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Mario Mannucci Lo chiamavano "Maestro" era un "Professore"

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■ Lo chiamavano "maestro", era un professore. È stato un fantastico navigatore. Compagno di viaggio di grandi piloti. Attento, preciso, ordinato. Una istituzione. Con Sandro Munari formava una coppia invincibile. Sorridente, alla mano, cordiale. Coraggioso. Una volta sedutosi sul sedile di destra si trasformava. Professionale all'ennesima potenza. Niente lasciava al caso: dalle ricognizioni agli ultimi metri di gara non perdeva mai il filo. Sempre lucido e instancabile. Elegante pure.

Mario Mannucci, scomparso nel 2011, è stato un esempio per tutti, un "Maestro" che ha nobilitato la figura del navigatore elevandola d'importanza e di valore, dando spessore ad un ruolo ingiustamente ritenuto di secondo piano. Non più un passeggero per controllare tabelle dei tempi, orari e regolamenti ma un vero e proprio coéquipier, un secondo pilota in grado di "guidare" il primo con note e radar letti senza incertezze, capace di organizzare assistenze meglio di un ingegnere gestionale, pronto a mettersi al volante nei lunghi trasferimenti. Adesso c'è un libro che lo racconta. Scritto da Mario De Vivo, giornalista, conduttore ed ideatore di programmi televisivi e radiofonici con la passione dei motori, navigatore anche. Uno del settore, insomma, esperto e competente. Solleticato da Ariella Pangaro

Preziose le pagine della moglie Ariella Pangaro

Mannucci, le testimonianze del figlio Manuel e di Flavia Munari e la prefazione di Carlo Cavicchi

Mannucci, che accanto a Mario ha passato oltre mezzo secolo, ha ripercorso i momenti più significativi di una carriera che definire stellare è riduttivo.

"Starlo ad ascoltare - scrive nella prefazione Carlo Cavicchi, il "maestro" dei giornalisti che masticano rally - era un dovere oltre che un piacere, perché ne sapeva una più del diavolo avendo passato più di vent'anni a gareggiare in giro per il mondo. Piaceva a tutti anche per questo, oltre che per la bravura e per il sapere stare sempre al suo posto".

Era proprio così, Mario, competente, schietto e bravo. Preceduto, per fama, solo da Luciano Lombardini, che un destino crudele ha strappato troppo presto alla vita.

C'è tanto di Mannucci nella mitica cavalcata della Fulvia HF contrassegnata dal numero 14 al Monte Carlo del 1972. Una vittoria incredibile, costruita prova dopo prova, con il Turinì giudice severo e imparziale. Un successo inseguito con pazienza e meticolosità. Rubando ore al riposo per rivedere ancora una volta curve e tornanti dell'entroterra monegasco, per rilevare placche di ghiaccio, per segnare sul quaderno delle note i tratti innevati più insidiosi.

Se Sandro, in quelle magica notte che portò la Lancia sul podio più alto, interpretò alla perfezione il ruolo del driver tutto "cuore", Mario fu il "cervello" lucido ed infaticabile, capace di leggere tra le rughe dell'asfalto ghiacciato gli indizi che li avrebbero portati ad un trionfo inaspettato, battendo gli squadroni dell'Alpine e della Porsche, squagliatisi via via che il traguardo si avvicinava.

Da quel Monte Carlo targato 1972 il "peso" del navigatore non fu più "zavorra" ma parte attiva e importante dell'equipaggio. Fino ad allora gli elenchi dei partenti e le classifiche ufficiali riportavano solo il nome del pilota...

Mario Mannucci ha attraversato gli anni più belli e affascinanti dei rally passando dal seggiolino della Fulvia a quello prestigioso della Stratos e poi ancora della Fiat 131 Abarth e della Ritmo chiamando le note non solo a Sandro ma anche all'emergente Attilio Bettega, senza fare una piega nonostante il passaggio dal celebrato campione all'acerbo ragazzo di belle speranze. Un grande professionista, Mannucci. Sincero anche quando gli voltarono le spalle, pronto a farti l'occhiolino al momento opportuno per suggerirti, con un cenno quasi invisibile, di approfondire e cercare tra le pieghe della competizione i motivi di un ritardo o di un motore bolso.

L'ultima gara la corse al fianco di Gianfranco Cunico, il vicentino che negli anni a venire avrebbe scalato le classifiche tricolori. Era il 1980, novembre. Lancia Stratos la vettura, San Marino il rally, quello che consegnò il primo titolo italiano (Gruppo Due) a Miki Biasion. "Mario Mannucci. Il "Maestro" dei navigatori", edito da Giorgio Nada, si legge tutto d'un fiato. Il racconto di Mario De Vivo cattura, sospende il tempo, conquista. Toccanti anche le pagine scritte da Ariella, la moglie, che è riuscita a ritrarre con delicatezza e amore Mario nei giorni della sofferenza e della malattia. Preziose le testimonianze del figlio Manuel e di Flavia Munari. Un libro che non può mancare nelle librerie degli appassionati di motori. "Mario Mannucci. Il "Maestro" dei navigatori" di Mario De VivoGiorgio Nada Editore

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