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Terra B. Moeyaert
Terra
Per un piatto di cavolini di Bruxelles comprammo un pezzo di terra. Un pezzo di terra di un metro per un metro per un piatto di cavolini sembrava un buon acquisto. Ma i miei fratelli non ne andavano pazzi. Non erano interessati alla terra, e nemmeno ai cavoli. Io sì, ma quello non contava. Era una cosa nuova come un’altra, per quello avevano fatto lo scambio. Non si poteva mai sapere cosa ne sarebbe venuto. «Scegliete» disse nostro padre. «Quale pezzo volete in cambio dei cavoli? Terra con erba, terra con fiori o terra con terra e basta?». I miei fratelli si guardarono e fecero schioccare le labbra. Scelsero il pezzo di terra con i fiori. Ero a bocca aperta. Perché non il pezzo con l’erba? Lì almeno ci si poteva tenere un coniglio. O perché invece non il pezzo con terra e basta? Lì poteva crescere di tutto: una parte con l’erba per il coniglio, e una parte con i fiori per bellezza, come si preferiva. E forse era così, certo, ma i miei fratelli avevano fiuto per gli affari. Disegnarono un quadrato nell’aiuola dei fiori e dissero: «Questo pezzo».
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«Questo?» chiese nostro padre. «D’accordo. Allora questo sarà. È alto e profondo, ed è tutto vostro». «Sì!» dissero i miei fratelli, e «Sì!» dissi io, ed entrammo in casa perché dovevamo ancora mangiare. Uno dei miei fratelli disse che avevamo bisogno di un paio di forbici, che dovevamo raccogliere. «Raccogliere cosa?» chiesi io. «Giusto, raccogliere» ripeterono i miei fratelli. «Raccogliere i frutti della terra». E scossero la testa, e fecero roteare gli occhi. Come era possibile, chiedevano, che avessi una fronte così alta eppure così poco cervello? Raccolsero le margherite. Ne fecero dei mazzetti da dieci e le avvolsero in un vecchio giornale, e poi andarono a venderle porta a porta. Dicevano che erano per i bambini poveri e non era una bugia: noi di nostro non avevamo un soldo. L’ultimo mazzetto i miei fratelli lo vendettero a Focke. Era una buona idea: saremmo comunque dovuti andare da lui, alla fine, e così almeno ci risparmiavamo il doppio viaggio. La moglie di Focke andò a prendere una scatola di semi tra la frutta e la verdura, e lasciò che i miei fratelli ci frugassero dentro.
Dalla scatola scelsero un grosso pacco con sopra la foto di un mazzo di crescione, e un sacchetto piccolo con una foto di un cestino di prezzemolo. «Semi buoni per piante sane» disse Focke. «Vogliamo sperarlo!» dissero i miei fratelli. Andammo a casa, entrammo dalla porta davanti, e uscimmo da quella sul retro, raggiungendo il nostro pezzo di terra. «Seminiamo» dissero i miei fratelli. Disegnarono una linea immaginaria che correva fino al cielo. Poi puntarono le mani in basso, come se soltanto con la forza del pensiero potessero mostrare quanto in profondità arrivava il pezzetto di terra che avevamo barattato. Sotto di noi era tutto nostro, fino al fuoco al centro della terra. Sopra la nostra testa era tutto nostro, all’infinito e ancora un chilometro in più. Io dissi che non avevo mai pensato che quando uno comprava un pezzo di terra comprava anche un pezzo di cielo. «Sì, sì!» dissero i miei fratelli. «Ma tanto i semi cadono in un posto solo, in mezzo tra i due. Qui». E indicarono il nostro pezzo di terra di un metro per un metro. Seminarono il crescione e il prezzemolo come se fosse zucchero di canna, e vuotarono tutto l’annaffiatoio. Si misero tutt’attorno alla nostra terra a braccia conserte, e rimasero a guardare l’acqua che piano piano veniva assorbita. Qua e là la terra borbottava. Era bello da vedere. lo indicai l’odore che veniva dalla terra e ti penetrava nel naso. Era l’odore di verde, di legno e di letame, ma i miei fratelli mi fraintesero. Pensavano che indicassi un lombrico che stava per affogare. «Movimento» disse uno dei miei fratelli. «Spettacolo» disse un altro mio fratello. Scoppiarono tutti a ridere, soprattutto perché uno dei miei fratelli non aveva mai visto un lombrico volante. «Oplà!» esclamarono. Poi andarono a giocare a calcio, e dopo a pescare, dopo fecero esplodere una rana, e dopo ancora fecero altre cose che finirono tutte quante in fretta. Da lontano mi gridarono se si vedeva già qualcosa. «Non ancora» dissi io, senza svelare che sentivo il crescione germogliare. Accarezzavo la terra con il nostro rastrello, e ogni tanto mi mettevo sulla nostra terra su un piede solo, e con il resto del corpo nel nostro cielo.