ALIGHIERO E BOETTI - SEMIOTICA EXAM

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ALIGHIEROEBOETTI



ALIGHIEROEBOETTI Esame di Semiotica A.A. 2020/2021 Giulia Zorzi



Alighiero Boetti, Scrivere con la sinistra è disegnare, Insicuro Noncurante, 1966-75.

Alighiero Boetti scrive a due mani, 1970. Foto di Paolo Mussat Sartor.



INDICE

PREMESSA TRA SÉ E SÉ

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INTRODUZIONE METTERE AL MONDO IL MONDO

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BIOGRAFIA ALIGHIERO&BOETTI

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FILO CONDUTTORE FAR QUADRARE TUTTO

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ANALISI DELLE OPERE SEGNO E DISEGNO

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GEMELLI 1968

29

I VEDENTI 1967

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11 LUGLIO 2023 16 DICEMBRE 2040 1971

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ONONIMO 1973

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ORDINE E DISORDINE 1973

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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PREMESSA TRA SÉ E SÉ

Alighiero Boetti mentre realizza il ritratto di Giorgio Colombo, Galleria Franco Toselli, Milano, 1973.

L’analisi svolta sarà incentrata sulle opere di Alighiero Boetti, uno dei giganti dell’arte italiana e internazionale del 1900. Fin dalla prima volta in cui mi sono imbattuta in un arazzetto da lui ideato, sono rimasta affascinata dall’ingegno e la forza di comunicazione di Boetti, ancora vibrante e viva nella sua arte. Ciò che più mi attrae dell’aspetto dei suoi lavori, apparentemente simili alla Pop Art per la molteplicità cromatica, l’eloquenza e la giocosità, è l’enigma nascosto al loro interno, il quale si rivela solo a coloro che sono disposti a stare al gioco e alle regole dell’artista. Altro motivo di attrazione è la scelta da parte di Boetti di utilizzare il ricamo come metodo espressivo per le sue opere, le quali, ho scoperto in seguito, furono eseguite dalle ricamatrici afgane, che potremmo azzardarci a chiamare le collaboratrici di Alighiero Boetti, con le quali condivide le proprie idee per renderle concrete e fisiche attraverso i loro ricami. L’Afghanistan è stato un luogo davvero speciale per Alighiero Boetti, un luogo dove

poteva vivere un’altra vita sotto le vesti di Alì Ghiero, come lo chiamavano gli amici del posto. E questo è un altro elemento importante, a mio avviso, della figura dell’artista, ovvero quello di amare la diversità in tutti i suoi aspetti e di ricercare la connessione fra mondi lontani, a tal punto da riuscire a stringere un forte legame di collaborazione e dialogo con persone e artigiani dall’altra parte del mondo. La sua non è stata un’operazione di puro colonialismo culturale, ma bensì di ibridazione culturale in cui, attraverso le opere, le due culture si amalgamano per dare vita a quei ricami che ancora oggi riescono ad avere un così forte impatto poetico, che guarda oltre i confini e simboleggia come ogni cosa sia profondamente intrecciata. Trovo ammirevole la figura di Alighiero Boetti, un artista capace di generare un’arte che è riuscita a continuare a vivere ed essere importante per le generazioni successive, capace di insegnare a guardare il mondo da un’altra prospettiva.

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Alighiero Boetti e Salman Ali nello studio di Piazza S. Apollonia 3. Foto di Giorgio Colombo, 1973.

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INTRODUZIONE METTERE AL MONDO IL MONDO

In un periodo compreso tra la metà degli anni Sessanta fino alla sua prematura scomparsa nel 1994, Boetti ha sperimentato un percorso libero dalle facili etichette, nel quale le definizioni di arte povera o di arte concettuale sembrano quasi semplificare la portata della sua poetica1. Anche se si sta facendo molto nella sistematizzazione del primo catalogo generale², come ha evidenziato Jean-Christophe Ammann, l’opera di Boetti ha a lungo sofferto di alcuni limiti che ne hanno frenato una puntuale riflessione critica³. Boetti è stato un artista poliedrico capace di intrattenere una fitta rete di rapporti umani tramite la sua arte. Ne sono la prova fisica i cosiddetti arazzi e arazzetti, scaturiti da un’intenso scambio interculturale con l’Oriente Afghano, che coinvolge totalmente gli ultimi decenni della sua vita, tra drammatiche vicende di guerra e d’esilio. Sicuramente qui stanno riposte le

ragioni principali del fascino che l’opera di Boetti continua ad esercitare ancora oggi: l’aver messo in discussione la propria centralità come Occidentale e come artista e l’avere ritirato una parte consistente della propria autorialità per lasciare spazio alla relazione con l’altro. D’altronde sulla messa in opera della “relazione”, Boetti è a modo suo, uno dei grandi iniziatori4. Il primo viaggio che l’artista intraprende in Afghanistan coincide con una voluta presa di distanze dal clima artistico europeo, nell’esigenza di trovare una nuova dimensione esistenziale e creativa. I ricami e i tappeti sono la punta di diamante dell’intera poetica dell’artista e concentrarsi proprio su questi lavori consente di esplorare l’universo di concetti, pratiche e sistemi che hanno reso l’arte di Boetti unica nel panorama artistico mondiale5. Il dialogo iniziato con le ricamatrici e i tessitori è un dialogo

1 G. Briganti, Semplici festi in fondo a un labirinto, in “La Repubblica”, 9 Aprile 1978, poi in Alighiero & Boetti, catalogo della mostra (Ravenna, Pinacoteca Comunale - Soggetta Lombardesca, 15 Dicembre 1984 - 27 Gennaio 1985), a cura di A. Boatto, collana “Artisti Contemporanei”, a cura di G. Guberti, Ravenna, Essegi, 1984, pp. 185-186. Cfr. anche Alighiero Boetti, catalogo della mostra (Parigi, Galleria Tornabuoni Arte, 18 Marzo - 5 Giugno 2010), a cura di A. Sauzeau, Milano, 24 ORE Cultura, 2010, pp. 42-73. 2 Alighiero Boetti. Catalogo generale. Tomo primo, opere 1961-71, a cura di J.C. Ammann, Milano, Electa, 2009 e Alighier o Boetti. Catalogo generale. Tomo secondo, opere 1972-1979, a cura di J.C. Ammann, Milano, Electa, 2012. 3 J.C. Ammann, Dare tempo al tempo, in Alighiero Boetti 1965-1994, catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 10 Maggio - 1 Settembre 1994), a cura di J.C. Ammann, M.T. Roberto, A. Sauzeau, Milano, Mazzotta, 1996, pp. 15-16. 4 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova, commento di G. Bartorelli pp. 17. 5 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 12


che da artistico diventa interculturale, nel quale un progetto di base concettuale mira alla concreta realizzazione attraverso la relazione con gli “altri”. Come sottolinea Nicolas Bourriaud, «il rapporto arte-tecnica che trova una delle sue migliori manifestazioni nelle commissioni a tappeto di Boetti, è il presupposto per quel “realismo operativo” che struttura innumerevoli pratiche contemporanee, definibile come l’oscillazione dell’opera d’arte tra la funzione tradizionale di oggetto da contemplare e il suo inserimento nel campo socio-economico»6. Attraverso il depotenziamento del ruolo dell’artista, l’eliminazione della divisione tra arte e pratiche artigianali e la creazione di opere che nel loro complesso sono pensate dall’artista come dei sistemi a base ludica la cui vocazione è quella di comunicare con il mondo intero, Boetti è diventato un’imprescindibile figura di riferimento per

gli artisti che hanno esordito tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta7. Se oggi termini quali multiculturalismo e contaminazione sono entrati nel vocabolario corrente dell’arte, il merito di aver praticato alcune di queste significative aperture è da ricondurre anche alla figura di Alighiero Boetti. I ricami e i tappeti infatti, citando Norman Rosenthal «si trasformano così nel progetto per un mondo migliore»8, poiché esaltano il risultato armonico che può emergere dall’unione di mondi rimasti a lungo separati. Nella particolare concezione di Boetti, l’opera nata da questa sua relazione con innumerevoli “altri” non è più il fine unico del lavoro dell’artista, ma è uno strumento per reinventare il proprio rapporto col mondo: o meglio, per dirla come Boetti, per «mettere al mondo il mondo»9.

6 N. Bourriaud, Esthétique relationelle, Dijon, Les presses du réel, 1998 (trad. it. Estetica relazionale, Milano, Postmedia, 2010, pp. 67). 7 S. Chiodi, Una sensibile differenza. Conversazioni con gli artisti italiani di oggi, Roma, Fazii, 2006, pp. 363387 e Id., La discordanza inclusa. Arte e politica dell’arte, in Il confine evanescente. Arte italiana 1960-2010, a cura di G. Guercio, A. Mattirolo, Milano, Fondazione MAXXI-Electa, 2010, pp. 157-195. Cfr. A. Vettese, Non marsalarti: istruzioni per l’uso di Boetti, in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., pp. 55-588. 8 N. Rosenthal, Perdere il filo. Riconoscere Alighiero, riconoscere Boetti, in «Flash Art», a. XXXIV, n. 230, Ottobre-Novembre 2001, pp. 88. 9 Dal titolo del lavoro Mettere al mondo il mondo (1972-1973), il primo della serie di opere realizzate a biro su carta. 13



BIOGRAFIA ALIGHIERO E BOETTI

Alighiero Boetti, Manifesto, Galleria Toselli di Milano, 1970. Foto di Paolo Mussat Sartor.

Alighiero Fabrizio Boetti nasce il 16 Dicembre del 1940 a Torino, in una famiglia aristocratica. Il padre è avvocato e la madre una promettente violinista, ormai dedita alla vita domestica, mentre la sorella Elena è pianista e docente presso il Conservatorio della città10. Vivrà una prima infanzia poco felice, fino alla fine della guerra, con la madre e il fratello maggiore, mentre il padre è al fronte. L’adolescenza, trascorsa nel dopoguerra, sarà una fase ancora più difficile segnata dalla separazione dei genitori, che avverrà nel 1949, e dal progressivo allontanamento del padre11. Inizia a frequentare la Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, ma la abbandonerà presto per dedicarsi all’arte da autodidatta. Nel 1962, a ventidue anni, realizza a olio e tempera alcuni dipinti informali su tela e cartone; tuttavia non si considerava ancora un pittore, ma la sua vocazione d’artista era evidente. I suoi maestri erano Matisse, Balla, Wols e Nicolas de Stael, ma per lui il più grande dei maestri era Paul Klee12. «In realtà mi sono interessato all’esotico a quindici anni, grazie agli ac-

querelli marocchini di Paul Klee. Era nato un 16 Dicembre come me e questo facilitava la mia identificazione di adolescente. Del tutto ingenuamente, avevo “copiato” quegli acquerelli, e questo prima di conoscerli»13. Allo stesso tempo per mantenersi economicamente, inizia ad acquistare ceramiche di artisti famosi, come Picasso, durante i suoi viaggi nella Provenza francese. È durante questi spostamenti che incontrerà Annemarie Sauzeau, colei che nel 1964 diventerà sua moglie e lo rimarrà fino al 198714. Dopo aver passato due anni a Parigi, in cui entra a contatto con diversi artisti e porta avanti il suo percorso artistico, tornerà stabilmente a Torino nell’autunno del 1964. Continuerà a produrre opere e progetti artistici fra i più disparati, spaziando dalle incisioni a grandi disegni su cartone, fino alla creazione di oggetti tridimensionali. Il 19 Gennaio del 1967 si inaugura la prima mostra personale di Alighiero Boetti alla Galleria Christian Stein, in cui vengono esposti tutti lavori databili all’anno precedente come Lampada annuale, Ping Pong, Zig Zag15. Nello stesso anno Boetti partecipa a tutte

10 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 11 Ibidem. 12 Ibidem. 13 J.C. Ammann e A. Sauzeau, Anno 1959-1961 in Biografia cronologica di Alighiero Boetti, catalogo generale, Archivio Alighiero Boetti, Dicembre 2009. 14 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 15 Ibidem. 15


le mostre collettive che segnano la nascita dell’Arte Povera, tra Torino, Milano e Genova16. Tuttavia, fin da subito la sua posizione è, coscientemente, quella dell’isolato, di chi ha bisogno di trovare un proprio percorso al di là di poetiche comuni17. È nel 1967 che Boetti realizza l’opera a basso rilievo in gesso intitolata I vedenti, un blocco quadrangolare di gesso bagnato, in cui l’artista immerge le proprie dita creando un’opera fruibile sia con la vista che con il tatto: con la vista per i vedenti, dato che i singoli buchi, creati dallo sprofondare delle dita nel gesso poi solidificatosi, danno origine alla scritta che dà il titolo all’opera; con il tatto per i non vedenti, i quali possono “leggere” in negativo la forma della scritta sfiorandola con i polpastrelli. Inoltre, l’opera può essere interpretata anche da un vedente secondo le modalità di un non vedente. «Il ‘67 è stato un anno esplosivo, per me e per tutti. Era un momento di grande eccitamento, anche a livello materiale: la scoperta, l’en-

tusiasmo dei materiali, che hanno portato alla nausea. Era tutto molto empirico allora,...»18. Il 1968 inizia come un anno di fermenti ideologici e conflitti socio-politici, soprattutto a Torino, città industriale19. «Quelli che non erano di Torino ci venivano per aver conferma di quello che stava accadendo [...]. Ma in definitiva non ho mai fatto un corteo. Forse non ero neanche tanto d’accordo, miravo a pensare alle mie cose che assorbivano tutta la mia attenzione»20. Tuttavia il 1968 è un anno di cambiamenti radicali per Boetti. Nella primavera spedisce ad una cinquantina di amici la cartolina postale Gemelli, la quale attraverso un fotomontaggio mostra la manifestazione di un Sé sentito come doppio e scisso, che sta all’origine dello sdoppiamento, concretizzatosi nel 1972 attraverso la firma dell’artista in “Alighiero e Boetti”. Il tema del doppio, da qui in avanti, sarà cen-

16 Ibidem. 17 M. Bandini, Intervista ad Alighiero Boetti, in «NAC» n. 3, Marzo 1973, pp. 4-5, pubblicata integralmente in Alighiero Boetti 1965-1994, catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 10 Maggio-1 Settembre 1994), a cura di J.C. Amman, M.T. Roberto, A. Sauzeau, Milano, Mazzotta, 1996, pp. 200-203. 18 Ibidem. 19 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 20 M. Bandini, Intervista ad Alighiero Boetti, in «NAC» n. 3, Marzo 1973, pubblicata integralmente in Alighiero Boetti 1965-1994, catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 10 Maggio-1 Settembre 1994), a cura di J.C. Amman, M.T. Roberto, A. Sauzeau, Milano, Mazzotta, 1996, pp. 200-203. 16


trale nella poetica dell’artista. «Alighiero è la parte più infantile, più esterna che domina le cose familiari. Alighiero è il modo in cui mi chiamano e mi nominano le persone che conosco. Boetti è più astratto, appunto perché il cognome rientra nella categoria, mentre il nome è unico il cognome è già una categoria, una classifica»21. Nell’autunno del 1968 la manifestazione ad Amalfi, Arte Povera più azioni povere22, segna l’esasperazione dell’artista nei confronti del movimento. «La mostra di Amalfi è stata proprio la nausea della fine»23. Essa rappresenta per Boetti il preludio di un periodo di riflessione e di cambiamento. L’artista vi partecipa infatti con un «assemblaggio di cose e di idee»24. Le opere esposte ad Amalfi sono la risposta di Boetti all’eccessiva enfasi data ai mate-

riali nella loro oggettualità e alla progressiva spettacolarizzazione del gesto artistico proposti anche dall’Arte Povera25. Alcuni dei lavori esposti ad Amalfi si rivelano particolarmente significativi per la nuova direzione intrapresa dall’artista, come i tre pannelli azzurri con le date 8 Gennaio 1968, 21 Ottobre 1968, 17 Aprile 1971 (1968). Le tre date, che segnano tre eventi importanti, sono state scelte non dall’artista, ma da tre donne a lui vicine26. Rivelando un’attenzione allo scorrere del tempo che accompagna l’attesa del giorno indicato, esse costituiscono la prima di quelle deleghe a terzi che saranno in seguito il privilegiato modus operandi dell’artista27. «Per quanto mi riguarda fino al ‘68, che finisce con l’esposizione di arte ad Amalfi, sono andato nella direzione delle mostre che si conoscono. Poi ho cominciato a dubitare di questa direzione. Si era andati avanti un po’ troppo guardando ai materiali. Alla fine erano quasi più

21 A. Boetti, in B. Corà, Alighiero e Boetti - Un disegno del pensiero che va, in «AEIOU», a. IV, n. 6, Dicembre 1982, pp. 34-49, poi in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., pp. 211. 22 Arte povera più azioni povere, catalogo della mostra (Amalfi, Antichi Arsenali della Repubblica, 4-6 Ottobre 1968), a cura di G. Celant, M. Rumma, Salerno, Edizioni Rumma, 1969. 23 M. Bandini, Intervista ad Alighiero Boetti, in «NAC» n. 3, Marzo 1973, pubblicata integralmente in Alighiero Boetti 1965-1994, catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 10 Maggio-1 Settembre 1994), a cura di J.C. Amman, M.T. Roberto, A. Sauzeau, Milano, Mazzotta, 1996, pp. 200-203. 24 Ibidem. 25 Ibidem. 26 M. Bandini, Intervista...cit., pp. 200. Cfr. M.T. Roberto, Alighiero Boetti 1966-1970, le parole e le cose, in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., pp. 28. 27 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 17


importanti del resto. Era diventata una cosa da drogheria. Per cui, ecco, mi ricordo che nella primavera del ‘69 lasciai lo studio che avevo a Torino, che era diventato un deposito di materiali, tra eternit, cementi, pietre. Lasciai tutto completamente così come era, e ricominciai da zero con una matita ed un foglio di carta. Presi questa carta quadrettata e feci questo lavoro che si chiama Armonia dell’invenzione [Cimento dell’armonia e dell’invenzione, N.d.A]. Consiste nel rifare i quadratini. Questo per me ha significato ricominciare»28.

Alighiero Boetti, Galleria Toselli di Milano, 1970. Foto di Giorgio Colombo.

Per un artista fermamente convinto del potere magico dei numeri e delle date come Alighiero Boetti, è proprio l’anno 1969 a sancire l’inizio di una nuova avventura creativa29. Quell’anno segna una svolta, tanto radicale quanto repentina, che trova un’ulteriore conferma nelle parole scelte dall’artista per introdurre il proprio lavoro nell’ormai celebre catalogo Arte Povera: «esistevano le condizioni per una vita appassionata, ma ho dovuto distruggerle per poterle recuperare»30.

A Boetti interessava, soprattutto l’aspetto di «fisicizzazione di un’idea, un’idea tradotta in materia»31 e una dimensione operativa realmente “altra”, alternativa al sistema artistico e culturale occidentale, per poter ricominciare32. Questa nuova realtà si manifesta nell’artista in seguito a una serie di incontri e di viaggi, segnati principalmente dal primo soggiorno in Afghanistan33 risalente al 15 Marzo del 1971. «Fin dalla mia adolescenza ho amato sempre molto viaggiare. Ero affascinato dal taoismo, dal buddismo. Ciò deriva probabilmente dalla mia famiglia [...] Ma il mio interesse per le cose lontane non è stato realmente determinante quando sono diventato artista. Io consideravo il viaggio da un punto di vista puramente personale, edonista. L’elemento principale di questa attrazione era del resto molto preciso: mi affascinava il deserto naturale. In una casa afgana, per esempio, non c’è niente: non un mobile, e dunque nessun oggetto che si mette abitualmente sui mobili. Soltanto tappeti e piccoli materassi [...] Ciò che

28 A. Boetti, in G.Perretta, L’arte, gli artisti e il ‘68, in «Flash Art», a. XXI, n. 147, Dicembre 1988-Gennaio 1989, pp. 69. 29 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 30 A. Boetti, in G. Celant, Arte Povera, Milano, Mazzotta, 1969, pp. 156. 31 G. Celant, Arte povera, in La povertà dell’arte, a cura di P. Bonfiglioli, «Quaderni de’ Foscherari», n. 1, Settembre 1968, s.p. 32 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 33 M.T. Roberto, Alighiero Boetti 1965-1994 cit., catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea) a cura di J.C. Ammann, M.T. Roberto, A. Sauzeau, Milano, Mazzotta, 1996, pp. 28. 18



mi attirava di più era l’azzeramento, la civiltà del deserto»34. Sebbene le ragioni circa la scelta dell’Afghanistan siano varie, ed alcune delle quali restano ancora oggi misteriose, nella scelta di tale meta ebbe una certa importanza la suggestione creata nel giovane Boetti da alcuni racconti familiari riguardanti le gesta di un antenato: Giovan Battista Boetti (1743 - 1798?), che divenne sotto il nome di Profeta Mansur uno degli eroi della resistenza contro l’invasione dell’impero russo in Caucaso35, finendo i suoi giorni in prigionia36. Il fascino di questo personaggio, il comune interesse nei confronti delle religioni orientali e pure una presunta somiglianza fisionomica, resero Giovan Battista Boetti uno dei vari “doppi” dell’artista e lo spinsero a concretizzare questo interesse in un viaggio in Oriente. Durante il primo soggiorno in Afghanistan, Alighiero Boetti entra in contatto non solo con una nuova dimensione di vita, ma anche con la tradizione locale del ricamo e della tessitura. Quella del ricamo è un’attività con cui l’artista era entrato in contatto

durante l’infanzia: a Torino la madre era a capo di un gruppo di ricamatrici di corredi matrimoniali37. È forse anche per l’influenza di tale ricordo che Boetti progetta e fa realizzare i primi ricami, applicando in maniera embrionale quel metodo operativo che diventerà poi un modus operandi costante nella produzione dei suoi lavori38. La prima opera a ricamo concepita da Boetti è 16 Dicembre 2040 e 11 Luglio 2023 (1971). Questo sarà l’inizio del percorso di Boetti verso l’annullamento di quell’autorialità divenuta troppo vincolata alla situazione artistica del tempo. L’artista decide di superare questo limite attraverso il dialogo con l’“Altro”, affidando il proprio pensiero a mani appartenenti a una cultura, anche visiva, diversa39. Se è vero che ogni regola presenta la sua eccezione, non è possibile eseguire un comando senza interpretarlo: avendo come unica istruzione da seguire le direttive dell’artista relative alle due date da ricamare, ma senza comprendere il significato di quei caratteri numerici e alfabetici, vediamo come le donne afgane le abbiano alla fine ricondotte entro le coordi-

34 N. Bourriaud, Afghanistan, in «Documents», n. 1, Ottobre 1992, pp. 49-54 poi in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., p. 214. 35 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 36 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 37 A. Boetti, in P. Corrias, Vita avventurosa, XS MONDADORI, 20 Febbraio 2013, pp. 242. 38 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 39 Ibidem. 20


nate di un manufatto tipicamente popolare e a motivi floreali40. Nel 1972 Alighiero Boetti porta in Italia le prime Mappe ricamate41. Le reazioni del pubblico di fronte all’opera, come l’artista stesso ricorda, «furono terribili. Le persone erano infastidite, concettualmente infastidite. Bisogna dire che allora pochi artisti avevano fatto eseguire i loro pezzi da artigiani. Era, per il pubblico dell’epoca, insieme imbarazzante da un punto di vista concettuale e troppo ‘graziosa’... Ma tutti i collezionisti la volevano»42. Il rifiuto del pezzo unico e il ricorso ad artefici artigiani che collaboravano alla realizzazione delle opere non erano infatti modalità operative propriamente conformi alle rigide norme dell’arte concettuale43. Anche il senso dello “spreco” di tempo e dell’ornamento, caratteristico di tanta arte orientale, risultava estraneo alle ricerche artistiche europee dell’epoca44. Boetti commenta così il lavoro della Mappa: «il lavoro della Mappa ricamata, [sic] è per me il massimo della bel-

lezza. Per quel lavoro io non ho fatto niente [...]; quando emerge l’idea base, il concetto, tutto il resto non è da scegliere»45. Un altro dei suoi progetti inclusivi di quegli anni è sicuramente la serie biro, attraverso cui Boetti delega ad altre mani la campitura a biro di fogli bianchi, un lavoro lungo e meticoloso in cui l’anonimato e la diversità della mano46 hanno una loro importanza. «L’unica regola da osservare era di non lasciare emergere il bianco tra il tratteggi», racconta Maria Angela De Gaetano a cui Alighiero Boetti affida la gestione del progetto, «per il resto ognuno poteva lavorare come meglio si sentiva di fare (...). Certuni avevano il tratto più grande, certuni più rigido, altri lo facevano in maniera più meccanica, pensando, sognando, un po’ come la scrittura automatica. [...] Spesso Boetti non voleva che io gli dicessi chi aveva realizzato il foglio, gli piaceva indovinare. Riconosceva il tratto di una donna, poi mi chiedeva di tutti, chi erano e cosa facevano nella vita. Spesso il lavoro richiedeva un lun-

40 Ibidem. 41 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 42 A. Boetti, in N. Bourriaud, Afghanistan, “Documents”, Paris, n. 1, ottobre 1992, pp. 215. 43 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 44 M. Bandini, Intervista...cit., pp. 200. Cfr. M.T. Roberto, Alighiero Boetti 1966-1970, le parole e le cose, in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., pp. 208. 45 A. Boatto e G. Natti (a cura di) Alighiero & Boetti (cat. mostra), 1984, Ravenna, Edizioni Essegi. 46 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 21


go tempo. Personalmente ho impiegato un anno per portare a termine il primo, un foglio unico di un metro e mezzo su più di 4 metri, Il progressivo svanire dalla consuetudine»47. «Quel che la biro rappresenta per un occidentale, per un afgano è il ricamo, che come una memoria sovraindividuale reca in sé parti della biografia collettiva»48. Nel 1973 a Kabul, Alighiero Boetti predispone l’esecuzione del primo piccolo ricamo basato sulla quadratura di parole: nasce Ordine e Disordine, di circa 20 x 20 cm, ricamato in tanti colori. È in questo lavoro che l’artista mette a punto il procedimento della quadratura della frase, che sarà il minimo comun denominatore dei successivi arazzetti49. L’esplorazione del rapporto tra identità e alterità lo ha portato a stringere relazioni con tanti ipotetici “altri” e a intendere il principio della delega come un momento di incontro tra individuo e

collettività, oltre che tra Occidente e Oriente50. Come gli suggerivano le filosofie orientali, Boetti era convinto che dall’unione di elementi contrapposti potessero nascere quelle che lui chiamava le «felici coincidenze»51, delle splendide aperture che arricchiscono di senso l’opera e ne dilatano la portata52. Negli anni seguenti le opere di Boetti proliferano espandendosi sia per delega, di mani e teste altrui, sia attraverso una personale realizzazione53. Nel 1973 e nel 1974 hanno luogo le due prime personali a New York, rispettivamente nelle gallerie Weber e Sperone54 ed esporrà in seguito anche al MOMA. Negli ultimi giorni del Dicembre 1979 i carri armati sovietici occupano Kabul, costringendo Boetti a terminare i suoi viaggi in Oriente. Questa rinuncia forzata all’Afghanistan indurrà Boetti a una riflessione sul contesto sociale italiano, a dir poco plumbeo, degli ultimi anni settanta55. Nei suoi lavori su carta si moltiplica-

47 Ibidem. 48 J.C. Amman, Dare tempo al tempo, M.T. Roberto, A.M. Sauzeau (a cura di) Alighiero Boetti: 1965-1994 (cat. mostra), 1996, Milano, Mazzotta. 49 R. Lauter, Gruppi di lavori cit. in Alighiero Boetti. Mettere al mondo il mondo, a cura di R. Lauter, Ostfildern-Ruit, Cantz, 1998, pp. 97-109. 50 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 51 A. Boetti, in A. Bonito Oliva, Alighiero Boetti cit., in Dialoghi d’artista, Incontri con l’arte contemporanea 1970-1984, Electa, Milano, 1984, (Intervista rilasciata dall’artista nel 1973). 52 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP 2015, Padova. 53 https://www.wikiwand.com/it/Alighiero_Boetti 54 Ibidem. 55 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 56 Ibidem. 22


no le immagini di morte e di stragi di guerra56. Nel 1980 partecipa alla XL Biennale di Venezia, e si recherà a Tokyo per una mostra personale presso l’Art Agency57. Nel 1983 Boetti riuscirà a recuperare i contatti con l’Afghanistan e a ricevere, via posta, quelle Mappe da lui affidate alle ricamatrici nel ‘79 e mai recuperate di persona58. A poco a poco, sempre tramite servizio postale, spedisce nuove opere da ricamare della già avviata serie Mappe ed inizia una nuova serie di ricami di ampie composizioni multicolori con frasi in stampatello59. Alighiero Boetti è felice di aver ripreso l’attività ed è profondamente consapevole del filo conduttore che unisce la sua opera ormai matura: la centralità del tempo, la saggezza del lasciarlo scorrere60.

Alighiero Boetti nel suo studio, 1993. Foto di Giorgio Colombo.

tempo enorme, dilatato. Anche i ricami. E sono contento che per certi ricami occorrà a volte fino a cinque anni. Stranamente ho la pazienza di aspettarli, o meglio non li aspetto, arrivano quando arrivano»61. Con la ripresa del lavoro, le mostre si infittiscono, sia in Italia che all’estero62. Il 1985 è un anno scandito da numerosi viaggi e da una produzione intensa63: dal Pakistan a Peshawar, dalla Tanzania al Giappone. Boetti continuerà a portare avanti progetti artistici e a partecipare e organizzare mostre fino alla sua morte, avvenuta il 24 Aprile 1994 causata da un tumore.

«[...] Se in un fiume vai controcorrente arriverà il momento in cui, posto al bivio con un affluente, dovrai scegliere, andare a destra o sinistra. Invece se scendi, segui la corrente, non scegli mai. Io vorrei sempre seguire la corrente e non scegliere. [...] I miei lavori a biro sono dei concentrati di tempo, un

57 Ibidem. 58 Ibidem. 59 Ibidem. 60 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 61 A. Boetti, in B. Corà, Alighiero e Boetti - Un disegno del pensiero che va, in «AEIOU», a. IV, n. 6, Dicembre 1982, pp. 34-49, poi in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., p. 211. 62 https://www.archivioalighieroboetti.it/biografia-cronologica/ 63 Ibidem. 23


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FILO CONDUTTORE FAR QUADRARE TUTTO

Le opere che andremo ad analizzare ripercorrono il periodo di transizione di Boetti dall’Arte Povera a un’arte libera dalle etichette. Infatti quasi ogni opera si differenzia l’una dall’altra, sottolineando la poliedricità dell’artista e la sua potenza artistica. Come abbiamo accennato, per l’artista Alighiero Boetti, la teoria della dualità nella sua vita e nella sua arte è stata centrale. Firmandosi “Alighiero e Boetti” l’artista mette in risalto quella stessa ambivalenza che egli riscontra nel mondo riconducendola alla propria persona e fa dello sdoppiamento una metodologia operativa vera e propria64. Come abbiamo precedentemente visto, l’esplorazione del rapporto tra identità e alterità lo ha portato a stringere relazioni con tanti ipotetici “altri” e a intendere il principio della delega come un momento di incontro tra individuo e collettività, oltre che tra Occidente e Oriente. Come gli suggerivano le filosofie orientali, Boetti era convinto che dall’unione di elementi contrapposti potessero nascere quelle che lui chiamava le «felici coincidenze»65, che arricchiscono l’opera e ne aumentano il significato. Come ricorda lo stesso Boetti:

«ecco che mi ritrovo a parlare sempre di questo concetto del doppio, che è poi un soggetto che, come dicono i critici, percorre tutto il mio lavoro. Il fatto è che ci troviamo di fronte ad una realtà naturale: è incontrovertibile che una cellula si divida in due, poi in quattro e così via; che lo specchio raddoppi le immagini; che l’uomo abbia fondato tutta la sua esistenza su una serie di modelli binari, compresi i computer; che il linguaggio proceda per coppie di termini contrapposti, come quelli che citavo sopra: ordine e disordine, segno e disegno, etc. È evidente che questo concetto della coppia è uno degli elementi archetipi fondamentali della nostra cultura [...]»66. Ecco che ogni opera che ho scelto di analizzare, l’artista rimanda, appunto, a questo tema del doppio: in Gemelli, prima apparizione della sua doppia identità “Alighiero e Boetti”; in I vedenti, dove Boetti lavora sugli opposti vedente/ non vedente, creando un’opera fruibile sia con la vista che con il tatto; in Ononimo, nato dalla collaborazione dell’artista con squadre di studenti d’arte a Roma; in Ordine e disordine, dicotomia basata

64 G.B. Salerno, Alighiero, Boetti, and the Others, in Alighiero e Boetti (cat. Londra, 1999) cit., pp. 67. 65 «Se c’è chi ha fatto la ricerca del tempo perduto io faccio la ricerca delle felici coincidenze: felicità l’abbiamo detto prima, coincidere [sic] lo vedi nei quadratini, nei due gemelli, nel 1970 che sono quarantanove quadratini», A. Boetti, in A. Bonito Oliva, Alighiero Boetti cit., in Dialoghi d’artista, Incontri con l’arte contemporanea 1970-1984, Electa, Milano, 1984, (Intervista rilasciata dall’artista nel 1973). 66 A. Boetti, Dall’oggi al domani cit., a cura di S. Lombardi, Brescia, Edizioni L’Obliquo, 1988, pp. 25-26. 26


sull’opposizione tra due principi, e Tre date, arazzi sviluppati da Boetti con l’essenziale contributo delle ricamatrici afgane, grazie alle quali Boetti consente all’opera di staccarsi dal proprio autore e di raggiungere una propria autonomia67.

Alighiero Boetti, 1976. Foto di Gianfranco Gorgoni.

dualità s. f. [dal lat. tardo dualitas -atis, der. di dualis: v. duale]. – 1. Qualità o condizione di ciò che è composto di due elementi o principî: la dualità dell’uomo (in quanto formato di anima e di corpo); accoppiamento o contrasto di due elementi.

67 L. Cherubini, Le divergenze dell’arte, in Esposizione Internazionale d’Arte la Biennale di Venezia, catalogo della mostra, a cura di G. Carandente, M.G. Gervasoni, Milano, La Biennale di Venezia-Fabbri Editori, 1990, pp. 23-24. 27


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ANALISI DELLE OPERE SEGNO E DISEGNO

L’opera in questione è un fotomontaggio in bianco e nero stampato su cartolina, in cui fa la sua prima comparsa la coppia “Alighiero e Boetti”68. L’artista è raffigurato nei panni di entrambi i personaggi presenti all’interno dell’opera, nei due gemelli appunto, ritratti mentre si tengono per mano al centro di un viale alberato. Possiamo quindi dire che quest’opera si tratta di un autoritratto in cui Boetti si sdoppia e interpreta contemporaneamente due ruoli: quello dell’autore e quello del modello, mostrando la manifestazione concreta di un Sé percepito come doppio e separato. Infatti le due figure non sono né simmetriche né speculari: per la realizzazione dei due personaggi Boetti altera il proprio aspetto fisico, ottenendo così due versioni di sé completamente diverse. In questo modo il tema del doppio diventa metafora del conscio e dell’inconscio, non facenti parte della medesima identità, ma bensì separati anche se uniti da una stretta di mano.

Gemelli, 1968, stampa fotografica, 15x10 cm.

In quest’opera riusciamo a comprendere chiaramente le figure al suo interno, si parla perciò di trasparenza o transitività: quello che

Gemelli 1968

vediamo nell’immagine è uno spazio reale, tridimensionale, popolato da oggetti, personaggi ecc69. Le due figure sono rappresentate mentre svolgono l’azione di camminare: l’immagine è una vera e propria istantanea che rappresenta il movimento come se fosse stato congelato in un istante preciso: l’azione è bloccata nella fase intermedia, mentre cioè si sta svolgendo effettivamente (aspetto durativo)70. Le due figure, unite dal simile aspetto e dal simile abbigliamento, tuttavia differiscono per la posa, l’atteggiamento della mano libera dalla stretta dell’altro, l’espressione del labbro e soprattutto per la disposizione dei capelli71, ma anche per la loro posizione nel viale alberato in cui a sinistra vi è una zona di luce, mentre a destra una zona d’ombra. Del resto fu lo stesso Boetti a dire che Alighiero è il nome con cui lo chiamano le persone che lo conoscono, perciò rappresenta la sua «parte più infantile, più esterna, che domina le cose familiari»72, mentre «Boetti è più astratto», è come «una categoria, una classifica»: «per il solo fatto di essere un cognome è già un’astrazione, è già

68 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015, Padova. 69 P. Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, Carocci editore, 2012. 70 Ibidem. 71 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015, Padova. 72 S. Portinari, Alighiero e Boetti sulla firma come identità e duplicazione, Venezia Arti Vol. 26, Dicembre 2017. 29


un concetto»73 dato che, riferendosi ai suoi lavori è comune dire74 «‘è un Boetti’ e non ‘è un Alighiero’»75. Si crea così un sistema semi-simbolico sul piano dell’espressione e del contenuto dato da: - Ordine vs Disordine - Sinistra vs Destra - Luce vs Ombra In Gemelli vi è la rappresentazione dell’enunciatore, dato che i due personaggi rappresentati sono lo stesso Alighiero Boetti, con il volto e lo sguardo rivolti verso l’osservatore. In questo modo si crea un sistema io/tu, débrayage enunciazionale visivo, in cui lo spettatore non è rappresentato, ma è come se venisse chiamato in causa76. Ciò crea un effetto di coinvolgimento e di maggiore partecipazione emotiva da parte dello spettatore. Entrambi i soggetti quindi guardano e si lasciano guardare da chi li sta osservando, hanno quindi la volontà di voler essere guardati + voler guardare 77, citando Omar Calabrese. Al termine dell’analisi possiamo ipotizzare un quadrato semiotico basato sulla contrarietà dei termini “Uguale” (S1) e “Diverso” (S2) e i loro

contraddittori “Non uguale” (non S1) e “Non diverso” (non S2). Da queste due coppie di termini deriva un termine complesso, ovvero “Gemelli”, e un termine neutro, ovvero “Figlio unico”. Conoscendo Boetti e il suo interesse verso il tema del doppio, inteso come “altro da sé”, l’ipotesi è che entrambe le figure ritratte simboleggino il dualismo e le sfaccettature proprie dell’artista: uguale per gli altri, ma diverso per sé stesso.

Gemelli Uguale (S1)

Diverso (S2)

Non diverso

Non uguale

(non S2)

(non S1)

73 A. Boetti, in B. Corà, Alighiero e Boetti - Un disegno del pensiero che va, in «AEIOU», a. IV, n. 6, Dicembre 1982, pp. 34-49, poi in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., p. 211. 74 Ibidem. 75 S. Portinari, Alighiero e Boetti sulla firma come identità e duplicazione, Venezia Arti Vol. 26, Dicembre 2017. 76 P. Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, Carocci editore, 2012. 77 Ibidem. 30

Gemelli, una delle 50 cartoline, a dimensione reale 15x10 cm, MOMA.


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ANALISI DELLE OPERE SEGNO E DISEGNO

L’opera rientra nel periodo in cui l’artista ha fatto parte della corrente dell’Arte Povera, infatti per la creazione della stessa viene impiegato un materiale considerato povero: un blocco di gesso, delle dimensioni di 60 x 60 x 6 cm. L’artista affronta per la prima volta il tema della vista appropriandosi del linguaggio dei ciechi: immergendo le dita nel gesso fresco crea la scritta “I VEDENTI”, rendendo l’opera fruibile sia con la vista, dai vedenti, sia con il tatto, da i non vedenti.

I vedenti, 1967, Gesso, 60 x 60 x 6 cm, collezione privata, Foligno. Foto di Giorgio Colombo, Milano.

Si tratta di un’opera suggestiva in cui Boetti gioca con la parola e la materia: ricalca il gesto di un non vedente e a bassorilievo scrive degli altri – i vedenti appunto – simulando i punti dell’alfabeto braille, ma con le lettere usate da coloro che vedono, moltiplicando così i significati del gesto e del messaggio78. La dialettica positivo/negativo, intesa come contrasto fra il pieno omogeneo del gesso illuminato e il vuoto dei fori disomogenei che creano ombre al loro interno, e la dialettica vedente/non vedente conducono all’ipotesi del seguente

I vedenti 1967

sistema semisimbolico: - Vista vs Tatto - Positivo vs Negativo - Omogeneo vs Disomogeneo - Luce vs Ombra Boetti inoltre era affascinato dal tempo di solidificazione del gesso, proprio della natura del materiale che si trasforma, relazionandosi diversamente alla mano: prima plasmabile e poi resistente al tocco. In questo modo Boetti immette nell’opera un’importante elemento di trasformazione: il tempo79. Da tale riflessione possiamo supporre un altro sistema semisimbolico: Velocità : Lentezza :: Plasmabilità : Rigidità

Come abbiamo già detto Boetti crea la scritta affondando le dita nel materiale, creando in questo modo dei buchi rotondi e vicini l’uno all’altro, che lo spettatore riesce a percepire come facenti parte dello stesso sistema: secondo il fattore della vicinanza identificato da Wertheimer, gli elementi più vicini fra di loro tendono ad essere visti come appartenenti alla stessa unità80, lo stesso vale per la somiglianza.

78 C.S. Calò, Conflitti II Arte, Musica, Pensiero, Società, a cura di Nadia Amendola Giacomo Sciommeri, 2017. 79 Ibidem. 80 P. Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, Carocci editore, 2012. 33


“I VEDENTI” essendo scritto in caratteri capitali riporta a degli effetti di oggettività, debrayage enunciativo. La tecnica con cui è stata realizzata la scritta crea degli effetti ideali di ritorno al momento dell’enunciazione, poiché i fori delle dita riportano al momento in cui è avvenuto l’atto, ossia il momento esatto in cui l’artista ha prodotto l’opera. Si ha in questo modo una netta contrapposizione tra l’oggettività dei caratteri capitali utilizzati e la manualità unica, nonché soggettiva, e personale dell’artista. L’unicità del risultato di affondare le dita nel gesso proietta il simulacro dell’artista all’interno dell’opera che, imprimendo con le sue stesse mani la scritta, lascia la sua impronta unica e personale contraddistinguendo I vedenti.

Alighiero Boetti mentre sorregge una versione de I videnti.

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ANALISI DELLE OPERE SEGNO E DISEGNO

11 Luglio 2023 16 Dicembre 2040 1971

11 Luglio 2023 e 16 Dicembre 2040, 1971, ricamo su tela, 60x60 cm cad.

11 Luglio 2023 e 16 Dicembre 2040 sono la prima opera a ricamo commissionata da Boetti, in cui l’artista rinuncia al rigore della data per introdurvi dei parametri personali, privilegiando il tema del gioco con sé stessi e l’azzardo del calcolo delle probabilità: se 16 Dicembre 2040 è la data ineccepibile che si riferisce al centenario della nascita dell’artista, 11 Luglio 2023 è la data presunta da Boetti per la propria morte, frutto di un calcolo ipotetico basato sulla durata media di un’esistenza umana81. Per quest’opera, ricorda l’artista, «è il tempo che lavora, è soltanto quello che lavora! Le date hanno questa bellezza: più passa il tempo e più vengono belle»82, e la componente mentale è la protagonista privilegiata in virtù dell’«idea dell’energia che può dare una data»83. L’intenzione di rendere concreto il senso del trascorrere del tempo trova il suo corrispettivo nei tempi lunghi di lavorazione manuale di un ricamo,

una procedura, tra l’altro, in palese antitesi rispetto ai ritmi veloci della civiltà industriale84. Come aveva teorizzato Sol LeWitt, se la componente più importante del lavoro è l’idea, indipendentemente dai mezzi materiali attraverso i quali può essere espressa, si arriva facilmente al distacco tra momento ideativo e operativo che sancisce la possibilità di affidare l’esecuzione dell’opera a persone diverse dall’artista, che tuttavia ne detiene la paternità concettuale85. Il disagio nei confronti di una situazione artistica troppo vincolata alla produzione di oggetti, al «privilegio della mano»86 e quindi all’autorialità, è un limite che Boetti decide di superare attraverso il dialogo con l’altro. In quest’opera vediamo in che modo le ricamatrici hanno interpretato l’istruzione impartitagli da Boetti, riferita soltanto alle due date da ricamare: le ricamatrici senza comprendere il significato di quei caratteri numerici e alfabetici, hanno

81 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015. 82 A. Boetti, in M. Bandini, Intervista ad Alighiero Boetti, in «NAC» n. 3, Marzo 1973, pp. 4-5, pubblicata integralmente in Alighiero Boetti 1965-1994, catalogo della mostra (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 10 Maggio-1 Settembre 1994), a cura di J.C. Amman, M.T. Roberto, A. Sauzeau, Milano, Mazzotta, 1996. 83 Ibidem. 84 G. Di Pietrantonio, Alighiero Boetti - L’universo è un quadrato senza angoli, in «Flash Art», n. 167, Aprile-Maggio 1992, pp. 64-65. 85 M. Diacono, Il segno del disegno: autenticità della copia nel messaggio del medium, in Alighiero e Boetti, catalogo della mostra (Bologna, Galleria Mario Diacono, dal 6 Maggio 1978), con un testo di M. Diacono, Bologna, 1978, poi in Alighiero & Boetti, catalogo della mostra (Ravenna, Pinacoteca Comunale), a cura di A. Boatto, collana ‘Artisti Contemporanei’, a cura di G. Guberti, Ravenna, Essegi, 1984, pp. 186-189. 86 M. Fagiolo, In quell’artista c`è uno sciamano, in «Il Messaggero», 23 Marzo 1977, poi in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., pp. 205. 37


reinterpretato il comando permeando l’opera con la loro sensibilità87. Secondo la psicologia della Gestalt della definizione di figura/sfondo, in questo caso in entrambe le composizioni, siamo di fronte ad un esempio di parallelismo e costanza di larghezza88, in quanto lo sfondo, le raffigurazioni floreali e le scritte delle date entrano in conflitto fra loro89, sia per similitudini cromatiche che eidetiche. Il rapporto figura-sfondo perciò diventa instabile, portando in primo piano, alternativamente, le due configurazioni90. Analizzando la composizione a livello plastico possiamo notare le seguenti categorie: - Eidetica: in entrambi gli arazzetti è presente un sistema di linee bidimensionali con tratti distintivi come curvo, retto, non segmentato e figure bidimensionali ognuna con la propria simmetria e il proprio asse. - Cromatica: i colori utilizzati, all’interno delle opere, variano dai radicali cromatici o primari psicologici blu, che ha predominanza, rosso e giallo con stessa quantità di saturazione e valore, ai cromatici arancione e rosa fino al semicromatico

marrone. La coppia di antonimi blu/ giallo fa si che il colore giallo assuma più risalto rispetto al blu91. La stesura di tutti i colori è uniforme e senza forme di volume. - Topologica: entro lo spazio rappresentante, di entrambi gli arazzetti, le date 11 Luglio 2023 e 16 Dicembre 2040 sono poste al centro, mentre le figure si diramano intorno alle scritte. - Materica: trattandosi di ricami le opere in questione presentano una texture data dalle decorazioni del tessuto che ha a sua volta morbidezza e flessibilità tipiche della stoffa. Mentre la figuratività è semplice e lo spettatore comprende fin da subito la natura delle figure riconducibili a piante con fogliame e fiori che si diramano attorno alle scritte di entrambi gli arazzetti. Anche la cornice è rappresentata in entrambe le opere: un bordo che delimita l’immagine e ne sottolinea la sua natura segnica e artificiale. Come dice Greimas la cornice non è altro che un débrayage, un atto di enunciazione che l’autore adopera per definire la sua opera come “spazio significante”, compiuto e autonomo rispetto all’atto dell’enunciazione che lo ha prodotto92.

87 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015. 88 P. Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, Carocci editore, 2012. 89 Ibidem. 90 Ibidem. 91 Ibidem. 92 Ibidem. 38

Ricamatrici a Peshawar, Pakistan, 1990. Foto di Randi Malkin Steinberger.


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ANALISI DELLE OPERE SEGNO E DISEGNO

Nella felice definizione di Boetti tutti coloro che collaborano alla realizzazione delle opere sono «ononimi»93, un neologismo nato dalla fusione delle parole anonimo e omonimo: essi sono insieme anonimi (evitando intenzionalmente di dichiararsi autori e quindi di rivelare sé stessi), perché la loro individualità è riassorbita all’interno del gruppo di lavoro di cui fanno parte, e omonimi (riferendosi al medesimo nome e significato), perché, non prevalendo l’uno sull’altro dal punto di vista stilistico si equivalgono94. L’artista conia un nuovo vocabolo che racchiude un altro tema centrale nell’arte di Boetti, ovvero quello che la paternità di un’opera d’arte non dipende dalla sua produzione fisica, bensì dall’idea da cui essa è derivata.

Ononimo, 1973, penna biro blu su carta intelata, 70 X 100 cm.

È da tali considerazioni che nel 1973 nasce l’opera Ononimo, un lavoro lungo e meticoloso attraverso cui Boetti delega ad altre mani il riempimento di carta bianca intelata con linee a penna biro blu. Il risultato è una texture che produce un effetto tridimensionale sulla superficie bidimensionale della tela, ricoperta interamente dai tratti di biro tranne che nell’area costituente la scritta a caratteri capitiali “ONONIMO” che rivela la

Ononimo 1973

forma primordiale della tela. All’interno dell’opera presa in analisi possiamo riscontrare un’opposizione fra personale e impersonale: il lavoro di ognuno dei partecipanti è sia personale che impersonale, in quanto ognuno collabora alla realizzazione dell’opera apportando al suo interno il proprio contributo attraverso un tratto unico e personale, ma al tempo stesso impersonale poiché è impossibile risalire all’identità precisa di colui che ha realizzato il singolo tratto. Un altro elemento che riconduce all’impersonalità è la parola “ONONIMO” scritta in caratteri capitali. Possiamo fare un’ulteriore analisi circa la scelta della biro, strumento attraverso cui viene creata l’opera: si tratta di un oggetto economico generalmente utilizzato nella vita di tutti i giorni per prendere appunti personali in diverse occasioni, elevato ad opera d’arte. A livello plastico all’interno dell’opera troviamo le seguenti categorie: - Eidetica: i tratti lasciati dalle biro sul foglio di carta sono verticali, corti, dritti e segmentati. Rievocano lo stile di pennellata nei quadri degli impressionisti o l’effetto dei fili ricamati. Tali segni possono evocare emozio-

93 A. Boetti, in B. Corà, Alighiero e Boetti - Un disegno del pensiero che va, in «AEIOU», a. IV, n. 6, Dicembre 1982, pp. 34-49, poi in Alighiero Boetti 1965-1994 cit., pp. 221. 94 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015. 41


ni come nervosismo e frenesia. - Cromatica: il radicale cromatico blu ha una saturazione più o meno intensa e un valore più o meno luminoso a seconda del tratto. Per quanto riguarda i contrasti categoriali di tipo cromatico siamo di fronte a un’opera in cui il blu cromatico delle biro si contrappone al bianco della scritta acromatica bianca in maiuscolo “ONONIMO”. - Topologica: all’interno dello spazio rappresentante la parola in caratteri capitali “ONONIMO” è posta in alto al centro, una posizione che da risalto e importanza all’elemento.

Al termine dell’analisi possiamo ipotizzare un quadrato semiotico basato sul neologismo creato da Boetti che racchiude il significato della sua opera. Il quadrato è realizzato a partire dai termini di contrarietà “Anonimo” (S1) e “Omonimo” (S2), da cui deriva il termine complesso “Ononimo”. Dalla relazione di implicazione fra i termini “Omonimo” (S2) e “Non anonimo” (non-S1) deriva il termine “Nome conosciuto”, mentre dalla relazione di implicazione fra i termini “Anonimo” (S1) e “Non omonimo” (non-S2) deriva il termine “Nome sconosciuto”.

Ononimo Omonimo (S2) Nome conociuto

Nome sconociuto

Anonimo (S1)

Non omonimo

Non anonimo

(non S2)

(non S1)

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Dettaglio dei tratti a biro nell’opera Ononimo.


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ANALISI DELLE OPERE SEGNO E DISEGNO

Boetti amava dire: «ho lavorato molto sul concetto di ordine e disordine: disordinando l’ordine oppure mettendo l’ordine in certi disordini, o ancora: presentando un disordine visivo che fosse invece la rappresentazione di un ordine mentale»95. È in Ordine e disordine che l’artista mette a punto il procedimento della quadratura della frase, che sarà il minimo comun denominatore dei successivi arazzetti96. La struttura dell’opera in questione consiste in una griglia di 4 x 4 caselle all’interno di un quadrato, entro cui viene ospitata una coppia di concetti polari, appunto ordine e disordine. Il numero 4 e il quadrato hanno intrinsecamente un valore simbolico97: per tradizione il 4 è il simbolo della terra, delle quattro mura, dei quattro punti cardinali ed è l’immagine dell’universo creato in numerose dottrine religiose98; mentre il quadrato è la forma assunta da numerosi piani di gioco come la dama, gli scacchi e i casellari del cruciverba. Servendosi delle possibilità combinatorie del linguaggio e

Ordine e disordine, 1973, ricamo su tela, 20 x 20 cm.

Ordine e disordine 1973

degli schemi tipici del gioco, Boetti fonde queste due componenti per dare vita ad un «organismo verbovisivo»99, dagli esiti altamente poetici dove la parola diventa non solo immagine, ma anche ornamento100. All’origine di un arazzetto sta la ricerca e l’ideazione di un gioco, in cui entrano a far parte collaboratrici e spettatori: attraverso la commissione dei ricami, Boetti spinge le ricamatrici a confrontarsi con la grafia di un alfabeto che non sanno leggere e di cui percepiscono solo il valore decorativo101; in seguito, una volta esposta l’opera, lo spettatore sarà chiamato a partecipare al gioco decifrando il significato dell’arazzetto risalendo alle regole di Boetti. Mettendo chi guarda in una posizione scomoda, di smarrimento visivo, l’artista lavora sui meccanismi di spiazzamento e di alterità tipici del gioco, il quale «non si limita a evadere la realtà»102 come puro divertimento, ma mira a inventarne un’altra partendo dagli stessi elementi del reale, combinati in modo differente e perciò

95 A. Boetti, Dall’oggi al domani cit., a cura di S. Lombardi, Brescia, Edizioni L’Obliquo, 1988, pp. 14-17. 96 R. Lauter, Gruppi di lavori cit. in Alighiero Boetti. Mettere al mondo il mondo, a cura di R. Lauter, Ostfildern-Ruit, Cantz, 1998, pp. 97-109. 97 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015. 98 A. Magnin, Detached thoughts on a basic exhibition, in Worlds Envisioned: Alighiero e Boetti and Frédéric Bruly Bouabré cit., Dia Art Foundation, 1995, pp. 32-33. 99 B. Corà, ALIGHIEROEBOETTI cit., catalogo della mostra (Cosenza, Palazzo Arnone, 17 Dicembre 2005 - 26 Febbraio 2006), a cura di B. Corà, Milano, Federico Motta, 2005, pp. 93. 100 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015. 101 S. Casciani, voce Work in progress, in Alighiero Boetti. Quasi tutto cit., pp. 183. 102 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015. 45


destabilizzante103. Come abbiamo appena detto, l’arazzetto preso in analisi è un vero e proprio enigma concettuale, nato da sfide solitarie dell’artista, il quale scombina le regole che governano il nostro linguaggio, prodotto della società organizzata, facendo riflettere sul fatto che anche la lingua è un codice capace di condizionare la nostra facoltà percettiva e di comprensione, al punto che lo spettatore, alla vista dell’arazzetto, avverte una sensazione di straniamento104. Secondo la riflessione del critico Alberto Boatto, l’artista gestisce l’opera come se fosse una partita in modo da recuperare «le radici infantili del gioco», ovvero la meraviglia e lo stupore suscitati dalla novità, ma integrando contemporaneamente in quest’operazione la «componente adulta del gioco»105, che vede nel meccanismo ludico una via per raggiungere nuovi livelli di consapevolezza e di conoscenza sui codici che regolano la nostra percezione e i nostri comportamenti106. In Ordine e disordine viene richiesto allo spettatore uno

sforzo di decodifica107. Riuscendo a risalire alla chiave che decritta il codice, comprendendo quindi il senso di lettura modificato delle lettere, l’osservatore verifica come ciò che inizialmente appare come un disordine senza capo né coda, sia in realtà l’immagine di un ordine ben preciso, basato su una regola ferrea di trascrizione e di successiva lettura delle parole. In questo senso Ordine e disordine ci fa capire come l’opera in questione sia un work in progress perché vivificata di volta in volta dall’apporto mentale dello spettatore che la interroga e si interroga108. Il percorso che lo spettatore deve affrontare ha inizio dal titolo dell’opera Ordine e disordine, il quale ha una funzione di ancoraggio109 poiché dirige il lettore a comprendere e decodificare la frase racchiusa all’interno dell’arazzetto. Supponendo che sia così possiamo dire che avvengono tre fasi dello schema narrativo canonico110: - Inizialmente viene attuata una manipolazione da parte del Destinante, ovvero l’artista, verso il Desti-

103 S. Bartezzaghi, Questo non è un gioco, in L’arte del gioco da Klee a Boetti, catalogo della mostra (Aosta, Museo Archeologico Nazionale, 20 Dicembre 2002 - 13 Maggio 2003) a cura di P. Bellasi, Milano, Mazzotta, 2002, pp. 267-272. 104 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015, Padova. 105 Ibidem. 106 A. Boatto, Alighiero Boetti, in Alighiero & Boetti cit., a cura di G. Guberti, Essegi Editore, 1984, pp. 13-28. 107 F. Stevanin, Alighiero e Boetti ricami e tappeti, CLEUP, 2015, Padova. 108 Ibidem. 109 S. Casciani, voce Work in progress, in Alighiero Boetti. Quasi Tutto cit., pp. 183. 110 P. Polidoro, Che cos’è la semiotica visiva, Carocci editore, 2012. 46


natario, lo spettatore, il quale si fa carico dell’azione da compiere, ossia decodificare il codice all’interno dell’opera, per riuscire a raggiungere l’Oggetto di valore, in questo caso la lettura completa della frase all’interno dell’opera. - Nella seconda fase, la competenza, il Destinatario acquisisce le capacità che gli permetteranno di portare a termine il suo compito111 attraverso tre modalità: volere, sapere e potere. In questo modo lo spettatore avrà la volontà, la conoscenza e la possibilità materiale di compiere l’azione di decodifica dell’opera attraverso la lettura. - Nella terza ed ultima fase , la performanza, l’azione viene compiuta e il Destinatario si congiunge all’Oggetto di valore, ossia lo spettatore riesce a decodificare l’arazzo e comprendere la frase all’interno dell’opera. Come ricorda Boetti, «è solo questione di conoscere le regole del gioco: chi non le conosce non vedrà mai l’ordine che regna nelle cose, così come di fronte ad un cielo stellato, chi non conosce l’ordine delle stelle vedrà solo una confusione, là dove un astronomo avrà invece una visione molto chiara delle cose»112. Diversamente dal modo di leggere

occidentale che procede da sinistra verso destra e di riga in riga, il senso di lettura dell’opera ricorda quello delle culture orientali, dato che inizia dalla prima casella a sinistra e prosegue scendendo verticalmente: un andamento zigzagante che si ripete per le colonne successive fino alla lettura completa delle sedici lettere. Possiamo ipotizzare che in questo modo l’artista Alighiero Boetti volesse fondere insieme all’interno dell’opera due culture, quella Occidentale, con l’andamento di lettura da sinistra a destra, e quella Orientale, con l’andamento di lettura dall’alto al basso. Sulla base di tali considerazioni potremmo supporre un sistema semisimbolico di questo tipo: Ordine : Disordine :: Occidente : Oriente

Analizzando la composizione a livello plastico possiamo notare le seguenti categorie: - Eidetica: le forme geometriche presenti nell’opera sono quadrate, rettangolari, triangolari e circolari, le quali unendosi fra loro vanno a costituire quelle che sono le lettere e le caselle che le racchiudono. - Cromatica: i colori utilizzati variano dal radicale cromatico o primario psicologico rosso, all’anacromatico nero, fino al semicromatico marro-

111 Ibidem. 112 Ibidem. 47


ne. Per quanto riguarda il rosa e il verde utilizzati possiamo notare che presentano un’alta percentuale di saturazione e di luminosità. La stesura di tutti i colori è uniforme e senza forme di volume. - Topologica: gli elementi presenti all’interno dell’opera analizzata sono disposti uniformemente a scacchiera su tutta la superficie. - Materica: trattandosi di un ricamo l’opera presenta una texture data dalle decorazioni del tessuto che ha a sua volta morbidezza e flessibilità tipiche della stoffa. Equilibrio Ordine (S1)

Disordine (S2)

Al termine dell’analisi possiamo ipotizzare un quadrato semiotico basato sulla contrarietà dei termini “Ordine” (S1) e “Disordine” (S2) , da cui deriva il termine complesso “Equilibrio”, e i loro contraddittori “Non ordine” (non S1) e “Non disordine” (non S2). Nonostante la dicotomia ordine-disordine è presente un equilibrio all’interno dell’opera dato dalla forma geometrica del quadrato e dalle scelte cromatiche. A prima vista percepiamo un «disordine ordinato»113, per dirla come Boetti, in cui le lettere sono perfettamente incasellate e otteniamo un ulteriore ordine non appena riusciamo a decodificare la frase.

Donne afghane che lavorano su un ricamo di Alighiero Boetti. Dal libro Boetti by Afghan People, Pubblicazioni RAM, Settembre 2011. Foto di Randi Malkin Steinberger Courtesy Fondazione Nicola Trussardi, Milano.

Non disordine

Non ordine

(non S2)

(non S1)

113 A. Boetti, Dall’oggi al domani cit., a cura di S. Lombardi, Brescia, Edizioni L’Obliquo, 1988, pp. 14-17. 48


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Alighiero Boetti davanti al Rakaposhi, catena montuosa del Karakoram, Pakistan, 1992. Foto di Caterina Boetti.

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SITOGRAFIA

https://www.archivioalighieroboetti.it/ biografia-cronologica/ https://www.wikiwand.com/it/Alighiero_Boetti

Alighiero Boetti durante la realizzazione del Dossier, Milano, 1970. Foto di Giorgio Colombo.

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