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Cimabue e il bambino R. Piumini
Cimabue e il bambino
Per le campagne del Mugello passeggiava un giorno il pittore Cimabue, venuto a prendere il fresco, dato che in città, a Firenze, il sole dell’estate toglieva il fiato. Mentre passava accanto a un pascolo, vide su una larga pietra chiara al bordo della stradina il disegno di un albero così semplice e ben fatto da lasciarlo a bocca aperta per lo stupore. Cimabue guardò attorno, e non vide nessuno, tranne un pastorello che sorvegliava un gregge di pecore. «Non sapevo che quassù ci fosse un bravo pittore!» pensò Cimabue, e continuò la sua passeggiata. Poco più avanti, ecco un’altra pietra chiara, con il disegno di un uccello in volo così ben fatto da sembrar vero. Incuriosito, Cimabue si chinò a guardare da vicino il disegno, e annuiva lentamente con la testa. Siccome era ora di tornare, voltò il passo e riprese la strada. Il pastorello era ancora nel pascolo, e grattava la testa a un grosso cane dal pelo chiaro. Cimabue si fermò, e chiese:
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– Bambino, sai come si chiama, e dove abita, il pittore che ha fatto i disegni sulle pietre? – Vuoi dire quell’uccello lassù, e quell’albero laggiù, signore? – Proprio quelli. – Ce ne sono altri di disegni, lo sai? – disse allegramente il piccolo. – Vicino alla quercia, là sopra, c’è il disegno di un bue, e poi nel bosco, su una roccia grande, c’è quello di due caprioli! – Ah, bene! – disse Cimabue. – Ma dimmi, piccolo, dove abita il pittore che li ha disegnati? – Non c’è nessun pittore! – rispose il bambino. – E chi ha fatto i disegni, allora? – Io! Cimabue corrugò la fronte. – Non raccontarmi bugie, piccolo! – disse. – Nessun bambino sa disegnare un uccello come quello! Il bambino, senza parlare, prese un bastone dalla punta bruciacchiata che stava accanto a lui, sedette davanti a una pietra, e guardando ogni tanto una pecora che brucava lì vicino, cominciò a disegnare. Cimabue, zittissimo, lo guardava. In pochi minuti la pecora era sulla pietra: ferma, ma sembrava viva. – Qual è il tuo nome, piccolo? – disse allora Cimabue con voce commossa. – Mi chiamo Giotto, signore. – Giotto, ti piacerebbe venire a Firenze con me, e diventare pittore? – A me piacerebbe molto, signore, ma bisogna vedere se piacerebbe a mio padre! Allora Cimabue andò al paese, che si chiamava Vicchio, e cercò il padre del bambino, che si chiamava Bondone, e tanto disse che lo convinse a lasciar andare Giotto a Firenze, nella sua bottega di pittura. E Giotto andò, e imparò a disegnare non con legno bruciato, ma con olio, tempere e terre colorate, e diventò il miglior pittore del suo tempo, e di lui si parla ancora oggi.
Roberto Piumini, Storie in un fiato, Einaudi Ragazzi