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Alba in montagna E. Franceschini

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Il verbo temere

Il verbo temere

Alba in montagna

La città, la confusione, lo studio… non ne potevo assolutamente più. Fu così che un giorno preparai il sacco da montagna, vi ficcai dentro della roba di lana e via: in montagna! Arrivai a Bormio che imbruniva. Sceso dalla corriera, invece che cercare un albergo per passarvi la notte, misi il sacco in spalla (non pesava molto, per fortuna) e m’incamminai per la strada che conduceva a Santa Caterina Valfurva. Avevo voglia di camminare e respirare aria pura, così da ossigenarmi… La notte era fonda, stellata, fredda, senza luna; la via lunga, ma avevo molte ore davanti a me… Dopo Santa Caterina, lasciata a destra la strada che conduceva al Passo Gavia, con ripide serpentine, presi a sinistra per l’ancora lontano rifugio Pizzini (2.700 m); ma se la testa era libera, sentivo le gambe farsi più pesanti e più lente; così che, veduto un casolare abbandonato fra gli abeti, decisi di riposare un poco. Entrai. Era un fienile e… mi addormentai. Il sogno fu subito su di me, intorno a me, mi abbracciò con le sue soffici ali. Mi pareva d’essere sul Gran Zebrù (3.860 m), la bellissima e grande montagna che incombeva sulla valle. Poi precipitavo, improvvisamente, dalla vertiginosa parete nord, di ghiaccio e la mia caduta era fermata da una gigantesca marmotta, che mi stringeva dolcemente fra le braccia, nel suo soffice mantello. Voi, le marmotte, le conoscete? Mi svegliai di colpo; il Gran Zebrù era lì davanti a me, tutto scuro nei primi albori dell’alba… ed un rombo d’acqua lì accanto, gaio, garrulo, scendeva a precipizio fra centinaia di cascate e cascatelle: che meraviglia quello spettacolo! Sembrava un frastagliato nastro d’argento che tagliava la montagna.

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Ezio Franceschini, La valle più bella del mondo. Racconti dal vero, Vita e Pensiero

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