LA POLITICA N E I MUNICIPI L'idea che i l municipio viene eletto dal popolo, p e r amministrare il comune per i l bene dell'intiera cittadinanza, è cosa da meclio evo, d a codini, anzi è idea degna di essere pietrificata e rinchiusa in u n museo d i antichità. I municipi oggi non hanno altra missione che quella di fare i deputati, e viceversa esser fatti dai deputati; perciò devono nel loro indirizzo, a dritto o a torto, farci entrare la politica; la quale, basata più sui privati interessi e su un anticlericalismo sistematico, che sul bene della nazione, è la rovina dei comuni e dello stato. E guai a quei municipi cattolici, che vogliono sentir d i politica, come i l diavolo l'acqua santa! Presto il rimédio: u n buon decreto di scioglimento, e tosto u n galoppino elettorale . che si chiama regio commissario ... E così è salva la patria. P e r esempio: perchè la maggioranza cattolica del consiglio d i Torino, lo scorso anno, alla proposta di stanziare nel hilancio L. 500 p e r la commemorazìone della breccia di Porta Pi(gli)a, votò contro, ci f u il finimondo ... Dalla minoranza viene improvvisata una dimostrazione ostile, che manifesta la volontà del così detto pubblico, con i l necessario coefficiente d i pugni, sassate e bastonate ... intanto il decreto di scioglimento era pronto ... Che f u ? il municipio d i Torino viene sciolto per provocazioni. Nell'aprile ultimo, i consiglieri di Frascati, cattolici, p u r dimostrando il loro dispiacere per l'orribile attentato d i Acciarito alla vita del re: non vollero votare u n ordine del giorno, dove si facevano auguri per l'immutabile regno d i Casa Savoia in Roma ... Ma n o ; tutti dobbiamo pensare non con la nostra, m a con la
testa dei liberali; ed ecco subito lo scioglimento del coiisiglio comunale coi suoi annessi e connessi. Giorni addietro a Vicenza, il municipio cattolico, nella commemorazione dei caduti del 1848 nella battaglia di Berico, invece delle solite schiamazzate e commemorazioni con le necessarie invettive contro il potere temporale, la schiavitù degli italiani, eccetera, pensò far celebrare una Messa di requiem con l'intervento della giunta. Ma i liberali, amaramente ricordando il solenne responso delle urne, per il quale furono totalmente esclusi dal palazzo di città, vollero far chiasso e vennero perfino alle violenze. P e r via si opposero al corteo, che sfilava con tutta solennità, e provocarono gli applausi alla giunta e al sindaco dalla maggioranza del paese, frammisti ai loro fischi, e sassate e hastonate; tanto che dovette intervenire la truppa.
I provocatori, s'intende, furono i clericali che la pensarono da veri cristiani, deliberando di suffragare le anime dei soldati caduti sul campo di battaglia. Così al parlamento parlò l'on, Cavalli, il quale protestò vivamente contro i l contegno della giunta clericale-intransigente, che ha voluto trasformare una solennità patriottica i n una manifestazione faziosa (relaz. camera 10 giugno). Si, perché per un parlamento antireligioso come il nostro, patriota è tutto ciò che parla contro il papa, la religione, Gesù Cristo; e faziosa è anche una messa funebre! Quindi il consiglio di Vicenza pagherà il fio di questo misfatto, e sarà sciolto. Così, non pensando nè ai guai dell'amministrazione provvisoria d i u n regio commissario, inesperto del paese e nuovo dei bisogni locali di un comune ; e quel che è peggio, col mandato di f a r passare la libera volontà dei cittadini facendo eleggere per fa* e t nefas i liberali, i nostri comuni seguiteranno a tener quella via sdrucciolevole che li ha condotti e finir.à di condurli alla rovina. il zuavo ( L a Croce di Costantino, Cal~agirone~ 20 giugno 1897).
PROGRAMMI E NON PERSONE È una frase che i cattolici ripetono da gran tempo, e che ci piace leggere nella circolare del prefetto Bedendo, diretta agli elettori della provincia d i Catania, in occasione delle prossime elezioni amministrative. I1 diritto popolare d i elezione, sacro diritto di libertà, h a la sua grande ragion d'essere nel concorso disinteressato d i tutti i cittadini al miglioramento della cosa pubblica. Altro scopo non ha, né può avere. I1 farvi entrare, anche indirettamente, l'utile o l'interesse personale, quale esso sia, è u n distruggere il fondamento del diritto, e per necessità, u n invertire lo scopo del bene comune e del retto funzionamento d i u n ente, che risponde a i bisogni collettivi del popolo. Non basta perciò che si presentino a candidati per rappresentare e curare questi interessi collettivi, uomini anche di specchiata onestà; m a fa d'uopo che si presentino i n nome e sotto la ragione d i u n programma; perchè i mandanti possano aver non solo la fiducia personale, bensì la fiducia che saranno con criterio certo e con norme stabilite curati gl'interessi d i tutti. E i l corpo elettorale, composto d i tutte le classi sociali, dal professionista al proprietario, grande e piccolo, all'operaio, all'agricoltore, misurerà il programma coi bisogni della propria classe e con le esigenze collettive ; riconoscerà nei .candidati l a abilità e la volontà di attuare quel programma; e approvando i l programma, affiderà loro il mandato. Si dirà che tale criterio elettorale è una bella utopia, una fictio juris, creata a dimostrare la ragionevolezza del diritto d i voto accordato al popolo; ma che a l fatto non corrisponde. Sia ; ma la colpa non è della ragione del diritto, che si vuole convertire i n una finzione; è del corpo elettorale, non educato, che baratta così nobile ufficio col vile e incosciente d i appoggiare i l favorito o i l prepotente; è del popolo, che si dimentica la ragione del suo diritto, per asservire sè e la cosa pubblica alle ambizioni, alle pretese, agl'interessi personali; e se d i questo
passo in tutti i comuni d'Italia si andrà allo sfacelo, la colpa è degl'italiani, che arccora bisogna fare! Del resto la coscienza pubblica' la prima a sentire l e anomalie, lo attesta che questa strada non spunta; e nei centri più colti sorgono i partiti a base di programmi. Consento che i programmi tante volte sono stabiliti al lume di falsi criteri amministrativi e sociali; una ragione di più, perché il corpo elettorale si levi all'altezza del diritto che esercita. Però è ben chiaro che quando popolo e candidati sono mossi d a --un -dea!e da raggfangeie, e sentono !a potcnza di questo ideale, deve di necessità scomparire tutta la fungaia elettorale e quella zavorra che porta la barca comunah a fondo. Coloro che aspirano a posti, impieghi, imprese; tutti i parassiti che vivono del partito per vivere del comune, e che fan costare caro il loro voto per puntellar le persone, non hanno più ragion d'essere; come non devono avere ragion d'essere i grossi galoppini dei partiti, i ricattatori dei voti, davanti ai quali l'amministrazione è costretta a chiudere u n occhio ; né avrà ragion d'essere il favoritismo nella nomina degl'impiegati, violando spesso i diritti del più meritevole per i torti del più accorto; nè la vendetta contro un personale poco benevolo ai sopracciò del partito dominante; nè infine la corruzione del voto, che dalle classi alte si riversa nel popolino, che si contenta delle due o cinque lire e della sbornia alla taverna, in barba al candidato che paga. Mali questi che demoralizzano i paesi, e invece di fare progredire i popoli, li fanno ritornare ai tempi dell'impero romano o della decadenza della repubblica, ricacciando così la civiltà venti secoli indietro; e che infine riflettono tutti i cancri delle nostre amministrazioni, dove prevale sempre l'interesse dei singoli. Non così quando la vita elettorale di u n popolo è lumeggiata da idee e da programmi; se gli interessi personali non verranno eliminati del tutto (cosa.de1 resto assai difficile), verranno soffocati da coloro che han promesso al popolo di seguire un dato programma e di sposarne la causa; da coloro che per un'educazione franca e superiore, sapranno resistere e vincere. Allora l'amhizione o l'interesse personale saran vinti dalla serietà del partito, che annunzia il suo programma, lo popolarizza sulla stampa e nei comizi, e si fa giudicare senza le preoccupazioni dell'urna,
che potrebbe a&e dare il stto responso negativo, e sbalzare dal seggio chi in fin dei conti non fa altro che rassegnare al popolo, senza rimorsi e senza recriminazioni, il nobile mandato. Alto ideale che non si può effettuare in un giorno, nè si può comprendere in tutta la sua ampiezza quando ire, interessi, ambizioni politiche inquinano l'ambiente elettorale. Pure è necessario che gli uomini che davvero amano il paese e non i n apparenza, fermino nella mente e mettano come meta ai loro sforzi questo ideale, cioè l'educazione elettorale di convinzioni e di principi. Non inchinarsi mai alle esigenze del momento, non cedere u n punto alle amicizie e agl'interessi: sentire e vivere la vita sociale del benessere comune in tutta la sua forza e la sua potenza. Abbiamo questi uomini? - Se non li abbiamo, cerchiamo di averli. È perciò che la Croce di Costantino si permette presentare le linee generali di un programma, che buoni amministratori dovrebbero seguire :
1. Rimandare a miglior tempo le opere pubbliche straordinarie che non siano di assoluta necessità. 2. Limitare in più stretti confini le altre spese straordinarie e le ordinarie facoltative.
3. Respingere ogni prestito nuovo che non sia devoluto ad opere rimunerative pel municipio o per la cittadinanza. 4. Semplificare i rami dell'amministrazione e togliere gli uffici superflui creati per ragioni elettorali.
5. Abolire il dazio sulle farine e sulle paste. 6. Aumentare in equa misura il dazio sui generi di lusso e sui manufatti, che fanno concorrenza al lavoro cittadino.
7. Regolare la distribuzione delle tasse in modo che ne vengano sgravati i meno abbienti, e si inizi la graduale abolizione del dazio di consumo. 8. F a r le nomine degl'impiegati comunali a concorso: lasciar liberi i dipendenti dal municipio nell'esercizio dei diritti civili e politici; né rimuoverli dal posto o impiego per ragioni elettorali.
9. Promuovere scuole complementari e possibilmente d'arti e mestieri per i nostri operai. Agevolare la costituzione d i cooperative di lavoro, di consumo e di credito. 10. Fare osservare rigorosamente il riposo festivo nei rapporti diretti o indiretti coi propri dipendenti, e farlo osservare dai propri appa1tatori.e concessionari. 11. Stabilire ai propri dipendenti e a quelli che dipendono dagli appaltatori e concessionari municipali un minimo di salario conforme a giustizia e u n massimo di ore di lavoro rispondente alle diverse condizioni della mano d'opera; e provvedere che sia concesso agli operai ed altri dipendenti, in ciascun giorno, i l riposo meridiano di due ore. 12. Fare che nelle scuole elementari comunali venga impartito bene e da persone idonee l'insegnamento relig'ioso. 13. Non concedere il teatro "comunale , p e r rappresentazioni immorali e irreligiose. 14. Continuar le pratiche per riaprire con istitutrici religiose 1'Educatorio Margherita; e studiare il modo di fondare un istituto maschile. d i educazione. Sono queste le linee generali che possono servire di base agli elettori per giudicare. E noi a i fatti
il crociato ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, i 8 giugno 1899).
NORD E SUD DECENTRAMENTO E FEDERALISMO L'affare dell'abolizione del dazio sul grano ha dato l'occasione a ripetere tutti gli argomenti, veri e falsi, per cui si riaccende cosĂŹ spesso il dibattito di gelosie. e di reclami a base di interessi economici, tra le diverse regioni d'Italia. E mentre altrove una tale questione si sarebbe svolta come fatto semplicemente economico tra agricoltura ed industria, da
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noi si è svolta anche come fatto politico tra regione e regione. Non vorrò io negare, anzi l'affermo, che l a politica finanziaria ed amministrativa dell'Italia è stata, sin dalla formazione dell'unità di regime, senza equilibrio e senza giustizia distributiva fra l e diverse regioni, tanto da determinare u n vero dualismo con l'oppressione, s'intende, della parte più debole. Quest'asserzione, luminosamente dimostrata a base di cifre, o con una statistica convincente, l'assumo come postulato, purtroppo indiscusso. I o tendo a l pratico: p e r questa volta il dazio sul grano è stato mantenuto, specialmente in riguardo ai nostri interessi agricoli. - Ma e p e r l'avvenire? - E il sistema? Non vale l a pena f a r dei pronostici; l'ufficio della stampa non è quello di f a r da profeti, ma quello invece d i agitar delle idee sane e pratiche e di tenere deste l e agitazioni legali d i popoli liberi, che mirano a l proprio miglioramento.
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È stato annunziato anche dal Sole e ripetuto dagli stessi pro-
motori, che gli onorevoli deputati siciliani a l parlamento si sono costituiti i n comitato per gl'interessi della Sicilia. Troppo tardi! h a n detto alcuni; - inutilmente o con poca utilità! - h a n ripetuto altri. I o sono u n po' scettico i n proposito, e credo poco a117unione all'energia ed a l buon volere dei deputati siciliani. Del resto, che abbiano costituito u n comitato parlamentare p e r gl'interessi siciliani è u n bene, e che vi lavorino sul serio è sempre tanto d i guadagnato. Ma nessuno d i noi si deve illudere sull'efficacia dell'opera dei deputati siciliani, anche contro il buon volere degli stessi, p e r la maledetta politica d i corridoio, per le combinazioni d i gruppetti, per l e diverse tendenze dei partiti, p e r le esigenze del momento, cose tutte che predominano nel caos montecitoriale, e che più degli altri appassionano i nostri deputati meridionali. E poi, ammesso che i deputati siciliani otterranno dei vantaggi per la nostra isola, non potranno d i certo nè modificare il sistema d i squilibrio finanziario che regna da quarant'anni; nè avviare la politica finanziaria ad una razionale proporziona-
l i t i fra le diverse regioni; tanti interessi, vincoli di bilancio, determinazioni finanziarie, diversità di combinazioni e ripercussioni economiche ( p e r non parlare delle serissime ed insormontabili difficoltà politiche) esistono nel mare n a g n u m governativo! Infine, si crederà forse giusto che la Sicilia ed il meridione, danneggiati da tanti anni, rendano oggi la pariglia al nord e si procurino, per mezzo di comitati più o meno parlamentari, quegli utili, quei ~ r i v i l e g ie quelle concessioni governative, che lederanno le altre regioni italiane? Come non è stata politica equa la passata, non sarebbe nepp u r e equa la futura. P e r esempio: se non era lecito che i consumatori del nord reclamassero la totale abolizione del dazio protettivo sul grano, con grave danno dell'agricoltura del sud; era forse naturale che il sud reclamasse la conservazione del dazio protettivo del grano, con danno dei consumatori del nord? - Lo stesso si dica delle industrie del nord protette a danno dei consumatori del sud. Non si vuole l'egemonia, ora di Sparta ora di Atene, rispondono molti; solamente un'equa distribuzione d i pesi e di vantaggi fra tutte le regioni: ed è giusto. Ma sinceramente, si crede forse che le diversità fra le varie regioni, di condizioni, di educazione, di tradizioni, di attivit,à, di ricchezze, di produzione, possano, per decreto del ministero o per legge del parlamento, ridursi ad una uniformità aritmetica, che divenga la base della distribuzione rateale della finanza dello stato? Nitti nel suo celebre libro, fra gli altri, stabilisce il confronto fra le provincie di Bari e di Alessandria, ambedue quasi uguali di popolazione e di superficie. Non riporto i risultati per non abusare della pazienza del lettore; del resto la statistica muta non può dare che cifre, le quali manifestano la sproporzione enorme fra i due paesi, e non le vere cause della sproporzione. Perché, a pigliar una sola cifra, per l'imposta erariale sui fabbricati, Bari nel quinquennio 1894-98 ha pagato L. 2.324.503 ed Alessandria 1.362.146, cioè Bari ha pagato circa u n milione di più. La ragione è evidente: nella provincia di Bari le abitazioni
sono aggloinerate nelle più o meno popolose città; nella provincia di Alessandria sono disseminate nelle campagne; le seconde sfuggono all'imposta, le prime invece vengono colpite. Si potrebbero moltiplicare gli esempi: l'unità d'imposta sui terreni, se si stabilisce in ragione dell'estensione territoriale, grava proporzionalmente di più sui latifondi meno fertili e meno coltivati del meridione, che sui terreni a cultura intensiva del settentrione; se invece si stabilisce in ragione della produttività, i settentrionali, pii1 laboriosi, ne risentirebbero di più dei meridionali, che continuano disgraziatamente nei sistemi primitivi di agricoltura. Un dazio protezionista può riuscire favorevole per una regione, dannoso p e r un'altra. Se la distribuzione dei vantaggi da parte dello stato si fa in ragione di popolazione, ci ~ e r d o n ole regioni meno popolose, benchè più attive; se invece in ragione di territorio, ci perdono le regioni più agglomerate. L'uno e l'altro criterio fa perder di vista lo sviluppo delle industrie e dei commerci, le qualità morali degli ambienti, la quantità dei capitali applicati alla produzione, le attitudini speciali, la necessità di sbocchi, di viabilità, di punti strategici ecc., per i quali da una parte non si può esigere quella eguaglianza che diverrebbe sproporzione e ingiustizia o errore, dall'altra il governo centrale è per necessità di cose inetto ed inadatto a valutare le vere condizioni economiche e morali di ogni singola regione. È evidente che se il gridare all'ingiustizia e alla sproporzione vale solamente ad eccitare allo studio dei rimedi, l'aspettare clal governo centrale o dal parlamento una razionale proporzione di pesi e di vantaggi, p u r continuando nell'attuale sistema, è puerile e fantastico; come è pressochè irragionevole il confidare nella buona volontà dei deputati siciliani, perché la loro buona volontà (che io non voglio negare) s'infrangerà contro il sistema accentratore e uniforme.
Tra tutte l e cause della questione del nord e sud Italia, pare adunc~iieche le principali siano l'accentramento di stato e l'uniformità tributaria e finanziaria. Se si vuole perciò arrivare alla radice del male si deve avere
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il coraggio di affrontare la questione, senza le solite titubanze, e volere quel rimedio ( l o chiamiamo eroico?) che gli uomini politici liberali hanno paura d i proporre, per una d i quelle false concezioni che fatalmente predominano nella storia. I1 rimedio sarebbe ed è un sobrio decentramento regionale amministrativo e finanziario e una federalizzazione delle varie regioni, che lasci intatta l'unità di regime. Non voglio essere frainteso, perchè la poca saldezza d i fede nei principi liberali, sui quali si è voluta poggiata l'unità della patria, è In causa di rin timur p a n i ~ oe &oso che invade i nostri uomini, quando si parla d i decentramento e di federalizzazione regionale, e che l i h a costretti a sancire quell'uniformità. che dovea servire a togliere l e cuciture ( è parola di Crispi) delle varie regioni, e dovea dare la spinta a quell'accentramento d i stato, che è la rovina delle nazioni moderne. La questione nostra non è politica ; è amministrativa e finanziaria. Che le regioni italiane abbiano finanza propria e propria amministrazione, secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle loro forze, senza che queste forze vengano esaurite o sfruttate a vantaggio d i altre regioni e a danno proprio, è razionale e giusto, date le enormi differenze che intercedono tra l e une e l e altre. Come è razionale e giusto che si possano tra le regioni ripercuotere i vantaggi e d i beni delle une sulle altre, per quel santo principio d i nazionalità, che invece di disconoscere, altamente proclamiamo. L'unità di regime serve a collegare finanziariamente e d economicamente le regioni, e a dare unità legislativa: giudiziaria, coattiva e militare, e in tutto ciò che è appartenenza politica interna od estera. È tempo oramai d i comprendere come gli organismi inferiori dello stato - regione, provincia, comune, - non sono semplici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono avere vita propria, che corrisponda ai bisogni dell'ambiente, che svil u p p i le iniziative popolari, dia impulso alla produzione ed al commercio locale. Così solo si potranno togliere le sproporzioni, e d avviare l e regioni alla tutela ed a l miglioramento delle proprie industrie, alla razionale ripartizione dei pesi ed alla giusta partecipazione
a i vantaggi. E così solamente la questione del nord e sud piglierà la via pratica d i soluzione, senza ingiustizie e senza odii é rancori. I1 giornalismo italiano dovrebbe far sue queste tendenze, che qua e l à si vanno manifestando, dando loro il coefficiente della popolarità, che è uno dei fattori d i u n buon successo. I1 Sole, nato per la giusta tutela degl'interessi del sud, son sicuro che desta la pubblica opinione siciliana, fa la rivendicazione delle autonomie regionali contro l'accentramento e l'uniformità dello stato.
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( I l Sole del mezzogiorno, Palermo, 31 marzo-lo aprile 1901).
IL SENATORE SAREDO
E LA MUNICIPALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI Nel n. 167 del Sole leggo un telegramma da Napoli, che annunzia essersi il Saredo, dai risultati dell'inchiesta sull'andamento del municipio di Napoli, convinto della necessità ed urgenza d i una legge che obblighi i comuni, dentro certi limiti, a municipalizzare i servizi pubblici: dicesi che in proposito sottoporrà a l governo u n progetto completo. La notizia è interessantissima; e quantunque son sicuro che si attenderà molto ad avere una legge che sanzioni l'obbligo dell a municipalizzazione dei servizi pubblici e ne regoli l e modalità (ricordo che nel 1899 f u redatto un progetto su questo argomento con criteri sani, che però non ebbe neppure l'onore della presentazione), pure l'affermazione esplicita e recisa del senatore Saredo, proprio i n conseguenza a i disastri finanziari e a i brogli amministrativi del municipio della città più popolata del171talia, non può non influire sulla diffusione di un'idea che si va facendo strada nella coscienza degli amministratori e degli elettori dei nostri comuni. La scienza economica si è oramai impadronita d i questo argomento, e le sue deduzioni, per quanto potevano ieri sembrare o paradossali o troppo ideali, nessuno - che voglia serenamente
studiare l'argomento - oggi vi è che non l e riconosca basate su accertati principi teorici e splendide attuazioni pratiche. E i l noto, trito, eterno ritornello, che tutto il giorno, a nostra vergogna, ci tocca sentire, anche a proposito della municipalizzazione dei servizi pubblici: cioè, che « l'Italia non è 1'Inghilterra, non è i l Belgio, non è la Svizzera n, deve p e r una buona volta cessare, almeno da parte d i coloro che hanno u n po' d i amore d i patria e di dignità d'italiani. Comprendo bene che il movimento municipalista non può partire in tutta la sua forza intensiva ed espansiva dal vecchio partiio liberale; e ciò per due condizioni, una teorica e l'altra d i fatto. Esso è i n gran parte refrattario a qualsiasi concetto sociale; e anche quando dalla forza della corrente vi è attratto, porta sempre i l bagaglio del pregiudizio individualista. Ma c'è altro: i l partito liberale è quello che, dominando nei comuni, ne ha sfruttato le finanze con appalti più o meno loschi, impiegandovi grossi capitali e costituendo camarille, cricche e consorterie, e traendo i l suo vantaggio proprio dallo svantaggio del pubblico e dei municipi. E l'illustre senatore Saredo ha potuto costatare coi fatti, nell'esemplare amministrazione Summonte del municipio d i Napoli, quanto possa tentare u n partito egoistico negli appalti dei pubblici servizi. Del resto, è una condanna d i più a un partito che è destinato a morire, e contro il quale si è sollevata la coscienza pubblica italiana, i n ciò abilmente sfruttata dai socialisti, che hanno assunto la facile posa d i moralizzatori. Noi che della municipalizzazione dei pubblici servizi ne abbiamo fatto u n capo del nostro programma sociale, insieme agli onesti cultori delle scienze economiche e alle più progredite e coscienziose amministrazioni comunali dell'Italia e dell'estero, ci compiacciamo della proposta che farà il Saredo ; e se i l giornalismo h a una forza nella vita pubblica, la vorremo impiegare a questo fine.
I principali servizi pubblici, p e r cui si reclama d'urgenza la municipalizzazione, sono la distribuzione dell'acqua e della
luce, l'esercizio delle tramvie, dei carri mortuarii e della nettezza urbana, la riscossione dei dazi, e i n generale quei servizi, i quali per la condizione di fatto escono dal campo della libera concorrenza, costituendo u n vero e necessario monopolio ; e in rapporto alla popolazione di u n comune, tendono alla soddisfazione di bisogni sociali. I vantaggi che presenta la municipalizzazione dei pubblici servizi sopra l e concessioni ai privati, siano d i indole sociale che economica finanziaria, non formano più u n vero oggetto di discussione. Si sa, ed è naturale, che I'appaltatore o concessionario tend e al lucro come finalità; mentre il comune tende e deve tendere al soddisfacimento dei bisogni sociali. La diversità delle finaliti dell'uno e dell'altro, e nella maggior parte dei casi anche l'opposizione, dà, come suo1 dirsi, il tono diverso all'esplicazione delle imprese (passi la parola capitalista) e all'esercizio dei servizi L'appaltatore ha l'interesse di pagar gli operai quanto meno è possibile e d i farli lavorare quanto più gli conviene, abusando della concorrenza della mano d'opera ; e la mancanza d i clausole sociali negli appalti o concessioni della gran maggioranza dei nostri municipi è una piaga assai profonda. È perciò constatato dalla statistica che gli scioperi avvengono più d i rado nelle amministrazioni dello stato o dei comuni, anzicchè nelle amministrazioni delle imprese private; ed è ovvio, perchè gli operai nelle imprese private sono più esposti allo sfruttamento. È inoltre comune il caso che l'appaltatore, se cerca di eseguire inappuntabilmente il servizio pubblico delle località abitate o frequentate dalle classi colte, e il servizio privato che gli è fonte di lucro, trascura però, per quanto gli è possibile, i l servizio dei rioni popolari, dove maggiore è il bisogno di acqua, d i luce e (li pulizia. Potrei riempire le colonne del giornale riportando delle cifre climostrative dei vantaggi economici e finanziari dei comuni e delle popolazioni, derivati dalla municipalizzazione dei servizi pubblici, sia all'estero che anche in Italia (benchè noi siamo solo alle prime prove); e rimando il lettore al citato studio di G. A. Morelli.
Contro fatti e dati, è per lo meno esagerata l'obiezione che i municipi non possono essere mai dei buoni impresari d i aziende capitalistiche (forma che oggi assumono le direzioni d i molti servizi pubblici); perchè anche qui fortunatamente i fatti smentiscono questa che devesi chiamare pseudo-teoria. Ed è da sperare che i municipi italiani, rompendola una buona volta con i pregiudizi inveterati e con le tradizioni misoneistiche, vogliano studiare le pratiche questioni d i indole locale, al lume di questi principi, e con forza e costanza spezzare la catena capitalistica dell'affarismo, che l i tiene avvinti ai vecchi sistemi.
Mi preme perciò fermarmi su due idee fondamentali e necessarie affinchè la municipalizzazione dei servizi pubblici non perda il suo carattere proprio e d essenziale e si trasformi in u n nuovo sfruttamento, mutate le guise. La prima idea fondamentale ed animatrice si è che i n questo sistema deve predominare il carattere sociale. Uno degli errori moderni è quello d i sconoscere i l carattere vero e reale e la funzione naturale del comune. A poco a poco, p e r le potenti infiltrazioni della coalizione liberale della vita, nonchè pel carattere assorbente del panteismo di stato, precorsi dal predominio regio e dal docile servilismo dei nostri padri, il comune è stato concepito semplicemente come u n organo amministrativo-burocratico. E pure l e gloriose nostre tradizioni sono tutte contrarie a questa concezione erronea e dannosa del comune. Sin dalla costituzione dei demani comunali, che p e r un'alta funzione sociale ( n o n sempre nè dapperttutto adempiuta) dovevano servire a i bisogni della povera gente, attraverso tutto il medio evo, arrivando sino allo sviluppo corporativo, all'autonomia sociale dei comuni, retti con saggezza politica, il concetto social e h a quasi sempre animata la funzione e la legislazione dei nostri gloriosi comuni. La municipalizzazione dei servizi pubblici, sistema d i carattere del tutto moderno, riavvia il comune alla sua funzione naturale e storica. Non devono perciò i municipi gestire i servizi pubblici con criteri capitalistici e con indirizzo sfruttatore; e ciò sia nell'altezza delle tariffe, sia nella larghezza della distri-
buzione gratuita, sia nella sufficienza dei servizi in rapporto ai bisogni della classe povera e dei rioni più miseri e abbandonati, sia nei rapporti dei municipi con gl'impiegati e gli operai addetti a questi servizi. Se non ricordo male, il comune di Milano, che ha di già municipalizzato l'esercizio delle tramvie elettriche, la mattina e la sera, quando- gli operai vanno e tornano dal la-voro n e l l e fabbriche, poste in gran parte nel circuito esterno, fa pagare mezza tariffa, cioè cinque centesimi la corsa, cosa che torna assai utile all'operaio. I1 concetto sociale, quando è tenuto presente in giusto rapporto col bisogno della popolazione e con l e esigenze finanziarie del comune, non aggrava i'bilanci oltre la loro potenzialità, e corrisponde all'ideale della giustizia e dell'equità sociale e della vera funzione dei comuni. L'altra considerazione è di indole puramente amministrativa. Si dice e si ripete che il municipio è u n cattivo amministratore; le influenze interessate e deleterie di coloro che tentano speculare nelle aziende comunali, potranno anche esplicarsi, benchè in diverso modo, quando i servizi pubblici saranno municipalizzati; con danno sempre non solo della finanza comunale, ma anche della parte tecnica dell'esercizio, là dove si tratti dell'illuminazione a gas o a luce elettrica, o dell'esercizio dei tramvai elettrici. Che le cattive inffuenze vi potranno essere, non si mette i n dubbio ; la municipalizzazione dei servizi pubblici non muta gli uomini; però non è difficile alle amministrazioni comunali prevenire i passi dei disonesti e degli affaristi politici, neutralizzando le loro influenze, col dare alla direzione e amministrazione di questi servizi, specialmente per la parte tecnica e per la vigilanza del personale addetto, quell'auto~nomia e quella respomabilità tanto necessaria in questo genere di imprese; lasciando al consiglio solamente l'approvazione dei bilanci preventivi e consuntivi. Padova, per la municipalizzazione dell'illiiminazione a gas, h a dato in proposito u n bellissimo esempio, suffragato dalla esperienza, benchè di pochi anni; esempio degno davvero d i
essere studiato. E spero poterne parlare sui giornali, quando avrò informazioni esatte, precise e dettagliate. I1 concetto d i giusta e limitata autonomia e responsabilità, che tanto ripugna a coloro che dell'uficio di consigliere o d i assessore ne fanno u n mercato (anche morale, ma sempre mercato), è la salvaguardia p e r la retta gestione dei servizi municipalizzati. È da augurare che la legge voluta dal senatore Saredo, venga, presto e bene; che le amministrazioni comunali, anche senza la legge che ve le obblighi, si mettano su questa via; perchè oramai la questione della municipalizzazione dei servizi puhhlici può dirsi matura. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 24 luglio 1901).
LA QUESTIONE DEL MEZZOGIORNO Dalla indistinta coscienza di molti, ai fogli quotidiani e settimanali, ai libri più o meno pensati, è arrivata a Montecitorio la questione del mezzogiorno, non più come una questione solamente amministrativa, o edilizia, o agraria, o morale, ma come una questione complessa, maturata in quarant'anni d i errori, d i malgoverno, d i corruzione e d i miseria. E la questione è insieme economica, morale, amministrativa, politica; che non è sintetizzata né dagli scandali d i Napoli, né d a l l ' a ~ ~ u e d o t t pugliese, o né dalla sperequazione fondiaria, né dai trattati di commercio, né dalle crisi agrarie, né dall'analfabetismo, né dalla forma barbara del delitto, né dalle mafie elettorali, né dalla antipatia fra nord e sud, ma è qualche cosa che rassomiglia allo spostamento dal centro di gravità, allo slogamento d i un osso, alla vertigine permanente ... i l mezzogiorno, nellYItalia d i oggi ci sta a disagio, è fuori posto, manca della sua naturale posizione. Questa verità cruda, si sente ma non si h a i l coraggio di dirla, perché la retorica unitaria tarpa le ali alla libera discussione d i u n pensiero oramai maturo; il pensiero d i una più organica
vita delle parti di questa Italia, che non è clestinata alla uniformità, ma a una unità risultante dalle varie tendenze delle vite diverse delle sue regioni. Francesco Crispi a Milazzo con frase felice disse che tuttora si vedono le cuciture d i questa Italia una. Quelle cuciture indicano tutto u n complesso di errori, d'indirizzo d i governo, di criteri politici, di insanabili differenze di educazione e d i idee, d i vita economica e di concezione sociale, che arrivano allo stacco degli animi delle diverse regioni; nonostante che a Montecitorio l'on. Luzzatti abbia voluto f a r credere all'idillico imeneo del nord col sud. Parliamoci chiaro: nord e sud sono, due termini irriducibili e inconciliabili: ecco la verità. Verità dolorosa, se si vuole, dura forse agli orecchi adusati alla lirica del quarantotto, ma non p e r questo meno evidente e meno chiara. E la colpa non è nostra, non è neppure dei fratelli del nord. Gli statisti meridionali ci fanno conoscere i numeri dei milioni dal sud esulati verso il nord; e dimostrano ad evidenza la preferenza data dallo stato al nord a danno del sud nelle ferrovie, nelle scuole, nella marineria, nell'indirizzo della finanza e giù di lì. Ma via, che si pretende, che lo stato adesso muti tono, e inizi una finanza a favore del sud con danno del n o r d ? - Che l'indirizzo industriale si muti i n indirizzo agrario? - Che si tolga a La Spezia p e r dare a Napoli? Che si rovini l'alta p e r migliorare la bassa Italia? E non basta: c'è tutt'altro che i l solo lato economico a segnare le forti differenze, che né Montecitorio né altri potrà appianare. C'è l'educazione politica: le masse del meridione non vivono la vita della nazione, non delle concezioni politiche, non del movimento di idee ... il campanile, i l deputato, ecco tutta la vita delle nostre masse. E in alto l a corruzione, la sopraffazione dei politicastri interessati, delle sanguisughe dei municipi, dei manutengoli della mafia e della camorra. Tutto ciò produce una inferiorità d i vita sociale, di forza
morale nella nazione, che riduce una parte così importante della nazione a essere serva, terra di conquista, regione da sfruttare e da piemontizzare, come dicevasi un tempo. Lo squilibrio prodotto da tale stato, si ripercuote inconsciamente in tutte le esplicazioni della vita; e non varrà certo la mozione votata all'unanimità dai deputati di migliorare l e sorti di Napoli e del meridione, a modificare questo stato d i cose. La radice è una, una sola. - Io sono unitario, ma federalista impenitente. Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, non siamo putrovare l'iniziativa dei rimedi ai nostri mali; pilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata del nord; e uniti nell'affetto di fratelli e nell'unità di regime, non nella uniformità dell'amministrazione: seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell'esplicazione della nostra vita. Se non si Iia il coraggio di affrontare il problema, resterà Luzzatti col suo idillio, Ferri colle sue guasconate, i deputati del meridione con l e loro pretese coalizioni ... e noi coi nostri mali dalla crisi agricola ai Casale di Napoli e ai Martinez di Palermo. Del resto, è il frutto del liberalismo che cade mezzo fradicio dall'albero ; lasciamolo cadere, pensando e lavorando a nuove e ardite idealità. I l crociato
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( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 22 dicembre 1901).
I L CREDITO AGRARIO I N SICILIA L'on. Maggiorino Ferraris, relatore del progetto d i legge sopra la riforma agraria, ha pubblicato ultimamente sulla A7uova Antologia un importante studio sul credito agrario in Sicilia,
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illustrando con competenza i criteri seguiti dalla commissione parlamentare. I1 problema complesso e urgente del credito agrario in Sicilia affatica le menti d i quanti si occupano con amore delle sorti infelici della nostra bell'isola; e dovrebbe essere la preoccupazione di tutti i siciliani, senza mire di partito, né tornaconti innominabili. Sventuratamente noi si è buoni solo a fare di tanto i n tanto u n po' di chiasso i n qualche comizio; e, dilettanti nei vari rami della pubblica economia, non vediamo più sù del piccolo mondo ,l'intrighi e d i interessi che ci circonda e ci avvince. Intanto, mentre il capitale abbonda, mercé u n notevole miglioramento della vita economica in generale ed una circolazione più rapida e più fruttifera, la crisi agricola, lasciata in balia d i sé stessa, senza risorse di capitali e senza sviluppo commerciale proporzionato, pesa sulla nostra Sicilia, come la nemesi fatale della nostra inettitudine economica e politica. La nostra terra h a bisogno d i credito; ogni giorno che passa è una dolorosa prova di più che ci costringe quasi a disperare d i noi stessi. In Sicilia non ci sono che pochi istituti d i credito; e d i questi, parecchi esercitano tutti i rami del credito tranne il credito agrario. I1 peggio si è che i piccoli centri rurali, che non hanno altra risorsa che la cultura delle terre. mancano assolutamente d i istituti d i credito, tranne una quarantina di comuni . dove i cattolici hanno fondato delle casse rurali; le quali poi o funzionano per poche migliaia d i lire, o sono circoscritte a u-n centinaio e più d i persone. Si aggiunga che gl'interessi del credito, per necessaria condizione d i cose, sogliono essere sproporzionati ai bisogni dell'agricoltura, che rende ben poco, o perché l a terra è sfruttata, o perché la cultura è assai primitiva. o perché i commerci sono poco avviati. In questa condizione d i cose, e dato l'assenteismo fenomenale anche di coloro che sbraitano nei comizi, nonché la sfiducia generale che regna in fatto di credito, si domanda se sia il caso che lo stato intervenga come creatore e ordinatore ufficiale del credito agrario. L'on. Maggiorino Ferraris nel seno della commissione parla-
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mentare ha sostenuto un suo antico progetto di nazionalizzazione del credito, applicato alla regione sicula. I1 progetto è ingegnoso e in molte parti corrisponde a i bisogni principali del credito. I n quanto ai capitali egli parte dal concetto, che potrebbe dirsi prudente, cioè dal poco andare al molto. Con una somma di 10 o più milioni dati dal governo, dal Banco di Sicilia e da altri istituti agrari, iniziare il movimento di credito della Unione agraria regionale, che avrebbe 170 unioni mandamentali e 187 agenzie presso la posta; così ad ognuno dei 357 comuni siciliani arriverebbe decentrato, e forse anche in pillole, il beneficio del credito. I1 prestito sarebbe concesso ad ogni proprietario in rapporto all'imposta fondiaria, da 10 a 25 lire per ogni lira di imposta; così ad ogni ettaro di terreno netto da ipoteche verrebbe concesso in media da lire 30 a 75 di credito ; se però sopra il terreno gravano delle ipoteche, secondo il progetto, non si potrebbero sorpassare le L. 30. Gl'interessi sarebbero fissati al 5%. La forma del credito verrebbe fatta in natura, (semenze, macchine, barbatelle ecc.) e a lunghe scadenze, mediante conto corrente garantito, avente 'forza contrattuale e carattere esecutivo; la riscossione verrebbe eseguita dalle esattorie delle imposte. L'Unione regionale sarebbe in corrispondenza bancaria con l'Unione nazionale mediante obbligazioni girate. Con questo mezzo si avrebbe la comunicazione commerciale e bancaria con tutte l e regioni italiane ed anche con l'estero; effettuandosi così poco a poco la perequazione del capitale. Questo per sommi capi i l progetto che attende la discussione e l'approvazione della camera. E una forma di credito di stato, che. non smentisce la marca ufficiale neanche col proposto decentramento e con la creazione delle unioni mandamentali. - Però se è vero, come dice il Ferraris, che le forme organiche di credito sviluppate per iniziativa privata indicano un popolo progredito nella civiltà, cosa che non si può dire della Sicilia e specialmente del nostro agricoltore, è una necessità di benessere pubblico che lo stato intervenga anche nella iniziativa del credito, non solo come ordinatore legislativo, che è sua competenza, ma anche come pratico iniziatore e creatore.
Ciò però non importa, come potrebbe a prima vista sembrare, che lo stato debba monopolizzare i l credito con u n formulismo assorbente, e con regolamenti che pioverebbero a b alto ad inceppare lo sviluppo che le iniziative e l'attività dei cittadini potrebbero dare. Oncle si dovrebbe studiare il modo di associare, con reciproca garanzia, l'unione delle iniziative private alla iniziativa dello stato; affinché sul serio e non sulla carta, si dia reale impulso alla costituzione delle cooperative, che potrebbero e dovrebbero esser l a base di operazione di questa nazionalizzazione del credito. E le unioni mandamentali non dovrebbero essere organismi ufficiali o quasi, ma organismi vitali, con della partecipazione di interesse e di solidarietà da parte dei piccoli e dei grandi proprietarii. Altrimenti il credito resterà sempre rachitico e i n mano a funzionari burocratici, senza il criterio locale e personale e senza slancio, condizioni necessarie ad u n vero sviluppo e progresso. Un'altra osservazione viene spontanea allo studio del progetto; esso h a tutta la sua base sulla proprietà £ondiaria, ed è bene. Però si deve pensare che i n Sicilia tre quarti delle terre sono gravate da ipoteche enormi; e il credito ipotecario di consumo h a rovinato e rovina la nostra agricoltura. Se non si dà l'agio della trasformazione d i questo enorme debito, che grava rovinoso sulle nostre contracle, è poco o nulla che il proprietario abbia il fido di L. 30 per ogni ettaro; somma irrisoria p e r la trasformazione urgente della cultura, e per i miglioramenti razionali da apportarvi. E certo con dieci milioni, che affidati ad u n congegno burocratico, resteranno sempre dieci, nulla di serio si potrà tentare. 11 credito agrario nostro non può affatto essere avviato con mezzucci o con palliativi. Tolte queste difficoltà, che credo essenziali, le altre disposizioni del progetto come la sostituzione del conto corrente garantito alla forma cambiaria, le scadenze, i l mezzo della riscossione, la comiinicazione mediante girate con gli altri istituti nazionali, la istituzione d i u n organismo d i credito per ogni comune, corrispondono ai reali bisogni delle popolazioni siciliane, e rac-
colgono il plauso di quanti s'interessano del pressante e mai soluto problema. Non sappiamo quando i l progetto sarà portato alla discussione; però non pare che i l giorno sia troppo vicino. Sarebbe pertanto utile, che nella prossima esposizione agricola regionale, nel congresso delle cooperative a parte, si studiasse non a base d i discorsi più o meno retorici, che ad ogni frase sonora riscuotono u n applauso, ma con praticità di criteri e competenza, l a riforma del credito agrario; presentando poscia le conclusioni a! parlamento, perché con maggiore conoscenza i deputati potessero deliberare. La Croce d i Costantino presenta ai colleghi della stampa, promotori dell'esposizione, questa proposta, che non è affatto inutile, ma che potr-à avere la sua non lieve importanza. Il crociato (La Croce di Costantino, Caltagirone, 9 m a n o 1902).
AUTONOMIE LOCALI I1 problema delle autonomie comunali si può dire sia entrato in u n periodo di elaborazione e di preparazione prossima. Parecchio tempo addietro non si poteva parlare d i autonomie comunali, senza che i patrioti, a tempo perso, gridassero a chissà quale pericolo per lo stato, né più né meno come per l'affare della municipalizzazione dei servizi pubblici. E c'è ancora, non lo nego, chi alla parola autonomie sente lo spavento di una novità ... questa volta troppo vecchia. Però l o spirito pubblico si va modificando; anzi, sente una specie di reazione, p"IU O meno inconscia, contro l'accentramento di stato, contro quella specie d i tutela esagerata e capricciosa delle autorità politiche e della giunta provinciale amministrativa, che non hanno, i n fin dei conti, saputo tutelare nulla, e che hanno concorso con i loro visto 1) alla rovina dei nostri comuni. La reazione si fa più forte quando si guarda al confiisionismo finanziario p e r cui lo stato ha imposto degli obblighi a i comuni, eccedenti l e loro appartenenze come organismi locali,
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ecl ha dato u n carattere e u n limite incerto, nella scienza finanziaria, alle imposte e sovraimposte e alle riscossioni di clazi d i consumo. P e r non parlare, infine, delle coalizioni politico-municipali, p e r cui i comuni divengono una vera piattaforma elettorale politica, e quindi 15amministrazione viene trasformata i n consorteria e i n favoritismi. D'altra parte, i comuni hanno impacci p e r le unioni intercomunali e regionali, e per la vera partecipazione alla vita nazionale come enti riconosciuti tali. Noi non abbiamo né camere di comuni regionali, né camera di comuni nazionale. Eppure gli interessi nostri precipui s'imperniano nei comuni e nella regione. Non tutti a l centro vedono chiaro il problema delle autonomie comunali, in tutta la sua estensione; perciò è dovere della stampa svolgere una larga campagna perché si formi una coscienza chiara nel popolo e negli amministratori dei comuni; e perché l'autonomia comunale sia l'insegna dei partiti veramente moderni e decisamente popolari. I1 problema è stato posto nettamente al congresso dei sindaci in Palermo e, senza contrasti, affermato. I1 non avere suscitato contrasti può indicare o che quel congresso era intieramente convinto della verità del principio (cosa di cui dubito), o che non era sufficientemente edotto ( i l che è più facile a d ammettersi). Però qual che si accetti delle due ipotesi, se muta il significato dell'affermazione palermitana, non muta il carattere della maturità del problema. L'avv. Lovetere, dopo aver constatato che nell'interesse della vita economica dell'isola è necessaria l'attività unita d i tutti i comuni siciliani, i quali perciò devono funzionare più che come enti burocratici, come organismi economici, e che p e r arrivare a ciò è necessaria l'autonomia comunale e la trasformazione della finanza locale, propose l'istituzione di un comitato permanente fra i sindaci per la difesa degli interessi della Sicilia. La proposta f u approvata. Si può dire che approderà? E d ecco u n passo i n avanti che dà l'ori. Maiorana, che, riferendo sulle autonomie comunali, con la competenza e con l a moderazione d i uno statista, propone che:
« 1) Si distinguano razionalmente l e funzioni dei diversi comuni, tenendo conto delle diversità di popolazione, terri« torio, mezzi finanzia$ ; « 2) Si agevoli la costituzione dei consorzi fra i comuni, in <t modo che agli interessi generali si provveda con una più economica ed efficace azione collettiva; « 3) si inizi gradualmente, e per gli oggetti di maggiore « importanza, i l referendum ; « 4) si istituisca una speciale magistratura locale per giudi« care degli aiti delle amministrazioni comunali; « 5) si prepari 'e quindi vigorosamente si attui un'ampia e « radicale riforma tributaria, col doppio intento di distinguere « nettamente le spese di interesse comunale da quelle d i inte« resse nazionale e di separare recisamente i tributi locali da <( quelli di stato ». I1 principio informatore delle proposte è basato sulla vera funzione del comune, come organismo naturale-sociale. Però, non si arriva ancora al punto vitale; quello lì non si vuol toccare, perché ancora si ha paura che ne soffra queIla unità di nazione che è concepita come u n tutto uniforme, come u n valore geografico, e che si confonde con lo stato panteistico dei liberali; intendo dire la rappresentanza regionale dei comuni. Ha ragione la Battaglia di Palermo che nel numero d i domenica scorsa parlava contro la creazione delle provincie, enti posticci, che non corrispondono a funzioni organiche e specifiche, e che servono così bene alle consorterie, e che sogliono nascondere e coprire tutti gli intrighi politici elettorali e ...amministrativi. Economicamente si è voluto creare la camera d i commercio, che non ha vere e reali attribuzioni. Noi abbiamo bisogno che la regione, in economia e finanza, sia autonoma e che questa autonomia corrisponda alla vitalità dei nostri comuni. È i l caso d i parlare di camera regionale dei comuni per gli interessi economici della regione ... altro che fittizio comitato dei sindaci, che deve trascinarsi di ministero in ministero a piatire la legge sugli alcools e sugli agrumi, e deve limitarsi a far voti platonici e-sentirsi ripetere da u n Baccelli qualsiasi ... (< io amo la Sicilia ».
Siamo sulla via clelle trasformazioni. Giolitti h a posto i l problema della miinicipalizzazione, noi poniamo quello delle aiitonomie. I l crociato ( L o Croce di Costantino, Caltagirone, 8 giugno 1902).
VITA MUNICIPALE Nel leggere le bozze della relazione della seduta ultima del consiglio pensavo al poco interessamento che in generale prende l a cittadinanza agli affari del comune; e tranne i casi straordinari, i fatti del consiglio sogliono interessare gli habituès dei casini e delle farmacie quanto, o forse meno, dei fatterelli del signor B o della signora X. I1 pubblico dell'aula consiliare durante le sedute suole essere composto di pochi agricoltori e operai che sono a spasso e di qualche interessato i n affari personali. Vero è che i giornali cittadini riportano il sunto delle sedute e qualche volta commentano i deliberati, dal loro punto di vista, s'intende, m a ciò potrà avere u n valore molto relativo, se nel corpo elettorale manca l'educazione e i l sentimento della vita pubblica; o se, - toccando parecchi problemi da vicino il paese come l'affare dell'acqua, della illuminazione, della viabilità, dell'annona, - mancano i criteri p e r giudicare delle soluzioni da dare, manca la base d i una discussione popolare (diciamo così), perché possa con giustezza d i apprezzamenti valutarsi il contegno dei consiglieri e dell'amministrazione. Uno degli ostacoli seri allo svolgimento della vera vita cittadina è l'abitudine della mentalità o meglio sentimentalit,à d i partito. I n generale i parteggianti p e r un partito, sia d i maggioranza o di minoranza, troveranno ben fatto ciò che procede dal proprio partito, e malfatto quello che procede dai partiti avversi. E siccome molta base dei partiti nostri sono le persone e
non i programmi, così il giudizio si riduce a un fatto personale; e poiché è il personalismo che suole inquinare la vita pubblica, è lo stesso personalismo che fa nebbia agli occhi, e che impedisce che il corpo elettorale faccia degli apprezzamenti obiettivi su quanto si svolge nell'ambito della vita municipale dei comuni. A questo stato abituale del corpo elettorale se ne aggiunge u n altro, che suole portare alla conseguenza dell'apatismo nella vita pubblica, ed è lo scetticismo. Gli elettori vedono benissimo che l e più gravi faccende si trascinano di anno in anno, con molte discussioni se si vuole, ma senza arrivare a delle soluzioni serie, concludenti, almeno nella maggior parte dei casi, e ciò per tre ragioni: perché non vi è continuità di criteri nelle amministrazioni; perché non vi è coordinazione di intendimenti tra i vari gruppi del consiglio, e perché spesso per ragioni personali non si h a il coraggio di andare al fondo delle questioni; P e r esempio, l'affare del rettifilo e piano-regolatore sono dieci anni circa che si trascina, e da un anno e mezzo è nel suo stato acuto. Ebbene, non ostante la buona volontà di molti, bisogna ricordare che i l fatto personale non è mancato. Se si fosse votato il progetto Zeno nel 1890, in dieci anni e più noi avremmo già sistemato in gran parte il nuovo rione della città, avremmo regolari fabbricati, spianato il colle Fanales, aperto regolare accesso alla stazione ... Ma i l progetto Zeno fu sotto l7amministrazione Maggiore, e la seguente amministrazione dovea combattere gli atti dei precedessori, ~ e r c h édi partito avverso. Se il R. commissario invece di chiamare Chiarenza a redigere u n nuovo progetto, per trovar la ragione di incriminare l7amministrazione Gravina, e nelle elezioni mettere in disparte la giunta passata, avesse pensato a far rivedere coscienziosamente il progetto Coniglio-Nicastro, oggi non si sarebbe a questo punto: ma la ragione di partito è superiore a qualsiasi altra. Perché la riforma del corpo musicale si trascina da u n decennio, e principalmente dall'agosto 1899 quando fu sciolto? - Perché mai si è avuto il coraggio di affrontare la questione personale. E così via.
Questi fatti ingenerano nel corpo elettorale una sfiducia enorme su tutto e su tuttì, e siccome i n noi corre anche u n po' di sangue arabo, l'apatia c7invade e... si lascia correre l'acqua per la china. I1 nostro corpo elettorale allora e solo allora si desta, quando l e elezioni sono imminenti; quando i l favore, i l servigio, la risposta, la pagnotta, l'amicizia destano le energie sopite, e si pensa al futuro regime del comune come al mezzo d i disobligarsi col medico, d i aiutare i l proprio avvocato, d i sostenere il padrone, d i portare l'amico, d i impegnarsi per colui che promette favori. È tempo ormai che i l popolo si svegli e partecipi sul serio alla vita cittadina, e mostri che egli sa pensare, giudicare, interessarsi di quel che è bene comune, mezzo d i miglioramento collettivo, sviluppo della vita pubblica, ragione del pro..prio carattere d i cittadino' e di elettore.
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La vita municipale oggi si ridesta da tutta l'oppressione del centralismo di stato e aspira all'autonomia; autonomia che necessariamente si basa sull'interessamento di tutti, sul referendum popolare; oggi i l comune va ritornando alle sue splendide origini, assimilando però la vita moderna densa e complessa, intensificando i suoi rapporti con tutto lo svolgimento de117attività moderna. Segnaliamo al pubblico i n proposito la proposta del sac. L. Sturzo sulle autonomie comunali, e i deliberati del consiglio sulla municipalizzazione della luce elettrica e SUE sindacato p e r la distribuzione onerosa dell'acqua d i Ganzeria, proposta e deliberati che corrispondono ai criteri di vita municipale moderna, e che si sollevano al disopra del personalismo e della politica, che sogliono invadere l e nostre aule consiliari. Indicano essi u n passo notevole del nostro consiglio verso la modernità, e verso l'ideale della vera vita municipale. Noi invochiamo l'interessamento del pubblico.
Il crociato ( L a Croce di Costantino: Caltagirone, 10 agosto 1902)
ZANARDELLI A NAPOLI
E BALENZANO A CATANIA VARIAZIONI SUL TEMA (C NORD E SUD Veramente Balenzano a Catania è un episodio minuscolo a petto dell'epopea Zanardelliana a Napoli, dove prima d'incamminarsi per ignote terre e per lunghi e perigliosi viaggi attraverso la iontu~ulBasilicata, si forma a pigliar respirci, a rifocillarsi l e forze, a cercare la tonalità, non politica, oibò, lo disse chiaro e tondo, ma, per usar le sue parole, amministrativa, del viaggio ministeriale e ufficiale. Balenzano non h a avuto né u n apparato esteriore troppo largo, né una tonalità spiccata; ma la Sicilia non è la Basilicata; essa è stata conosciuta da u n pezzo, sin dall'inchiesta Sonnino e Franchetti, sin dalla visita d i Umberto e Margherita, sin da quando Crispi e Rudinì, ( i Zanardelli d i allora), videro la luce e vennero a l mondo. P e r cui la venuta in maggio dei Reali, d i Zanardelli, di Baccelli ecc. ecc. non portò nulla d i nuovo... figurarsi poi la venuta d i Balenzano, cosa tutta locale, che da Catania appena arriva sino a d Aci e a Riposto ... spiaggia ridente, vaghi paesaggi, bellissime serate d'estate ... è mancata Ia gita sullYEtna,l o sport più attraente del sud-Italia. A ogni modo, u n ministro o un sotto-ministro di tanto in tanto non fanno male ... almeno al commercio cittadino, perché molti, che affluiscono a vedere la bestia rara, pagano alberghi, trattorie, carrozzelle, teatri e... la Sicula D. La gita d i Zanardelli è tutt'altro. Già alle porte di Napoli ha suscitato lo scandalo dei consiglieri cattolici, dei socialisti e d i altri astensionisti al pranzo; i primi per l'affare del divorzio. i secondi perché appartengono alla minoranza intransigente, gli altri per antipatie più o meno politiche. Ma ciò non c5importa: dacché Zanardelli ha, messo la politica fuori combattimento, lasciandola a Roma, o almeno alla stazione d i Napoli, interessiamoci del nostro Sud. I1 P r o Sicilia pare sia abortito, pensiamo invece al Pro-Sud; Zanardelli a Napoli ha dimostrato quanto lui sia stato un
nato e fatto, perché sin dalla sua puerizia ... poliNapoli e i l resto; e ora nella sua. vecchiezza ... solamente politica, pensa all'acquedotto pugliese, alle vie ferroviarie complementari, al risanamento morale ed economico d i Napoli (che dovrà divenire mercé gli sforzi combinati del governo e del popolo una città industriale di primo ordine), alla legislazione sociale che tanto interessa il mezzogiorno ... e giù di lì. Siamo inter poculu e si h a il diritto d i parlare. Però egli h a messo le mani avanti e ha detto: - « Badate, veh! carissimi meridionali, io vengo tra voi a conoscere de visu i vostri m a l i ; ma non crediate mica ch'io sia il sana todos, una specie d i tocca sana D. E ha detto il vero. Quel che a noi interessa sul serio è che egli conosca i nostri mali, non certo nei banchetti o nelle gite d i piacere o nelle conversazioni ufficiali o nei ricevimenti di gala o nel landau scoperto camminante tra una folla di popolo plaudente ... o d i socialisti fischianti. Se si dovesse credere a qualche cosa nella vita governativa, presterei più fede ad un'inchiesta di studiosi accurati e coscienziosi che non alla visita di u n ministro, che potrà sapersi creare u n ambiente politico favorevole, ma non mai conoscere sul serio i nostri mali. E sia pure concesso che gli Zanardellì o Balenzano conoscano tutta la storia dolorosa, tutta l'odissea lunghissima dei nostri mali; io però h o una paura che manifesto ai miei lettori in gran parte meridionali. Zanardelli tornando ripasserà da Napoli, e arrivato alla stazione ripiglierà la politica ivi lasciata, o al certo la troverà a Roma, a cinque ore d i distanza, dal momento che non abbiamo l a clirettissima; e l a politica pesexà il valore dei deputati meridionali alla stregua delle combinazioni ministeriali e d i maggioranza, e l i metterà a confronto con quelli del settentrione. I n d i regolerà la bilancia, e il peso degli uni o degli altri deciderà le nostre sorti. Allora Zanardelli si ricorderà che egli non era i l tocca san a ; e l'acquedotto pugliese, le ferrovie complementari, la di-
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rettissima e tutto il bagaglio delle riforme meridionali ranno le oscillazioni della borsa di Montecitorio, variando 41 I prezzo secondo il variare del valore del ministerialismo merii dionale, e secondo la domanda e l'offerta del ministerialismo settentrionale.
Tbi:
Una cosa sola è notevole, al momento presente, nelle gite Zanardelli e Balenzano, che il regionalismo si va affermando ogni giorno di più non contro 1'unit.à d'Italia; ma contro il centralismo di stato.
E sin che non si sfata la leggenda dell'unità fatta a base di unicità di Sistemi finanziari, di provvedimenti economici, di espedienti politici, di un'unità basata sopra un centralisino sfruttatore e assorbente, di una politica non amministrativa né sociale, noi meridionali vedremo i ministri e anche se vuolsi i reali, ma non vedremo la rigenerazione vera, reale, duratura del meridione.
Nord e sud vanno divenendo espedienti politici o luoghi comuni di una retorica a tempo perso. È la sorte di tutte le grandi cause, fatte a base di parole e di sentimentalismo. E noi oramai in ci&siamo purtroppo maestri. (La Croce
di Costantino, Caltagirone, 21 settembre 1902).
PER LA LEALTÀ DELLE DISCUSSIONI Ill.mo Sig. Direttore del Sole Le comunico una lettera che ho inviata alla Gazzetta di Alessina, con la speranza di vederla pubblicata sul Sole, perché credo opportuno che essa, nell'interesse del partito democratico cristiano: abbia la maggiore diffusione. Grazie Sac. Luigi Sturro
"h,
a prego accordarmi l'ospitalità in cotesto diffuso giornale, e r alcuni chiarimenti ed alcune affermazioni che credo neces arie dopo l e discussioni di ieri, nella quali io come demo\ cratico-cristiano ho sostenuto il referendum obbligatorio e l a \ municipalizzazione dei servizi pubblici, e d ho combattuto la I intromettenza politica dei prefetti nella vita amministrativa dei 1 comuni. Le mie franche e vivaci affermazioni mi procurano gli applausi e le simpatie di u n ambiente composto in maggioranza di socialisti, repubblicani e radicali, come anche gli apprezzamenti poco benevoli dell'onorevole De Felice sulle mie intenzioni e sul mio operato. Tutto ciò ha però generato nella mente di non pochi u n equivoco del quale mi sono accorto fra una stretta di mano e l'altra, come anche clalle parole del sig. Petrina socialista, che per lode chiamò l e mie .idee assai liberali, e da certi auguri .e profezie che ho respinto sdegnosamente come il peggiore insulto, p u r volendo essere, nella mente di coloro che me li facévano, u n complimento. Sento.perciò il bisogno dì tornare ad affermare sulla stampa quello che dissi in pubblica assemblea; che. io son democratico cristiano e che sostengo - i principii - e il prdgramma della 'democrazia cristiana, e ch'è mia .gloria e onore la veste che indosso e la missione che compio; e che'le idee di referendum, di municipalizzazione, di autonomia comunale sono patrimonio del nostro programma, ultimamente affermato i n solenne convegno dai consiglieri cattolici siciliani riuniti in Caltanissetta. L'onorevole De Felice poi credette farmi cadere i n equivoco e destare nell'assemblea almeno dei dubbi sulla sincerità e sui fini della mia affermazione; egli propose pel referendum u n ordine del giorno che non diceva nulla affermante la sovranità popolare: alla proposta di municipalizzazione degli attrezzi agricoli messa nel mio ordine del giorno, aggiunse la municipalizzazione delle terre patrimoniali o demaniali, o meglio della cultura della terra (così soggiunse il presidente sen. Mariotti) come avviamento alla forma collettivista della pro-
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prietà, e tra una parola e l'altra accennò alla mia opera di P la gonia come contraria agli interessi del proletariato agricolo. A me non piace l'equivoco, né sono uso alle insinuaziom' dò quindi ragione esplicita delle mie idee. P e r l'ordine del giorno sul referendum chiesi invano ,la parola, perché il presidente avendo accettata la proposta p e Felice che aveva levato d'imbarazzo il consiglio direttivo dell'Asso1 ciazione dei comuni, che credeva per lo meno immatura una I affermazione di principio sulla obbligatorietà del referendum come forma organica di vita amministrativa, volle troncare la discussione con u n voto... inconcludente. Non potei perciò dire al congresso le ragioni per cui non accettavo l'ordine del giorno De Felice, ragioni che mi permetto di accennare in questo giornale che cortesemente nii h a concesso l'ospitalità. Cioè I) perché l'aggiunta De Felice « promuovere un'agitazione allo scopo di veder trionfare quella solenne affermazione del principio di sovranità popolare, che ora è già entrata negli usi delle principali città della nostra patria 1) non definisce la natura del referendum (come si voleva dall'assemblea), non delinea la questione della obbligatorietà nei casi di modifica al .figime tributario e di grosse spese facoltative che vincolano il bilankio per parecchi esercizi. 2) Perché la parola sovranità popolare, della quale hanno abusato i liberali costituendo l'attuale schiavitù popolare, è equivoca, e che presa nel senso di fonte assoluto di autorità e non di mezzo naturale di designazione del soggetto delle forme di autorità politica o amministrativa e dei limiti relativi di esercizio, per noi è falsa. P e r cui io avevo scritto ed avrei proposto (se il presidente me l'avesse consentito) un altro ordine del giorno i n questi sensi : « ritenuto che il referendum amministrativo debba essere u n istituto normale organico nella vitalità autonoma democratica dei comuni, un diritto dell'elettorato che partecipando alla vita amministrativa con funzione propria e con assemblee proprie dà i l suo voto nelle questioni più importanti principalmente di ordine tributario e di spese facoltative vincolanti il bilancio per molti esercizi; l'assemblea delibera promuovere
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una agitazione legale, ~ e r c h énel progetto Sacchi venga modifica l'art. 4 introducendo l'obbligatorietà del referendum p e r caso determinato e togliendo a l prefetto la facoltà d i chiamare gli e ettori al referendum d i propria iniziativa e autorità D. Ri uardo poi alla municipalizzazione dei servizi pubblici e dei de ani agrari e industriali dei comuni, io dichiarai d i esser d'acco do con l'on. De Felice nel concetto amministrativo d i tale provvedimento, e accettai l'inclusione della sua proposta nel mioI ordine del giorno; dichiarai altresì che dissentivo da t lui riguardo i concetti informativi, perché p e r me l a municipalizzazione ha il doppio concetto amministrativo (miglioramento dei servizi e aumento d'introito nei bilanci comunali) e i l concetto sociale (utilizzare le forze collettive dei demani e dei patrimoni industriali e rurali e togliere i monopoli degli appaltatori al maggiore vantaggio dei membri del comune, principalmente delle classi non abbienti, e costituire tali cespiti d7entrata produttiva da togliere le tassazioni sul consumo o sulla piccola produzione). Non posso però avere il concetto di u n avvento della proprietà collettivista, perché nella municipalizzazione dei demani e dei patrimoni comunali ( c h e del resto non è una novità: tutt'altro) ogni abitante del comune partecipante al17uso del bene collettivo, sia u n coltivatore della terra o un concessionario d i parte della forza idraulica e della energia elettrica, usa del bene collettivo personalmente e per aumentare la singola proprietà privata con il proprio lavoro e il proprio capitale. È chiaro che la guisa economica della municipalizzazione del beni industriali o rurali dei comuni e delle Opere pie ( a prescindere dall'elemento intenzionale e soggettivo) non è per nulla u n avviamento all'attuazione dell'ideale collettivista come vuole I'on. De Felice. Un'ultima parola per fatto personale. L'ori. De Felice accennò ai fatti di Palagonia come una prova ... che io non volevo l a m u n i ~ i ~ a l i z z a z i o n delle e culture dei beni rurali e industriali dei comuni e delle Opere pie. Diedi all'assemblea sufficienti schiarimenti sui fatti oramai a tutti noti, né occorre che mi ripeta. Solo è opportuno far notare che siamo stati proprio noi democratici cristiani a istituire per i primi l e cooperative p e r i fitti collettivi della gran-
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de proprietà terriera; la prima cooperativa sorse in Cal gi rone nel 1900, ed altre se ne sono istituite i n Sicilia e alta Italia, e circa venti feudi o latifondi sono stati d presi i n fitto direttamente dai proprietari, togliendo d i ezzo il gabellotto sfruttatore usuraio, (come volevamo f a r a P lagonia, se le male arti della politica elettorale e il losco aff rismo non ce lo avessero vietato, consenziente o quasi il pref tto d i f Catania, avviando così la cooperazione per un cammino che I deve risolvere nell'avvenire molti dei ~ r o b l e m iriguardanti i I rapporti fra capitale e lavoro. i Perdoni, egregio sig. direttore, che l'ampiezza dell'argomento m i h a costretto ad abusare della sua bontà, e accetti i mei cordiali ringraziamenti, mentre ho l'onore d i dichiararmi.
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dev.mo Sac. Luigi Sturzo Messina, 11 novembre 1902.
(La Croce di Costantino, Caltagirone, 16 novembre 1902).
I L GIORNO DELLO STATUTO A LECCE
. La descrizione la tolgo da u n autorevolissimo giornale liberale d i Roma: ...Stamane, giorno dello statuto, ha avut.0 luogo la rivista , « militare Le case avevano il portone fermato, i balconi erano « serrati, tutto chiuso! Nessun cittadino, nessuna autorità si è « trovata presente alla rivista. 11 solo prefetto vi si è recato in « carrozza... I negozi non si sono aperti, e sull'uscio sono stati « attaccati tanti cartellini con la scritta: Chiusi per protesta. « Chiuse sono anche le botteghe di generi alimentari, i restau« raltts, .i caffè. e i giardini pubblici. P e r le vie principali è so« spesa la consueta passeggiata ... e qualche rara bandiera ssentola solamente sugli edifici governativi. Le guardie municipali u vestono in borghese. Nessuna luminaria questa sera... I n alcuni paesi della provincia negli edifici comunali è stata rizzata la C( bandiera a mezz'asta o abbrunata 1).
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una strana commemorazione dello statuto in una provincia può dire che lo statuto sia stato virtualmente abolito; alla quale questa volta h a pigliato parte concorde, unanime nella protesta solo si può dire abbia continuità ammikstrativa, nell'oppressione sistematica del mezzogiorno. La barola è dura, ma corrisponde a verità, come corrisponde a verità' quell'altra che chiama il meridione: terra d i conquista ! che questa terra di conquista qualche volta. i n modo forte, vibrato e tale da f a r comprendere che la pazienza i n chi soffre h a limiti, e l a prepotenza non deve arrivare all'estremo? Lecce, città capo provincia popolosa e mite, rovinata come noi e peggio da crisi agrarie, tormentata dal fiscalismo d i stato, ingannata sempre da vane promesse, con una produzione insu£ficiente e u n commercio rovinato, chiede al governo provvedimenti urgenti, p e r 1o~:menol'aggiornamento della esazione delle imposte. I deputati Chimienti, Codacci, De Cesare portano alla camera i lamenti, i bisogni, l e aspirazioni di una popolazione rovinata; ... invano! I1 ministro Carcano risponde che i l governo non può consentire a Lecce u n trattamento d i favore: e Giolitti al senato dice che non parla delle agitazioni nel leccese per non bollarle con parole che suonerebbero di censura. E d oggi, dopo le dimostrazioni clamorose e silenziose, dopo l e colluttazioni con la forza pubblica e lo sciopero delle autorità, il governo si è deciso a mandare ... una commissione d'inchiesta. Sì, egregi uomini di stato, illustri mediocrità che sfruttate l'Italia, mandate pure commissioni d'inchiesta, anzi venite come Zanardelli a scoprire l a Basilicata o anche l a Sicilia sono inutili i pannolini caldi, i cerotti, i provvedimenti passeggeri, la polvere negli occhi: mentre di fatto ci si ruba, ci si rovina, ci si assassina con l e tasse, col mal governo, con lo sperpero del pubblico denaro, con la sperequazione, con tutto l'ingranaggio del nostro unitarismo finanziario economico amministrativo. Siamo i n crisi: proprietà e lavoro nel meridione non hanno sufficiente rimunerazione: e sono oppressi da tutto l'attuale ordinamento amministrativo, che subiscono senza poter resistere, senza speranza d i vincerlo nella lotta aspra, dura,
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diuturna. La proprietà fondiaria è soffocata dal debito i otecario, non ha capitale per la produzione, e deve ricorrere alla usura che strozza e schiaccia; e dopo che con mille stenta si è tirata sù una produzione rachitica e insufficiente, i mercati ci 1 sono avversi, per l e tariffe di trasporto, per i dazi protezionisti / e proibitivi, per le gravi difficoltà commerciali in un r e g i l e nel quale il governo ha sempre sacrificato il sud al nord, e la economia nazionale alla politica sfruttatrice. Con tali condizioni da parte della proprietà nulla di strano I che il lavoro manchi o non sia rimunerato giustamente, che !e nostre popolazioni rurali soffrano la miseria, la fame, la pellagra; che l'emigrazione decimi le nostre popolazioni, che i fremiti incomposti della ribellione tentino la calma, la pazienza, la abnegazione tradizionale della popolazione del mezzogiorno; dando largo campo ai partiti sovversivi di affermarsi e di estendere la loro potenzialità. P e r colmo dei mali, i comuni e le provincie sono dissanguate, smunte, senza mezzi per tentare qualche iniziativa salutare, e il governo è insufficiente, ammazzato dalla politica e dall'affarismo parlamentare, ad attuare un programma serio, intiero di elevazione economica del meridione. I n tale stato di cose il grido separatista si fa più forte e potente; che facciamo a stare uniti amministrativamente con chi ci deve sfruttare? - Noi, coi nostri mezzi, con le nostre risorse, possiamo trovare la via della salute.
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Siamo stati sacrificati da questa unità che è stata uniformità amministrativa e dispariti economica; di squilibrio naturale e rovini0 voluto. Tutto ciò non deve dar occasione a sacrificare quell'unità c h e religione, lingua, costumi, letteratura, tradizioni domand a n o ; ma a regolare i rapporti economici e amministrativi che devono essere distinti per gl'interessi opposti di regioni, di industrie, di commerci: di educazione locale. Noi facciamo del regionalismo, e siamo regionalisti, ed è necessità l'esserlo; e ciò non scompone la compagine dello stato,
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ma rispetta le diverse unità territoriali ed economiche dello stes o stato. e se si continua così, nessuna meraviglia che traballino anch le istituzioni di fronte alla fame e al malcontento; e che, incominciando con la protesta per lo statuto e le feste nazionali, non s ' pensi sul serio a un separatismo più radicale, che già incomincia a fermentare. N o1 non vogliamo che il decentramento amministrativo; noi vogliamo esser padroni in casa nostra e far noi i nostri conti e 'avviarci da noi a risolvere l e crisi che ci agitano e ci riducono in uno stato di vera miseria e di continuo avvilimento. È giusta quest'aspirazione, e Dio volesse che i meridionali invece di pensare a dilaniarsi nei partiti personali locali, imitando Lecce, si unissero concordi, senza divisioni di parte, contro il governo italiano, per una autonomia amministrativa, oramai imposta dalla gravità del momento.
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Il crociato ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 14 - 15 giugno 1903).
PRO E CONTRO IL MEZZOGIORNO Finalmente si è conosciuto il celebre decreto legge del ministero Zanardelli, uscito fuori del pelago alla riva, con cui si è voluto ingraziare il mezzogiorno. E consiste nella riduzione dal 10 a11'80 per cento delle tariffe ferroviarie per il trasporto dei vini all'interno. - È un trattamento di favore, si grida dai fratelli piemontesi, i quali vedono minati i loro mercati vinicoli da una concorrenza meridionale; anzi è un assassinio. E la guerra regionalista, eccitata dal contrasto degl'interessi, dalla insipienza dei governi e dai modi poco parlamentari dei giornalisti e degli oratori di professione, che rappresentano quella benedettissima opinione pubblica, che non si sa dove abiti, - oggi' ripiglia il suo corso sospeso o reso
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latente dagl'idilli nordici e sudici, cantata sopra tutti i [toni dai governi agli ... spazzini della politica economica dell'rtalia redenta. Guerra regionalista è la parola unica per designare u o stato d'animo, una tendenza, u n processo lento e sicuro della cont dizione economica d'Italia, che non h a riscontro in a l p e nazioni e che corrode profondamente la nostra politica e la pubblica economia. È inutile illuderci: - nord e sud abbiamo interessi antaI gonistici, ed esercitiamo 'l'uno a danno dell'altro la concorrenza e il monopolio; ci serviamo delle camarille locali e degli intrighi d i gabinetto; tentiamo strappare una concessione per ferire o per avere pronta l'arma a ferire. Però il guaio è stato che il meridione ha subito la parte del debole che viene sopraffatto, dell'ingenuo che viene illuso, del pitocco che chiede ed ha ripulse. E una volta che i n u n momento d i buon sangue, un ministro che non vuole cadere, pensa che l può essere u n buon espediente u n decreto-legge ~ e meridione politico, u n po' meglio di un viaggio di esplorazione nella Basilicata, eccoti i quelli che più hanno usufruito della unità d'Italia, quelli che economicamente e moralmente divennero per u n certo tempo i padroni d'Italia, a protestare e a fare del chiasso. La questione è lì: - noi siamo regionalisti; la nostra politica dev'essere regionalista, la nostra finanza, la nostra economia, la nostra amministrazione, tutto deve corrispondere alla regione. 'La Sicilia a i Siciliani, una nuova dottrina di Monroe, deve essere la base di u n v e r o movimento politico siciliano. Non vogliamo la secessione dalla madre patria; ma vogliam o da noi curare i nostri interessi. I1 governo centrale è impotente a risolvere uno solo dei gravi problemi siciliani :
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1. 2. 3. 4.
La questione ferroviaria La questione delle acque per l'irrigazione interna La questione agraria e dei demani comunali La sistemazione amministrativa dei comuni.
moltissime altre non sono state né saranno risolute dal centrale, mentre i l fiscalismo ci uccide, e la pressione rende impotente una rappresentanza incosciente e imnegli intrighi di Montecitorio. autonomia è u n ideale che sembra irraggiungibile, esser base d'un partito veramente siciliano e veramente patriottico. Lovetere consiglia anche a noi d'imitare Lecce: sindaci e autorità amministrative rassegnare in massa le dimissioni a l governo ; - partiti , unirsi nella suprema difesa comune contro il governo; - resistere, rendendo impossibile la vita locale, contro chi ci ha rovinato in 43 anni, e oggi c'illude con u n decreto-legge, che serve solo a irritare i piemontesi, non a sanare l e nostre piaghe. I1 consiglio forse potrebbe. tornare dannoso, se alla fine, messi tra l'uscio e il muro, si dovesse tornare indietro nei seri propositi, in vista dell'anarchia amministrativa a cui si andrebb e incontro. Invece sarebbe il momento di iniziare la formazione di un partito siciliano, a cui aderirebbero tutti gli altri partiti, con l a bandiera di autonomia amministrati~ae finanziaria, e col caatter re di lotta al governo centrale.
I fieri siciliani di un tempo si ricordino che questa terra non è nata per servire, ma ha servito quasi sempre, per la vigliaccheria dei suoi figli.
LOICO ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 12 - 13 luglio 1903).
13. RIFORMA ELETTORALE AMMINISTRATIVA Una nuova leggina è stata votata dai due rami del parlamento, -che modifica l e attuali disposizioni di legge in ordine alla rinnovazione dei consigli comunali e provinciali.
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E vi ci fermiamo un po' su, non solo perché i cittadiiii e I
gli elettori la conoscano i n ordine all'esercizio dei loro diritti, I ma specialmente perché se*ne formino un concetto adeguato, i l che è u n dovere d i tutti coloro che sentono l'importanza della partecipazione popolare alla vita pubblica. La sostanza della legge è questa: - invece d i rinnovare i consigli per metà ogni tre anni, si rinnoveranno da oggi i n poi p e r u n terzo ogni due anni. Prima dell'ultima modifica deliberata nel 1894, la rinnovazione avveniva per un quinto ogni anno; sembrò poco rispondente alle esigenze della vita locale questo metodo, che chiamava il popolo ai comizi troppo spesso, e non riusciva a spostare sul serio interessi, coalizioni, partiti. - Però la rinuovazione d i metà ogni tre anni non corrispose né corrisponde a i criteri d i continuità amministrativa e d i diversità di indirizzi, che si volevano concretizzati nella riforma; anzi creò una specie d i disquilibrio e d i anarchia, dando luogo, come avviene spesso quando le minoranze soverchiano le maggioranze sfruttate dal potere, a che in ogni rinnovazione di metà le maggioranze riescano deboli e sfiduciate e le minoranze numerose e forti. Di qui, impossibilità d i amministrare, scioglimenti d i consigli, R. commissari, e tutti quei mali che violano le autonomie dei comuni e impediscono il normale andamento della vita amministrativa. A rimediare a tanto, i l governo h a creduto opportuno, mantenendo i concetti d i rinnovamenti parziali, d i portare i l periodo a due anni e i l numero a un terzo. Questo preteso rimedio non crediamo che sposti alcunché della situazione delle cose; perché, se dalle urne esce rafforzata l a maggioranza, essa diviene strapotente, e il savio concetto legislativo della rappresentanza delle minoranze viene leso; se invece ottiene i favori popolari la minoranza, allora il partito che amministra la cosa pubblica riesce sfiancato numericamente e peggio moralmente, perché l'esito contrario delle elezioni parziali dimostra che il paese non ne approva p i ù i metodi amministrativi o non h a più fiducia nelle persone che sono al potere. E allora che ci stanno a fare? Le dimissioni dovrebbero essere l a più logica e la più doverosa conseguenza.
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Le dimissioni? - Ma, e come potrebbe amministrare la mi\ noranza uscita vittoriosa dalle urne solo per i due quinti dei consiglieri assegnati al comune? Si arriva dunque a u n dilemma che ferisce la democrazia elettrice, l'autonomia comunale, e i sistemi amministrativi; cioè: o resta al potere una maggioranza in cui il paese non ha più fiducia e per lo meno i due quinti del consiglio non appoggiano; oppure viene imposto il R. commissario, per fare a suo piacere le elezioni generali! Rimedio quindi nessuno; e il peggio si è che il corpo elettorale invece di avvantaggiarsene ci perde; ci perde non solo dal fatto che la convocazione dei comizi, quando è troppo frequente per motivi non amministrativi, come sarebbe nel caso del re. ferendzcm, ma elettorali, sciupa ed estenua in lotte che divengono personali, e si attenua la vitaliti stessa dell'elettorato; ma specialmente perché non dovendo gli elettori, in via normale, eleggere per intiero u n corpo di rappresentanti, ma solo parzialmente in numero inferiore alla maggioranza (anzi in numero troppo limitato), non si potrà mai riuscire ad avere una risultante che rappresenti integro ed attuoso il volere popolar e ; non si potrà mai ottenere una vera e legittima emanazione del popolo nel momento che esercita i suoi poteri elettivi. E v'ha cli più: la istituzione della rappresentanza delle minoranze fatta nel 1888 fu u n salutare provvedimento che salvaguarda i diritti dei cittadini e controlla l'esercizio del potere. Però è chiaro che secondo la legge esiste una minoranza, che è spesso diversa da quella di fatto; per legge è l'ultimo quinto degli eletti; di fatto invece è composta dai rappresentanti del partito che non partecipa al potere, i cui componenti possono e sono spesso compresi fra i primi quattro quinti degli eletti. Nel sorteggio e nelle scadenze non si tiene alla proporzione delle minoranze, e quindi queste o possono subire forti perdite, o invece restano in buon numero; ed ecco creato uno squilibrio. - La nuova legge ne aggiunge un altro per quei comuni o ~ r o v i n c i eche hanno 80, 50, 40, e 20 consiglieri assegnati; perché, dovendosene rinnovare un terzo, la divisione del terzo in cinque parti, per votare solo per i primi quattro c~uinti e lasciare l'altro quinto al risuItato delle minoranze:
vinciale stabilisce che per le frazioni dei quattro quinti l'efetto ha il diritto di votare per il numero intiero immediatadente superiore. P e r cui, avendo Caltagirone 40 consiglieri, secondo la nuova legge dopo il lobiennio se ne sorteggeranno 14 e si voterà per 12, dopo il 2" biennio se ne sorteggeranno 14 e si voterà per 12, e dopo i l 3" biennio usciranno gli ultimi 13 e si voterà per 11. Così la minoranza legale di un consiglio di 40 viene ridotta a 6 invece di 8 ; quella di un consiglio di 20 a 3, iiivece di 4 ; quella d'un consiglio di 50 a 9, invece di 1 0 ; e quella di u n consiglio di 80 a 15 invece di 16. E ciò è un regresso! Così la nuova legge non provvede alle vere esigenze del corpo elettorale e delle amministrazioni e crea nuovi svantaggi. Ma la legge è questa.
IL CROCIATO (La Croce d i Costantino, Caltagirone, 28 febbraio 1904).
P E R I CONTADINI DEL MEZZOGIORNO
Una legge travisata e resa inutile I1 28 novembre è stata presentata dal ministro Lacava la relazione sopra una leggina che sta passando inosservata alla camera, che si riconnette con uno dei principali problemi del mezzogiorno, e che doveva essere trattata da un punto di vista molto diverso e molto più importante di quello che l'on. Lacava abbia avuto cura di presentare ai deputati. Questa leggina, prima ancora di venire alla luce, ha una storia curiosa, che il relatore, tra i veli del suo scritto, non ha saputo intieramente dissimulare. Ereditato da Giolitti il progetto di legge sul mezzogiorno, sul quale Sonnino, con una fretta ingiustificata sperava edificare la sua base ministeriale scossa fin dall'inizio, fu con pari fretta,
pei pericolo di una larga impopolarità, riproposto, discusso e approvato dalla camera rifatta giolittiana. È inutile qui fare la critica a quel progetto; fra tante disposizioni inutili e dannose, fu di straforo, per iniziativa di alcuni deputati fra i quali, credo, l'on. E. Rizza di Comito, introdotto un comma di una gravità eccezionale. Esso suonava così: Saranno del pari considerati come rurali ed esenti dall'imposta fondiaria quelle case le quali, site in centri abitati, servano di personale abitazione e siano proprietà di contadini, i quali provino tale qualità N. Giolitti era assente; e sopravvenuto alla camera, non dissimulò il suo malumore al poco accorto ministro, che aveva consentito all'aggiunta dell'articolo; e provvide ad attenuarne la portata con un articolo introdotto nella legge in una delle sedute successive con facile artificio, per cui, cosa nuova e strana, all'esecuzione di una disposizione di legge si dovea provvedere con altra legge. Così venne stabilito: (C Entro il 30 giugno 1907 i l governo presenterà al parlamento un disegno di legge per determinare i limiti e le norme di applicazione dell'esenzione stabilita nell'ultima parte dell'art. 2 D. A parte adunque il nuovo criterio legislativo di una legge esecutiva di un'altra e la inutilità della determinazione del tempo, che può essere ingenuamente sorpassato di cinque mesi, la leggina promessa è venuta, ed è tale che né l'on. Rizza, né altri deputati sicialiani e meridionali, e peggio poi i contadini possano rimanere contenti. I1 criterio fondamentale che animò i proponenti e sostenitori dell'ultima comma dell'art. 2 della legge 16 luglio 1906 sul mezzogiorno, fu quello di togliere la sperequazione fra le condizioni delle abitazioni rurali del sud in confronto a quelle dell'alta e media Italia creata dalla legge fondamentale sulle imposte fondiarie che per essere una e rigida per tutte le regioni, non può non riuscire in tanta parte irrazionale e gravosa. Sembra strano che il problema, agitato tante volte nel mezzogiorno, appaia da poco, e così contraffatto alla camera, dove purtroppo non arriva che svisato da mene politiche qualsiasi interesse che agiti la vita nazionale. Nel mezzogiorno e nelle isole, tranne in poca parte del litorale, i centri urbani si diver-
sificano enormemente da quelli dell'alta e media Italia, per le numerose e caratteristiche agglomerazioni rurali, che £ormano complessi di popolazioni che vanno dagli ottomila fino ai settantamili abitanti dei quali non meno dei due terzi sono contadini o meglio agricoltori, i quali, nelle condizioni normali dovrebbero vivere nei campi da loro coltivati, nelle grandi fattorie o nelle piccole e medie proprietà. I1 latifondo a cultura estensiva, la malaria, la poca viabilità, il brigantaggio, le crisi agrarie, la mancanza di acqua, le consuetudini create da u n lungo passato peggiorato da nuove condizioni difficili p e r l'agricoltura, hanno dato origine e hanno mantenuto e accresciuto questo stato di cose poco rispondente al vero sviluppo agricolo delle regioni del mezzogiorno e della Sicilia. Onde le abitazioni dei contadini sono normalmente nei centri urbani, grosse agglomerazioni d i agricoltori, che stanno troppo a disagio con i civili, i cappieddi, gli operai, i paglietta, che sono i veri cittadini, minoranza spesso esigua e sovercliiante. P u ò la legge fiscale sulle imposte dirette, considerare l e case dei contadini come vere case urbane, quelle casette, anzi tuguri, abituri, caverne sottoterra, sottoscale di case migliori, nelle quali abita i l contadino siciliano e meridionale? Ecco i l problema nella sua vera luce, i n quella luce nella quale non l'ha voluto mettere il ministro delle finanze nel fare una relazione destinata a creare un grande equivoco. Infatti, tutto i l criterio del progetto d i legge è u n altro; esso è posto sopra u n principio d i eccezione e, chiamiamola così, di beneficenza finanziaria. Come si sono sgravati ad tempus le costruzioni delle case popolari, o l e case dei danneggiati dal terremoto nelle Calabrie, o dall'eruzione nei comuni vesuviani e similì, così p e r i contadini poveri verrà tolto questo peso. E d ecco a studiare gli estremi per l'applicabilità della legge, estremi basati sulla qualità d i contadino e sulla condizione d i povertà. La prima sarà riconosciuta dalla commissione comunale di cui all'art. 37 della legge sul mezzogiorno, e sta bene ; la seconda è precisata dalle seguenti condizioni : a) che i l reddito lordo accertato non superi le lire 25;
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b) che l a propriet.à sia limitata ad una sola casa; C) che nessun membro della famiglia possieda né case, né poderi, né redditi mobiliari; d) che la casa serva d i abitazione al contadino e alla sua famiglia, o alla custodia degli attrezzi indispensabili al suo mestiere. La commissione per l'imposta dei fabbricati deciderà sulle controversie sul riguardo: l'agente delle imposte avrà u n bel da fare. Queste disposizioni enormemente restrittive manifestano il falso criterio che presiede alla nuova legge, i n contrasto con la precedente; e lo sforzo d i diminuire la portata della disposizione legislativa del 16 luglio 1906. Già non c'è da meravigliarsi; quella legge è stata una enorm e turlupinatura, (tranne per poche disposizioni) turlupinatura che continua tuttora. Chi conosce le condizioni del nostro agricoltore, sa che pochissimi saranno i beneficiati della nuova leggina, che sarà VOtata dalla camera, forse senza neppure una voce d i protesta, O talmente blanda, che non turberà i l ~ a r t i t opreso del governo. Non posso lì p e r lì affrontare la questione i n base a una statistica anche approssimativa; neppure il relatore si è scomodato a cercare il responso della statistica per stabilire i suoi angusti criteri. Però chi conosce le condizioni del mezzogiorno, sa che il contadino normalmente cerca. d i avere e h a d i fatto u n qualsiasi minuscolo poderetto, anche frazionato e suddiviso e ridotto in pillole, dove, nei giorni vuoti d i lavoro si reca a coltivare qualche pianta, a seminare u n pugno d i orzo, se non altro p e r aver i n primavera l'erba per l'asinello, a piantarvi qualche centinaio d i viti p e r uso domestico. È l'istinto del proprio mestiere che gli fa cercare la terra dove i padri impiegarono qualche minuscola economia; e che spesso serve per dote alle figlie. Si sa inoltre che molti comuni hanno quotizzato i loro beni ai poveri del territorio, in base alle leggi dell'antico regime, tuttora in vigore; per cui non pochi contadini hanno avuto u n brano di terra, spesso lontana e brulla, è per clippiu aggravata da forti canoni. Tutta questa gente povera, che non vive né col poderetto
minuscolo, né con i l misero catodio: jstambugio, sottoscala, stamberga, volta, (si chiami come si vuole), tutta questa gente con un tratto di penna del nostro legislatore pagherà l'imposta come se possedesse una casa nel centro urbano, i n base alla vigente classifica d i legge. E non basta: il reddito lordo non dovri superare l e lire 25. Altro cappio alla primitiva legge: il rincaro delle pigioni in tutti i centri urbani è u n fatto noto; si aggiunga che nel mezzogiorno poche e incerte iniziative vi sono p e r case popolari; le differenze fra reddito d i una casetta di contadini nel comunello di pochi abitanti e nel comune di 40 o d i 60 mila abitanti, è enorme; io credo che con questa disposizione tutte le abitazioni rurali le più misere dei comuni superiori a ventimila abitanti, e la gran parte delle abitazioni di contadini dei comuni fra dieci e ventimila abitanti, vengono escluse dal beneficio legislativo. Le altre condizioni di legge p e r sé opportune, aggravano l a situazione creata da quelle già esaminate. La statistica del 1908 delle abitazioni di contadini esentati dalla imposta fondiaria ci dirà a quanti avrà giovato questa irrisione d i progetto di legge. Perciò credo opportuno d i levare la voce sull'accreditato Corriere d'Italia, perché qualcuno possa raccoglierla e portarla alla camera come una voce sincera di protesta e di allarme. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 29 dicembre 1907).
P E R LE FERROVIE SECONDARIE SICILIANE I n una riunione indetta dal municipio d i Palermo di tutti i sindaci siciliani, nel maggio 1906, furpno gettate le basi d i una intesa regionale, perché la questione delle ferrovie secondarie siciliane venisse dal governo affrontata e risolta in modo organico e definitivo. Allora fu nominata una commissione composta dal senatore Tasca Lanza; sindaco d i Palermo, dall'on. Francica Nava p e r
Siracusa, dal cav. Di Stefano Giuffrida, sindaco di Catania, dal comm. Malato di Girgenti e dal sottoscritto quale pro sindaco di Caltagirone e presidente del consorzio ferroviario Terranova-Piazza. I passi fatti da quella commissione presso il governo di allora ebbero il solito esito di promesse e di impegni non mantenuti: e la legge del 1908 nulla aggiunse alla possibilità di creare in Sicilia una vera rete sussidiaria, che allacciasse i diversi centri di popolazione e di attivit.à fra di loro, e traversasse quasi intere provincie appena toccate dalla rete litoranea; il sussidio chilometrico massimo da poter assegnare alle linee secondarie di lire 8500 è semplicemente insufficiente per l'interno della Sicilia, sia per la montuosità delle zone da attraversare, sia per lo sviluppo commerciale e industriale di quelle regioni. Questo comprese il governo, quando per la Basilicata e l e Calabrie fece votare la legge del luglio 1910 portando a 12 e anche a 14 mila lire i l sussidio governativo per ogni chilometrolinea; né le difficoltà per la Sicilia sono minori di quelle che si sono riscontrate per la Calabria e la Basilicata; Né è a credere che s'invoca una legge di eccezione per la Sicilia; perché il maggior sussidio chilometrico che si vuole per le secondarie siciliane dipende dalle maggiori difficoltà tecniche e finanziarie della regione insulare. E se lire 8500 a chilometro non sono sufficienti per linee da costruirsi 'in pianura o o quasi in molti posti dell'alta e media Italia, tanto più non bastano per la Sicilia, ove non si va quasi mai i n pianura, tranne tratti insignificanti, e la montu0sit.à della regione è caratterizzata da u n continuo frastagliamento, da una successione di vallate e montagne, che costringono a lavori ed opere d'arte non indifferenti. Quel che fino ad oggi faceva difetto alla soluzione del problema era la mancanza di un'azione collettiva, che procedesse da una visione globale del problema ferroviario siciliano. Un gruppo di ferrovie a scartamento ridotto fu provvisto con leggi vecchie e nuove, fondamentale quella del 1902: tali ferrovie furono dette complementari; lo stato riconobbe l'obbligo della esecuzione, come ferrovie di stato: e fin oggi alcuni
tronchi sono già quasi completati, altri in corso d i lavoro, molti ancora da appaltarsi. Però tali linee potevano dirsi solo l e più urgenti, specialmente la Castelvetrano-Porto Empedocle e 1'Assoro-Piazza; ma ben altre vi erano invano sostenute da enti locali e reclamate da popolazioni intere, che sono come staccate da ogni pulsazione d i vita moderna. Vi sono città e non ~ o c h e , d i 20 o 30 mila abitanti, come perdute sui monti, i cui abitanti sono costretti a fare da cinque a dieci ore d i diligenza p e r raggiungere la stazione ferroviaria, o lunghi giri di percorso per riunirsi ai centri d i vita come Palermo, Catania e Messina. Sotto l'assillo del bisogno, e con la fiducia dell'avvenire si sono creati diversi consorzi d i enti locali, comuni e provincie, p e r alcune linee indispensabili alla vita della regione: quali il consorzio Paternò-Nicosia della Siracusa-Vezzini e della PiazzaCaltagirone-Terranova. Sono stati fatti redigere i progetti, alcuni dei quali hanno ottenuto l'approvazione ministeriale. Però, a parte la insufficienza del sussidio chilometrico, non è da credersi facile, senza enormi sacrifizi per gli enti locali, che una iniziativa limitata a un tronco staccato d i ferrovie* in località ove bisogna ancora creare l'anima commerciale, possa avventurare dei capitali, col pericolo di rimetterci, senza avere u n complesso d i garanzie e di attività dalle quali venga assicurato u n giusto reddito all'impiego che si dovrebbe fare. E sorta da tutto questo cumulo di disillusioni, di speranze, d i considerazioni pratiche e d i agitazioni locali l'idea d i rendere una e organica la rete delle complementari allacciata alle secondarie, tenendo presente i bisogni dei centri popolosi e di produzione. In questo concetto complesso e, se si vuole, anche arduo, non solo si uniranno tutte l e forze politiche dell'isola, coordinando l e iniziative locali per un'agitazione collettiva; ma si renderà possibile una impresa, che divisa e staccata nei diversi tronchi e nei diversi consorzi, si inaridirebbe riuscendo solo a f a r perdere alle popolazioni la fiducia nell'avvenire, e a rendere più lontana la soluzione del gravissimo problema. Con questo concetto organico si avrebbe una rete sussidiaria a scartamento ridotto completa da una parte all'altra dell'isola.
Partendo dalla Castelvetrano-Porto Empedocle, si avrebbe u n gruppo da allacciarsi alla San Carlo-Corleone e da riunire Calatafimi-Alcamo e Castellamare a Trapani, e dalla parte ad est da arrivare a Termini Imerese. Da questa stazione si diramerebbe, attraverso-le Madonie, la linea Termini-Nicosia. Nicosia-Paternò, da riunirsi con la Circumetnea; e da Gradino a Leonforte-Assaro-Valguarnera-Piazza, per arrivare da una parte a Caltagirone-Terranova, e dall'altra a Canicatti-Novo. Da Caltagirone, con u n interbinario si arriverebbe a Piazza, per diramarsi fino a Siracusa. Così una intera rete da Trapani a Girgenti, da Palermo a Siracusa, da Caltanissetta a Messina attraverserebbe le sette provincie siciliane, riunendosi a Trapani, a Termini, a d Ossovo, a Catania, a Caltagirone, a Siracusa, a Giardini, a Terranova con le ferrovie di stato. Si tratta di 1300 chilometri di linea (cioè 200 meno di quelli della Basilicata e Calabria) delle quali 500 circa rappresentano le linee complementari già costruite o in corso di costruzione; e solo 800 chilometri sarebbero i nuovi tronchi invocati e voluti. Tutto ciò non può dirsi oramai castello in aria, né una incognita finanziaria. Una banca francese, la Banca Dreyfus, che concorse per le calabro-lucane, e che si ritirò per lasciare quelle linee alla Società Mediterranea, ha fatto u n progetto di larga massima, seguendo più o meno i criteri dei consorzi locali, ed ha presentato oggi al governo la domanda di concessione della costruzione delle ferrovie complementari e secondarie della Sicilia alle stesse condizioni o quasi di quelle della Calabria e Basilicata. I1 governo così ha una base di studi e di indagini tecniche e finanziarie tali' da potere, volendo, seguire il medesimo sistema tenuto con la legge del 17 luglio 1910. Certo che il governo non può seguire i criteri di una speculazione privata ; esso ha l'obbligo di controllare l'esattezza delle cifre, vagliare le condizioni proposte, esperimentare l'asta o la gaia, secondo che crederà meglio nell'interesse dello stato (cosa che del resto non fece per la Basilicata e per la Calabria).
Ma ha l'obbligo d i mantenere le promesse, e di rendere possibile la soluzione del problema, senza reticenze né sottintesi. 1 deputati siciliani si sono riuniti e hanno emesso un voto che s'ispira a questi due concetti: piano organico delle linee secondarie, e trattamento analogo a quello fatto alla CalabriaBasilicata. Su questa base sono impegnati ormai i deputati siciliani, dei quali s'invoca la solidarietà e l'energia; e su questa base s'inizia e s'intensifica una vera agitazione permanente nella nostra Sicilia. ( L a Croce di Costantino, CaItagirone, 21 maggio 1911).
LA QUESTIONE DELLE FERROVIE SECONDARIE (*) Egregi colleghi, La questione delle ferrovie secondarie è la più viva e pressante che si agiti in Sicilia, e in questi giorni specialmente, manifesti in tutta la sua maturità e gravità. può dirsi che
si
La legislazione Espongo anzitutto la stato presente della legislazione sulle nostre linee dette secondarie. Esse sono lasciate alla industria privata o direttamente, o a mezzo di consorzi degli enti locali interessati, ai quali lo stato accorda dati sussidi chilometrici per un determinato periodo di tempo. Tali periodi e tali sussidi sono stati mano mano modificati, con diverse leggi; da quella del 29 giugno 1873 a quella del 12 luglio 1908 che precisa a 50 anni il periodo di concessione, e
(*) Sunto della relazione al a Catania.
1 congresso dei sindaci siciliani tenutosi
'
porta da L. 5.000 a 5.750, da 7500 a 8500, e da 8000 a 9100 i l limite massimo stabilito rispettivamente dagli articoli: 1 della legge 3 aprile 1897, 15 della legge 9 luglio 1905, 15 della legge 14 luglio 1907, 7 della legge 4 dicembre 1911. Però, riconosciuto da tutti che tali sussidi chilometrici sono di fatto in massima parte insufficienti per attirare il capitale verso la costruzione ed esercizio di tali ferrovie, durante la discussione della legge per le Calabre-Lucane, su proposta di molti deputati, in maggioranza siciliani, fu votato l'articolo 16 della legge 24 luglio 1910 che dice: I1 governo presenterà entro il mese di febbraio 1911 u n disegno di legge per agevolare nelle provincie che più ne abbisognano la concessione all'industria privata di quelle strade ferrate con caratteri di evidente utilità ed urgenza per le quali il sussidio chilometrico attuale risulta manifestamente inadeguato ». Non faccio accenno ad altre leggi, che oramai non rappresentano che fonte di erudizione: 1) La legge del 9 luglio 1905 che all'art. 13 stabilisce i criteri fondamentali per la concessione del sussidio massimo di L. 7.500 cioè : a) attraversamento delle regioni montuose ; b) spese di costruzione per L. 150.000; C ) congiungimento a capoluoghi di circondario o comuni isolati per la popolazione superiore a 100 mila abitanti.
2) La legge del 12 luglio 1908 che eleva tale sussidio a L. 8.500 e riduce i l periodo di tempo a sei anni. 3) La legge del 21 luglio 1910 con la quale fu promesso un disegno di legge per l'aumento del sussidio chilometrico a linee di evidente utilità ed urgenza per le quali risulta il sussidio manifestamente inadeguato.
Le agituzioni locali Sotto l'imperi0 di tante leggi, e sotto l'ausilio dei bisogni, le popolazioni prive di comunicazioni ferroviarie si sono agitate da moltissimi anni; a seconda che più o meno avessero valore le iniziative private, si sono costituiti consorzi locali, si
sono sono fatti redigere progetti, si sono perfino richieste concessioni. Così son sorti consorzi per la Catania-Ricosia, la SiracusaVizzini, la Giardini-Leonforte, la Piazza-Caltagirone-Terranova e altri consorzi sono in via di legale costituzione a Caltanissetta, Trapani, e non v'è comune privo di comunicazioni ferroviarie, che non si agiti, per uscire dall'isolamento e dalla vita cittadina. , Tutti invocano giustamente l'aiuto del governo; ~ e r c h é dato il nostro sistema idrografico, la povertà dei nostri traffici interni, le difficoltà di rimunerazione al capitale locale, non è sperabile e non è possibile che l'iniziativa privata basti all'impresa. P e r questo con tutte le leggi fatte, fin oggi non si è data una concessione ferroviaria, non si è cominciata a costruire una sola delle cosidette linee secondarie siciliane. Si attendeva la scadenza del febbraio 1911 perché il governo mantenesse gl'impegni impostigli dalla citata legge 21 luglio 1910, ma venne il febbraio e il disegno di legge non f u presentato né è stato presentato fin'oggi. I deputati siciliani con le riunioni del 3, 16 e 20 maggio hanno tentato di iniziare un movimento collettivo ed un'opera concorde per secondare i desideri del paese, interessando i siciliani al presidente del consiglio e al ministro dei LL. PP. L'ultimo voto formulato dalla commissione dei deputati siciliani e presentato a i ministri Sacchi e Giolitti riassume i aksiderata, traccia la vita da seguire, e segna u n passo notevole in avanti dell'annoso e gravissimo problema. I n esso i deputati sono venuti a due conclusioni necessarie, fissate nel primo voto formulato nella riunione del 3 maggio ultimo: cioè la necessità di un piano regolatore delle linee secondarie e la necessità di disposizioni speciali per la Sicilia.
Un piano regolatore Ciò può sembrare che faccia allontanare la soluzione del problema per quelle linee, che fin oggi sembravano le sole e l e poche che avessero unfinteresse grave, urgente, immediato;
le linee, se non tassativamente indicate dalla legge del 1905, certo presupposte o riferentisi, ed elencate in forma indiretta nella relazione parlamentare, che hanno progetti approvati o quasi, per i quali solo è mancato il concessionario perché gli attuali siissidi sono insufficienti. Questa difficoltà è stata ed è discussa: e parecchi comuni o consorzi h a n dubitato che la questione del piano regolatore sia u n maggior bene, che soffochi i l minor bene: u n meglio che è nemico del buono ; e le preoccupazioni non hanno p e r u n momento mancato di manifestarsi. Dall'altra parte molti comuni si sono risvegliati e si sono agitati e si agitano: ricordano vecchie iniziative e ne lanciano d i nuove; e mostrano come ci siano intere plaghe dell'interno della Sicilia così trascurate, così lungi da ogni comunicazione civile, che sembra trattarsi d i comuni dell'abissinia, non della Sicilia. Però, egregi colleghi, una divisione oggi, forse alla vigilia della soliizione del gravissimo problema, sarebbe semplicemente u n tradimento, che peserebbe sulla Sicilia come u n fato disastroso, del quale approfitterebbe volentieri il governo, che si sente trascinato a presentare u n progetto di legge, che risolva specialmente il problema delle ferrovie siciliane. Dico trascinato, perché nessuno ignora che i l governo sente viva la pressione dell'ambiente; e nelle difficoltà finanziarie del momento potrebbe trovare la scusa per quei mezzucci o panni caldi, che d i r si vogliano, per cui l'aumento d i 500 o d i 1.000 lire di sussidio chilometrico rappresenterebbe il mezzo termine p e r mostrare d i adempiere all'impegno, senza pesare per nulla sulla finanza dello stato: perché mancherebbero ancora p e r molti anni le concessioni, almeno in Sicilia se non altrove. L'unione fa l a forza: e p u r bisogna che qualche cosa si sacrifichi da tutti: se vogliamo che tutti si resti concordi, e a tutti vada il beneficio della legge che da tutti s'invoca. I1 piano regolatore avrebbe i l vantaggio di affrontare una buona volta il problema nella sua realtà e integrità, d i avviarlo, verso iina certa soluzione; d i rendere possibile il cointeressamento di tutta l a Sicilia, e di potere ottenere con maggiore
facilità la concessione simultanea della intera rete, che nel suo svolgimento allacci tutte l e sette provincie siciliane. Però bisogna riconoscere lealmente che vi sono linee più urgenti e altre meno urgenti; comuni più isolati e altri meno isolati; progetti più pronti e altri meno pronti. Quando per tutte le linee, che sono veramente necessarie: che allacciano comuni isolati e popolazioni abbandonate, si ha un piano descrittivo; un progetto finanziario, un disciplinare di concessione ; si potrà convenire sulla precedenza dell'attuazione, sopra una classifica che prometta la graduale esecuzione, non a tempo indeterminato, ma a scadeliza fissa. Perché sarebbe improvvido, lasciare che si sfruttino l e linee più presumibilmente redditizie, lasciando quelle che si teme non lo siamo o che presentino maggiori difficoltà costruttive. È evidente che solamente così potrà crearsi in Sicilia una rete intera, che sia completamento di quella a scartamento ordinario; e che vada da Siracusa a Vizzini-Caltagirone a Piazza-Assoro, da questo punto vada a Leonforte-Nicosia, tocchi Paternò e Randazzo dalla Circumetnea, e si ricongiunga alla ferrovia di stato a Giardini, a Catania e Giarre a levante e a Cefalù e Termini a nord; e per mezzo delle complementari possa arrivare da Castellammare e Trapani da una parte' a Girgenti-Porto Empedocle dall'altra. Progetto speciale
La seconda conseguenza si è che si prenda per la Sicilia un provvedimento, speciale. Questo è stato domandato dai deputati col loro ordine del giorno. Pare che il governo non si sia resto edotto di tale necessità, e tema che altre regioni che si trqvano come la Sicilia i n condizioni difficili, possano o vogliano accampare pretesa simile e fare arenare perciò stesso ogni disegno di legge, e affogarlo nelle disposizioni di carattere generico e universale. È qui che noi abbiamo bisogno di due cose: di invocare la solidariet,à delle regioni sorelle, che si devono render conto della situazione difficile della nostra isola, e della vera spere-
quazione legislativa, che è stata sempre a nostro danno: e d i una considerazione di carattere economico, che attenuerà la impressione della legge speciale. I n Italia si è avuta, specialmente p e r noi, la preoccupazione delle concessioni legislative: senza tener conto degli altri elementi, che spostano i termini legali e finanziari di molte leggi. Chi non comprende che le condizioni di diversità di sviluppo economico-commerciale del nord e del sud, rendono di diverso valore le 10.000 lire d i sussidio chilometrico che si potrebbe dare per legge? L'industria privata troverà rimunerative L. 10.000 in Lombardia, e non rimunerative in Sicilia. E allora ci dovremo fidaré del consiglio superiore dei LL. PP. che limita i l sussidio d i una linea del nord, perché non occorre per intiero. E d ecco che la sperequazione apparente avverrà reale p e r altro organo statale se influenze illecite non lo impediranno. Però potrà avvenire che i fondi saranno assorbiti dalla iniziativa del nord, più rapida, con capitale più pronto e più fidente; mentre al sud si avranno i ritardi di ben più gravi diffico1t.à. Ceteris paribus, la legge speciale p e r la Sicilia, sarebbe legge d i perequazione! Estremi rimedi Avrei finito l a mia sommaria relazione, se non credessi opportuno di farmi eco della viva agitazione che regna i n Sicilia presso i comuni e i consorzi interessati, e della sfiducia verso i l governo o meglio verso tutti i governi. I n questo momento di feste solenni e d i tripudi, in questo momento in cui sovrani e governanti visiteranno la nostra isola, mentre cementano sempre più vivi i vincoli di fratellanza e rinsaldano i patti d i libert.à, non vogliamo la voce discorde della diffidenza e i l grido di protesta, ma neppure la supina acquiescenza o la tacita richiesta. Liberi, in terra d i liberi, diciamo la nostra parola franca, e
affidiamo le nostre balde iniziative all'agitazione serena delle rivendicazioni dei nostri diritti. Dobbiamo perciò nella serietà del movimento credere noi stessi alle nostre forze, e diremo nel diritto della solidarietà. Perciò è necessario formare u n comitato permanente e d i agitazione, che sia la emanazione dei diversi enti consorziali, costituiti o i n via di costituzione, per le ferrovie secondarie locali, senza distinzione di vecchie e di nuove iniziative. Questo comitato deve avere il duplice obiettivo d i coordinare le diverse iniziative, senza esclusioni odiose, ma senza pretese esagerate e impossibili, e di far prevalere gl'interessi collettivi nella formazione dell'elenco delle vie ferrate secondarie, per quella che sarà la rete sussidiaria siciliana. Questo comitato d i agitazione pur agendo d i conserva con la deputazione siciliana, avrà più facilità d i mosse, più agilità d i iniziative, e sarà la parola d'ordine d i tutto i l movimento. Se agli estremi mali occorrono rimedi estremi, la Sicilia deve sapere e far valere fortemente i suoi diritti. Ordine del giorno Sturzo
Il I. congresso dei sindaci siciliani in Catania: 1) riconosce come il più grave e il più urgente fra tutti, i l problema delle ferrovie secondarie, alla cui soluzione immediata ed intera la Sicilia ha pieno diritto; 2) aderisce al voto formulato dalla deputazione siciliana il 20 maggio 1911, domandando che i l governo del r e ne segua i criteri pratici nella presentazione del relativo disegno d i legge, che deve avvenire prima delle prossime vacanze estive. a) La presentazione immediata del disegno d i legge per lo aumento del sussidio chilometrico, i n misura tale da rendere effettivamente possibile all'industria privata la costruzione e lo esercizio delle strade ferrate. h) La inserzione nel disegno stesso di u n apposito articolo, col quale, tenuto conto delle peculiari condizioni della Sicilia e della necessità d i coordinare la rete ferroviaria dell'isola in modo clie risponda a l duplice intento d i sottrarre all'isolamento parte di quella regione popolosa e rendere redditizio il funzio-
namento d i tutta la rete, il governo sia autorizzato a concedere, previo parere del consiglio superiore dei LL. PP. 'tale SUSsidio anche a tronchi d i linee che non avere i caratteri contemplati nelle disposizioni di legge che regolano la concessione dei sussidi ; 3) delibera costituire u n comitato di agitazione formato dai rappresentanti dei consorzi ferroviari costituiti o in via d i co'stituzione, col duplice intento di f a r gli interessi delle linee secondo i bisogni delle diverse popolazioni nonchĂŠ di coordinarle per l'elenco da inserirsi nella legge; e d i tener desta e uniforme in tutta l'isola l'agitazione fino al pieno riconoscimento dei diritti della Sicilia da parte dei pubblici poteri. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 9 giugno 1911).
ANCORA SULLE FERROVIE SECONDARIE SICILIANE
Pubblichiamo' con piacere i l seguente importante documento mandato dal comitato d i agitazione per l e ferrovie secondarie ai deputati siciliani, che rileva le deficienze della legge proposta, e richiama l'attenzione della Sicilia sull'importante questione. Questo d w u m e n t o è stato pubblicato dal Corriere di Sicilia d i Palermo, dal Corriere d i Catania, dalla Gazzetta d i Messina, e ha riscosso i l plauso d i molti comuni interessati. C h e i deputati sappiano fare il loro dovere questo vuole la Sicilia unita e compatta.
La Croce Onorevole Sig. Deputato,
A n o m e del comitato d i agitazione per l e ferrovie secondarie siciliane, m i onoro farle tenere la copia della lettera inviata ieri a l l ' ~ n .E . Pantano, presidente della commissione parlamentare e relatore del disegno d i legge sulle ferrovie secondarie. I n tale lettera sono riassunti e discussi i voti del comitato d i agitazione, espressile con il telegramma del 19 spirante m e s e ;
voti che n o n possono n o n mantenersi, anche d i fronte alle concessioni fatte dal governo alla commissione eletta dagli u t i c i i e ai miglioramenti arrecativi dal relatore. Nel richiamare l'attenzione della S . V . ill.ma sul disegno d i Legge, già presentato alla camera, il cornitulo d i agitazione conta sull'azione energica della deputazione siciliana, perclré alnreno durante la discussione si arrivi ad ottenere quello c h e è il m i n i m o indispensabile per gl'interessi siciliani, sia riguardo la sovvenzione chilometrica, sia riguardo i l numero dei chilometri sussidiabili. Accetti, on. Signore, i sensi della più deferente stima del comitato d i agitazione. L. Sturzo ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 9 luglio 1911).
AMMINISTRAZIONE E . POLITICA Una delle tesi sostenute dai partiti giovani e moderni, specialmente nei riguardi del mezzogiorno, è stata quella della distinzione dei partiti politici dai partiti amministrativi, e lo studio d i mantenerli, per quanto è possibile, indipendenti l'uno dall'altro. A tale risultato si è arrivati nelle grandi città del continente, e anche in comuni secondari; dove la ripercussione del deputato e del governo nello svolgimento degli interessi comunali è meno locale, generale e più libera. I1 risultato è tutto a vantaggio dei comuni, la cui attività noil è subordinata a scopi politici, e ove l'ingerenza d i elementi secondari e indiretti nella retta amministrazione degli affari è d i molto attenuata, e potrebbe anzi dirsi che in certe parti noil esista. No11 così in moltissima parte d'Italia, specialmente nel mezzogiorno e nella Sicilia; dove l'educazione dei partiti è meno svolta; la passione politica copre molti interessi economici; e la vita amministrativa incentra gran parte delle attivit.à locali.
Di ciò si son fatti forti tutti i governi, che hanno avuto nei deputati del mezzogiorno la massa degli ascari; i ministeriali di ogni ministero conniventi allo sfruttamento delle coscienze del popolo. Onde quella catena p e r l a quale i deputati servono i ministri alla camera, e questi, a mezzo degli organi governativi asserviscono ai deputati le amministrazioni locali. E a tal punto è giunto questo stato di oppressione, che sono gli stessi partiti politici ad invocare l'intervento governativo, perché penetri nelle amministrazioni locali e avvantaggi con atti arbitrari il tale o il tal altro. A rompere tale catena, quei pochi idealisti che ancora sognano il rifacimento dei partiti politici nel mezzogiorno, invocano lo scutinio di lista a larga base e con rappresentanza delle minoranze. Cesserebbe la localizzazione dei partiti; si attenuerebbe il legame della vita politica con quella amministrativa; si darebbe alle minoranze il diritto di rappresentanza senza arrivare con mezzi violenti o scorretti a sostituirsi alle legittime maggioranze. Ma ciò è ancora u n sogno per noi, che abbiamo i l suffragi? universale senza il correttivo delle correnti ideali dei program. mi e dei partiti. Tutto ciò ci viene a mente, nell'esame dell'atteggiamento che parecchi vanno prendendo in Caltagirone riguardo la locale situazione politica, e che avrà la soluzione il giorno delle elezioni generali. Dal giorno che i nostri amici ebbero l'amministrazione comunale (1905) otto anni or sono, u n distacco si notò subito tra la vita politica e la vita amministrativa nel comune. P e r posizione di partiti e per volontà d i uomini si volle fare l'esperimento di quel che si fa in molte città clel continente, come manifestazione d i maturità del corpo elettorale. E in ciò fin dal 1905 si fu secondati dall'antico partito liberale che cedeva le armi. e dal nucleo dettosi radicale che prendeva la minoranza. Infatti, le lotte amministrative combattute d'allora a d oggi (1908 e 1910) ebbero la caratteristica di rimanere nel campo amministrativo; la elezione politica del 1907 non ebbe alcuna ripercussione nel campo amministrativo.
Ciò ha dato luogo a un periodo di lavoro intenso nella nostra vita municipale; della quale non discutiamo oggi i criteri ( l o faremo altra volta); ma non si può non riconoscere l'opera di ricostruzione dei servizi, l'attuazione di molti progetti, lo svolgimento di notevoli attività. La qual cosa sarebbe stata impossibile, se nella riunione dei due interessi disparati e non d i rado in conflitto (amministrazione e politica) si fossero rinnovate le lotte che dal 1889 al 1905 resero per circa sedici anni paralizzata ogni attiviti di vita cittadina, attraverso commissari regi e prefettizi. scioglimenti e ricomposizione d i consigli, impasti di giunte, cadute d i amministrazioni, in u n vorticoso crescendo che mai diede agli amministratori la calma p e r lo studio dei problemi cittadini, e il tempo p e r svolgere il programma concreto, sia pure limitato e parziale. A ciò si deve aggiungere u n altro coefficiente. Supposto che nella maggior parte dei casi i l partito all'amministrazione è quello del deputato ed è appoggiato dal governo, in u n comune come quello d i Caltagirone che vive d i rendita e non d i tasse, gli appetiti sono stati sempre formidabili. E la veste politica e la ragione d i parte influiscono assai contro i1 desiderio legittimo degli amministratori di tutelare i l pubblico denaro. I n u n momento d i sincerità incosciente diversi elettori sollevano i loro clamori contro l'attuale amministrazione: e chi ricorda che è stato preso i n contravvenzione; chi non dimentica d i avere avuta qualche negativa a desideri anche illegali; chi si lagna di punizioni, chi di denegata pensione, chi di insoddisfatto desiderio d i posto, chi d i una lite, e così via. Che cosa rappresenta tutto ciò, se non l'illegittimo parassitismo politico annidato nelle pieghe delle vesti comunali, p e r la soddisfazione o l'interesse personale? Vada l'uomo politico al potere e senta i l ricatto dei voti che tali elettori gli faranno, quando egli è costretto o da leggi o da regolamenti o d a moralità, o da buon criterio amministrativo, a quella sfilata di no che corrispondono a tanti voti perd u t i e a tante inimicizie create; e poi veda se risponda agli interessi della vita politica, che dovrebbe avere u n programma e u n contenuto ideale, e agli interessi quotidiani della vita am-
ministrativa, che risponde ai bisogni dei cittadini i n complesso e non ai desideri dell'elettore in singolo, e giudichi quale nella sua coscienza possa avere preponderanza. Ecco perché anche oggi noi siamo per la separazione d i beni e persona del partito politico da quello amministrativo. La lotta prossima si affermi sul programma politico dei candidati siano liberali, radicali, socialisti o cattolici; e sulle qualità clel rappresentante di u n collegio p e r l e sorti morali ed economiche del collegio stesso, da tutelarsi in parlamento; la lotta amministrativa la faremo sul programma comunale, e allora parleremo di questioni locali, d i bilanci di spese, di progetti e di servizi municipali, e faremo la storia del passato e il programma del futuro. Confondere i due termini, è far tornare Caltagirone indietro d i molti anni, inficiare l a vita comunale di elementi estranei, spostare i termini d i lotta, e creare il confusionismo e il parassitismo politico nella vita amministrativa. Loico ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 13 aprile 1913).
DISCORSO AL CONGRESSO D E I SINDACI E DELLA K TOMMASEO » A GIRGENTI Sono lieto portare in questa assemblea il saluto solidale del17Associazione dei comuni italiani, che mi onoro rappresentare, e che da sedici anni, vigile e costante, previene e sostiene tutte le legittime aspirazioni della vita comunale, e persegue, senza che la fiducia sia mai venuta meno, l'ideale delle libertà e delle autonomie comunali, come uno dei progressi che la nostra patria deve raggiungere. In mezzo a molti insegnamenti che la grande guerra ci h a dato, e che noi clovremmo utilmente seguire, riprende il suo vero posto il senso di una responsabilità che trascende l e vecchie formule burocratiche, che fissano sulla carta i l regno del bene e clel male, e chiama l'individuo investito di pubblici poteri al
cospetto dell'anima popolare che lo giudica da per sé senza il visto del prefetto né l'approvazione della giunta provinciale amministrativa. E oggi si sente meglio che prima, nella ressa dei provvedimenti annonari, nelle urgenti disposizioni finanziarie, nella semplificazione d i piccole formalità inutili, assillanti la vita comunale, come noiose mosche d'estate; oggi si sente più che mai che tra l'amministrazione e la realtà vi erano, vi sono ancora purtroppo delle piccole e delle grandi barriere che è necessità abbattere. Perché noi italiani che oggi combattiamo per la nostra virilità politica e d economica, oggi sentiamo che intellettualmente e d economicamente eravamo tributari all'estero, ma sentiamo anche che tutta la vita centralizzata negli organi statali, provinciale e comunalì, si sciupava nell'attrito delle molteplici ed inutili ruote, e nella lotta per superare e vincere la resistenza degli arrugginiti ingranaggi. I1 programma della autonomia comunale non nega l'esistenza degli ingranaggi stessi: pretende che siano ridotti a quel minimo che possa soddisfare alle esigenze d i una supremazia statale che non si nega, ma che, invece di poggiare come tutta la vita burocratica italiana sul valore dei controlli, poggi sul senso e sul principio d i responsabilità, che venga come naturale portato della libertà dei comuni e della vita popolare che vi si incentra. Oggi noi guardiamo la vita dei comuni attraverso l'ora tragica che incombe, e bisogna affermare con orgoglio che tutte le amministrazioni comunali di qualsiasi colore e parte; d i fronte alle esigenze impellenti della vita cittadina, d i fronte allo sforzo sereno della resistenza interna sono state e sono, vigili e costanti, al posto d i onore e di combattimento ( l o chiamo così) poggiando sulle risorse della vita locale: affrontando responsabilità legali, morali ed economiche: superando barriere regolamentari e più che altro difficoltà reali d i ogni genere, perché la vita nel comune si svolga normale, l e popolazioni siano tranquille, il morale sollevato; e attraverso i dolori e le angoscie si mantenga la fiducia intera e completa nell'avvenire della patria. Pensare a questo avvenire, ai provvedimenti atti a mettere
'l i n valore let intiere risorse della vita comunale che h a l e sue radici profonde nell'anima italiana, nella sua genialità, nel senso di personalità mai estinto, nella tradizione, nella storia locale e generale, in tutto lo sviluppo vario e complesso della nostra terra, della nostra razza, della nostra gente; è dovere d i quanti oggi pensano che dopo l a lotta delle armi vi sarà l a lotta della pace, p e r la riconquista della nostra posizione morale, economica nel mondo. E noi siciliani, che abbiamo problemi così vari e così complessi, e che fin oggi non abbiamo sfruttato tutte le energie che ci dà la nostra terra, e quelle altre energie ancora maggiori che troviamo nella profondità dell'animo nostro; noi che abbiamo l'onore e l'orgoglio del valore dei nostri fantaccini e dei nostri bersaglieri forti e audaci, noi dobbiamo da' noi stessi volere e pur noi stessi imporre alla pubblica opinione il nostro problema siciliano, e da noi stessi preparare la soluzione e affermarla. Con questi criteri, mentre plaudo alla iniziativa del municipio di Girgenti, e auguro a questo convegno lavori pratici.'e affermazioni vitali, confermo che l'Associazione dei comutii sarà lieta di cooperare come sempre alla soluzione dei problemi di tutta la vita comunale italiana. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 18 febbraio 1917).
I PROBLEMI DELLA PROPRIETÀ TERRIERA I1 discorso dell'on. Drago e i l voto del congresso dei socialisti riformisti sulla statizzazione della proprietà terriera o sul comunismo agrario, è sembrato come una squilla che richiama i sonnolenti borghesi all'esame della rea1t.à del problema agrario. Con forma più modesta e con senso più realistico il congresso dei sindaci siciliani tenuto a Girgenti il 6-7 gennaio scorso votava u n ordine del giorno sulla questione agraria e il latifondo, che riporto interamente per comodità dei lettori benché pubblicato in quasi tutti i giornali quotidiani d i ogni colore.
roso e necessario affrontare oggi, pel dopo guerra, i l problema agrario della colonizzazione interna della Sicilia, avviando ad una soluzione organica la questione del latifondo sia con misure che rendano possibile la trasformazione della grande coltura granaria e armentizia, là dove non è né possibile né utile i l frazionamento; sia creando l'istituto dell'enfiteusi speciale p e r quei latifondi che possano utilmente quotizzarsi e trasformarsi a cultura intensiva; sia agevolando i contratti d'affittauza a Iirnghe scadenze. Tali provvedimenti debbono essere razionalmente coordinati con altri che rendano possibile lo sviluppo della cultura agraria, come bonifiche, rimboschimenti, corsi d'acqua, serbatoi, viabilità vicinale, sistemazione d i trazzere, lotta contro la mal a r i a ; valorizzando a l massimo grado la potenzialità dell'agricoltura e cerealicoltura siciliana D. Quest'ordine del giorno fu presentato da me e dal sindaco di Palermo a Boselli, Orlando e Raineri, facendo vive raccomandazioni perché i l governo volesse ora, e non dopo e tardivamente, occuparsi del grave problema, che oggi più che ieri, e domani più che oggi premerà sull'agricoltura del mezzogiorno e della Sicilia. Non so quali provvedimenti prenderanno i ministri competenti; ma la nuova voce dei socialisti riformisti che viene a dare al problema agrario italiano un carattere socialistico e comunistico farà pensare ai borghesi sonnolenti, che non è questa l'ora di fare solo decreti per l a carta dei giornali o p e r il consumo delle fave fresche; ma di preparare quei provvedimenti d i legislazione agraria che valgano a risolvere vecchi problemi, ad affrontare nuove situazioni e a trasformare in senso più sociale ( e non socialista) i l diritto di proprietà privata. È vero che le trasformazioni agrarie procedono lente i n ogni epoca; però basta u n primo inizio per avviare una larga trasformazione. Dico i n senso sociale non socialista perclié molte idee espresse dall'on. Drago non sono monopolio suo e del suo partito; e la vernice socialista messa a molte idee borghesi (chiamiamole così) fanno trasparire l'equivoco fondamentale in cui si aggira.
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Egli an itutto accennò alla espropriazione generale del sotto suolo. Non 'è una novità socialista che il sottosuolo sia O possa \ essere demanio dello stato. Le diverse regioni italiane seguono in ciò le antiche legislazioni dei singoli stati, che hanno fondamento storico e giuridico nelle condizioni di fatto d i ogni singola regione, nella diversità di produzione di cave e miniere, importanza, natura e qualità delle materie che vengono estratte; in tutto un complesso di fattori determinati e concretizzati dagli usi e dalle necessità. I1 monopolio statale, o la semplice demanialità del sottosuolo, involge un problema finanziario e tecnico più che u n vero problema sociale. Va studiato senza esagerazione e senza illusioni soverchie. Lasciamolo lì, come una frase perduta nel mare delle parole clell'ordine del giorno Drago, e passiamo alla questione della proprietà agraria. I socialisti riformisti pensano per mezzo dell'on. Drago al seguente congegno della socializzazione della terra: « espropriazione generale del soprassuolo e limite della proprietà privata secondo determinati criteri; conduzione collettiva a mezzo di comunità agrarie: e con questo fare sbocciare il bene di fa> miglia ». ( !). Veramente, non ostante l'intervista pubblicata nel Giornale d'ltalia, l'on. Drago non ha spiegato come possano stare insieme l'espropriazione generale della terra e il limite della proprietà privata per esempio a 200 ettari come egli afferma; - e come si possa osservare una coltivazione intensiva a mezzo di comunità agrarie, e come da esse possa derivare il bene di famiglia. È tutto un acrobatismo agrario ad uso e consumo del socialismo, che deve concedere qualche cosa al suo vieto fondamento comunistico, e che riesuma dal medio evo le comunità agrarie e il dominio collettivo, come un portato del nuovo verbo riformista. E poiché si deve domandare alla terra il maggior redditg possibile. così è stata buttata nell'intervista anche l'idea del bene di famiglia, che è un'idea da conservatori e da agrari sociali e non da socialisti che negano la proprietà privata e vogliono l'espropriazione generale invocata dallo stesso Drago com e fondamento della sua riforma.
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Tutto questo congegno illogico e antitecnico evidentemente / non può servire che 3 fare u n po' di politichetta agraria a buon / mercato; non mai ad affrontare il problema agrario in Italia, che è molto grave. Anzitutto è u n problema d i produzione ; ed è contemporaneamente problema d i distribuzione d i ricchezza. L'agricoltura non produce come e quanto dovrebbe non solo perché la terra è tecnicamente mal coltivata nella gran parte (lasciamo fuori l'altro pregiudizio delle così dette terre incolte), ma anche perché manca di molti fattori anche legislativi per la maggiore produzione. Anzitutto è da deplorarsi l'assenteismo d i molti proprietari che non vivono della terra e sulla t e r r a ; essi hanno una funzione sociale che non sanno compiere; essi debbono sentire in forma collettiva il loro dovere, perché la maggior produzione è dovere morale e sociale e anche oggi più che ieri dovere patriottico. Sia perciò il proprietario costretto da leggi dirette e indirette a badare al proprio fondo e ai propri poderi; e sia obbligato a concorrere largamente alle migliorie di carattere generale quali strade, sistemazioni in casi d'urgenza e dei bacini montani, lotta contro la malaria, rimboschimenti e simili. Si tratta di u n sempre antico e sempre nuovo programma di politica agraria, che h a subito tutti i ritardi, tutte le indecisioni, tutte le inutilità della nostra burocrazia, sperduto nei suoi piani generali, nelle commissioni e sottocommissioni, nelle interferenze tra ministero dell'agricoltura e quello dei lavori pubblici; sciupata ogni buona idea in stanziamenti tisicucci e ridicoli; in tentativi teorici, in classifiche e revisioni. d i classifiche che formano nel loro complesso il magro compendio di venti anni passati da congressi ad ordini del giorno e da ordini del giorno a congressi. Attuare questo programma con larghezza di vedute, mezzi sufficienti, continuità d'azione, è dovere dello stato e dei proprietari insieme, e non dello stato solo; ecco u n punto d i partenza notevole e una veduta di programma da esporsi chiaramente dagli agrari sociali. Perché (ecco i l gran punto di differenza) è bene affermarlo, la grande proprietà terriera ha la sua
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alta funzione sociale e pxoduttiva; e risponde a condizioni di \ fatto che non,possono essere superate senza danno della produzione stessa. Tale grande proprietà sarà contenuta nelle zone che tecnicamente e demograficamente l a esigono, sarà corretta da vincoli, sarà spinta al più alto grado di produttività ma non può essere distrutta nello stesso interesse dell'agricoltura se non vogliono isterilirsi i campi. L'Italia ha come principale cultura i cereali, e deve aumentare e migliorare la industria armentizia; queste due colture possono avere il più largo sviluppo nella grande distesa dei campi, messi con criteri moderni, molte vie, molte macchine, molti armenti, grandi impianti, case rurali importanti, possibiliti di corsi d'acqua per irrigazione, rimboschimento delle zone montane, tutto un programma di largo impiego di capitali. Avvicinare la popolazione alla terra e combattere l'urbanesimo è il programma specialmente meridionale; ma si crede forse che sia u n capriccio storico del meridione il grande agglomerato rurale e le campagne deserte' di abitati, o non sia invece un prodotto di fattori non solo etnici e sociali, ma anche di abitabilità e di cultura? Ecco perché accanto alla grande prop'rietà terriera e alla grande coltivazione dei cereali e all'allevamento degli armenti, devesi curare di dare la terra ai contadini, quella che essi potranno mano mano abitare e coltivare direttamente. Non tutte le zone attorno agli abitati di Sicilia e del mezzogiorno sono costituite da piccole proprietà; in molti nostri paesi il latifondo opprime; e quindi manca la piccola e la media proprietà che mano mano viene abitata e coltivata con migliore cura, e trasformata direttamente dal contadino proprietario. È quindi uno dei lati del problema poter arrivare alla divisione di quel latifondo che aduggia l'abitato, e che potrà essere coltivato intensivamente lasciando le zone da rimboschire come demanio forestale o come parte vincolata della proprietà stessa secondo i casi. Nella discussione fatta al congresso dei sindaci a Girgenti, si fece un accenno alla divisione della zona che circonda i paesi siciliani per un raggio di cinque o sei chilometri, e s'invocò
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l'istituto dell'enfiteusi speciale e perpetua come uno dei mezzi più adatti a garantire l'esito della proposta stessa. E qui sorge una larga discussione sull'esito/delle vecchie quotizzazioni dei demani comunali, le quali non sarebbero riuscite che a fàr costituire in parte proprietà più vaste e rendere meno redditizie larghe zone di terreno, prima tenute in USO collettivo dalle popolazioni. Molti errori si fecero nelle quotizzazioni dei demani comunali, che oramai si possono dire superati nell'assestamento che ne è rrgiiito aiitomoticamente, c i n l a ferrea legge del più forte, nel contrasto dei valori umani e sociali. Però l'esperienza del passato deve servire a insegnarci di evitare gli errori fatti, benché non sarà facile evitare ogni errore in provvedimenti di simile natura. Errore fu il quoziente terreni lontani dall'abitato ove non è stato possibile creare abitati vicini e spostare la popolazione ove dominava e domina la malaria; errore fu assegnare ~ i c c o l e quote, sparute unità agrarie non sufficienti a dare mezzi di vita alla famiglia agricola, che ha dovuto altrove trovar lavoro; errore fu dare la terra senza i mezzi di coltivarla; e così via. Occorre invece costituire la piccola proprietà su salde basi; e tendere alla formazione del bene di famiglia come altre nazioni han già fatto con grandissimo risultato per la produzione agraria e per lo sviluppo dei centri agricoli. Un programma perciò largo e complesso, che riassunto nel citato ordine del giorno d i Girgenti, deve servire come base d i una riforma agraria fra le più importanti che abbia tentato fin oggi lo stato italiano. È il momento? - Si; senza bisogno di fare il solito pistolotto, è necessario avviare l'agricoltura (dico avvivare perché non credo alle bacchette magiche) ad una trasformazione lenta, e sicura, per avere una produzione adeguata ai nostri bisogni, e perché possa superare la pressione tributaria e la grave crisi che vi sarà in seguito. È il momento, purché la mano d'opera non emigri. E allora bisogna affrontare la spesa necessaria da parte dello stato per la così detta colonizzazione interna; che non si fa in u n giorno o in un'ora, ma che occorre incominciare con provvedimenti
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finanziari, con leggi socia1i.e agrarie, con sicurezza d'intuito e \ larghezza d i yedute. E lasciamo l e inutili declamazioni sulla espropriazione del sottosuolo e del soprassuolo, le fantastiche combinazioni della terra sociale con la proprietà privata limitata a 200 ettari, e la conseguente creazione burocratica mastodontica p e r la produzione degl'impiegati e dei capi-lega, invece dei cereali, e della coltivazione delle pratiche da emarginare e dei comizi da presiedere invece degli ulivi e delle viti! ( L o Croce di Costrintino, Caltagirone, 13 maggio 1917).
IL COMUNE (*) Nessuno h a diritto a meravigliarsi che nei paesi democratici, e per di più in u n periodo d i lotta serrata contro il comunismo, l e elezioni amministrative si ((politicizzino ». Anche ai miei tempi era così; e quando p e r la prima volta m i presentai agli elettori sotto la bandiera della democrazia cristiana )) (1899), fece scandalo; ma il substrato politico dava la spinta alla battaglia. F i n da quel giorno feci u n patto: niente favoritismi, niente sperperi, niente privilegi di classi alte o basse; buona amministrazione. Che insieme a i miei amici fedeli abbia io mantenuto il patto da consigliere, da commissario, da sindaco, è cosa nota. Che abbia trasportato lo stesso metodo al consiglio provinciale, rimanendo p e r quindici anni all'opposizione più vivace e dura, anche ciò è noto. Che abbia sostenuto per venti anni, nei congressi e nel consiglio dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, i postulati dell'autonomia locale insieme alla più efficiente e personale responsabilità amministrativa, appartiene alla storia.
(*) Introduzione al volume a I1 comune - organi e funzioni », a clira di G . Grimaldi, Roma, ed. Torre Civica, 1950.
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Ho così un certo diritto d i parlare oggi di buona amministrazione ai consiglieri, assessori e sindaci in carica e a i candidati a tali posti. La politica (dacché la lotta' è fatta da e i n nome dei partiti) servirà a fare ottenere i l numero d i seggi relativi ai partiti i n competizione; ma, entrando p e r i l portone del municipio o della provincia, la cosidetta politica (quella di basso rango e d i odor mal fido) deve rimanerne fuori; l'altra, quella dei principi nel loro riferimento al carattere d&li enti locali, entri pure e sia tenuta presente solo al fine pratico della buona amziinistrzzione. Perché, quali che siano gli orientamenti politici, i provvedimenti legislativi, l e discussioni d i parlamenti, assemblee, consigli direttivi, giunte, commissioni e simili, sono tutti ordinati a d u n unico fine: la buona amministrazione. Tutte le teorie, i discorsi, i dibattiti o sono ordinati alla esecuzione pratica, o non valgono u n fico secco. Non dico che per sé siano inutili; dico che spesso sono superflui, ingombranti, fan perdere tempo, o peggio, fan perdere la bussola, portando a compromessi dannosi. Gli eletti, dopo avere sciupato le proprie forze in riunioni, che prendono lunghe ore, molti giorni, mesi anche, anni anche, sono incapaci a provvedere all'azione pratica, che manca O ritarda, o è inadeguata. Si ha così il massimo sforzo e il minimo risultato; l'inverso della legge che dovrebbe regolare la vita pratica, come regola la buona economia. L'amministrazione dei comuni e delle provincie è certo basata su principi, leggi, criteri, orientamenti che formano una tradizione notevole i n Italia; però raccomanderei ai legislatori d i fare meno leggi e meno regolamenti e dare più libertà ai comuni e alle provincie, con una più netta e chiara responsabilità, anche contabile e penale, agli amministratori che violano la legge e che dissipano i denari del pubblico. Ho dovuto constatare che non pochi comuni, specie nel mezzogiorno e delle isole, non hanno applicato tutte l e imposte, tasse, sovracontribuzioni che le leggi autorizzano; p e r cui tirano avanti senza sufficienti entrate, sono oberati d i debiti; il personale non è regolarmente pagato; non si hanno mezzi adeguati per strade, fognature, edifici scolastici, servizi igienici. T a l i comuni sono in partenza male amministrati.
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I consigli comunali che non hanno il coraggio di mettere tasse, è meglio che vengano sciolti. È vero che i prefetti possono inviare commissari a fare quel che i consigli e le giunte non fanno. Ma qui entra la politica, quella cattiva, quella della peggiore tradizione italiana, quando i prefetti intervenivano se deputati o ministri lo richiedevano, e dovevano chiudere un occhio, o anche due, verso gli amici e vedere il contrario se erano « al potere » ( si diceva « al potere ») gli antiministeriali. I comuni debbono avere entrate adeguate; è stata testé varata la legge sulle finanze locali: legge incompleta e insufficiente, sia p u r e ; ma tale da recare una prima sistemazione alle finanze locali dissestate dalle crisi della guerra e del dopo guerra, dai carichi statali e dalle spese accresciute p e r il personale, quasi dappertutto esuberante e perciò a costo sproporzionato. Fino a che non sono sistemate le finanze locali, l'intervento statale per spese nuove o p e r i deficit diventa normale; s'impone: ma è u n rimedio questo del tutto passeggero e p e r sua natura controproducente. Gli amministratori si abituano a chied e r e ; e protestano se lo stato non dà, o dà poco, o tarda a pagare, e perfino se controlla le spese e rende difficile la stessa vita locale. P e r amministrare bene occorrono diverse virtù negli amministratori. Non farsi pigliare la mano dalla burocrazia locale; rispettarla, ma fare rispettare gli orari, il servizio e i l pubblico. Nulla domandare agli impiegati che non sia secondo legge; non servirsene per fare u n favoritismo o p e r evadere le disposizioni legislative o regolamentari; mantenere con loro la regolarità e l'equità per le scelte e l e promozioni. 11 contatto con i cittadini, specie i meno favoriti e i più bisognosi, deve essere costante, premuroso, giusto. P e r il sindaco e gli assessori, i cittadini debbono essere tutti eguali nel rispetto dei diritti, tutti eguali nel far loro osservare i doveri civici. I1 denaro pubblico sia sacro: è invalso l'uso d i amministrare con una certa larghezza, direi con molta larghezza, senza avei l coraggio d i mettere fuori della porta i parassiti, i ricattatori, i mediatori, i trafficanti. Ciò può darsi che crei risentimenti per-
/ /' sonali, ma crea anche la soddisfazione del pubbIico. Se i cittadini che vi h a n dato i voti non sono liberati dalla genia dei profittatori, a che giova avervi mandato al palazzo comunale? Se l'appaltatore della nettezza urbana non tiene pulite le strade, o se quello della manutenzione degli acquedotti vi fa mancare l'acqua, forse chiudete u n occhio? E se le strade sono trascurate, forse non sentite i reclami del pubblico? È pesante l'amministrazione d i u n comune, se ciascuno deve f a r e il proprio dovere: curare opere di assistenza sociale e .farne di nuove; costruire czse, rinnovare strade, cnnrdinare servizi, tenere testa a tutti coloro che si intrufolano p e r avvantaggiarsene personalmente, a tutti coloro che pretendono posti ampliando i ruoli impiegatizi con l'idea che tanto due milioni o cento milioni d i maggiore defiicit nei bilanci non è poi u n gran male! La cura di amministrare il denaro altrui, che è denaro di tutti, deve essere superiore a quella di amministrare i l denaro p r o p r i o ; p e r quanto anche l'amministrazione del denaro proprio imponga dei doveri verso se stessi e verso la famiglia e anche verso la società, e vi è maggiore libertà e minore responsabilità nel disporne, che non sia l'amministrazione d i u n ente pubblico che esige rispetto delle leggi e dei regolamenti, accuratezza e senso d i misura. Solo con la buona ammioistrazione il popolo potrà ricevere tutti i vantaggi d i una sana politica, di una intelligente legislazione e anche della stessa attività dei partiti, quando non sono demagogici e rivoluzionari; invece, per la cattiva amministrazione o per la trascurata o poco intelligente amministrazione, la società va alla malora, anche quando avesse per dirigenti statisti d i altissimo valore, politici ,abilissimi, quando i1 parlamento facesse leggi progressive ed impeccabili, quando i partiti avessero programmi e piani modernissimi, e l e casse fossero piene di miliardi. T u t t a la vita umana è diretta all'azione; tutte l e teorie si risolvono nella pratica; tutte l e leggi sono fatte p e r la esecuzione; tutti i regolamenti (troppi, troppi) sono p e r la realtà immediata; la società si articola nei comuni, perché nei comuni, nelle frazioni e borgate viviamo noi uomini, che poi
formiamo il complesso delle provincie e regioni e dello stato; forme organiche e giuridiche queste, che sarebbero vane e inutili senza gli agglomerati comunali dove circola la vita simboleggiata nella torre civica con accanto i l campanile.
L'ENTE REGIONE (*) Esistono e già funzionano quattro delle cinque regioni a statuto speciale, e, se le discussioni parlamentari sul sistema da applicarsì alle prossime elezioni comunali, provinciali e regionali non subiranno altri rinvii, sembra probabile che nel 1951 si arriverà alla costituzione 'delle altre quindici regioni. I1 pubblico non è, i n generale, molto edotto della portata del titolo V della costituzione; e, dopo averne letto i passionali attacchi sulla stampa quotidiana, si sarà probabilmente formata l'idea che il nuovo ente sia superfluo alla organizzazione amministrativa del paese e quale intruso i n quella politico-istituzionale. Nel presente volume non si polemizza su questi due punti capitali; si parte dal fatto che la regione è un istituto costituzionale, e, delineandone i contorni giuridici e amministrativi, si toglie quell'alone d i nebbia che, nella £antasia d i molti, ne h a alterata la figura. Mentre l e regioni a statuto speciale hanno già una legislazione istituzionale ben definita, le regioni a tipo comune, quelle da costituirsi, attendono tre leggi, volute dalla costituzione stessa, senza le quali ne sarà impossibile il funzionamento: la elettorale (art. 122), la normativa e, se del caso, attributiva d i funzioni ( a r t . 117, 118), e la finanziaria ( a r t . 119). Qui siamo i n materia de lege condenda; fin qui oggi i vari disegni cli legge proposti dal governo non hanno avuto fortuna; quel che è più grave, non essendo stati precisati i limiti delle (*) Prefazione al volume « L'ente regione n, di Gerardo Coppa, Napoli, Pironti, 1950.
competenze delle regioni nelle materie stabilite all'art. 117 della costituzione, è mancata la valutazione degli oneri cui corrispondere u n attivo derivante dalle imposte e tasse da attribuire a tali regioni. I l ritardo a legiferare in materia può causare il rimando se non della costituzione delle suddette quindici regioni, certo del regolare funzionamento. Di ciò si sono resi conto i membri della prima commissione della camera che lianno elaborato un nuovo testo il cui esame è già posto all'ordine del giorno della camera in regolare assemblea per quegli ariiculi per i quali fu riservata ogni decisione. Sembra, pertanto, che la macchina legislativa si metterà finalmente in moto, e che, salvo incagli imprevedibili, si arriverà nel 1951 ad avere definita tutta la materia rimasta in sospeso. È, del resto, nella tradizione del parlamento italiano, dal
risorgimento ad oggi, portare avanti lentamente e fra non lievi difficolti, sia procedurali sia di merito, le riforme amministrative. I n u n secolo di storia unitaria, è mancata sempre la cliiara visione delle autonomie locali e della necessità della cooperazione civica per una migliore articolazione dello stato centralizzato. Le diffidenze verso un libero sviluppo della vita locale non sono mai cessate. Ne sono prova le ventennali campagne di prima del fascismo fatte sia dall'Associazione nazionale dei comuni sia dall'unione delle provincie; battaglie clie sono state oggi lentamente riprese in regime repubblicano, perché rimangono ancora i residui di accentramento statale e di antiautonomismo del regime caduto, e i pregiudizi liberali della tradizione risorgimentale.
A rompere la cerchia del vincolismo statale nella vita locale e ad attenuare l'accentramento burocratico sempre crescente, fu ripresa e sviluppata, appena finita la guerra, l'idea della regione alla quale tutti i partiti dei comitati di liberazione, meno i socialisti italiani, diedero il loro più largo appoggi o. La costituzione stessa riflette i primi timori, secondo me infondati, di un particolarismo disgregante ed un autoiiomismo
antiunitario (*). Questi timori han fatto ritardare le leggi d i esecuzione p e r quindici regioni non ancora costituite. Ma, se è a credere che oggi parlamento e governo siano disposti ad eseguire questa parte della costituzione, sarà bene che i cittadini si rendano conto dei nuovi diritti e doveri che li riguardano.
( e ) A queste due obiezioni Sturzo accennava con limpidi tocchi in una lettera inviata al prof. Carlo Bozzi, presidente dell'Istituto per gli studi giuridici e politici sulla regione costituito a Palermo, lettera che ci piace ripubblicare : Ill.mo professore, Lei sa bene che le mie condizioni di salute non mi permettono di esser presente alla prima assemblea dell'Istituto di studi giuridici e politici sulla regione. Me ne duole per m e ; del resto non credo che altro titolo potrei avere a sedere in consesso accademico che quello d i esserne stato modestamente un promotore. Il motivo, direi occasionale, che me ne fece sorgere l'idea fu dato dalla insistenza della polemica giornalistica e politica si11 tema che la regione potesse scuotere la saldezza unitaria dello stato italiano. Un istituto di studi su base scientifica, tenuto al di sopra della polemica passionale, che nel dibattito di idee e nell'approfondimento di tesi contrastanti segua l'evolversi dinamico della regione e ne precisi i contorni giuridici e le finalità amministrative e politiche, è quanto di più solido e d i più rassicurante potrebbe porsi agli studi e ai dibattiti scientifici; e la libera opinabilità non ha altro fine che la ricerca della verità. Quale pii1 alta garanzia di quella che potrà dare un simile Istituto alla nascente regione? Questa, tra polemiche e incertezze giuridiche e l e non dissipate diffidenze politiche, va facendo la sua prima esperienza nella rinata libertà italiana. Fin oggi solo qriattro delle regioni a statuto speciale sono già costituite ed operanti; e tutte e quattro, a mio modesto avviso, hanno dato prova di serietà fattiva e di valida cooperazione alla rinascita del paese. L'obiezione di particolarismo che si è affacciata da parecchi può dirsi dissipata dai fatti, non ostante le difficoltà che la burocrazia centrale ha frapposte alla più rapida attuazione delle relative norme statuarie e delle pratiche soluzioni dei problemi che vanno sorgendo. L'altra obiezione, quella di un inclinamento federalista. deve dirsi del tutto inesistente p e r iin dato fondamentale, che alla base di qualsiasi federalismo sta una volontà popolare sovrana (tanto nella forma storica del cantone svizzero che nella forma originaria dello stato come sovranamente distinta dalla volontà unitaria nazionale). C'è stata, nelle quattro regioni già rostitiiite, una opinione ~ u h b l i c a
perché l a regione risponda ai fini per i quali viene creata: cooperazione civica libera e autonoma nel quadro dello stato; decentramento statale per dare responsabilità alla vita locale; educazione amministrativa e legislativa nel campo degli interessi specifici d i ogni singola regione, coordinando insieme le attività e le responsabilità delle provincie e dei comuni nella stessa regione. Solo così potrà articolarsi la macchina statale, che oggi è affidata ad una burocrazia regolamentarista e diffidente, tarda e ingombrante. Roma, 5 novembre 1950.
CONSIGLIERI, ASSESSORI, SINDACI .
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I1 ricordo dei venti anni di mia attività come consigliere comunale e sindaco d i Caltagirone, esattamente pro sindaco ( p e r quindici anni Caltagirone non ebbe u n sindaco essendo che
regianalista che si è anche pronunziata in forme di libera iniziativa popolare e concretata in consulte e consigli che hanno elaborato gli statuti vigenti. Ma ciò è avvenuto nelle forme adatte *ad un paese libero, nell'attesa della sanzione legislativa, nella più alta espressione della volontà popolare, quale que;:il dell'assemblea costituente. È la nazione che ha creato la regione legale, nientre è stato il popolo di ciascuna delle quattro regioni suddette che, moralmente e politicamente, ha dato corpo alla regione. Le ombre federaliste non esistono perché nessun federalisiuo può derivare dagli istituti creati dall'unica volontà nazionaIe espressa daIla costituente. Mi scusi Lei. illustre professore, mi scusino i suoi illustri colleghi, se h o indugiato alquanto su questo tema, ma sentivo il dovere di esporre i l motivo, direi sentimentale più che politico, che mi ha mosso a proporre a Lei ed agli altri aniici cofondatori l'idea del presente Istituto, che diverrà di sicuro lustro della scienza giuridica e della cultura italiana. Gradisca, insieme ai convenuti, i niiei orriaggi distinti e cordiali dev.mo Luigi Sturzo Roma, lì 20 ottnhre 1950.
i l prete non poteva esserlo e che nessuno dei miei collaboratori volle prenderne i l posto) mi è rimasto così impresso e vivo, che se oggi potessi a mio grado scegliere u n posto d i lavoro, tornerei a Eare i l consigliere comunale e i l sindaco d i Caltagirone. Uno dei motivi sarebbe quello di tornare ad essere il p i ù vicino possibile alla realtà vissuta, alla concretezza dei fatti, a l contatto immediato con l e popolazioni minute, con l'individuo uomo. 11 comune è un ente concreto, più che non lo sia una provincia, una regionc, lo stato. Fra i l popolo e l'autorità che amministra non vi è alcun diaframma, sia questo i l parlamento o la burocrazia, sia la distanza territoriale o le ipostasi disprezzate quali « stato », « governo », « ministero ». Spesso non si arriva ad afferrare se sotto la parola governo non ci sia che appena u n sottosegretario e sotto quella di ministero u n qualche capo o vice gabinetto o uno dei tanti delle segreterie particolari, e sotto la pomposa parola stato (ragion di stato, interesse pubblico e simili) non ci siano nascoste certe usuali consorterie affaristiche combinate con le solite commissioni affaristiche. Tutto sommato, tra popolazione cittadina e d amministrazione (tranne forse nelle grandi città) i rapporti sono all'ape,rto. E se ci sono sulla scena o dietro le quinte burocrati, affaristi e trafficanti, sono tutti individualizzabili. Tutto ciò a d u n patto: che l'amministratore sia anzitutto amministratore. Alla caduta del fascismo, dopo venti e più anni d i affarismo littorio per vantaggio di una categoria d i privilegiati, la presa d i possesso dei rappresentanti dell'esarchia, ( e di tutti i trasfughi che vi si annidarono come a casa propria) portò a dare un'impronta politica alla vita amministrativa del paese. I sei si divisero i posti come tante prebende che loro spettavano per diritto divino. La svalutazione della moneta, le difficoltà alimentari, la borsa nera scossero l'edificio economico del paese e la pubblica amministrazione subì una specie di saccheggio. Posti reali, posti fittizi, avventiziato, creazione d i nuovi enti a cavallo di quelle invenzioni fasciste finirono per portare il disastro a tutti i comuni d'Italia. Era naturale che in tale clima politico-economico l'amministratore non fosse più amministratore ma u n uomo politico, appoggiato ad u n partito, e che perciò vedesse tutti gli affari col
colore politico del proprio partito: rosso, bianco, verde, colore così così. Addio senso di responsabilità; addio rispetto dei diritti, degli individui o dei nuclei sociali; addio cura del pubblico denaro: tutto fuori tono, tranne il dominare, i l trarne profitto, i l fornrarsi una consorteria di cointeressati. Questo clima torbido e preoccupante è andato attenuandosi con le varie elezioni fatte negli ultimi tre anni: le amministrative del 1945-46; quelle per la costituente del 1946, le politiche del. .1948; ma ancora si aspetta il soffio di vento che spazzi . via l'aria malsana. LO sfogo elettorale p e r la selezione di uomini chiamati a pubblici posti è servito come precipitazione atmosferica. La turbolenza politica ha avuto una fase elettorale che è servita p e r incanalare l'arbitrio nella legalità. Ora si comincia a ragionare; ora c'è u n terzo che esige il conto; e i l terzo si chiama comune, provincia, regione, stato. Se questi quattro anni dalla liberazione di Roma a d oggi sono serviti a liquidare il passato fascista e l'avventura post-bellica, son anche serviti a ricreare la convinz i o ~ edella sana amministrazione, convinzione che dal 1922 i n poi era stata terribilmente smarrita. La democrazia cristiana oggi vittoriosa e in maggioranza nelle due camere h a anche un proprio speciale dovere nel campo comunalistico, quello di ridare il netto carattere di pubblica amministrazione, curando l'esattezza legale e contabile, il rispetto della forma che salvaguarda la sostanza, abbandonando i favoritismi personali e politici, usando obiettività verso tutti gli amministrati di qualsiasi colore o tinta. Le condiscendenze colpevoli o la chiusura degli occhi sulle malefatte dei compagni d i partito o dei dipendenti favoriti non dovrebbero essere tollerate né dai capi amministrazione, sindaci, assessori, segretari comunali, ragionieri capi, e neppure dalle sezioni del partito, che dovrebbero validamente cooperare con i loro esponenti al comune p e r ridare i l tono di serietà, moralità e dignit.à alla vita comunale. Dai villaggi e dalle città parte la vita di una nazione: i grandi politici e i grandi amministratori fanno le loro prime armi nei consigli comunali e negli assessorati de.i villaggi.
Purtroppo, siamo ancora in una falsa ambientazione, e tutti vorrebbero lasciare il natio loco Âť e divenire deputati e senatori, sottosegretari e ministri ... senza aver avuto il tempo e l'agio di conoscere l'a. b. C. della pubblica amministrazione. ( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 28
ottobre
1950).
INDICI
Prezzo al pubblico L. 6.800 M16 p e n o & mpoitM