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La leggenda del “pan de Toni”
Regnava in quei tempi su Milano Bernabò Visconti, famoso per le sue crudeltà. Anni terribili per i poveri lombardi, decimati dalla carestia e dalla peste. I pochi fanciulli che rimanevano erano per lo più orfani e vivevano d’elemosina come Antonio da Terzago, Toni per gli amici. Abitava in una casupola presso un convento e i frati l’avevano occupato come fornaio nella panetteria dei Rosti. Poi, a causa della carestia, il forno era stato chiuso e allora il fanciullo aveva fatto un po’ di tutto: dal garzone dell’ortolano al galoppino. Era la Vigilia di Natale e Toni, senza lavoro e senza un quattrino, si trovò con un sacchetto di castagne secche e un boccale di vino, ingredienti necessari per preparare un pestavino, grossolano ma ghiotto piatto di quei tempi. Aveva anche un po’ di farina bianca, un pezzetto di burro, un po’ di zucchero, un uovo e un cartoccino d’uva passa. Egli avrebbe mangiato il pestavino e con il resto avrebbe preparato un piccolo dolce che avrebbe poi venduto. Fuori nevicava e Toni, mentre le castagne cuocevano, preparò una pagnottella, la tagliò alla sommità con una croce poi, mentre lievitava, preparò il forno, nel quale finì per collocarla al momento opportuno. La levò che suonava la mezzanotte e mentre la posava sulla tavola si sentiva crescere l’acquolina in bocca. Com’era bella, fragrante, con quella bella crosta dorata e qualche uvetta. In quel momento bussarono e come ebbe aperto la porta, Toni si trovò davanti un bel bimbetto quasi nudo, lacero, sfinito, coperto di neve e di fango. «Per carità» disse entrando «un po’ di fuoco, sono intirizzito e ho tanta fame». «Oh, povero piccolo!» esclamò il fornaio «Vieni avanti. Stavo mettendomi a tavola». E riattizzato il fuoco, vi fece sedere accanto il fanciulletto, che aveva due meravigliosi occhi azzurri e riccioli che sembravano oro filato. La scodella di castagne che gli servì sparì in un baleno.
«Chi sei? Da dove vieni?». Un gesto vago, un balbettio indistinto poi il bimbo chiuse gli occhi, chinò il capo e s’addormentò. Quando all’alba il piccolo si svegliò e vide Toni chino su di lui sorrise e quel sorriso riempì il cuore del fornaio d’una gioia mai provata. «Hai dormito bene?». «Sì!». «Bene. Alzati e vieni a mangiare». «Ancora castagne?». «Ah, no! Ho qualcos’altro per te, un piccolo dolce». E Toni mise la sua pagnottella sulla tavola. Il fanciullo s’avvicinò alla tavola, toccò il dono dell’amico, con una delle sue rosee manine. Poi, mentre una lacrima gli brillava tra le ciglia, mormorò con dolcissima voce: «Grazie Toni, ma è troppo piccolo questo pane per il tuo grande cuore, e io desidero che la tua bontà non finisca mai come finirà questo dolce di Natale, che ogni anno farà la felicità di tanti bimbi, creando a te e alla tua città grande fama. Non dimenticarmi, Toni… sii sempre buono e generoso. Ci rivedremo». Al tocco della piccola mano la pagnottella aveva cominciato a crescere di volume, mentre la figura del bimbo si faceva sempre più luminosa, trasparente. «Gesù, Gesù mio!» gridò Toni cadendo in ginocchio. Quando si alzò, sulla tavola troneggiava un pane enorme, che spandeva all’intorno una deliziosa fragranza. Dopo un lungo esitare, Toni si decise finalmente a tagliarne una bella fetta. Come fu sazio, ne mise alcune fette in un cestello, ripose il resto nella credenza e uscì chiudendosi la porta alle spalle. Conosceva gente in peggiori condizioni delle sue e a quelle recò in dono le porzioni del dolce squisito. Quando rientrò trovò che il grosso dolce era diventato intero: non ne mancava una briciola, ne tagliò altre fette e per tutto il giorno continuò a beneficiare amici e conoscenti poveri, che lo colmavano di benedizioni. Il Natale era ormai passato, e Toni cominciò a vendere quel pan dolce, almeno a coloro che potevano pagare.
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