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L’ Avvento e il Natale

Caro catechista, l’Avvento è tempo di attesa. Attendere vuol dire tendere a… L’uomo, per natura sua, tende sempre a qualcosa, a qualcuno. Spesso scopre che ciò a cui tende non lo appaga, non lo soddisfa, non gli basta. Ma è importante prendere coscienza che, se non si attendesse nulla, la vita sarebbe morta prima della morte. Pavese ha scritto:

La lentezza dell’ora è spietata, per chi non aspetta più nulla.

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L’Avvento diventa allora la metafora di tutta la nostra vita. La nostra vita è bella, ha un senso perché è attesa di Lui, del Salvatore, di Colui che ci salva dall’assurdo. Per questo l’Avvento è anche tempo di desiderio. Guai a noi se perdessimo il desiderio! De-siderio deriva da de, che ha un significato di privazione, e sidus che vuol dire stella. Si potrebbe dire insomma che il desiderio umano è essenzialmente mancanza di stelle. L’uomo è fatto per le stelle, per il cielo, in una parola per l’Infinito, per l’Eterno, per Iddio. L’uomo allora sarà veramente felice solo se, e quando, avrà realizzato il suo desiderio, quello cioè di raggiungere le stelle, quello di possedere l’Infinito e quindi Dio.

Di fronte all’enigma dell’esistenza umana è proprio il Natale del Signore la risposta che noi attendevamo, la risposta di cui avevamo drammaticamente bisogno.

Quello che noi celebriamo nel Natale si può riassumere nelle parole, semplici e solenni, del Prologo di san Giovanni (Gv 1,1-18): «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi».

Nel testo originale greco, il Verbo è chiamato Logos, che vuol dire Parola, Significato, Spiegazione, Ragione. L’affermazione del prologo dunque vuol dire che Colui che è l’eterno Significato dell’uomo e della storia, Colui che è la spiegazione del mondo, si è fatto carne. È diventato uomo come noi. Colui che rende logico, sensato il mondo, l’esistenza tutta, si è fatto uomo, è entrato nella storia e l’uomo lo ha potuto vedere, incontrare, toccare.

Nell’udienza generale del 17 dicembre 2008, Benedetto XVI spiegò che «Quel che Giovanni, chiama in greco ho logos – tradotto in latino Verbum e in italiano il Verbo – significa anche il Senso. Quindi, potremmo intendere l’espressione di Giovanni così: il Senso eterno del mondo si è fatto tangibile ai nostri sensi e alla nostra intelligenza; ora possiamo toccarlo e contemplarlo (1Gv 1,1). Il Senso che si è fatto carne non è semplicemente un’idea generale insita nel mondo; è una Parola rivolta a noi. Il Logos ci conosce, ci chiama, ci guida. Non è una legge universale, in seno alla quale noi svolgiamo poi qualche ruolo, ma è una Persona che si interessa di ogni singola persona: è il Figlio del Dio vivo, che si è fatto uomo a Betlemme.

A molti uomini, e in qualche modo a noi tutti, questo sembra troppo bello per essere vero. In effetti qui ci viene ribadito: sì esiste un Senso, e il senso non è una protesta impotente contro l’assurdo. Il Senso ha potere: è Dio. Un Dio buono, un Dio che si è fatto nostro prossimo e ci è molto vicino, che ha tempo per ciascuno di noi e che è venuto per rimanere con noi».

Si racconta che una volta qualcuno abbia posto al famoso giornalista Indro Montanelli, ormai molto anziano, questa domanda: «Quali sono le sue prospettive? Cosa vede nel suo futuro?». E lui secco: «Un loculo!».

Non mi dire, ti prego, che questi sono temi troppo difficili per i ragazzi. I ragazzi, come ci diceva una volta Franco Nembrini, non sono stupidi, capiscono meglio di noi tante cose e anche l’esperienza della morte raggiunge purtroppo, in vari modi, non di rado, anche loro. Se ti posso fare una confidenza, il bambino di mia nipote – nota bene, di sei anni –, pochi giorni fa, si è rivolto alla mamma con queste parole: «Mamma, ti prego, tu non morire mai, ti prego!». Altro che difficile, come vedi!

Se Dio, il Senso eterno, non entra nella storia, nella nostra storia, noi siamo spacciati. Lui solo, fattosi uomo in Gesù di Nazareth, può dare senso e risposta alla vita e anche alla morte. Il Natale è l’Eterno che entra nel tempo e il tempo che entra nell’Eterno. L’abisso che separa la terra dal cielo, il visibile dall’invisibile, il tempo dall’eternità, è colmato per sempre. Siamo liberi per sempre dalla paura e dalla morte.

Ma nel termine Logos, Verbo, dobbiamo cogliere un altro significato. Se io parlo vuol dire che mi rivolgo a qualcuno e aspetto una risposta. Parola è sinonimo di rapporto, di dialogo, di relazione, di compagnia. Se Gesù è il Logos, e se il Logos è Parola che si rivolge a te, allora vuol dire che il Logos è anche amore che chiama, che interpella, che coinvolge. Insomma Logos coincide anche con Amore.

Nel Prologo Giovanni scrive che «Il Verbo ha piantato la sua tenda in mezzo a noi». Gesù, cioè, ha scelto di rimanere con noi, di condividere la nostra realtà quotidiana, di condividere la nostra precarietà (la tenda è una sistemazione provvisoria), di partecipare alla nostra vita terrena perché noi possiamo partecipare alla sua vita celeste ed eterna.

Dopo aver proclamato l’Incarnazione del Verbo, il Prologo aggiunge un’altra affermazione importantissima: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14).

Il vangelo di Giovanni è quello in cui ricorre spesso il verbo “vedere”. È il bisogno fondamentale dell’uomo: vedere l’Invisibile, vedere Dio.

Non per nulla Giovanni Pascoli, nel suo poemetto, Il cieco, simbolo della condizione umana, ha scritto:

Donde venni non so; né dove io vada saper m’è dato […] Vano il grido, vano il pianto. Io sono il solo dei viventi, lontano a tutti e anche a me lontano […] Ed egli [il cieco] stava, irresoluto, a bada del nullo abisso […].

Il Natale risponde proprio a questa cecità umana. «Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di Verità». Il Natale è proprio questo: Dio finalmente si fa vedere in Gesù. L’uomo non è più cieco.

Come vedi il tempo dell’Avvento e quello del Natale sono particolarmente favorevoli per te, catechista. Quanta gioia devi trasmettere ai tuoi ragazzi e alle loro famiglie, quanto entusiasmo di fronte a questi doni!

Anche la società civile, in questi giorni, sembra accendersi a una nuova speranza, a un clima di festa e di amicizia. Questo è il tempo degli auguri, degli addobbi festosi, delle luci che si accendono, dei regali, delle famiglie che si riuniscono. Noi spesso, e giustamente, combattiamo il consumismo che accompagna queste feste, ma forse non tutto è da buttare. Che il Natale sia per tutti un richiamo alla gioia e alla bontà è bello. La festa, l’espressione amichevole degli auguri, la tradizione di scambiarci un dono che ci spinge a rafforzare i nostri affetti e le nostre amicizie, il trionfo della gratuità e della generosità, tutto questo non può essere che positivo e consolante.

L’unica cosa che preoccupa è che spesso si fa festa, ma senza sapere perché e per chi. Se si fa festa solo perché si decide di far festa, ma ce ne manca il motivo, allora la festa diventa angosciante perché appare solo come la copertura di un vuoto e questo è insopportabile. In questa festa manca il festeggiato, diceva il cardinale Giacomo Biffi.

Tu, invece, aiuta i tuoi ragazzi a vedere Dio, a vedere la luce, liberali dal buio e dall’assurdo. Mostra loro il volto umano, visibile di Dio, quello che Lui ha assunto in Gesù di Nazareth.

L’ultima parola riguarda Maria, la Madre di Gesù e nostra.

Quando nasce un bambino non si può non pensare alla madre. Anche nel caso di Gesù la protagonista è Lei, Maria. Ti vorrei chiedere di non trascurarla nella tua catechesi ai bambini. Lei è il nostro modello, lei è colei che davvero è Madre nostra. La madre è colei che ci dà la vita, ma Maria ci ha dato Gesù che è la nostra vera vita, la nostra unica vita, quella vita eterna che non conosce tramonto. È Lei che ci dà, con Gesù, la vita più forte della morte. Non possiamo vivere questo tempo di Avvento e di Natale senza far riferimento a lei. È da lei che abbiamo ricevuto tutto. È dal suo sì umile e obbediente, totale ed eroico, che è venuta a noi la salvezza e la gioia. Non possiamo amare Gesù senza amare appassionatamente la sua e nostra Madre.

Solo in quest’amicizia (con Cristo) noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera.

Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita.

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