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IL MEDICO DEL POPOLO

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Coll ana Telemaco

Coll ana Telemaco

Vita e opera di José Gregorio Hernández

A cura di Carlos Izzo, Leonardo Marius

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Coordinamento editoriale

Alejandro Marius, Eugenio Dal Pane

Traduzione

Angela Gabriela di Ludovico

Presentazione di Baltazar Enrique Porras Cardozo comprendere la sua vita sapendo che si tratta di un uomo proveniente da un piccolo villaggio quasi insignificante, sperduto nel mezzo delle montagne andine venezuelane, in un’epoca di guerre, penurie di ogni genere e senza un orizzonte di miglioramento in un Paese impantanato nell’arretratezza.

Il mondo di oggi tende a truccare i volti veri, sfigurandone l’immagine, vendendoci una caricatura di scarso valore, perché l’autenticità è oscurata. Il lavoro onesto, il servizio agli altri, soprattutto agli emarginati, il primato dell’amore di Dio come motore della vita hanno poca rilevanza. Forse è per questo che, quando ci viene proposta la biografia di un “santo”, aggrottiamo le sopracciglia come se fosse qualcosa di poco attraente. Dobbiamo fare la doppia esperienza che fece Ignazio di Loyola leggendo libri di cavalleria o vite di santi. La prima ci riempie di un entusiasmo passeggero, ma lascia un vuoto; al contrario, il secondo tipo di lettura porta pace e tranquillità.

La vita di José Gregorio Hernández, medico del popolo, scienziato, ricercatore e innovatore della scienza medica, credente di profonde convinzioni, preoccupato per la salute di tutti, ma con una speciale predilezione per i più poveri, ci sconvolge. La sua immagine più popolare è la foto che lo ritrae vestito in abito scuro, elegante, con un cappello alla moda e l’atteggiamento di un uomo serio e introverso. Ugualmente possiamo notare che era una persona allegra, amante della musica e del ballo, che amava i momenti di svago in famiglia, e allo stesso tempo puntuale e diligente nell’adempimento della sua missione di medico e ricercatore.

Tuttavia, è qui che dobbiamo chiederci se abbiamo a che fare con un uomo fuori dal comune, una specie di superuomo, o con il fatto che le circostanze avverse, quando sono fecondate dall’humus trasformante della famiglia e di un ambiente umile, in cui si trasmettono le virtù umane più semplici, producono la trasformazione degli esseri umani in persone buone che, con la loro testimonianza, abbagliano e trasformano l’ambiente che li circonda.

José Gregorio Hernández ha due vite. Il suo ciclo vitale va da quando è nato fino a quando ha incontrato la morte inaspettatamente, investito da un’auto mentre attraversava la strada.

La prima fase della sua esistenza è stata percepita e assunta tranquillamente da coloro che lo circondavano. Dal momento della sua morte fisica, è nato, potremmo quasi dire risorto, il José Gregorio che tutti portiamo dentro di noi. La bucolica e pacifica città di Caracas, nel 1919, si trasformò in una folla in fermento che sentiva spontaneamente che quell’uomo non era solo un altro, ma l’espressione più profonda di ciò che tutti noi vorremmo essere: persone buone. Da quel momento nacquero l’ammirazione e la devozione, espresse da amici che professavano idee e convinzioni diverse dalle sue, e la manifestazione più sentita di tutte le classi sociali che scoprirono attraverso di lui il desiderio, spesso sommerso in mezzo alle vicissitudini della vita quotidiana, grazie al quale viene a galla la nostalgia di essere migliori che tutti portiamo dentro.

Il libro che stiamo presentando è una parabola in azione. Non è una storia del passato. Il suo messaggio ci interpella come se fosse una questione di vita quotidiana, vicina a noi. Tutto questo è stato il frutto di una unità generata dalla fede vissuta da Giuseppe Gregorio, che è diventata un fattore unificante, allora come oggi, per tutto il popolo. Siamo di fronte a un essere con l’odore del popolo. Proveniva da un villaggio sperduto nelle Ande, dove si è formato con disciplina, serietà e misticismo, valori trasmessi dai suoi genitori, dal suo maestro e dal sacerdote del villaggio, una trilogia che ha piantato in lui una fede radicata nelle semplici circostanze della vita del villaggio. Inviato dal padre nella capitale, divenne un grande scienziato e professore di fama nazionale e internazionale, che non dimenticò né trascurò mai le sue origini. Il contesto autoritario e anticlericale della sua permanenza in Venezuela è stato il crogiolo per purificare la sua fede, senza rancore o odio, con una perseveranza guidata dalla stessa fede.

Una seconda sfaccettatura policroma gli ha permesso di coltivare tutto, dalle cose e dai mestieri più semplici alle esigenze della sua professione, la sua fondamentale vocazione di medico, professore universitario e ricercatore pioniere. Fede, scienza e umanità si univano all’amore e alla maestria per la pittura, la sartoria, la danza e la musica. Un figlio del suo tempo. Si dilettava di scienza, filosofia e letteratura, lasciando diverse pubblicazioni che lo testimoniano. Un uomo davvero normale e poliedrico.

In terzo luogo, la sua vita fu concepita come una vocazione, che lo portò ad andare oltre il dominio della medicina. Tentò la vita contemplativa e il sacerdozio, ma poi la buona stella dell’arcivescovo di Caracas lo inclinò definitivamente a vedere la volontà di Dio nella sua dedizione, nel suo impegno laico come insegnante, scienziato e servitore del popolo, cosa che la stessa realtà venezuelana chiedeva a gran voce. E lui ha saputo portarlo avanti senza risparmiarsi. Si è confrontato con i migliori scienziati del suo tempo, con i quali ha stretto una sincera amicizia, nonostante le differenze ideologiche. Nel mondo di oggi, dove le differenze sono accentuate, ha coltivato con semplicità l’idea di essere uno del suo popolo senza diritto ad avere privilegi, ma piuttosto a servire.

Una caratteristica di spicco è il titolo di dottore dei poveri e della pace. In vari passaggi della sua vita è evidente la sua dedizione ai poveri e agli indigenti, sempre con estremo riserbo, delicatezza e attenzione per ognuno di loro. Si evincono anche il suo distacco e la sua libertà di fronte al potere e la sua chiara opzione per i poveri. Aveva una coscienza universale, una dimensione della sua vita che trascendeva i confini del suo Paese, immerso nella sua quotidianità senza troppi riferimenti al mondo circostante. Tale coscienza si è concretizzata nell’offerta della sua vita per la pace nel mondo, un fatto che dice la sua consapevolezza del valore e della dedizione della vita, così come la chiarezza della dimensione universale/cattolica di ogni gesto, con un orizzonte di eternità.

La dimensione senza confini della sua vita non sorprende. Non è quindi una semplice aggiunta il fatto che papa Francesco lo abbia nominato copatrono della Cattedra di Pace dell’Università Lateranense, un chiaro messaggio che la guerra non è la strada giusta per la pace e la convivenza dei popoli.

Da qui il profondo legame del popolo con la sua persona e come questo abbia generato espressioni diverse. Egli è il catalizzatore dell’unità in una società come quella venezuelana in cui lo scontro e l’esclusione dell’altro sono proposti come la via maestra della società. Il suo fascino e la sua devozione vanno oltre l’esperienza cristiana, per questo attrae persone di diverse confessioni o agnostiche, generando importanti conversioni nel campo della convivenza che pro- clama la fraternità e il servizio come via per il vero progresso materiale e spirituale. Le espressioni artistiche ne fanno un modello da imitare come riferimento culturale presente nella vita quotidiana della gente. Il miracolo, nella cultura latinoamericana e venezuelana, non è un’espressione tangenziale dell’esistenza; il miracolo permanente della fraternità e del servizio diventa il motore della vita, che genera una corrente di gratitudine per tutti coloro che vi si avvicinano.

Vi invito a leggere questa breve sintesi della sua vita, che ci mostra un modo di vivere la fede che favorisce il bene comune, la riconciliazione e la costruzione della pace sociale.

Rendere presente la sua vita e la sua opera al Meeting di Rimini è un inno che ci aiuta a promuovere il dialogo, l’incontro nella diversità dei pensieri e delle posizioni che ci portano all’uguaglianza integrale, l’unica che conduce alla pace. Concludo con le parole incoraggianti di papa Francesco nel suo messaggio in occasione della beatificazione del medico dei poveri José Gregorio Hernández Cisneros, un evento significativo nel bel mezzo della pandemia che ha colpito il mondo: «Sull’esempio del dottor José Gregorio, che siate capaci di riconoscervi reciprocamente come uguali, come fratelli, come figli di una stessa Patria. Che vi mostriate disponibili a servire, e abbiate la sufficiente umiltà per lasciarvi servire, per aiutare a lasciarvi aiutare, per perdonare e lasciarvi perdonare. Non dimenticatelo: gli uni agli altri o, come diceva quella vecchietta, “e gli altri agli uni”. Reciproco, sempre».

✠ Baltazar Enrique Card. Porras Cardozo Arcivescovo Metropolitano di Caracas

Murales nelle strade de La Pastora, il quartiere più antico di Caracas dove José Gregorio ha vissuto gli ultimi anni della sua vita.

«Non hanno seppellito un uomo, ma un ideale umano che è passato trionfalmente e al passaggio del feretro tutti abbiamo sperimentato il desiderio di essere buoni.» Queste parole, che si dice siano state pronunciate dallo scrittore venezuelano Rómulo Gallegos, fanno subito comprendere che siamo di fronte a una persona eccezionale.

La morte inaspettata del dottor José Gregorio Hernández è diventata un evento storico che ha posto davanti a tutti un ideale di umanità che supera tutte le credenze e le ideologie. È stato uno di quei momenti di grazia non così comuni, in cui la forza e la profondità di ciò che è stato vissuto e donato si connettono con la parte più autentica di ogni essere umano, in cui ognuno, facendo i conti con il senso della propria vita, può riconoscere un ideale per cui vivere e morire.

Uno dei suoi contemporanei lo paragonò a Pascal, dicendo: «In lui c’era un saggio, un cristiano, un uomo. Ognuno dei tre è uno, e l’uno è l’altro, e i tre non fanno più di uno»1. Il giorno del suo funerale, la gente, di propria iniziativa, prese la bara dalla carrozza che lo trasportava al cimitero e la portò a spalla per quattro chilometri fino al luogo preposto, con un appello semplice, ma profondo, espresso a una sola voce: «José Gregorio è nostro».

Uno dei suoi primi biografi scrisse sul suo funerale in questi termini: «Il governo, il clero, la stampa, le accademie, gli studenti, il commercio, la società e tutto il popolo lo accompagnarono fin dal primo momento e si unirono a lui per fare la più sontuosa manifestazione»2.

Nessun personaggio pubblico nella storia del Venezuela ha mai unito così tante persone e di tutti i settori della società con un unico grido. Si stima che la città di Caracas avesse allora una popolazione di circa 100.000 abitanti e si dice che 30.000 abbiano partecipato al suo funerale.

Abbiamo voluto introdurre questa pubblicazione, iniziando un percorso a partire da questo evento eccezionale, la sua partenza verso il cielo, nel quale è venuta alla luce l’umanità di un uomo che, nel suo dare tutto sé stesso a Cristo, ha realizzato una profonda sintesi tra scienza e fede, tra educazione e carità.

Per questo motivo, la nostra intenzione nello scrivere queste righe che seguono, redatte dal professore Carlos Izzo, direttore della Scuola di Filosofia dell’Università Cattolica Andrés Bello di Caracas, è quella di offrire alcune note biografiche che mettono in evidenza gli aspetti fondamentali della vita e dell’opera del dottor José Gregorio Hernández, il primo a essere dichiarato Beato dalla Chiesa cattolica venezuelana.

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