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Zefira C. Carminati

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Il verbo temere

Il verbo temere

Zefira

La notte in cui nacque Zefira c’era nell’aria un silenzio che non si era mai sentito prima: perfino l’acqua del fiume sembrava stare zitta, e di cicale nemmeno l’ombra. Forse per via di tutto questo silenzio disteso intorno a lei, quando Zefira venne al mondo non ebbe per nulla paura e il primo respiro che fece non fu un pianto, né un grido, né un sospiro. Quando Zefira venne al mondo, spalancò la bocca, riempì per la prima volta i minuscoli polmoni… e cantò. Il canto di Zefira si sparse intorno come la musica di un piccolo flauto. La sua mamma sorrise, la sua nonna sorrise, ma la vecchia zia, che stava a guardia dell’acqua sul fuoco, fece una smorfia e gracchiò: «Canto di vento fin dentro la bocca, gran dispiacere a chi questo tocca». Appena Zefira imparò a stare dritta sulle gambe cercò di arrampicarsi sulla sedia per raggiungere la finestra, da dove sentiva venire i canti delle donne che intrecciavano le stuoie e quelli degli uomini che falciavano i campi. La vecchia zia la tirava giù e spostava la sedia di lato, dicendole: «Chi troppo in alto sale, cade in basso e si fa male». Eppure, dalla finestra senza vetri e dalla porta che rimaneva aperta, Zefira riusciva a sentire non solo i canti dei lavoratori, ma anche i suoni del fiume, degli animali e del vento tra le canne. Zefira indovinava tutte le musiche e le seguiva con la sua voce di flauto, come se rispondesse. Perfino quando imparò a parlare, le sue prime parole furono dette cantando. Un giorno che Zefira era già una bambina cresciuta, e aiutava la vecchia zia a fare da mangiare per tutta la famiglia mentre gli altri erano al lavoro, sentì un signore alla radio che parlava di una Scuola di Canto. Zefira abbandonò coltello e patata e corse accanto alla radio per sentire meglio. Il signore diceva che chi riusciva a entrare alla Scuola di Canto poteva imparare a cantare come gli angeli del fiume. Quando ebbe ascoltato tutto, Zefira disse alla zia con gli occhi brillanti: «Quando divento grande voglio andare alla Scuola di Canto!». La vecchia zia fece un sospiro che sembrava un grugnito e le rispose: «Pesce di fiume non può camminare,

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serpe di sabbia non sa volare». Eppure nessuno nel villaggio di Zefira aveva mai sentito una voce come la sua. Pareva che per cantare non facesse nessuno sforzo, le veniva naturale come il respiro. Con la sua voce era in grado di addolcire anche i lavori più pesanti. Per questo, appena fu in età da poter aiutare le donne al telaio, nel villaggio tutti si contendevano la sua presenza. Zefira non si stancava mai di cantare e di notte sognava di diventare leggera leggera e di galleggiare sulle onde della sua voce. La Scuola di Canto era in città e la città era lontana, Zefira lo sapeva: per raggiungerla bisognava prendere una corriera piena di gente e bisognava avere i soldi per pagare il biglietto. E per quanto ne parlasse in giro, e a tutti raccontasse il suo desiderio, da tutti riceveva sempre la stessa risposta: «Studiare canto? Sciocca, come se non ci fossero cose più importanti di cui occuparsi!» E chi sbuffava, chi scuoteva la testa, chi rideva dell’idea.

La mamma e la nonna però, tutte le volte che al telaio si trovavano sedute vicine a Zefira, facevano in modo di passarle i fili migliori, insieme a qualche consiglio mormorato sottovoce. Così, cantando e lavorando, in breve tempo dal telaio di Zefira uscì una bellissima coperta. Quando la vecchia zia vide la coperta fatta da Zefira, chiese di averla come scendiletto: «Filo di sogno e freschi colori tolgono ai piedi mali e dolori» . Ma Zefira portò invece la coperta a vendere al mercato. Con i soldi che riuscì a guadagnare comprò non solo il biglietto per andare alla Scuola di Canto in città, ma anche un paio di sandali e un biglietto per tornare. Salutò la mamma, salutò la nonna, salutò la vecchia zia, e partì. «Quando il pulcino solleva una zampa, col passo dopo di certo si inciampa» . Sibilò la vecchia zia vedendola partire. Il viaggio fu lungo e anche piuttosto scomodo: siccome era la più piccola di tutta la corriera, Zefira dovette sistemarsi sul tetto insieme ai bagagli. A ogni buca della strada, la corriera faceva un balzo e Zefira si teneva stretta stretta ai sacchi che aveva intorno. Ma a dire il vero, non sentiva quasi nulla di quei fastidi: il suo pensiero era tutto concentrato a ripetersi quello che doveva fare. Per tutto il tempo del viaggio, Zefira cantò la canzone che aveva preparato per presentarsi alla Scuola di Canto. Per tutto il tempo pensò le musiche e le parole, cercando di stare attenta a non dimenticarsene nessuna. Ma appena arrivata in città, la prese una strana agitazione. Le tremavano le gambe e si sentiva i pensieri confusi. A mano a mano che si avvicinava alla Scuola di Canto, le sembrava che tutto quello che sapeva si stesse perdendo per strada. Le parole della canzone che si era preparata svolazzavano nella sua testa come foglie morte e poi sparivano. Non se le ricordava più! Al loro posto, le venivano

in mente solo le frasi della vecchia zia, quelle che si era sentita ripetere per tutta una vita: «Canto di vento fin dentro la bocca… pesce di fiume non può camminare… col passo dopo di certo si inciampa… cade in basso e si fa male…». Era ormai arrivata alla porta della scuola e in testa aveva solo le parole della zia, che le battevano sulle tempie come tamburelli. Stava per girarsi e scappare via senza bussare, quando invece qualcuno aprì la porta e la fece gentilmente entrare fino a un palco illuminato. Zefira non vedeva più nulla, non capiva più nulla… le sembrava che ci fossero delle persone sedute davanti al palco, pronte ad ascoltarla, ma lei non ricordava più le parole da cantare, aveva la testa piena solo delle parole sbagliate della zia e non sapeva come metterle insieme. Poi le venne in mente il telaio, e i fili che la mamma e la nonna intrecciavano con gesti sicuri, così prese coraggio e fece anche lei la stessa cosa: semplicemente, intrecciò le parole che aveva in testa. E cantò… «Canto di vento che in alto sale soffia contento tra canne e cicale. Pesce che vola filo di sogno sa le parole di cui ha bisogno. Canto di fiume sogno pulcino metti le piume e comincia il cammino…». A dire il vero nessuno, tra il pubblico, prestò molta attenzione alle parole intrecciate nella canzone. Tutti rimasero inchiodati alle poltrone dalla bellezza della voce di Zefira e nella sala scese un silenzio ammirato, proprio come quello della notte in cui era nata. Fu così che Zefira dalla voce di flauto riuscì a entrare alla Scuola di Canto, dove rimase a studiare per molti mesi. E prima o poi usò anche il biglietto di ritorno al suo paese, per fare visita alla mamma e alla nonna e portare uno scendiletto alla vecchia zia. Così, quando imparò a cantare come un angelo del fiume, qualcuno disse dalle sue parti: «Se un seme di sogno riceve una goccia, la pianta cresce e il fiore sboccia».

Chiara Carminati, in AA.VV., Io vorrei… Sogni e desideri di bambini raccontati dai grandi, Condé Nast

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