia da estendere anche ad altre regio« n i i l provvedimento sui consorzi rurali secondo le esigenze e i bisogno locali; (C - visto il testo del disegno d i legge, inteso il relatore, se« condando i voti unanimi delle popolazioni interessate - -

fa voto clie i l senato della repubblica approvi sollecitamente l a pro« posta d i legge sui consorzi rurali informata a veri e 'alti inteC( ressi civici ed economici del mezzogiorno e della Sicilia n. (C

Ancona, giugno 1912.

INTORNO ALL'APPLICAZIONE DELLA LEGGE DANEO-CREDARO NELL'ISTRUZIONE PRIMARIA E POPOLARE (*) Non è mio compito far della critica alla legge 4 giugno 1911 comunemente detta Daneo-Credaro, sull'istruzione primaria e (*) Relazione al XII congresso nazionale dell'Associazione dei coniuni italiani, tenutosi a Milano nell'aprile 1913.


popolare; critica che del resto si baserebbe tuttora O su criteri aprioristici o su elementi incompleti, non essendosene fatto quell'esperimento che è necessario perchè una vera critica riesca utile ed abbia caratteri pratici e costruttivi. Ammettiamo, adunque, la legge p e r quella che è; rileveremo solo quelle diffico1t.à pratiche e quelle interpretazioni e deformazioni, che, nella costituzione e nel funzionamento delle amministrazioni provinciali, nei rapporti coi comuni, nello svolgimento dell'attività scolastica, portano degli inconvenienti che giova fare oggetto di qualche discussione. Come si vede, è u n compito molto modesto il mio, e VUOI essere u n contributo pratico ad u n problema importantissimo, l a scuola, che l'Italia ha coraggiosamente affrontato e sostanzialmente, se non nella forma, avviato a soluzione.

L'amministrazione scolastica provinciale e i suoi organi Una prima questione si presenta a chi studia l'attuazione dell a legge 4 giugno 1911, se cioè l'amministrazione scolastica provinciale sia u n ente giuridico autarchico oppure u n organo d i amministrazione statale. La questione a prima vista può sembrare superflua, per quanto elegante; ma ha una portata pratica che è bene mettere in rilievo, e che influisce su molti provvedimenti da adottarsi e sullo spirito dei regolamenti generali che le norme d i attuazione della legge stessa. Al ministero della P.I. prevale la seconda ipotesi, cioè che si tratti nè più nè meno che d i un organo speciale e decentrato d i amministrazione statale. A questa concezione si arriva attraverso i vari stadi d i elaborazione della legge, nel cui ultimo rifacimento fii tolta la frase e il concetto di consorzio fra i comuni della provincia, con i l carattere autonomo; e sembra si sia voluto investire il vecchio consiglio provinciale scolastico, trasformato e riorganizzato, d i funzioni amministrative, oltre a quelle di controllo. I1 direttore generale della istruzione primaria e popolare, comm. Corradini, nella sua relazione sull'applicazione della leg-


ge 4 giugno 1911, partendo da tale premessa, asserisce clie « la « amministrazione scolastica è u n organo di stato, che in una « determinata zona di territorio esercita i l servizio pubblico non « più i n nome proprio, non avendo personalità giuridica, ma i n nome appunto dello stato, di cui rappresenta una nranus e « pel quale esercita quel servizio. P e r cui l'attuale organizzazione (( provinciale non è altro che un decentramento burocratico 1) (vol. IV). Sta d i fatto che il parlamento escluse dal disegno d i legge quei termini che indicassero la costituzione di u n consorzio tra i comuni con carattere autarchico; non ne deriva però che si sia voluto creare u n organo statale, che operi i n nome d i esso. Questo concetto non è espresso da nessuna frase della legge, e ripugna anzitutto al carattere fondamentale e tradizionale dell a scuola primaria e popolare, che è una scuola comunale. I comuni sono rimasti radicalmente anche con la legge presente, i legittimi amministratori e rappresentanti diretti o indiretti della scuola, o perchè ne mantengono l'amministrazione, o perchè, p u r non avendola, ne mantengono gli oneri sulla finanza propria, ne nominano i rappresentanti al consiglio provinciale scolastico, provvedono agli edifici, agli arredi, all'assistenza. Nè la legge h a assunto i l carattere d i conquista d i parte dei patrimoni e dei redditi comunali, rappresentati dai fabbricati, arredi e capitale dei contributi annuali consolidati, per passarli allo stato, a mezzo d i organi decentrati; ma è, invece, una legge d i cooperazione e d'integrazione p e r la parte finanziaria, e, dal punto di vista funzionale, di specializzazione e di raggruppamento di servizi. Così, mentre si è ritenuto che molti (non tutti i comuni) fossero impari a sostenere l e spese della istruzione primaria e popolare, onde lo stato ne ha integrato i mézzi; si è pure ritenuto ( a torto o a ragione non importa) che molti organi comunali non fossero amministrativamente e tecnicamente sufficienti a curare l a pronta e migliore attuazione di tali provvedimenti legislativi ; ' onde la funzione d i essi è stata demandata ad u n organismo provinciale specifico e rappresentativo dei diversi interessi convergenti nella scuola. Dalla legge e dagli stessi precedenti parlamentari, 15ammi-


nistrazione provinciale scolastica viene fuori come un organo che amministra le somme che pagano i comuni o che comunque sono destinate alla scuola (art. 6 e 7), integrate da quelle dello stato (art. 20 e 21). I n forza di quale disposizione si vuole dedurre o arguire che essa rappresenti lo stato in tale amministrazione? Sarebbe più logico affermare che amministra i n nome di quei comuni che eccezionalmente sono dichiarati interdetti per insapacità, in confronto agli altri che sono riconosciuti capaci. Che possa essere questa una conseguenza giuridica (se non voluta) della legge, o almeno che non sia conseguenza della legge l'opinione manifestata dal Corradini, si arguisce chiaramente dalla creazione (nella stessa legge) di un organo governativo di controllo di determinati, anzi dei più importanti atti amministrativi quali i bilanci e le relative variazioni, l'assegnazione di somme per gli edifici scolastici e simili; e dagli atti parlamentari si rileva chiaramente trattarsi di un organo statale ( l a delegazione governativa) vicino a quello che il legislatore reputava non poter essere organo statale ( i l consiglio provinciale scolastico). E se così non fosse, ne verrebbe di conseguenza che, per determinati atti di carattere governativo, quali nomina di maestri, approvazione di bilanci e variazioni simili, il consiglio scolastico avrebbe una vera delegazione dei poteri ministeriali e parlamentari, il che è contrario a ogni sano principio di diritto amministrativo e pubblico. Insistendo sui rapporti giuridici con i maestri, rapporti che si creeranno subito e la cui discussione è già sul tappeto, si domanda: i maestri elementari che passeranno con le scuole all'amministrazione provinciale scolastica, con quale ente legano i loro rapporti economico-giuridici di contratto di servizio? Con l'amministrazione provinciale, con i comuni o con lo stato? I1 direttore generale dell'istruzione primaria risponde senz'altro: con lo stato ; e vuole rafforzare la sua tesi col fatto che i maestri saranno pagati con ruoli di spese fisse dalle tesorerie provinciali di stato. Sta di contro che i maestri vengono nominati dal consiglio scolastico provinciale, e non per decreto ministeriale: e che gli atti del consiglio sono definitivi, soggetti solo a ricorso a i sensi dell'art. 52 della legge. Sta d i contro la


teoria che non è ammessa la delegazione dei poteri; non può quindi crearsi nel maestro la figura d i impiegato di stato ; il qual e ultimo debha rispondere anche giudizialmente d i fatti non propri, come in cause di danni per riconosciuto ingiusto licenziamento o p e r aItro che sorga nei rapporti di contratto col maestro elementare. Non è più logico che risponda l'ente amministrazione provinciale scolastica, con i propri bilanci e le responsabilità dei suoi atti? Un'ultima obiezione: la legge lia conservato, ricostruendolo, i l vecchio consiglio scolastico provinciale, con prevalenti funzioni tutorie; la gestione di fondi è secondaria e formale. Anzitutto, non è nuovo nella legge u n organo amministrativo che abbia funzione tutoria; prima della istituzione delle giunte provinciali amministrative, la tutela dei comuni era affidata alle deputazioni provinciali, che sono organi amministrativi. Inoltre la legge non distingue le funzioni in principali e accessorie; e a dire i l vero la funzione tutoria, col passaggio allo stato della maggior parte delle scuole, si riduce di molto, restando principalmente quella amministrativa. Ad ogni modo, le due funzioni non sono antinomiche, e possono coesistere anche in enti giuridici ; e se non risulta che l'amministrazione provinciale scolastica sia u n ente giuridico si hanno forti argomenti contro la figura di u n organo statale; se f u escluso che rappresenti il consorzio dei comuni della provincia, non si può escludere che non ne abbia la legittima rappresentanza amministrativa; e se lo stato finanziariamente integra l'azione dei comuni che amministrano la scuola direttamente, lo stesso può affermarsi che faccia per quei comuni che, ritenuti inadatti, sono amministrati da un organo speciale; nel quale sono rappresentati d a elementi che ne sono emanazione diretta. La legge ha creato, è vero, u n organo ibrido; la giurisprudenza, i regolamenti, la coscienza del paese, il diritto fondamentale dei comuni lo rimetteranno sul binario di una figura giuridica determinata, cioè di u n ente amministrativo di interessi collettivi specifici, come la congregazione d i carità nel r a m o della heneficienza; con diritto a possedere, ereditare, svil u p p a r e le proprie energie e svolgere le proprie attività p e r forza interna e non per esterna e burocratica rappresentanza.


Questo dovrebbe essere lo spirito di quei provvedimenti che si vanno attuando, attorno al nuovo ente e organo che dir si voglia, e che implicano diversi e non lievi problemi pratici. Dalla questione generale, passo ad alcuni rilievi pratici sulla costituzione e il funzionamento del consiglio scolastico provinciale. a) Nella elezione dei rappresentanti dei comuni a l consiglio scolastico provinciale, è stata dal ministero della P.I. stabilita la simultaneità della nomina; e quindi è stata dichiarata nulla l'elezione rimandata i n seconda convocazione, o fatta d'urgenza dalla giunta municipale. A parte il criterio che ha indotto il ministero a prescrivere la simultaneità, non imposta dalla legge, si è violato i l diritto dei comuni, quando si è voluto i l numero legale della prima convocazione o si è privata la giunta municipale di surrogare il consiglio in via d'urgenza, nel caso d i mancato intervento; mentre i due istituti sono i n correlazione nel funzionamento comunale. Quindi a molti comuni è stato reso impossibile l'esercizio del diritto di concorrere alla nomina dei membri elettivi comunali del consiglio scolastico provinciale. Le leggi elettorali, quando impongono la simultaneità riducono i l numero valido alle elezioni; e l a legge comunale e provinciale, con la facoltà alla giunta municipale d i assumere d'urgenza le funzioni del consiglio, provvede ai casi nei quali u n comune perderebbe comunque u n diritto da esercitare o u n interesse da tutelare. I1 ministero della P.I. non fece nè l'uno nè l'altro, ispirandosi a concetti giuridici che non hanno precedenti nella nostra legislazione. b) Si discusse fin da principio se il consiglio scolastico provinciale dovesse tenere le sedute pubbliche tranne per gli argomenti personali, come i consigli comunali e provinciali. Parecchi consigli scolastici ritennero questa tesi e la adottarono. Però, i l ministero della P.I., sentito i l consiglio d i stato, fu d i opposto avviso; e tutte le sedute si tengono a porte chiuse. È logica conseguenza questa dell'opinione dei dirigenti la istruzione popolare che i consigli scolastici sono organi statali? Intanto si toglie i l controllo immediato dei cittadini, che assistendo ai pub-


blici dibattiti degli enti amministrati, possono meglio interessarsi e partecipare a quella vita e attività che è sempre civica e collettiva. Forse, si vuole arrivare alla conseguenza d i negare l'azione popolare nei riguardi delle spese e dei bilanci che il consiglio scolastico discute e delibera; forse non si vuol riconoscere i l diritto dei cittadini a sapere perchè un progetto di edificio scolastico non venga approvato; o a rilevare gli atteggiamenti che assumono i rappresentanti dei corpi elettivi, per giudicare se meritano oppur no la conferma della fiducia cittadina. Sono criteri questi non solo di ordine morale, ma anche di ordine giuridico; contro i quali si aderge la tendenza ministeriale di ridurre il consiglio scolastico a un organo burocratico. C) Infine u n problema d'ordine funzionale dovrebbe essere risoluto dal ministero, prima che si effettui il passaggio delle scuole all'amministrazione scolastica ; cioè il problema dell'ispettorato nei .rapporti con la deputazione e il consiglio scolastico. Fino a che i comuni ritengono l'amministrazione della scuola, i capi-servizio, i direttori, i capi-gruppo rispondono verso i l comune dell'andamento del servizio stesso, della disciplina, dell'osservanza degli orari, nonchè dei rapporti di inconvenienti O altro che nella scuola possa accadere. Col passaggio della scuola all'amministrazione scolastica, i consigli e le deputazioni scolastiche non hanno funzionari propri direttivi e ispettivi; anzi gli stessi direttori esistenti, se ne hanno i requisiti, passeranno o son già passati a vice-ispettori alla dipendenza dello stato (art. 81). Ciò può confermare l'opinione da me espressa che il consiglio sco.lastico provinciale non è organo dello stato; però toglie a questo nuovo organismo ogni contatto con la scuola e ogni esercizio di controllo sul funzionamento- di essa; e tende a irrigidirne le funzioni, a menomarne ogni iniziativa creando una sovrapposizione, irresponsabile nei rapporti con ,gli organi scolastici provinciali, degli elementi tecnici e dei funzionari statali. È naturale quindi che nel provveditore prevalga l'impiegato sul presidente del consiglio e amministratore insieme; e che l'ispettorato resti estraneo alla nuova vitalità provinciale, che nei promotori voleva essere l'organo di contatto tra la scuola, gli enti locali e le popolazioni. Forse la questione non si prospetta nella sua chiarezza e realtà, perché


l e scuole sono ancora in mano ai comuni; però nel primo anno d i funzionamento dei nuovi organi qua e là si è potuto rilevare qualche inconveniente pratico, che resta indice di un male profondo ; i probabile conflitti metteranno a nudo il grande inconveniente; tranne che i consigli non si adagino nello svolgimento d i funzioni automatiche, mostrando solo attività e autorità verso quei comuni ( e saranno i migliori) che avranno mantenuto, o per obbligo legale o per facoltà, l'amministrazione della scuola primaria e popolare. Riassumendo questo primo punto, è da augurare che il regolamento definitivo sulle amministrazioni scolastiche provinciali, sui suoi organi e sul suo funzionamento sia fatto in modo che:

.l) non si abbia la preoccupazione di restringerne 1'attivit.à o renderla automatica, burocratica, sterile; 2) che si chiariscano i rapporti patrimoniali e giuridici dell'ente specialmente intorno al contratto di servizio con i maestri ;

3) che nelle elezioni dei rappresentanti comunali si ammetta, per la validità, il numero di seconda convocazione dopo un'ora; o la facoltà alla giunta municipale, nel solo caso di mancato intervento, di sostituire il consiglio ai sensi dell'art. 316 della legge comunale e provinciale;

4) che le sedute dei consigli scolastici siano pubbliche. ai sensi della legge comunale e provinciale; 5) che non si sottraggano i vice-ispettori i quali dirigono le scuole nei comuni, alla dipendenza dell'amministraziane grovinciale, e che possa l'azione ispettoriale essere in coordinazione all'attività e all'indirizzo degli organi provinciali, consiglio e deputazione scolastica, in modo da escludere il dualismo o l'indipendenza.

Rapporti con i comuni Molto ci sarebbe da dire su questo argomento: credo però più opportuno limitarmi alle osservazioni più urgenti. a) Vi è una categoria di comuni ai quali è lasciata la facoltà

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di ritenere l'amministrazione delle scuole o incondizionatamente (art. 12) o sotto date condizioni (art. 16). Dalle informazioni avute, dalla tendenza abbastanza nota della Minerva, gli organi governativi insistono per ottenere che tali comuni rinunzino alla facoltà avuta, o non ne ottengano l'autorizzazione. E nella maggior parte dei casi ci riescono, con l'argomento persuasivo delle maggiori spese che andranno a carico dei comuni stessi. A parte ogni preoccupazione teorica, a volere esaminare la cosa da u n punto d i vista pratico e strumentale, i l ministro della P.I. dovrebbe spingere i comuni suddetti a mantenere l'amministrazione delle scuole, per avere elementi concreti e non aprioristici p e r u n razionale esperimento e un confronto concreto tra i nuovi organi provinciali e i comuni, ,che l a legge stessa h a ritenuto atti a continuare la direzione e amministrazione delle scuole. Tanto più che fin oggi non si è effettuato il passaggio delle scuole degli altri comuni all'amministrazione provinciale, n è si prevede che passeranno tosto. E quindi non si è avuto agio a rilevarne i vantaggi e gli svantaggi; sì da potere i comuni diciamo così privilegiati decidersi, con dati di fatto e razionalmente, sulla via da seguire. P e r giunta oggi i l ministero della P.I. non h a presentato i l disegno d i legge sulle agevolazioni da dare ai comuni che mantengono l'amministrazione della scuola, ai sensi dell'art. 21 ultimo comma della legge. Vero è che i termini stabiliti dalla stessa legge scadono col 1915; però sarebbe atto d i oculato governo proporre fin da ora le agevolazioni da accordare, i n modo che i comuni sappiano in che cosa si concretizzi il loro diritto; e si apra quella discussione pubblica che sempre prepara il terreno alle leggi e indirettamente vi collabora. D'altro lato, benc h è il problema della scuola comunale per molti sia u n sacro principio d i libertà, nessuno può rifiutarsi d i esaminario nella sua portata finanziaria, non solo nei riguardi del comune, ma anche nei riguardi stessi della scuola, che non può rimanere intristita nella sua vitaliti e nel suo svolgimento per mancanza d i mezzi sufficienti. P e r questa stessa ragione, oltre che per le ragioni suddette tra cui principalmente i l fatto che fin oggi le scuole sono rima-


ste in mano ai comuni, si dovrebbe prorogare il termine di tre anni prescritti agli articoli 15 e 16 della legge, perchè i comuni, che ne hanno la facoltà, possano o rinunziare all'amministrazione della scuola (art. 15): ovvero chiedere l'autorizzazione a continuarla (art. 16). b) Passando a esaminare i rapporti con l'altra categoria d i comuni, cioè quelli che perderanno l'amministrazione delle scuoIe, è giusto farsi eco di u n vivo malcontento che serpeggia i n ordine alla questione delle spese. Queste furono dalla legge consolidate alle maggiori somme iscritte nei relativi bilanci comunali negli esercizi finanziari del 1910 e del 1911 ( a r t . 17). Ora è avvenuto che i consigli provinciali scolastici o i provveditori o gli ispettori abbiano obbligato o indotto non pochi comuni ad aprire nuove scuole, a sdoppiare quelle esistenti, a caricare i bilanci dei sessenni che si sono maturati nel 1912. Qualche comune si è rifiutato; qualche altro ha ceduto protestando; e vi è stato qualche altro che, ignorando la legge, si è sobbarcato i n silenzio alla nuova spesa. Tutto ciò è illegale; e i comuni dovrebbero avere azione d i rivalsa verso l e amministrazioni provinciali scolastiche per i maggiori oneri d i quelli che la legge prescrive. In praposito i l ministero, che h a emanato tante circolari da due anni a d oggi, avrebbe dovuto dare norme tassative e p e r i consigli scolastici e p e r i comuni, e rompere il silenzio in cui si è chiuso, forse non senza premeditazione; per cui non si possono neppure accordare l e attenuanti. Urge però che tale stato caotico sia superato; che si provveda al passaggio delle scuole; e che non si aggravino illegalmente i comuni, né si danneggi la scuola con ritardi ingiustificati nei provvedimenti urgenti, riguardo l'apertura d i nuove scuole. Riassumendo occorre : I ) agevolare i comuni, che ne hanno per legge la facoltà, a mantenere la direzione e amministrazione delle scuole; prorogando i termini di tre anni in vista anche del mancato passaggio delle altre scuole all'amministrazione provinciale; e presentando subito il disegno d i legge sulle agevolazioni p e r i comuni, d i cui all'art. 21 della legge 4 giugno 1911;


2) che siano rimborsati i comuni che non manterranno la direzione e amministrazione della scuola, dei maggiori oneri di cui all'art. 17 della legge, imposti e comunque sopportati dal 1911-12 in poi per esigenze scolastiche, in preparazione del passaggio all'ente provinciale.

Riordinamento delle scuole Su questo argomento poco c'è da dire; poichè è anzitutto necessario attendere che si operi i1 p,assaggio delle scuoie all'amministrazione provinciale, specialmente per potersi effettuare l'aumento delle scuole secondo i bisogni della popolazione scolastica. A questo problema è legato indissolubilmente quello del numero ( e anche della qualità) dei maestri e quello del numero ( e anche qualità) delle aule scolastiche. Non bisogna però avere fretta illogica ; perché a fare è meglio far bene. Intanto è stato iniziato il riordinamento della scuola rurale unica, ai sensi degli articoli 33 e seguenti; nel 1911-12 se ne sono riordinate 1781 e si prosegue nel 1912-13 ai sensi dell'art. 35. È in corso lo studio del regolamento per le scuole reggimentali per i militari analfabeti, che hanno grande importanza nella lotta contro l'analfabetismo. Le scuole serali e festive dovrebbero essere vere e proprie scuole per adulti analfabeti, senza la pedanteria dell'applicazione dell'aggettivo serali o festive; dovrebbero comprendere un numero determinato di lezioni, un programma regolare e adatto; e si dovrebbe lasciare agli organismi locali la determinazione dei periodi scolastici, degli orari e delle forme di organizzazione pih rispondenti ai bisogni dell'ambiente, perchè la lotta divenga efficace. La sventura dell'Italia è il regolamento in ogni atto di vita collettiva, con la soppressione di ogni iniziativa e di ogni criterio locale : così l'inesperienza della burocrazia centrale trionfa sulle piccole e pratiche esperienze; e la boriosa ignoranza, insignita del titolo di capo di qualsiasi servizio ministeriale, ha la prevalenza sugli studiosi modesti ma sinceri dei problemi di vita locale.

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Infine sulla scuola privata, di cui all'art. 70 della legge: i l ministero h a diramato una circolare chiaritiva, il 18 maggio 1912; e non vi è che da fare un augurio che verso l e scuole private si mantenga quel rispetto alla libertà ( d a non confondersi certo col rispetto all'ignoranza), che serva insieme al maggiore svolgimento dell'iniziativa privata e del pubblico insegnamento. Però non è difficile che, sotto il pretesto di poco buoni risultati agli esami, in base al vago disposto della legge, si cerchi di rendere difficile la vita e lo svolgimento di tali scuole, che rispondono a determinate esigenze e a veri interessi collettivi.

Maestri elementari

E passiamo ad alcune questioni che riguardano i maestri elementari, il cui reclutamento non può non interessare anche quei comuni che perderanno l'amministrazione e direzione dell e scuole, perchè soprattutto interessa i genitori. Ho accennato sopra alla questione dei rapporti di contratto del maestro assunto in servizio dall'amministrazione provinciale ; e qui ne faccio u n semplice richiamo. a) La questione più grave è quella dei concorsi. I1 ministero, con la circolare del 23 agosto 1912 n. 56, credette opportuno di proporre, a titolo di prova e senza obbligo di esecuzione, alcune norme fisse di valutazione di titoli, anzi stabilì una specie di tariffazione di meriti, un vero tassamento applicato ai concorrenti al posto di maestro elementare. È vero che ciò è stabilito dalla legge (art. 46); ma è bene stare nella giusta misura e non eccedere. Si h a purtroppo la preoccupazione dell'autonomismo, seguendo la falsa opinione che, al di £uori della sapienza della Minerva, non ne esista altra, e che la bontà del metodo consista nella più rigida uniformit,à. Purtroppo in tutta la nazione si ha una opinione diversa, che non è del tutto ingiustificata. Occorre invece stabilire l e norme di garanzia per la scelta delle commissioni esaminatrici; e si dovrebbero descrivere delle norme fondamentali sullo svolgimento del concorso, che non può appog-


giarsi sul semplice diploma d i maestro, come lia proposto il ministero della P.I. dandovi i l maggiore peso su tutti gli altri titoli. P e r la scelta degli impiegati dello stato, il titolo accademico o le licenze non sono che titoli preelettivi per l'ammissione a i concorsi, non mai titoli efficaci d i idoneità e peggio, poi, preponderanti per la scelta. Tanto più che secondo l'art. 45 della legge le commissioni esaminatrici devono solo classificare u n numero d i concorrenti pari al numero dei posti messi a concorso, i consigli scolastici provinciali devono nominare solo i classificati. Una specie d i sabbia da passare sull'inchiostro. Non sarebbe il caso di rendere i concorsi misti, cioè per titoli e per esami? Si tratta d i ripristinare una vecchia facoltà dei comuni, che sarebbe maggiore garanzia per tutti, anche per i maestri che passeranno all'amministrazione provinciale, i quali non avranno, come i loro colleghi dei comuni, due stadi d i controllo ( i l consiglio provinciale scolastico e i l ministero), ma uno solo, i l ministero, per far valere le loro ragioni. b) Un'altra questione è stata sollevata, che ha agitato la classe magistrale. I1 ministero, nella proposta d i regolamento. stabiliva le seguenti disposizioni illogiche e antilegali, cioè: che le maestre elementari dovessero preferirsi nella prima e secon, da maschili delle scuole amministrate dai comuni, e invece non avessero diritto a concorrere per l e maschili inferiori delle scuole passate all'amministrazione provinciale. Ci è sfuggito il senso recondito del provvedimento, che i l consiglio di stato h a ritenuto illegale; e da quanto se ne è scritto sui giornali, si sa che i l provvedimento è stato modificato nel senso che per le scuole maschili inferiori si faranno due ruoli, uno dei maestri e uno delle maestre; le quali ultime saranno nominate solo per i posti che rimarranno eventualmente scoperti. I provvedimenti proposti rispondono ai migliori criteri pedagogici e professionali; ed è da augurarsi che siano integralmente adottati. C) Infine, i l ministro ha disposto la formazione dei ruoli dei maestri che passeranno all'amministrazione scolastica provinciale. I criteri proposti sembrano rispondenti a legalità; e si spera che riguardo alle promozioni d i classe, in rapporto alle


scuole, si mantenga l'osservanza rigorosa degli articoli 47 e 48 della legge; che dalle discussioni fatte riguardo ai ruoli sembrava venisse alterata con disposizioni regolamentari. I comuni hanno il diritto d i manifestare i loro desideri e p e r l'assegnazione e per i traslochi dei maestri e l a questione del ruolo dovrebbe essere solo agli effetti dello stipendio e non mai della loiblità ove h a sede la scuola.

Edifici Scolastici I1 servizio p e r gli edifici scolastici procede alacramente. Si è fatto il primo reparto dei venti milioni stabilito dalla legge 1911, oltre le previsioni del milione stabilito dalla legge 15 giugno 1906; si sono date delle norme al riguardo, e i comuni secondano con slancio questa opera di vero risanamento e riorganizzazione scolasti'ca. Però, la burocrazia è incombente e soffocante. Perchè u n comune possa arrivare a bandire le aste per l'esecuzione di u n progetto di edificio scolastico, deve fare una strada troppo lunga e Con moltissime stazioni. S'incomincia col parere clel genio civile; però quest'organismo non h a funzionari speciali, nè specializzati; il medico provinciale deve dare il suo parere, e non basta, il consiglio provinciale scolastico deve deliberare; la delegazione governativa approvare; e agli effetti della legge comunale e provinciale, per il mutuo devono intervenire anche la giunta provinciale amministrativa e il consiglio d i prefettura p e r il capitolato. Dopo di ciò, resta i l ministero della P.I. p e r il riesame del progetto e la relativa approvazione; la cassa depositi e prestiti p e r l'assegno del mutuo; e quindi, di nuovo, il consiglio comunale p e r l'accettazione clel mutuo, e d i nuovo l'autorità tutoria p e r il visto della deliberazione del consiglio comunale che accetta il mutuo. Tutto ciò è presto detto; se nelle stazioni succede u n falso scambio, non si arriva più e si torna indietro. Provare p e r credere ! I1 guaio. poi. è nella esecuzione. I pagamenti parziali del


mutuo debbono essere ordinati dal prefetto. su parere del genio civile, che vista gli stati di avanzamento; se è fatta anche la concessione del sussidio del terzo. come per la legge del 1906, i decreti e i mandati, sempre sui certificati vistati dal genio civile, sono emessi dal ministero della P.I.. sono registrati alla corte dei conti, e passano mesi e mesi di attesa; nei quali si stanca la pazienza dei comuni e degli appaltatori, che spmso sospendono i lavori, ed è grazia se non intentano liti per danni. È proprio il sofisma pratico del quis custodit custodem. CI* incombe nel nostro regime amministrativo come la camicia d i Nesso. Forse per questo si evitano gli scandali del Palazzo di giustizia ? Data la enorme mole di lavoro, il grande rifacimento e in gran parte la creazione della cassa della scuola, occorre che ogni consiglio scolastico provinciale abbia un tecnico dislocato dal genio civile; è necessità che si semplifichi la prpcedura di approvazioni e pareri, bastando, come prima, il parere del provveditore e l'approvazione della giunta provinciale amministrativa agli effetti amministrativi e contrattuali con lo stato; e p e r i pagamenti. deciso il mutuo e accordati i sussidi, si potrebbe metter la somma a disposizione dei ~rovveditorio dei ~ r e f e t t i .Non c'è poi ragione di mandare i progetti alla revisione del ministero, che è addirittura superflua. Con questa o altra forma di procedura, insieme alle tassative disposizioni di responsabilità civile e penale per gli uffici locali, si otterrebbe un risultato insperato nella rapidità e nel miglioramento del servizio. Poco c'è da osservare sulla distribuzione ai comuni delle somme che, sui 20 milioni annui stabiliti per legge, il governo assegna alle provincie. Solo si era rivelato piu vantaggioso fare ogni anno degli assegni rateali per i progetti di maggior costo, in mo(io che, simultaneamente. provvedessero agli edifici scolastici in maggior numero possibile di comuni. Qkesto voto è stato concretato in un disegno di legge che faculta l'assegnazione di somme fino a quattro anni ratealmente. Per i comuni e per la scuola, la questione degli edifici scolastici razionali. areati. ben tenuti. rispondenti alle esigenze e allo s,iluppo dell'ambiente. è il problema più grave e più ur-


gente, sul quale si deve richiamare l'attenzione e l'entusiasmo dei consigli comunali e delle popolazioni.

VI. Assistenza scolastica Si attende da circa u n anno il regolamento per la creazione dei patronati scolastici. Non si comprende la ragione, né si sente il bisogno d i u n regolamento al riguardo; ma che cosa esiste in Italia senza il regolamento generale di stato? E d è venuto fuori, clandestinamente perché ancora non è stato registrato dalla corte dei conti, u n regolamento che aggrava le condizioni pratiche dei nuovi enti morali; nei quali l a legge opportunamente volle riunire in forma autonoma e legale tutti i presidi pubblici destinati all'assistenza scolastiba ; ma purtroppo, come vizio originario, affogò la vita d i tali enti in una specie di parlamento detto consiglio d i amministrazione ( a r t . 72). Ora, per giunta, nel proposto regolamento si prescrivono norme p e r le elezioni delle cariche, periodi di nomina, con citazioni d i deereti e regolamenti; e quantunque ciò potrebbe esser lasciato al libero apprezzamento dei promotori, poco male. Però vi è l'aggravante di un'autorità tutoria che la legge non prevede, e che non risponde alla natura d i simili e n t i ; e l'autorità tutoria è la delegazione scolastica, organo incompetente p e r la sua origine e funzione estranea a svolgimenti amministrativi. È fatta grazia della trattativa privata entro le 1000 lire ( m e n o male, c'è u n progresso tra un simile ente e u n comune come Milano che non può disporre d i pii1 di L. 500 senza le aste); ma si sono volute le formalità delle aste e le altre regole di contabilità d i stato; non manca la previsione dei commissari regi e dello scioglimento delle amministrazioni dei patronati (come u n comunello qualsiasi!). E finalmente, dulcis in fundo, una disposizione transitoria autorizza il provveditore a nominare d'ufficio le amministrazioni provvisorie. Contro questa disposizione si è levata la corte dei conti. che giustamente l'ha trovata incostitiizionale. La Minerva si è giustificata col pretesto. molto comodo, di dover f a r presto e di non


potere perder più tempo; coiiie se non si dovesse addebitare al governo e alla mania regolamentatrice il ritardo della creazione d i tali enti, dal 4 giugno 1911 ad oggi; e come se uno o due mesi ancora a costituire le amministrazioni definitive del patronato facessero andar a monte ogni cosa. Ma non occorre insistere a cercare i reconditi pensieri della Rlinerva; solo è da protestare contro una esagerata invadenza e contro un regolamento incostituzionale, che si vuole sovrapporre alla legge. Forse l e case popolari, le mutue scolastiche e simili, erette i n ente morale, hanno bisogno dell'autorità tutoria e dell'intervento coattivo? Bastano le responsabilit,à sancite dalle leggi comuni. Basta che gli statuti, basati sulla legge, siano approvati con decreto reale. I1 resto è bene sia lasciato alla iniziativa locale e ai criteri pratici, che differiscono da regione a regione e d a comune a comune. I1 controllo si può sempre esercitare col deposito dei bilanci presso i tribunali, presso i comuni e i consigli provinciali scolastici. Non occorreranno così troppi impiegati ( e i l regolamento ministeriale accenna addirittura ai ruoli degli impiegati dell'assistenza scolastica, per enti che, nella maggior parte dei casi, non arriveranno a mettere insieme duemila lire!); e saranno dannosi quegli intralci nei quali gode l'anima burocratica dei ministeri italiani. Allora solo, quando i l rispetto alla libertà e all'individualità locale sarà divenuto convinzione e fiducia, si potrà cooperare da tutti con slancio vitale agli sforzi dello stato e dei comuni p e r l'incremento della scuola e per la lotta contro l'analfabetismo. Concludo, riassumendo il pensiero della relazione in u n solo concetto: « nell'attuazione graduale, paziente e razionale della legge 4 luglio 1911' n. 487 sulla istruzione primaria e popolare, che resta come i l maggiore sforzo economico che si sia fatto a vantaggio della scuola ( e anche come i l risultato più palese dell'ibridismo amministrativo e didattico), i l governo dovrebbe ispirarsi a maggiori sensi di fiducia verso gli enti locali e d i rispetto all'iniziativa privata ; che dovrebbero corrispondere con attività. razionalità, entusiasmo, al lavoro per l'incremento della scuola.


Sotto questo punto d i vista il governo deve correggere le disposizioni che comprimono; semplificare le forme complesse, dare agilità a l movimento scolastico, e affermare, sempre più, le responsabilità personali e collettive degli organi e dei funzionari locali D. Sembrano parole generiche; ma riferite alle osservazioni e ai rilievi fatti nel corso della relazione, le parole acquistano la luce della realtà e la forma del concreto. 'Con questi intendimenti propongo il seguente ordine del giorno : « Il XZI congresso nazionale dell'dssociazione dei comuni italiani

i n Milano, preso atto della relazione, accettandone i criteri e riaffermandone i principi delibera presentare a l ministro della P.I. u n memoriale che illustri i rilievi e l e osservazioni fatte e le proposte discusse, affinchè siano tenuti nel dovuto conto nella compilazione dei regolamenti e delle norme d i esecuzione della legge 4 giugno 1911, n. 487 D.

milan no:

3 aprile 1913.

Sul17importante congresso dei comuni italiani tenuto a Milano nei giorni scorsi abbiamo creduto opportuno intervistare don Luigi Sturzo, che vi prese parte. Egli si può dire uno dei fondatori, e dei più caldi propagatori dell'Associazione dei com u n i ; da nove anni è membro del consiglio direttivo, ed h a riferito in tutti i congressi dei comuni dal 1906 (Torino) a quello tenuto a Milano (1913). cc I l congresso di Milano - egli ha detto - voleva essere (*) Intervista

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Luigi Sturzo.


nell'idea dei proponenti una vigorosa affermazione nazionale del problema della riforma dei tributi locali alla vigilia delle elezioni politiche; perché divenisse come il caposaldo del programma della prossima camera eletta col suffragio allargato. Questo risultato politico non si è certo raggiunto; perchè è mancata una adeguata preparazione, e perché la stampa non si è fatta eco viva e forte di tale, ~ r o b l e m a . 9 - Sarà forse, ~ e r c h éla nazione ancora non sente la urgenza e l'importanza del problema stesso. I n materia finanziaria ogni problema non può essere sentito dalla popolazione che con ripercussione indiretta, e quindi non può tramutarsi in manifestazione collettiva se non attraverso u n fine immediato e concreto da raggiungere. È perciò che del problema delle finanze comunali se ne fa una questione tecnica e amministrativa e non mai una vera questione politica. Però quando nello sviluppo delle energie locali, nel crescere dei bisogni collettivi e dei relativi servizi, i comuni divengono sempre più impotenti a seconda il miglioramento collettivo, allora si correrà ai ripari; come è avvenuto per la scuola popolare di cui lo stato ha preso su di sè l'onere che i comuni non avrebbero potuto sopportare, di 40 milioni l'anno D. - In tema d i scuola, ella ha riferito sull'applicazione della legge Daneo-Credaro. C( P e r l'appunto: è stata la mia una critica obbiettiva all'indirizzo adottato dal ministero della P.I. nell'applicazione della legge Daneo-Credaro, indirizzo restrittivo, monopolizzatore, che rende quasi automatiche e staccate dalla vita e dalla scuola le funzioni del consiglio provinciale scolastico. A proposito del quale sollevai la questione che il consiglio provinciale scolastico sia u n ente a sè oppure un organo burocratico di stato. Quest'opinione è quella sostenuta dal ministero della P.I., contro ogni evidente principio giuridico. Vero è che la legge è ibrida e confusa ; e non si sa quel che il parlamento voleva fare. Non si può parlare di organo burocratico di stato, che amministra i denari dei comuni, sotto il controllo della delegazione governativa, istituita come organo di vigilanza sopra un ente, che non è emanazione burocratica e statale.

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Si arriverebbe a questo assurdo: che il ministero sarebbe responsabile civile di tutti gli sbagli che faranno i 69 consigli provinciali scolastici di fronte ai terzi, senza che il ministero ne conosca gli atti. E i maestri elementari nominati dal consiglio scolastico, per questa interpretazione diverrebbero impiegati governativi. I o però non mi sono direttamente occupato di ciò nella mia relazione, ma principalmente delle questioni sollevate con i regolamenti sui patronati scolastici, sugli edifici, sulle nomine dei maestri, sulle sedute dei consigli scolastici, sui rapporti economici con i comuni e simili; poichè ritenevo e ritengo che oggi una critica della legge, senza l'esperimento del fatto sarebbe aprioristica e inopportuna. Nel congresso fu in proposito sollevata la questione generale se la scuola debba essere statale o comunale; e si combatte da alcuni la scuola privata, che fu difesa calorosamente da altri, come principio di libertà. I1 congresso convenne sulla critica del dettaglio, ed approvò la presentazione di un memoriale al ministero della P.I. esprimendo le osservazioni e i rilievi fatti. La presidenza dell'Associazione ha affidato l'incarico di redigere il memoriale al relatore Sturzo e a l segretario Caldara n. - E quale altro tema si discusse a l congresso? « Oltre la discussione sulla scuola, che appassionò tutto l'ambiente, un'altra appassionò l'assemblea; il voto alla donna, la propaganda e l'estensione del voto agli analfabeti da 21 ai 30 anni. I1 congresso fu contrario al voto alle donne per soli 10 voti, essendosi dichiarati 73 favorevoli contro 83. Veramente il voto non fu preparato, e venne durante la discussione del disegno di legge sul coordinamento della legge politica alla legge amministrativa. Al riguardo il governo ha adottato tutti i criteri e l e proposte dell'Associazione dei comuni, concretate ad Asti nella riunione del 21 novembre, tra cui anche la rinnovazione totale ogni quattro anni dei consigli comunali. Solo non ha ammesso la eleggibilità degli analfabeti.


È strano che un analfabeta, mentre per legge è eleggibile a deputato, non possa essere eletto consigliere provinciale. I1 congresso h a insistito nella tesi della eleggibilità? poichè è cardine che l'elettore sia eleggibile; lasciando al buon senso pratico del popolo la scelta o meno di un analfabeta a consigliere comunale. Su questo proposito l'on Sichel propose u n ordine del giorno pel voto alle donne. La discussione si allargò oltre misura, e il risultato del voto dimostrò che l'idea fra gli uomini si fa strada. Ciò non ostante è ancora immaturo l'ambiente, come lo è per la proporzionale anche p e r i grandi comuni. Certo sarebbe da tentare una elezione politica a largo scrutinio d i lista con rappresentanza della minoranza, prima d i arrivare a u n istituto, la proporzionale, che ammette maggiore conviqzione, serietà e caratteristica dei partiti politici d'Italia. F u i contrario al voto agli analfabeti da I I a 30 a n n i ; perché, i n sede di coordinamento, il governo non sposta le basi dell'elettorato politico, ma di fatto non avrebbe portato che poco guadagno e, poco danno. I1 lavoro principale del congresso è stato quello sulla finanza comunale. Cinque relazioni interessanti han prospettato il problema i n una luce nuova. La questione sempre viva è quella della distinzione delle spese d i stato da quelle dei comuni. I n proposito si è deliberata la compilazione d i una statistica che rilevi quanto i comuni spendono per le elezioni politiche, i servizi postali, la leva e simili, per poi dimostrare che se tali spese gravassero sui bilanci di stato, non si potrebbe parlare d i finanza florida e d i avanzo. La finanza dello stato è florida quando, comprese tutte le spese inerenti ai servizi governativi, resta del margine n. Sulle condizioni economiche dei piccoli comuni, riferì lo egregio avv. Serragli; e i l consiglio direttivo h a creato una commissione speciale per i piccoli comuni composta da Serragli d i Firenze, Franco d i Livorno e il nostro intervistato don Luigi Sturzo. Dell'opera del quale, anche sulle strade comunali, vicinali

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e ferroviarie, al congresso e £uori, ci siamo occupati nel numero passato. L'attività del nostro sindaco nel campo municipale, dentro e fuori Caltagirone è nota ormai a tutti; e ben merita quella considerazione che h a sempre i n tutti i congressi dei comuni e i n tutto i l continuo contatto d i affari e d i studi con coloro che sentono la vita comunale i n Italia. I1 sentimento municipale, u n tempo glorioso i n Italia, e bandiera d i libertà, oggi dovrebbe svilupparsi, secondo le esigenze dell'epoca; perché le poche libertà locali rimaste, non si riducano a norme senza sostanza anche pel fatto che i bilanci dei comuni hanno perduto ogni elasticità e competenza. E veramente è grave compito della prossima legislatura, come ebbe a dire Giolitti, quello della riforma dei tributi locali. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 4 maggio 1913).

L'OPERA DELL'ASSOCIAZIONE DEI COMUNI P E R LA DISOCCUPAZIONE E L'APPROVVIGIONAMENTO DEL GRANO (*) Nel difficile momento che attraversa la nazione p e r gli effetti della guerra europea, i l compito del comune è d i una importanza eccezionale ; avendo i l comune l'immediata percezione dei bisogni collettivi e la diretta responsabilità di provvedervi, sia o no aiutato d a i poteri centrali; nel senso che tutti i provvedimenti che nelle energie comunali e civiche possono trovare base e sviluppo debbono essere preparati e adottati. Però nel vivo e multiplo contatto della vita nazionale, spesso le energie locali non sono sufficienti o non possono svilupparsi se non viene lo stato con la sua forza, i suoi mezzi e le sue leggi a integrarle o trasformarle. (*) Relazione di don Sturzo e comm. Franco al XIII congresso nazionale dell'Associazione dei comuni italiani, tenutosi a Roma nel febbraio 1915.


L'Associazione dei comuni meglio di qualsiasi altro organo e come funzione propria, anche per gli eccezionali bisogni derivanti da uno stato eccezionale di cose, può e deve rappresentare la somma dei bisogni dei comuni presso i poteri centrali, e può e deve contribuire a svilupparne ed integrarne le parziali iniziative, ed assistere i comuni nello svolgimento delle loro particolari attività. Due problemi si presentarono forkidabili appena scoppiata la guerra: quello della disoccupazione e quello dell'approvvigionamento del grano; e i voti di comuni e di popolazioni. d i associazioni politiche e di cooperative economiche furono fin dai primi giorni insistenti e vivaci presso il governo. Non possiamo in questa breve relazione riassumere quanto su tali argomenti si sia scritto e polemizzato in Italia. Ci limitiamo a riassumere la modesta e persistente opera della nostra Associazione, (opera in parte conosciuta attraverso i giornali e le circolari) e a prospettare i problemi nell'azione futura.

I . - Provvedimenti riguardo la disoccupazione. Al principio della guerra sembrò che la disoccupazione fosse u n fenomeno acuto e transitorio, determinato (specialmente nell'Alta Italia) dal ritorno improvviso dei nostri operai, che periodicamente vanno a lavorare all'estero in alcune stagioni dell'anno. Difatti fu quello i l ' p r i m o manifestarsi della disoccupazione operaia; vi erano però insieme altre cause latenti e generali di disoccupazione: l'inaridimento di molte sorgenti di lavoro, la stasi dei commerci, la diminuzione dei capitali circolanti, la crisi dell'emigrazione transoceanica, importante fenomeno specialmente nel mezzogiorno e nella Sicilia. Al primo agitarsi delle masse senza lavoro, il governo credette di intervenire con provvedimenti momentanei, che risultarono ineficaci, quali il sussidio di tre milioni, e il decreto legl e 1 settembre 1914 sulla riduzione delle cauzioni dei LL. PP. a l 5 per cento e l'estensione della competenza della giunta municipale alle spese di lavori per cinque mila lire da potersi dare a trattativa privata.


I n seguito, premendo i bisogni e l'opinione pubblica in forma anche vivace, vennero fuori i decreti legge del 22 settembre, n. 1026 e 1028, sui lavori pubblici e poi quello del 29 settembre sulle opere igieniche, e infine quello del 6 ottobre sugli edifici scolastici. L'Associazione dei comuni per mezzo dei suoi rappresentanti aveva fatto dei passi presso il governo per provvedimenti di carattere straordinario relativi alla disoccupazione ; e nella seduta del consiglio direttivo del 27 settembre avea emesso i l seguente ordine del giorno : C(

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I1 consiglio dell'Associazione dei comuni, raccogliendo i voti espressi per provvedimenti atti a fronteggiare la disoccupazione locale chiede : a) che si accordino dei prestiti straordinari ai comuni con interesse ridotto e per almeno cento milioni, destinati alle costruzioni e sistemazioni stradali, oltre, fino al limite d i tale somma, il sussidio del quarto sulla spesa;

b) che si dia sollecito corso alle pratiche per mutui già iniziate dai diversi comuni per lavori sanitari, scolastici, d i « bonifiche e di viabilità;

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C) che si provveda alla liquidazione e ai saldi delle somme dovute dallo stato ai comuni per recedenti impegni e precedenti concessioni D.

Quel giorno il residente del consiglio dei ministri, riceveva la rappresentanza dell'Associazione che illustrava e caldeggiava l'ordine del giorno. Nel sollecitare vivamente il governo ad intervenire, mostrò solerzia e attività il comitato parlamentare della Lega dello cooperative presieduto dall'attuale guardasigilli, on. V. E. Orlando ; e l'iniziativa presa dalla Lega stessa, di assistere il comune nello svolgimento delle pratiche presso il governo per l'applicazione dei diversi decreti legge, d'accordo fra i dirigenti della Lega e il nostro consiglio direttivo, divenne un'opera comune alle due associazioni, che integrarono così, in un momento difficile p e r la vita comunale e la vita operaia, le loro attività e le loro forze ; mentre al comitato parlamentare per i LL. PP. parteciparono i parlamentari del nostro consiglio, oltre i due sottoscritti rela-


tori, quali consiglieri delegati per lo svolgimento della nuova attività della nostra Associazione in Roma. Sorsero così i due uffici, uno per i lavori pubblici dei comuni, insieme alla Lega delle cooperative, in Corso Umberto I ; l'altro con il carattere di segreteria dell'Associazione, in via dei Barbieri. I1 presidente diede comunicazione di tali iniziative a tutti i comuni con circolare del novembre scorso, precisando i compiti e le fina1it.à dei due uffici. I n questa relazione sorvoliamo sul secondo ufficio, soffermandoci sull'opera nostra insieme alla Lega delle cooperative per i lavori pubblici ed altri provvedimenti atti a combattere la disoccupazione. La prima finalità, quella di assistere- i comuni che ne facessero richiesta, presso gli uffici governativi pel sollecito disbrigo delle pratiche, fu tosto raggiunta; e molte sono state e sono tuttora l e pratiche cui si è data pronta e valida assistenza. Dal rapporto del 3 febbraio fatto dall'on. Giovanni Merloni risulta che fino a quel giorno erano stati assistiti 110 comuni, e il numero delle corrispondenze ascendeva a 248. Da quel giorno non abbiamo dati precisi, ma è da credere che l'assistenza sia continuata con il medesimo sistema, date le richieste di molti comuni per dar corso alle loro pratiche presso i l ministero e la cassa depositi e prestiti. Diverse richieste sono anche pervenute all'ufficio segreteria dell'Associazione. I1 contatto tra l'Associazione dei comuni e la Lega delle cooperative è certamente utile anche per le organizzazioni operaie. Ma l'opera più interessante, in cui sono stati uniti gli sforzi dei due enti rappresentativi, è stata quella spiegata presso il governo; opera assidua e concorde, che per lo meno è servita a tener viva l'idea che in momenti difficili della vita nazionale è doveroso che tutte le forze vive operino e si agitino senza bad a r e al successo e senza attendere, passive, dal governo i provvedimenti e le soluzioni dei problemi. Nella seduta del comitato parlamentare tenuta il 28 ottobre, riguardo i lavori pubblici furono emessi i seguenti voti: 1) che siano rinnovate precise disposizioni alle prefetture e d agli uffici locali perché abbandonino abitudini di inutili for-


malismi e indugi d i cui si hanno ancor oggi deplorevoli esempi; 2) che i l fondo di 100 milioni per mutui non previsti da leggi speciali serva effettivamente per lavori da compiersi nel periodo di crisi e non venga impiegato a finanziare e regolarizzare opere eseguite o a mantenere impegni già presi, p e r i quali è urgente invece provvedere coi 200 milioni accordati ad irrobustire l'ordinaria gestione della cassa depositi e prestiti; 3) che ad evitare che rimangano senza effettiva disponibilità gli altri mutui p e r opere contemplate da leggi speciali (opere igieniche, edifici scolastici, strade di allacciamento p e r comuni isolati) siano ancor di più aumentati ed appositamente forniti i fondi occorrenti i n rispondenza al gran numero di progetti già pronti ; 4) che siano istituiti temporaneamente una sezione autonoma della cassa depositi e prestiti e u n comitato d i delegati dei ministeri competenti p e r gestire i fondi diretti a fronteggiare l'odierna crisi con criteri rispondenti all'eccezionalità del momento e con equo reparto fra i bisogni delle varie regioni; 5) che l'azione del governo p e r agevolare i lavori degli enti locali venga fiancheggiata dall'esecuzione immediata e diretta d i opere di stato i n quei luoghi, specialmente nel mezzogiorno e nelle isole, ove mancano le iniziative degli enti locali ed anche i n quelle plaghe ove ogni attività degli enti stessi sia insufficiente di fronte alla gravità dei bisogni delle popolazioni; 6) che oltre alle ulteriori opere stradali cui quasi esclusivamente provvede l'aumento della spesa consolidata dei pubblici lavori, si agevolino ed eseguano anche quelle opere d i bonifica che rappresentano proficui investimenti del pubblico denaro N. Tali voti furono illustrati e sostenuti personalmente dai componenti del comitato presso i vari ministeri. Altri voti furono formulati in seguito nella riunione del 24 novembre, riguardo la proroga dei termini dei decreti legge 1 e 22 settembre sul LL. PP., riguardo la riforma della legge sulle strade di accesso alle stazioni e agli scali e quella sui comuni isolati ; insistendo ancora p e r il sollecito disbrigo nella concessione dei mutui, specialmente p e r gli edifici scolastici. Sia nelle circostanze delle riunioni plenarie, sia i n altre occasioni, i rappresentanti della nostra Associazione non h a n man-


cato di sollecitare provvedimenti, che spesso sono riusciti di vero giovamento ai comuni, quali i pagamenti degli acconti dei concorsi dello stato per le diverse leggi scolastiche, per i quali fu molto proficua l'opera personale del nostro presidente onorevole Greppi. Le circolari fatte ai prefetti e ai geni civili per sollecitare le approvazioni dei lavori pubblici deliberati in seguito al decreto legge 22 settembre 1914, sono dovute alle nostre insistenze, e non è a tacere come nei provvedimenti emessi il governo abbia cercato di secondare i desideri espressi dai nostri rappresentanti. Benché non si sia ottenuto che una parte soltanto delle richieste avanzate, non è da credere che l'opera nostra sia stata vana o superflua. Essa assurge al valore morale di rappresentare i n u n dato momento i bisogni collettivi dei comuni e d i esserne l a più genuina e qualche volta anche vivace e insistente espressione. Oggi, dopo sei mesi di attività in questo campo, ben possiamo notare le nostre deficienze, e siamo i primi a convenire, essendoci mancata e la prontezza dell'inizio e i mezzi sufficienti ad una migliore organizzazione del nostro 'lavoro. Ma data la modestia delle nostre risorse abbiamo fatto quanto era in noi p e r riuscire utili a i comuni in momenti trepidi e difficili. Con la .stessa franchezza dobbiamo notare le deficienze del governo in materia di lavori pubblici. Anzitutto nel decreto legge del 22 settembre 1914 portò al 40 per cento il limite dei sussidi governativi, per opere per l e quali non vi fossero leggi speciali di favore. Ma il fondo fu appena aumentato di quattro milioni per i sussidi di opere strad a l i ; e nel fatto i sussidi assegnati dal ministero dei lavori pubblici sono stati molto limitati, non han raggiunto che in casi eccezionalissimi il 40 per cento, e si sono ridotti perfino al 10 e al 12 per cento, e spesso sono stati negativi per deficienza di fondi. Ciò fu fatto da noi notare fin dal primo momento; e si sperava in successivi provvedimenti, che fin oggi non son venuti e che al fatto non verranno, almeno per l e opere dei cento milioni del citato decreto legge; il cui riporto è stato quasi per intero eseguito, mentre le richieste (non sempre opportune) sono arri-


vate ad una cifra enorme. Non abbiamo i dati esatti, che la cassa

DD. e PP. non ha creduto di darci (come risulta dalla nostra corrispondenza), ma le informazioni avute corrispondono a quanto affermiamo. Fu da noi richiamata l'attenzione del ministro sui provvedimenti per le leggi sulle strade di accesso alle stazioni e per i comuni isolati. Le riforme proposte dal ministero dei LL. PP. passarono al 'ministero del tesoro, dove fino a u n mese fa erano allo studio, senza che si vedesse la speranza di u n provvedimento immediato. P u r se opere pubbliche necessarie allo sviluppo interno. opportune per fronteggiare la disoccupazione operaia ce ne fossero, queste erano e sono le più adatte e le più urgenti. Si raccomandò inoltre al ministro della P. I. il sollecito svolgimento delle pratiche riguardanti gli edifici scolastici, e la semplificazione delle formalità, che incombono come una vera camicia di Nesso. Che se ne sappia, oggi si procede col passo di formica, attraverso il labirinto creato dalla legge e reso più intralciato dalle burocrazie provinciali e statali. Anche per la concessione dei mutui per i cento milioni, non ostante che la commissione mista di esame proceda sollecitamente, poscia fra le approvazioni del consiglio di amministrazione della cassa depositi e prestiti, la registrazione degli atti alla corte dei conti, le corrispondenze e burocrazie, si perde u n tempo prezioso, mentre nei cbmuni gli operai soffrono la fame. Sono inconvenienti per eliminare i quali è il momento di insistere, perché in Italia i pubblici poteri si accorgano, sentano, sotto la pressione della pubblica opinione, che sono troppi gli'impacci formalistici, e che sono esagerati i meccanismi di controllo, che attenuano l e responsabilità e aumentano le formalità. E l'avvenire ? I mutui concessi o in corso di concessione per lavori pubblici potranno attenuare la disoccupazione dell'oggi, e far passare con p i ù O meno difficoltà, secondo i posti, la primavera e l'estate; ma al prossimo autunno, quando gran parte dei lavori saranno eseguiti e il periodo del raccolto agricolo sarà cessato, risor-


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ger.à più terribile lo spettro della disoccupazione. E se i n quel periodo sarà cessata la guerra, o comunque saranno licenziati molti dei richiamati sotto le armi, i1 fenomeno si farà più grave ancora, anche sotto la pressione dell'aumento del costo dei generi alimentari. Occorre che i comuni e le provincie, con le risorse che avranno (quelli che ne avranno) e con gli aiuti del governo, provvedano i n tempo ora per l'avvenire a nuovi lavori e a nuove attività. Essi possono essere principalmente edifici scolastici, strade d i accesso alle stazioni ed agli scali, strade dei comuni isolati e opere igieniche. Con qualche ritocco alle leggi vigenti in materia, e con necessari provvedimenti finanziari, si potran dare ai comuni per circa mezzo miliardo di lavori utili e necessari, che si debbono fare, e che ora si affrettano, dati i difficili momenti della nostra mano d'opera. Questo deve essere il programma della nostra Associazione p e r i lavori pubblici; e a tali idee f a r seguire una migliore organizzazione dei nostri uffici ( p e r cui nei riguardi dei LL. PP. vi sarà apposita discussione sul tema svolto dagli on. Meda e Ruini) e una agitazione seria e operosa, perché dal governo si ottenga oggi in tempo quel che domani può riuscire tardivo e meno rispondente alla gravità del bisogno. Però se sacrifici s'impongono oggi a tutti, i comuni debbono sentire che anch'essi sono obbligati con provvedimenti eccezionali a rispondere all'eccezionalità del momento, e non pretendere che l'opera del governo sia l'unica, ma solo d i integrazione e d i completamente anche nei provvedimenti che si riferiscono ai LL. PP. e alla disoccupaz';one operaia.

11. - Approvvigionumento del grano. La situazione comunale si presentava fin dal principio della guerra ben più grave e difficile per l~approvvigionamento del grano. I comuni di Roma e Milano fra i primi compresero l a gravità della situazione e comprarono grano. Dove non vi erano calmieri


municipali sulle paste e sul pane, cominciarono ad essere introdotti. Da ogni parte si segnalava al ministero l'urgenza di provvedere con mezzi adeguati 1.à dove non poteva arrivare l'iniziativa locale. I1 problema granario interessa i comuni, sia perché ad essi spetta direttamente la polizia annonaria delle città, sia perché i municipi sentono e conoscono da vicino, nel contatto quotidiano col popolo, la somma dei bisogni collettivi della comunità. Però il problema granario, posto in Italia dalla situazione internazionale, è u n problema eminentemente statale. Due gli aspetti iniziali del problema: a) La mancanza della quantità d i grano necessaria a l fabbisogno nazionale fino a l nuovo raccolto; mancanza resa più grave dalla siccità che ridusse la resa della produzione indigena;

6) i l rincaro del grano in parte dovuto alla impossibilità del commercio granario con la Russia, alla altezza dei noli marittimi, alla concorrenza negli acquisti, e in parte alla speculazione. Privati, comuni, cooperative, giornali, parlamentari, organi tecnici e politici, fin dal primo momento ritennero necessario l'intervento del governo; e la Lega delle cooperative e l'Associazione dei comuni rilevarono subito la necessità che il governo acquistasse grano all'estero per metterlo sul mercato interno a disposizione dei comuni. Si sopperiva così a l fabbisogno nazionale e si operava rapidamente da calmiere. Nella seduta del 28 ottobre furono formulati i voti del comitato parlamentare dell'Associazione dei comuni e della Lega delle cooperative, come il risultato concreto delle diverse tendenze. Essi furono i seguenti : 1. Si stabilisca i l divieto d'esportazione p e r il riso, le patate, ed altri consumi essenziali. 2. Provveda direttamente lo stato all'acquisto di grosse partite d i grano dall'estero, come l'Associazione dei comuni e la Lega delle cooperative hanno da tempo invocato.

3. Siano anche i comuni autorizzati a eseguire simili accluisti agevolandone il funzionamento.


4. Acquisti da parte dello stato e dei comuni vengano eseguiti in franchigia per meglio esercitare azione di calmiere. 5. Dove la necessità delle sussistenze lo richieda, possa il governo imporre un prezzo limite dei cereali per tutta Italia e requisire i depositi esistenti presso i privati. A molti sembrò azzardata la requisizione del grano e il prezzo limite delle vendite; temendosi in conseguenza u n arresto delle libere iniziative private, senza che potesse in tal caso provvedervi lo stato, privo com'è di organizzazioni adatte, rapide e sicure, impigliato invece dalle leggi di sospetto e stretto dalle spire burocratiche; ne fa fede la lettera dell'ex ministero Rubini, che non ebbe il coraggio di comprare grano a un prezzo di poco più elevato di quello del mercato corrente, perdendo purtroppo una buona occasione per l'economia nazionale e per la previdenza di stato. Dal 28 ottobre al 20 dicembre (data del decreto legge sui consorzi granari) passarono due mesi quasi, nei quali i sottoscritti, quali consiglieri delegati del consiglio direttivo, si recarono più volte dai ministri a sollecitare i provvedimenti per la crisi granaria. Essi sostennero con insistenza la necessità di autorizzare gli istituti di emissione a fare anticipi su fedi di deposito per l'acquisto del grano; acquisto che essi sostenevano dovesse farsi dai comuni, che hanno organismi sviluppati e adatti a disimpegnare tali servizi. Costituiti invece i consorzi granari provinciali, i sottoscritti fecero rilevare la difficoltà in cui si trovavano e si trovano molti comuni a far fronte al primo acquisto di grano, che al consorzio deve pagarsi in contanti. E con l'istanza del 20 gennaio proposero l'emissione di cambiali garantite sul dazio di consumo. Fin oggi si sono costituiti e funzionano 42 consorzi granari provinciali; e gl'inconvenienti inevitabili per la novità dell'organismo e del servizio, e le difficoltà del funzionamento si vanno eliminando o attenuando secondo i casi e l e possibilità; e il nostro ufficio ha cercato di dare informazioni, istruzioni. elementi pratici a quanti si sono rivolti a noi. Di quest'opera minuta, assidua, persistente fanno fede i nostri bollettini e quanto è stato pubblicato in modo sommario sui giornali.


Opera modesta, non solo non inutile, ma certo vantaggiosa là dove potea arrivare una proposta, un voto, u n consiglio, una protesta. Avremmo anche dovuto esamihare quella somma di piccoli provvedimenti locali, cui han dato luogo le agitazioni e le preoccupazioni cittadine contro l'incetta dei grani, gli aumenti delle assise, la ripercussione annonaria del problema granario. E ciò perché la nostra Associazione deve prevenire, seguire, consigliare, incoraggiare i comuni in quella via che risponde alle forme più evolute di attività cittadina, specialmente nei momenti di maggiore difficoltà. Però è mancato spesso il tempo e quell'affiatamento che in tempi normali è difficile, più ancora riusciva difficile in momenti in cui ciascuno è stato preso e oppresso dalle preoccupazioni locali. Ciò non ostante, anche riguardo al problema granario la nostra Associazione h a cercato di corrispondere al suo compito e alla importanza del momento, seguendone lo svolgersi delle questioni, e prevedendone le soluzioni, nella fiducia che esse fossero adeguate e adatte ai bisogni. Però la questione granaria è tuttora grave e viva e urgente, sia che si guardi i l periodo da oggi al prossimo raccolto dei cereali; sia che si guardi il periodo susseguente cioè dall'agosto 1915 al giugno-luglio 1916. Non è il caso di discutere oggi, con elementi insufficienti, se i provvedimenti adottati fin oggi dal governo siano stati pronti e adatti oppur no ; né è il caso di lamentare la pesantezza e difficoltà con cui si mosse il governo, da settembre a dicembre: per statuire il 20 dicembre i consorzi granari, e darne a fine gennaio le istruzioni pel funzionamento. Oggi riesce inutile tale critica, e per di più mancano tutti gli elementi del giudizio, né sembra che in questa sede si possa ripetere una discussione avvenuta in questi giorni alla camera dei deputati. Occorre invece che noi precisiamo il compito futuro della nostra Associazione riguardo il problema granario, in rapporto sia all'opera del governo, che a quella dei consorzi e dei comuni.


L'opera governativa futura h a tre precisi compiti d i carattere generale : a ) Acquistare grano all'estero e metterlo i n tempo: e con normali rifornimenti, a disposizione dei consorzi ; e ciò sia prima che dopo il raccolto; perché i l raccolto indigeno non basta ai bisogni della nazione, e per dippiù nel luglio 1915 non vi saranno le riserve del raccolto dell'anno precedente. Dal luglio 1913 al gennaio 1914 furono importati quint. 6.227.190 d i grano ; mentre dal luglio 1914 al gennaio 1915 sono stati importati 2.724.620. Sono circa 3.500.000 quintali in meno, che rendono più difficili i consumi. b ) Impedire l'uscita dei grani, risi, granoni e simili e regolare i transiti, i n modo che l'Italia resti sufficientemente fornita dei generi alimentari d i prima necessità. C ) Impedire i rialzi fittizi nei mercati generali con adeguati provvedimenti. Ma oltre a tali compiti ne occorrono altri più peculiari, che servono a prevenire le future difficoltà annonarie, ed hanno riferimento preciso alla politica annonaria dei comuni. Ess'i sono: a ) Dare u n funzionamento più agile e completo ai consorzi granari provinciali per il servizio speciale di intermediari fra lo stato e i comuni. b ) Facilitare gli acquisti di grano da parte dei comuni. specialmente nel prossimo periodo di raccolto, con opportuni e congrui provvedimenti finanziari; in modo che nell'inverno 1915-16 non si abbia un temuto maggiore rialzo di prezzi p e r la pressione della speculazione interna. C ) Potere imporre (ove sia necessario) u n tipo di pane normale, e impedire lo sperpero di farine per la panificazione d i lusso. d) Rendere più sicura e garantita l'opera dei comuni nel moderare i prezzi dei generi annonari e facilitare opportunamente la istituzione dei calmieri. P e r questa ultima parte dovrà esser cura dell'Associazione d i illustrare con pubblicazioni e discussioni le facoltà comunali in materia di requisizione, di divieto d i esportazione, d i assise annonaria e simili, per preparare l'opinione puhblica e dare l e


norme più opportune da seguirsi cla giunte municipali e da sindaci. L'Associazione dei comuni deve i n questo difficile momento che si attraversa rappresentare legittimamente gl'interessi vitali dei comuni, aiutarli nello svolgimento delle loro attività, essere sentinella vigile e autorevole, perché ai pubblici poteri arrivi la voce dei bisogni collettivi, non attraverso partiti o interessi politici, ma attraverso l'organo naturale proprio di integrazione e d i sintesi. Non crediamo pertanto concretizzare oggi tutti i desiderata i n u n ordine del giorno; il congresso deve dare ampio mandato a l nuovo consiglio direttivo, perché delle due questioni (quella granaria e quella dei LL. PP.) faccia capisaldi d i un'azione valida e persistente, seguendo lo svolgimento delle iniziative, prevenendo bisogni, assistendo nel lavoro e nelle attività, rendendo 1'Associazione centro vitale e forte nell'agitarsi della vita comunale italiana. ( L a Croce di Costantino. Caltagirone, 3 aprile 1915).

LA POLITICA AGRARIA E L'ASSOCIAZIONE DEI COMUNI La questione della politica agraria dell'oggi e del domani, & niessa all'ordine del giorno dai fatti, anche senza che il governo n e senta tutta l'importanza e l'urgenza. L'agricoltura p e r u n popolo come i l nostro è la sorgente vera d i ricchezza, è la base di ogni elemento d i trasformazione, è l a sicurezza della vita. Mai come oggi si è compreso, con la riprova dei fatti perturbatori dell'equilibrio delle produzioni e degli scambi, come l'agricoltura debba essere fortemente sorretta e largamente trasformata, domandando ai campi il maggiore e più costante rendimento, e al commercio i più sicuri sbocchi. La preoccupazione immediata durante i l periodo della guerra è i l mantenimento normale della cultura dei campi, per cui l a mano d'opera a tempo opportuno non deve mancare e l'introduzione delle macchine deve essere sostenuta con ogni mezzo. E


oggi che vi è il rincaro e la scarsezza delle macchine, l'opera integratrice del governo non deve essere limitata a piccole misure di bilancio o a provvedimenti ispirati a timorosi riguardi regolamentari; ma deve vibrare forte insieme all'iniziativa privata fino alla esibizione e alla imposizione là dove non si concepisce l'azione e si ode i l lamento sulle tristi sorti della agricoltura. P e r la mano d'opera agricola, voti d i consigli provinciali e d i comitati agrari, interpellanze di deputati hanno messo i n luce più le difficoltà militari d i tali provvedimenti, che le difficoltà politiche. I1 problema è grave, anclie se si insiste, come molti comitati h a n fatto, a rendere possibile la mano d'opera femminile nei lavori agrari meno pesanti, p u r circondata da garanzie giuridiche e morali i n modo che non' si risolva in sfruttamento oggi e in concorrenza domani. Un altro lato del problema, essenzialmente meridionale, è la custodia dei campi migliorati. Se in tempo di pace, e con la vita normale che si svolge nei campi, il pascolo abusivo e il danneggiamento sono continui, oggi che la gioventù valida e coraggiosa manca, chiamata dal dovere alle armi, i campi migliorati sono alla mercé delle dannose capre che infestano i territori del mezzogiorno e della Sicilia. Invano da cinque anni s'invoca l'applicazione dell'art. 4: della legge sulla Sardegna che dichiarò il danneggiamento dei campi e i l pascolo abusivo reati d i azione pubblica. Non si tratta d i pregiudizio giuridico, oramai sorpassato dalla citata legge sulla Sardegna; ma di mancanza d i visione del problema stesso che sembra piccolo e meschino, e pure è grave. Se si potesse ridurre i n cifre i l danno delle capre, non solo materiale, ma morale, poiché dà luogo ad abbandono di campi, svoglia dalle migliorie, crea litigi, impone soggezioni: si vedrebbe che il tardare oggi più che mai nei provvedimenti invocati è u n delitto di lesa agricoltura. E non basta; mancano le strade agrarie, si grida da gran tempo; e le esistenti sono abbandonate! P e r varare una legge importante e d i carattere tecnico, il nostro parlamentarismo h a ruote così pesanti, che non c'è d a


meravigliarsi, se si pensa ai lunghi anni di preparazione e ai così detti lunghi studi per una riforma sulle strade vicinali. Ci era sembrato che, in un momento di chiara visione del problema, il ministero dei LL.PP. - secondando un'iniziativa dell'Associazione dei comuni - avesse portato avanti u n decreto legge per l e vie vicinali, come un provvedimento preparatorio e come u n richiamo importante alla realtà; ma pare che l e difficoltà frapposte fin oggi siano più forti. Comunque è ingenuo pensare ad una politica agraria. che dopo la guerra deve essere la forte base di un7azione generale di governi, di enti e di popolazioni, senza che sia resa possibile la intensificazione del lavoro e della produzione, non con i piccoli premi e con le minuscole agevolazioni sui bilanci dello. stato, ma con le iniziative larghe, che rispondano ai bisogni della generalità. Così s7impone i l problema dei corsi di acqua in campagna collegato col problema della malaria e del latifondo. Sino a che nel mezzogiorno il nostro contadino non vive sui campi ma nei centri urbani - e ciò avviene per mancanza di strade e di corsi di acqua, per la malaria - la politica agraria sarà una parola vuota d i senso. Come indice del problema posto e affermato autorevolmente, mi piace riassumere queste brevi note con l'ordine del giorno votato a Milano il 21 febbraio dal consiglio direttivo dell7Associazione dei comuni; e trasmesso con lettera al ministro dell'agricoltura e da diversi deputati. Ecco l'ordine del giorno: « IL consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni italiani:

riconoscendo che è dovere urgente. del governo affrontare e risolvere i problemi di politica agraria che incombono nel presente momento per ottenere una migliore e maggiore produzione dei campi, onde si alimenta la vita della nazione, anche per potersi tollerare e vincere la pressione tributaria recente sulla proprietà rurale nella convinzione che i comuni debbano cooperare con ogni sforzo a tale politica agraria, intensificando anche la tu-


tela della proprietà migliorata dove essa è soggetta al danneggiamento e al pascolo abusivo come nel mezzogiorno e nella Sicilia ; f a voti:

( censura) ( *) b) Che sia esteso al mezzogiorno e alla Sicilia l'art. 4 della legge sulla Sardegna, per il quale il pascolo abusivo e i l danneggiamento dei campi sono dichiarati reati di azione pubblica specialmente in questo periodo nel quale molti campi sono senza custodia o sono custoditi da vecchi e da donne; e sia agevolata l'azione dei comuni che provvedono con guardie campestri alla polizia rurale ; C) che siano promosse 'opere di miglioramento agrario, specialmente per la viabilità e lo sfogo di corsi d'acqua, e sia intensificata la lotta contro la malaria D. I n tale ordine del giorno tre criteri sono affermati: (censura) che oggi si affermi la tutela dei campi come cosa sacra; e se ne prepari la trasformazione con le strade e i corsi di acqua. È il programma minimo che prepara il programma massimo della politica agraria. A minimo incipe ... (Avvenire d'Italia, Bologna, 7 marzo 1916).

21.

GRANO E FARINA A tutti è nota l'opera sagace e solerte che il nostro prosindaco h a spiegato e va spiegando i n seno alL'Associazione dei comuni, - dove i suoi meriti indiscutibili sono altamente apprezzati p e r i provvedimenti granari; e nella nostra città sono parimenti noti i suoi decreti pel: divieto d'esportazione del grano (*) Si tratta della censura cui era sottoposta la stampa in periodo bellico.


fuori del territorio nostro; e p e r i l prezzo limite delle farine prodotte nei mulini del territorio medesimo. Ed è notevole che questi decreti hanno precorso sempre quelli del governo, i l quale non poco s'è giovato degli studi, delle relazioni e delle pubblicazioni che i l nostro Sac. Sturzo è venuto facendo d a u n anno in qua sulla questione granaria. Noi ci congratuliamo vivamente con lui e siamo lieti d i pubblicare nel nostro giornale i l seguente articolo la cui importanza non sfuggirà certamente a nessuno. I1 decreto del prezzo-limite del grano e delle farine, benché u n po' tardivamente, è venuto ancora opportuno p e r frenare l a speculazione, p e r equilibrare il commercio, parzialmente alterato dalla requisizione militare a prezzi determinati, senza che tale fattore di grave portata fosse stato integrato dall'altro, che è venuto oggi, e che colma una gravissima lacuna della legislazione annonaria pel tempo di guerra. I1 provvedimento odierno doveva venire contemporaneamente a quelli del censimento e della requisizione militare; e solo una visione parziale del problema e una preoccupazione teorica, oramai sorpassata, lo h a fatto tardare di circa due mesi. L'Associazione dei comuni italiani aveva visto e studiato i l problema e discusso ampiamente fin dai primi del 1915, e nel congresso d i Roma (febbraio 1915) io ebbi l'onore d i essere i l relatore del problema granario, e di sostenere la tesi della necessità di fissare con norme d i legge il prezzo limite del grano. Tale tesi sostenni inoltre nella riunione del 9 agosto tenuta in Campidoglio p e r invito del sindaco di Roma, alla quale parteciparono i sindaci della città capoluoghi di regione; essi furono consenzienti i n linea di massima alla tesi, che poi mi fu combattuta, con mia grande sorpresa, dal consiglio provinciale d i Catania. Ripresa la questione in ottobre dal consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni, riunito a Modena, insieme al collega comm. Franco portai al ministro dell'agricoltura il voto emesso allora, che insisteva per l a requisizione e i l prezzo limite del grano. Ricordo che l'on. V. E. Orlando, prima di esser ministro, i n


una riunione tenuta tra il comitato parlamentare delle cooperative e la presidenza del17Associazione dei comuni, nell'ottobre del 1914, p u r ritenendo azzardata la tesi del prezzo-limite del grano, riconosceva la bontà degli argomenti addotti tanto da me quanto dal Vergnanini, segretario della Lega delle cooperative. I1 ministro Cavasola non nascose mai alle commissioni deIl'Associazione dei comuni le sue riserve per così grave provvedimento, e la sua convinzione che il gioco delle libere forze commerciali dovesse da sé e senza imposizioni superare la crisi incombente. Ma se le tesi dell'orlando e del Cavasola avevano valore ( p e r me discutibile) prima del decreto del censimento e della requisizione militare, lo perdettero dopo che tali provvedimenti vennero adottati, per grave necessità di stato ed esigenza di servizio pubblico. Era naturale che, pubblicati i decreti del censimento e della requisizione, il prezzo del grano subisse un ribasso; contemporaneamente i grandi incettatori e i mulini, che producono semola e farine, acquistarono più facilmente, perché molti preferivano la vendita in contanti alle lunghe pratiche per la liquidazione dei prezzi del grano requisito dalle autorità militari. E poiché tale requisizione non fu e non poteva essere né generale, né contemporanea, per la limitazione della offerta, dopo il censimento, si ebbe di nuovo u n rialzo rapido dei prezzi del grano, e quindi una successiva oscillazione del mercato, secondo che l'azione dei consorzi granari, di intesa con le commissioni militari, poté influire più o meno sui prezzi della libera contrattazione. Pertanto, per il facile monopolio che si determina fra i grandi mulini, specialmente nel mezzogiorno ed in Sicilia i prezzi delle farine e delle semole si mantennero alti, anche quando il prezzo del grano discese di sei o sette lire, con grave danno dei consumatori, costretti a pagare il pane e la pasta a prezzi superiori a quelli medi del grano, nonché degli agricoltori i quali o coattivamente per la requisizione, o per i giochi del mercato alterati dal censimento e dalla requisizione militare, vendettero a prezzi minori d i quanto costasse sulla piazza il grano estero e l e farine. Tale l'effetto della non completa visione del complesso pro-


blema cla parte del governo, i l quale volle adottare i l regime coattivo soltanto p e r metà, lasciando la porta aperta alla speculazione privata, a danno della popolazione civile. Questo inconveniente f u subito avvertito dall'Associazione dei comuni italiani, a cui nome, con lettera del 28 gennaio ultimo, così scrivevo a l ministero dell'agricoltura : ... Un altro voto però quest'Associazione presenta a l ministro di agricoltura: quello di fissare p e r decreto il prezzo limite delle farine. Così solo si eviterà la facile manovra degli incettatori, che sfuggono agli effetti della requisizione militare; la quale in via indiretta potrebbe anche avvantaggiare la fornitura dei consorzi provinciali. Oramai i passi fatti, danno diritto a richiedere i l compimento dei provvedimenti annonari ». E poiché tali provvedimenti annonari tardavano ancora, i l 20 febbraio tornai a scrivere al ministro con queste parole: « A nome dell'Associazione dei comuni, sento il dovere d i insistere di nuovo, perché siano fissati i prezzi-limite del grano e delle farine. « I1 fatto rilevato da molti è che nelle oscillazioni del mercato, dovute al censimento e alla requisizione del grano, chi ne h a approfittato sono specialmente i grossi mulini, che h a n comprato grani nei momenti di depressione dei prezzi, ed han mantenuto quasi sempre fermi e alti i prezzi degli sfarinati e delle paste. « I1 prezzo limite varrà ed integrare i cavi provvedimenti adottati con l a requisizione militare, resa vantaggiosa dalla cessione del grano requisito ai consorzi e ai comuni. Questa Associazione confida nell'opera del governo, che saprà impedire la illecita e indebita speculazione a danno del popolo 1). Infine, il consiglio direttivo dell'Associazione, riunito a Milano il 21 e 22 febbraio, emetteva il voto d i insistere ancora u n a volta p e r ottenersi il decreto del prezzo limite del grano e delle farine, e il voto fu pubblicato dalla stampa di ogni colore; e d io ebbi incarico d i trasmetterlo al governo, i l che feci con lettera del 26 febbraio al ministro dell'agricoltura e altra del 9 febbraio al presidente del consiglio dei ministri. I1 voto del consiglio direttivo era i l seguente: I1 consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni italiani,


riunito a Milano il 21 febbraio 1916, riferendosi ai propri voti e all'azione spiegata dall'Associazione riguardo alla questione granaria, rilevando ancora una volta che dai fatti stessi si è avuta la riprova della necessità della tesi sostenuta fin dal tredicesimo congresso d i Roma del 1915; anche perché gli opportuni provvedimenti da ultimo adottati dal governo, e cioè i l censimento e l a requisizione militare riescano giovevoli alla popolazione civile e si eviti la grave e facile speculazione degli iiicettatori d i grano e produttori di sfarinati; fa voti che con opportuni e congrui provvedimenti sia stabilito il prezzo-limite deI grano e deìie farine n. Certo il ritardo di due mesi h a dato la riprova d i fatto; m a proprio non occorreva. Oggi il decreto mette u n punto; la corsa al rialzo dei grani, e la speculazione dei mulini erano fenomeni troppo costosi pel popolo; per cui l'atto energico del governo, anche tardivo, va applaudito. I1 decreto h a attribuito ai prefetti la facoltà d i fissare il prezzo della farine e delle paste; e ai comuni quello del pane. Ciò fa ricordare una delle più interessanti questioni che si dibattono i n proposito nel diritto amministrativo, quella del calmiere, che i n certi paesi del mezzogiorno è conosciuto col nome d i assise annonaria. I comuni hanno i l diritto, riconosciuto dalla tradizione, dalle consuetudini, dalle leggi e dalla giurisprudenza, d i imporre i calmieri o assise annonarie sui generi di prima necessità; a tali calmieri sono soggetti gli esercizi del territorio comunale con l e sanzioni penali della legge comunale e provinciale per contravventori ai regolamenti locali. Dalla giurisprudenza non sono stati considerati esercenti soggetti alla osservanza dei calmieri i mulini produttori d i farine e di semole, perché venditori all'ingrosso. E siccome tali mulini forniscono i generi agli esercenti, n e deriva l'incongruo risultato che i municipi sono costretti a fissare l'assise o calmiere sui listini dei mulini, che esercitano u n vero monopolio nelle farine, ed a trascurare i prezzi del grano che dovrebbero essere invece l'indice più naturale e diretto della fissazione del prezzo. P e r sfuggire a tale conseguenza onerosa per i cittadini, diversi comuni hanno tentato d i istituire


mulini e forni rnunicipali, incontrando le difficoltà pratiche a tutti ben note. I1 sottoscritto, con decreto sindacale del 3 febbraio h a sottoposto i mulini d i Caltagirone all'assise annonaria per le farine, semole e paste; e il decreto fino ad oggi non è stato impugnato ; anzi è stato lodato dalla stampa d i ogni colore. Oggi la competenza è stata data a i prefetti, e se si fosse affrontato i n tempo e con criteri obiettivi legali, oltre che d i opportunità, il problema generale del diritto di calmiere municipale, quale fu prospettato dall'Associazione dei comuni fin dal 9 agosto 1915 nella riunione tenuta in Campidoglio, non si sarebbero sottratti fino ad oggi molti milioni ai consumatori ed agli agricoltori. Comunque sia stato risolto oggi il problema del diritto a imporre il calmiere sulle farine e paste vendute dai mulini, con grande soddisfazione viene appreso il provvedimento che mette fine ad u n periodo d i incertezze e oneri per la nostra popolazione. Certo, nel decreto vi sono dei lati manchevoli; e l'esperienza detterà qualche modifica pratica, che l'Associazione dei comuni, vigile esponente dei bisogni comunali, non mancherà d i segnalare, m a l a portata complessiva risponde alle più naturali esigenze della vita nazionale. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 26 marzo 1916).

I COMUNI E LA QUESTIONE DAZIARIA Un memoriale dell'Associazione dei comuni Abbiamo il piacere d i poter pubblicare i l Memoriale mandato il 3 C. dall'Associazione dei comuni italiani a l ministro delle finanze sulla questione daziaria. I l nostro d o n Luigi Sturzo - vice presidente - f u d a l consiglio direttivo riunito a Genova il 21 maggio incaricato di redigerlo e presentarlo a l ministro; prospettando le diverse impor-


tanti questioni ivi ventilate. Certo i problemi finanziari oggi si moltiplicano e si complicano in maniera eccezionale. Però la questione dei canoni daziari è una questione antica e annosa, che l'on. Sonnino nel 1906 tentava risolvere di u n colpo, abolendoli a favore dei comuni. Oggi tale questione, allo scadere del decennio di. abbonamento risorge; e gli avvenimenti finanziari del momenta ne fanno sentire tutta l'attualità; non si può d i sicuro continuare i n un regime ibrido e d ingiusto insieme, e l'Associazione dei comuni h a fatto bene a ripigliare la questione nel suo carattere fondamentale e nella soluzione radicale. « La temperanza dei criteri e la visione reale della questione (come dice Il Corriere d'Italia) dà a l Memoriale una importanza che è degna di essere messa iic rilievo, non solo per i comuni ma p e r quanti (e dovrebbero essere molti) s'interessab a questi problemi, che rappresentano un lato notevole della nostra vita economica e amministrativa n. Questo consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni, riunito a Genova i1 21 c.m., si è vivamente preoccupato del problema della rinnovazione dei canoni daziari governativi e delle diverse questioni che tale problema contiene. E preliminarmente a qualsiasi- esame di merito, si ritiene equo che, prima che siano approvate dal governo l e nuove norme o comunque siano presi dei provvedimenti rinnovando quelle del decennio precedente riguardz la statuizione del canone, venga sentita l'Associazione dei comuni italiani come l'ente rappresentativo degli interessi di tutti i comuni d'Italia. Né tale richiesta può ritenersi lesiva dei diritti dello stato o esagerata ed inopportuna; e ciò sia per il principio testé anche proclamato alla camera dall'onorevole presidente del consiglio - che il governo non rifiuta il parere e la collaborazione dei competenti e degli interessati, p u r rimanendo arbitro delle sue decisioni; sia più che altro per il fatto che nel caso della percezione daziaria il comune è u n contraente col governo, u n contraente forzato dalla legge, un cointeressato per l e quote di partecipazione ma sempre u n contraente, non mai un organo dipendente e funzionale della finanza dello stato.


È pertanto legittima la richiesta di poter conoscere preventivamente i criteri ministeriali, per avanzare quelle osservazioni e suggerire quelle proposte sulle quali poi decide sempre il governo con i suoi poteri sovrani. Mentre così si dà modo ai comuni di far sentire la loro voce, in regime di libertà non si alterano i rapporti giuridici esistenti. Passando dalla pregiudiziale al merito, l'Associazione dei comuni ritiene : lo - Che sia tolta la sperequazione e riparata l'ingiustizia della legge 23 gennaio 1907 n. 25 in quanto esclude (fu concesso solo parzialmente) dal sussidio governativo quei comuni che, democraticamente prevedendo i criteri governativi, avevano già abolito il dazio sulle farine e sul pane. L'atto di previdenza comunale fu risoluto in u n danno, che è stato risentito per oltre quindici anni. 2" - Che sia modificata la legge, 6 luglio 1905 n. 323 circa la determinazione del canone governativo per i l passaggio d i classe dei comuni, ~ e r c h ési tenga calcolo nella determinazione dei canoni, della reale ~ e r d i t aderivante per il passaggio alla classe inferiore. 30 - Che i n ogni caso e nell'applicazione delle diverse disposizioni legislative e regolamentari siano esattamente valutate le spese reali d i riscossioni di ogni singolo comune non con semplice criterio d i approvazione o d i percentuali. 4" - Che siano accordate maggiori facilitazioni ai comuni, che p e r sistemare l e loro finanze intendono ~ r o c e d e r eall'allargamento delle cinte daziarie con la rinuncia (almeno pei u n determinato periodo d i tempo) all'aumento del canone governativo. Infine l'Associazione dei comuni fa rilevare che mentre l'applicazione dell'ultimo decreto legge 31 ottobre 1915 n. 1549 sulla riduzione dei canoni daziari si è risolta solo a vantaggio d i pochissimi casi, che si possono dire d i vera eccezionalità e che non arrivano a 500 su oltre 8.000 comuni, gli altri tutti soffrono di una diminuzione più o meno sensibile nella percezione daziaria, mentre per i comuni che hanno la gestione diretta, le spese sono aumentate per il richiamo sotto le armi d i una notevole parte del personale, a l quale si deve corrispondere lo stipendio


o salario, e sono necessarie le supplenze per i posti relativi. che non possono lasciarsi scoperti. Ora i l provvedimento di riduzione di canone, legittimo nel suo principio. dovrebbe continuare ad applicarsi per tutto il periodo di guerra e per la proporzionalità dei mancati introiti sulle voci o tariffe governative. Tale provvedimento eviterebbe anche sperequazioni ed aggravi che verranno d i sicuro nella rinnovazione dei canoni daziari, rinnovazione che allo stato presente si reputa essere inopportuna; potendosi invece continuare nella proroga dei canoni precedenti ; con congrue riduzioni ed aumenti perequativi. P e r molte ragioni si crede inopportuno che codesto onorevole ministero affronti oggi la questione della rinnovazione decennale dei canoni daziari; poiché anzitutto con l'enorme spostamento della economia nazionale non regge più il concetto tradizionale del riparto dei canoni; si dovrebbe oggi affermare u n principio veramente moderno, quello del rapporto reale del canone daziario con la percezione netta dei dazi governativi da ripartirsi in equa percentuale a tutti i comuni: entro l'attuale consolidato complessivo netto a favore dello stato. Questo criterio d i sicuro contrasterebbe con molti interessi comunali: troverebbe obiezioni e difficoltà nei diversi regimi daziari comune aperto e chiuso - classifica - diversità d i voci e tariffe-abhonamenti locali fatti con esercenti e simili - e solleverebbe u n notevole contrasto fra i comuni, molti dei quali per favorevoli eventi e per assidua cura amministrativa, lianno enormemente migliorato i l gettito iniziale del dazio governativo, tutto a proprio vantaggio. Di fronte a tali difficoltà, che p u r troppo non sono facilmente sormontabili, una soluzione si affaccia molto più radicale, prospettata spesso da comuni e da economisti: non sarebbe proprio venuto il momento della rinuncia da parte del governo al canone daziario, da lasciarsi a intero vantaggio dei comuni? Certo la risposta non può essere immediata; ma mentre il governo studia i mezzi per far fronte agli oneri presenti e futuri d i carattere permanente, non può non coniprendere in una serie d i provvedimenti anche i comuni; per i quali la soppressione


del canone claziario, oltre che un vantaggio di trenta milioni l'anno, rappresenterebbe una legge di perequazione e cli equità. Si tornerebbe al vecchio disegno Sonnino con ben altre ragioni a favore e a riprova della bontà della tesi. Posta oggi così la cliiestione è logica necessità: 1" la sospensione della immediata rinnovazione decennale clei canoni daziari, con proroga degli attuali per i l 1917: 2" l'applicazione al 1916 del decreto 31 ottobre 1915 n. 1349 per la riduzione e per le proroghe dei canoni daziari, modificato però nel senso detto sopra. 3" lo studio de117abolizione del canone daziario governativo. Roma, 29 maggio 1916.

(La Croce di Co~tantino~ Caltagirone, 4 giugno 1916).

GLI STIPENDI AGLI IMPIEGATI COMUNALI (*) Diamo l a relazione di don Sturzo a l convegno dei sindaci i n Campidoglio, sull'importante argo~mentodegli stipendi degli impiegati comunali. Dopo scoppiata la guerra, non pochi comuni, per i disagi sempre crescenti del rincaro della vita, spontaneamente provviclero a congrui aumenti d i stipendio, ovvero con indennità temporanee, a favore del personale impiegato e salariato. Quando i l governo concesse sul tesoro dello stato l'indennità caroviveri ai maestri elementari delle scuole amministrate dai consigli provinciali scolastici, f u fatta rilevare dall'Associazione dei comuni l'ingiustizia del diverso trattamento usato per i maestri dei comuni autonomi, contrariamente allo spirito e al17indirizzo costante della legislazione i n materia. I n seguito al D. L. 26 luglio 1917 n. 1181, moltissimi comuni provvidero con mutui

(*) Relazione al convegno [lei sindaci, teniitnsi a Roma nel marzo 1918.

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presso la cassa depositi e prestiti o presso altri enti per avere i mezzi necessari a corrispondere l'indennità caroviveri resa obbligatoria. L'Associazione dei comuni, nell'adunanza del consiglio del 17 settembre 1917, mantenne i suoi voti del 5 maggio precedente, e invocò ancora una volta l'applicazione dell'art. 21 della legge 4 giugno 1911, n. 487 nei riguardi dell'onere dell'insegnamento elementare per i comuni autonomi. Perdurando, non solo, ma aumentando sensibilmente il disagio economico, il governo col D. L. 10 febbraio 1918, n. 107, mentre ha stabilito a favore dei propri impiegati u n aumento di stipendio, comprendendovi i maestri elementari iscritti nei ruoli dei consigli provinciali scolastici, ha dato agevolezze ai comuni e alle provincie perché, entro i limiti delle percentuali fissate dall'art. 1 del decreto, possano anch'essi provvedere allo aumento di stipendio del personale dipendente (impiegati, agenti, salariati). Già qualche comune dei più importanti si è affrettato a deliberare al riguardo; moltissimi invece hanno rilevato l e difficili condizioni finanziare in cui versano e che non consentono loro di sopportare il nuovo aggravi0 che moralmente è imposto. più che da leggi, dalla pressione della pubblica economia, la quale fa diminuire il valore della moneta e rialza i costi dei generi di qualsiasi natura. Anche questa volta il governo ha voluto mantenere la ingiustificata differenza tra maestri elementari dipendenti dai consigli provinciali scolastici e maestri elementari dipendenti dai comuni autonomi. Le agevolazioni finanziarie indicate all'articolo 8 del decreto in esame non sono sufficienti né adatte allo scopo. Anzitutto non si comprende che cosa voglia significare l'accenno all'aumento di sovrimposta entro il limite legale, poiché anche per le spese facoltative i comuni possono aumentare la sovrimposta entro quel limite, e perciò non occorre alcuna legge speciale. Sembra invece che il legislatore abbia voluto impedire, con questa forma sibillina, l'aumento della sovrimposta oltre i1 limite legale, tranne che per garantire i mutui, i quali potranno essere contratti solo dopo che saranno applicate (indipendentemente dalle altre disposizioni di legge) la tassa di eser-


cizio e rivendita, al limite massimo consentito durante il periodo bellico, la tassa sui pianoforti e bigliardi, e l'aumento del 20 p e r cento sul dazio di consumo governativo e addizionale comunale sulle bevande vinose. Così deve intendersi la parola gradualmente messa al quarto comma dell'art. 8 del decreto, la quale altrimenti non avrebbe significato, e così difatti la intende il ministro dell'interno con l a circolare 16.900/3. Ma poiché tali tasse o sono state già applicate i n non pochi comuni o non potranno dare u n gran gettito, specialmente nei piccoli comuni e comunque sia, neppure l'aumento del 20 p e r cento di dazio sulle bevande vinose nei grandi centri potrà coprire la spesa alla quale si andrà incontro p e r gli aumenti d i stipendi e salari, non resta ai comuni che far ricorso a nuovi mutui, a lunghe dilazioni da 20 a 35 anni. con relativo aumento di sovrimposta, da dare i n garanzia, sia pure dopo aver messe quelle tasse suindicate, che daranno solo l a sensazione di inasprimenti e non mai u n vero reddito compensativo. Occorre, inoltre, tener presente che mentre il ministro del tesoro si augura e confida di poter diminuire i l numero degli impiegati dello stato p e r far fronte con le relative economie ai nuovi aggravi derivanti dagli aumenti di stipendio ora concessi, i comuni non hanno queste rosee speranze, né i n ogni caso, essi sono i n grado di diminuire oggi i l loro personale, quando invece hanno dovuto ricorrere all'assunzione di numerosi impiegati avventixi e straordinari p e r provvedere al moltiplicarsi dei servizi pubblici, dai sussidi alle famiglie dei militari, a i frequenti censimenti, ai tesseramenti e simili e senza aver potuto semplificare neppure i l servizio inutile della compilazione delle liste elettorali. I1 rimedio dei mutui per far fronte alle spese d i esercizio p e r stipendi e salari - le quali già raggiungono l'aumento medio complessivo del 50 per cento - è irragionevole, illegale e preoccupante. La vita comunale resterà soffocata se non si equilibra col ritmo della vita generale. Occorre elevare fin d'ora il gettito delle entrate; mentre le sovrimposte e le tasse comunali sono sature, nella maggior parte dei casi, e non è pos-


sibile, dove non è applicata, ricorrere oggi alla tassa di famiglia p e r evidenti motivi di ordine politico. Occorre quindi dare ai comuni la possibilità di partecipare alle tasse che nel regime di guerra vengono facilmente imposte dallo stato e con migliore disposizione d'animo sopportate dai contribuenti. P e r queste considerazioni il consiglio direttivo dell'Associazione dei comuni ha deliberato, nella sua ultima riunione del 3 marzo, d i indire una propria speciale adunanza, con l'intervento dei rappresentanti comunali diretti e dei parlamentari che partecipano al consiglio stesso, per studiare la grave questione e prospettarla al governo nel suo complesso, che-abbracci gli interessi dei piccoli e grandi comuni e non metta i n facile contrasto funzionari e amministrazioni comunali, per poi, non resistendo i l governo alle pubbliche pressioni delle organizzazioni d i classe e dei partiti politici, giungere alla ohbligatorietà di provvedimenti, che oggi sono solamente facoltativi, derivando da ciò evidente danno alla stessa vita comunale. Le amministrazioni comunali non possono non rendersi esatto conto delle ragioni che giustificano le richieste del proprio personale e quindi sanno bene che la ricerca dei mezzi per fronteggiare le maggiori spese costituisce per loro un dovere. Però, avendo u n meccanismo tributario insufficiente e vecchio, esse devono per forza di cose invocare dal governo provvedimenti che diano a d essi mezzi più cospicui d i quelli che possono ricavarsi dalla tassa sui pianoforti e bigliardi o dall'aumento del 20 per cento del dazio sulle bevande vinose. I provvedimenti possono essere molti, ne propongo qualcuno:

1. Partecipazione dei comuni alla tassa sui sopraprofitti d i guerra ; 2. partecipazione dei comuni alla tassa sul contributo d i guerra ; 3. partecipazione alla tassa d i R. M.;

4. parificazione dei maestri elementari, agli effetti degli aumenti d i stipendio e di indennità, sia dipendenti dai consigli provinciali scolastici che dai comuni che hanno conservata l'am-


ministrazione delle scuole, come fu fatto con le leggi del 1886, 1904, 1906, e 1911. Si dirà che con questi provvedimenti si obbligherebbe lo stato, già oberato delle spese di guerra e degli aumenti generali, a pagare pure gli aumenti degli stipendi e salari del personale comunale. A parte la questione degli insegnanti elementari, che ha altra figura e tradizione legislativa, come considerazione preliminare importante è da rilevare che i comuni, durante il periodo bellico, sono stati gravati di servizi di carattere indubbiamente statale, eccezionali, quali quello della leva, del pagamento dei sussidi militari, dei censimenti, requisizioni e simili, che rappresentano una spesa di notevole entità, che dovrebbe essere loro rimborsata. Ma, indipendentemente da tale considerazione, si comprenderebbe una finanza comunale autonoma e distinta da quella dello stato, qualora la larghezza tributaria comunale fosse tale da poter consentire di tener presente nell'applicazione tutta la diversità di condizioni e di interessi economici locali. Ma quando le tasse comunali sono sature tutte o quasi tutte, non c'è più libertà di apprezzamento e di scelta, e la distinzione fra gli organi tassatori, stato o comune, diventa puramente nominale e non ha altro effetto che quello di aumentare il disquilibrio esistente in materia di imposte e di acuire l e condizioni di molte categorie di contribuenti, che nel periodo della guerra hanno dovuto sopportare i pesi senza alcun compenso. Per giunta, è molto più difficile che il comune oggi possa elere l e proprie tasse, mentre lo stato nell'aumentare l e proprie ha una giustificazione di interesse nazionale, che rende sopportabile qualsiasi onere; lo stato d'animo generale, specialmente nelle campagne, è che i comuni dovrebbero arrestarsi, se non attenuare, la corsa agli aumenti di imposte e tasse, mentre lo stato esige ed esigerà da tutti gravissimi altri sacrifici. Ecco perchè dal punto di vista politico, psicologico e tributario, è da augurarsi che il governo si convinca della necessità che nel periodo bellico sia unico l'organo di tassazione, con la equa e razionale partecipazione dei comuni ai redditi delle imposte.


Ai comuni è solo da imporre la piÚ rigida economia di spese superflue, perchè essi possano far meglio fronte all'aumento delle spese necessarie, fra le quali devono indubbiamente ritenersi quelle relative alla concessione di congrui aumenti degli stipendi e dei salari al loro personale. (La Croce di Costantino, Caltagirone, 7 giugno 1918).


SCRITTI SU PROBLEMI DEGLI ENTI LOCALI (1897

-

1950)



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