Generare bellezza anteprima

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Generare bellezza Nuovi inizi alle periferie del mondo a cura di John

Waters e AVSI prefazione del cardinale Pietro Parolin


Questo volume è stato realizzato in occasione della mostra

Generare bellezza. Nuovi inizi alle periferie del mondo

pensata e organizzata per la XXXV edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli A cura di John Waters e AVSI Traduzioni Chiara Balestri Progetto grafico Accent on Design, Milano Stampa Immaginazione SanPatrignano Video Collarino & Morandi Comunicazione Diritti iconografici Simone De Marco e Roberto Marchisio by Collarino & Morandi Comunicazione Alessandro Grassani Associazione Internazionale della Famiglia Unita, non profit Massimo Viegi Fabrizio Arigossi Pablo Castellani Brett Morton Progetto architettonico Giuditta Melesi Daniele Melesi

Un particolare ringraziamento a tutti coloro che hanno a vario titolo contribuito alla realizzazione di questa opera: Giampaolo Silvestri, Alberto Piatti, Marco Andreolli, Anna Zamboni, Libero Buzzi, Leonida Capobianco, Giacomo Fiordi, Porzia Esposito, Anthony Maina, Cyprian Kalunga, Joakim Koech, Romana Koech, Father Valerio Valeri, George Kibe, Antonino Masuri, Agnes Mbene Mutua, Peres Adhiambo Atieno, Henry Kamande, Andrea Bianchessi, Stefania Famlonga, Amparito Espinoza, Carlos Freile, Giorgio Capitanio, Gisela Solymos, Alexandre Ferraro, Ana Lydia Sawaya, Sheila Berti, Franco Argelli, Valeria Presciutti, Giacomo De Carlini, Aldo Gianfrate, Maria Ricci, Mariam Joshi, Cleuza Zerbini, Maria Teresa Gatti

Contributo di

Partner

Luci Gianfranco Branca Impianti tecnologici Sound D-Light srl

Noleggio della mostra Meeting Mostre info@meetingmostre.com www.meetingmostre.com

Media Partner


Generare bellezza Nuovi inizi alle periferie del mondo

a cura di John

Waters e AVSI prefazione del cardinale Pietro Parolin


Generare bellezza Itaca, Castel Bolognese www.itacaedizioni.it/generare-bellezza © 2014 Itacalibri, Castel Bolognese Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-526-0397-6 Le edizioni Itaca sono distribuite da: Itacalibri srl via dell’Industria, 249 48014 Castel Bolognese (RA) - Italy tel. +39 0546 656188 fax +39 0546 652098 e-mail: itaca@itacalibri.it on line: www.itacalibri.it in libreria: www.itacaedizioni.it/librerie Progetto grafico: Andrea Cimatti Stampato nel mese di agosto 2014 da D’Auria Printing, S. Egidio alla Vibrata (TE)


Indice Prefazione Card. Pietro Parolin 6 Presentazione Maria Teresa Gatti 8 Introduzione John Waters 11 alle periferie educative: scuole che cambiano la vita Un esempio di cooperazione italiana di successo Mauro Massoni

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La scuola nello slum: Scuola primaria Little Prince Un’educazione di qualità: Scuola secondaria Cardinal Otunga Scoprire la propria dignità: Scuola San Riccardo Pampuri Imparare il lavoro della vita: Scuola professionale St. Kizito L’opera educativa della Fraternità San Carlo: Urafiki Carovana e Asilo Emanuela Mazzola

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uno sguardo che genera sviluppo

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nutrire la persona, alimentare la speranza

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Postfazione Giampaolo Silvestri 190


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Prefazione Card. Pietro Parolin Segretario di Stato di Sua Santità Ho accolto volentieri l’invito di presentare queste pagine, che propongono significative esperienze cristiane vissute in alcune “periferie” del mondo, accanto a situazioni di povertà e di bisogno. Si tratta dell’attività nelle scuole di Nairobi (Kenya), nei centri educativi a Quito (Ecuador) e nei centri nutrizionali a San Paolo del Brasile, avviati nel solco della Dottrina Sociale della Chiesa e sostenuti dall’insegnamento sempre vivo di don Giussani. Tre iniziative mediante le quali gli operatori dell’Avsi riscoprono il valore infinito di sé, perché creature di Dio, e a loro volta “contagiano” le comunità e offrono un metodo per affrontare povertà umana, denutrizione, mancanza di istruzione. Questo peculiare percorso illustrativo evidenzia anzitutto la ricchezza dell’umanità incontrata dagli operatori dell’Avsi nell’intento di promuovere la dignità della persona umana, attraverso una generosa attività di cooperazione allo sviluppo con particolare attenzione all’educazione. Si avverte l’entusiasmo di quanti, mediante questo servizio ai più bisognosi, hanno fatto esperienza di Dio, vivendo nelle città a contatto con le gioie e le sofferenze delle persone, specialmente le più deboli. Recandosi nelle favelas o slums o barrios, per portare il consolante messaggio evangelico, essi si accorgono che Dio è già presente in quella umanità da riscattare. Si coglie poi un metodo operativo che considera il disagio non soltanto da un punto di vista materiale, ma anche spirituale. La povertà è anche solitudine, abbandono, rifiuto; pertanto quanti si occupano di sviluppo sono chiamati a tenere conto di questo aspetto per non svilire l’umanità nel pur nobile intento di aiutarla. Le testimonianze raccolte in questo libro sottolineano che non esiste un sistema socio-politico in grado di soddisfare appieno i bisogni della persona e di sradicare la povertà, offrendo benessere e servizi adeguati per tutti. Come ci ha ricordato il papa Benedetto XVI, «L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento sta-


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tale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore» (Deus caritas est, 28). Pertanto, di fronte a non poche situazioni di ingiustizia e di disagio morale e materiale vasto è il campo di apostolato che si apre davanti ai discepoli del Signore! Occorre saper testimoniare con gioia il messaggio evangelico, che si sintetizza nell’annuncio dell’amore del Padre misericordioso, pronto ad abbracciare in Cristo ogni persona. Nell’odierno contesto storico, segnato dalla globalizzazione e da una perdurante crisi economica, si corre il rischio di lasciare spazio alla sola indifferenza e all’ideologia imperante del mercato. Per questo è quanto mai attuale e illuminante l’esortazione del Santo Padre Francesco: «Nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale» (Evangelii gaudium, 201). Auspico che questa raccolta di esperienze di Avsi, presentata al Meeting di Rimini, possa suscitare in molti atteggiamenti di condivisione per essere segno eloquente dell’amore di Dio e strumento di riscatto morale e materiale per il prossimo bisognoso.


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Presentazione Maria Teresa Gatti Questa raccolta di esperienze è nata dalle domande che Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, fece ad un incontro annuale di Avsi e dei suoi partner sul finire del 2011. Ci chiese di verificare se effettivamente quello che facciamo, ossia progetti di sviluppo nei Paesi e contesti più poveri ed emarginati, serve effettivamente, dal momento che costa tanti sacrifici e tanto impegno di molte persone. Ci chiese di verificare se quello che facciamo è distribuzione di briciole, ovvero assistenzialismo che genera dipendenza, o permette la nascita e la crescita di soggetti, persone. Ci diede anche un’ipotesi che all’epoca suonò abbastanza ardita: è uno sguardo diverso che genera sviluppo, uno sguardo che permette alla persona di riscoprire la propria dignità e mettersi in moto. Da allora abbiamo iniziato, come “Avsi community”, un percorso di approfondimento che si è svolto per tentativi: valutazioni di impatto dei progetti, analisi sui risultati degli interventi, studi di casi etc. Quando poi papa Francesco ha messo l’attenzione alle “periferie” e il Meeting ha scelto per il 2014 il titolo «Alle periferie del mondo. Il destino non ha lasciato solo l’uomo», abbiamo pensato che fosse il momento giusto per andare a fondo di queste verifiche e tirare un po’ di somme, per condividerle anche con le migliaia di persone che ci sostengono nel fare il nostro lavoro. Sono state scelte così tre situazioni dove una presenza di Avsi fosse valutabile sul lungo termine: Kenya (scuole), Quito (attività educative) e San Paolo (centro di recupero ed educazione nutrizionale). Per l’approfondimento è stato incaricato un giornalista editorialista irlandese, non esperto in tematiche di sviluppo e non coinvolto con Avsi, ma simpatetico nell’esperienza cristiana: John Waters. Un’intelligenza sofferta, acuta e discreta. Abbiamo fatto tre missioni, decine di interviste a utenti dei servizi, ex utenti, gestori, lavoratori, fondatori, persone coinvolte a livello culturale, giovani e adulti. Il risultato è stato sorprendente. In sintesi si può dire che è


Presentazione

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vero che lo sguardo cristiano cambia la vita e genera sviluppo. È uno sguardo che riesce a cogliere il valore infinito della persona incontrata. Da quell’amore deriva poi intelligenza a comprenderne i bisogni e, quindi, a identificare le risorse disponibili e a organizzare risposte adeguate. Da questo metodo sono nati “soggetti”. Uno sguardo che ha trapassato quella coltre di miseria umana sotto la quale erano sommersi i talenti e ha così fatto fiorire personalità. Protagonisti che hanno messo in piedi opere coraggiose, che rompendo spirali di esclusione, violenza, fame, trascuratezza, solitudine, hanno avviato opere. Per me è stata un’esperienza straordinaria anche se lavoro qui da quindici anni. Non smetto di commuovermi a leggere que­ste pagine. Ringrazio Avsi e il Meeting per avermela concessa. Ringrazio i miei compagni di viaggio, Simone, John, Rita, Patrizia, Roberto. Ringrazio i colleghi che hanno collaborato, in particolare Anna. Ringrazio i colleghi di Avsi nel mondo. Quelli che sono raccontati e ancor più quelli non raccontati perché sono compagnia al destino degli uomini del nostro tempo. Non ho più incertezze. Lo sviluppo nasce da uno sguardo. Quello sguardo che Cristo ha portato duemila anni fa, che Giussani ha portato a questo pezzo di umanità e che Carrón ha svelato ai miei occhi. La responsabilità più grande che come cristiana mi sento addosso di fronte alla povertà e alla miseria, è portarlo sempre con me.


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Introduzione

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Introduzione John Waters Che cosa sia, realmente, la povertà, crediamo di saperlo. Crediamo sia una domanda semplice. Non siamo sempre in grado di accettare che la soluzione sia a portata di mano, ma più o meno crediamo di sapere dove si trova. Possono esistere differenze nei dettagli: qualcuno di noi parla di ridistribuzione delle risorse, altri di rendere i mercati più efficienti e sensibili. Eppure, spesso queste indicazioni, quando messe in pratica, sembrano peggiorare le cose. Diamo del nostro superfluo, per i più svariati motivi, e pensiamo che ciò basti. Ma non è mai abbastanza. Allora diamo di più, e ancora non è sufficiente. Spesso, la povertà che cerchiamo di trattare diventa cronica, o cominciano a manifestarsi nuovi sintomi. In luogo della piena povertà, si radica una dipendenza che presto diventa, a suo modo, malefica come le condizioni che l’hanno preceduta. I poveri rimangono “fra noi” – salvo il fatto che noi non siamo “con loro”. Questo è il vero problema. Questa è la vera povertà. Per il Meeting 2014 mi è stato chiesto di contribuire curando una mostra sulle attività di Avsi in tre località: Nairobi in Kenya, Quito in Ecuador, San Paolo in Brasile. La mostra è incentrata sui progetti educativi che Avsi ha impiantato in quei luoghi, che hanno come fondamento la visione di Giussani di un metodo educativo che pone al centro lo sviluppo della persona – la generazione di un nuovo soggetto. Il titolo della mostra, «Generare bellezza. Nuovi inizi alle periferie del mondo», riecheggia il tema del Meeting di quest’anno, ovvio. Ma quello che seguiamo è l’eco della voce insistente di don Giussani in luoghi in cui le circostanze umane recano una sfida incommensurabilmente più grande di quanto si possa immaginare, in quelle che papa Francesco ha chiamato «periferie esistenziali». È un’espressione che si proietta ben oltre la dimensione geografica, sociologica, ideologica, e perfino oltre l’idea di adesione a una fede. Ci chiama a una responsabilità che si colloca per noi


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oltre una chiamata al dovere o alla compassione, al di là di ciò che convenzionalmente è definita “carità”. Mi ha violentemente colpito come una chiamata rivolta a me personalmente, come uomo, nella mia essenza fondamentale – a un livello più profondo di tutto ciò che ho imparato, udito o incominciato a credere – perché mi ponessi la domanda di chi sono io e di quale sia il mio destino. Parte di questa chiamata è la domanda imponente riguardo a quale possa essere la mia responsabilità nei confronti degli altri. E quindi, come immediata conseguenza, chi sono questi “altri” e cosa posso essere io per loro? Che cosa il Signore domanda a me, in quanto Suo seguace? Non è semplice, non è scontato. Non è certamente sufficiente mettermi la mano in tasca e tirar fuori un pugno di monete. Mi costa meno di niente, risolve il mio senso di colpa molto più di quanto non allevii la fame o il dolore di chi le riceve, e quindi lascia anche me… bisognoso. E allora? Giussani ce lo mostra nel suo metodo educativo, che non offre elemosine, aiuti, risorse, ma la possibilità di una totale rigenerazione della persona umana. Questo è ciò che siamo stati chiamati a capire nel nostro lavoro di preparazione della mostra: come la chiamata di Cristo offra prospettive di una vita migliore in una serie di rapporti umani in luoghi distanti e diversi, nei quali i bisogni dell’uomo appaiono nella loro essenzialità più profonda. A Quito, per esempio, abbiamo visitato le “invasioni” di Pisulli, una zona della città che è esplosa con l’arrivo di gente da fuori, che si è stabilita in un determinato luogo e ha costruito una dimora per sé e per la propria famiglia, piazzando una tenda e difendendo il suo spazio con le armi. Pisulli e i suoi sobborghi si sono costituiti nei primi anni Ottanta, quando gruppi di persone provenienti da varie regioni di tutto l’Ecuador si sono riuniti e hanno “invaso” quell’area, in precedenza nota come “Pisulli Ranch” e di proprietà del Ministero della Sanità. Le invasioni provocarono furiosi scontri a fuoco – quasi una guerra civile – sia con i proprietari del terreno sia con gli abitanti di altre aree occupate dei dintorni, e diverse persone, fra cui molti bambini, persero la vita.


Introduzione

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In quell’area oggi i due terzi della popolazione vivono in povertà. Molti sono stati più volte truffati, vittime della corruzione, hanno perso ripetutamente tutto quello che avevano. Eppure qualcosa nello spirito di queste persone ha permesso loro di sopravvivere e restare per costruire quella che è una nuova civiltà nel cuore di una vecchia. In mezzo a questa gente, attraverso il lavoro di Avsi, si è fatto strada un metodo che ha visto il percorso educativo non come un mezzo per formare delle competenze operative nell’economia o nella società, ma come un modo per risvegliare l’intero essere umano. Lì siamo arrivati a vedere come la fede diventa cultura, che è ciò che accade quando lo studente (o chiunque altro in questo caso) incontra un adulto la cui presenza è oggettivamente una proposta di una ipotesi che spieghi la vita nella sua totalità. Questo, come Giussani ha sviluppato ne Il rischio educativo, diventa un cammino di riconoscimento, un percorso di affezione, un processo di riappropriazione e di uso della realtà per i propri scopi. In questo modo lo studente diviene un adulto, vero protagonista nel reale, capace di generare lui stesso una novità nella storia. Lungo la strada, abbiamo incontrato molte provocazioni alle nostre certezze riguardo a ciò che già davamo per “conosciuto”, e molti sorprendenti testimoni che hanno sfidato i nostri preconcetti a partire dalla verità della loro vita. Tornando a come ora potrei definire la “povertà”… Beh, non lo so dire con esattezza. Vedo più chiaramente che il problema per troppo tempo è stato affrontato con analisi e spiegazioni semplicistiche. Ma ho imparato da san Paolo che ha qualcosa a che fare con una forma di solitudine a cui non avevo mai pensato prima. La parola “esclusione” riempie la bocca di politici e filantropi, ma ciò che evoca nelle nostre culture è qualcosa di parziale e inadeguato. Suggerisce la negazione della partecipazione alla vita economica della società, ma questo è solo un aspetto iniziale. È ciò che ne deriva che dà forma al circolo vizioso costituito dalla povertà: la perdita di cittadinanza, la dipendenza, la mancanza di dignità, il disprezzo di sé, la degradazione culturale, la vergogna, la morte della persona anche quando il corpo conti-


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nua a vivere. La povertà è un colpo subìto, anche se la società può non essere consapevole di averlo dato. E il dolore e lo smarrimento causati da questo colpo possono restare per tutta la vita ed essere tramandati di generazione in generazione. Una delle cose che ho osservato a San Paolo attraverso il lavoro del Cren (Centro di recupero educativo e nutrizionale), che è sostenuto da Avsi nel suo impegno a favore dei poveri delle favelas, è che la malnutrizione non è per forza una condizione definibile matematicamente, come io credevo. Certamente ha a che fare con la carenza di buon cibo, ma molto di più con una forma di amnesia. Ragazze, abbandonate dalle loro famiglie in campagna, vengono a vivere nelle favelas, si sposano, fanno figli, ma poi scoprono di aver dimenticato come prendersi cura adeguatamente dei loro bambini in circostanze di emergenza. Il nutrire non è cosa che accade naturalmente, ma è una saggezza che nasce dentro una cultura, e quando le culture vanno in pezzi per l’indigenza, l’aridità, gli spostamenti, quella saggezza coltivata con cura da generazioni si trova spiazzata. Nell’ambiente cittadino le nuove generazioni si trovano smarrite perché non sanno che cosa hanno perso. Questo è uno dei modi in cui la “solitudine” si manifesta come un sintomo chiave di una vera e profonda povertà. In questo possiamo cogliere l’importanza dell’intervento dell’uomo – l’atto radicale di rigenerazione che è l’educazione nel suo senso più profondo. Tale intervento non può essere paternalistico, per la semplice ragione che del paternalismo abbiamo già sperimentato tante volte il fallimento. Può accadere solo nella forma di un’amicizia, una compagnia, in cui l’identica matrice dei bisogni è riconosciuta e resa visibile. Siamo tutti poveri, seppure in modi diversi. Siamo tutti soli, pur se con accenti che non sono immediatamente uguali. Diventa vitale allora l’idea di una compagnia, il riconoscere che tanto coloro che cercano di aiutare, quanto coloro che attendono un aiuto contribuiscono a un processo di reciproca crescita e rigenerazione. Il Destino non lascia solo l’uomo. Se esiste un antidoto alla povertà, può essere la bellezza, nel suo senso più profondo e più vero: l’eco, il ricordo, o la nostalgia di una qualche grandezza in noi che abbiamo dimenticato. A


Introduzione

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Nairobi l’abbiamo visto con maggiore evidenza nel fortissimo contrasto fra gli slums di Kibera e la novità, la freschezza che si respira nelle classi delle scuole Little Prince e Cardinal Otunga, nelle quali i ragazzi sperimentano la possibilità di una vita diversa. Vedere questi ragazzi fiorire letteralmente davanti ai nostri occhi è stata una cosa incredibile. Siamo andati in quei luoghi per parlare con quanti si sono trovati davanti, da studenti, al metodo educativo di don Giussani, e insieme con quanti sono andati lì qualche tempo fa per offrire la loro opera di educatori portando il carisma di Giussani. La domanda che ci guidava può essere riassunta così: «Che cosa si può ottenere se un essere umano va da un altro senza altro obiettivo che non sia l’omaggio alla sua dignità, e nel far ciò rende più chiara la coscienza del destino di entrambi?». Ognuno ha risposto a suo modo. Ma la cosa più sorprendente, forse, è un’altra. Lungo il percorso, in Ecuador, Brasile o Kenya, abbiamo chiesto a quanti incontravamo di raccontarci che cosa ha significato nella loro vita l’essere invitati ad accompagnare ed essere accompagnati. Cosa significa invitare un altro a essere sé stesso, aiutarlo a generare in sé stesso una nuova persona? «Quale metodo avete usato per cambiare la vita degli altri?». Molto spesso abbiamo ottenuto la stessa risposta, semplice: «Ho cambiato me stesso».

Articolo pubblicato su Tracce.it col titolo Lì ho scoperto qualcosa di me.


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alle periferie educative: scuole che cambiano la vita


Introduzione

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SCOPRIRE LA PROPRIA DIGNITĂ€ scuola san Riccardo Pampuri 362 bambini. Mutuati villaggio di 30.000 abitanti, a 350 km a nord-est di Nairobi, distretto di Meru. Nata nel 2009. Sostegno a distanza di 83 bambini. Dalla scuola sono nate varie iniziative della comunitĂ . COWA: associazione di famiglie con fondo di risparmio per piccoli prestiti alle famiglie. Centro di raccolta latte: 70 mucche distribuite alle famiglie con bambini denutriti nel 2008, oggi, per imitazione, 450 famiglie ne dispongono e conferiscono il latte al centro.


Testimonianze

Ci proponiamo di generare persone che realizzino sé stesse, rispettino sé stesse e gli altri. Persone consapevoli della propria dignità sono anche consapevoli della dignità degli altri. Abbiamo bisogno di una nuova umanità, persone con un cuore cambiato. Chi cambia la persona non è un sistema, ma è un cuore. Un cuore che ha incontrato Gesù. Cyprian, il preside

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Cyprian: una umanità cambiata Siamo a Meru, più precisamente a Mutuati, a 250 chilometri da Nairobi, in una zona rurale dove l’attività principale è la coltivazione della miraa, una pianta che ha effetti eccitanti e che viene commercializzata in Paesi limitrofi ma anche in Europa. Cyprian Kalunga è un insegnante della scuola pubblica che ha anche avviato la scuola primaria privata non profit San Pampuri, con un gruppo di genitori dell’associazione don Bosco. In questa intervista racconta come l’educazione è un fattore di cambiamento della persona e della comunità. A patto che non sia inculcare nozioni, ma rapporto con un’umanità diversa, come è stato per lui l’incontro con il carisma di don Giussani. Raccontaci come hai avviato questa scuola, la San Pampuri, e cos’è che ti spinge a farlo. Quando ho finito il liceo, ero molto interessato all’insegnamento, così ho deciso di continuare a studiare. Prima di andare al college, ho fatto l’insegnante di sostegno in una scuola secondaria, per due anni. Nell’86 ho iniziato a insegnare a Nairobi, dove sono stato per due anni. Ho studiato per diventare insegnante e, quando ho finito, mi hanno mandato qui, a Mutuati. E questo lavoro, come è cominciato? È cominciato tutto nel 1988, per caso in verità, mentre ero in università. Là ho incontrato alcune persone, mi hanno invitato e ho partecipato ai loro incontri. Il rapporto con loro è cominciato durante quegli incontri. Erano commoventi, hanno attratto il mio cuore. Quando sono tornato a Mutuati, mi hanno invitato ad andare in vacanza con loro. Era il dicembre del 1989, abbiamo vissuto tre giorni di vacanza molto affascinanti, ma poi sono tornato a casa. Un amico, Leo, mi ha chiesto se volevo partecipare al programma di sostegno a distanza. Ero già un maestro e questo mi sarebbe stato d’aiuto per la scuola in cui insegnavo, una primaria, e dunque ho accettato. Abbiamo cominciato con appena cinquanta bambini, prov-


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vedevamo a tutte le loro necessità per permettergli di venire a scuola. C’erano orfani e bambini di famiglie molto povere. Con questi bambini, con le loro famiglie, abbiamo fatto un cammino insieme. Questo è il quattordicesimo anno ormai, alcuni hanno già finito la scuola secondaria, altri stanno facendo o finendo l’università. Come Avuan, che ha finito l’università e adesso è qui con me. Era una delle mie alunne e siamo rimasti in contatto anche dopo. Con l’aiuto di Avsi siamo riusciti ad entrare in alcune case e a iniziare un lavoro con loro. Non abbiamo solo aiutato economicamente i bambini ad andare e a restare a scuola, abbiamo anche aiutato e ridato forza alle famiglie, così da renderle forti abbastanza da poter portare anche gli altri figli a scuola. Nel 2005, per esempio, abbiamo aperto un progetto nuovo. Abbiamo aiutato alcune famiglie ad acquistare una mucca. Da questa mucca ottenevano del latte da poter vendere. Con i profitti provenienti della vendita del latte potevano pagare la scuola dei figli. In più, parte del latte lo potevano tenere per loro stessi e la loro casa. Ora questa esperienza si è moltiplicata: oltre alle prime 70 famiglie, che abbiamo raccolto nei primi cinque anni, altre persone hanno chiesto di poter partecipare. Così abbiamo formato una piccola società locale che raccoglie tutto il latte, lo vende e lo commercializza. Adesso sono 450 le famiglie che partecipano. Tra gli altri progetti a cui ho partecipato personalmente c’è questa scuola, che abbiamo cominciato nel 2009, è una scuola giovane. Abbiamo visto che c’era davvero bisogno di creare un percorso per i bambini, perché inizialmente tutti i bambini erano in scuole primarie statali dove le risorse sono poche e il sistema educativo è debole, non riesce veramente a toccare lo studente. La bravura dell’insegnante, lo sappiamo bene, non è abbastanza per compiere questo cammino con gli studenti. Così abbiamo aperto una scuola dove poter fare questo cammino con insegnanti, alunni e famiglie, la San Pampuri. Puoi spiegare un po’ più nel dettaglio la relazione tra questi elementi? Perché esistono anche altri progetti educativi che si occupano di istruzione.


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Anch’io, in quanto educatore, ho partecipato a questi progetti insieme ai miei amici di Nairobi. Il mio cuore è rimasto toccato e io ho dovuto proporre questo lavoro anche ai miei insegnanti. Secondo il programma governativo, il maestro deve dare agli alunni le conoscenze necessarie per permettergli di passare gli esami. Non tocca il tuo cuore. Noi, invece, vogliamo educare il cuore e contemporaneamente la mente, cosicché lo studente che esce da questa scuola sarà un uomo in grado di stare in piedi, un uomo in grado di avere un impatto sulla società. È il nostro scopo primario. E abbiamo cominciato a vederne i risultati.


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Quali sono le differenze di questo approccio? Nelle altre scuole, primarie o secondarie, l’unico modo che l’insegnante ha per tenere la classe è la forza. Punisci, urli, discuti, riduci lo studente tanto da farlo diventare un oggetto che puoi manipolare. Quello che vogliamo noi dalla nostra scuola è un’amicizia, così che i ragazzi possano creare un rapporto con i loro professori. Desideriamo che anche i genitori compiano questo cammino con noi, perché anche loro in genere pensano che per educare un figlio sia necessaria la forza, ed è questo concetto che stiamo combattendo.


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I genitori, gli insegnanti fuori pensano che punire sia necessario all’educazione, ma noi pensiamo l’esatto contrario. Noi ci aspettiamo che i nostri maestri, mentre insegnano matematica o inglese, vivano un’amicizia con i loro alunni, in modo che gli alunni, nel loro percorso personale, possano capire di avere un insegnante diverso dagli altri. Mi ricordo la storia di un ragazzo i cui genitori non erano più in grado di pagare la retta e volevano riportarlo alla scuola pubblica. Lui si è rifiutato. Ha detto che potevano prendergli tutto, l’uniforme, tutto, ma che lui sarebbe rimasto qui con i suoi insegnanti. Ci sono delle differenze con i programmi scolastici delle altre scuole, nel metodo? Cosa cambia sul livello umano? Se c’è una cosa di cui sono certo è che un alunno imparerà molto di più in un ambiente meno doloroso, meno intimidatorio, dove si sente voluto bene, dove è voluto bene dai suoi insegnanti. Parlando di voti vale lo stesso ragionamento, e i nostri voti sono più alti. Ci sono anche molte meno assenze, i bambini non abbandonano la nostra scuola. Nelle altre, invece, i bambini scappano, si annoiano, vogliono andare subito a lavorare. I nostri alunni vengono a scuola tutti i giorni. Questo è già un bel risultato ed è quello che vogliamo dimostrare a tutti, che con meno violenza i bambini imparano di più e imparano ad amare la scuola. Voglio comunicare questo metodo agli altri insegnanti, ai genitori. Abbiamo organizzato anche dei seminari per presentarglielo. Noi vogliamo generare persone che si rendano conto del loro valore, rispettino sé stesse e rispettino gli altri. Sono consapevoli della loro stessa dignità e così sono consapevoli anche della dignità dell’altro. Questo è il nostro vanto, il desiderio della nostra piccola attività. L’imponenza di questi problemi, di qualità della vita, di povertà danno un senso di disperazione. Molti credono che sia colpa del sistema, o credono in un’ideologia, ma il vostro è un approccio diverso. Voi seguite l’approccio all’educazione di Giussani. Puoi parlarcene?


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Siamo certi che non esista un sistema politico che possa aiutare la persona. Per quanto bello e buono non c’è un sistema umano che riesca a racchiudere tutta la persona. Per coinvolgere l’altro, devi arrivare al suo cuore. Con una proposta. Una proposta che sia proporzionata ai suoi bisogni, al suo desiderio. Non c’è sistema che possa davvero risolvere il problema dell’uomo. Nessuno, mai. Abbiamo bisogno di un’umanità nuova. Abbiamo bisogno di persone davvero diverse. Ciò che permette all’umanità, alla gente, di cambiare, è il cuore. Un cuore che ha incontrato Gesù. Hai bisogno di incontrare una persona, un volto che ha già incontrato qualcosa. Un’umanità diversa. Devi incontrare persone il cui cuore è cambiato. Può succedere a scuola, per strada, al lavoro, e può succedere anche in chiesa. Sono le persone, Dio ci ha dato delle persone. Loro sono lì, hai bisogno del tuo cuore per incontrarle, del tuo cuore aperto. Come ho detto prima, io queste persone le ho incontrate all’università, all’ultimo anno, per caso. E quando le ho incontrate mi sono chiesto chi fossero, perché erano così diversi. Persone interessate a te, al tuo cuore. Presenti. Ed è per questo che lo siamo anche noi.


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