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Giampi il piangina M.Delpini
Giampi il piangina
È difficile spiegare perché uno si chiama Giampiero: forse perché il nome piaceva a papà e mamma, forse perché era morto un nonno che si chiamava così. Fatto sta che il nostro amico si chiamava Giampiero. È più facile spiegare perché il nome fu trasformato in Giampi: perché così sembrava più simpatico ed era più corto. Ma tutti capiscono perché di fatto lo chiamavano «Giampi il piangina» o anche semplicemente «Il piangina». Infatti fin da quando era piccolo e non sapeva ancora parlare il suo passatempo preferito era piangere. Piangeva di giorno e piangeva di notte, piangeva strillando e piangeva singhiozzando, piangeva versando lacrime e piangeva a ciglio asciutto. Papà e mamma non sapevano più che cosa fare: non riuscivano a dormire di notte per più di quattro ore di seguito, e di giorno la mamma non riusciva neppure a fare i mestieri di casa, tanto era occupata a consolare questo bambino. Già, come consolarlo? Posso assicurarvi che stava bene di salute, che era amato, coccolato, curato come un principe e non gli mancava nulla. Ma il fatto è che Giampi piangina continuava a piangere. Se vedeva una caramella la pretendeva a tutti i costi, e se non gliela davano subito si metteva a strillare in un modo che i vicini di casa pensavano che lo stessero torturando. Se passando per strada vedeva in una vetrina un giocattolo che ancora non possedeva, cominciava col dire: «Lo voglio! Lo voglio!», e finiva per piangere lacrimoni tali che perfino il vigile ne restava commosso e diceva alla mamma: «Ma non sia cattiva, glielo compri…». Quando crebbe i suoi genitori lo mandavano all’oratorio e lui ci andava volentieri e portava il suo bellissimo pallone di cuoio: così poteva far giocare chi voleva lui. E il più delle volte tornava a casa piangendo perché i suoi amici non l’avevano fatto giocare in attacco, ma, visto che era un brocco, l’avevano costretto a stare in porta.
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Insomma, Giampiero poteva accontentare tutti i suoi capricci, aveva due genitori che gli volevano un bene grande così, aveva la casa traboccante di giocattoli di ogni specie, aveva intorno gente normale, un po’ simpatica e un po’ antipatica, ma insomma gente per bene. A scuola se la cavava senza troppi problemi. E con tutto questo trovava sempre un motivo per essere scontento. Un bel giorno Giampi piangina avvertì in casa un’aria nuova:
mamma e papà confabulavano tra loro come di cose segrete, qualche volta nel pomeriggio la mamma, invece di fare i mestieri, se ne stava in poltrona; qualche mattina il papà non partiva per il lavoro all’orario di sempre. Insomma, stava per arrivare una sorellina. Quando nacque fu una gran festa: vennero persino gli zii del Veneto e quelli delle Puglie. La battezzarono e la chiamarono Eleonora. Il nome fu presto abbreviato in Lola e poco mancò che la sorella del Giampi piangina fosse chiamata Lola piagnona. Ma la mamma, che ora aveva molto da fare, ebbe l’idea di affidarla al Giampi: «Sta’ un po’ attento a tua sorella, che io devo cucinare…». E Giampi si metteva d’impegno, a tal punto che si dimenticava di piangere. E anzi, imparò il segreto della gioia. Siccome voleva bene a sua sorella, faceva di tutto perché fosse contenta quando la mamma gliela affidava per qualche tempo: raccontava storie, faceva versi e partecipava ai giochi idioti delle bambine piccole (certo che se l’avessero visto i suoi compagni… sarebbe diventato di tutti i colori dalla vergogna!). E perfino i suoi giocattoli, custoditi con ogni cura nei suoi armadi, venivano concessi almeno da vedere alla Lola. Quando poi fece a pezzi una vecchia automobilina del Giampi, lui, invece di diventare furioso, come ci si poteva aspettare, si mise a ridere e disse: «Vuoi sempre vedere cosa c’è dentro: finirai per fare il meccanico…». Il segreto della gioia è dunque questo: non preoccuparsi più solo di se stessi, anzi, farsi carico della gioia degli altri.
Mario Delpini, E la farfalla volò. 52 storie sorprendenti, Àncora