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Femmina M. Corradi

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Il verbo temere

Il verbo temere

Femmina

C’era una banda di bambini vicino a casa mia, ma erano tutti maschi, e nati, poi, in quel paese di montagna. «Sei una femmina, non puoi giocare con noi», mi dicevano. Li stavo a guardare, arrampicata su una staccionata affacciata sul loro cortile. Giocavano a nascondino, a bandiera, a rincorrersi, e io sapevo che non avrei mai corso veloce come loro. Un giorno giocavano a chi saltava dal punto più alto di un muro obliquo, parallelo a una scala. Si sfidavano, osando ciascuno ogni volta un salto più audace. Io li osservavo, zitta. Il salto più alto misurava quanto il piano di una casa: ai miei occhi, un abisso. Però, pensai improvvisamente, saltare, in fondo, era un attimo e avrei dimostrato di essere coraggiosa. Forse, mi avrebbero accettata fra loro. Mi alzai, e senza dire niente raggiunsi il punto più alto del muro. Sentivo nel petto il battito del mio cuore. I ragazzi si erano fermati a guardarmi, meravigliati, muti. Nessuno ancora aveva osato il salto più alto. Ricordo come fosse ora i loro occhi addosso, e la paura, e l'attimo di vuoto, e il tonfo sulla ghiaia, dura. Ci fu, allora, un istante di silenzio. Poi, il capo della banda venne a stringermi la mano. Da allora mi lasciarono giocare. Da allora non mi sentii mai, con la mia treccia sulle spalle, inferiore a loro.

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Marina Corradi, Con occhi di bambina. Settantotto racconti, Edizioni Ares

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