Max Nettlau - Errico Malatesta. Vita e pensieri

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MAX

NETTLAU

Errico Malatesta VITA E PENSIERI CON PREFAZIONE DI

PIETRO

ESTEVE

E NOTE SULL'AUTORE DI

HARRY

Unica Traduzione,

autorizzata,

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da II originale inglese inedito

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INDICE PAGINA

I.

La prima giovinezza in Santa Maria Capua Vetere (1853—1870) II. Gli albori del socialismo in Italia e l'opera di Bakunin in Italia sino al 1867 III. Il socialismo a Napoli dal 1867 al 1870 IV. Malatesta e l'Internazionale di Napoli, dalla primavera del 1871 a Testate del 1872 V. Bakunin e Mazzini; l'Internazionale italiana dal 1871 all'agosto del 1872 (Conferenza di Rimini) . . . . VI. Malatesta e Bakunin — settembre 1872, (Zurigo e St. Furier) V I I . L'Internazionale italiana nel 1873; il Congresso di Bologna; Bakunin e Cafiero V i l i " L'insurrezione del 1874; Malatesta a Castel del Monte, Puglie (Agosto 1874) IX. Il processo di Trani ed altri avvenimenti dall'agosto del 1874 all'estate del 1876 X. I congressi di Firenze e di Berna (ottobre 1876), l'anarchia comunista X I . L'insurrezione di Benevento dell'aprile del 1877

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XII.

I primi due anni di esilio (Egitto, Svizzera, Francia, Belgio, dall'autunno del 1878 al marzo del 1881) XIII. Il primo esilio a Londra (dal marzo del 1881 alla primavera del 1883) XIV. Malatesta a Firenze, 1883—84 (La Questione Sociale) ; l'esilio nel Sud America, 1884—1889).. XV. Malatesta a Nizza ed a Londra (L'Associazione, 1889—90; secondo esilio londinese; dall'autunno del 1889 al principio del 1 8 9 7 . . . / XVI. Ancona (LAgitazione, 1897—98); carcere e fuga; l'America; terzo esilio londinese, * dalla primavera del 1899 alla primavera del 1913.. XVII. Ancona (Colontà, 1913—14); la rivolta in Romagna. Quarto esilio londinese, dall'estate del 1914 alla fine del 1919 XVIII. Ritorno in Italia (fine del 1910) Malatesta e la "Umanità Nova" Milano 1920 XIX. L'opera di Malatesta in Italia, dal gennaio all'ottobre del 1920.. • XX. Il recente arresto di Malatesta (17 ottobre 1920), la sua vita nel carcere di Milano, il processo e l'assoluzione (29 luglio 1921)

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Conclusione.

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Appendice. — La dichiarazione finale di Errico Malatesta davanti ai giurati di Milano

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DUE PAROLE

SULL'AUTORE

E* cosa ben nota che i rivoluzionari raramente si considerano persone di tale importanza da parlare della loro vita privata, così che quando dobbiamo scrivere di uno di noi, non disponiamo degli elementi necessari. L'autore di questa biografia, Max Nettlau, nacque presso Vienna da genitori tedeschi. A Winfuori del fatto che egli venne educato in quella città, dove consegui la laurea di dottore in filologia, non so nulla della sua vita giovanile. Fu nel corso dei suoi studi prediletti, che lo resero conoscitore profondo di molte lingue antiche e moderne e conseguentemente di varie razze, che divenne anarm chico. Lo vidi la prima volta in casa di Alfred Marsh, direttore per venti anni del "Freedom" di Londra, nella primavera del 1895, in Camden Street, Camden Town, Londra, in occa« sione di un convegno di anrchici adunatisi allo scopo di coni• pletore i preparativi per la lotta che si sapeva avrebbe avuto luogo in seguito alla loro ammissione al Congresso Internazionale Socialista ed Operaio fissato per Vanno seguente. Oltre a Marsh ed a Nettlau, erano presenti Tcherkesow, Tcahaykowsky, John Turner, Bernard Kampfmyer, Malatesta (mi sembra) e molti altri. Durante la mia seconda visita a Londra, che si prolungò per quasi sette anni, ci incontrammo molte volte e lavorammo insieme in "Freedom". In seguito egli acquistò la tipografia del "Torch" e la donò al gruppo edito• riale del "Freedom" La vita di Nettlau è la perfetta antitesi della vita di Malatesta e di Bakunin, che egli tanto ammira. Questi ultimi erano uomini di azione, mentre egli rispecchia anche neWesteriorità il dotto e lo studioso. Sono precisamente gli uomini come lui che ci fanno amare la dottrina tedesca anche quando, come nel caso mio, siamo costretti ad attingervi per il tramite del traduttore. Sebbene rappresenti Vopposto di questi uomini d'azione, nondimeno egli, come Malatesta, ha assistilo allo svolgersi di tanti avvenimenti, ha avuto familiarità con tanti personaggi del movimento rivoluzionario, che sembra incredibile sia ancora


Vili così giovane. Conta appena cinquantasei anni ed a meno che le sofferenze fisiche e morali degli ultimi sette anni, che ha trascorso nella sua diletta Vienna, non gli abbiano logorato il fisico, è destinato a rimanere ancora molti anni tra noi. Per quasi quaranta anni egli ha consacrato il suo tempo allo studio del movimento sociale rivoluzionario ed alla com• pilazione della biografia di Bakunin, pubblicata in due grossi volumi. Non ho mai letto questo libro, ma Kropotfcin e Tcherkesov, che possedevano copie manoscritte, mi assicurarono che rappresenta la storia completa del movimento socialista durante la lunga vita di Bakunin. Tcherkesov lo consigliò di farne un compendio e di pubblicarlo sotto il titolo "Storia del movimento socialista in Europa." Nettlau rifiutò, così che il poderoso lavoro non è mai comparso in lingua inglese, con mio vivo rammarico e, credo, con vera perdita per il movimento. Da molti anni scrive in pubblicazioni rivoluzionarie con tanto maggiore competenza in quanto che la conoscenza di molte lingue gli permette di seguire da presso lo svolgersi del movimento nei vari paesi. Generalmente, però, egli firma colle sole iniziali, talché non è molto noto alle nuove generazioni specialmente ai rivoluzionari d'America. Ciò non toglie, per altro, che egli debba considerarsi da oltre venti anni il vero storico del movimento anarchico. Le pagine se* guenti contengono la storia della vita di un uomo, le cui vicende sono così romantiche da rendere il protagonista una figura quasi leggendaria. Il lettore potrà, attraverso la bio• grafia ai Malatesta, fare la conoscenza anche del narratore, grande studioso ed umanitario. Ho avuto la fortuna di conoscerli ambedue, di chiamarli amici e compagni. Essi sono gli araldi di un nuovo giorno e come tali li saluto. HARRY

KELLY.


PREFAZIONE Diaciamolo subito per rassicurare gli scrupolosi. Questo libro non è una biografia che abbia per scopo innalzare un uomo fino alle nubi per meglio idolatrarlo. Veramente non è nemmeno una biografia; sono degli appunti interessantissimi sui quali poter scrivere la storia del movimento anarchico italiano; ma siccome Malatesta fù uno dei primi ad abbracciare questo ideale redentore ed ha dedicato tutta la sua vita alla propagazione e realizzazione dello stesso, si da divenire, a mio modo di vedere, il suo più sincero, eloquente e pratico esponente, non mi sorprende che gli editori chiamano gli appunti storici sul movimento anarchico italiano VITA E PENSIERI di Errico Malatesta, giacché l'influenza tutta di Malatesta, che oggi9 come circa cinquanta anni fa, lavora per Fattuazione odierna e futura del principio anarchico, si sente in ogni epoca ed in ogni azione del nostro movimento in Italia. Siccome io credo, contrariamente a tanti altri, che ce più pericolo, dal punto di vista della idolatrizzazio• ne, parlare di un morto che di un uomo vivo, voglio fare in poche pagine, cosa difficilissima, quello che non ha fatto Fautore riè gli editori: parlare esclusivamente di questo uomo che più che un uomo è una personalità, la più Raccordo nella sua vita pubblica e 9 9 privata coli ideale anarchico, quella dell operaio che 9 allo stesso tempo è filosofo, è letterato, è oratore e uomo di azione.


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Quando si parla o scrive di un morto, siccome non può smentire più coi fatti quello che di lui si dice, sia o no vero, per la tendenza naturale che hanno i laudatori ad ingrandire le sue opere di bontà sorvolando sui suoi diffetti, si fa facilmente del morto un grande uomo, o un genio, o un redentore, o un idolo; in cambio, discorrendo di un uomo che vive, che è ancora nella lotta attiva, si corre il pericolo che quanto si dice per innalzarlo, anche se verissimo, ridonde in danno suo, giacche di lui si aspetta allora più di quello che veramente stia in condizioni di fare, appunto perchè raccontando di lui delle grandi cose si fa supporre al maggior numero, a molti almeno, che egli non può commettere errori. Quanto si dice nel libro è storico, ma la storia spesso è meno veritiera che il romanzo o la legenda. Essendo quella generalmente scritta da uomini che non Vhanno visuta, di certosini che a forza di frugare negli archivi si propongono spiegare le cause che determinarono gli eventi di un dato periodo o epoca, debbono questi contare su documenti, su lettere talvolta scritte apposta per nascondere le intenzioni degli autori stessi e difficilmente riescono a conoscere le cause primordiali che hanno determinato certi fatti. Nemmeno alle autobiografie, e alle "lettere intime" si può dare troppo importanza dal punto di vista della sincerità. Chi non è capace di mentire per abbellire, o almeno non abbruttire, la propria personalità? Quanti non avranno scritti "lettere intime" esprimendo dei sentimenti che non sentivano per raggiungere un dato scopo, contando prcisamente sulla intimità della lettera? Questo libro è Vopera, non di un frugatore di archivi, ma di un raccoglittore di documenti, di fatti de lui presenziati, o raccontati di chi li presenziò, e non ostante, la grande figura del Malatesta risulta offuscata perchè difficilmente si troverà un altro uomo che parli meno di se stesso e delle sue relazioni che il Malatesta. Per ciò, in questo caso, la leggenda formata dai racconti straordinari uditi o dai fatti narrati dai


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testimoni, modellano la statua o dipingono meglio il ritratto della sua personalità. Ed è naturale. Cosa ci possono importare le piccolezze degli uomini idee, per emettetemi la frase? Di loro non ci interessa sapere come bevono, mangiono 0 dormono; quello che vogliamo conoscere sono i loro pensieri, le loro azioni riguardanti Videa stessa. Per il popolo, e intendo per popolo, tutti i componenti la società, Malatesta è come un nuovo Cristo che, invece di predicare la rassegnazione, stoiz/a alla ribellione contro ogni ingiustizia, contro ogni tirannia, co/Uro og/ii sfruttamento. Di lui si sa che, come iZ so/e, porto Zwce; come la tempesta, purifica l'atmosfera, come la pioggia e speranza di buona raccolta. Tanto quanto lo temono i tiranni, confidano in lui gli schiavi. Ed è che Malatesta è il popolo fatto carne. Ha tutte le qualità e tutti i difetti del popolo. Come iZ popolo è intuitivo, audace, altruista, e come iZ popolo è trascurato ed ha periodi di indolenza, e come iZ popolo veste, agisce e vive. veramente un uomo-simbolo. Nessun altro come lui rispecchia così bene Videa rivoluzionaria della epoca. In lui si trova sempre il rivoluzionario, il vero rivoluzionario; mai Vaccademico, non perchè non sia un grande filosofo, a/i grande scrittore, un potente polemista; ma perchè la filosofia, e Forte, e la sagacità per lui non debbono essere altro che mezzi per servire il popolo. Giovane, ragazzo quasi, quando non gli erano spuntati ancora i baffi, neZZa scuola, "talvolta qual moderno Bruto, immaginava affondare un pugnale nel cuore di un qualche 9 moderno Cesare, tal altra si vedeva alla testa di un gruppo di ribelli e sulle barricate, dove sterminava 1 sattelliti della tirannia e tuonava da una piattaforma contro i nemici del popolo Uscito della scuola partecipò a tutti i tentativi in cui scorgeva anche una semplice aspirazione, un vago desiderio di repubblica, e fu come repubblicano che vide per la prima volta Finterno delle prigioni reali. Poi sopravenne la riflessione, studiò la storia che ave-


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va studiato sugli stupidi manuali pieni di menzogne e comprese che la repubblica era una forma di governo come le altre, che l'ingiustizia e la miseria dominavano nelle repubbliche come nelle monarchie e che il popolo era massacrato a colpi di cannoni ogni qualvolta tentava di scuotere il giogo che l'opprimeva. E divenne anarchico e internazionalista. L'Internazionale si era costituita in forma e maniera tale da poter funzionare il giorno dopo della rivoluzione (società di mestiere, federazione di industrie, consigli locali di delegati operai, consigli regionali e internazionale colle sue comissioni di statistiche) ma la concezione internazionalista per fare la rivoluzione era tutta politica, vale a dire, si pensava al rovesciamento del governo mediante la insurrezione popolare, e cosÏ Malatesta fu uno degli iniziatori e prese parte alla prima insurrezione anarchica, quella di Benvento. Fin da allora si rivelò in lui quella forza magnetica per dire cosÏ, del tribuno per cui egli riesce a farsi voler bene quanti lo avvicinano e lo trattano. Erano soltanto un pugno di entusiasti, e nella regione ove entrarono per fare la rivoluzione sociale non c'erano neanche dei simpatizzanti, ne della gente che sappesse cosa era il socialismo e l'anarchia. Ciò non ostante, non solo furono ben ricevuti dai poveri contadini i quali, dopo che gli archivi venivano bracciali, divenivano proprietari della terra e dei suoi prodotti; ma anche i preti dei paesi li seguivano, arrivando a dire uno di essi, un sessantenne, che erano "i veri apostoli di Dio 9 per predicare il vero Evangelio" ; e un altro, quarantenne, corse avvertire il popolo di non temere nulla dalla banda di anarchici. L'Internazionale, mezzo sbandata, poco meno che sciolta (solo in Spagna mantenne sempre, clandestinamente prima e pubblicamente dopo la sua organizzazione in organizzazioni di mestiere, federazioni d'industrie, consigli locali (specie di soviets), regionali, etc.) paso in Italia per lungo periodo critico, tentando gli uni di farla diventare parlamentare, legalista, au-


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toritaria, e gli altri volendo ridurla a una scuola filosofica, ultraegoistica, cercando ognuno il proprio be9 nessere infischiandosi del resto dell umanità, non importa se proletari o borghesi, padroni o operai, governanti o governati. Malatesta, di fronte a queste due mistificazioni, mantenne sempre alta la vera tattica per cui fu tante volte insultato, quella dell'azione diretta, della ribellione a qualunque sopruso, della libertà sconfinata, non per uno, ma per tutti, ciò che costituisce l'ideale anarchico. Si chiamò comunista anarchico, e seguitò, lavorando nei gruppi, facendo sentire la sua influenza nelle leghe di resistenza, e sopratutto nei comizi e nei giornali per stimulare il popolo a fare la rivoluzione a beneficio di tutta l'umanità. Non ammisse mai la distinzione che si è voluta fare tra l'atto individuale e colettivo; Vuno e l'altro sono buoni a seconda dello scopo che ci si prefige e della maniera come viene effettuato. E così della violenza. Con queste idee, colla parola e con gli scritti, ogni qualvolta che ha potuto entrare in Italia, da dove era costretto spesso a fugire per non soffrire lunghe condanne2 ha ispirato e provocato subito un forte movimento anarchico rivoluzionario da far tremare i governanti. : E addesso, a 68 anni, come il primo giorno che ini zio la sua vita di battaglie con Cafiero e Bakunin, pensa, sogna ed è disposto a dare la sua vita per Ict rivoluzione sociale, col vantaggio che oggi egli ha molte ragioni per sperare di vederla realizzata. Si può dire che le aspirazioni della sua giovinezza sono state realizzate: egli ha tuonato sulla piattaforma contro i nemici del popolo; si è trovato alla testa dei gruppi di ribelli sulle barricate per sterminare i sattelliti della tirannia. Non ha affondato ancora un pugnale nel cuore di qualche moderno Cesare, non perchè gli sia mancato mai il coraggio e la voglia, ma perchè oggi il Cesare non è più un uomo, ma un sistema, il capitalismo. Ma per far questo ha tuttavia


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del tempo e io gli auguro che possa farlo. Credo che Errico Malatesta è uno dei pochissimi uomini, forse Vunico uomo che ha avuta la soddisfazione — la più grande soddisfazione che può avere un uomo — di aver quasi la certezza di vedere convertito in realtà il proprio ideale; Videale a cui ha dedicato la sua intelligenza, che è straordinaria, la sua attività, che è grande, e il suo sentimento che è sublime. lo so che questa prefazione lo farà irritare. Egli è così nemico degli elogi. Ma non importa. Nettlau ha raccolto dati, fatti, idee che servono per poter fare un 9 giorno una minuta storia dell Internazionale, nella quale si vedrà la gran influenza che Malatesta ebbe nel suo sviluppo. Questo è il lavoro che Nettlau si è prefisso da molti anni e pel quale tiene raccolto materiale straordinario. Io, in cambio, ho voluto fare risaltare la figura di questo uomo che, essendo nemico di ogni personalismo, avendo combatutto costantemente ogni idolatrizzazione, che non parla, ne scrive mai di lui; che si è visto ricevere meglio di Cristo in Jerusalemme {parli Genoa) e che non può prendere parte in un comizio senza che le bandiere per lui si inchinino; ai gridi di viva e al fragore degli applausi, e che gli stessi nemici, i procuratori del re e i giudici, i rappresentanti del governo che combatte implacabilmente e vuol distruggere lo trattino con sommo rispetto; io ho voluto, dicevo, far risaltare la figura di questo uomo, fissandone i tratti caratteristici della sua personalità che si è imposta, pur essendo egli il più impersonale degli uomini. Quando lui parla, quando lui scrive, quando lui agisce, non è lui che si vede, ma è Vanima popolare incarnata in un popolano che, senza lasciar di esser tale, risplende Videale della umana redenzione.

PIETRO ESTEVE.


CAPITOLO PRIMO LA

PRIMA

GIOVINEZZA


ERRICO MALATESTA


I. LA PRIMA GIOVINEZZA IN SANTA MARIA CAPUA V E T E R E (1853-1879)

Errico Malatesta nacque nel 1853 in Santa Maria Capua Vetere, cittadina che sorge sulle rovine dell'antica Capua, a quattro miglia di distanza dal castello di Caserta. Nel mese di giugno di quell'anno, Gregorovius, lo storico della Roma medioevale, cosÏ descrive nei suoi Diari Romani il paesaggio di quelle parti : "muovendo da Roma, dopo una notte in Vellètri, si attraversano le paludi Pontine, che in questa stagione sono un mare di fiori; Capo Circeo presenta uno spettacolo affascinante. La sera dopo si giunge alla graziosa Terracina. Incomincia, quindi, il reame di Napoli. Fondi pullula di accattoni. Mura ciclopiche. Alberi di melagrani in fiore. Itri estremamente pittoresca con molte torri e vecchie mura. Mola di Gaeta con vegetazione lussureggiante di vigneti e di aranci. Si attraversa il Garigliano. Rovine pittoresche, antico acquedotto. Sant'Agata. Le


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città napoletane sono più gaie di quelle laziali; dappertutto case bianche che mostrano ridenti le loro decorazioni floreali. Il giorno dopo si è a Capua, adagiantesi in una ricca pianura. Piazza con alberi verdi. Chiese insignificanti. Soldati in gran numero. Nel pomeriggio da Aversa si a va Napoli; un brillante arcobaleno sormonta il Vesuvio. La luna ammaliatrice illumina il golfo buio." Capua aveva nel 1860 una popolazione borghese di circa 10,000 abitanti ed una forte guarnigione. Essendo il centro amministrativo della Terra di Lavoro, ospitava probabilmente una numerosa burocrazia col suo stuolo di avvocati ed i latifondisti, proprietari delle terre circostanti. Caserta, invece, col castello e gli estesi domini borbonici, era teatro della vita aristocratica e di corte. Fra questi due centri Santa Maria, che ora conta circa 30.000 abitanti, era forse allora una città rurale di piccoli proprietari e commercianti cui la vicinanza di Capua e Caserta, ed anche di Napoli, offriva taluni vantaggi educativi e di scambio. Sarebbe desiderabile che lo stesso Malatesta, anche se risoluto a mantenere il silenzio sulla sua vita negli anni maturi, ci narrasse della sua fanciullezza, che a giudicare dall'ambiente dovette trascorrere assai calma. Gli avvenimenti contemporanei svoltisi sotto i suoi occhi, lo resero, peraltro, testimonio, in età giovanissima, di fatti importantissimi. Non so se la sua famiglia e le tradizioni locali


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abbiano in quel tempo richiamato la sua attenzione sul malgoverno dei Borboni o se anche allora i fanciulli delle classi medie, con interessi prevalentemente materiali (suo padre era probabilmente commerciante), venissero tenuti all'oscuro degli eventi politici e delle questioni sociali. Egli aveva sei o sette anni quando, nel 1860, il vecchio sistema crollò dalle fondamenta; allora, per un istante, l'attenzione dell'Europa e dal 15 settembre guerreggiarono colla guarnigione di Capua marciò contro la sua Santa Maria, tenuta da Garibaldi in persona, che guidò le sue truppe e sconfisse i borbonici in battaglia campale. Capua venne ben presto assediata e dovè capitolare. Non è probabile che un ragazzo dimentichi avvenimenti di tal genere. Comunque sia, la sua attenzione dovè fin da allora destarsi, tanto più che in seguito alla guerra di Lombardia nel 1859 Modena, Parma, la Toscana e la Romagna avevano scacciato i loro dominatori e Garibaldi nel maggio del 1860 aveva strappato in un solo mese la Sicilia ai Borboni ed il 7 settembre era entrato trionfalmente in Napoli. L'esercito borbonico occupava ancora le fortezze di Capua e di Gaeta e la regione a nord del Volturno. I garibaldini, guidati da Turr, marciarono sino a Santa Maria e dal 15 settembre guerreggiarono colla guarnigione di Capua; circa 21,000 garibaldini attaccarono 30,000 realisti ed il 21 settembre, a Caiazzo, a nord del fiume, subirono il primo scacco dell'intera campagna. Garibaldi assunse


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allora personalmente il comando delle truppe e la mattina del l.o ottobre era in Santa Maria contro cui, durante quel giorno di battaglia, 7,000 uomini della guarnigione di Capua avanzarono all'attacco. Fu ardua fatica respingere questo assalto da ogni lato, ma si riuscì; nondimeno Garibaldi non prosegui verso il nord. Il 21 ottobre, in seguito a plebiscito, fu votata quasi all'unanimità l'annessione all'Italia di Vittorio Emanuele. L'esercito piemontese invase Napoli dal nord, Capua venne assediata da garibaldini e piemontesi e, in seguito a bombardamento, capitolò il 3 novembre. Il 7 novembre Vittorio Emanuele entrò in Napoli da cui Mazzini era partito poco prima e che Garibaldi abbandonò due giorni dopo per far ritorno alla sua Caprera; per questi e per molti dei loro amici l'avventura aveva perduto tutta la sua attrattiva. Così Santa Maria, e presumibilmente il giovane Malatesta, videro oltre sei settimane di vera guerra dal lato vittorioso e popolare e malgrado le delusioni politiche, economiche e d'altra natura che seguirono, il ragazzo potè crescere da allora in un'atmosfera di liberazione mentale, spoglia di dominio pretesco e dello stupido, meschino e barbaro dispotismo che caratterizzò fino all'ultimo il decadente regime borbonico. Si noti qui che se l'iniziativa rivoluzionaria di Garibaldi dovè destare lo spirito di Malatesta, risvegliò parimenti Bakunin il quale, dopo otto


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anni di prigione in fortezza, languiva allora in Siberia, sognando di guerre nazionali e di federazioni delle genti slave. La fama di Garibaldi arrivò sino ai contadini siberiani che lo chiamarono Garibaldoff e per Bakunin fu il segno precursore che l'Europa, sonnecchiante da dieci anni, era di nuovo alla vigilia di portentosi avvenimenti. Decise, quindi, di fuggire dalla Siberia e vi riuscì. Dopo arduo lavoro per aiutare l'insurrezione polacca del 1862 e 63, si recò in Italia, dove visitò Garibaldi e molti altri, stabilendosi a Firenze e dal 1865 al 1867 a Napoli. Di ciò il ragazzo, che risiedeva in Santa Maria, non era informato; ma alcuni anni dopo egli varcò le Alpi per recarsi nella Svizzera settentrionale a visitare Bakunin. Ritorniamo ora al 1861. Santa Maria probabilmente riprese il suo aspetto di sonnecchiante città di provincia che gli eventi politici del sessanta non toccavano più direttamente. I piemontesi sconfissero le truppe pontifiche a Castelfidarlo e sottrassero le Marche e l'Umbria al dominio papale, che si restrinse a Roma ed al territorio circostante. Da questo rifugio i realisti napoletani invadevano di frequente il vecchio reame ed erano naturalmente chiamati briganti dai piemontesi od italiani. Nel periodo di venti mesi, (1861-62) di questi realisti borbonici 2293 rimasero uccisi, 2677 vennero fatti prigionieri e 959 fucilati in forza della legge marziale. Queste operazioni si svolsero per la maggior parte in «

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inospiti regioni montane, probabilmente lungi dalle ricche terre capuane. Fu allora che Garibaldi il quale, con un disinteresse unico in u n condottiero politico e militare, aveva nel novembre del 1860 rinunciato ad ogni suo potere, desiderando di continuare il suo lavoro di liberazione e por fine al dominio dei preti su Roma e sul suo territorio, alla testa di volontari si accinse ad un compito senza alcuna speranza di riuscita. Difatti nel 1863, ad Aspromonte, rimase ferito per mano dei soldati italiani e nel 1867, a Mentana, subì una sconfitta inflittagli dalle truppe pontificie e dagli zuavi, i cui chassepots "fecero miracoli". Se ciò accadde a Garibaldi che godeva di si immensa popolarità e prestigio, può immaginarsi quali difficoltà dovessero incontrare i piani e le operazioni dei mazziniani per la creazione di una repubblica, di fronte alla ostilità del potere statale che giammai muta, sia vecchio o nuovo, napoletano o piemontese, borbonico o savoiardo. Nello sfondo di questa scena agiva la politica europea, specialmente francese. Napoleone III aveva opposto il suo veto all'occupazione di Roma da parte dellTtalia e se non avesse desiderato propiziarsi quest'ultima per adoperarla contro l'Europa centrale, avrebbe assecondato le aspirazioni dai muratisti su Napoli, col risultato di risvegliare il vecchio amore dell'Inghilterra per la Sicilia. Questa situazione instabile condusse ad intese tacite e malsicure fra il governo ed i nazionalisti per la conquista di Venezia e di Roma a vantaggio della monar-


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chia di Vittorio Emanuele, come era avvenuto nel 1859-60. I grandi avvenimenti della storia europea decisero alla fine delle questioni di Roma e Venezia. La sconfitta dell'Austria da parte della Germania diede il Veneto all'Italia e la caduta di Napoleone nel settembre del 1870 permise al governo italiano di impadronirsi di Roma. Dopo ciò, e per molti anni, i garibaldini ed i mazziniani, non più necessari, vennero considerati come una gloria passata ed un imbarazzo per l'Italia ufficiale. Questo carattere instabile e semi-progressista della vita pubblica fra il 1860 ed il 1870 è probabile che offrisse al giovane Malatesta l'opportunità di assicurarsi informazioni da fonti radicali. L'anticlericalismo era indubbiamente incoraggiato da un governo che nel 1866 incamerò i beni religiosi ed attendeva il momento di impadronirsi del potere temporale del papa. Dippiù, il malgoverno borbonico dal 1735 al 1860 veniva dipinto nei veri colori per scoraggiare qualsiasi aspirazione legittimista. I martiri dell'indipendenza nazionale erano, per contrario, glorificati. Quando una propaganda di tal genere vien fatta da abili insegnanti, da scrittori popolari, i giovani che crescono in ambiente simile passano facilmente dall'anticlericalismo all'ateismo, dall'anti-borbonismo all'anti-monarchisnio ed al repubblicanismo, dal riconoscimento delle rivolte nazionali al riconoscimento del diritto delle rivoluzioni in genere. Comunque sia, non è improbabile che l'evoluzione di Malatesta nella


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sua prima giovinezza abbia proceduto per questa via. Nulla lascia supporre che egli abbia allora fatto uno studio speciale di storia rivoluzionaria, sebbene egli mi abbia detto che la storia della Rivoluzione francese, di Mignet, che suo padre possedeva, lo interessò moltissimo in età giovanile. Ed in vero egli dovette essere troppo attivo e di spirito pratico per dedicare molto tempo alla lettura. Ciò non toglie, per altro, che egli sia assai versato nella storia. Allora, quando contava diciassette anni, o poco dopo, rivolse la sua attenzione, io ritengo, alla storia d'Italia e di Napoli che offre tanti argomenti contro lo Stato ed in favore dell'azione rivoluzionaria. Dalla Storia delle Repubbliche Italiane, di Sismondi, dalla non meno famosa Storia delle Rivoluzioni d'Italia (1858) e da tutti gli altri libri basati su quelli o che quelli completano, si apprende la vita medievole dei cittadini in comuni liberi e federati, lo sviluppo delle arti e del sapere in tutti questi centri indipendenti non solo, ma anche la lotta incessante contro il potére statale cui finalmente soccombono. La stona più recente mostra Napoli sotto dinastie straniere, Angiovina, Aragonese e Borbonica, che infliggono alla popolazione un dispotismo schiacciante e sfruttatore, interrotto per breve tempo dalla Repubblica Partenopea, che il cardinale Ruffo annegò nel sangue sotto la protezione dell'ammiraglio Nelson, ed il regno di Gioacchino Murat sotto gli auspicii di Napoleone. Dappertutto tirannia e repres-


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sione, sorrette da un sistema latifondista feudale, dominio di preti e conseguente ignoranza popolare e superstizione, ed il più odioso fiscalismo. Tale la situazione fino al 1860. Chi potrebbe credere che i mutamenti politici avrebbero eliminato questi mali secolari? Non è, quindi, da meravigliare che un giovane di cuore e di spirito si convincesse della necessità di lottare strenuamente per combattere, sia pure a costo di sacrifici inauditi, i mali tuttora esistenti e che nel passato avevano creato tanti eroi e mietuto vittime sì numerose. Come non commuoversi nel leggere di Tommaso Campanella (1568-1639), l'autore di "La città del sole", il monaco calabrese che organizzò la grande cospirazione per scuotere il giogo spanuolo, e che patì 27 anni di carcere e fu sovente torturato? E che dire dell'episodio di Masaniello, più generalmente noto? E di Filippo Buonarroti, meno conosciuto nell'Italia meridionale che in Toscana, al quale si riconnette l'episodio di Grachus Babeuf ed una vita di quaranta anni di cospirazione ? Ma sopra tutto Vincenzo Russo, di Napoli (1770, impiccato nel 1799), doveva esercitare un grande fascino su di un giovane amante di libertà, effe avrebbe potuto apprendere, dal libro "I Pensieri Politici', (1798) i primi elementi del socialismo. Russo scriveva, difatti : "La disuguaglianza grande della società è il nodo gordiano. La rivoluzione è destinata a


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tagliarlo ed a purgare dai delitti la terra. Al nome di rivoluzione il genere umano si rianima dalle sue agonie di morte e respira per lusinga di vedere vendicati una buona volta i suoi diritti insultati per tanti secoli impunemente. Chi tradisce per imbecillità o per infamia la rivoluzione è l'esecrazione dell'umanità, l'orrore degli stessi assassini." (Angiolini : Cinquant'anni di Socialismo in Italia, 1900. p. 21). Dopo questo periodo di rivoluzione napoletana del 1799, è interessante l'era delle società segrete, specialmente dei Carbonari, di cui nel 60 potevano ancora udirsi tradizioni verbali. Queste congiure e la loro spietata repressione mettono in luce personalità di straordinario interesse, come quella di Ciro Annichiarico e di Decisi, fucilato nel 1818. Una rivoluzione si ebbe in realtà nel 1820, tanto che per parecchi mesi i carbonari trionfarono in Napoli ed in tutto il regno, temuti ed esecrati dalla Santa Alleanza, come il bolscevismo è oggi dall'Intesa, e finalmente traditi dal re e sconfitti da un esercito austriaco. Poi Napoli manifestò una attività rivoluzionaria, ma nel 1848 cadde di nuovo in preda a moti turboleti. Le agitazioni, represse il 15 maggio, condussero ad interminabili processi e le crudeltà perpetrate su di un enorme numero di prigionieri furono tali da muovere l'indignazione di Gladstone, il quale colle sue "Due lettere al conte di Aberdeen sulle persecuzioni del governo napoletano"


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(1851) diede l'ultimo impulso a quell'isolamento morale del governo borbonico, che spiega come questo venisse abbandonato alla sua sorte e come la spedizione di Garibaldi trovasse una solida base ed un valido appoggio. Prima, però, della liberazione alcuni martiri dovettero sacrificare la loro vita. Basti rammentare Agesilao Milano, il soldato che nel 1856 durante una rivista delle truppe ferì il re crudele, e Carlo Pisacane (1857), che gli anarchici ricordano come il chiaro esponente di una concezione del socialismo molto simile all'anarchia. Ciò può constatarsi leggendo i suoi "Saggi Storici - politici — militari sull'Italia" (1858-1860), di cui si usa ristampare il Saggio sulla Rivoluzione, ma che è difficilissimo trovare nella loro interezza, tanto che lo stesso Cafiero si mostrò lietissimo allorché nel 1881 potè rinvenirli in Lugano. Il "Testamento Politico" di Pisacane è, però, facilmente accessibile. Prima di partire da Genova per sbarcare nel Golfo di Policarpo, dove lo attendeva la morte, l'autore scrisse (24 Giugno 1857) : "Che la propaganda dell'idea è una chimera, che l'educazione del popolo è un assurdo. Le idee risultano dai fatti, non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero quando sarà educato, ma sarà educato quando sarà libero ; la sola opera che può fare un cittadino per giovare al paese è quella di cooperare alla rivoluzione materiale, e però cospirazioni, congiure, tentativi, ecc., sono quella serie di fatti attra-


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verso cui ITtalia procede verso la sua meta. 11 lampo della baionetta di Agesilao Milano fu una propaganda più efficace di mille volumi scritti dai dottrinari, che sono la vera peste del nostro, come d'ogni altro paese". Parole risolute come queste passano per fanatismo quando la causa fallisce; il rivoluzionario che riesce nel suo intento, come Garibaldi nel 1860, diviene l'eroe mondiale. Le idee che esse esprimevano costituirono il sustrato di ogni azione reale e vennero tramandate da Pisacane, l'anarchico che morì per la sua causa nazionale, agli internazionalisti che agirono pel bene dell'umanità in genere. Uno dei compagni di Pisacane fu Giuseppe Fanelli, in seguito amico di Bakunin e di Malatesta, uno dei primi e più attivi internazionalisti. Un altro dei suoi compagni fu Nicotera, che divenne poi ministro e vivace persecutore degli internazionalisti; Crispi, Cairoli ed altri, sostenitori di Garibaldi e partecipi in tutte le cospirazioni, si comportarono similmente quando ascesero al potere. Abbastanza s'è detto per dimostrare che il giovane Malatesta, anche se non ebbe una speciale iniziazione rivoluzionaria prima di partire da Santa Maria — dopo aver frequentato il liceo nella città natia (*) — per recarsi a seguire i corsi dell'Università di Napoli, da (*) Dopo avere scritto queste linee un vecchio compagno mi informa che Malatesta, i cui genitori erano probabilmente già morti e che aveva un unico fratello, fu alunno, verso il 1868, 69 e 70, dei padri "Scolopii", presso i quali compì gli studi liceali. I frati vennero in


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giovane intelligente e di idee liberali quale egli era dovè facilmente giungere ad abbracciare idee relativamente avanzate, a quel "patriotti,, smo rivoluzionario tanto diffuso in quel tempo. Angiolini (1900) lo considera Mazziniano, Fabbri (1921) lo ritiene inclinato verso Garibaldi, ma io credo che nella migliore ipotesi egli fosse partigiano assai ortodosso dell'uno o dell'altro. Mazzini rappresentava apparentemente un repubblicanismo più fermo ed un più alto ideale sociale di Garibaldi ; può, quindi, darsi che gli venisse attratto da quello che era, ai suoi occhi, il rivoluzionario più avanzato. Ma in tutto ciò che conosciamo <fi Malatesta non v'è alcuna traccia che dimostri che le speciali idee di misticismo religioso e di peculiare pseudosocialismo (che in realtà è nella più stridente antitesi col vero socialismo) inseparabili, l'uno e l'altro, da Mazzini, sebbene non tocchino il suo pensiero pratico — politico, — siano mai state accettate da Malatesta, il quale sembra si sia gettato nell'internazionalismo e nell'anarchia così decisamente e rapidamente come se gli fossero noti fin dal principio. Che cosa inducesse Malatesta ad abbracciare idee avanzate, se la miseria sociale osservata in questi anni, se il malcontento politico generale, se gli amici, le società o la propaganda seguito espulsi dal convento per ordine del governo ed in allora, o quando Barsanti venne guistiziato, il giovane Malatesta scrisse al re una lettera, che fu causa di molestie all'autore ed ai padri.


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locale, egli soltanto potrebbe dirci, fornendoci, in pari tempo, altri particolari della sua vita giovanile, di cui noi possiamo dare soltanto una narrazione frammentaria ed ipotetica. Riguardo all'evoluzione mentale dal repubblicanismo astratto al socialismo militante verificatasi nel giovane Malatesta, credo opportuno riprodurre gli accenni biografici contenuti in un articolo comparso nella Questione Sociale (Firenze) verso il Gennaio del 1884, e pubblicato in francese nel periodico Revolté (Ginevra, 3 febbr. 1884). L'articolo, in cui l'autore mira ad indicare la via che la gioventù repubblicana di allora avrebbe dovuto seguire, può sotto certi aspetti paragonarsi all'Appello ai Giovani, di Kropotkin. "Più di quindici anni sono (1868) — dice Malatesta — ero un giovinetto dedito allo studio della retorica, della storia romana e della filosofia di Gioberti. I miei insegnanti non riuscirono a soffocare in me la forza della natura, talché io potei conservare nell'ambiente stupido e corruttore di una scuola moderna la sanità dell'intelletto e la verginità del cuore. "Dotato d'indole ardente e buona, sognai un mondo ideale dove tutti si amassero e fossero felici. Quando, però, stanco dei miei sogni, mi diedi ad osservare la realtà, vidi attorno a me degli sventurati tremanti dal freddo ed imploranti umilmente una elemosina, fanciulli piangenti, uomini che maledivano ed il mio cuore si fece di ghiaccio.


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"Osservai più attentamente e mi accorsi che un'enorme ingiustizia, un sistema assurdo opprimevano l'umanità, condannandola a soffrire: il lavoro degradava ed era quasi ritenuto disonorante, il lavoratore moriva di fame perchè il suo padrone ozioso potesse darsi all'orgia. Il cuore mi si gonfiò d'indignazione, pensai ai Gracchi ed a Spartaco e sentii in me l'anima di un tribuno e di un ribelle. "E poiché udivo intorno a me che la repubblica era la negazione di queste cose che mi torturavano, che nella repubblica tutti erano uguali, poiché dappertutto e sempre vedevo la parola repubblica menzionata con tutte le rivolte dei poveri e degli schiavi, poiché in iscuola ci tenevano nella più completa ignoranza del mondo moderno per istupidirci con una storia mutilata ed adulterata dell'antica Roma e, d'altra parte, non potevamo trovare al di fuori delle formule romane un tipo di vita sociale, per tutti questi motivi mi chiamai repubblicano, nome che mi parve racchiudesse tutti i desideri, tutta l'indignazione che albergavano nel mio cuore. — Forse non sapevo che cosa questa repubblica sognata dovesse essere, ma credevo di saperlo e ciò mi bastava: per me la repubblica era il regime dell'uguaglianza, dell'amore, della prosperità, il sogno caro della mia fantasia tradotto in realtà. "Oh! quali palpitazioni agitavano il mio giovane petto!" "Talvolta, qual moderno Bruto, immaginavo


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di affondare un pugnale nel cuore di un qualche moderno Cesare ; tal'altra mi vedevo alla testa di un gruppo di ribelli e sulle barricate, donde sterminavo i satelliti della tirannia, o tuonavo da una piattaforma contro i nemici del popolo. Misuravo la mia statura ed esaminavo il mio labbro superiore per osservare se i baffi fossero spuntati. Oh! come ero impaziente di crescere, di abbandonare la scuola per dedicarmi completamente alla causa della repubblica !" "Finalmente arrivò il giorno da me tanto desiderato ed entrai nel mondo, pieno di generose intenzioni, di speranze e di illusioni." "Avevo tanto sognato la repubblica che non potei astenermi dal partecipare a tutti i tentativi in cui scorgessi anche una semplice aspirazione, un vago desiderio di repubblica e fu come repubblicano che vidi per la prima volta l'interno delle prigioni r e a l i . . . . " "Poi sopravvenne la riflessione. Studiai la storia che avevo appreso da stupidi manuali pieni di menzogne e compresi che la repubblica era stata sempre una forma di governo come le altre, che l'ingiustizia e la miseria dominavano nelle repubbliche come nelle monarchie e che il popolo è massacrato a colpi di cannone ogni qualvolta tenta di scuotere il giogo che lo opprime." Egli rivolse lo sguardo all'America dove la schiavitÚ era compatibile colla repubblica, alla Svizzera dove il dominio pietoso, cattolico o protestante, aveva regnato, alla Francia dove


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la repubblica era stata instaurata col massacro di 50.000 parigini della Comune etc. Non era questa la repubblica che egli aveva sognato e se uomini più attempati gli avevano detto che in Italia la repubblica avrebbe apportato giustizia, uguaglianza, libertà e prosperità, egli sapeva bene che le stesse cose erano state predette anche in Francia, e si predicono sempre e dappertutto. Ben presto giunse alla conclusione che il carattere di una società non può dipendere da nomi e da eccessori, ma dalle vere relazioni dei suoi membri fra loro e con 1' organismo. Perciò non vi era alcuna diversità essenziale fra repubblica e monarchia, come dimostra l'identità della loro struttura economica, la cui base è costituita dalla proprietà privata. La storia dimostra che i diritti popolari (nelle repubbliche) non possono modificare l'ordine esistente. Occorre, quindi, una radicale trasformazione del sistema economico, procedendo dall'abolizione della proprietà privata. Convintosi di ciò, il giovane Malatesta aborre la repubblica, in cui non vede se non una forma di governo che mantiene in vita e difende il privilegio esistente, e diviene socialista. A questa semplice e chiara esposizione possono aggiungersi le impressioni suscitate in Malatesta dalla morte di Garibaldi (Garibaldi, firmato E. M., in Révolté, 10 giugno 1882) : . . " H o combattuto per lungo tempo Garibaldi ed il Garibaldinismo, di cui sono sempre rima-


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sto avversario deciso. Fin da quando entrai nel movimento socialista incontrai sulla via deirinternazionale in Italia quest'uomo, o piuttosto questo nome, poggiante sulla sua formidabile gloria, sulla sua immensa popolarità e sulla incontestata nobiltà di carattere. Essendo egli più pericoloso di altri grandi avversari a motivo della sua attitudine equivoca, delle sue adesioni subito ritirate od adulterate, mi persuasi ben presto che finché Garibaldi non fosse stato eliminato, il socialismo in Italia sarebbe rimasto una vuota fraseologia retorica, un'adulterazione del vero socialismo. Lo combattei, quindi, colla coscienza di compiere un dovere, fors'anco coll'esagerazione di un neofita e di un meridionale. Orbene, quando fui informato della sua morte, provai lo stesso dolore di quando appresi la morte di quell'altra grande figura italiana, Giuseppe Mazzini, sebbene avessi polemizzato contro il suo programma." Dal resto dell'articolo tolgo soltanto questo brano: "Ventidue anni dopo la spedizione di Marsala un papa ed un re sono ancora a Roma ! ! ! Io credo che Garibaldi avrebbe potuto schiacciare il papato nel 1860 ed instaurare la repubblica in Italia. Se ciò avesse condotto alla guerra civile ed alla invasione straniera, tanto meglio ! Il movimento del 1860 avrebbe potuto convertirsi in vera rivoluzione e l'Italia avrebbe rinnovato i miracoli della Francia nel 92. Io ritengo che da quel tempo Garibardi avrebbe potuto liberare parecchie volte l'Ita-


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Ha dalla monarchia e che non soltanto non lo ha fatto ma della monarchia ha rappresentato per lungo tempo la valvola di sicurezza." La ragione è che per quanto audace egli era in guerra altrettanto timido era in politica etc." Da queste citazioni occasionali possiamo forse concludere che il giovane Malatesta non cadde mai sotto l'influenza di uno dei partiti avanzati come tali, ma concepì piuttosto un repubblicanismo suo proprio nato dal desiderio di giustizia sociale. Quando poi paragonò questo repubblicanismo socialista ai partiti repubblicani esistenti rimase deluso. Soltanto l'eroico socialismo rivoluzionario della Comune di Parigi lo appagò interamente, perchè in esso vedeva la realizzazione dei suoi sogni.


CAPITOLO SECONDO »

GLI ALBORI DEL SOCIALISMO


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II. GLI A L B O R I D E L SOCIALISMO IN ITAL I A E L'OPERA DI BAKUNIN IN ITALIA SINO AL 1867 #

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Prima di occuparci dell'inizio dei rapporti di Malatesta col movimento socialista, è mestieri esaminare lo sviluppo economico e sociale dell'Italia unita dal 1859 al 1870 e l'origine e lo sviluppo del socialismo in Italia durante questo periodo. Il trionfo politico dell'unificazione, iniziatosi nel 1859, condusse alla improvvisa fusione di unità economiche già indipendenti con organizzazione e sviluppo diversissimi, sotto la guida della forte e tenace razza piemontese. Questo mutamento arrecò imbarazzi alle regioni meno avanzate, in ispeciial modo alle meridionali, in cui la frugalità e la miseria causate dal medioevale sistema di proprietà terriera, e dalla generale corruzione praticata da secoli, avevano per lo meno assunto forme piuttosto stabili, fossilizzate, patriarcali, mitigate dal brigantaggio, ed erano esenti da quella terribile


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minaccia ai metodi ed alle abitudini antiquate che è rappresentata dalla concorrenza di mezzi di produzione e di commercio pratici e moderni. L'isolamento era terminato ed il nuovo ritmo di lavoro e di scambio, regolato da metodi ed usanze assai meno lente, fu una terribile rivelazione per il mezzogiorno e per molte altre regioni non assuefatte ad agire con rapidità e prontezza. Speculazione e burocrazia, corruzione e favoritismo, presero ad imperare. L'avvocato ed il deputato divennero gli intermediari fra il governo centrale e gli interessi locali e molti, già rivoluzionari, si cambiarono in patrioti di professione e politicanti affaristi. Il governo si propose di elevare il livello sociale, morale ed intellettuale del popolo per distruggere ogni tendenza legittimista, ma d'altro canto vide con piacere l'infiltrazione della corruzione e della speculazione nei partiti avanzati, dappoiché ciò indeboliva la loro efficienza rivoluzionaria. Così Mazzini, Garibaldi ed un piccolo numero di altri sinceri repubblicani, malgrado tutto il loro prestigio e la loro popolarità, non ebbero per loro sostegni che partiti poco validi e fallirono, quindi, in tutti i loro sforzi ulteriori. Le file dei loro seguaci si riformavano di continuo con giovani reclutati dalla nuova generazione, anche dalle classi operaie e da gruppi di entusiasti, giovani e vecchi; ma gli adulti si tenevano per la maggior parte a distanza, in attesa di affari e profitti. Il socialismo era quasi sconosciuto, ma il


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principio di associazione era largamente riconosciuto e praticato. Libertà ed Associazione erano state le parole d'ordine di Pisacane, intese in ispirito veramente socialista, anzi anarchico. Senonchè, l'infinito numero di società costituite sotto gli auspicii di Mazzini e di Garibaldi limitavano la loro attività all'educazione popolare, alla mutua assistenza per mezzo del credito. Erano, anzitutto centri di agitazione repubblicana, campi di reclutamento per le milizie rivoluzionarie etc. Venezia e Roma, non pane e libertà, e neppure repubblica prima di tutto, fu il pensiero dominante di tutti i veri capi sino al 1870. Inoltre Mazzini non nascose mai la sua profonda avversione per il socialismo, come risultò dalla discussione che egli ebbe neL 1852 con Louis Blanc e con altri profughi socialisti in Londra ; nel 1871 scagliò tutti i suoi strali contro la Comune di Parigi e l'Internazionale. — Nel sessanta fu invitato a cooperare alla fondazione della Internazionale in Londra, ma quando il suo pseudo-socialismo, applicato a tante società operaie italiane, venne considerato troppo superficiale dagli iniziatori del vero movimento in Londra, egli dovè, naturalmente ritirarsi, ed in seguito assistè con non celata ostilità agli sfòrzi di Bakunin, principalmente in Napoli e nel resto del mezzogiorno, per propagare il vero socialismo rivoluzionario. Un piccolo giornale, Il Proletario, diretto dal prof. Niccolò Lo Savio in Firenze (20 agosto


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1865 — l.o gennaio 1866) sembra abbia sostenuto la cooperazione, respinto l'intromissione parlamentare e scansato le tendenze patriottiche, vale a dire nazionaliste — straordinaria combinazione di principii. Il direttore (dice Angiolini) aveva conosciuto Bakunin a Firenze, ma quest'ultimo era partito prima che il giornale fosse dato alle stampe. Se si toglie questo episodio, nessun vero sforzo socialista si fece finché Bakunin non ebbe indotto un piccolo gruppo a farsi innanzi ed a proclamare le sue dottrine avanzate; i futuri socialisti erano tutti là, da Fanelli, amico di Pisacane, nel sud, a Bignami e Gnocchi Viani, i primi socialisti legalitari, nel nord, ma tutti indistintamente erano affiliati ai partiti nazionalisti, ipnotizzati, vale a dire, da Venezia e da Roma. Quel che Bakunin instillò nella mente dei suoi primi amici fu non tanto il socialismo che essi già conoscevano od accettavano teoricamente, ma posponevano alle questioni nazionali — quanto la chiara visione dell'insufficienza delle rivoluzioni nazionaliste ed il coraggio di resistere all'onnipotente nazionalismo cui tutti i. loro amici e compagni si inchinavano. Nessun altro socialista.avrebbe potuto in quel tempo compiere \quel che . compi Bakunin., il. quale era nazionalista egli stesso, aveva difeso polacchi, tedeschi e russi, pagando di persona con sofferenze che lo avevano reso noto in tutto il mondo. Fin da quando giunse per la prima volta in Italia munito di lettere di presentazio»


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ne di Mazzini ed Aurelio Saffi, e visitò Garibaldi a Caprera, stabilendosi poi a Firenze (Gennaio—Agosto 1864), egli previde moti nazionalisti ed una sollevazione nel Veneto per la primavera, ma in pari tempo preconizzò qualche cosa di più grandioso, una rivoluzione generale. Il 4 marzo 1864 egli scrive ad H. Herzen ed a N. Oganeff, i suoi vecchi amici di Londra : " . . come vedete, qui ed in tutta l'Europa vi è una terribile confusione; nessuna questione viene posta nettamente e chiaramente. Dappertutto domande legittime e movimenti con una miscela di veleno napoleonico. Ma l'elettricità si va accumulando e riempie l'aria. L'uragano deve scoppiare. — Può darsi che tardi a venire — ma secondo me la marea incomincia a salire. —" Il 24 aprile ad un vecchio amico polacco scrive : " in occidente la reazione è al termine — la rivoluzione è incominciata di nuovo." Ben presto entrò in ottimi rapporti coi più noti radicali di Firenze, con Giuseppe Dolfi, fornaio, e con pochi altri come Berti Calma e Giuseppe Mazzoni di Prato, i quali erano più disposti a condividere le sue idee generali ed aiutarono il socialismo al suo inizio. Fu in quel tempo -(1864) che. Bakunin costituì il primo gruppo di amici intimi, cui si da usalmente ha qualifica di società segreta. Fra l'agosto ed il novembre si diede di nuovo a viaggiare ed ai primi di novembre si abboccò in Londra con Karl Marx, che aveva espresso il desiderio di vederlo. Marx lo esortò a prestare il suo aiuto


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all'Internazionale — fondata poco prima, il 29 settembre, in Italia — lo pregò anche di inviare a Garibaldi il discorso inaugurale e probabilmente di farlo tradurre in italiano. Il 7 febbraio 1865 Bakunin riferisce che il progresso è assai lento: " la maggioranza degli italiani, demoralizzati dal fiasco completo e dagli errori commessi dalla scuola centralista ed unitaria di democrazia, sono divenuti estremamente scettici. . . . . " T r e sono le tirannie secolari che hanno oppresso ed abbrutito il popolo ; tre i nemici che si devono vincere per entrare nella via augurosa dell'avvenire — la Chiesa, lo Stato coi suoi necessari elementi (la monarchia, il militarismo, la burocrazia), i privilegi sociali." . . . . " E d ora che siamo al termine suggelliamo il nostro programma con la seguente Dichiarazione : Noi non abbiam fede che nella rivoluzione fatta dal popolo per la sua positiva e completa emancipazione rivoluzione che costituirà l'Italia libera repubblica di liberi comuni nella libera Nazione — liberamente uniti fra di loro." La vita interna di questa segreta organizzazione può giudicarsi da due documenti del 1866. L'uno è una risposta da Palermo (18 luglio 1866) ad mia circolare diramata da Napoli con cui le società dipendenti dall'organizzazione vengono dichiarate sciolte ("In nome del C [omitato] C [entrale] della Soc[ietà] Int [ernazionale] R [ivoluzionaria] D [emocratica] S [ociale] noi ci dichiariamo sciolti da qualunque impegno *


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e da qualunque giuramento fatto") ; il motivo del dissenso dal punto di vista di Napoli va ricercato in moventi patriottici. La guerra contro l'Austria aveva indotto tre dei migliori della società, Giuseppe Fanelli, Carlo Bambuzzi e Raffaele Mileti, a parteciparvi nelle schiere dei volontari garibaldini, perchè ritenevano che la loro posizione politica e l'onore militare lo richiedessero. Neppur Bakunin potè in quell'occasione trattenere i suoi amici dal prender parte ad una guerra patriottica. Quando, però, uno dei tre riferì dal campo di battaglia nel Tirolo di non essere riuscito ad interessare i maggiorenti Garibaldini agli scopi ulteriori della società etc., e gli altri due rimasero silenziosi, fu loro spedita una lettera della Giunta di Napoli che trattava della situazione e li esortava a ritornare. Nella lettera, scritta in italiano ma indubbiamente inspirata da Bakunin, si inneggiava alla pace dopo l'evacuazione del Veneto da parte dell'Austria, e si affermava che i mazziniani ed i garibaldini non potevano più addurre a pret e s t o l'occupazione straniera di provincie italiane per aggiornare le questioni sociali, concludendosi che il militarismo, dopo le sconfitte di Custozza e di Lissa, sarebbe stato distrutto per sempre nella penisola. . . . . "Ci potresti obbiettare — diceva la lettera — che il Tirolo e l'Istria sono rimasti staccati dall'Italia. Ma come annettere all'Italia queste d u e provincie ed a qual titolo e con qual di-


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ritto pretenderle? A nome forse della libertà? No certo. A nome della volontà popolare? Ciò è assurdo, dappoiché quegli abitanti si sono battuti con tanto coraggio per terra e per mare; dappoiché i tirolesi col loro valore hanno sfatato e distrutto il prestigio di Garibaldi e lo hanno costretto a disonorarsi coir incendio di Molina e di Santa Lucia. A nome della lingua e dei confini naturali? Ciò è oggi impossibile, perchè come attuare questo principio contro la Svizzera, la Francia e l'Inghilterra che posseggono le terre italiane del Canton Ticino, di Nizza, della Corsica, di Malta? Inoltre sarebbe un consacrare il principio di conquista e distruggere quello di libertà e di federazione : il che non deve essere da te ammesso".. Bakunin dovette lottare vigorosamente in quegli anni per combattere l'identificazione di patriota e nazionalista, allora in voga in Italia e, come nota in una lettera (non terminata) ad u n francese (6 gennaio 1867), in quasi tutti i paesi " Soltanto in quei rari momenti storici in cui una nazione rappresenta veramente l'interesse generale, il diritto e la libertà del genere umano, un cittadino può chiamarsi p a triota e rivoluzionraio nello stesso tempo. F u questa la posizione dei francesi nel 1793 — posizione unica nella storia, di cui invano si cercherebbe il parallelo, prima o dopo quel periodo". . . . Egli critica, però, le idee del 1793 per il loro carattere religioso, antisocialista ed essenzialmente statale " Uno stato, a meno c h e


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non sia quell'impero universale sognato per la prima volta dai Papi e da Carlo I, poi da Napoleone, ed oggi da alcuni russi, cioè l'organismo più dispotico ed odioso — ogni Stato, dico, è necessariamente uno stato particolare, di una sola nazione, e conseguentemente la negazione dell'umanità (negazione che il patriottismo rivoluzionario proclama mira suprema di tutti gli sforzi) ed impone a tutte le altre nazioni il culto esclusivo della grandezza di un solo — 0 risveglia in ciascuna nazione lo stesso esclusivo egoismo e vanità o deve trasformarle tutte in altrettante fortezze isolate e vicendevolmente nemiche, nutrendo ognuna nel suo interno l'arrogante pretesa di concentrare in sè l'umanità intera. Questa è oggi la vera situazione e la tendenza di tutti i grandi stati d'Europa, anzi di tutti gli Stati senza alcuna eccezione, giacché 1 piccoli Stati, come quelli componenti la Germania o come il Belgio, l'Olanda, la Danimarca, la Svezia etc. non sono modesti ed umani per principio e convinzione, ma soltanto per impotenza. In ispirito sono altrettanto predaci della Russia, della Prussia, della Francia, d e l l a . . . . " (qui la lettera è interrotta ma dalle ultime parole si comprende che l'autore vuole alludere alla repubblica di Mazzini). In un altro manoscritto (autunno 1869) egli fa notare in Italia la nullità del vecchio principio di una rivoluzione esclusivamente politica e la decadenza della borghesia, di quella esclusiva rappresentante delle idee dell'89 e del


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93 e di ciò che viene ancora chiamato patriottismo rivoluzionario "Meno di cinque anni di indipendenza sono bastati per rovinare le finanze, precipitare il paese in una situazione economica senza via di uscita, uccidere l'industria ed il commercio, e, quel che è peggio, distruggere nella gioventù delle classi medie quello spirito di eroica devozione che per più di trenta anni aveva servito di leva potente all'opera di Mazzini. Il trionfo della causa nazionale, invece di vivificare tutto, aveva schiacciato ogni cosa. Non solo la prosperità materiale, ma anche lo spirito era m o r t o . . . . Io non conosco alcun paese in cui la borghesia adolescente sia come questa all'oscuro delle questioni di oggi ed indifferente all'attività intellettuale moderna." L'autore descrive i metodi antiquati dell'insegnamento universitario, l'avidità della borghesia vittoriosa, la così detta consorteria, che non è dovuta alla monarchia, ma al sistema borghese, che Crispi, capo dei radicali, già mazziniano e Garibaldino, incoraggia e sorregge. Una seconda pubblicazione segreta "La Situazione" comparve quando Bakunin aveva già trasferito la sua residenza in Svizzera. Alberto Tucci la tradusse in italiano (novembre 1868). Lo scritto si occupa della rivoluzione sociale e spiega dettagliatamente le idee di Bakunin che possono riassumersi nelle parole: ateismo, socialismo, federalismo. La federazione di autonomie locali, nate dalla rivoluzione sociale, avendo »

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per unica base il lavoro liberamente associato f costituiva l'ideale supremo. Nel 1871, quando Malatesta diede la sua adesione al movimento, non esistevano nè libri ne opuscoli anarchici in italiano; i giornali che si pubblicavano erano di carattere assai primitivo. Bakunin era partito, ma alcuni di coloro con cui egli aveva lavorato dal 1865 al 67, e coi quali rimase sempre in comunicazione, si dimostravano tuttora attivi. Essi conoscevano l'anarchia per via di questa propaganda segreta o privata, cui alcuni aggiungevano la lettura dei libri di Proudhon. All'infuori dello pseudo-socialismo di Mazzini, di un certo valore unicamente in quanto riconosceva il diritto di associazione, tutte le varie forme di socialismo erano conosciute soltanto come reminiscenze storiche. Era questa la situazione allorché dal 1867 si iniziò la propaganda che nel 1869 condusse alla fondazione della Internazionale di Napoli, di cui Malatesta entrò a far parte nel 1871.

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CAPITOLO TERZO IL S O C I A L I S M O

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NAPOLI


III. I L SOCIALISMO A NAPOLI DAL 1867 AL 1870.

Sul principio del 1867 il gruppo avanzato raccoltosi attorno a Bakunin iniziò una campagna locale pubblica. A nome della Associazione Libertà e Giustizia venne pubblicato un lungo manifesto elettorale colle firme del dottor Saverio Friscia, presidente, e di Attanasio Dramis, segretario (27 febbraio 1867). Fu quello semplicemente un mezzo per render nota una piattaforma di 17 articoli, che costituivano una derivazione popolare dei principii esposti in La Situazione Italiana dell'ottobre 1866; corrispondono anche ai 14 articoli del Programma della medesima società seguiti dallo statuto emesso poco dopo. La proprietà terriera della chiesa, confiscata dallo Stato nel 1866, doveva (secondo il manifesto) essere restituita ai comuni e da questi ceduta agli agricoltori, liberamente associati, se fosse possibile. Abolizione della burocrazia statale. Autonomia commerciale, decentralizzazione etc. Non


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si esposero idee caratteristicamente socialiste, ma sembra piuttosto che la tattica scelta per aprir breccia nella pubblica opinione fosse quella di dividere i soggetti teorici e diffondere principii avanzati sotto forma di misure pratiche. Nel manifesto non compaiono nomi di candidati. Gli altri firmatari, oltre ai menzionati, sono : Carlo Mileti, Giuseppe Fanelli, Carlo Gambuzzi, Antonio Piscopo, Pasquale Cimmino, Francesco Calfapetra, dottore Raffaele di Serio, Raffaele Mileti, Domenico De Martino, Pier Vincenzo De Luca, Stefano Caporusso, Ferdinando Manes Rossi, Gregorio Mayer. I principii esposti tradivano la mano di Bakunin e permettevano una grande estensione della società mercè l'affiliazione di organizzazioni in Italia ed all'estero che accettassero il programma. Si decise di pubblicare ai primi di aprile un giornale, Libertà e Giustizia, che comparve però soltanto nell'agosto del 1867 ed ebbe vita sino al febbraio 1868 o poco prima. P. V. De Luca ne fu il direttore. Per quante ricerche abbia fatto non ho potuto trovare copia di questo giornale nè del Popolo d'Italia (Napoli) che, sebbene non socialista, pubblicò nel 1865 un articolo di Bakunin sulla morale, allo stesso modo che in Libertà e Giustizia comparve un articolo dello stesso autore contro il Panslavismo. Potrei riferire molti nomi di persone cui il giornale venne spedito, ma voglio limitarmi ai più noti, cui fu, evidentemente, inviato da Bakunin, residente in Ginevra. Nell'elenco dell'autun-


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no 1867 troviamo Garibaldi, Berti Calura (Firenze), il dott. Giuseppe Mazzoni (Prato), Ludmilla Assing (Firenze), Giorgio Asproni, Silvio Verratti (Napoli, del Popolo d'Italia), Giuseppe Dani (Sorrento), Luigi Bramante (Napoli), Alberto Mario (Firenze), Gaspare Stampa (Milano), Karl Marx, A. Herzen, Eliseo Reclus, Scheuer-Kestner, A. Talandier, Ch. L. Chassin, N. Joukevski, Karl Grun, Wyrnbov, A. Raquet, G. Chandey, C. De Paepe, Gustav Vogt, N. Utin, C. F. Marchaud (Bern), Aicolas, Aristide Rey, Odger e Cremer (dell'Internazionale), Hausmann (del partito democratico della Germania meridionale). Intanto interviene un nuovo episodio Garibaldino, l'ultima avanzata di Garibaldi su Roma e la sconfitta di Mentana. Il 25 ottobre Bakunin scrive a Gambuzzi ed a Fanelli approvando il contegno tenuto fino a quel giorno e dicendo : "ed ora il mio consiglio, cari amici, è questo — se Garibaldi, ammettendo finalmente che dal 1858 ha percorso una falsa strada, costretto dall'indignazione che tutti i sudici intrighi tramatigli intorno debbono provocare nell'animo suo, non decide una volta per sempre di spiegare la bandiera della rivoluzione incondizionata, senza sotterfugi e senza fraseologia — cosa di cui non lo ritengo capace — negategli recisamente ogni e qualsiasi cooperazione".... Il suo consiglio venne questa volta seguito o per lo meno concordava con quanto i suoi amici avevano già deciso.


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Alcune settimane prima C. Gambuzzi, a nome della Società Libertà e Giustizia aveva presentato al congresso della Pace tenutosi a Ginevra (coirintervento di Bakunin e Garibaldi) un ordine del giorno quasi anarchico, che fu la prima pubblica estrinsecazione di simili idee da parte di un italiano. In esso si dichiarava "necessario abbattere tutte le istituzioni privilegiate monopolistiche ed imposte colla forza, quali le chiese ufficiali e salariate, lo stato colla plutocrazia da esso dipendente ed ogni illecito guadagno", il che altro non è se non una diversa esposizione della formula bakuniniana basata su federalismo, socialismo ed antiteologismo. Nel 1868 il movimento andò un po' declinando, ed alla sconfitta di Mentana seguì un periodo di reazione. A ciò dovè contribuire l'assenza di Bakunin il quale costituiva, potrebbe dirsi, una Internazionale in sè stesso per la molteplice attività che andava spiegando. Ma quando nell'autunno del 1868 incominciò a dedicare tutte le sue energie all'Internazionale, fondando coi suoi amici di Berna un'organizzazione internazionale, l'Alleanza della Democrazia Socialista che doveva entrare collettivamente a far parte dell'Internazionale, i suoi amici italiani si ridestarono immediatamente. Egli ebbe perfino l'idea eccellente di indurre Fanelli, propagandista serio e tenace, a recarsi in Spagna, dove in Madrid ed in Barcellona vennero allora fondate l'Internazionale e l'Alleanza, che ac-


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cettarono sin dal principio le idee anarchiche collettiviste. La Federazione Spagnola dell'Internazionale (1870) si mantiene tuttora fedele a queste idee, giacché il movimento operaio spagnolo deriva dall'iniziativa del 1868 ed anche oggi segue i principii fìssati - in quel tempo. L'attività personale di Bakunin si limitò sul principio a Ginevra, ma si estese ben presto al Giura svizzero. Egli prestò, per altro, il suo aiuto anche al movimento francese, specialmente a Parigi, Lione e Marsiglia, ed alla propaganda russa nel 1869 e 1870. Di Napoli Bakunin scriveva nel 1872 : "Né Marx né il Consiglio Generale dell'Internazionale hanno fatto mai nulla per introdurre e propagare l'organizzazione ed i principii dell'Internazionale in Italia. Tutto ciò che si è fatto laggiù si deve unicamente all'azione energica ed instancabile di membri di questa Alleanza di socialisti rivoluzionari, ai quali egli (Marx) ed i suoi amici hanno dichiarato una guerra sì spietata. A parte ciò, è doveroso riconoscere che la rivoluzione della Comune di Parigi ha contribuito molto più di questa propaganda dell'Alleanza a destare il proletariato italiano dal suo letargo secolare".... Conferma documentata di queste asserzioni trovasi in una lettera di uno dei segretari del Consiglio Generale, Eugene Dupont, il quale scriveva a Napoli : "dal congresso di Bruxelles (settembre 1888) non abbiamo ricevuto alcuna lettera dall'Italia." (la d a t a è del 20 gennaio 1869).


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Di conseguenza soltanto una propaganda energica ed ardentemente socialista può ridare la vita ed una volontà a questo paese. Ma ciò richiede del tempo, perchè non siamo che agli inizi Occorre formare in Italia una nuova democrazia, basata sul diritto assoluto e sull'unico culto del lavoro. Gli elementi non mancano, anzi abbondano; non bisogna, perciò, disperare, ma pazienza! Mazzini si inganna a partito se crede che l'iniziativa del nuovo movimento debba partire dall'Italia. L'Inghilterra, la Francia, (e forse la Germania) per quanto riguarda l'Europa, e questa magnifica America del Nord — sono il vero centro intellettuale e drammatico dell'umanità. — Il resto seguirà a suo tempo." Durante il suo secondo inverno in Firenze (1864-65) Bakunin — per la prima volta forse, almeno a quel che si rileva dai documenti — elaborò completamente le sue idee socialiste, rivoluzionarie e liberaliste, per sottoporle al corpo massonico. Un altro voluminoso manoscritto, compilato a Napoli, venne distrutto dalle fiamme, ma alcuni frammenti dei suoi scritti permettono di stabilire che il suo "Antiteologismo" del 1868 e "Dio e lo Stato" del 1871 furono preceduti da questo lavoro del 1865 . Il che dimostra che il socialismo da lui propagato in Italia sin dal principio significava anarchia, collettivismo ed ateismo indissolubilmente connessi, come sempre, nella sua propaganda. Nell'estate del 1865 egli si recò nel mezzo•

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giorno, a Napoli ed a Sorrento, e rimase nelle stazioni estive della Campania fino agli ultimi di agosto del 1868; poi partì per Ginevra, in Svizzera. Nell'ufficio del "Popolo d'Italia" di G. Asproni ed in ritrovi privati fece conoscenza con molti giovani napoletani ed anche con uomini di età matura, come Fanelli e Gambuzzi, i quali erano già passati per le prigioni Borboniche. Finalmente si costituì un attivo gruppo socialista, che o come nucleo segreto o come pubblica associazione, o come l'elemento più combattivo della sezione dell'Internazionale, non si sbandò mai, non disarmò mai. E' questo il gruppo o nucleo cui si affiliò Errico Malatesta quando aderì al movimento socialista nel 1871. La storia e le emanazioni letterarie del gruppo e l'opera di Bakunin nei rapporti di esso sono, perciò, di primaria importanza nella vita di Malatesta, dappoiché le sue idee di neofita del socialismo debbono avere necessariamente subito l'influenza di questo centro cui egli si sentì attratto e che non ha abbandonato mai, sebbene tutti i suoi compagni di allora siano probabilmente morti. Il 19 luglio 1866 Bakunin, nell'inviare pel tramite di un messaggero fidato, alla principessa Obolenska, taluni documenti della sua società segreta, programma, regolamenti, elaborati manoscritti che tutt'ora esistono e sono riprodotti nella sua biografia, scriveva a Herzen e ad Ogoneff a Ginevra: "troverete molti »

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particolari non necesssari, ma ricordatevi che io scrivo per italiani ai quali, sventuratamente, le idee sociali sono quasi sconosciute. Ho dovuto sostenere una lotta aspra contro le cosi dette passioni ed idee nazionali, contro la ripugnante retorica patriottica della borghesia che Mazzini e Garibaldi eccitano con grande energia. Dopo tre anni di arduo lavoro (1864-66) ho conseguito risultati positivi. Abbiamo amici in Svezia, Norvegia, Danimarca, Inghilterra, Belgio, Francia, Spagna ed Italia; vi sono polacchi ed anche russi. Nell'Italia meridionale la maggior parte delle organizzazioni mazziniane, le falangi sacre, sono cadute nelle nostre mani. Vi invio anche un breve programma della nostra organizzazione nazionale italiana. In una lettera-circolare ai suoi amici di Napoli e di Sicilia, Mazzini mi denuncia apertamente, chiamandomi "il mio illustre amico Michele Bakunin," denuncia assai imbarazzante per me, giacchĂŠ le falangi mazziniane, specialmente in Sicilia, comprendono molti agenti governativi. Egli avrebbe potuto gras

vemente compromettermi, ma per buona fortuna il Governo non ha ancora compreso il movimento sociale e non lo teme, il che rivela non poca imbecillitĂ , dappoichĂŠ in seguito al completo naufragio di tutti gli altri partiti delle idee e delle cause, in Italia non resta che una forza viva e possibile : la rivoluzione sociale. Tutto il popolo, specialmente nel sud, si unisce a noi in massa; il materiale abbonda, quel che


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manca è la gente colta, atta a dar forma a questo materiale" Il breve programma cui si allude si trova stampato ed è: Programma della rivoluzione democratico-sociale italiana e Società dei legionari della Rivoluzione sociale italiana. Organico. Questo primo programma della rivoluzione sociale e democratica italiana domanda: 1.—Abolizione del Diritto Divino. 2.—Abolizione del Diritto Diplomatico. 3.—Abolizione del Diritto Storico. 4.—Rinunzia di ogni idea di propaganda nazionale. 5.—Libertà dell'individuo nel Comune. 6.—Libertà dei Comuni e libera federazione di essi nella Provincia e nella Nazione. 7.—Abolizione dell'attuale diritto pubblico e privato. 8.—Eguaglianza politica di tutti. 9.—Abolizione di ogni privilegio personale e reale. 10.—Emancipazione del lavoro dal capitale. 11.—Unica proprietà: gli istrumenti del lavoro a chi lavora; la terra a chi la coltiva. 12.—Libera federazione delle nazioni fra loro. Questa organizzazione emise indubbiamente una lunga memoria intitolata La Situazione Italiana in data ottobre 1866. Bakunin ne deve essere stato il vero autore, ma le sue parole furono rese liberamente ed amplificate da chi ne compilò la traduzione, A. Tucci, di cui ci occuperemo fra breve.


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Lo scrittore critica le idee di Garibaldi e di Mazzini, e mentre tratta cortesemente le personalità, esamina con rude franchezza le loro proposte favorite. Il garibaldinismo in decadenza viene definito con queste parole taglienti : "da rivoluzione diventò militarismo rivoluzionario e poi tutto affatto militarismo." Ci limitiamo a riprodurre i seguenti brani: "Questa maggioranza, che per noi è solo ed unicamente il Popolo, non ha nessuno dei diritti dati alla borghesia da una serie di rivolgimenti : non libertà politica perchè le sue condizioni sociali ne costituiscono illusorio l'esercizio, non eguaglianza in diritto perchè contraddetta e distrutta dalla ineguaglianza di fatto, non benessere perchè il suo lavoro è ambito dal capitale e dalla materia, perchè essa ha dovuto pagare la grandezza ed umiltà (leggasi unità) dello stato centralista, che è bisogno del borghese, non infine rinomanza nè storia perchè sospinta ogni dì più fra le tenebre dell'ignoranza, in mezzo alle quali il protettorato mendace della classe privilegiata va a cercarla per nuovamente ingannarla. In tutte le rivoluzioni e dopo tutte le rivoluzioni il Popolo ha fatto sempre la stessa cosa: "ha sofferto e pagato...." Fu precisamente in questo periodo, verso la fine del 1868, che si andavano costituendo l'Alleanza e l'Internazionale. Il 31 gennaio 1869 venne fondata la sezione di Napoli, che si denominò sezione centrale provvisoria d'Italia,


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il che indica che in quel tempo non esistevano altre sezioni. Da 400 in marzo il numero degli ufficiali salì a 1200 in maggio. Si propose la fondazione di un giornale, La Fratellanza, che se pure vide la luce venne ben presto, il 5 novembre, rimpiazzato da l'Eguaglianza. Nell'autunno esistevano già delle sotto-sezioni, di cui una, quella dei meccanici di Napoli, inviò credenziali a Bakunin pel Congresso dell'Internazionale da tenersi a Basilea (settembre). Ai primi del 1870 i membri inscritti erano 3000. In febbraio la polizia operò una perquisizione nei locali della società e trasse in arresto il presidente, il segretario e Gambuzzi, i quali furono detenuti per sei settimane. Nel frattempo il giornale aveva sospeso le pubblicazioni. Il lavoro non fu ripreso collo zelo precedente, il movimento si affievolì. Permase, bensì, un piccolo nucleo di propagandisti, ma non costituito in sezione; la corrispondenza venne interrotta. (ciò appresi dallo stesso Malatesta sin dall'agosto del 1892). Una relazione completa compilata dà Carmelo Paladino ed inviata al Consiglio Generale (luglio 1871), vedrà probabilmente la luce quando si pubblicheranno finalmente gl'incartamenti di questo Consiglio. Erano quasi pronti per le stampe allorché nel 1914 la guerra interruppe ogni cosa. Qui termina questa lunga esposizione preliminare, che non riuscirà certamente discara


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a coloro i quali desiderano comprendere appieno la personalità, l'azione e le idee di Malatesta. La maggioranza dei componenti la presente generazione crede che i movimenti socialisti esistano da lunghissimo tempo e può, quindi, convincersi a fatica che vi sia tutt'ora in mezzo a noi, pieno di vita e di attività al pari dei più giovani, chi quasi assistè e prestò aiuto all'inizio del movimento nel suo paese. Questo principio è assai strano e forse unico dappoiché in nessun'altro paese le forze generate ed educate dalle rivoluzioni politiche antecedenti e le masse ridestantesi del popolo sono state spinte — in parte soltanto, si intende — ad un così immediato contatto generatore di stretta cooperazione, come nell'Italia moderna. E ' ciò che diede alla storia dell'Internazionale un carattere avventuroso e romantico e che esercitò notevole influenza sulla vita pubblica di Malatesta ai suoi inizi.


CAPITOLO QUARTO MALATESTA E L'INTERNAZIONALE


M A L A T E S T A E L'INTERNAZIONALE

DI

N A P O L I , DALLA PRIMAVERA D E L 1871 ALL'ESTATE D E L 1872.

Nella Storia del Socialismo in Italia, di Angiolini, (1900) compilazione di scarso valore ricavata da fonti più o meno attendibili, si legge che Malatesta, studente di medicina e mazziniano come tutta la gioventù di allora, fu nel 1870 "arrestato in un tumulto a Napoli, condannato per la prima volta e sospeso per un anno dagli studi, che i casi della vita gli impedirono di riprendere". Il che non recherà meraviglia quando si vedrà a quali avvenimenti egli partecipò durante i sei anni che seguirono al suo ingresso nella vita politica attiva (dalla primavera del 1871 alla primavera del 1877), periodo cui tennero dietro anni di prigione e di esilio. Io non ho mai voluto indagare che cosa pensasse la sua famiglia di questa situazione; posso dire soltanto che i suoi affari privati non hanno mai richiamato l'attenzione del pubblico. Ritengo che egli, sebbene uomo


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assennato e di idee pratiche, non abbia mai nutrito alcuna ambizione di ricchezza, di carriera, di vita facile ed oziosa, mentre, d'altra parte, ha sempre saputo, mercè la sua abilità, procacciarsi il necessario pei modesti bisogni della sua vita frugale. Nel 1877 l'atto d'accusa lo rappresenta come chimico; egli è, inoltre, meccanico, elettricista, manuale. Tre cose egli ha costantemente disprezzato: la politica pagata, il giornalismo stipendiato, e le cariche ufficiali rimunerate nel movimento operaio. D'altra parte, non ha mai ritenuto spregevole alcuna occupazione materiale, per quanto umile. Per tal modo l'abbandono della carriera universitaria non solo non lo afflisse per nulla, ma non gli impedì di arricchire il suo forte intelletto di nuova e più varia coltura, mentre, d'altro canto, gli permise di dedicare alla "causa" tutta la sua indomabile energia. Durante il periodo della Comune di Parigi, dal marzo al maggio del 1871, Malatesta, allora studente repubblicano, conobbe in un caffè di Napoli Carmelo Palladino, giovane avvocato della sezione dell'Internazionale, e con lui potè ampliare il suo corredo di idee socialiste. Poco dopo egli si unì al gruppo dei lavoratori succeduto alla sezione, ed altri studenti, suoi amici, lo imitarono, talché la sezione riprese novella vita. Si aperse una scuola, si iniziò di bel nuovo l'agitazione pubblica. L'esattezza di questa esposizione (fattami da Malatesta) è confermata da una lettera di Car-


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melo Palladino alla Solidari té di Ginevra, 11 maggio 1871, che ho rinvenuto fra le carte di N. Youkovski ; lettera nella quale egli invia quattro abbonamenti al giornale, uno per sé e gli altri per Malatesta Errico, Gatto Pietro, D'Erasmo Berardino, studenti. La Solidarité di Ginevra aveva rimpiazzato la Solidarité di Neuchàtel, diretta da James Guillaume, soppressa nel settembre del 1870, ma ebbe anch'essa breve vita. La scissione fra anarchici e socialisti politici in Svizzera era già avvenuta (aprile 1870) e la Solidarité del 1871, quantunque non molto bene redatta, era l'organo dei primi. Poi eccezione fatta della Révolution Sociale (Ginevra), non consacrata esclusivamente all'Internazionale, non vi fu alcun organo sinché non comparve, nel fébbraio del 1872, il Bollettino del Giura. Alcune notizie, delle più importanti, vennero nondimeno propagate a mezzo della cosi detta Circolare di Sonvillier, nel novembre del 1871. Giova notare tutto ciò per dimostrare quanto esigua fosse l'opportunità di informazioni e di propaganda in quel tempo. Non scriveva forse Bakunin a Gambuzzi il 4 luglio 1870 : "Esiste ancora una sezione a Napoli? In quale stato si trova? è probabile che sia caduta interamente nelle mani di intriganti?"... Al tempo della Comune (20 marzo2 aprile) Bakunin trovavasi a Firenze in diretto contatto coi suoi amici toscani, Mazzoni e Berti Calura, e coi meridionali Fanelli, Gambuzzi e Friscia (siciliano), occupato nella compilazione


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di un programma di cui nulla si sa. La sezione di Napoli non aveva alcuna importanza in allora, sebbene Palladino, molto attivo dal 1869 al 1871, fosse riuscito insieme con Malatesta a riorganizzarla. Di Palladino si sa ben poco. E* noto soltanto che, trascorso del tempo, si trasferì nella natia Cagnano Varano, e vi morì molti anni dopo in circostanze tragiche. Egli visitò Bakunin con Cafiero negli ultimi mesi del 1872, fu in Locamo nel 1874, dopo il fallimento dell'insurrezione italiana di quell'anno. Malatesta parla di lui con stima e simpatia. Evidentemente all'opera loro si deve se la sezione di Napoli sposò la causa delle dottrine più avanzate e se si guadagnò l'appoggio di Carlo Cafiero, che costituì un aiuto validissimo (*). Poco tempo dopo (narra Malatesta) Cafiero ritornò da Londra a Napoli in qualità di membro della Internazionale londinese, investito di taluni poteri conferitigli dal Consglio Generale. Egli avrebbe dovuto, fra le altre cose, fondare in Napoli una sezione. Ma poiché una sezione esisteva già, l'accoglienza fattagli fu assai fredda. Dopo pochi mesi, però, egli constatò coi suoi occhi che la sezione funzionava egregia(*) Nell'ottobre del 1871 Carmelo Palladino pubblicò una traduzione del libro di Gustavo Flourens intitolato Parigi caduta. Flourens era lo spirito più ribelle ed avventuroso che avesse la Francia in quel tempo. Figlio di scienziato, e scienziato egli stesso, combattè a Creta e nelle strade di Parigi durante gli ultimi anni napoleonici e contro il governo provvisorio Cadde assassinato da un ufficiale di Versailles mentre, dopo


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mente e riferi a Londra in tal senso. Le sue relazioni col Consiglio Generale divennero allora assai tese. Carlo Cafiero, nato a Barletta (Puglie) nel 1846, di famiglia ricca e reazionaria, dopo avere ricevuto un'educazione religiosa ed aver fatto i primi studi per la diplomazia, abbandonò completamente la carriera ecclesiastica, ma ritenne sempre una certa tendenza al misticismo, che lo spingeva a pratiche ascetiche. Durante un grande comizio laburista in Londra Marx, ed ancor più Engels, il quale si era proposto di convertire l'Italia e la Spagna al Marxismo per mezzo di Bignami, Cafiero, Lafargue, ed in seguito di Mesa e di alcuni altri, fecero di tutto per affidare a Cafiero la missione di sradicare l'influenza di Bakunin in Italia. Cafiero, devoto sino al sacrificio a qualsiasi causa avesse abbracciato, aveva una mentalità piuttosto capricciosa. Fanelli, Gambuzzi e Tucci cercarono di guadagnarlo alla loro causa, ma chi riuscì nell'intento fu Malatesta, forse perchè giovanilmente entusiasta e pronto all'azione, come dimostrarono gli avvenimenti del 1874 e 1877. Bakunin nel 1872 finì di operare la conversione. una infelice sortita della Comune (ai primi di aprile), trovavasi inerme in una casa. Lo uccisero senza che neppur tentasse di difendersi. 11 suo aiutante Amilcare Cipriani fu abbandonato per morto al suo fianco ed in seguito deportato nella Nuova Caledonia. Eliseo Reclus cadde prigioniero nella stessa sortita. La sua personalità e la sua sorte è probabile che impressionassero Malatesta, quantunque, in riguardo alle idee, Reclus fosse un autocrata.


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Nel frattempo la sezione veniva disciolta per decreto governativo, 20 agosto 1871, e le case di Giustiniani (presidente), Schettino (segretario), Gambuzzi, Palladino e Cafiero perquisite. In dosso alla madre di Cafiero furono sequestrate delle lettere provenienti da Londra. Lo stesso Cafiero venne tratto in arresto. In quel tempo non era possibile pubblicare giornali, ma i giovani (fra i quali vanno ricordati Pizzi, Bramanti, Palladino, Leoncavallo, Eugenio Paganelli) scrivevano in giornali come L'Internazionale ed II Motto d'ordine, che non erano, però, organi strettamente propagandisti. Naturalmente il gruppo si mantenne compatto, talché poco dopo la sezione potè essere ricostituita. La Campana (7 gennaio 1872), annunziò la fondazione della Federazione Operaia Napoletana, l'Internazionale risorta. Alberto Tucci (per la sezione di Napoli) e Cafiero (per la sezione di Girgenti, Sicilia) presenziarono al Congresso romano delle società operaie convocato (14 agosto) dal partito mazziniano pel lo. novembr.e In quell'occasione Bakunin dedicò agli operai delegati al Congresso di Roma un lungo discorso firmato Un Gruppo d'Internazionali, che venne stampato a Napoli. Dopo avere esposto le loro idee al Congresso, Tucci e Cafiero partirono, appoggiati unicamente da un delegato di Livorno. La Campana, dopo Libertà e Giustizia, fu il primo importante giornale operaio pubblicato a Napoli. Vi scriveva principalmente A. Tucci,


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coadiuvato da Gambuzzi, Palladino, Cafiero, Malatesta e dai giovani che avevano di nuovo dato impulso al movimento nel 1871. Il dottor S. Friscia, di Sciacca (Sicilia), scrive articoli notevoli. A. Tucci, dal 1865 al 1868 intimo compagno di Bakunin, se ne allontanò per dissensi nati nel circolo di Verney nel 1869. Questo, e l'attitudine tutt'ora riservata di Cafiero, furono probabilmente i motivi che indussero La Campana a tenere sul principio una linea di condotta piuttosto riservata nei riguardi del Consiglio Generale di Londra, che in allora era fatto segno a critiche molto vivaci nel Congresso di Sonvillier con circolare del novembre 1871, critiche che la sezione di Napoli, in una lettera scritta da Palladino, approvò interamente, con grande costernazione di Engels che disperava di Cafiero. Il vivace spirito giovanile che minava le colonne della Campana sembra non incontrasse l'approvazione di Garibaldi. Bakunin, invece, difendendo il giornale in una lettera a Celso Cerretti (fine di marzo del 1872) scriveva: "Ho trovato, in verità , articoli notevoli, scritti con spirito e talento,. E' evidente che i giovani che lo redigono sono fervidamente e sinceramente convinti. Es$i pongono indubbiamente grande entusiasmo nell'opera loro.. ma, santo diavolo !, come dicono a Napoli, da quando in qua lo zelo entusiastico ed appassionato è divenuto colpa pei giovani? Essi professano delle idee che a noi non piacciono ; ebbene, combattetele, opponetene delle diverse alle loro, ma


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per amore del cielo lasciate loro quella sacra libertà di pensiero che non deye costituire un monopolio del nostro amico Stefanoni (il capo dei liberi pensatori), il quale, per altro, ne fa ampio uso per calunniare l'Internazionale dal punto di vista borghese." Finalmente Cafiero, in compagnia di Fanelli, si reca a far visita a Bakunin in Locamo, Svizzera, dove si trattiene dal 20 maggio al 18 giugno 1872. Il diario di Bakunin contiene queste brevi note: (21 maggio) Trascorsa l'intera giornata con Fanelli e con Cafiero, alleanza a buon punto. Il 24 egli è di già chiamato Armando (nome adoperato nella corrispondenza) ; tracciato il piano dell'organizzazione; 28. Lettere a Friscia, a Carmelo (Palladino); 31. Gregorio (altro nome per indicare Cafiero) legge il prin- * cipio della sua lettera ad Engels; lo. giugno. Bakunin invia una lettera di Cafiero a Malatesta (che è qui per la prima v.olta menzionato nelle lettere e nelle note di Bakunin, per quanto io sappia) ; 3. Cafiero legge tutta la sua lettera ad Engels; 11. Una lettera di Engels a Cafiero viene spedita per mezzo di James Guillaume, pel tramite del quale il giorno dopo Cafiero invia la sua lettera ad Engels. Il 15 Fanelli arriva di nuovo ed il 18 parte con Cafiero per Milano. Dopo lo scambio di una voluminosa corrispondenza, Cafiero si incontra nuovamente con Bakunin nel Giura ed a Zurigo (18-30 agosto) e quindi parte per L'Aia, dove si doveva adu-


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nare il congresso dell'Internazionale, ma non coll'intenzione di parteciparvi. Egli ha ormai aderito completamente alle idee di Bakunin e la lettera spedita ad Engels segna la sua rottura con lui e col partito autoritario che regna supremo nel Consiglio Generale di Londra. Questa esposizione dell'attività di Malatesta nei suoi primi quindici mesi di internazionalismo, dalla Comune di Parigi alla costituzione della Federazione Italiana nell'agosto del 1872, è necessariamente molto incompleta, giacché dell'opera sua quotidiana di propaganda, con probabili discorsi ed articoli ed escursioni in piccole città in cui dovevano fondarsi sezioni, non si conserva alcuna traccia. D'altra parte il materiale contenuto nella corrispondenza di Bakunin ed in molti altri documenti contemporanei è così abbondante da consentirci di affermare che gli eventi più notevoli della sua vita in quel torno di tempo non sono sfuggiti alla nostra attenzione. Durante questo periodo l'Internazionale andò sul principio acquistando uno sviluppo locale e regionale, talché l'opera dei propagandisti fu necessariamente limitata. In seguito si intraprese il lavoro avente per scopo la federazione. Il vantaggio che Napoli aveva sulle altre città, grazie all'attività spiegatavi da Bakunin, non venne completamente mantenuto ed altre regioni con centri più popolosi ed abitanti più progrediti, la Romagna in ispecial modo, passarono all'avanguardia. Ciò non è, per altro, da imputarsi a colpa di Malatesta, il quale, è doveroso dichiararlo, infuse nella sezione


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napoletana uno spirito di giovanile energia e spiegò tatto ed abilità nel contribuire grandemente a procurare alla causa il caldo appoggio di Cafiero. Ben presto in tutta l'Italia, non meno che in Napoli, l'Internazionale assunse uno sviluppo meraviglioso, come fra breve vedremo.


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CAPITOLO QUINTO i

BAKUNIN E MAZZINI

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V. BAKUNIN

E MAZZINI;

L'INTERNAZIO-

N A L E ITALIANA DAL 1871 ALL'AGOS T O D E L 1872 (LA CONFERENZA DI RIMINI).

Da quanto si è detto risulta che Malatesta entrò a far parte dell'Internazionale spontaneamente, sotto l'impressione della rivoluzione francese, dopo essersi imbattuto in un propagandista intelligente, Palladino, cresciuto nell'ambiente socialista di Napoli, creato mercè l'attività di Bakunin. La maggior parte degli altri internazionalisti italiani aderirono anch'essi al movimento nel 1871, ma dopo Malatesta, perchè commossi dall'orribile repressione che seguì alla caduta della Comune di Parigi e colpiti da indignazione per l'attitudine assunta da Mazzini, il quale non soltanto condannò la Comune, ma ritenne che fosse quello il momento opportuno per muovere all'attacco, anzi per scomunicare ed insultare l'Internazionale ed il Socialismo in genere. Molti di coloro i quali avevano fino allora quasi deificato Mazzini, lo abban-


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donarono con disgusto. Garibaldi si comportò con correttezza e scrisse generose parole, chiamando Tlnternazionale il sole dell'avvenire etc. Senonchè l'inesperienza di Garibaldi in questioni politiche e sociali, esperienza sempre più manifesta, indusse molti dei suoi aderenti a staccarsi amichevolmente da lui ed a concentrare i loro sforzi per aiutare l'ascesa dell'Internazionale; taluni, come Celso Cerretti, rimasero in ambedue i campi, godendo l'intima fiducia così di Garibaldi come di Silvio, lo pseudonimo che Bakunin aveva assunto in quegli anni. Fra Bakunin a Garibaldi vi fu sempre una certa relazione, dappoiché il primo, quantunque scettico, non credè mai di dover respingere l'appoggio morale che Garibaldi prestò sempre indistintamente a tutte le teorie avanzate. Inimicizia mortale v'era, invece, tra Bakunin e Mazzini. Nel 1871 Bakunin parlò chiaro e forte; la sua voce fu udita, la gioventù rivoluzionaria d'Italia volse gli occhi a lui e l'Internazionale venne ben presto fondata su solide basi. Coloro i quali rimasero sorpresi dall'attitudine di Mazzini nel 1871 devono avere conosciuto ben poco del suo passato. La sua azione politica indipendente era incominciata quarantanni prima, quando egli dopo aver rotto ogni rapporto col Carbonarismo, fondò la Giovine Italia e la Giovine Europa. Non voglio qui alludere al Carbonarismo di Napoli, né a quello di Francia, di Bazard, Lafayette, Manuel etc., ma a quello chiamato Carboneria Democratica Universale


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di un periodo posteriore, diretta da Buonarroti, Voyer d'Argenson, Charles Teste ed altri. Costoro agli occhi di Mazzini e di molti altri sembrarono manchevoli a motivo della loro cieca credenza nel predominio della Francia, opinione che allora, venti anni appena dal dominio di Napoleone sull'Europa, era da ben pochi condivisa. E' da notare, però, che il loro fine ultimo era di disseminare dappertutto le idee di Babeuf od almeno quelle dei giorni migliori del 1793; essi costituivano l'Internazionale del loro tempo, un organismo ultra autoritario ma pur sempre socialista ed anticapitalista. Mazzini, che sentiva un'istintiva ripugnanza per tali idee, ricorse al nazionalismo per combatterle. Divenne, così, solidale col capitalismo, tanto che lo vediamo lamentare quasi ingenuamente (1861) che Buonarroti lo schernisse per le sue relazioni coi Banchieri e patrizi lombardi. Scriveva, difatti, Mazzini : "Angusto di vedute e intollerante nel suo giudicare degli uomini, ei (Buonarroti) vedeva nel mio collegarmi con Giacomo Ciani, con Emilio Belgioioso, e con altri patrizi, ricchi lombardi ch'ei chiamava sdegnosamente i banchieri, una deviazione dai principii della pura democrazia." Poiché un giovane stato nazionalista ha bisogno di essere uno e potente per reggersi ed espandersi, i patrioti ed i rivoluzionari che l'hanno fondato divengono la sua classe politica dominante e la sua burocrazia, il capitalismo viene incoraggiato ed il popolo è sfruttato più che mai e, se possibile, tenuto sotto l'incantesimo del nazionalismo per


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preparare una politica di ulteriore espansione. Il socialismo, se non vuol essere una vuota parola, costituisce un ostacolo a questo sacrificio c h e si vuol chiedere al popolo per la gloria, l'espansione di uno stato nazionale che è così bene accetto ed utile al capitalismo. E', quindi, naturale che Mazzini, sotto l'incubo del suo feticismo nazionalista, combattesse il socialismo dappertutto e tenesse i suoi aderenti in uno stato di beata ignoranza nei riguardi di esso. Questa sua tendenza egli esagerò in La Roma del Popolo (Diretta da Petroni ; febbraio 187121 marzo 1872), giornale fondato (come disse Saffi nel 1875) espressamente a quello scopo, specialmente in articoli come II Comune di Francia (26 aprile), Sul Manifesto del Comune Parigino (3 maggio), All'Internazionale di Napoli (alludendo al giornale omonimo che il lo. maggio aveva protestato contro il primo di questi articoli; 24 maggio), Il Comune e l'Assemblea (17-28 giugno, diffuso sotto forma di opuscolo) e Agli Operai Italiani (19 luglio), in cui attacca vivacemente l'Internazionale. Il 10 agosto egli denuncia di Bakunin "la sistematica apologia della guerra civile come tonico per le nazioni." — come se egli, Mazzini, il quale durante tutta la sua vita non fece che incitare alle guerre nazionaliste, avesse mai provato la minima simpatia per la pace. Molti altri articoli del genere egli scrisse, come L'Internazionale, Cenno Storico e Documenti sull'Internazionale (settembre-novembre-dicembre) e soltanto la morte (10 marzo 1872) pose termine a questa


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furiosa campagna contro il socialismo ascendente. Bakunin, che trovavasi a Locamo lesse l'articolo del 13 luglio soltanto undici giorni dopo. Egli sospese tutti gli altri suoi scritti, che trattavano della rivendicazione della Comune e della Storia dell'Alleanza di Ginevra, in difesa dagli attacchi dei nemici locali e dall'ostilità del Consiglio Generale, e compose, dal 25 al 28 luglio, quella stupenda Risposta d'un Internazionale a Giuseppe Mazzini, per M. Bakunin, membro dell'Associazione internazionale dei lavoratori, tradotta dal sua amico Emilio Bellerio, figlio di Carlo Bellerio, vecchio esiliato lombardo, e pubblicato per la prima volta come supplemento "al Gazzettino Rosa" di Milano (14 agosto). Il testo originale francese comparve nella Liberté, di Bruxelles, ed una traduzione spagnola nella Federacion, di Barcellona (27 agosto). Trovasi riprodotto nel sesto volume delle sue opere in francese, insieme colla circolare riguardante il congresso mazziniano. Egli analizzò più dettagliamene il sistema di Mazzini in opuscolo più voluminoso intitolato La Teologia politica di Mazzini e l'Associazione Nazionale dei Lavoratori. (Neuchàtel, 1871) [La Teologia politica di M. e l'Internazionale]. I suoi manoscritti contengono, inoltre, molti altri tentativi per spiegare le sue idee in materia. Poiché quel che aveva già publicato rispondeva ampiamente allo scopo di eliminare dal socialismo italiano l'influenza mazziniana, egli si dedicò a lavori più urgenti, quali erano quelli di con-


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durre a compimento l'opera iniziata, vale a dire di completare l'educazione socialista dei molti che si rivolgevano a lui per dedicare le loro energie al socialismo e fondare ( ?) l'Internazionale. Mi duole di non poter riprodurre qui lunghi brani di queste pubblicazioni, tanto più che per una serie di circostanze Bakunin era in quel tempo all'apice della sua evoluzione. Per molti anni accarezzò il pensiero di riassumere tutte le sue idee ed il loro fondamento in un'opera di più ampia mole, ma ebbe sempre la forza di reprimere questa sua piccola ambizione letteraria e di porre da canto manoscritti voluminosi, per consacrare tutto il suo tempo alla propaganda ed all'azione. Ben pochi autori sono stati animati da un uguale spirito di sacrificio. Dopo il fallimento dei tentativi rivoluzionari a Lione e a Marsiglia (settembre, ottobre 1870), egli dovè fuggire, per la via di Genova, in Svizzera, dove pose mano alla continuazione dei suoi scritti politici di attualità, iniziati in agosto trattando i soggetti in maniera più teorica e filosofica. Il lavoro più notevole è il meraviglioso brano conosciuto in tutto il mondo, per le molte ristampe fattene, sotto il titolo "Dio e lo Stato", (la prima vòlta venne pubblicato nel 1882 come opera postuma a cura di Eliseo Reclus e Carlo Cafiero). Ben presto, però, abbandonò le sue occupazioni letterarie per recarsi a Firenze e da là nel Giura Svizzero per trovarsi più vicino alla Comune di Parigi, cui intendeva prestare il suo


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aiuto. Ad interrompere di nuovo la sua attività di scrittore, dedicata questa volta alla rivendicazione della Comune, interviene l'Alleanza, che esige non poca attenzione, e poi Mazzini, l'uomo nel quale tutto ciò che Bakunin combatteva, vale a dire il pensiero religioso, nazionalista ed antisocialista, è sorretto da un alto livello morale, da un brillante talento, da un sincero disinteresse. Con lui e con Marx, materialista e rivoluzionario, ma in allora supremo esponente del socialismo autoritario, Bakunin desiderava da lungo tempo una competizione letteraria. Senonchè, Marx preferì combatterlo con argomenti meschini di indole personale, che mai si elevarono a dignità letteraria e Mazzini — il quale nel 1869 sembrava fosse ansioso di affrontare coi suoi scritti gli avversari e coloro che formavano oggetto delle sue antipatie — trovavasi nel 1871 così vicino a morte che non fu in grado di por mano alla penna. Brevi viaggi, compiuti per altri scopi, a Milano (aprile 1870) ed a Firenze (aprile 1871) lo misero in grado di rinnovare vecchie conoscenze in Toscana, ed a stringere relazioni passeggi re con uomini che erano aderenti poco sinceri e convinti o dovevano addirittura passare nel campo avversario (G. Stampa, A. Bizzoni, E. Bignami). Le conoscenze fatte a Milano gli permisero, per altro, di pubblicare senza indugio la Risposta nel Gazzettino Rosa. Poco dopo giungeva Vincenzo Pezza, milanese (8, 15 ottobre) e Bakunin nota nel suo diario: "intesa


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completa". Le relazioni di Torino datano dal mese precedente (6 settembre), ma nella città piemontese, dove incontra un uomo onesto, l'ufficiale Garibaldino Perrucca, compare ben tosto la spia Terzaghi, che importuna Bakunin colle sue provocazioni, ma non tarda ad essere allontanato, il che non toglie che il movimento italiano subisca, in seguito, gravi noie per opera del falso internazionalista. Perrucca presenta a Bakunin Celso Cerretti, altro garibaldino, di cui vien fatta menzione per la prima volta l'8 novembre. Pel tramite di lui si giunge a comunicare, quando è necessario, con Garibaldi e si allacciano relazioni, di capitale importanza, colla Romagna. (Erminio Pescatori, di Bologna, 30 novembre; L. Nabruzzi, di Ravenna, 16 dicembre). Il 26 settembre giunge la prima lettera di Carmelo Palladino da Napoli ; Friscia scrive dalla Sicilia. Oltre a questi ricorrono altri nomi che neppure l'eccellente memoria di Malatesta potè identificare. Quanto si è detto è, per altro, sufficiente a dimostrare che Bakunin è in questo periodo in frequenti rapporti personali ed epistolari con attivi internazionalisti di Lombardia, Romagna, Toscana, Napoli e Sicilia. La situazione nell'ambito dell'Internazionale e di tutti questi movimenti locali era piuttosto complicata e non possiamo qui riassumerla che brevemente. Il Consìglio Generale, diretto da Marx e da Engels, aveva di già incominciato ad introdurre un regime arbitrario sostituendo al congresso pubblico una conferenza privata e ten-


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tando di imporre, in tal modo, certe idee peculiari del socialismo di Marx, specialmente la necessità di azione politica che in pratica significava tattiche elettorali e parlamentari, col risultato di ridurre il socialismo ad una democrazia sociale. Contro ciò i Giuresi protestarono a Sonvillier e diramarono il loro appello, la cosidetta circolare di Sonvillier (novembre 1871). Bakunin si affrettò a scrivere a destra ed a manca per spiegare questa protesta, che la sezione di Napoli appoggiò con una lettera di Palladino al Consiglio Generale. Era assai difficile far comprendere questi dissensi interni alle nuove sezioni che erano, in taluni casi, società già stabilite che pochi entusiasti avevano indotto ad affiliarsi all'Internazionale. Non è a meravigliare che sembrasse strano ai nuovi aderenti dovere incominciare col protestare contro la condotta interna di una società il cui prestigio esteriore non desideravano intaccare e di cui non erano peranco membri ufficiali. Tutti erano, naturalmente, convinti che occorressero propaganda, organizzazione, federazione ed azione, non già quisquilie con gente di Londra completamente all'oscuro della situazione in Italia. I giovani internazionalisti, molti dei quali non erano nuovi alle cospirazioni ed alle lotte, ardevano dal desiderio di liberarsi da ogni formalismo, di agire indipendentemente dal Consiglio Generale di Londra, dichiararsi internazionalisti puri e semplici ed iniziare un lavoro pratico e serio. Bakunin, che i Marxisti seguita-


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vano a denunciare come nemico dell'Internazionale, in quei mesi non fece in realtà che scrivere per indurre le sezioni ad assoggettarsi alle f o r malità richieste, affiliandosi regolarmente. F r a i numerosissimi manoscritti è notevole quel m o numento di pazienza che è la lettera di quaranta pagine in 4o. alle sezioni della Romagna (Al Rubicone [L. Nabruzzi in Ravenna] e tutti gli altri amici), 23 gennaio 1872. Ciò fece, naturalmente, perchè non soltanto aveva fiducia nei congressi regolari ed in discussioni aperte e serene con Marx in materia di principii, ma riteneva che di fronte alla reazione ed alla persecuzione minacciate da ogni parte, i socialisti di ogni gradazione dovessero trovar posto nell'Internazionale con spirito di mutua tolleranza. In talune località andarono costituendosi nuove sezioni, in altre le società repubblicane locali si dichiararono in favore dell'Internazionale, in altre ancora, come nella Romagna, nell'Emilia, nella Toscana, si formarono unioni operaie miste, tutte designate col nome di Fascio Operaio Locale. Sul principio si componevano di garibaldini e socialisti, poi per lo più si avviavano rapidamente verso l'Internazionale, non solo, ma le menti direttive inaugurarono, mercè conferenze, un movimento federativo di proporzioni sempre maggiori. Così Imola accettò nel settembre del 1871 il programma dell'Internazionale, e sette società repubblicane di Ravenna si dichiararono in favore di esso nello stesso mese. Il Fascio Operaio di Bologna venne fondato —


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il 4 dicembre sotto la presidenza' di Erminio Pescatori. Egli ed il giovine studente Andrea Costa (nato in Imola nel 1852) spiegarono allora grande attività per stringere i Fasci in Federazione e pervenire ad una organizzazione generale italiana. Il 19 settembre 1871 si tenne dei delegati delle sezioni di Bologna, Imola, Ravenna, Forlì, Faenza, Rimini etc. Il 18 febbraio 1872 convennero a Ravenna i delegati di questa città, di Forli, Lugo, Madonna dell'Albero, S. Stefano, S. Bartolo, Bastia, Campiano, Camporiello, Coccolia, S. Pancrazio, (tutte cittadine della Romagna). Il Congresso tenutosi a Bologna dal 17 al 19 marzo 1852 segna una pietra miliare. Vi parteciparono i delegati di Bologna, Ravenna, Rimini, Fano (Marche), Massignano, Lugo, Montelparo, S. Potito, Fusignano, Forlì, Faenza, Sinigaglia (Marche). S. Arcangelo, Imola, Mirandola, Mantova, Napoli, (probabilmente Tucci) etc. L'organizzazione si denominò: Il Fascio Operaio, Associazione Internazionale dei Lavoratori, Federazione Italiana (Regione di Bologna, etc) e decise di convocare in maggio un Congresso generale italiano. Il progetto potè essere attuato soltanto ai primi di agosto, allorché si tenne a Rimini (agosto e giorni seguenti) il congresso indetto il 14 giugno dal consiglio generale del Fascio Operaio (Bologna). Le cariche vennero così distribuite: presidente C. (?) Cafiero, vice-presidente L. Nabruzzi, segretario A. Costa, vice-segretario »

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Tito Zanardelli (equa divisione di poteri fra Napoli e la Romagna). L'ordine del giorno contrario al Consiglio Generale venne approvato dai delegati delle sezioni di Napoli, Sciacca (Sicilia), Mantova, Siena, Ravenna, S. Potito, Fusignano, Mirandola, S. Giovanni in Persiceto, Fano, Fermo, Sinigaglia, S. Arcangelo, Forlì, e dell'Umbria (6 agosto). Si viene, così, a costituire ufficialmente La Federazione Italiana dell'Internazionale. Il regolamento federale stabilisce una commissione di corrispondenza (segretario Andrea Costa, il quale diviene, per tal modo, la più importante personalità amministrativa) ed una commissione di Statistica, di cui Celso Cerretti, Malatesta, e (come ho appreso dalla copia di una lettera contemporanea scritta da Costa), la spia Terzaghi (Torino) erano membri. Il regolamento era stato compilato dalla sezione di Napoli. Mi è stato impossibile accertare quale fosse il compito della commissione di statistica. Le lettere dovevano essere trasmesse a Mirandola, dove risiedeva Cerretti (Commissione di Corrispondenza No. 1. Imola, 19 agosto). Nel no. 19 di queste lettere scritte da Costa a Cerretti, di cui ho veduto copie, è detto (Imola, 21 agosto) . . . . "Terzaghi si lamenta che i suoi colleghi della commissione di statistica non si fanno vivi" — egli avrebbe probabilmente desiderato che gli venissero spediti regolarmente gli elenchi dei membri. Poiché Celso Cerretti fin dal marzo era stato messo in guardia contro Terzaghi dallo stesso


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Garibaldi, e poiché immediatamente dopo il suo ritorno dall'estero Cafiero si era trattenuto molte settimane a Torino per fare indagini sui caso, ed aveva il 30 novembre inviato un lungo rapporto, è assai poco probabile che Cerretti e Malatesta accettassero di collaborare con Terzaghi. Questo episodio può sembrare di scarsa importanza oggi, ma non lo fu allora, giacché il miserabile, avvalendosi di sciocchi creduloni, riuscì per molti anni a tenere in vita uno pseudo — movimento provocatore ed insultante per screditare l'Internazionale e cercar di trascinarla nel fango. La conferenza di Rimini ebbe il merito di raccogliere per la prima volta in unico consesso i principali Internazionalisti del Nord e del Sud. Dalla Romagna e da Napoli, che furono all'avanguardia, il movimento andò poi diffondendosi in tutta l'Italia, finché non subì nel nord un arresto, da cui gradatamente si riebbe. L'espansione procedè rapidamente, non senza, però, che in talune località, specialmente nella Romagna, venisse turbata da feroci delitti di fanatici mazziniani, come l'assassinio di Francesco Piccinin, del locale Fascio Operaio, avvenuto a Lugo (Romagna il 2 maggio 1882. Il che fa pensare che i fascisti di oggi coi loro delitti abbiano avuto precursori in quel tempo remoto.


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CAPITOLO SESTO MALATESTA E BAKUNIN

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VI. M A L A T E S T A E BAKUNIN — SETTEMBRE 1892 (ZURIGO E ST. IMIER)

Della Conferenza di Rimini (agosto 1892) non esiste alcun resoconto, all'infuori di un semplice foglio intitolato Associazione Internazionale dei Lavoratori, l.a Conferenza delle Sezioni Italiane (Rimini, 1 p.), contenente gli ordini del giorno, che furono pubblicati anche nel Bollettino dei Lavoratori (31 agosto), stampato segretamente a Napoli. Altre sezioni aderirono, come quella di Ferrara (21 agosto) e di Milano (4 settembre). La prova dell'unanimità di questa attitudine anti-autoritaria trovasi in una lettera di Engels, segretario del Consiglio di Londra, a F. A. Sorge, con questa dichiarazione in data 2 novembre: "Bignami è il solo italiano che si sia schierato dalla nostra parte, e neppur lui con troppa energia, almeno sino ad ora." La Conferenza, in un ordine del jgiorno assai noto aveva, difatti, protestato contro i tentativi, da parte del Consiglio Generale, di imporre al-


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l'Internazionale una speciale teoria anti-autoritaria, quella, cioè, del partito Comunista tededesco; respinse, inoltre ogni solidarietà col Consiglio Generale di Londra, confermando, invece, la sua solidarietà economica con tutti i lavoratori, e convocò un Congresso generale anti-autoritario da tenersi in Svizzera il giorno stesso del Congresso Internazionale all'Aia. Mentre Marx considerò questa decisione come il supremo tentativo di Bakunin per rimpiazzare l'Internazionale, essa non fu in realtà che un colpo di testa indipendente dei giovani italiani, cui nè Bakunin nè i suoi amici di altri paesi diedero mai la loro approvazione e che non venne attuato. Gli italiani non parteciparono al Congresso dell'Aia cui assistè soltanto Cafiero come spettatore. Essi, Malatesta compreso, attesero il ritorno dei loro compagni stranieri dall'Aia ed insieme si recarono in Svizzera per discutere. E' impossibile narrare qui con esattezza sia pure approssimata la storia degli interni dissensi dell'Internazionale o dell'eco che questi ebbero in Italia. Non si tratta già di vecchie, dimenticate quisquilie di partito, ma di dibattiti, mosse e contromosse molto somiglianti a quelle dei nostri giorni, ed è lamentevole che soltanto alcuni, e fra essi Malatesta, siano in grado di riferire questo capitolo della storia del socialismo, mentre altri o lo ignorano completamente, o quel che è peggio, lo conoscono sotto una versione parziale ed inesatta, da lungo tempo smen-


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tita, ma di continuo riesumata coi* deplorevole leggerezza. Fin dal principio ambedue i punti di vista vennero portati contemporaneamente a conoscenza del pubblico : quello marxista "Pretese scissioni nell* Internazionale, e la risposta anarchica "Reponse" (Neuchàtel, giugno 1872, 45 pp.)> di cui la traduzione italiana porta il titolo Risposta di alcuni Internazionali membri della Federazione del Giura alla) circolare privata.... ; nel 1873 comparvero due libri, l'opuscolo marxiano della Alleanza e la memoria anarchica giurassiana, il primo redatto da Marx, Engels, Paul Lafargue e N. Utin (Londra, 1883), la seconda da James Guillaume, che adoperò materiali forniti in parte da Bakunin e da Paul Robin (Sonvillier, 1873). Evidentemente il soggetto richiedeva un nuovo esame basato su abbondante materiale e ciò divenne impossibile. Allorché nel 1895 fu pubblicata una parte considerevole della corrispondenza di Bakunin (principalmente lettere russe), io stavo già compulsando i suoi manoscritti, raccogliendo la corrispondenza internazionale, i ricordi dei suoi compagni viventi etc., ed adunando tutto questó materiale in una biografia di Bakunin (Londra, 1896-1900) in tre enormi volumi, pubblicati privatamente in 50 esemplari, mentre il materiale supplementare trovasi in forma di manoscritto soltanto o non è per nulla disposto ordinatamente. Da questi documenti io ricavai brevi monografie, riassumendo le relazioni di Bakunin con il movimento socialista in Italia (1864-72, 54 pp.), »

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in Spagna (1868-73, 60 pp.) ed in Russia (186873, 65 pp.), pubblicate nell'Archivio Tedesco per la storia del Socialismo e nel Movimento Operaio (Lipsia, 1912, 13, 15), rivista scientifica indipendente, in cui io potevo liberamente esprimere il mio pensiero; una brevissima biografia di Bakunin fu anche scritta per un giornale anarchico di Berlino (1901, 64 pp.)« Questa enorme massa di materiale sulla vita intima dell'Internazionale, sebbene troppo grande per richiamare l'interesse o semplicemente l'attenzione generale, giovò, nondimeno, grandemente a far convergere verso il lato storico della questione l'interessamento di James Guillaume, il quale, rimasto fino al 1878 uno dei più strenui propugnatori dell' Internazionalismo anarchico, si immerse per venticinque anni nello studio della Rivoluzione Francese, per poi ritornare alla vita rivoluzionaria in seguito all'ascesa dell'individualismo in Francia. Egli è il solo che abbia attentamente esaminato il materiale bakuniniano di cui sopra, sia in stampa sia in manoscritti. Coll'aggiunta dei suoi ricordi personali, di documenti dell'epoca e di molti particolari accuratamente controllati, egli compilò i quattro volumi intitolati L'Internazionale, documenti e ricordi 1864-78 (Parigi, 1905-1910). Pubblicò, inoltre, accurate edizioni degli scritti di Bakunin in quel tempo (Opere, voi. II-VI, Parigi, 1907-1913; il I voi. era già stato pubblicato da me nel 1895.). Nel fare queste ricerche, che durarono molti m


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anni, io venni a conoscere, od appresi da lui stesso, quello che so della vita di Malatesta in quel tempo. Quel che m'interessava allora non erano le sue avventure, ma il corso degli avvenimenti in generale ed anche oggi non mi sembra di dover supplire a questa deficienza narrando fatti che confido egli stesso vorrà un giorno riferire. Queste spiegazioni ritengo opportune per dimostrare che se non mi indugio ulteriormente nell'esposizione della vita intima dell'Internazionale non è già per mancanza di materiale, ma piuttosto per la soverchia abbondanza di esso. Il materiale esistente occuperebbe un intero volume di sobrio e documentato resoconto dell'incremento dell'Internazionale Italiana dalla Comune di Parigi alla Conferenza di Rimini, 1871-72. Senonchè, io per il primo riconosco che un tal libro sarebbe del tutto insufficiente, giacché molto altro materiale rimane quasi obliato. Da parte dei marxisti ben poco si fece per molti anni, se ne togli la pubblicazione di un libro in cui vennero ripetute le vecchie calunnie, e ciò quando i documenti di Bakunin erano già stati pubblicati e sottoposti ad un giudizio spassionato. Il meglio che può dirsi è : che la corrispondenza fra Marx ed Engels venne pubblicata senza restrizioni di sorta (v. lettere a F. A. Sorge, New York, 1906, e la corrispondenza fra loro, 1913), e che l'editore dei documenti del Consiglio Generale (alle spese si provvide coi


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fondi lasciati dal prof. Anton Menger) pubblicò in anticipo talune carte assai intéressanti. Prescindendo da quanto potrà ulteriormente venire alla luce in merito al soggetto di cui ora ci occupiamo, sta il fatto che il materiale a nostra disposizione rivela l'incredibile insipienza spiegata in Italia ed in Spagna dai marxisti, nei quali, è doveroso ammetterlo, l'ignoranza superò la malignità ed i pregiudizi. Perfino alcuni marxisti, tra i pochi che esaminarono da vicino la questione, specialmente E. Bernstein e F. Mehring, espressero meraviglia e disapprovazione pel modo poco corretto d'agire di Marx. A proposito di Bernstein, mi sembra assai comica l'allusione che egli fa a Malatesta in un suo libro di ricordi pubblicato nel 1918: "Egli (Malatesta) probabilmente segue ancora la vecchia bandiera," arrivando, così, alla conclusione, non di sua scienza ma per induzione più o meno accorta, che Malatesta viva tutt'ora e tutt'ora sia anarchico. Uno dei fatti principali nelle intime lotte dell'Internazionale in quel tempo era la ognor crescente inutilità dell'amministrazione centrale di fronte alla vita locale nuova ed indipendente che fioriva dappertutto ; gli ufficiali permanenti invece di allontanarsi quando constatarono che non erano più desiderati, divennero furibondi nel vedersi trascurati. Il 19 decembre 1871, Garibaldi scriveva a Celso Cerretti : "Noi siamo un ramo dell'Internazionale. Ciò non deve toglierci però il diritto di regolarci internamente come vogliamo." »

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Questo atteggiamento incoraggia i Fasci Operai a non tenere alcun conto del regolamento di Londra, tanto che lo Statuto del Congresso di Bologna (17-19 marzo 1872; 25 p.p.) dichiara solidarietà perfetta coll'Internazionale ma non fa la minima menzione del Consiglio Generale. Bakunin, come già sappiamo, non approvò mai questa attitudine, come rilevasi da una lettera scritta ai compagni di Romagna in cui dice: "Vedo bene che voi siete tutti Internazionalisti nel cuore, ma non avete ancora il coraggio di dichiararvi apertamente sezioni dell'Internazionale^ (3 gennaio). t

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Garibaldi, dal cantò -stìò, scriveva à Cerretti (Caprera, 30 dicembre 1871): "Io credo quindi che per dominare il bizantinismo che affligge la democrazia mondiale, il solo rimedio sia la Dittatura onesta e temporaria" — idea che Bakunin non cessò mai di combattere. Nella lettera del 3 gennaio 1872, su menzionata, egli dice, difatti : "la sua (di Garibaldi) idea fissa è la dittatura e niente è così contrario alla rivoluzione sociale come la dittatura...." L'opera di propaganda più notevole compiuta da Bakunin in questo tempo è la sua lunga lettera a Celso Cerretti, scritta dal 13 al 27 marzo 1872, dopo avere avuto notizia della morte di Mazzini, lettera pubblicata dalla rivista La Societé Nouvelle nel.numero di febbraio 1896 (p.p. 174-199). In essa egli tratta dei partiti avanzati esistenti e dei loro capi, delle condizioni per una rivoluzione sociale in Italia, *

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della parte da attribuirsi alla popolazione rurale etc. Egli prevede la persecuzione dell'Internazionale ed esorta a premunirsi creando un'organizzazione segreta entro le sezioni. "Anche supponendo che le associazoni pubbliche siano destinate a continuare, io credo che prima o dopo voi incomincerete a comprendere la necessità di formare nell'ambito di esse dei nuclei composti dei membri più fidati, più devoti, più intelligenti ed energici, degli intimi, in una parola." Questi nuclei, da costituirsi dappertutto e da mantenere in stretti rapporti fra loro, in Italia ed all'estero, dovevano essere l'anima i s p i r a trice e vivificatrice di quell'immenso organismo che è l'Internazionale, e trattare le quistioni che non possono essere trattate in pubblico. "Essi formeranno il ponte necessario fra la propaganda delle teorie socialiste e la pratica rivoluzionaria..../' Quantunque nel 1872 non vi fosse alcun movimento rivoluzionario in imminente preparazione, nondimeno la situazione e lo spirito allora prevalenti non erano permeati dalla sorda disperazione che afflisse i partiti socialisti per tanti anni prima della guerra e li rese impotenti di fronte agli avvenimenti che precedettero il 1914 ed i giorni attuali. L'Internazionale italiana fu al suo principio, nelle sue attive personalità, una forza decisa all'azione in un ragionevole lasso di tempo. Essa aveva dinanzi agli occhi l'esempio di Garibaldi, della Comune di Parigi,


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della rivoluzione spagnuola del 1868, i cui moti non erano per anco sopiti. A questo si aggiunga il malcontento sociale dovuto al nuovo regime borghese che dal 1860 aveva intensificato la precedente oppressione feudale. La rivoluzione non sembrava affatto utopistica ad uomini i quali, sotto questo riguardo, non facevano che continuare a seguir la via tracciata dal Risorgimento. Tali considerazioni possono aiutare a formarsi un'idea dell'intensità, dell'ardore, delle speranze che animavano gli Internazionalisti all'inizio del loro movimento. Dopo questo anno di attività, il consolidamento del lavoro tracciato a Rimini e gli avvenimenti nel seno dell'Internazionale, il congresso dell'Aia che doveva distruggere Bakunin e bandire tutti i suoi principii contribuì a spingere i più avanzati elementi italiani a contatto personale diretto coi rivoluzionari di altri paesi; intendo alludere al loro viaggio in Svizzera nel settembre del 1872. Bakunin, col quale risiedeva allora il giovane Pezza di Milano, assai sofferente e vicino a morire (Gennaio 1873), si era trasferito a Zurigo sin dal 25 Agosto. Benché occupatissimo nella sua corrispondenza internazionale e negli affari russi, scrisse una "Costituzione del P.P." (30 Agosto), "Statuto di Y" (3 Settembre), "Statuto dell'Alleanza" [—Y], (4, 5 Settembre), vale a dire il regolamento del suo gruppo segreto nella forma in cui doveva essere proposto ai compagni coi quali stava per abboc-


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carsi: (Dal diario) : (4) Settembre: "lettera da Beniamino" [Malatesta] ; (5) "Beppe e Giacomo sono arrivati" [Fanelli e Nabruzzi] ; (6) "discussione e lettura dello statuto proposto"; (7) > "Arriva Malatesta"; è questo il giorno in cui Malatesta si incontra per la prima volta con Bakunin; (8) gli italiani con Bakunin mattina e sera ; (9) dalla una e mezzo alle sei si legge e si discute lo Statuto; (10) Cafiero, Adhemar Schwitzguebel (Giura Svizzero) ed i quattro delegati dalla Spagna (Morago, P. Fanga, ^Peliieer, Marselan ' ed Alerini, francese) arrivano dall'Aia; (IL) arriva Costa; Statuto letto e discusso mattina e sera; (12) "accettato; bacio paterno e stretta di mano"; la sera si discute dell'imminente congresso di St. Imier (Giura). Il 14 tutti costoro, compresi un giovane francese di Lione, Camille Carnet, ed un gruppo di studenti russi, uomini e donne, partono da Zurigo per La Chaux de Fonds, dove trovano altri russi e Pindy (della Comune di Parigi). 15 settembre : congresso locale ed internazionale a : St. Imer; ^ James Guillaume, Lefran^ais (della Comune);'-(16) fine del secondo Congresso; partenza per Neuchà tel dove il 17 si tiene una seduta* del "P. P." [membri dell'Alleanza] colla partecipazione di Guillaume. Il 18 di nuovo a Zurigo; seduta; (19) discussione sui mezzi; "platonismo dottrinario di Marselan"; (20) "spiegazioni con Marselan; concilazione generale"; (21) si decide il sistema di corrispondenza; (22) gli spagnoli partono; (23)


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Pezza, Fanelli, Cafiero, Nabruzzi e Malatesta partono da Zurigo. Lo Statuto creò fratelli internazionali, nazionali, provinciali etc. ; in Italia gli unici fratelli internazionali furono Cafiero, Costa, Nabruzzi, Fanelli e Malatesta. Il nome dato all'organizzazione fu probabilmente Alleanza Socialista Rivoluzionaria (veggasi Malatesta in La Questione Sociale, Paterson, N. J., 25 novembre 1899). Lo Statuto venne copiato dai membri di Zurigo e portato in Italia; di una traduzione in Italiano furono fatte 607 copie, di cui una, scritta da Costa ed intitolata Programma, ed oggetto déll'Associazione, fu sequestrata a Firenze colle carte di F. Natta; la pubblica accusa ne rivelò al processo di Firenze alcuni brani (Dibattimenti, 1875, pp. 333-35), ma le discussioni di Zurigo rimasero per molti anni segrete, finché non divennero materiale storico. Malatesta me ne parlò francamente ed il diario di Bakunin conferma meravigliosamente l'esattezza dei suoi ricordi. Nel 1904 udii Malatesta riepilogare cosi l'attività sua e dei suoi compagni in Italia: tutti noi eravamo prima di ogni altra cosa membri dell'Alleanza Segreta e come tali fondammo sezioni dell'Internazionale allo scopo di creare un centro di lavoro per le idee e gli scopi dell'Alleanza. L'Internazionale in Italia non era una federazione di società di lavoratori, ma una società puramente politica per i fini dell'Alleanza. Si noti che Bakunin non annotò la partenza di Costa, il quale rimase in Svizzera alcune


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settimane per attendere alla pubblicazione di un foglio segreto "La Rivoluzione Sociale [Neuchàtel, Settembre 1872], che non mi è stato mai possibile vedere ; oltre al resto li foglio conteneva: Programma e Regolamento della Federazione Italiana e Situazione e Programma. Per tal numero Malatesta vide in quell'anno a Zurigo, dove fioriva il movimento socialista degli studenti russi, gli Internazionalisti del Giura, i profughi della Comune, i delegati anarchici spagnoli etc. Non so quando egli abbia ricominciato a leggere lo spagnolo, ma io stesso ho veduto dei brani di giornali spagnoli inviati in quel tempo in Italia, la Federacion di Barcellona, un giornale di Magliorca etc., e sono convinto che queste letture e la conoscenza dei delegati — fra i quali T. G. Morago gli fece probabilmente la maggiore impressione — abbiano destato fin da allora in Malatesta un interesse vivissimo nel movimento spagnolo. Dei giorni piacevoli trascorsi nel Giura svizzero, dove tutti si adoperarono a cancellare mediante una rinvigorita solidarietà la sfavorevole impressione lasciata dal Congresso dell'Aia, Malatesta ricorda l'episodio dei fanciulli del luogo che scambiarono Bakunin per Garibaldi. Di Malatesta i calmi giùresi riportarono la migliore impressione, per il fatto che egli si dichiarò per l'attacco deciso, diretto, non per le vie tortuose. In Costa notarono una mollezza che se poteva sembrare innocua e divertente allora, non gli permise di mantenersi a lungo


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al livello cui la sua pronta intelligenza lo aveva rapidamente innalzato. Per tal modo, sotto gli auspicii più favorevoli Malatesta penetrò nel cuore del movimento più avanzato di quel tempo; era il più giovane eò era amato da tutti, come Bakunin volle proba* bilmente rilevare designandolo nel suo diario col nome di Beniamino.


CAPITOLO SETTIMO L'INTERNAZIONALE

ITALIANA (1873)


VII. L'INTERNAZIONALE

ITALIANA

1873; IL CONGRESSO DI

NEL

BOLOGNA;

BAKUNIN E CAFIERO «

La storia dell'Internazionale italiana fra l'autunno del 1872 e la fine del 1873, come pure le principali avventure di Malatesta in questo periodo, sono certamente note nei loro particolari più importanti, ma una serie di accidenti ha distrutto o disperso la maggior parte dei documenti più segreti del genere di quelli esistenti per gli anni 1871-72. Bakunin conservava allora i suoi manoscritti e le copie o le tracce delle lettere più lunghe ed inoltre continuò, sino alla fine del 1872, a fare annotazioni nel suo diario. Senonchè, delle lettere scritte o ricevute dal giorno in cui ritornò da Zurigo a Locamo (22 ottobre) una parte considerevole venne bruciata nell'autunno del 1873 dallo stesso compagno russo che nel 1872 aveva distrutto le carte di Notchaev ; il resto fu dato alle fiamme da Cafiero nel 1874. In seguito Costa raccolse del materiale per la vita di Bakunin, materiale che, conservato in Svizzera, finì coll'andare smarrito,


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e lo stesso Cafiero, il quale si era dato ad un lavoro analogo con documenti raccolti personalmente od inviatigli da Schweitzguebel dal Giura, finì col non adoperarli. James Guillaume nel 1898, in un momento di sconforto, bruciò tutte le carte segrete che aveva, tanto che alcuni anni dopo si meravigliò di trovare uno, ed il più prezioso, di questi documenti, che dal 1874 aveva sempre tenuto presso di sè, nella mia biografia di Bakunin, riprodotto da una copia sconosciuta. A tutto ciò aggiungasi il fatto che nell'anno di cui si parla la corrispondenza di natura intima fu meno copiosa, in parte perchè quando si incominciarono a trattare questioni veramente importanti Bakunin divenne assai cauto (in una lettera al suo vecchio amico prof. Adolf Vogt in Berna, del 4 aprile 1874, egli dichiara di non conservar copia di una sola linea da lui scritta), ed in parte perchè gli italiani si diedero a fargli visita sovente a Locamo, dove si regolarono molte cose, di cui non si conservò alcuna traccia. Valga a guisa di prova il fatto che il carteggio della Commissione di Corrispondenza della Federazione italiana per gli anni 1872 e 1873, sequestrato all'accusato Matteo " da lui murate [le lettere] in una buca della propria bottega" — parole della pubblica accusa nel processo di Firenze del 1875 (v. Dibattimenti p. 319) ; Natta aveva sostituito Costa nella qualità di segretario — non rivelò nulla dell'attività di quegli anni, giacché altrimenti sarebbe É


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stato prodotto in quello ed in altri clamorosi processi. Tutti i propagandisti più noti vennero tratti in arresto ed esiliati e le loro case perquisite con scarsi risultati; il che dimostra che i documenti o non esistevano in iscritto od erano stati distrutti in queste od in molte altre persecuzioni che seguirono. Dalle persone a conoscenza dei segreti della società non vennero nè confessioni nè indiscrezioni, talché il governo, malgrado l'aiuto di tutti i suoi Terzaghi, non riuscì mai a colpire seriamente l'Internazionale, fatto che non gli impedì, peraltro, di arrestare alla cieca e detenere in carcere per un tempo indeterminato, senza alcuna accusa sostanziale, i propagandisti più attivi, come accadde a Malatesta, il quale dovè nel 1873 rimanere in prigione otto mesi. Bakunin dopo i congressi dell'Aia e di St. Imier ed il trasferimento a New York del Consiglio Generale di Londra, (fatto che diede allora l'impressione che segnasse la scomparsa di esso come fattore nei movimenti socialisti europei) si adoperò per tenere i vari partiti dell'Internazionale — di qualsiasi opinione fossero — uniti nell'ambito di quell'organizzazione sulla base (1) dello Statuto originario del 1866, (2) della mutua solidarietà economica, (3) dell'abolizione di ogni elemento autoritario ed accentratore nell'interno della società. Era questa, in fondo, una politica conservatrice, che i giuresi erano disposti ad accettare, ma che non riscuoteva l'appoggio dei giovani 7


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rivoluzionari italiani i quali desideravano u n ' a zione internazionalista immediata e non c u r a vano la platonica solidarietà con gente lontana, di opinioni diversissime dalle loro. In altri paesi, Spagna, Belgio ed Inghilterra, si doveva tener conto delle speciali condizioni del luog*o. Il piano di Bakunin e James Guillaume, c h e non era riuscito ad imporsi nei Congressi Na~ zionali del Natale del 1872 (Cordova e Bruxelles), e del marzo 1873 (Bologna), venne a l l a fine attuato praticamente nel Congresso I n t e r nazionale di Ginevra (settembre 1873) di cui esiste una lunga relazione stampata (Locle, 1874, 119 pp.). Costa era allora il più autorevole delegato italiano. Malatesta trovavasi in c a r cere. L'attiva corrispondenza mantenuta da Bakunin cogli italiani dall'ottobre alla fine del dicembre 1872 (il diario pel 1873 deve, sventuratamente, ritenersi perduto) trattò probabilmente di tali quistioni, poiché contemporaneamente furono spedite lettere nel Giura ed in Spagna, o forse spiegò più dettagliatamente gli affari interni dell'Alleanza. Notiamo: ottobre 25-31 : grande lettera collettiva agli italiani, 31 ottobre — l.o novembre: grandissima lettera collettiva ai giuresi ; 2-3 novembre • lettera colletiva a tutti i H[ermanos, fratelli] di Spagna— e 6-8 novembre: circolare no. 2, in cifra, di H u j l j o [Bakunin] a Ermani [i fratelli] — 17-20 novembre : lettere collettive ai tre paesi ed alla Spagna (16 novembre) pel congresso di Londra. Limitandoci a Malatesta e Cafiero — si noti


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qui, incidentalmente, che il 29 ottobre Bakunin rivede la sua corrispondenza e brucia molte lettere — troviamo che il 21 ottobre Bakunin invia la lunga lettera collettiva e lettere a Cafiero, Malatesta, Pezza, Fanelli, Friscia, Palladino, Testini, tutte all'indirizzo di Malatesta; l.o novembre, scritto a Pezza, a Malatesta ed a Fanelli [il che fa ritenere che Pezza, allora morente, si trovasse con Malatesta nel mezzogiorno, ed in verità dopo la sua morte, avvenuta nel Gennaio del 1873, l'Internazionale Napoletana propose di pubblicarne gli scritti]. Arriva Cafiero, 4-11 novembre. Corrispondenza con Palladino. 17 novembre: lettere da Beniamino [Malatesta] e da Armando [Cafiero]. Arriva Fanelli, 21 novembre. 3 dicembre : lettere da Alerini, Farga e Pellicer [ambedue di Barcellona], Cafiero e Beniamino; (9) lettera da Malatesta; (12) lettera a Cafiero e lettere da Friscia, Nabruzzi e Beniamino, 23 die. : arrivano Cafiero e Palladino, 25-28 arriva Fanelli; (29), abbiamo parlato dei nostri affari; i fratelli hanno approvato una decisione di carattere molto segreto [di ciò non sappiamo null'altro] ; altri due italiani quasi sconosciuti arrivano e vengono ammessi nella cerchia intima (probabilmente quella Nazionale), Nabruzzi è invitato a venire. Qui finisce il diario, alla fine del quale trovansi alcuni indirizzi, quello di Malatesta, Nicolò Bellerio, fermo posta, Napoli; di Carlo [Cafiero] e di "Kropotkin" a Losanna. Assai probabilmente quest'ultimo è l'indirizzo del fratello di P. Kro-


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potkin, Alessandro, che non condivise mai le opinioni di Bakunin ; Peter Kropotkin non ebbe mai relazione con quest'ultimo. Il Congresso italiano venne il 10 gennaio convocato a Mirandola, dove abitavano Celso ed Arturo Cerretti, pel 15 marzo. Nel frattempo, però la sezione locale veniva disciolta, C. Cerretti arrestato, talché la commissone di corrispondenza invitò i delegati ad adunarsi a Bologna dove il 15 marzo ebbe luogo una prima seduta entro una fabbrica. Il 16 marzo Andrea Costa, Malatesta, Alceste Faggioli, A. Negri ed altri delegati venivano tratti in arresto, ma il Congresso riuscì a trasferirsi in altra località coll'intervento di 53 delegati di 150 sezioni. Erano rappresentate le federazioni locali di Napoli, Firenze, Ravenna, Rimini, Torino, Mirandola, Modena, Ancona, Siena, Pisa, Roma; 6 sezioni di Forli, Faenza, Lugo, S. Potito, Fusignano, Fermo e circondario, Memfi, Sciacca (Sicilia), Osimo ed altri piccoli centri. Non essendo questa la storia dell'Internazionale Italiana, non è necessario riprodurre gli ordini del giorno per modificare l'organizzazione nè quelli, interessantissimi, di carattere teoretico e generale, alcuni dei quali rivelano se non la mano di Bakunin per lo meno la preponderante influenza esercitata dalle sue idee. Basti riferire che si decise di non partecipare ad alcun congresso internazionale che non venisse convocato per proporre le riforme seguenti: (1) inserzione integrale della vecchia prefazione alla piattaforma dell'Internazionale; (2)


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unico legame fra gli associati — la solidarietà nella lotta economica, lasciando a ciascuna federazione, sezione, gruppo od individuo, piena libertà di adattare il programma politico preferito e di organizzarsi pubblicamente o segretamente in conformità di esso, purché il programma non fosse contrario agli scopi dell'associazione, completa e diretta emancipazione dei proletari per opera dei proletari stessi. (3) Abolizione di ogni autorità e potere centrale in seno alla società e conseguentemente piena libertà di organizzazione e completa autonomia delle sezioni e delle federazioni. Il Congresso si dichiarò ateo e materialista, anarchico e federalista ; non riconobbe alcuna azione politica all'infuori di quella che, d'accordo con tutti i lavoratori del mondo, conducesse direttamente alla realizzazione dei princ i p i su esposti, e respinse qualsiasi collaborazione o complicità cogli intrighi politici dei borghesi, si chiamassero essi dimocratici o rivoluzionari. Dichiarò, infine, che se i lavoratori di altri paesi avevano diritto di non condividere queste idee unanimemente accettate dal congresso, nondimeno potevano contare sulla solidarietà delle sezioni rappresentate, purché non cercassero di imporre agli altri i loro principii. Gli arresti operati dalla polizia ritardarono la pubblicazione e la divulgazione dell'ordine del giorno. Finalmente il Consiglio Federale propose di inviare la Federazione del Giura a convocare il Congresso Generale — il che diede


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luogo al Congresso di Ginevra tenutosi nel settembre del 1873. A proposito degli arresti cui si è fatto cenno, Andrea Costa scrisse nel 1900 (Bagliori di socialismo: Cenni Storici, Firenze) che essi furono il segnale di stupide e vili persecuzioni che durarono sette anni [e che se per Costa, datosi alla politica, cessarono allora, continuano anche oggi per gli anarchici]. Allora per la prima volta l'Internazionale venne dichiarata Associazione di malfattori, ma il tribunale ordinò la scarcerazione di tutti gli accusati dopo due mesi di carcere. Altri arresti seguirono, però, a Lodi, Parma, Roma etc. In quell'occasione Cafiero e Malatesta rimasero 3 o 4 giorni in carcere. Si giunse, così, al principio di maggio allorché Cafiero ritornò nella sua città, a Barletta (Puglie), per entrare in possesso del suo patrimonio vistoso ma considerevolmente deprezzato da vendite precipitose di terre, dall'animosità della famiglia ecc. Egli previde che lo avrebbero privato totalmente dei suoi beni non appena si fosse arrivato a conoscere lo scopo rivoluzionario cui nella sua mente li aveva destinati. Di Malatesta nulla sappiamo per il periodo di cinque o sei settimane, finché non si recò a Locamo, dove trascorse del tempo, forse alcune settimane, con Bakunin. Nell'estate del 1873 sembrò imminente una rivoluzione in Spagna, tanto che Bakunin, invitato con insistenza dai suoi amici spagnoli, decise di recarsi in mezzo a loro. Solamente Cafiero avrebbe potuto fornire il denaro neces-


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sario alle spese di viaggio. Per riuscire più facilmente nell'intento Malatesta, d'accordo con Bakunin, si recò a Barletta a convincere l'amico dell'urgenza di provvedere i fondi indispensabili. Tre giorni dopo il suo arrivo nella città pugliese, Malatesta venne tratto in arresto e detenuto in carcere sei mesi, e quindi rimesso in libertà, senza alcun processo, naturalmente. Ciò avveniva dal luglio del 1873 al gennaio del 1874, date che egli è in grado di fissare per il fatto che al viaggio si decise in seguito ai moti di Acoy scoppiati il 9 luglio. In quel tempo — come Z. Ralli (Zamfir C. Arbure, rumeno, allora appartenente al movimento russo) ricorda — egli e Malatesta copiarono una lunghissima lettera teoretica di Bakunin alla Spagna, piena di richiami alle tendenze ed agli avvenimenti anti-statisti e federalisti, che si riscontrano nella Storia del paese. In pari tempo essi, Bakunin e Malatesta (che si sarebbe dovuto recare con Bakunin in Spagna) seguivano con attenzione gli eventi del giorno, che erano assai scoraggianti. Bakunin in un documento privato del luglio 1874 scrive con amarezza della mancanza di energia ed entusiasmo rivoluzionario nei capi e nelle masse. Malatesta, il quale nel 1875 in un carcere spagnolo ed altrove vide persone coinvolte nei movimenti di cui parlasi, criticò i fatti svoltisi in San Yucar de Barrameda ed in Cordova in un articolo nel Grido degli Oppressi, di New York »


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(traduzione spagnola nel Despertar, di Brooklyn, l.o aprile 1894). P. Kropotkin ebbe altre relazioni del fallimento da P. Brousse e Vinas. Non è possibile occuparsi qui di questo soggetto, di cui è parola nel rapporto presentato dalla Federazione Spagnola al Congresso di Ginevra (1873) ; altre informazioni possono attingersi da Arnold Roller (1907). Anche James Guillaume conosceva le intenzioni di Bakunin, ma non sapeva del viaggio di Malatesta. E* facile prevedere che Bakunin sarebbe giunto troppo tardi e, come era avvenuto a Lione nel 1870, non avrebbe potuto far convergere verso un unico sforzo gli elementi disparati. Aggiungasi che l'azione anarchica indipendente non era secondata dal popolo, come dimostrarono gli eventi in Barcellona, dove Bakunin avrebbe assai probabilmente condiviso la sconfitta e finito in carcere i suoi giorni. I sei mesi di prigione impedirono a Malatesta non soltanto di recarsi in Spagna, ma anche di seguire da presso lo svolgersi del movimento in Italia. In quel tempo si tennero numerosi congressi provinciali per fondare dieci federazioni regionali, quelle della Romagna, dell'Umbria e delle Marche, di Napoli, del Piemonte, della Liguria, del Veneto, della Lombardia, della Toscana, della Sicilia e della Sardegna. Non tutte queste federazioni ebbero una esistenza ufficiale, nè alcune di esse, coi loro documenti, vissero a lungo. Tutto ciò che l'Internazionale si dava ad edificare il governo


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abbatteva ben presto, non già portando accuse legali contro le società ed i loro membri, ma semplicemente con misure amministrative, colla dissoluzione e gli arresti arbitrarli di noti propagandisti, come l'arresto di Malatesta in Barletta, dove certamente nessuno all'infuori di Cafiero aveva udito nulla dei piani pel viaggio in Spagna. Senonchè, queste dissoluzioni etc. non avevano effetti duraturi, poiché i membri attivi continuavano a tenersi uniti e trovarono ben presto il modo di riorganizzarsi in società locali. La condotta illegale del governo valse, invece, a far nascere la convinzione che la propaganda paziente era impossibile od inutile e si rendeva necessaria un'azione rivoluzionaria. Fu questo che affrettò gli avvenimenti del 1874. Quando il 29 dicembre 1872 Bakunin annota: "parlato dei nostri affari; presa tra i fratelli una decisione segretissima" essendo presenti unicamente Cafiero e Palladino; può darsi che voglia alludere alla prima proposta di Cafiero, nell'autunno del 1872 o nell'inverno del 1873, per creare un centro rivoluzionario in una proprietà di Lugano, che nominalmente avrebbe dovuto appartenere a Bakunin, il quale per tal modo sarebbe divenuto cittadino svizzero e non avrebbe potuto essere espulso. I movimenti rivoluzionari in Italia sembravano allora imminenti e la presenza di Bakunin in Svizzera avrebbe di certo arrecato grande giovamento. Comunque sia, Cafiero rimase tanto affascinato dal progetto allora in discussione che rifiutò di


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fornire a Bakunin il denaro per recarsi in Spagna quando gli venne chiesto per lettera, dopo l'arresto di Malatesta. In agosto egli si recò a Locamo dove spese forti somme per acquistare e restaurare una proprietà in assai cattivo stato, detta la Baronata, a nord di Locamo, sul lago. In quell'autunno Bakunin si assentò per parecchie settimane, recandosi a Roma. Anche Cafiero rimase del tempo lontano da Locamo. In questo intervallo i costruttori poco scrupolosi e la presenza non necessaria di compagni condussero ad un tale dispendio da impressionare vivamente Bakunin. Cafiero, dando forse soverchio ascoltò alle insinuazioni di gente poco benevola verso Bakunin, troncò definitivamente ogni relazione di amicizia col suo vecchio compagno di ideali e di lotte. Questi ultimi avvenimenti si svolsero nel luglio del 1874 e lasciarono una traccia profonda in Bakunin per tutto il resto della vita. Non posso astenermi dal pensare che se Malatesta non si fosse trovato in carcere in quei sei mesi avrebbe potuto, col suo pratico buon senso, impedire che fra Bakunin e Cafiero intervenisse quella separazione, che addolorò sinceramente i due uomini fino alla morte. Così la serie degli avvenimenti da Alcoy a Barletta ebbe un epilogo realmente tragico. Per Malatesta se il 1871 ed 1872 furono anni felici, il 1873 non fu privo di amarezze.


CAPITOLO OTTAVO L'INSURREZIONE

DEL

%

1874


Vili. L ' I N S U R R E Z I O N E DEL 1874; MALATESTA A CASTEL D E L MONTE

(PUGLIE)

(AGOSTO 1874)

I movimenti insurrezionali dell'agosto 1874, vasti nella loro concezione ma limitati nella attuazione pratica, furono l'effetto inevitabile della sempre crescente tensione e dell'aspettativa da parte della maggioranza di coloro i quali dal 1871 avevano francamente accettato la rivoluzione sociale come scopo supremo. La propaganda era resa quasi impossibile dalle persecuzioni. Non bisogna, poi, dimenticare che tutte le complicate questioni operaie degli anni seguenti, colle loro riforme legislative, non erano peranco sorte in Italia in quel tempo, e le grandi industrie, allora all'inizio, erano quasi inesistenti nelle localitĂ piĂš rivoluzionarie, nella media e bassa Italia. La classe lavoratrice era composta di un certo numero di operai intelligenti, piĂš o meno isolati, e di grandi masse di manovali, agricoltori e terrazzieri poveri ed ignoranti. A decidere e preparare un


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moto rivoluzionario in quel tempo, si era più pronti che in anni posteriori. Il fallimento della Comune di Parigi e dei movimenti spagnoli del 1873 costituì per gl'italiani un incentivo a tentare di far meglio. Dopo avere ripudiato Mazzini e Garibaldi come insufficienti ed incapaci di risolvere il problema sociale, l'Internazionale si trovò, o credette di trovarsi, nell'obbligo morale di promuovere colle sole sue forze un moto rivoluzionario, cui si era andata preparando sin dalla fine del 1873. Vi è, naturalmente, una storia intima, assai complicata, che non verrà mai narrata nei suoi particolari, poiché i tre uomini che ne costituirono la vera anima, Costa, Cafiero e Bakunin, non la narrarono, essendosi limitati a lasciare resoconti sommari e documenti occasionali riferentisi a brevi periodi fra il dicembre del 1873 e l'agosto del 1874. Non si deve credere, per altro, che il materiale sia in genere deficiente, giacché mentre i resoconti dei processi del 1875 e 1876, eccettuato quello di Firenze, sono assai succinti e gli altri documenti legali dati alle stampe ed i discorsi defensionali da me letti forniscono scarse informazioni, lo storico dell'avvenire avrà campo di esaminare i 70 volumi di documenti del processo di Bologna (Costa), i 42 volumi del processo di Firenze (Natta), i 24 o 29 volumi dei processi di Puglia, Calabria e Sicilia (Malatesta) etc. Vi sono, inoltre, i documenti nascosti nella bottega di Natta, il carteggio della Federazione italiana di cui si è fatto parola, che non fu di-


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strutto malgrado le istruzioni in tal senso date da Natta, il quale allora viaggiava in Svizzera con Bakunin (lettera di Cafiero a Bakunin, 27 agosto 1873). Tutti questi documenti segreti, coi loro riferimenti a Bakunin, non valsero a mettere l'accusa in grado di strappare alle giurie la condanna degli imputati, i quali, dopo gli interminabili processi, riacquistarono la libertà con generale soddisfazione del pubblico. Da ciò si deduce, che soltanto una narrazione spassionata da parte dei protagonisti potrebbe permettere di ricostruire questo capitolo di storia, ricostruzione non facile per il fatto che non essendo tutti parimenti iniziati i giudizi sono tutt'altro che unanimi. Malatesta non fu tra i più attivi organizzatori, essendo allora occupatissimo nel mezzogiorno, così che è necessario far precedere alla narrazione una descrizione generale del movimento quale risulta da scritti di Costa, F. Pezzi e C. Cerretti. In un pubblico consiglio in Ginevra, 4 settembre 1873, Costa (come riferisce Youkowski) parlando dell'Internazionale italiana la diceva composta di : "molte sezioni nella Romagna ; 19 o 20 nelle Marche e nell'Umbria; poche sezioni nella pacifica Toscana; a Napoli i contadini domandano una rivoluzione immediata; numerose, ma poco avanzate sezioni in Piemonte." In un opuscolo del 1900 (Bagliori di Socialismo) Costa dice: dal congressi di Pisa del 7 dicembre 1873, allorché sì costituì la Federazione toscana, più dirsi che la Federazione italiana non abbia più agito pubblicamente ; i mem-


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bri della Commissione di Corrispondenza partirono da Bologna e si trasferirono a Firenze, ma nè in giornali, nè in manifesti nè in lettere si incontra da quel tempo il nome della Federazione italiana. In luogo di essa comparisce il Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale, il quale me- * diante un solenne manifesto pubblicato nel gennaio del 1874 notifica a tutti che la pubblica organizzazione dell'Internazionale è stata a poco a poco trasformata in organismo segreto e che l'attività aperta, la propaganda e l'organizzazione operaia sono sostituite dalla cospirazione che mena all'azione diretta. Ben presto andarono costituendosi nuove sezioni, si condusse una propaganda semipubblica, alcuni giornali continuarono a pubblicarsi, i più energici ricevettero visite da membri viaggianti, si crearono gruppi segreti, tenuti a frequente contatto gli uni cogli altri; ma l'azione non si era ancora concentrata. Intanto le continue persecuzioni, la grande irrequietezza popolare generata dal caroviveri, gli scioperi, i tumulti dei contadini, il brigantaggio in parecchie provincie avevano fatto nascere il desiderio di mostrare praticamente al popolo quel che i socialisti volevano. I più attivi propagandisti agognavano alla lotta, quantunque da essa non si attendessero che la morte od il carcere. Ciò non per tanto la crisi suprema non giunse, perchè il governo conoscendo che qualche cosa andava tramandosi procedè all'arresto dei più audaci organizzatori della Romagna, delle Marche e della Toscana,


VITA E PENSIERI

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costringendo gli altri ad affrettare l'azione non ancora definitivamente fissata. Le cose andarono come meglio poterono (E qui accenna ai fatti di Imola e di Prati di Capara, nei dintorni di Bologna, 7-8 Agosto 1874). Francesco Pezzi (Un Errore Giudiziario..., Firenze 1882) narra che, stanchi delle continue vessazioni, gli Internazionalisti vollero finalmente protestare con una insurrezione armata. A tale scopo alcuni dei membri piÚ attivi irono inviati segretamente in Svizzera per preparare, d'accordo con Bakunin, una rivolta che rimase fissata per l'estate del 1874. Si decise di chiudere il primo periodo dell'Internazionale con un moto rivoluzionazio, di cui Bologna doveva essere il centro. I delegati ritornarono e, ottenuta l'approvazione dei loro piani, si misero all'opera. Alla fine di luglio, durante gli ultimi preparativi, la polizia subodorò qualche cosa. Seguirono parecchi arresti [si allude a Pirro Rivalta; altri, fra i quali F. Pezzi e Giuseppe Sant'Andrea, riuscirono a fuggire] ; alcuni si resero latitanti. Nuovi arresti, perquisizioni, sequestro di documenti a Bologna. La notizia dell'attività della polizia si sparse rapidamente e fece accorrere a Bologna altri delegati, i quali decisero di non rinunciare ai loro piani, ma di agire senza indugio. Celso Cerretti, scrivendo il 26 dicembre 1897 (lettera pubblicata il 6 febbraio 1898 nel giornale anarchico Libertà , che ebbe breve vita) narra dei suoi tentativi per interessare Garibal-


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di ed i mazziniani avanzati al movimento ideato. Egli attribuisce tutto il lavoro esclusivamente a Costa, lo mi limito a riprodurre i nomi e le date che egli cita, Luigi Castellazzo, Garibaldi e Valgania, gennaio e marzo 1874. Da altri resoconti apprendo che fu estremamente difficile convincere Garibaldi, cui i mazziniani avevano dipinto Bakunin a foschi colori, ma che alla fine egli aderì e promise di appoggiare un movimento che avesse una qualche importanza. Valgania, fino a poco tempo prima ostile all'Internazionale, fu guadagnato alla causa, come rilevasi dal noto comizio di Villa Ruffi (Rimini 2 agosto), in cui tutti i capi mazziniani si adunarono e vennero tratti in arresto in massa. Cerretti insiste nell'affermare recisamente che Costa non secondò questi tentativi di coalizione temporanea per un'azione comune, ma anzi li combattè vigorosamente, e ciò egli spiega, pensando forse alla carriera di Costa negli anni seguenti, coll'ambizione e la vanità, — ambizione e vanità che indussero l'agitatore romagnolo a precipitare l'azione per frustrare l'alleanza. Da queste e da altre informazioni possiamo concludere che nel dicembre del 1873 Costa (il quale dimorò allora per un certo tempo a Locamo) ed altri si abboccassero con Bakunin e Cafiero e decidessero di costituire il "Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale", di preparare l'insurrezione, lanciare manifesti etc. e cercare di assicurarsi la collaborazione di altri gruppi avanzati. Il primo manifesto (No. 1,


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gennaio 1874) venne redatto da Costa e spedito a Firenze; fu stampato segretamente in Toscana e reso pubblico il 25 gennaio con affissione sui muri di Roma. Il- secondo manifesto, Al Popolo Italiano, del marzo 1874, dicesi che fosse un documento assai più lungo; di esso sono stati ristampati soltanto dei brani; la compilazione si attribuisce a Costa, il quale fece probabilmente uso di un manoscritto di Bakunin. Nella primavera seguente si ebbe un numero straordinario di moti popolari, tumulti per la scarsezza del pane a Roma (metà di marzo), Cremona (aprile), Brescia, Parma, Padova, Faenza, Imola, Lugo etc. ; recrudescenza di disordini a Forli, Prato, Rimini, Lucca, Pisa, Arezzo, Livorno, Pistoia, Massa, Bologna, Firenze (dalla fine di giugno alla metà di luglio) etc. Le autorità ritenevano che questi movimenti locali fossero provocati dall'Internazionale, ma disgraziatamente non era così, perchè non si seppe allora approfittare di tutte le opportunità che si offrivano (e che io, naturalmente, non posso giudicare a tanta distanza di tempo). Dippiù, non si era forse ancor pronti all'azione, non essendosi peranco sistemate le quistioni dei mezzi etc. Per quanto la cosa possa sembrare strana, mentre ciò avveniva in Italia, Cafiero recavasi in Russia, dovendo il 29 giugno compiere in Pietrogrado la formalità del suo matrimonio allo scopo di sottrarre sua moglie dalla dipendenza del Governo dello zar. Ritornato in Ita-


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lia, dovè affrettarsi ad accorrere a Barletta per vendere le proprietà rimastegli; il 13 luglio arrivò a Locamo. Due giorni dopo, ritenendo che Bakunin fosse responsabile della pessima amministrazione della Baronata, che invece era da attribuirsi a mancanza di esperienza per parte di ambedue ed a molte altre cause, rompe con Bakunin ogni relazione. Bakunin, addoloratissimo, decide di recarsi a Bologna, pronto a sacrificare la vita; parte, difatti, il 27 luglio ed arriva il 29. In quella città egli rimane, naturalmente, nascosto, in compagnia dei fratelli Berardi e di Francesco Pasi. Costa va a visitarlo il 30 luglio, poi procede per Roma, donde ritorna con S. Mazzotti ed Alceste Faggioli (3 agosto), si porta con Faggioli a Rovigo (4) ed al ritorno è tratto in arresto (5). Faggioli avverte Bakunin e lo conduce alle 2 di notte in un nuovo rifugio, in casa di Silvio Fruggieri. L'arresto di Costa, che dicevasi fosse stato puramente accidentale, fece precipitare le cose. (6 agosto) : consiglio ; accettazione del piano per l'indomani (Paolo Berardi, Fruggieri, Leonesi, Faggioli, Bakunin). (7 agosto) : la sera ultimo gran consiglio: Leonesi, Paolo e Pio Berardi, Fruggieri, Campagnolo, Guardigli, Bakunin, altri due — accordo. Segue la notte di Prati di Caprara. Bakunin attende ed annota [non allora, ma più tardi, il 4 settembre in Svizzera] : disillusione; notte terribile; rivoltella, un pelo dalla morte; arrivano Leonesi, Fruggieri, Berardi, Guardigli ;


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solo fra le 3 e 4; alle 4 morte; alle 3.40 (8) entra Silvio [Fruggieri] e mi impedisce di mor i r e ; andiamo a dormire. Queste parole si riferiscono alla notte in cui in un prato fuori di Bologna gli internazionalisti di varie località si sarebbero dovuti unire a quelli di Bologna, per procedere alla distribuzione delle armi e muovere alla occupazione della città. Senonchè soltanto alcuni bolognesi, Leonesi, Cesari, Mazzetti etc. ed un gruppo d a San Giovanni in Persiceto — oltre ad una banda proveniente da Imola, che marciò su Bologna finché non venne avvertita di disperdersi — mantennero la promessa. Invece di 2000 furono 150, e di questi la maggioranza ritornarono alle loro case; gli altri, una ventina, si diedero alla montagna, e ben presto caddero nelle mani della polizia. Bakunin, amaramente disilluso e privo di casa a Locamo, rimane nascosto al sicuro ed il 12 agosto parte travestito. A Spliigen (Grigioni) si sofferma in compagnia di Francesco Natta, capo dell'Internazionale Fiorentina. I due discutono e formulano un piano completo d'azione, adottando un nuovo cifrario — 14 — 21 agosto. E' questa l'ultima azione cui Bakunin partecipò nel campo del movimento rivoluzionario in genere; da allora occupò qua si tutto il suo tempo in disperati tentativi per sistemare i suoi affari privati, tentativi tanto più ardui in quanto che la separazione da Cafiero era divenuta definitiva ed anche James Guillaume ed altri si erano distaccati da lui.


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Natta si reca a Locamo (21). Il processo di Firenze dimostra quanto pochi siano stati gli avvenimenti importanti svoltisi allora in quella città e nei dintorni. Non mi indugerò ad enumerare i fatti che condussero ai processi di Roma, Livorno, Massa, Perugia ed alla mancata incriminazione dei repubblicani adunatisi a Villa Ruffi (2 agosto), dove i vecchi capi mazziniani avrebbero avversato Eugenio Valgania, di Cesena, ed altri che erano favorevoli ad un'azione rivoluzionaria. L'accusa contro di essi (Bologna 15 novembre 1874) venne abbandonata (23 dicembre), ma Valgania dovette subire l'ammonizione, che era la consueta misura poliziesca adottata contro gli internazionalisti che fossero stati liberati dal carcere o assolti dalle giurie. Il movimento del 1874 ebbe probabilmente alcune gravi deficienze. Poiché esso dipendeva da un gran numero di predisposizioni, di appuntamenti, da un dato ordine di iniziative etc., pochi arresti od incidenti bastavano per arrestare il complicato meccanismo. Quando scoppiarono i moti popolari non si era pronti all'azione, giacché i fucili (come risultò dai processi) furono acquistati soltanto agli ultimi di luglio; se al ritardo avessero contribuito i viaggi di Cafiero — il quale fornì la maggioranza del denaro — non potrei dire. E* assai probabile che l'esempio di Bologna sarebbe stato seguito in molte altre località in cui erano stati fatti i preparativi ne-


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cessari. Dato, però, il fallimento del tentativo bolognese, si dovè indubbiamente far di tutto per distruggere ogni traccia di preparativi. Alcuni affermano che Costa fu troppo ottimista e superficiale nel fidare sugli appoggi promessi. Il fermento iniziale, una quistione immediata che richiamasse l'attenzione del popolo e scuotesse gli indifferenti vennero indubbiamente a mancare e tutto precipitò. Fortunatamente il contegno dei detenuti, molti loro mesi di prigione ed i processi contribuirono gradatamente a ridare prestigio all'Internazionale. Fra quelli che si mantennero fedeli e fecero del loro meglio è da annoverarsi Malatesta, allora nel mezzogiorno d'Italia. Liberato dal carcere di Barletta non prima della fine di Gennaio 1874, egli non ebbe nulla a che vedere colla decisione, adottata nel dicembre 1873, di preparare il movimento. Non so se Cafiero, che in ottobre trovavasi a Barletta, gli facesse visita. Malatesta dal giorno della sua scarcerazione risiedè in Napoli, dove Costa andò ad annunziargli il proposto movimento. Da Napoli, dopo una inutile gita a Gaeta, andò in Calabria e quivi ebbe promesse di aiuto. Un giornalista repubblicano di Catanzaro (23 luglio), che si dichiarava pronto a passare all'Internazionale, gli scrisse una lettera che condusse ad incriminazione, per la quale i giudici- abbinarono la procedura con quelle di Puglia (febbraio 1875) e di Palermo (4 marzo). Nel procedimento contro A. Riggio (Girgen-


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ti, 16 marzo) e contro altri tre è incluso a n c h e Malatesta. Tutti questi processi non ebbero più luogo ; ne parliamo unicamente per dimostrare che dappertutto si cercò di allargare il movimento. Nella prima metà di luglio o poco dopo Malatesta si recò a Locamo. Egli rammenta che Cafiero trovavasi allora in Russia, ma Ross (russo, amico di J. Guillaume) asserisce che Malatesta era presente "alla fase più acuta della crisi", vale a dire dopo la rottura tra Cafiero e Bakunin (15 luglio) ed allorché Bakunin decise di recarsi a Bologna per morire sulle barricate (J. Guillaume, l'Internazionale, I I I , p. 201; 1904). Qui non posso astenermi dal sospettare che il resoconto contenuto nel libro sia uno dei molti tentativi fatti da Guillaume per mitigare l'asprezza usata allora contro Bakunin. Se Ross non fece informar Malatesta della delicata situazione, una conferma di questo parziale resoconto proverebbe assai poco. La cosa è meno trascurabile di quel che non sembri, giacché si è voluto tentar di trascinare nella quistione un uomo che se ne è sempre tenuto lontano, conservandosi sincero amico cosi di Bakunin come di Cafiero. Nella seconda metà di luglio Malatesta ritornò certamente nel mezzogiorno. Il 30 luglio furono spedite da Napoli a Taranto cinque casse contenenti 150 fucili;-le armi rimasero in deposito nella stazione ferroviaria che era necessario occupare colla forza. Vennero promesse alcune locomotive, che do-


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vevano essere pronte a trasportare la banda verso le montagne ed in Basilicata, nel caso in cui fosse fallito il colpo di mano su Taranto. Senonchè, di 300 o 500 persone soltanto tre comparvero all'appuntamento, e le casse dovettero essere inviate prontamente a Molfetta e da là a Terlizzi, dove rimasero nascoste in un albergo. Il testo d'accusa contiene la notizia che i fucili vennero trasferiti la notte dell'8 nei pressi di San Martino, dove la notte dall'I 1 al 12 furono rinvenuti nascosti; altri 13 furono tratti dalle rovine di Castel del Monte la mattina del 13 (?). L'11 sei rivoluzionari (coll'emblema rosso e nero dell'Internazionale) si disposero sulle rovine di Castel del Monte, dove cinquanta o sessanta anni prima usavano convocarsi le società segrete dei dintorni. La località è situata sui monti fra le piccole città di Minervino e Corato. I convenuti parlarono ai contadini, ma questi rimasero indecisi alla vista del numero molto esiguo. Ad un tratto comparvero dei gendarmi. Fu questo il segnale del fuoco, che durò dall'I 1 al 14. Alcuni furono colti da scoraggiamento. Allorché un amico, giunto a cavallo ed in abiti da contadino, li avvertì che un reggimento di soldati li stava accerchiando, venne deciso di allontanarsi. Un piccolo proprietario il quale, pur chiamandoli pazzi, volle salvarli, li nascose entro un carro di fieno e fece loro attraversare, non scoperti, la cerchia della truppa. Le autorità li cercarono dappertutto, ad An*


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dria, a Molfetta, a Corato, dove la voce pubblica aveva segnalato la loro presenza, ma inutilmente Malatesta trascorse alcuni giorni a Napoli, ben nascosto; il 18 la polizia operò una perquisizione nel suo alloggio. Il 20 agosto Emilio Ballerio, il giovane amico torinese di Bakunin, scriveva a quest'ultimo, che risiedeva a Splugen, da Locamo: "E* arrivato qui un amico da Napoli [Carmelo Palladino]. Egli dice che non si può far nulla. Le persone di cui tu desideri l'indirizzo si trovano o in prigione o nascoste. Si attende Malatesta; se non arriva oggi, è cattivo segno. All'ufficio postale di Napoli v'è da dodici giorni un ufficiale di polizia per arrestare chiunque si rechi a ritirare lettere indirizzate a D. Pasqualio, presso Nicolò Bellerio." [l'indirizzo di Malatesta, lo stesso menzionato nel diario di Bakunin 1872]. L'attesa fu vana. Durante il viaggio Malatesta fu tratto in arresto a Pesaro, tra Ancona e Rimini, scoperto, forse, o tradito (come egli credette) fin dalla sua partenza da Napoli. D a allora sofferse lunghi mesi di carcere preventivo a Traili, nelle Puglie. (*). /

(*) Angiolini nel suo libro Cinquantanni di socialismo in Italia, 1900, p. 119, narra i fatti di Castel del Monte servendosi apparentemente delle parole di Malatesta, e J. Guillaume, 1. c., III, 1909, p. 207, riproduce quel resoconto, traducendolo. E' evidente che la versione fu data da Malatesta, ma la scena di Taranto viene trasferita al castello etc. Avendo io, però, avuto da lui due volte, nel 1893 e nel 1900, la versione su riprodotta, mi attengo a quella, malgrado possibili v a rianti nel numero dei rivoluzionari di Castel del Monte.


CAPITOLO NONO IL P R O C E S S O

DI T R A N I


IX. IL P R O C E S S O DI TRANI ED ALTRI AVV E N I M E N T I DALL'AGOSTO D E L 1874 ALL'ESTATE D E L 1876.

L a tenuità ed il carattere quasi idilliaco degli avvenimenti dall'agosto del 1874 non intaccarono per nulla la popolarità dell'internazionale. Il successo non era considerato assolutamente indispensabile. In magnis voluisse sat est era una massima ancora tenuta nel debito pregio. Del resto, non era forse fallito ogni tentativo di attuazione pratica dei piani di Mazzini? E Garibaldi era forse meno amato dopo gli insuccessi di Aspromonte e di Mentana? Il governo, dal canto suo, si comportò come avrebbero fatto i Borboni di fronte ad una cospirazione politica: mesi interminabili di arresti preventivi seguiti da processi colossali, di cui quello di Bologna durò tre mesi e non terminò che il 17 giugno 1876. Queste esagerazioni ed il coraggio spiegato dagli imputati attirarono su loro l'interessamento e la simpatia del pubblico. Di tutto il movimento può dirsi


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che i processi abbiano costituito la fase più notevole ed impressionante. Colle più tenui scuse la difesa riuscì ad ottenere che venissero chiamati a testimoniare Garibaldi ed i vecchi capi mazziniani, come A u relio Saffi ed altri (processo di Firenze). L'accusa, d'altro canto, non disponeva che di prove assolutamente insufficienti. Questi fatti, e più che altro la gioventù, il carattere incensurabile, il coraggio, la risolutezza, non disgiunta da altruismo, degli imputati, sorretti dall'eloquenza di abili difensori, valsero a creare intorno alle vittime della persecuzione poliziesca un'atmosfera di generale simpatia e ad attirare il disprezzo sui sistemi adottati dalla magistratura verso ogni manifestazione di socialismo. La serie di processi non incominciò, per altro, sotto i migliori auspicii. A Roma (4-8 maggio 1875) furono emesse sentenze di dieci anni di reclusione ed altre di carcere semplice. Un anno dopo, però — 11-18 maggio 1876 — venne ordinato un nuovo processo, che terminò in un'assoluzione generale. Il processo di Firenze (30 giugno-30 agosto 1875) — di cui i repubblicani pubblicarono u n lungo resoconto. (Dibattimenti, Roma, 1875, 529 p.p.) — si svolse simultaneamente a quello di Malatesta a Trani (Puglie), nei primi di agosto, e si chiuse coll'assoluzione dei sette imputati (5 agosto). La buona novella da Trani rianimò ognuno e costituì un buon presagio, giacché gli accusati vennero tutti assolti, ad eccezione di uno


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che ebbe una condanna a nove anni di lavori forzati per atti di violenza attribuitigli e di due che ricevettero leggere condanne per porto di armi. Un processo contro 33 internazionalisti umbri, a Perugia (24 settembre) ed altri a Livorno ed a Massa Carrara, terminarono allo stesso modo. I detenuti delle Marche e degli Abruzzi (Aquila) furono insieme coi compagni bolognesi e romagnoli tradotti dinanzi ai giurati di Bologna (15 marzo-17 giugno 1876). Fu il processo pi첫 imponente. Costa era l'anima della difesa. I resoconti sono tutti assai manchevoli. Trovansi stampate alcune difese, tra cui notevoli le arringhe di Giuseppe Ceneri, Giuseppe Barbanti ed Aristide Venturini, tutti di Bologna (opuscoli del 1876 ecl Opere di Giuseppe Ceneri, 1891, I, pp. 39-118). La Cospirazione in Sicilia, pubblicata a Barletta, contiene una dissertazione sulle accuse contro Riggio e Carmelo Spada per opera del loro avvocato G. A. Pugliese, Trani, maggio 1875, 52 pp., con riferimento alla Requisitoria del processo di Sicilia (Trani, 16 marzo 1875, manoscritto di 12 pp. in folio). Al caso Malatesta pei fatti delle Puglie appartiene: Sezione d'accusa delle Puglie. Ragioni in difesa di Errico Malatesta e Vincenzo Pappagallo imputati di Cospirazione, maggio 1875. Relatore Consigliere Sig. Cav. De Vincentino; sulla copertina: La Cospirazione del 1874 in Molfetta innanzi alla Sezione d'Accusa


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— Avvocati [Ferdinando] Lambert [Valbois] e Covelli [Nicola]. (Barletta, Tip Municipale V. Vecchi e Soci, 25 pp. 80.) Ho compulsato queste pubblicazioni, ma non il resoconto del processo, nè i 24 volumi di documenti che secondo Pugliese (p. 5) erano stati raccolti. Il 29 agosto Cafiero scriveva a Bakunin : "l'impressione destata dal processo Malatesta nelle Puglie è incredibile. I giurati — perfino i più ricchi proprietari della provincia — immediatamente dopo il verdetto strinsero la mano agli imputati, i quali vennero portati in trionfo." Queste notizie trasmesse da Malatesta o da altri amici del luogo — Trani è la città più vicina a Barletta — furono da Cafiero inviate anche alla Plebe (Lodi) e riprodotte nel Bollettino del Giura (5 settembre). Il processo durò cinque giorni (1-5 agosto). Oltre alle classi colte anche il resto della popolazione si interessò vivamente. La giuria era composta dei più ricchi proprietari di terre ; imponente era l'apparato di forza. Il pubblico ministero disse ai giurati : se non riconoscerete questi uomini colpevoli, essi verranno un giorno a togliervi le vostre mogli, a violare le vostre figlie, a rubare le vostre proprietà, a distruggere il frutto del sudore della vostra fronte, e voi rimarrete in miseria, macchiati dal disonore. Dopo il verdetto i giurati si frammischiarono alla folla plaudente; dappertutto, in pubblico e nelle case private, gli imputati assolti


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vennero fatti segno a grandi feste. Se il governo, conclude Cafiero, potesse moltiplicare i processi, ci apporterebbe numerosi vantaggi, anche se ciò dovesse costare ad alcuni di noi anni di carcere. Verso questo periodo Malatesta trascorse alcuni giorni a Locamo per parlare con Cafiero della riorganizzazione dell'Alleanza. Cafiero abitava colla moglie russa e con S. Mazzotti alla Baronata in istato di estrema povertà, dovuta alla sua rovina finanziaria. Egli accennò a Bakunin senza alcuna animosità e Bakunin, a sua volta, non espresse il minimo risentimento verso Cafiero quando Malatesta gli fece visita a Lugano. Bakunin era allora dedito interamente a lavori agricoli nella sua proprietà di Lugano, dal che Malatesta arguì che il vecchio rivoluzionario avesse definitivamente abbandonato la propaganda attiva per effetto della tarda età e della salute cagionevole. Difatti meno di nove mesi dopo, tra amare delusioni ed atroci sofferenze, Bakunin moriva. (1 luglio 1876). Prima di separarmi da lui mi si consenta di dire che se nella biografia di Bakunin e nel supplemento non ancora pubblicato ho riprodotto i molti documenti e le testimonianze riferentisi alla sua penosa separazione da Cafiero e da altri amici nel 1874 e 75, sono stato animato dal desiderio di sostituire dei fatti alla vuota fraseologia ed alle vaghe notizie, fatti che verranno senza dubbio giudicati con animo sereno. Nell'esporli mi è stato ottima guida l'amico ticinese di Bakunin e di Cafiero, Q


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E. Bellerio, il quale fu testimonio disinteressato della lite. Mi duole dover notare che James Guillaume, cui permisi di esaminare tutto il mio materiale, abbia pubblicato nell'Internazionale, voi. I l i (1909), dei documenti corredati da informazioni attinte da Ross e da altri, commentandoli in guisa da giustificare l'incauta asprezza usata contro Bakunin e la sua famiglia non tanto da Cafiero (il solo, del resto, che avesse subito perdita di denaro) quanto d a Ross ed in seguito dallo stesso Guillaume. Non è già mio intendimento rivangare simile questione; pur nondimeno mi si consenta dire che allorchÊ nel 1905 Guillaume sottopose il materiale da lui compulsato all'esame di Kropotkin, quest'ultimo, ragionando della cosa con Malatesta, ebbe a concludere (come appresi io stesso) che la tesi di Guillaume era assolutamente inaccettabile. Egli attribuiva a Ross tutta la colpa del malinteso, che ^indubbiamente si sarebbe composto se terze persone non avessero avuto interesse a seminare la discordia. Guillaume non ignorava tutto ciò, ma non era uomo da abbandonare un preconcetto una volta che gli si fosse radicato nella mente. Fu probabilmente in quel tempo (verso il settembre del 1875) che venne discusso e deciso il viaggio di Malatesta in Spagna per liberare Carlo Alerini dalla prigione di Cadice. Alerini nativo della Corsica, era penetrato nella cerchia intima di Bakunin fin dal tempo in cui quest'ultimo trovavasi a Marsiglia, ottobre-novembre 1870, per tentare di riorganizzare il movi-


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mento fallito a Lione nel settembre. Allorché Bakunin corse di nuovo grande pericolo, Alerini lo aiutò a fuggire e non è quindi a meravigliare che l'agitatore russo fosse ansioso di dimostrare la sua gratitudine. Dopo aver partecipato nel 1872 ai congressi dell'Aia e di Zurigo in qualità di delegato, Alerini si era rifugiato in Spagna e quivi faceva parte, insieme con Paul Brousse e Paul Carnet, di quel piccolo gruppo di agitatori francesi che nel 1873 pubblicò La Solidarieté Revolutionaire. Mentre Brousse recavasi in Svizzera, Alerini e molti altri internazionalisti spagnoli venivano condannati a parecchi anni di prigione in seguito ai fatti rivoluzionari dell'estate. Del viaggio in Spagna, che egli fece in quell'anno o poco dopo, Malatesta parla con piacevole umorismo. I compagni di Cadice ritenevano facile la liberazione del detenuto. Difatti al nostro rivoluzionario non fu diffìcile penetrare nel carcere ed intrattenersi un'intera giornata con Alerini e con 30 o 40 compagni di Caratagena, Alcoy e Cadice (1873). Preso coraggio, Malatesta domandò, senza preamboli, al direttore il permesso di condurre seco Alerini per fare un giro in città. Poche monete d'oro bastarono ad ottenere il consenso. Il giorno dopo, in compagnia di due guardie, Alerini uscì con Malatesta. I compagni del luogo noleggiarono una barca e fecero ubbriacare le guardie. Tutto era pronto per la fuga, ma Alerini esitò e non volle partire. Non rimase altro


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a fare che sobbarcarsi alla dura fatica di ricondurre al carcere i secondini ubbriachi. Il giorno seguente Alerini sembrava più disposto a fuggire. Questa volta una moneta d'oro ed una sola guardia bastarono. La sera venne propinata al guardiano una pozione sonnifera, ma nulla potè indurre il corso a seguire i suoi compagni. Malatesta, disilluso, dovè rinunciare ad ulteriori tentativi. E' probabile che Alerini avesse un'innamorata od anche che non intendesse rimanere nelle file rivoluzionarie. Comunque sia, in quel giorno la sua carriera di internazionalista ebbe termine. Posso asserire quasi con certezza che durante questo viaggio Malatesta visitò a Madrid, in carcere od altrove, anche Morago, persona molto più seria di Alerini. Intanto l'Internazionale Spagnola continuava a sussistere come associazione segreta, tenendo numerose conferenze e stampando giornali alla macchia. La Revista Social, di Barcellona, f u per molti anni l'unico segno manifesto del movimento. P. Kropotkin prese vivo interesse alla Internazionale Spagnola nel 1877. L'anno dopo, nel luglio del 1876, volle recarsi in Spagna, di cui riportò un'impressione incancellabile. Anche Malatesta si sarebbe interessato al movimento spagnolo se l'azione ed il carcere non lo avessero trattenuto in Italia. (*) %

(*) Non è da escludersi che l'episodio della Spagna possa essere avvenuto un anno dopo (inverno del 1876-77).


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La storia segreta del movimento italiano dopo la repressione del 1874 viene generalmente riprodotta dal libro di F. Pezzi, il quale era in grado di conoscere diversi piani o proposte ideati nel 1875 specialmente fra gli esiliati in Svizzera. Malatesta non fa gran conto di questi progetti i quali, difatti, non maturarono. Un Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale continuò ad esistere o fu ricostituito fra gli intimi di Cafiero, come si rileva da una lettera di quest'ultimo a Bakunin in data 27 agosto 1875. Quando, però, Malatesta, i detenuti di Firenze ed altri vennero successivamente liberati, nella seconda metà del 1875, si decise di procedere ad una ricostituzione dell'Internazionale, possibilmente con un pubblico congresso, ma con una certa discrezione per il fatto che il processo di Bologna non era ancora terminato e non dovevasi, perciò, aggravare la situazione dei compagni tutt'ora sotto giudizio. Da Napoli, dove aveva trascorso l'inverno 1875-76, Malatesta si recò a Roma col duplice scopo di visitare Cafiero e di incontrarsi con altri internazionalisti convenuti per tenere una conferenza ai fini già menzionati. S. Mazzotti, proveniente da Lugano, mi disse che Bakunin, sebbene si fosse già ritirato dalla vita attiva, gli aveva affidato un messaggio da presentare al comizio. Nel messaggio l'agitatore russo, riconoscendo le condizioni deplorevoli in cui il movimento era caduto, annunziava che perfino la Federazione giurese, malgrado tutto il suo dottrinarismo, era favorevole


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ad una più energica azione. Faceva, inoltre, notare il pericolo che un qualche ciarlatano potesse servirsi del movimento pei suoi fini particolari (come se avesse preveduto il voltafaccia di Costa, che pochi anni dopo doveva adottare le tattiche parlamentari), e concludeva: "se volete riuscire a qualche cosa, dovete ricominciare da capo." Mazzotti rammenta queste parole, ma non so se abbia saputo ripeterle colla dovuta energia dinanzi ai convenuti. Verso quel tempo sali al potere il partito radicale (18 marzo 1876). Il nuovo Presidente del Consiglio, Nicotera, vecchio compagno d i Pisacane e di Fanelli, allorché venne a sapere che si stava preparando in Roma una qualche manifestazione pubblica, consigliò Malatesta, pel tramite del dottor Friscia, amico di Bakunin e suo, di starsene quieto e di allontanarsi. M a latesta rispose di non voler ricevere da Nicotera nè ordini nè consigli. Arrestato insieme c o n altri, venne tradotto a Napoli. Il governo r a dicale di Nicotera trattò gli internazionalisti come malfattori ed applicò loro l'ammonizione. Fu precisamente in quel periodo che Malatesta decise, e fu l'unica volta nella sua vita, di difendere temporaneamente una causa diversa dalla sua e di recarsi a combattere fra gli insorti dell'Erzegovina, contro i turchi. Ne parlò con Bakunin, il quale cercò a mezzo di Mazzotti di dissuaderlo, rammentandogli quella brava gente che in Inghilterra faceva le calze pei negri lontani e dimenticava i poveri del suo paese. Malatesta rispose che dovunque si combatte contro Carta-


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gine si difende Roma. La causa degli erzegovinesi era fortemente appoggiata da Garibaldi. Celso Cerretti e Alceste Faggioli erano già accorsi a combattere. Nel luglio del 1875 Stepniak, D. Klemens e Ross li imitarono, ma l'ulti mo ritornò ben presto scoraggiato, il che non valse a dissuadere Malatesta dall'impresa progettata, forse per una certa rivalità coi garibaldini o forse anche per partecipare ad una lotta più seria di quella del 1874. In quel tempo i mazziniani ed i garibaldini si allontanavano sempre più dai repubblicani e ponevano il loro entusiasmo, e talvolta la vita, al servizio della politica non ufficiale d'Italia. Di già nel 1870 Garibaldi, dopo l'occupazione di Roma da parte delle truppe italiane, s'era recato a combattere in difesa della Francia contro i prussiani. Susseguentemente i garibaldini lottarono per l'Italia nei Balcani ed in Grecia. I mazziniani, dal canto loro, intrapresero una propaganda più letteraria ed educativa nelle province italiane soggette all'Austria. Malatesta risolse, dunque, di recarsi a combattere contro la Turchia. Partì per Trieste, ma venne respinto ; partì di nuovo e giunse sino a Neusatz (di fronte a Belgrado) ; di là fu mandato, dopo un viaggio che durò trenta giorni, ad Udine e quivi gli italiani lo scambiarono per un funzionario doganale fuggiasco. Da Udine venne fatto proseguire per Napoli e nel tragito si fermò brevemente a Firenze. In quest'ultima città, nel frattempo, la vecchia Commissione di Corrispondenza era ritor-


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nata in vita. Immediatamente dopo le assoluzioni di Bologna (17 giugno) Costa si diede a preparare un nuovo congresso ; la sezione di Imola diramò una circolare incitando a ricostituire le sezioni e le federazioni (25 giugno) etc. (*). Tutto ciò contribuì a dare una forma più precisa ai piani tracciati nella conferenza tenuta precedentemente a Roma. Malatesta in una lettera datata da Napoli, 26 luglio 1876, annunziò che il congresso si sarebbe probabilmente tenuto a Firenze nel settembre. Si tenne, difatti, ma un mese dopo, in ottobre. (**) (*) In una lettera scritta il giorno della ricostituzione della sezione di Imola Costa annunziava che le Federazioni di Roma e di Napoli esistevano già e che in breve sarebbero stati convocati il Congresso della Romagna, il Congresso Generale Italiano e la Federazione di Bologna. (**) In un breve articolo, A proposito di Massoneria, ("Umanità Nova", 7 ottobre 1920) Malatesta dice: "Io fui massone quando ero un pò più giovane di adesso — dal 19 ottobre 1875 al marzo o aprile del 1876. Tornavo a Napoli dopo essere stato trionfalmente assolto, insieme con sei altri compagni, dalle Assise di Trani, innanzi alle quali era stato tradotto per il tentativo insurrezionale fatto dall'Internazionale nel 1874. Fummo assolti malgrado le più esplicite dichiarazioni di anarchismo, di collettivismo (allora si diceva così) e di rivoluzionarismo, perchè allora la borghesia, specie nel mezzogiorno, non sentiva ancora il pericolo socialista, e spesso bastava essere nemici del governo per riuscire simpatici ai giurati. Tornavo circondato da una certa popolarità e la massoneria ci teneva ad avermi tra i suoi. Mi fu fatta la proposta. Io obbiettai i miei principii socialisti ed anarchici e mi risposero che la massoneria era per il progresso indefinito e che l'anarchismo poteva benissimo rientrare nel suo programma; dissi che non avrei potuto accettare la forma tradizionale di giuramento


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e mi risposero che basterebbe che io promettessi di voler lottare per il bene dell'umanità; dissi ancora che non avrei voluto sottomettermi alle ridicole "prove" dell'iniziazione e mi risposero che ne sarei dispensato. Insomma, mi volevano ad ogni costo ed io finii coll'accettare anche perchè mi era sorta in mente l'idea di ripetere il tentativo fallito a Bakunin di riportare la Massoneria alle sue originali idee e farne un'associazione realmente rivoluzionaria. Entrai dunque in Massoneria.... e m'accorsi subito che essa non poteva che favorire gli interessi dei fratelli più furbi. Ma siccome vi trovai dentro dei giovani entusiasti accessibili alle idee socialiste, vi restai per farvi la propaganda e ve la facevo con grande scandalo e rabbia dei maggiorenti. Ma non potetti resistere. Il 18 marzo 1876 andò al potere la Sinistra con Nicotera come ministro degli Interni, e la Loggia decise di andare a ricevere il ministro con musica e bandiere. Io non potevo che protestare ed uscire. Da allora non ebbi colla massoneria che relazioni di ostilità. Nel 1884 col giornale La Questione Sociale di Firenze e nel 1898 col giornale L'Agitazione di Ancona sostenni colla massoneria polemiche aspre. Aggiungerò che una delle ragioni per le quali io ruppi con Andrea Costa col quale eravamo stati più che fratelli, fu la sua entrata in massoneria. I socialisti aspettarono fino al 1914 per rompere colla massoneria. Ed ora il massone sarei iol "[perchè, come avevo detto prima," l'ultima novità che si sussurra in certi circoli socialisti è che io sia m a s s o n e " . . . . ]


A

CAPITOLO DECIMO I CONGRESSI DI FIRENZE E DI BERNA


X. I CONGRESSI DI F I R E N Z E E DI BERNA (OTTOBRE L'ANARCHIA

1876)

COMUNISTA

Nei tre o quattro mesi seguenti (luglio-ottobre 1876) Malatesta, allora in Napoli, era costantemente in compagnia di Cafiero e di Emilio Covelli. Quest'ultimo, amico d'infanzia di Cafiero ed ardente internazionalista, versato particolarmente in quistioni economiche, redigeva L'anarchia (Napoli, 25 agosto-6 ottobre 1877), uno dei migliori periodici dell'Internazionale. (L'Internazionale ebbe anche, nel 1876-77, un organo eccellente nel Martello, che si pubblicò a Fabriano ed a Jesi [fine di luglio 1876], e quindi a Bologna per opera di Costa (4 gennaio18 marzo 1877). Fu Covelli a richiamare l'attenzione dei suoi compagni sull'importanza del fattore economico nella quistione sociale, o non fu piuttosto Costa, il quale nel 1881 asserÏ di essere stato il


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primo a proporre l'anarchia comunista all'Internazionale Italiana nel 1876? Comunque sia, Malatesta afferma che durante le loro passeggiate in riva al mare, essi pervennero spontaneamente all'idea dell'anarchia comunista. Fu questo un nuovo passo innanzi, giacché sino allora l'anarchia veniva chiamata collettivista nel senso che la proprietà dovesse essere collettiva e che il lavoratore dovesse ricevere l'intero prodotto del suo lavoro. Ma — si domandarono i tre agitatori — come determinare questo prodotto? Occorrerebbe stabilire una media, uno standard generale cui tutti dovrebbero sottostare — il che implica autorità — ed inoltre, data la diversità di resistenza, di abilità etc. nei singoli individui, i più deboli ed i meno abili rimarrebbero vittime di un tale sistema — col risultato di creare disuguaglianza ed una nuova forma di sfruttamento. Esaminata la quistione, si concluse che il prodotto del lavoro dovesse essere proprietà collettiva ed accessibile a tutti nella misura dei propri bisogni. E' precisamente questa la teoria del comunismo, parola che in passato era stata screditata dal carattere autoritario dei sistemi di Cahet e di altri. E' notevole il fatto che al principio del 1876 le medesime idee (accettate dal congresso di Firenze in ottobre) erano state incidentalmente menzionate in un breve opuscolo pubblicato a Ginevra da Frangois Dumartheray, profugo lionese (Aux travailleurs manuels partisians de


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l'action politique — Gènève, p. 13. dove ricorrono per la prima volta le parole 'Comunisme anarchiste.') Dumatheray, Perrare ed altri avevano per molti anni appartenuto ad una piccola sezione, assai avanzata, detta "L'Avenir", dove queste idee maturarono. Nel 1879 egli fu il compagno più fidato di Kropotkin in Revolté. Le idee cui accenniamo, nate anche nella mente di Kropotkin mentre si agitava per l'anarchia in Svizzera, trovansi da lui formulate nel discorso Idée anarchiste au point de vue de sa réalisation pratique, letto dinanzi all'Internazionale Giurese il 12 ottobre 1879. Cafiero le espose in Anarchie et Communisme al Congresso Giurese il 9-10 ottobre 1880. Da allora vennero accettate dappertutto, tranne che in Spagna. Perfino tra gli icariani sorse in quegli anni una tendenza comunista, tanto che alcuni di loro pubblicarono La Jéune Ycarie etc., e negarono ai vecchi icariani il diritto ai frutti dei loro giardini e degli alberi da frutto. La Arbeiter Zeitung (Berna, 26 ottobre 1876) contiene la prima menzione del nuovo punto di vista italiano ed una dichiarazione di Malatesta e di Cafiero (dopo i congressi di Firenze e di Berna, Bollettino del Giura, 3 dicembre), nella quale è detto : "La Federazione Italiana considera la proprietà collettiva dei prodotti del lavoro come il necessario complemento del programma collettivista, giacché la cooperazione di tutti per soddisfare i bisogni di ogni individuo è il solo metodo di produzione e di •ti


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consumo che corrisponda al principio di soli99 darietà Si può ritenere, senza timore di errare, che la propaganda anarchica nel vero senso della parola dati soltanto dal giorno in cui presero radice queste idee. Il diritto all'intero prodotto del lavoro è ottima cosa, ma gli uomini, pur sollevandosi per impadronirsi della proprietà, rimarrebbero, una volta conquistatala, estranei gli uni agli altri. Soltanto il diritto di tutti su ogni cosa, come sostiene il libero comunismo, distrugge il senso di proprietà e crea la solidarietà. Naturalmente, è probabile che taluni avessero concepito queste idee assai prima che venissero espresse nella formula del 1876; fu, però, soltanto dall'autunno di quell'anno che si eliminò, come difettoso, il principio del diritto individuale all'intero prodotto del lavoro di ciascuno. Gli italiani non si soffermarono ad elaborare questa teoria sinché Cafiero non ebbe scritto il resoconto del 1880 e Malatesta non si fu dato, alcuni anni dopo, a scrivere più di frequente. Spetta a Kropotkin il merito di avere elaborato l'idea in Révolté (dal 1879 in poi), coadiuvato da Eliseo Réclus, la cui anarchia, da lui concepita trenta anni prima, ebbe sempre carattere altruistico, vale a dire comunista. Non mancarono anarchici isolati e dimenticati, fra i quali Joseph Déjacque ed Ernest Coerderoy, che verso il cinquanta concepirono simili idee, ma l'attivo propagandista non ha il tempo di occuparsi dei precedenti.


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Nè è da credere che Malatesta e Cafiero si soffermassero lungamente a riflettere sulle teorie ideate. Essi avevano altri pensieri nella mente, espressi in questo senso : "La Federazione Italiana crede che il fatto insurrezionale, destinato ad affermare cogli atti i principii socialisti, sia il mezzo più efficace di propaganda ed il solo che, senza ingannare e corrompere le masse, possa penetrare nei più profondi strati sociali ed attirare le forze vive dell'umanità nella lotta che l'Internazionale combatte." Le parole "senza ingannare le masse" suonano come una replica alla proposta di partecipare alle elezioni a scopo di propaganda, proposta presentata al congresso di Firenze dai delegati di Bari. E ' questa la più rude espressione di quella che poi doveva essere chiamata propaganda coi fatti. Il Bollettino del Giura del 5 agosto 1879 contiene l'articolo La propagande pour le fait, che incomincia così: "Da vario tempo si discute con frequenza nella Federazione del Giura di un soggetto definito con parole nuove: "propaganda coi fatti " L'articolo, secondo Kropotkin che diresse per alcune settimane il Bollettino, è di Paul Brousse, il quale meno di due anni dopo si ritirò dal movimento appunto perchè, come pensava Kropotkin, gli atti rivoluzionari divenivano sempre più numerosi ed egli non era preparato ad applicare la sua teoria. Per contrario i due italiani che avevano scritto e firmato la dichiarazione di cui sopra, non più di due mesi dopo presero le armi e mantennero la loro parola.


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L'idea di un'azione insurrezionale ebbe anche essa origine da quelle discussioni in Napoli, dalle quali nacque la teoria del comunismo anarchico. Nel frattempo il congresso italiano subiva u n inatteso ritardo, che portava all'aggiornamento del Congresso dell'Internazionale a Berna. In quali circostanze si tenesse il congresso di Firenze può desumersi dal resoconto di Cafiero comparso nel Bollettino del Giura. Io ne ho visto una copia sotto forma di lettera da Berna in data 26 ottobre. Giunti la sera del 20, i congressisti vennero informati dell'arresto di Costa e dei membri della Commissione di Corrispondenza, Natta e Grassi. La polizia occupò la sala, ma non sequestrò alcun documento. A mezzanotte, sotto una pioggia torrenziale, partirono per le colline ed otto ore dopo arrivarono nel piccolo villaggio di Rosi, sulla cresta degli Appennini. In un'ora si nominarono le commissioni e la sera (21) si aperse il congresso. All'improvviso giunse notizia di altri arresti e dell'avvicinarsi della polizia. Fu necessario allontanarsi di nuovo, questa volta per trasferirsi nel fitto di un bosco, dove senza inutili preamboli si procedette alla discussione. Il 22 il congresso terminò ed i convenuti ripresero per strade diverse la via del ritorno. Date queste condizioni, il comunismo anarchico e la propaganda coll'insurrezione costituivano un'ovvia risposta di solidarietà alla persecuzione ed all'abuso. Gli ordini del giorno si sarebbero dovuti pub-


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blicare nel Martello, ma non so se ciò sia mai avvenuto. Dopo il congresso Malatesta e Cafiero partirono per la Svizzera, videro Guillaume a Biel, ed arrivarono a Berna il 25 ottobre. Il congresso di Berna è descritto dettagliatamente nel Resoconto ufficiale del VIII. Congresso Generale dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori tenutosi a Berna dal 25 al 30 ottobre 1876, ed altresì nel libro di Guillaume, IV, pp. 91-112. Dei delegati mi limito a menzionare Cesar De Paepe (Bruxelles), Vinas e Soriano (Spagna), Louis Pindy (della Comune di Parigi) e Paul Brousse, James Guillaume, A. Spichiger, Rodolphe Kahn, August Reinsodorf, Alcide Dubois, Ch. Perron, Eugène Weiss (Alsazia), ottimo compagno delle sezioni di Porrentray e Boncourt, F. Durmartheray, N. Youkowsky. Ometto altri dieci nomi; un socialista di Ginevra e Vahlteich, social-democratico membro del Reichstag tedesco, furono ammessi a partecipare alle discussioni ; dietro loro domanda, fu permesso l'ingresso anche a H. Grenlich ed a J. Franz, di Zurigo. Per l'Italia parlò Malatesta, il cui rapporto era rimasto distrutto a Firenze. Accennando al malcontento popolare nel 1874 egli affermò che l'Internazionale avrebbe dovuto proclamare la propria solidarietà.... "anche perchè egli crede che la rivoluzione consista più di fatti che di parole e che dovunque si manifesta uno spontaneo moto popolare, dovunque i lavoratori si sollevano in nome del


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loro diritto e della loro dignità è obbligo di ogni socialista rivoluzionario dichiararsi solidale col m o v i m e n t o . . . . " Parlò, inoltre, delle relazioni fra individui e gruppi in una società organizzata, dicendo, in sostanza: "Abbiamo fatto i piani per la riorganizzazione sociale, ma abbiamo dato loro relativamente una scarsa importanza (*). Essi debbono necessariamente essere erronei, fors'anco completamente fantastici. Noi dobbiamo, sopra tutto, distruggere tutto ciò che ostacola il libero sviluppo delle leggi sociali ed impedire che sotto qualsiasi forma gli stessi ostacoli od altri ricompariscano. Il libero giuoco delle leggi naturali della società compirà i destini umani. Se taluno crede necessario di porre un freno al movimento sociale, a noi la marcia in avanti dell'umanità non sembra più irta di pericoli del moto degli astri nel cielo." Insieme con Cafiero e con altri sei egli presentò un ordine del giorno per affermare il mutuo rispetto nella scelta, da parte di ciascun paese, dei mezzi per emancipare il proletariato, mezzi che possono essere giudicati soltanto dai lavoratori del paese stesso. In ogni caso l'Internazionale è in simpatia con tutti ; nessun (*) Probabilmente si riferisce a Ideés sur l'organisation Sociale (La Chaux de Fonds, 1876, 56 pp.) di James Guillaume, il quale nel 1874 aveva descritto la società futura per l'Internazionale italiana; nell'edizione a stampa il primo capitolo, sui metodi rivoluzionari, venne omesso. Costa tradusse il libro in italiano nel 1877.


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rapporto dovrà, però, esistere coi partiti borghesi. Nella discussione a proposito di un congresso socialista generale (come quello tenuto a Gand nel 1877), egli disse: E' nostra opinione che in Italia Tlnternazionale non debba essere esclusivamente un'associazione di classe; ed in vero la rivoluzione sociale ha per mira non solo l'emancipazione della classe lavoratrice, ma anche di tutta l'umanità e l'Internazionale, l'esercito della rivoluzione, deve raggruppare tutti i rivoluzionari, senza distinzione di classe, sotto la sua bandiera. Egli non si attende nulla per l'Italia dall'unionismo di mestiere e considera il trade-unionismo, quale esiste in Inghilterra e quale è preconizzato da De Paepe, un'istituzione reazionaria; J. Guillaume mitiga quest'ultima dichiarazione. Tralascio alcune aspre polemiche con un gruppo, appoggiato anche da Benoit Malon, che per anni tentò di danneggiare l'Internazionale italiana e dirigere il movimento per vie legalitarie. Tali idee, se pure sinceramente professate da alcuni socialisti lombardi, ebbero principalmente lo scopo di coprire intrighi in altre parti e furono, conseguentemente, screditate in sul nascere. (Veggasi Malatesta in "Il Martello" (Bologna 18 marzo 1877). I giovani italiani non abbandonarono mai il progetto di un moto insurrezionale, sebbene per il momento mancassero i mezzi materiali ed essi stessi si trovassero nel più stretto bisogno.


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Si diedero a cercare lavoro nei vari mestieri dell'edilizia, ma con risultato negativo. Malatesta, assai timido, e Cafiero, cui la barba fluente e gli occhiali cerchiati d'oro davano un aspetto più dottorale che di operaio, cercarono invano. . Finalmente una signora russa, socialista, dette loro del denaro, 4 o 5000 lire, per i preparativi insurrezionali. Ella Avrebbe dato assai di più se fosse potuta entrare in possesso, mediante un matrimonio legale, possibilmente con un russo della nobiltà, della sua vistosa fortuna. A questo proposito vale la pena di occuparsi di un incidente. La signora desiderava il denaro prima di ogni altra cosa per liberare il suo innamorato che trovavasi in carcere in Russia. Era necessario un matrimonio fittizio e si pensò niente meno che a P. Kropotkin, il quale era fuggito dalla Russia e risiedeva in quel tempo a Londra. Invitato a recarsi in Svizzera, Kropotkin venne a conoscenza del progettato matrimonio. Dapprima diede, sebbène a malincuore, una risposta quasi affermativa, ma poi, dissuaso da Guillaume, oppose un rifiuto. Invano i due italiani insisterono. Kropotkin ripartì per Londra e soltanto uno o due mesi dopo tornò a Ginevra e da là in compagnia di Klemens, nel Giura. (La Chaux de Fonds). In seguito narrava giojosamente l'episodio, facendo notare quanto poco Cafiero e Malatesta lo conoscessero allora e quale stretta amicizia dovesse, invece, nascere poco dopo fra loro. Il resto del denaro venne fornito dallo stesso


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Cafiero e giunse inaspettato; erano le ultime 5 o 6000 lire rimaste del suo patrimonio giĂ molto vistoso. Complessivamente egli aveva speso non meno di 250,000 o 300,000 lire per il movimento rivoluzionario e per l'acquisto della Baronata. Coi fondi disponibili Cafiero e Malatesta ritornarono a Napoli, probabilmente verso la fine del 1876.

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CAPITOLO DECIMOPRIMO L'INSURREZIONE DI BENEVENTO

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XI. L'INSURREZIONE

DI

BENEVENTO

N E L L ' A P R I L E DEL 1877.

I moti insurrezionali del 1874 e del 1877 furono sostanzialmente diversi. Nel 1874 si attendeva, da alcuni per lo meno, una sollevazione generale, confortati dall'esempio di Garibaldi in Napoli ed in Sicilia, dalla rivoluzione politica spagnola nel 1868 e dalla Comune di Parigi. Nel 1876-77, invece, si aveva di mira, anzitutto, una efficace propaganda socialista con un'azione che incitasse le popolazioni rurali, le quali non avrebbero potuto essere raggiunte in alcun altro modo. Si era convinti, inoltre, che il movimento locale, potendo espandersi e resistere per un certo tempo, si sarebbe inevitabilmente propagato alle città, conducendo ad una sollevazione generale. Ciò fa pensare al consiglio dato nel 1869 da Bakunin ai giovani rivoluzionari bulgari : raccogliere armi e provviste in luogo appartato nei Balcani, proclamare la rivolta e resistere per sei mesi — il loro problema nazionale sarebbe stato, così, posto


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dinanzi al mondo e si sarebbero potuti attendere soccorsi e successo. Era da aspettarsi che il movimento napoletano avrebbe trovato valido appoggio in altre parti d'Italia? In Lombardia, sempre sotto l'influenza moderatrice di Bignami e GnocchiViani, la Federazione dell'alta Italia in due congressi (15 ottobre 1876, 17, 1S marzo 1877) votò in maggioranza a favore di un'azione politica. In Romagna Costa si teneva fin d a allora appartato. "E' vero che io non approvai il movimento, ma è falso che non abbia fatto nulla per facilitarne la riuscita", è la sua ambigua dichiarazione del 1881 (Ai miei amici ed ai miei avversari, Imola, 15 settembre 1881). E ' indubbiamente vero che egli non avrebbe potuto impedire ai migliori elementi rivoluzionari della Romagna, alcuni dei ribelli del 1874, di unirsi ai napoletani "dappoiché nulla si faceva nella loro regione." Malatesta mi narrò nel 1907 pel libro di J. Guillaume (veggasi voi. IV. pp. 116, 117, 182) le origini ed alcuni particolari del movimento e mi confermò l'esattezza di una lettera che egli scrisse, subito dopo il suo arresto, alla Commissione di Corrispondenza (a Napoli), lettera inviata da F. Pezzi al Bollettino del Giura (10 giugno) e ristampata nello stesso libro, IV, pp. 211-213. Con questi materiali io narro brevemente i fatti. Il movimento avrebbe dovuto avere una certa ampiezza; circa 300 uomini quasi tutti contadini del luogo, avevano promesso di parteci-


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parvi, grazie particolarmente, all'intervento di persona molto nota, certo Salvatore Farina, di Maddalena, presso Caserta, il quale verso il sessanta aveva guidato delle bande armate per combattere il brigantaggio, che allora infestava il mezzogiorno con inaudita ferocia, infliggendo torture bestiali ad uomini e donne. Si era deciso di iniziare il movimento in maggio, dopo lo scioglimento delle nevi. Senonchè Farina che aveva avuto relazioni di cospiratore con Nicotera, allora Presidente del Consiglio, denunciò tutto e tutti al ministro, facendo arrestare le persone che egli conosceva, all'infuori di Cafiero e Malatesta, i quali avevano adottato la precauzione di abitare in luogo segreto. Questo incidente li costrinse ad incominciare prematuramente, quando era impossibile rimanere a lungo sulle montagne, ancora coperte dalla neve. Il traditore non venne allora nè arrestato nè sospettato non solo, ma riuscì, con una lettera falsa, a far convergere i sospetti su di un altro. Egli scomparve e non ritornò che dopo molti anni. I compagni dell'Italia centrale parlavano un dialetto diverso e non avevano alcun ascendente sui contadini, i quali non nutrivano alcuna simpatia per la gente del nord, dove il governo aveva sede. Per tal modo Malatesta e Cafiero erano quasi gli unici che conoscessero intimamente la popolazione rurale. Stepniak (Sergei Kravtkinsky), reduce dal Montenegro, trovavasi allora in Napoli. Resosi ben presto noto fra gli internazionalisti, si in-


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teressò alla progettata insurrezione e poiché era stato ufficiale d'artiglieria compilò un manuale di istruzione militare per la banda. (*) Stepniak, una signora russa e Malatesta noleggiarono una casa a San Lupo, presso Cerreto (provincia di Benevento), ostensibilmente per ricoverarvi una signora invalida, ma in fatto per nascondervi le armi (12 aprile), armi che giunsero il 3 entro grandi casse. La casa era, però, sorvegliata dai poliziotti, i quali allorché alcuni internazionalisti si avvicinarono apersero il fuoco. Nello scontro due poliziotti rimasero feriti e di essi uno morì poco dopo. Furono operati alcuni arresti ed il resto degli insorti, meno di un quarto del numero previsto, si diedero alla montagna di notte tempo, ed in seguito vennero raggiunti da alcuni altri disarmati. Il movimento era stato preparato con molte visite fatte in diversi villaggi da Malatesta sotto la guida di Farina, il quale era considerato il vero tipo del rivoluzionario garibaldino, pronto a tutto e destinato forse a divenire il condottiero militare, mentre in realtà era u n traditore. Molti furono tratti in arresto (e liberati parecchi mesi dopo) ; Farina scomparve. Alcuni napoletani, Ceccarelli e Gastaldi sfug*

(*) Del libro ebbi una copia da J. Ralli, che m i incaricò di consegnarla a Stepniak, il che io feci nel 1894; ignorando allora le circostanze nelle quali era stato scritto, non lo esaminai attentamente. La letteratura polacca è ricca di descrizioni di guerre partigiane. L'opuscolo classico italiano è di Carlo Bianco: "Trattato sulla guerra di insurrezione per bande" di cui trovasi copia a Locamo (Italia, 1833, 88 e 119 pp.)


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girono alla cattura, cambiando ogni notte di alloggio. Cafiero passò alcune notti in baracche, altre in un carcere dove era stato detenuto in precedenza e di cui conosceva il direttore. La data era allora stabilita al principio di maggio. Quando lo scontro di San Lupo fece precipitare lo scoppio della rivolta non vi erano che 17 o 18 cospiratori ; altri 10 si aggiunsero poi, ma senza armi ; un asino che trasportava le carte topografiche e gli utensili necessari andò smarrito. Il 27 (narra Angiolini *) mossero per le montagne oltre il colle di San Lupo, che formano la catena del Matese. Per mezzo di guide, condotti da Errico Malatesta, da Pietro Cesare Ceccarelli (di 35 anni, commerciante, nato a Savignano, morto al Cairo nel 1886), sempre tenendosi a contatto diretto con Cafiero, passano nell'agro di Pietraviva, poi sul monte Mutri, chiedendo ed ottenendo vitto e ospitalità a diverse masserie ; dalla contrada Filetti vanno in quella di San Buco e il giorno 8 arrivano nell'agro di Letino. Vi entrano in silenzio spiegando la bandiera rossa e invadono il municipio, mentre il consiglio municipale è riunito. Dichiarano il re deposto in nome della rivoluzione sociale e chiedono la consegna delle carte ufficiali, delle armi etc., e del denaro. Il segretario, a sua richiesta, riceve un documento firmato da Cafiero, Malatesta e Ceccarelli così concepito: "Noi sottoscritti dichiariamo di avere (•) Storia del

Socialismo

Italiano,

1900.


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occupato il Municipio di Letino armata mano, in nome della rivoluzione sociale/' Poi si procedè alla distribuzione dei fucili, degli utensili confiscati e del poco denaro fra gli abitanti del villaggio. Un apparecchio per calcolare la tassa sulla macinazione del grano venne distrutto e tutti i documenti dati alle fiamme, ad eccezione di quelli riguardanti la carità. Dopo di che furono pronunciati discorsi, che gli abitanti, dice Malatesta nella sua lettera del 1877, accolsero con approvazioni. In ultimo il parroco Raffaele Fortini, sessantenne, parlò chiamandoli "i veri apostoli mandati da Dio per predicare il vero Vangelo." Procedono, quindi, verso il non lontano villaggio di Gallo. Strada facendo incontrano il parroco Vincenzo Tamburi (quarantenne), il quale li precede per avvertire la popolazione di non temer nulla. A Gallo aprono gli uffici municipali ed adottano le stesse misure prese a Letino. Malatesta rammenta che dopo il suo discorso un contadino gli disse : come sappiamo che voi non siete poliziotti travestiti inviati a spiarci e poi trarci in arresto? Ciò dimostra quanto grave fosse l'inconveniente dell'assenza di persone del luogo, delle quali il tradimento di Farina aveva privato i cospiratori. La conseguenza fu che i tre o quattro napoletani ed i 24 compagni del nord non riuscirono a muovere i contadini che temevano di esporsi ad un grave rischio. I due preti — che furono tratti in arresto ma non incriminati nel processo finale


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— erano in realtà poveri diavoli di una così beata ignoranza che non sapevano se fosse arrivato il giorno del giudizio od il regno dei cieli. Uno di essi, per mostrare la sua povertà, aperse la tonaca rivelando un sudiciume indescrivibile. Si durò fatica a liberarsi da quei disgraziati. Intanto le truppe iniziavano l'accerchiamento. La banda, che nei due villaggi su menzionati non ricevette alcun appoggio, si portò il 9 ed il 10 in altre località; dappertutto soldati. Una notte Malatesta entra nella cittadina di Venafro per comprare del cibo. I soldati suonano l'allarme, ma l'oscurità non permette l'inseguimento. I rivoluzionari penetrano in un bosco, dove la pioggia o la neve rendono la loro vita intollerabile. Non possono recarsi verso oriente (Campobasso) perchè dovrebbero valicare un'alta montagna. Le armi si rendono inservibili perchè la polvere è bagnata. Discutono se debbano disperdersi o rimanere uniti. Separandosi cadrebbero nelle mani della truppa, data la loro ignoranza del dialetto e della topografia del luogo. Due si allontanano, ma vengono arrestati. I 26 fanno ritorno alla masseria Concetta, a tre miglia da Letino, ed un contadino li denuncia ai soldati, i quali giungono di sorpresa (notte dall'I 1 al 12) e ne arrestano 23 sul posto, 2 in quei pressi ed uno a Napoli. Quando scriveva la sua lettera nel 1877 Malatesta si attendeva un processo immediato, che


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gli avrebbe offerto l'occasione di una buona propaganda. Invece dovette, cogli altri, rimanere sedici lunghi mesi in prigione. 26 internazionalisti furono rinchiusi nelle Carceri giudiziarie di Santa Maria Capua Vetere (da allora Malatesta non ebbe più occasione di ritornare nella sua città nativa). 8 vennero detenuti a Benevento prima, poi a Caserta.. Da questo secondo gruppo Stepniak venne trasferito a Santa Maria ed alla fine dell'anno espulso dall'Italia. La banda, durante la detenzione, non mostrò alcun segno di scoraggiamento. Il 25 agosto i membri inviarono a Costa le loro credenziali pel convegno di Verviers colla firma di ciascuno e la qualifica "sezione di Monte Matese" (pubblicate in L'Anarchia, Napoli, 22 settembre 1877). L'atto d'accusa porta la data 21 settembre; la corte si pronunziò il 30 dicembre. Poi venne la morte del re ed il ministro Crispi accordò nel febbraio del 1878 un'amnistia politica generale. Ma poiché un poliziotto era morto in seguito alle ferite riportate nello scontro del 5 aprile presso la casa di Stepniak, nei dintorni di San Lupo, i giudici non erano concordi nel ritenere che l'amnistia dovesse applicarsi anche a questo omicidio. Venne deciso di sottoporre la quistione ai giurati, ai quali sarebbero stati presentati i seguenti quesiti: sono gli imputati colpevoli dell'uccisione del poliziotto ? ; nell'affermativa del quesito, fu l'atto commesso con l'insurrezione,


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oppur no?; se si, può applicarsi l'amnistia? Nell'aprile del 1818 gli imputati vennero trasferiti nel carcere di Benevento, dove in agosto si svolse il processo. Il tentativo di non applicare l'amnistia sollevò l'indignazione generale ed i giurati, pur ammettendo l'uccisione del poliziotto, emisero verdetto di assoluzione. Fra gli avvocati della difesa notiamo il Dr. F. S. Merlino, il quale da allora divenne uno dei compagni più attivi nel movimento e condivise con Malatesta l'esilio di Londra. Egli pubblicò un opuscolo dal titolo A proposito del processo di Benevento. Bozzetti della Questione Sociale. (Napoli, 1878, 32 pp.). Cafiero durante la sua detenzione nel carcere di Santa Maria scrisse un ottimo compendio del Capitale di Marx, che era stato in quei giorni reso accessibile ai lettori francesi mediante una traduzione riveduta dallo stesso autore, traduzione in forma piana e semplice. L'impressione prodotta dall'insurrezione fu tale che del grosso volume in francese si vendettero cinquanta copie in una sola bottega di Napoli. Questo particolare è indirettamente confermato da Marx, il quale menziona la preparazione di una traduzione italiana da parte di un libraio napoletano (lettera a F. A. Sorge, 27 settembre 1877). Malatesta nota che in riguardo alle teorie economiche erano tutti marxisti, il che significa che non occorreva preoccuparsi ulteriormente della cosa. Analoghe espressioni trovansi in


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scritti di Bakunin. Il Capitale di Carlo Marx brevemente compendiato da Carlo Cafìero (Milano 1879, 127 pp.) è il titolo del libro di Cafiero ; James Guillaume tradusse il volume in francese (Parigi, 1910). La conclusione contiene profonde osservazioni sulla rivoluzione. Probabilmente fu la prima esposizione che Cafiero fece delle idee che in seguito svolse, sebbene in forma frammentaria, in una lunga serie di articoli dal titolo Revolution, pubblicati in un giornale di Parigi nel 1881. Dopo la sua scarcerazione (mi ha detto un vecchio compagno) Malatesta si recò a Santa Maria, dove i suoi genitori gli avevano lasciato delle case in cui abitava povera gente. Egli, senza esigere un soldo dai suoi inquilini, cedette loro spontaneamente la proprietà. Si soffermò un mese a Napoli e quindi partì dall'Italia per recarsi in Egitto (settembre 1878?) non so se per riposarsi, dato che la vita in Italia si era resa per gli Internazionalisti sempre più intollerabile ed egli era esposto ad ogni genere di soprusi e ad arresti arbitrari. Anche all'estero, però, venne fatto ben presto segno a persecuzioni. A Napoli non ritornò che dopo cinque anni.


CAPIT.

DECIM05EC0ND0

I PRIMI DUE ANNI DI ESILIO


XII. I PRIMI D U E ANNI DI E S I L I O (EGITTO, SVIZZERA, FRANCIA, BELGIO, DALL'AUTUNNO D E L 1878 AL MARZO

DEL

1881).

Malatesta si soffermò breve tempo in Alessandria d'Egitto, dove vi era una numerosa colonia italiana. Mentre egli trovavasi colà, Passanante attentava in Italia alla vita di re Umberto. Ciò condusse ad una recrudescenza di persecuzioni in tutta la penisola, persecuzioni alle quali egli non si sarebbe potuto sottrarre se non si fosse allontanato. Neppure in Egitto, per altro, gli fu dato di vivere tranquillo. Un comizio patriottico al grido di: morte agli Internazionalisti! indusse gli anarchici a convocale un'adunanza di protesta e ad apprestare una manifestazione sotto gli uffici consolari per inneggiare a Passanante. Malatesta, Alvino e Farini furono tra i primi ad essere arrestati. Farini, livornese, avendo risieduto per molti anni in Egitto, potè ottenere il permesso di rima-


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nere. Malatesta (insieme, sembra, con Alvino) venne fatto imbarcare su di un piroscafo ed inviato a Beyrouth, Siria. Egli non avrebbe voluto abbandonare la nave, ma il capitano aveva l'ordine di sbarcarlo. Che fare? Si recò dal console italiano, il quale non nascose la sua irritazione per il fatto che le autorità di Alessandria avevano inviato a lui una persona turbolenta quale Malatesta aveva fama di essere. Al console si era ordinato di impedire che Malatesta ritornasse in Italia. Non volle, quindi, autorizzare la partenza dell'agitatore per Cipro, dove le autorità inglesi 10 avrebbero certamente rimesso in libertà. Finalmente, dopo lunga discussione, si convenne che Malatesta dovesse procedere per Smirne, con grande sollievo del console, il quale dichiarò di non preoccuparsi punto dell'imbarazzo in cui si sarebbe venuto a trovare il suo collega in quella città. Sopraggiunto, nel frattempo, il piroscafo francese "La Provence", Malatesta insieme con Alvino, il quale era arrivato da Jaffa, si imbarcò sul vapore, il cui capitano, un onest'uomo, promise di condurli in Francia, purché durante 11 viaggio aiutassero i marinai nelle operazioni di scarico delle merci nei vari porti. Giunto il bastimento a Smirne, l'agente consolare domandò la consegna dei due italiani, ma il capitano oppose un rifiuto. A Castellammare, presso Napoli, la sosta fu assai breve. A Livorno, durante lo scarico, una spia cercò di indurre Malatesta ad entrare in città per far


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visita ai compagni, ma fu smascherata e confessò di avere agito per ordine delle autorità. Fallito questo tentativo, la polizia chiese la consegna dell'agitatore, che volle far credere complice di Passanante. Il capitano rispose che trattandosi di quistione politica non avrebbe ubbidito che alle istruzioni dell'ambasciatore del suo paese. Nel frattempo Malatesta riceveva le visite di compagni. Il giorno dopo il capitano venne informalo dall'ambasciatore di Francia che avrebbe potuto, se lo avesse voluto, consegnare Malatesta alle autorità italiane, ma che queste non avevano il diritto di costringervelo. Il capitano si affrettò a lacerare il foglio contenente le istruzioni e cacciò dalla nave i poliziotti italiani, fra gli applausi dei compagni presenti. Finalmente si giunse a Marsiglia. Alvino rimase in quella città e Malatesta proseguì per Ginevra. # Qui incomincia realmente la lunga vita di esilio (fine del 1878 o principio del 1879). Egli fu sempre meno di altri attratto dal desiderio di menare l'esistenza dell'internazionalista errabondo. Ogni qualvolta gli fu possibile, interruppe i suoi viaggi per far ritorno in Italia, dove avrebbe continuato a lavorare, se glielo avessero concesso. Così avvenne nel 1883, 1897, 1913, 1919. L'episodio dell'Egitto e della Siria dimostra che, ritornato alla vita libera dopo sedici mesi di carcere ed un'assoluzione (precedentemente, per quel che io so, aveva trascorso tre anni in prigione ma non era stato é


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condannato ad alcuna pena), venne perseguitato e costretto a prendere la via dell'esilio. Qui non mi è più possibile seguire la storia dell'Internazionale Italiana, tanto più che dei rapporti di Malatesta con essa in quegli anni nulla si sa. i Costa si allontanò dal movimento strettamente nazionalista quando, alcune settimane dopo i fatti di Benevento, riparò in Svizzera per sottrarsi all'arresto (maggio 1877). Dopo un'estate a Berna ed a Ginevra, donde si recò ai congressi di Verviers e di Gand, si stabilì a Parigi per tentare di costituire dei gruppi francesi dell'internazionale, coadiuvato dall'avanguardia del Giura svizzero, Paul Brousse, Louis Pindy ed altri. Anche Kropotkin si trovava in quel tempo a Parigi. Nel marzo* del 1878 Costa è tratto in arresto e nel maggio condannato a lunga prigionia. Riacquistata la libertà per effetto di un'amnistia, perdette ogni speranza di pronta riuscita di un serio movimento rivoluzionario, speranza che solo sembra lo avesse sorretto, rendendolo attivissimo* dal 1871 al 1878. Deluso nelle sue aspettative, si diede a lavorare alla costituzione di un partito socialista che per lo meno gli arrecasse onori parlamentari e prestigio politico. Ma poiché proclamando subito questi scopi gli sarebbe venuto isolamento e discredito, operò per gradi, tenendo desta la sua popolarità nella Romagna ed attirando a poco a poco a sè i migliori uomini dei gruppi internazionalisti locali col proposito


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di rendere vacillante la loro fede nella rivoluzione. Il governo continuava a perseguitarlo, e ciò giovava al mantenimento del suo prestigio. Egli non attaccò già l'Internazionale, ma non l'aiutò neppure, come nel 1877 non aveva approvato il tentativo di Benevento. Ai veri Internazionalisti di quegli anni, dal 1879 in poi, il contegno di Costa riusciva penoso e talvolta inesplicabile. Non potendo, per altro, fare opera alcuna di propaganda, a motivo delle persecuzioni cui erano soggetti, si adattarono a non avversare la propaganda socialista di Costa, sebbene intravedessero dove l'attività di lui avrebbe potuto condurre. Non pochi nutrivano simpatia per Costa a causa dei suoi precedenti e del buon umore che mai lo abbandonava. Per tal modo fu lasciato indisturbato oltre ogni sua aspettativa. La quistione se non si sarebbe potuto fare di più per contrastare questa insidiosa corrente verso la politica ordinaria (dove tutto finì) è un problema che , richiederebbe un'indagine storica più profonda. Occorrerebbe essere, a tale proposito, meglio informati della vera storia dell'Internazionale Italiana dal 1877. La commissione di corrispondenza di Napoli si trasferì a Firenze ed in seguito a Genova; nel 1878 si tenne in Toscana un congresso generale segreto. A Firenze si svolsero dei processi; un altro, di carattere più locale, ebbe luogo a Forlì. Soltanto di quest'ultimo ho letto un dettagliato resoconto (Processo degli Inter-


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nazionali.... Forlì, 1879, in 15 parti), in cui comparisce di nuovo Alceste Faggioli, il quale sino alla morte, avvenuta nel 1881, si mantenne fedele alle sue idee. F. Natta, O. Pezzi, E. Covelli, Al. Matteucci, Arturo Cerretti, Carmelo Palladino, Dr. F. S. Merlino sono i membri più attivi di questo periodo. Attualmente o sono morti, o emigrati in terre lontane o si sono ritirati dalla propaganda. Non molto tempo fa Merlino rammentava questi tempi in una lettera all'avv. Roberto Marvasi, direttore della "Scintilla" (Roma), lettera che è stata riprodotta in Umanità Nova 6 gennaio 1921 :— "Ricordi — diceva la lettera — il 1880? Dopo l'attentato di Passanante, gli internazionalisti furono ricercati in tutte le città d'Italia, e gittati in prigione. Zanardelli, Presidente del Consiglio e Ministro dell'Interno, potè vantarsi alla Camera che tutti gli internazionalisti erano in carcere o in esilio. Non occorsero mandati di cattura: le Questure arrestavano, i Magistrati imbastivano i processi. L'accusa era a doppio fondo : cospirazione contro la sicurezza dello Stato — associazione di malfattori. La prima serviva a giustificare la detenzione preventiva e la lunga istruttoria, ma poiché essa portava al giudizio della Corte di Assise, e si diffidava dei giurati, strada facendo essa veniva tramutata appositamente in quella di associazione di malfattori che, con l'opportuno correttivo delle circostanze atte-


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nuanti concesse in sede d'istruttoria dalla sezione d'accusa, permetteva rinviare gli accusati al Tribunale correzionale, che condannava per ordine superiore ad una pena più o meno grave, ma sicura." Non ho letto un resoconto completo del grande processo di Firenze alla fine del 1879, ma ho consultato i giornali di quel tempo, Anarchia di Covelli (Napoli 1877), Avvenire di Arturo Cerretti (Modena, 1878), Il Grido del Popolo, di Napoli (1881), la rivista socialista di Costa, il resoconto del processo di Forlì (1879), il libro di Francesco Pezzi (1882), altre pubblicazioni, un opuscolo di G. Domenico (Prato, 1910), uno degli ultimi ad entrare in rapporto coll'organizzazione, ed infine gli articoli comparsi in Révolté ed in altri giornali stranieri. Malgrado non abbia ora sott'occhio tutto questo materiale, nondimeno posso affermare di non avere potuto riscontrare che cosa realmente divenisse dell'organizzazione. Probabilmente avvenne di essa quel che avviene di una foresta selvaggia in cui i vecchi alberi danno spontaneamente vita a nuovi arbusti perpetuando così la vegetazione, che aumenta senza posa di estensione e di densità. Le sezioni si identificarono dappertutto col movimento locale, assumendo nuove forme, non arrestandosi mai nel corso della loro attività. In qual tempo preciso ciascuno di questi gruppi abbia cessato di corrispondere ad uno o ad un altro comitato è cosa di poco momento; l'Internazionale aveva creato tutti questi movi-


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menti locali e contribuito a portare a contatto manipoli indistruttibili di compagni fedeli. Il retaggio lasciato dall'Internazionale non è andato perduto. Di coloro i quali col pensiero e coll'attività instancabile non hanno mai cessato di tenersi a contatto diretto con essa, uno dei più autorevoli ed indubbiamente quegli che è dotato di maggiore esperienza è Malatesta. La sua propaganda quotidiana copre un periodo di ben quarantanni, di cui soltanto i fatti più salienti possono rintracciarsi. Al tempo dell'arrivo di Malatesta a Ginevra il movimento svoltosi all'estero, che egli non aveva più osservato dal congresso di Berna, (1876) aveva subito anch'esso numerosi cambiamenti. Mi limito ad accennare al declinare del Giura come centro internazionale. James Guillaume si era ritirato a Parigi (primavera del 1878), dopo la scomparsa del Bullettài e dell'Avant-Garde e l'espulsione di Brousse (autunno 1878). I membri attivi del Giura dovettero subire l'ostracismo da parte dei proprietari del luogo ; l'associazione cooperativa, dal canto suo, non era in grado di resistere alla pressione esercitata dai capitalisti. A Ginevra un altro gruppo, composto principalmente di russi e di francesi, si diede a pubblicare il Robotnik e il Travailleur; fra loro era Eliseo Réclus. V'era, inoltre, il piccolo gruppo avanzato francese di Perrare, Dumartheray, ed altri, cui si aggiunsero compagni svizzeri, come G. Herzig. Mediante questi elementi, taluni freschi di forze, altri esauriti, Kropotkin, lavo-


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rando infaticabilmente, creò Révolté ed il centro editoriale chiamato Imprimerle Parisienne. Révolté vide la luce il 22 febbraio 1879, quando Malatesta era a Ginevra. Egli rammenta di avere assistito alle adunanze preparatorie. Cafiero trovavasi a Parigi sin dal giorno della sua scarcerazione dopo il processo di Benevento ; dopo l'espulsione, verso la seconda metà del 1879 o nel 1880, si recò a Ginevra e vide, naturalmente, Kropotkin. Anche ritenendo che le loro relazioni fossero sempre state amichevoli, è assurdo attendersi che i due potessero andare d'accordo in merito ad ogni quistione. Kropotkin soleva affermare che Cafiero e Covelli consideravano Révolté un giornale non abbastanza avanzato. Dei due rivoluzionari il solo a scrivere in Révolté fu Cafiero, il quale inviò a guisa di sfida un articolo violentissimo a Kropotkin, domandandogli se avesse il coraggio di pubblicarlo. Kropotkin lo pubblicò ed in seguito venne a sapere che uno dei motivi della sua espulsione dalla Svizzera era stato precisamente quell'articolo, che le autorità elvetiche avevano attribuito alla sua penna. Cafiero non venne mai a saperlo e Kropotkin non glie ne fece mai menzione. (*) (*) L'articolo in questione, riprodotto non nel decreto di espulsione ma nei giornali svizzeri (vegg. Révolté, 3, 17 sett; 1881), è intitolato L'Action (Révolté, 25 dicembre 1880). E' facile accorgersi che non dovette essere scritto da Kropotkin, ma da Cafiero. Credo valga la pena riassumerne il contenuto. Le idee derivano dai fatti,


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Malatesta venne espulso dal cantone di Ginevra insieme con Ginnasi, Mercatelli, Solieri e Caiadio. Il Révolté, occupandosi del fatto l'8 aprile 1879, affermò che le autorità cantonali si erano rifiutate di rivelare il motivo dell'espulsione, limitandosi ad asserire che il governo italiano li aveva qualificati malfattori. Francesco Comte Ginnasi (diciottenne, nativo di Imola) era stato così chiamato nell'atto di accusa contro la banda di Benevento (settembre 1877) ; Vito Solieri (nato nel 1858 a Frassineto, Imola) era stato arrestato con altri imolesi nell'agosto del 1874; nel 1881 fu a Londra e nel 1892 fece parte della redazione del giornale americano Il Grido degli Oppressi. non questi da quelle, disse Carlo Pisacane nel suo testamento politico e disse la v e r i t à . . . . Gli atti, generarono l'idea rivoluzionaria ed essi debbono di nuovo intervenire per assicurare la sua generalizzazione.... Noi, quindi, vogliamo azione, azione, sempre azione... Azione parlamentare, azione municipale? No, mille volte no! Se non vogliamo partecipare alla loro oppressione, non dobbiamo fare il giuoco dei nostri oppressori.... La nostra azione deve essere rivolta permanente, colla parola, cogli scritti, col pugnale, col fucile, colla dinamite, all'occasione perfino col voto se ciò significa votare per un Blanqui o per un Trinquet, che sono ineleggibili.... Ma dobbiamo attendere, per incominciare, che siamo abbastanza forti? In tal caso non incominceremo mai. L'azione rivoluzionaria svilupperà la nostra forza come la ginnastica rinforza i muscoli. I nostri primi atti potranno fallire, ma non è forse stupido ridere del bambino che cade quando incomincia a camminare? Ci chiamate fanciulli, e siamo fanciulli perchè lo sviluppo delle nostre forze è ancora al suo inizio. Cercando di imparare a camminare vogliamo diventare uomini, un organismo sano, completo e robusto, capace di effettuare la rivoluzion e . . . . Come incominciare? Le occasioni non mancano mai. E' inutile attendere un movimento con etichetta


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Le autorità ginevrine non vollero sanzionare queste espulsioni (v. Révolté, 5 marzo 1881), ma il Consiglio Federale espulse Danesi perchè aveva stampato un manifesto con data: Italia, 14 marzo 1879, in cui si protestava contro la fucilazione di Passanante. Ordinò inoltre alla polizia, per lo stesso motivo, di ricercare Mercatelli, Malatesta, Coviero e Covino per espellerli. Ogni ricerca riuscì vana. Malatesta non sapeva di essere stato espulso e nel 1881, a sua domanda, ebbe da un compagno di Ginevra rassicurazione che il decreto di espulsione non esisteva. Si recò poi, non so bene se solo o insieme con dei compagni, in una città commerciale rumena, a Braila o Galatz, dove i suoi amici lo attendevano. Se fosse rimasto più a lungo laggiù avrebbe potuto gettare in Rumenia ufficiale socialista. Ogni movimento popolare contiene i germi del socialismo rivoluzionario; dobbiamo parteciparvi e sviluppare questi germi. Il nostro ideale completo e preciso è condiviso soltanto da una infima minoranza e se dobbiamo attendere che diventi maggioranza dovremo aspettare per sempre. Non imitiamo la domanda dottrinaria di una formula; il popolo è il portatore della rivoluzione vivente e noi dobbiamo combattere e morire con il popolo. Non ci uniamo ad esso quando si inginocchia davanti al suo dio, al suo re ed al suo padrone, ma saremo sempre in mezzo ad esso quando affronta i suoi potenti nemici. Per noi astensione dalla politica non significa astensione dalla rivoluzione: il nostro rifiuto di partecipare a tutta l'azione parlamentare, legale e reazionaria significa devozione alla rivoluzione violenta ed anarchica, alla vera rivoluzione della canaglia e degli

scalzi.

Questo articolo fu indubbiamente scritto da Cafiero. Sé egli non se ne dichiarò l'autore fu per il fatto che trova vasi allora in carcere a Lugano (Révolté, 17 sett., l.o ott. 1881).


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le basi del movimento socialista, che allora era agli inizii sotto la guida di uomini con idee anarchiche o rivoluzionarie di tendenza russa. E' probabile, per altro, che questi primi tentativi sfuggissero alla sua attenzione. Egli mi disse che durante la sua permanenza in Rumenia si ammalò di febbri e che da laggiù partì per Parigi dove trovò Cafiero (1879). A Parigi lavorò in qualità di meccanico. Dopo qualche tempo egli e Cafiero vennero espulsi. Cafiero, si trasferì in Svizzera. Malatesta, approfittando di cinque giorni concessigli dalle autorità per i preparativi della partenza, cambiò d'alloggio. Il 18 marzo 1880 venne tratto in arresto durante una manifestazione ed espulso sotto il nome di Fritz Robert, compagno del Giura di cui aveva il passaporto. Il movimento parigino andava in quel tempo rianimandosi, dopo gli anni di silenzio che seguirono alla sanguinosa repressione della Comune di Parigi nel 1871. I comunisti deportati nella Nuova Caledonia incominciavano a ritornare; il caso Blanqui era alla sua ultima fase, iniziata colle elezioni di protesta per ottenere la scarcerazione — come doveva avvenire pochi anni dopo per Cipriani nella Romagna —; perfino i marxisti, allora chiamati Guedists, di Egalité si avvicinavavno ai gruppi più avanzati ; l'anarchia veniva per la prima volta predicata apertamente a Parigi, accolta con entusiasmo da gruppi di operai e studenti ; la voce di Louise Michel, di ritorno dalla deportazione, si faceva udire di nuovo. Nella regione di Lione, dove


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giungevano queste voci da Parigi e quelle di Eliseo Reclus e di Kropotkin da Clarens e da Ginevra, l'anarchia faceva rapido cammino. Naturalmente la polizia non rimase indifferente. Operò espulsioni in massa di stranieri (di cui molti ripararono a Londra, come i tedeschi e gli altri che si adoperavano per fare del giornale Freiheit, di Johann Most, un periodico anarchico), assalì comizi e cortei e giunse perfino a pubblicare un giornale anarchico per facilitare l'opera delle sue spie, provocò delitti, come il capo della polizia L. Andrieux narra dettagliatamente nelle sue memorie (1885). Malatesta non vide che l'inizio di questo movimento destinato ad intensificarsi negli anni seguenti. Conobbe Jean Grave e Lucien Guerineau ed il gruppo di Rue Pascal? Non so, ma è certo che divenne amico per la vita di V. Cherkezow, l'anarchico della Georgia, giovane di spirito, ma vecchio per i ricordi di una vita attivissima trascorsa in familiarità col gruppo cui appartenne Karakazov, lo zaricida del 1866, e per la lunga prigionia in Siberia. Dopo alcuni anni di dimora a Parigi ed in Svizzera, Cherkezow si recò in oriente ed infine, nel 1892, a Londra, dove probabilmente fu il più vecchio compagno internazionalista di Malatesta. Cafiero e Malatesta facevano talvolta visita a James Guillaume (1879), il quale si era in quel tempo imposto rigidamente il ritiro dal movimento (vi rientrò 25 anni dopo, nel 1903), tanto da preferire di non essere importunato da alcuno. Egli intendeva vivere a Parigi per la-


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vorare e studiare senza essere disturbato dalla polizia. E' curioso leggere la descrizione che egli fa delle visite dei due italiani, i quali richiamavano l'attenzione generale dei vicini colla loro presenza in un quartiere tranquillo e rispettabile, Dopo il suo arresto, l'espulsione e la prima partenza per Londra (marzo 1880), Malatesta dovè dimorare per qualche tempo a Bruxelles, perchè il l.o maggio 1880 comparvero in Révolté due sue lettere datate da quella città, 18 e 25 aprile. In quel periodo José Mesa, uno dei pochi spagnoli che insieme con F. Mora, Pablo Iglesias ed altri cooperarono con Lafargue, Engels e Marx per introdurre il socialismo politico in Spagna, si diede a diffamare di nuovo l'Internazionale anarchica ed a questo scopo scrisse in Egalité di Jules Guesde un articolo contro i rivoluzionari spagnoli. Una risposta della Commissione Federale Spagnola (pubblicata in Révolté, 3 aprile) non fu accolta nelle colonne di Egalité. Non solo, ma Mesa rinnovò in questo giornale gli insulti (14 aprile). Malatesta allora intervenne, domandando a Jules Guesde la pubblicazione della risposta spagnola, o di una sua risposta o la risoluzione della vertenza con un duello. Pedro Eriz e José Valverda, padrini di Malatesta, stesero insieme con John Labusquière e Victor Marouck, padrini di Guesde, il processo verbale che il l.o maggio fu pubblicato in Révolté. Guesde si dichiarò pronto a pubblicare la risposta di Ma-


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latesta, ma non mantenne la parola. Malatesta inviò la risposta (18 aprile) ed una lettera (25 aprile) al Révolté (l.o maggio), scusandosi per il disturbo che con esse arrecava al periodico. La lettera è una rivendicazione dei lontani compagni spagnoli, i quali in quei giorni in cui Moncasi e Montero lasciavano la vita sul patibolo ed i rivoluzionari venivano perseguitati come lo sono oggi, non potevano rispondere alle provocazioni di Mesa pubblicando i loro nomi e svelando le loro relazioni. Malatesta da amico, come egli stesso si dichiara, li difende nella loro assenza e vuole assumere la sua parte d'onore e di responsabilità" nella Alliance révolutionnaire socialiste, il vero oggetto dell'odio dei marxisti. Nella breve biografia di Malatesta pubblicata in Freedom (Londra, 1920) confusi Mesa e Guesde col loro amico Lafargue, il cui nome non è menzionato. Sono dolente di questo involontario errore; in pari tempo debbo notare che l'attitudine di Lafargue e quella di Mesa furono sempre identiche. Dopo breve assenza Malatesta, in seguito all'amnistia del giugno 1880, fece ritorno a Parigi e quivi venne subito tratto in arresto per aver violato il decreto di espulsione e condannato a sei mesi di carcere, ridotti poi, col suo consenso, a quattro mesi di segregazione cellulare. Nelle prigioni della Santé e della Roquette venne trattato crudelmente, tanto da suscitare le proteste dei quotidiani socialisti Commune, di Pyat, e Citoyen, di Guesde (vegg. Révolté, 2


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ottobre 1880). Di quei giorni egli ricorda il curioso particolare della scritta sulla porta della sua cella: Errico Malatesta detto Fritz Robert di Santa Maria Capua Vetere. I carcerieri, confusi dalla dicitura, lo chiamavano ora Santa Maria ed ora con uno qualsiasi degli altri nomi. Fritz Robert, l'ottimo compagno che gli aveva prestato il passaporto, morì poco dopo (Révolté, 20 agosto 1881). Malatesta, dopo queste sue traversie, sarebbe stato lieto di stabilirsi in Svizzera, dove non gli era stato notificato alcun decreto di espulsione. Si recò, quindi, a Lugano apertamente, munito di documenti regolari, non prevedendo che il 21 febbraio 1880 sarebbe stato arrestato perchè espulso precedentemente dalla Svizzera. Fu inutile dimostrare che egli nulla aveva commesso che avesse turbato l'ordine pubblico o le relazioni internazionali della repubblica. Dopo quindici giorni di carcere venne dalla polizia accompagnato alla frontiera. Cafiero aveva presieduto il congresso anarchico della Federazione dell'Internazionale dell'alta Italia tenutosi a Chiasso (Ticino) il 5 e 6 dicembre 1880 (Révolté, 11 die; 8 genn. 1881) ed alla fine <ìi gennaio (Rev., 5 febb.) trovavasi a Roma. Se egli e Malatesta si incontrassero allora a Lugano non sono in grado di dire. In quel tempo vi erano probabilmente nel canton Ticino numerosi profughi italiani che le false notizie pubblicate dalla stampa intorno a pretesi complotti tramati a Lugano costringevano ad allontanarsi (Rev. 5 marzo).


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Malatesta dovette, dunque, abbandonare la speranza, se pure l'ebbe, di lavorare in Svizzera o di rientrare in Italia. Recatosi a Bruxelles, fu tratto in arresto e quindi rilasciato a condizione che partisse per Londra, dove due anni e mezzo dopo esser partito dall'Italia potè vivere finalmente senza subire molestie. Giunse a Londra nel marzo del 1881 e vi rimase poco piÚ di due anni.


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CAPITOLO DECIMOTERZO IL PRIMO ESILIO A LONDRA

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XIII. IL P R I M O ESILIO A LONDRA (DAL

MARZO D E L

1881 ALLA

PRIMA-

VERA D E L 1883). Dopo questi due anni di vita raminga in sei diversi paesi, l'esilio quieto di Londra avrebbe potuto apportargli un riposo ben meritato. Malatesta, intento al suo lavoro, sorretto dalla presenza di numerosi compagni che incontrava dappertutto, non cercava, però, nè calma nè riposo. Avendo una maggiore opportunità di esaminare il movimento italiano e di rinnovare le sue vecchie conoscenze, giunse a conclusioni tutt'altro che favorevoli all'attuazione delle sue idee. Ben presto dovette, inoltre, assistere al penoso spettacolo del decadimento e della rovina mentale di Cafiero. Nell'estate del 1881 venne pubblicato il programma del giornale L'Insurrezione portante le firme di Cafiero, Malatesta e Vito Solieri. Ma il periodico non vide mai la luce. (*) Era (*) Il Révolté del 6 agosto contiene alcuni brani del programma. Non so se Cafiero si fosse recato a Londra prima di allora. Egli telegrafò al congresso


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giunta finalmente l'ora di iniziare una campagna contro Costa? In una lettera pubblicata a Napoli nel Grido del Popolo, 21 luglio 1881, ricorrono queste p a r o l e : . . . . "Sì, Costa è uno spostato, un rinnegato della fede rivoluzionaria del popolo.... Ma ciò non è tutto. Costa è in mala fede, Costa inganna il popolo nella piena coscienza di ingannarlo, perchè la sua ambizione e la sua vanità non gli permettono di dichiarare francamente che egli non è più quello che era. Costa è un ipocrita che vuol servirsi della reputazione acquistata come rivoluzionario per fondare in Italia un partito di socialismo legale".... Questa lettera fu scritta da V. Valbonesi di Forlimpopoli (Veggasi il giornale Proximus tuus di Torino, 6 ottobre 1883) ; anche Merlino si occupò dalle cosa nel Grido del 10 agosto 1881. La quistione riguardante Costa è qui posta con molta precisione. Per essere imparziali occorrerebbe leggere, d'altra parte, la difesa dello stesso Costa Ai miei amici ed ai miei avversari, datata Imola 15 settembre 1881, in folio. Se Malatesta allora o poi, prima di pubblicare La Questione Sociale (fine del 1883) si schierasse da una parte *

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dicendo che non' avrebbe potuto assistere alle sedute. In Révolté del 17 settembre e del l.o ottobre comparvero notizie riguardanti il suo arresto e la sua detenzione che durò non meno di un mese. Non potè, quindi, arrivare prima dell'autunno, quando, cioè, egli si era già formato nuove idee e le sue condizioni di salute erano tutt'altro che buone, motivi questi che forse contribuirono a dissuaderlo dal pubblicare L'Insurrezione.


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o dall'altra, non potrei dire. Certo si è che in merito alla cosa non ho mai letto alcuna sua dichiarazione. Riguardo al punto di vista di Malatesta non può esservi il minimo dubbio. Il solo punto oscuro è questo: che cosa lo indusse a non emetter pubblicamente il suo giudizio? Forse non volle sminuzzare questa discussione in articoli o lettere dall'estero ed attese l'opportunità di potersi occupare della quistione in Italia, come aveva fatto nel 1883. Può darsi, anche, che vi influissero l'opinione e lo stato di salute di Cafiero, che andava di giorno in giorno peggiorando. Malatesta e Kropotkin assistettero al decadimento intellettuale di Cafiero. Kropotkin aveva già notato il cambiamento a Ginevra. A Londra Cafiero venne colto da una vera mania di persecuzione ; interrompeva la conversazione, obbligava gli altri ad ascoltare quand'egli narrava di spie che praticavano fori nei muri della sua casa; temeva che il telefono, allora da poco impiantato, fosse un mezzo di cui le autorità italiane si servissero per intercettare i loro discorsi. Talvolta conduceva Malatesta ad Hyde Park per paura delle spie e gli mormorava nell'orecchio parole confidenziali. Ad una conferenza di Eliseo Reclus venne calorosamente salutato da amici che da tempo non lo vedevano; egli rimase taciturno, poi a Malatesta (questi ed Emilio Ballerio erano gli unici suoi amici fidati) disse: "non vedi? sono tutte spie." Spesso muoveva Kropotkin all'indignazione professando una vera idolatria per Marx. Infine


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propose ai suoi amici, Malatesta, Ceccarelli ed altri, un piano di tattica parlamentare da cui nessuno riuscì a dissuaderlo. Nel marzo del 1883 si affrettò a recarsi in Italia, ma poco dopo, in aprile, venne tratto in arresto a Milano. In carcere cominciò la sua tortura mentale, perchè immaginava di aver parlato nel sonno, tradendo i suoi compagni. (1) Fu visitato da uno specialista, quindi liberato e scortato alla frontiera svizzera. A Chiasso, in un albergo, si ferì alla gola ed alle mani colle lenti degli occhiali, e scrisse poi una pietosa lettera, che ho letto, ad Emilio Ballerio. Questi accorse e trovò l'amico in uno stato di lamentevole prostrazione ; lo condusse a casa sua, ospitandolo per parecchi mesi. Il 29 giugno Cafiero scrive a Gambuzzi dandogli buone notizie di sè ed annunziandogli che dalla domenica era ritornato in possesso delle sue facoltà mentali. Può darsi che in quel tempo egli notasse effettivamente in sè una miglioria. Ho letto una sua lettera ad un amico di Napoli, in data 14 novembre 1882, contenente la richiesta i

(*) Il Révolté del 29 aprile dà queste notizie: "Cafiero volle tornare in Italia in seguito ad un'evoluzione che ci spieghiamo, pur non seguendola nè giustificandola, per partecipare alla lotta elettorale. Il nostro povero amico immaginò un bel giorno" che il governo italiano sarebbe stato disposto a discutere e che noi avremmo dovuto accettare le discussione." I vecchi rinnegati che governano l'Italia si affrettarono a dimostrare (arrestandolo) che era necessaria tutta la proverbiale ingenuità di Cafiero per credere che sarebbero stati capaci di commettere altro che infamie. Intanto Cafiero è ammalato ed il regime delle prigioni italiane non è la cura più adatta per lui."


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della biografia di Fanelli, che R. Farga Pellicer desiderava, evidentemente per la sua voluminosa storia del progresso nel diciannovesimo secolo. "Mi chiedevano anche di Michele BaKunin ed io mando loro molte cose." Che cosa è avvenuto di queste "cose"? Le carte di Pellicer non si trovano più, mi è stato sempre detto. Lo stesso Cafiero allora o nel 1881 (quando si trattenne a Lugano e fu lietissimo di trovare per la prima volta il libro di Pisacane) raccolse del materiale per una biografia di Bakunin; in quell'occasione Schwitzgebel gli inviò tutte le carte che possedeva. Anche tutti questi documenti sono andati smarriti. Date le circostanze, una sua lettera pubblicata nella Plebe di Milano il 27 ottobre 1882 per domandare apertamente che si inviassero rappresentanti in parlamento, ed altre simili proposte, debbono essere accettate per quel che valgono. La completa rovina mentale di Cafiero seguì così presto che nessun partito diede mai alcuna importanza a questo riconoscimento del parlamentarismo. A Locamo venne colto da straordinario nervosismo : da là si recò a Firenze, dove il 13 febbraio fu sorpreso a vagare ignudo sulle colline e quindi confinato nel manicomio, che il sociologo Angelo Umiltà, Professore a Neuchàtel, in una lettera a Gambuzzi (10 febbraio 1884) descrive come uno dei peggiori in Italia, paragonabile ad un carcere medioevale. I suoi due fratelli, reazionari nell'anima, ottennero di essere nominati tutori legali ed allontanarono da lui la moglie e gli amici. Nel 1887


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fu iniziata un'agitazione di cui possono seguirsi le fasi in Humanitas, di Napoli, ed in Rivendicazione, di Forlì. Nella primavera del 1888 venne liberato, ma la pazzia aveva realmente sconvolto il suo cervello, tanto che dovè essere rinchiuso nel manicomio di Nocera Inferiore, dove morì il 17 luglio 1892. Malatesta gli fece visita nel manicomio di Firenze (1883). Sebbene non volesse vedere alcuno, quando seppe che Malatesta desiderava parlargli acconsentì di buon grado a riceverlo, non solo, ma menzionò il nome di suo padre (Federico) ed accennò al giorno della nascita, il che dimostra che la memoria non lo aveva del tutto abbandonato. Nondimeno era facile constatare che in realtà la demenza lo aveva stretto nelle sue spire. La commovente leggenda che egli suolesse chiudere le imposte per non privare gli altri del beneficio dei raggi del sole non è esatta ; egli credeva, nella sua mente malata, di poter afferrare i raggi serrando rapidamente le imposte. Quale vuoto la morte di Cafiero lasciasse nella vita di Malatesta, egli solo può dire. Anziché scoraggiarsi, l'agitatore, rimasto privo del compagno fedele, si lanciò con rinnovata energia nel cuore della mischia. A rianimare il socialismo a Londra contribuì non poco il Congresso Rivoluzionario Internazionale, convocato allo scopo di porre in grado i molti gruppi e partiti avanzati, costituitisi al di fuori dell'Internazionale, ed i rimanenti Internazionalisti di scambiarsi le proprie idee e


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preparare l'azione. Il congresso si tenne a porte chiuse ; i nomi dei delegati non vennero mai resi pubblici. Estesi resoconti possono rinvenirsi in Révolté (23 luglio-9 settembre 1881), in Freiheit di Londra etc. Nonostante la segretezza, sono noti alcuni dei congressisti, come Kropotkin e G. Herzig di Ginevra, Malatesta ed un delegato di Napoli, Johann Neve, anarchico tedesco, il più fedele compagno di Most, allora detenuto in una prigione inglese; Neve morì dieci anni dopo in carcere. Vi erano, inoltre, i compagni inglesi, i quali in quegli anni rianimarono il movimento nel loro paese per mezzo di propaganda fatta con discorsi nelle vie e con circolari. Frank Lane era l'anima di questa attività internazionalista. G. B. nei suoi ricordi di Kropotkin (pubblicati da Grave, 1921) parla di questo congresso e menziona Louise Michel, Emile Gautier, Victorine Rouchy, Chauvière (Blanquista), miss Leconte di Boston, Tchaikowski, etc. Malatesta era sovraccarico di credenziali, essendo delegato della Federazione Toscana dell'Internazionale, dei Socialisti delle Marche, di gruppi di Torino e di Napoli, Pavia ed Alessandria, Marsiglia e Ginevra e degli internazionalisti di Costantinopoli e dell'Egitto, (vale a dire dei gruppi costituitisi fra gli italiani esiliati od emigrati spontaneamente in oriente). L'altro delegato italiano (inviato da Napoli) aveva credenziali da Roma e da Napoli, da città calabresi, da Pisa, Fabriano e Palermo. Quali fossero le idee di Malatesta intorno ai


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fini del congresso può apprendersi da una sua lettera al periodico anarchico belga Cri du Peuple di Verviers. Egli era uno dei pochissimi ad intendere la necessità di giungere ad una soluzione pratica del problema dell'organizzazione ; compito, questo, tutt'altro che facile, tanto che una volta ebbe a dire: noi siamo vittime di un opprimente dottrinarismo. La maggioranza dei delegati temevano che l'organizzazione avrebbe avuto per effetto di violare la loro autonomia. Infine s'addivenne alla nomina d'un segretariato di tre membri (e tre sostituti), col seguente indirizzo : "John Poor," No. 6 Rose Street, Soho Square, W., che era la residenza del Club Socialista di Rose Street. Senonchè, ben presto si comprese che l'indirizzo "John Poor" era quasi una sfida lanciata al governo e fu quindi ritenuto più' prudente, come mi disse Kropotkin, fare spedire all'indirizzo di Trunk (ebanista tedesco del gruppo Freiheit) le lettere destinate a lui ed a Malatesta. E' evidente che quest'ultimo venne scelto a far parte del segretariato (d'informazioni) ; gli altri due membri furono probabilmente un tedesco ed un russo. L'attività del segretariato ebbe breve durata, giacché i movimenti rivoluzionari di ciascun paese erano così gravati di lavoro e fatti segno a tali persecuzioni locali che evitavano di render le cose più complicate mantenendo relazioni internazionali non necessarie. Le precauzioni adottate per il congresso non erano certamente soverchie, dato il gran numero


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di spie. Fra queste si distingueva per la sua impudenza certo Serreaux, lo stesso individuo che per ordine del capo della polizia parigina (Andrieux) teneva in vita il giornale anarchico già menzionato. Kropotkin sospettò sempre di lui, mentre il povero Cafiero, nella sua ingenuità, scrisse per quel giornale i suoi migliori articoli ("Revolution"). Per allontanare i sospetti di Kropotkin la spia volle condurlo a casa sua e lo presentò ad una venerabile zia residente a Londra. Senonchè, nell'abitazione quieta e tranquilla dell'ospite Malatesta non tardò a riconoscere il mobilio che aveva di frequente osservato in una vecchia bottega. Evidentemente Serreaux aveva noleggiato per l'occasione le suppellettili e probabilmente anche la vecchia. I sospetti furono, per tal modo, confermati dai fatti. Il giornale interruppe ben presto le pubblicazioni e quattro anni dopo lo stesso Andrieux rivelò cinicamente tutto il retroscena. Un congresso progettato dapprima per il 1884, poi pel 1885, in Barcellona, non si tenne mai. In molti paesi vennero scatenate violente persecuzioni, che indussero gli internazionalisti ad avvalersi, per le discussioni e per l'elaborazione delle idee, di numerosi giornali che ebbero vita più lunga di quelli che li avevano preceduti. (In Spagna i due Certamen Socialista di Reuss (1885) e Barcellona (1889) ). A Chicago, Zurigo (1893) ed a Londra ebbero luogo comizi internazionali, in cui sebbene le discussioni non prendessero forma definitiva, nondimeno si ventilarono molte idee e si strinsero cono-


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scenze fra compagni. Questi metodi sono meglio adatti al moderno spirito anarchico, che pur rispettando l'opera compiuta dalla vecchia Internazionale ritiene che i movimenti già sviluppatisi possano procedere da soli. Il Révolté del 10 marzo 1882 contiene un articolo in morte di Garibaldi, firmato E. M. (Malatesta). La Democratic Review (Londra 1882), diretta da Lothrop Washington, pubblicò in uno dei suoi tre numeri, sul medesimo soggetto, un articolo che probabilmente era la traduzione del primo. Il 13 marzo 1882 venne commemorata nel Club di Rose Street la morte di Alessandro I I ; gli oratori furono Karl Schneidt ed un socialista di Berlino, Frank Kitz, del movimento inglese che in quel tempo era agli inizi, Herbert Burrows della Federazione Democraticà, Malatesta e Kropotkin (v. Rev., 13 marzo). Nel 1883 Malatesta partì da Londra per far ritorno in Italia.

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CAPITOLO DECIMOQUARTO MALATESTA A FIRENZE

d


XIV. MALATESTA A FIRENZE, (LA

QUESTIONE

SOCIALE);

1883-84. L'ESILIO

N E L SUD AMERICA, 1884-1889. •

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Siamo giunti al periodo in cui Malatesta, allora trentenne, fra gli ultimi appartenenti alla prima fase del movimento ed iniziatore della fase moderna, incomincia la sua prima campagna pubblica in Italia lanciando in Firenze il periodico settimanale La Questione Sociale (22 dicembre 1883-3 agosto 1884). Qui conviene mutare il carattere di questa biografia. Quel che si è detto fino ad ora è, secondo me, oggetto di indagine storica, completamente scisso, dal punto di vista pratico, dal soggetto che trattiamo. ; Da . qui innanzi lo stile' convenzionale ed uniforme potrà, essere sostituito, nei limiti del possibile, dalla vivace narrazione dei fatti reali, fatti che soli possono avvicinare i personaggi alla nostra comprensione perchè ce li mostrano come uomini in carne ed ossa e non come angeli e modelli di eroi. Continuare nel metodo da me sino ad ora


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seguito è, nel caso attuale, impossibile, almeno ad un lontano osservatore quale sono io, allorché si giunge al periodo della prima campagna indipendente di Malatesta nel 1883-84, specialmente per il fatto che io ignoro la maggior parte delle circostanze, non avendo mai fatto oggetto di studio speciale i miei contemporanei viventi, che conosco dalla fine del 1889. I fatti precedentemente ricordati furono da me incidentalmente raccolti quando lo studio della vita di Bakunin dovette estendersi a quello della vita e del carattere dei compagni più vicini a lui. Ciò che ho udito e notato dopo il 1883 dovrebbe subire un processo di confronti con molte altre fonti che presentemente non potrei consultare; e se anche lo potessi, non mi sentirei autorizzato a pubblicarne i risultati. Malatesta è, e lo sarà fino agli ultimi giorni della sua vita, tanto strettamente connesso al movimento contemporaneo che, ammenoché non intervenga un cambiamento completo, non si deve in alcun modo ostacolare la sua azione con ricerche storiche concernenti l'opera sua dal 1883. Perciò la sua attività, i suoi piani, i suoi sforzi, le sue delusioni non formeranno oggetto di discussione, tranne che non mi sia possibile citare pubblicazioni in merito od addentrarmi ulteriormente nel soggetto. Le tre vecchie parole: educatevi, agitatevi, organizzatevi, definiscono la sua attività dal 1883 al 1921. Con ciò non è da credere che la biografia debba limitarsi, quind'innanzi, alla narrazione di alcuni fatti nelle loro nudità e crudezza.


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Tenterò, invece, di mettere in rilievo la mutua correlazione di avvenimenti e di aggiungere le esplicazioni che mi sembreranno opportune. Nè sembrerà fuor d'opera, io credo, la narrazione della sua quieta vita di Londra e dei suoi numerosi viaggi. E* certamente spiacevole dover abbreviare la storia di una vita in cui nulla vi è da nascondere, ma finché l'uomo del quale ci occupiamo non abbia raggiunto l'ideale che forma lo scopo supremo della sua attività o finché non abbia chiuso gli occhi per sempre, non è possibile fare altrimenti. Le circostanze nelle quali Malatesta ritornò in Italia nel 1883 non sono note. E' innegabile, ad ogni modo, che la necessità e l'urgenza di porre un argine alla degradazione del movimento provocata dalla defezione di Costa, rendevano sempre più desiderabile ed utile la sua presenza in Italia. Cafiero doveva ormai ritenersi inguaribile. "Sventuratamente — pubblicava il Révolté il 17 Feb. 1883 — non possiamo più metter in dubbio la pazzia di Carlo Cafiero." L'articolo, dovuto probabilmente alla penna di Eliseo Réclus, metteva in rilievo la notevole personalità dell'agitatore pugliese. Costa era, nel frattempo, entrato a far parte del parlamento-in seguito .alle elezioni del novembre del 1882, quale rappresentante del collegio di Ravenna. Queste nuove tattiche formavano oggetto di vivaci discussioni in una parte della stampa socialista. Così, l'Ilota di Rimini pubblicò articoli in difesa di esse ed altri, scritti da Malatesta, contrari (Rév., 12 maggio 1883).


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Senonchè, per combattere più efficacemente le tattiche parlamentari essendo necessario un periodico più grande, si decise di fondarne uno a Firenze e di affidarne la direzione a Malatesta. Si scelse Firenze perchè mentre non era in Romagna, dove Costa dominava col sup vecchio prestigio, era situata, in pari tempo, a non molta distanza da quella regione ed inoltre presentava affidamento di indipendenza di giudizio nel pubblico ed aveva notevoli tradizioni di internazionalismo. Il 20 maggio 1883 (Rév., 12 maggio) una circolare annunziò la' pubblicazione di II Popolo, settimanale anarchico comunista. Il periodico si proponeva di combattere "le illusioni riformiste e parlamentari che costituiscono il massimo pericolo da cui il socialismo è oggi minacciato. E poiché è necessario che il nostro partito si organizzi intorno ad un programma ben definito, cercheremo di distruggere ogni doppio senso e cooperare con tutta la nostra energia a questo lavoro di organizzazione . . . . " Fu II Popolo effettivamente pubblicato ? Credo di averlo visto citato nella Questione Sociale e può darsi che ne uscisse un solò numero. Ma' fin dal 26 màggio il Révolté annunzia l'arresto di Malatesta a Firenze è di Merlino a Napoli ed osserva : "la prossima pubblicazione del periodico II Popolo turba fin da ora i sonni del governo. Invece di dover sopprimere una pubblicazione, sopprime senz'altro i giornalisti." Le autorità detennero gli agitatori senza co.

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municar loro i motivi dell'arresto (Rév., 7 luglio) ed infine li tradussero, insieme con altri, a Roma, dove in novembre li rilasciarono provvisoriamente in libertà. Una dichiarazione (Roma, 14 novembre 1883) firmata da Errico Malatesta, Francesco Saverio Merlino, Domenico Pavani, Camillo Pornier, Edoardo Rombaldoni e Luigi Trabalza (Rév., 24 nov.) dice: "Dopo essere rimasti in carcere per otto mesi sotto l'accusa di cospirazione contro la sicurezza dello Stato, fummo provvisoriamente liberati e quindi citati a comparire dinanzi al magistrato che ci imputò di far parte d'una associazione di malfattori ed alcuni di noi di provocazioni a commettere questo reato. "Ciò significa che non possono imputarci alcun fatto punibile legalmente, la nostra unica colpa essendo quella d i . . . . esserci costituiti in associazione per commettere l'odioso delitto di socialismo. E poiché, date tali condizioni, dispera di trovare una giuria disposta a condannarci, ci rinvia dinanzi ai giudici togati, nella cui severità ha maggiore fiducia... Il che dimostra che in Italia perfino gli uomini di legge hanno abbandonato la legalità, se pure l'hanno mai osservata etc." Nell'intervallo che precedette il processo la Questione Sociale iniziò le sue pubblicazioni (fine di dicembre). Dopo il settimo numero si ebbe un'interruzione perchè il tipografo, repubblicano, rifiutò di prestare l'opera sua (Rév., 16 marzo) ; in seguito il gerente responsabile subì una condanna a 21 mesi di carcere ed a


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2000 lire di multa, il che fu causa d'una nuova interruzione (Rev., 8, 22 guigno 1884). Nell'estate Malatesta ebbe una vivace polemica coi massoni italiani (Rév., 31 agosto). Nel febbraio del 1884 si svolse a Roma il processo, in cui non vennero ammessi i testi a difesa. Le sentenze, basate esclusivamente sulle informazioni fornite dalla polizia, furono : Merlino 4 anni di carcere, Malatesta e Pavani 3 anni, Biancani ( in contumacia) 2 anni e mezzo, Pornier (in contumacia) e Rombaldoni 15 mesi, Trabalza e Venanzi 6 mesi. Malatesta disse che la polizia russa deportava in Siberia senza processi; la polizia italiana, più ipocrita, si nascondeva dietro la complicità dei magistrati (Rév., 16 marzo). Nell'autunno del 1884 Malatesta ed altri compagni si recarono a Napoli, dove il colera aveva assunto proporzioni allarmanti, e prestarono l'opera loro negli ospedali. Costa ed altri socialisti li imitarono. Due anarchici, Rocco Lombardo, già direttore del periodico torinese Proximus Tuus, ed Antonio Valdre, rimasero vittime dell'epidemia. Quelli che ritornarono dichiararono in un manifesto che la vera origine del colera era la miseria ed il vero rimedio era la rivoluzione sociale (Rév. 28 sett., 7 die. 1884 ; 8 nov. 1885). La Corte d'Appello di Roma rinviò il 14 novembre la sua decisione e nel gennaio del 1885 ridusse da 4 a 3 anni la condanna di Merlino, assolse Trabalza ed aggiunse per tutti sei mesi di sorveglianza speciale. Ma gli accusati si


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erano già tutti allontanati, così che l'esilio di Malatesta e di Merlino incominciò probabilmente alla fine del 1884. Un altro appello venne definitivamente respinto il 15 aprile 1885. Le sentenze avrebbero dovuto essere applicate immediatamente, ma i condannati erano scomparsi (Rév., 7 die., l.o febbraio, 10 maggio 1885). Al lettore una simile procedura legale sembrerà certamente strana ed incoerente. Malatesta viene arrestato sul principio, senza che abbia potuto commettere nulla di criminoso; poi durante circa un anno di libertà provvisoria egli può condurre la splendida campagna della Questione Sociale, che le autorità non osano impedire. Per timore che egli si sottragga agli artigli dei giudici servili e venga tradotto dinanzi ai giurati, le autorità si limitano ad attendere che egli si adatti a scontare tre anni di carcere. Ma egli preferisce allontanarsi per non sacrificare ulteriormente il suo tempo in un carcere, come aveva fatto precedentemente. Della Questione Sociale si conserva una raccolta completa nel Museo britannico. Avendo esaminato questa collezione alcuni anni or sono e conoscendo altri giornali anarchici italiani di quel tempo, sono in grado di dire che il periodico di Malatesta era assai grande e ben formato, con abbondanza di notizie trasmesse da ogni parte. Si comprende facilmente che dovè ben presto considerarsi l'organo principale del movimento, che andava rianimandosi dappertutto. 1


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Alla rinascita contribuirono non solo la Questione Sociale, ma anche le due seguenti pubblicazioni : Programma ed organizzazione dell'associazione internazionale dei lavoratori (pubblicato a cura della redazione del giornale La Questione Sociale Firenze 1884, 64 pp. in 16.), dovuto certamente alla penna di Malatesta, e l'opuscolo Propaganda Socialista. Fra contadini. Pubblicazione del giornale la Questione Sociale, Firenze 1884, 62 pp. in 16.), che è la prima edizione di un libro di propaganda noto in tutto il mondo e tradotto in tutte le lingue. L'edizione cinese, stampata a Parigi nel 1908, è probabilmente l'opuscolo anarchico di più piccola mole che sia dato trovare, mentre L'appello ai giovani, di Kropotkin, è di certo il più notevole per numero di edizioni e di traduzioni e probabilmente anche per diffusione. Trascurando il Manifesto Comunista, per non considerare che le pubblicazioni strettamente anarchiche, all'Appello seguono immediatamente, per numero di copie, Fra Contadini, di Malatesta, e Dio e lo Stato, di Bakunin; il primo con una maggiore diffusione, il secondo con più frequenti traduzioni. La prima traduzione di Fra Contadini comparve in Révolté (1885186) nel 1887; l'edizione inglese è del febbraio 1891. La Questione Sociale, pur rimanendo salda nei suoi principii, non fu condotta in guisa da spingere ad un'azione immediata. La defezione di Costa e l'elezione protesta di Cipriani avevano fatto perdere tanto terreno, per lo meno nella Romagna, che lo scopo principale era per


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allora, e rimase per un tempo indefinito, quello di rialzare le sorti compromesse dall'operato di Costa e da tanti anni di persecuzione. Sventuratamente, però, Malatesta fu costretto, come si è visto, ad allontanarsi. La fuga avvenne in circostanze assai curiose. Mentre la polizia sorvegliava la casa del nostro rivoluzionario, egli, mediante la complicità di alcuni amici, potè partire inosservato nascondendosi entro una cassa di macchina da cucire. Ciò avveniva verso la fine del 1884 o sul principio del 1885. Ecco, quindi, Malatesta a dover di nuovo abbandonare l'Italia per riparare insieme con parecchi amici nella repubblica Argentina (Buenos Aires). Quivi rimase poco meno di cinque anni, fino all'estate del 1889. Durante questo tempo non so se intendesse stabilirsi laggiù permanentemente. Nel 1885 fondò la Questione Sociale di Buenos Aires, il primo giornale anarchico in lingua italiana pubblicato in Argentina. (*) Gli anni di residenza in quel paese gli consentirono di familiarizzarsi perfettamente colla lingua del luogo e di stringere amicizia coi compagni di nazionalità spagnola ed americana. In quel tempo vi erano assai pochi giornali rivoluzionari ; soltanto nel settembre del 1890 comparve E1 Perseguido, seguito ben presto da molti altri periodici anarchici in lingua spagnola, in italiano ed in francese. (*) Il Révolté del 31 gennaio 1886 ne fa menzione come di pubblicazione nuova.


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Non mancarono, naturalmente, vivaci conflitti colle autorità. Malatesta stesso in una amichevole riunione in casa di Cherkezw narrò il seguente episodio riferentesi a quel tempo. Mentre egli ed alcuni compagni trovavansi in un piroscafo nelle acque dell'America meridionale, il capitano ricevette dalle autorità l'ordine di sbarcarli in una landa deserta sulle coste della Patagonia. Malatesta si oppose e per rendere più efficace la sua protesta, spiccò un salto dal ponte e cadde nell'acqua. Quivi, rivoltosi al capitano, lo sfidò ad abbandonarlo. Il capitano si affrettò a salvarlo e non eseguì l'ordine di sbarco. Alla domanda di Cherkezw che gli chiedeva che impressione gli avesse fatto l'acqua gelida, Malatesta si limitò ad alzare le spalle. L'ira gli aveva infuso tanto calore da renderlo insensibile al freddo. Del resto egli non poteva certamente desiderare di sacrificare la vita in terra lontana, specialmente allora che le notizie dall'Italia erano più favorevoli, ed il socialismo si ridestava dappertutto, come dimostravano lo sciopero degli scaricatori di Londra, la celebrazione del l.o maggio ecc. Dippiù egli era in possesso dei mezzi necessari per la propaganda. Tutti questi fattori lo indussero a ritornare in Europa e nel settembre del 1889 annunziò la pubblicazione di un periodico a Nizza.


CAPITOLO DECIMOQUINTO MALATESTA A NIZZA ED A LONDRA


XV. MALATESTA A NIZZA ED A (L'ASSOCIAZIONE,

1889-90);

LONDRA

SECONDO

ESILIO LONDINESE, DALL'AUTUNNO DEL 1889 AL PRINCIPIO D E L 1897.

Un Appello (in italiano, 4 pp. in 4.o) ed una Circolare (in lingua spagnola, 2 pp. in 4.o) annunziarono nel settembre del 1889 la pubblicazione dell'Associazione, di cui i numeri 1-3 videro la luce a Nizza (10 ottobre e seg.) ed i numeri 4-7, sino al 23 gennaio 1890, a Londra. Dell'Appello, di cui il Révolté pubblicò una traduzione il 12 ottobre 1889, meritano la massima attenzione i brani qui riprodotti. I compilatori, dopo di essersi dichiarati anarchici rivoluzionari e d'avere affermato di respingere i metodi parlamentari, dicono : "Ma in tutte queste cose è necessario tracciare una linea fra ciò che è scientificamente dimostrato e ciò che rimane allo stato di ipotesi e di previsione ; è necessario distinguere fra ciò che deve farsi in via rivoluzionaria, vale


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a dire colla forza ed immediatamente, e ciò che dovrà essere effetto di futura evoluzione, da abbandonarsi, quindi, alle libere energie di tutti, armonizzate spontaneamente e gradatamente. Vi sono anarchici i quali preconizzano altre soluzioni, altre forme future di organizzazione sociale, ma desiderano come noi la distruzione del potere politico e della proprietà individuale, desiderano come noi la spontanea riorganizzazione delle funzioni sociali senza delegazione di poteri e senza governo, desiderano come noi la lotta ad oltranza, fino alla vittoria finale. Sono anch'essi nostri compagni e nostri fratelli. Abbandoniamo, perciò, l'esclusivismo, intendiamoci sui metodi e sui mezzi ed andiamo innanzi." «

L'Associazione viene pubblicata "coll'intendimento di costituire un partito socialista-anarchico-rivoluzionario internazionale" con piattaforma comune. Lo schema generale dell'azione è il seguente : (1) propaganda (2) "preparare e provocare la rivoluzione armata e prendervi parte diretta, attiva e personale allo scopo di abbattere i governi e di indurre le masse delle città e delle campagne ad impadronirsi, per metterli in comune immediatamente senza attendere gli ordini di alcuno, di case, di terre, macchianrio, materie prime, mezzi di comunicazione, arnesi in posseso dei proprietari — in breve di tutto ciò che non


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sia personalmente ed utilmente adoperato dagli attuali detentori." (3) "combattere ogni delegazione di poteri e preparare colla propaganda e coll'esempio l'organizzazione del consumo e la ripresa della produzione." (4) "ostacolare colla propaganda e colla forza i nuovi governi che sotto qualsiasi travestimento sovrappongono la loro volontà a quella della massa ed ostruiscono l'evoluzione delle nuove forme sociali." Questo appello, sventuratamente poco ascoltato, è notevole in quanto fa la distinzione, così spesso trascurata, tra ciò che si considera come dimostrato e ciò che è ipotesi, tra quelle cose sulle quali possiamo e dobbiamo convenire oggi e quelle che soltanto l'esperienza sotto nuove condizioni, dopo la rivoluzione, potrà insegnarci a regolare. Se questa idea ed il desiderio di vederla diffondersi e realizzarsi partisse da Malatesta non posso dire con certezza. Essendo già stata manifestata precedentemente (nel 1887), può darsi che egli la facesse sua, ma non è da escludersi che giungesse alle stesse conclusioni con il proprio raziocinio. L'idea non poteva non fare impressione sugli animi generosi e tolleranti allorché gli anarchici collettivisti e comunisti si adunarono verso il 1886 in Spagna o quando gli italiani e gli spagnoli si diedero convegno nella Repubblica Argentina, dove Malatesta trascorse quegli anni. Gli uni e gli altri si sentivano anarchici, gli uni


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e gli altri erano fermamente convinti della loro base economica, collettivista o comunista, talché due vie rimanevano aperte: battersi finché l'altra parte non fosse rimasta schiacciata o si fosse sottomessa o trovare una base comune d'intesa. Malatesta scelse nell'appello questa seconda via, che seguì anche il Productor di Barcellona nel trattare l'argomento allorché l'aggressività dei gruppi anarchici comunisti di Madrid e di Gracia lo rese di capitale importanza (1887); vegg. il Rèvolté, 9 lugio, 6, 13 agosto 1887. Il direttore del Productor nota che la quistione della distribuzione dei frutti del lavoro non può essere risolta prima della trasformazione delle proprietà e dell'abolizione dei governi; propone, quindi, che la quistione venga risolta separatamente da ciascun gruppo etc. Malatesta trattò di nuovo l'argomento nel discorso che tenne a Londra il 3 agosto 1890 e che riassunse egli stesso in Révolté, 4 ottobre. Egli rinvia a dopo la rivoluzione il regolamento della quistione economica "ed anche allora si dovrà procedere con spirito di fraterna emulazione per attuare la massima felicità sociale. Gli esperimenti compiuti da tutti decideranno quale via si dovrà seguire." Il punto di vista di Malatesta è condivisò da un compagno del Productor, il quale nel Révolté del 6 e 13 sett. 1890 (data di Barcellona, 7 agosto) scriveva: "noi siamo anarchici; predichiamo l'anarchia senza un aggettivo. L'anarchia è un assioma, la quistione economica è cosa


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secondaria." Lo scrittore contrappone al "villaggio industriale" di Kropotkin (produzione locale di tutto) le idee di Malatesta implicanti eventualmente lo scambio dei prodotti fra le grandi organizzazioni di località diverse etc. Può ritenersi con certezza che l'autore di questo articolo sia Torrida del Marmol, il quale probabilmente trattò la quistione anche nel suo lungo discorso nei comizi internazionali tenutisi nel settembre del 1889 a Parigi, dove io lo vidi e lo udii più di una volta parlare in difesa dell'anarchia senza frasi o dell'anarchia senza eti* chetta. Non è qui che può trattarsi questo soggetto. La tolleranza dovrebbe essere naturale e spontanea e la distinzione fra i risultati dell'esperienza e le ipotesi dovrebbe essere materia di ordinaria osservazione e di raziocinio. Ma in pratica non è così, perchè coloro i quali credono di possedere una verità si ritengono spesso obbligati a propagarla e ad imporla con tutti i mezzi e considerano la tolleranza null'altro che leggerezza od accettazione dell'errore. Sono lieto di vedere Malatesta dalla parte della tolleranza, nel 1889 e 1890 non meno che nel 1920, come rivelano gli ultimi articoli da lui scritti prima dell'arresto. Generalmente si presta poca attenzione a questo particolare che a me sembra di enorme importanza per l'avvenire, giacché ogni cosa macchiata della minima traccia di autorità si rende assolutamente ripugnante ed è destinata a perire. La vita e le idee di Malatesta sono completamente immuni da macchie di tal genere.


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La Questione Sociale avrebbe potuto avere lunga e prospera vita se non fossero sopravvenuti due incidenti che decisero della sorte del periodico. La più impudente di tutte le spie, Terzaghi, smascherato sin dal 1872, continuava ancora nelle sue losche operazioni. L'ultima fu la seguente : Egli inviava ai compagni, specialmente ai giovani ed a quelli che erano più disposti ad azioni rischiose, delle lettere coll'invito ad entrare in rapporti di corrispondenza con un sedicente "Angelo Azzati", il quale era descritto come persona fidata, che per non correre alcun rischio si recava a ritirare le lettere all'ufficio postale. Molti caddero nella rete, rivelando ingenuamente i segreti di taluni anarchici francesi ed italiani. Terzaghi non tardò a scrivere anche al nuovo giornale, ignorando che della redazione faceva parte Malatesta. Questi riconobbe immediatamente la calligrafia dello spione, fece delle indagini e svelò il tranello poliziesco. Naturalmente anche la polizia francese venne, in tal modo, a sapere della presenza di Malatesta, il quale riuscì, per altro, a riparare sano e salvo a Londra, dove giunse verso la fine di ottobre del 1889 e rimase per oltre sette anni. Fu allora che io lo vidi per la prima volta, mentre un lunedì sera egli assisteva ad un'adunanza della Lega Socialista negli uffici che questa aveva in Great Queen Street, W. C. L'ingresso era libero ai membri non solo, ma anche ai visitatori ed alle delegazioni. Egli ed


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un altro italiano entrarono silenziosamente e sedettero in uno degli ultimi posti. "Ecco là Malatesta," mi disse Victor Dave, che probabilmente lo aveva visto la mattina. Io rimasi assai meravigliato perchè, avendo letto la storia della sua vita compulsando i vecchi giornali dal 1872 al 1884, ritenevo che si fosse ritirato definitivamente nel Sud America. Alcuni compagni inglesi si ricordavano di lui dal Congresso del 1881 e dal tempo del suo primo esilio londinese, ma alla maggioranza egli era completamente sconosciuto. Terminata Y adunanza, William Morris fece la conoscenza del rivoluzionario italiano, a cui Dave mi presentò descrivendomi come persona di idee antiquate in materia di anarchia. La situazione era piuttosto strana, giacche Malatesta, sebbene potesse contare non più di 35 anni, rappresentava per me — all'infuori di Victor Dave, il quale mi aveva già parlato a lungo della Internazionale Belga verso il sessanta — la più venerabile antichità che avessi mai osservato nel movimento anarchico, mentre, d'altra parte, nel movimento socialista non erano rari i superstiti del quaranta ed anche di periodi anteriori, ad esempio E. T. Craig, Jeanne Deroin, F. Lessner, Charles Murrjay ed altri. Malatesta accolse con spirito la mia sorpresa e mi invitò a fargli visita a Fulham, al no. 4 Hannel Road, e ad esaminare alcuni vecchi giornali. Non tardai a recarmi nella vecchia casa quasi nuda, in cui egli e diversi compagni italiani si erano da poco installati ed avevano collocato la stamperia dell'Associazione.


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Egli mi mostrò un meraviglioso tesoro, un armadio pieno di carte, manoscritte o stampate, che erano rimaste a Londra durante la sua assenza e costituivano la sua raccolta di documenti. Mi fece dono di alcuni giornali, altri me ne prestò ed io impiegai parecchie settimane a leggerli ed a copiarne dei brani ; poi li restituii. Non domandai, naturalmente, di vedere il resto, nè le lettere di Cafiero, nè molte altre cose. Tutti questi documenti rimasero distrutti da un incendio scoppiato nel 1903 nella sua camera di High Street, Islington. Fu pensando a questa perdita irreparabile che più di una volta io gli suggerii di scrivere le memorie dei suoi primi anni di lotte. Voglio sperare che egli si decida a far qualche cosa in questo senso, correggendo alcuni degli errori di questa breve storia. Io non ignoravo allora, come non ignoro presentemente, che tutte le sue energie erano concentrate nel movimento; tanto maggiore è, quindi, la mia gratitudine per la pazienza colla quale si prestò a richiamare alla memoria, perchè io potessi riferirli, molti particolari di anni trascorsi. L'Associazione dovè inaspettatamente abbandonnare le pubblicazioni per il fatto seguente. Un membro della redazione, giovane d'anni ed abitante nella casa di Fulham, non potè resistere alla vista del denaro ancora rimasto e, intascato fino all'ultimo soldo, scomparve. Una mattina, recatomi a far visita a Malatesta, ebbi da lui un foglio di carta con circa mezza colonna di stampa, che conteneva la narrazione del fatto ed annunziava ad un numero limitato di corr-


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spondenti la fine del giornale. Scomparsi i fondi, era impossibile mantenere la casa e la stamperia. Per vari anni non si pubblicò alcun giornale, ad eccezione di un numero unico, L'Anarchia (agosto 1896). Si trovarono, però, i mezzi per la pubblicazione di una serie di opuscoli (Biblioteca dell'Associazione), fra cui i seguenti di Malatesta: La politica parlamentare nel movimento socialista (no. 1; Londra, 1890. 31 pp. 12.o, In tempo di elezioni, Dialogo (no. 2, 1890, 16 pp.) ; ristampa di Fra Contadini (no. 3, due edizioni, dicembre 1890 e aprile 1891, 63 pp.) ; L'Anarchia (no. 5, marzo 1891, 59 pp.) Il no. 4 della serie è : Un anarchico ed un repubblicano, di Emilio Sivieri (Londra, 1891, 22 pp.). Gli opuscoli di Malatesta sono sovente tradotti; il più noto è Anarchia. La dimostrazione internazionale del Primo maggio 1890 aveva rivelato un sorprendente interessamento popolare per le quistioni operaie, ma in pari tempo l'assenza di iniziativa rivoluzionaria ed il crescente asservimento delle masse alle tattiche parlamentari. La lotta per giungere a contatto colle masse inscrivendosi alle organizzazioni sindacaliste, lotta che in altri paesi cominciò soltanto cinque o sei anni dopo, in Italia, grazie all'aiuto di Malatesta e ad una campagna astensionista durante le elezioni di ottobre, si svolse mediante conferenze e congressi distrettuali che menarono alla


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convocazione di un congresso generale da tenersi a Lugano 1*11 gennaio 1881, mentre in realtà (come si rileva da Freedom, marzo 1891) una circolare segreta lo fissava per il 4 a Capolago (sulla frontiera svizzera). Queste disposizioni ingannarono la polizia italiana e quella svizzera che invano tentarono di sorprendere Malatesta e trarlo in arresto in Lugano. Il congresso, cui parteciparono 86 delegati, sotto la presidenza, sembra, di Malatesta e Cipriani, si tenne senza interruzione dal 4 al 6 gennaio. (1) A quel tempo risale la fondazione della Federazione Italiana del partito rivoluzionario socialista-anarchico. Lo scopo finale doveva essere "l'organizzazione in comune della produzione e del consumo per mezzo di contratti liberamente conclusi fra i lavoratori associati e la libera federazione delle loro associazioni." Un comitato nazionale provvisorio (indirizzo : Ludovico Nabruzzi, Ravenna) avrebbe dovuto affrettare la convocazione di • congressi distrettuali, che alla lor volta avrebbero nominato commissioni di corrispondenza per ciascun distretto ; dopo di ciò il comitato nazionale si sarebbe dovuto dissolvere. Congressi di tal natura si tennero ben presto in Romagna ed in Toscana. «

(*) Vegg. Révolté, 31 gennaio, Freedom, marzo 1891, ed il testo degli ordini del giorno in Manifesto ai socialisti ed al popolo d'Italia e Programma del partito socialista rivoluzionario anarchico italiano. Risoluzioni del congresso socialista italiano di Capolago, 5 gennaio 1891 (Forlì, 2 marzo 1891, 16 p. 16.o).


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Sembra che il procedimento del congresso non sia stato reso pubblico nei suoi particolari. Nonpertanto è facile avvedersi che dovettero manifestarsi due correnti di forza pressoché uguale. Le risoluzioni, mentre non erano in contraddizione coll'anarchia, nondimeno tentarono di propiziare i sentimenti dell'altra corrente, quella del "socialismo rivoluzionario" professato da Cipriani e nella Romagna, rispecchiante piuttosto i sentimenti che le idee di uomini ugualmente pronti alle elezioni tempestose ed alla azione violenta. Non disdegnavano l'anarchia ma amavano parimenti altra azione apparentemente avanzata. Nulla sarebbe stato più facile per Malatesta del tenersi lontano da loro e convocare congressi di anarchici scelti. Invece egli tentò di eliminare la confusione suscitata da Costa e da altri dal 1879 e per raggiungere questo scopo ritenne che fosse più conveniente affrontare i migliori a Capologo e discutere apertamente. Il primo Maggio 1891 avrebbe dovuto rivelare l'efficacia del nuovo movimento. Cipriani intraprese un giro di propaganda; Malatesta ritornò a Londra dove parlò alla celebrazione della Commune. A Roma si sarebbe dovuto pubblicare un giornale, La Questione Sociale, organo dei congressisti di Capolago (v. Révolté, 18 aprile). Senonchè il governo intervenne reprimendo con violenza le dimostrazioni del Primo Maggio, principalmente a Roma (Cipriani e Palla) ed a Firenze. Seguì il mostruoso processo di Roma in cui mesi interi, dal 14 ottobre 1891,


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Cipriani e molti altri, fra i quali lo studente anarchico tedesco Koerner, vennero esposti giornalmente in tribunale entro una gabbia di ferro. Nel luglio del 1892 trentanove accusati vennero condannati a pene varianti fra gli 8 ed i 25 mesi. Dell'attività di Malatesta nell'estate del 1891 non so nulla; il 22 luglio venne tratto in arresto a Lugano "mentre transitava per la Svizzera" (Révolté, 8 agosto), non so se mentre si recava in Italia o ne ritornava. E' probabile che ne ritornasse, giacché dopo la sua liberazione il Révolté (5 ottobre) dice : "egli ha riportato la più favorevole impressione del movimento anarchico in Italia." Nel frattempo la paralisi creata dalla propaganda socialdemocratica scompare ; perfino in Lombardia la giovane generazione attiva è anarchica; nella Romagna, in Toscana, perfino in Piemonte, si nota un risveglio generale. Tutti dicono : se gli altri si sollevano, noi siamo pronti. I lavoratori repubblicani sono quasi socialisti ed i lovaratori socialisti legalitari son in gran maggioranca anarchici. Quando Malatesta venne arrestato il tribunale svizzero lo condannò a 45 giorni di carcere per violazione del decreto di espulsione del 1879. Rimase in prigione tre mesi giacché il governo italiano aveva chiesto l'estradizione basando la domanda su questo specioso argomento : Malatesta era stato il promotore del congresso di Capolago — il congresso (gennaio 1891) venne organizzato il Primo maggio


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1891 — il Primo Maggio condusse ad azione criminosa in Roma ed a saccheggi in Firenze — quindi rimaneva provata la complicità morale dell'agitatore in delitti non politici. Non dobbiamo meravigliarci di questo ragionamento dappoiché il processo di Milano (1920-1921) si basò sulla stessa assurda concatenazione di soggetti eterogenei, il medesimo strattagemma venne usato contro lui e Merlino nel 1883-84, quando la loro partecipazione al congresso di Londra nel 1881 venne scelta come punto di partenza di una serie consimile di fatti sconnessi (v. lettera di Malatesta del 19 luglio 1891, pubblicata in Revolté dell'8 agosto). Il governo ticinese rigettò, come avrebbe fatto qualunque giuria, la domanda delle autorità italiane. Malatesta potè finalmente partire, dopo essersi guadagnate le simpatie della pubblica opinione svizzera. Poco dopo queste sue avventure lo troviamo conferenziere e propagandista in Spagna, dove poteva esprimersi con facilità per la conoscenza della lingua, acquistata durante la permanenza nel Sud America. Non fu un viaggio segreto, come rilevasi dal fatto che i suoi comizi furono oggetto di polemiche iniziate nel giornale Porvenir Anarquista, edito in tre lingue. La sua comparsa riuscì però un fatto così nuovo che la polizia spagnola lasciò trascorrere del tempo prima di decidere sul da farsi. Nel frattempo il viaggio ebbe termine o perchè ebbe ultimato Tintinerario prefissosi o perchè apprese che sarebbe stato più pru-


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dente partire. Comunque fosse, egli si allontanò nel momento opportuno e da allora non ebbe più occasione di ritornare in Spagna. Il 6 gennaio scoppiò a Xeres una rivolta che diede luogo a quattro condanne a morte (10 febbraio 1892) ; le infami macchinazioni contro le vittime vennero alla luce nel 1900 (v. Temps Nouveaux, 19, 17 maggio 1900). Poco dopo molte persone venivano tratte in arresto in Barcellona (febbraio 1892). Per tal modo Malatesta, il cui viaggio aveva avuto luogo in novembre o dicembre, sfuggì al pericolo di essere tratto in arresto e tenuto "moralmente responsabile" di tutti questi fatti secondo la formula italiana. Per dare un'idea della sua oratoria nei comizi, oratoria in cui non ricorre mai alla declamazione, ma all'argomentare freddo, calmo ed imparziale, alla elaborazione di un'ideea in comune coi suoi ascoltatori, è opportuno riprodurre la relazione della celebrazione della Comune nel 1891, pubblicata in Freedom (South Place Institute, Londra) : "E. Malatesta disse che come tutti i movimenti rivoluzionari la Commune conteneva il germe dell'avvenire ma che il germe era stato soffocato dalla nomina di un governo. Questo governo proclamò la decentralizzazione territoriale. Invece di un governo ve ne sarebbero stati in Francia 36,000, ognuno dei quali basato sullo stesso principio autoritario. Dal punto di vista socialista non fece nulla. Protesse la proprietà e se avesse durato più a lungo sarebbe stato obbligato ad agire »


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contro il popolo, come tutti gli altri governi. Nondimeno la Comune ebbe un immenso significato. Non furono le idee che provocarono le azioni, ma le azioni che fecero nascere le idee. In Italia la propaganda socialista venne iniziata da Bakunin nel 1884. Egli raccolse intorno a sè una quindicina di socialisti che non crebbero di numero se non al tempo della Commune del 1871. Da allora si contarono a migliaia. Noi siamo un partito d'azione e non dobbiamo mai dimenticarlo. Se ha luogo un grande avvenimento il nostro numero aumenta rapidamente; se no, il progresso è lento, anzi perdiamo con probabilità terreno. "Un altro ammaestramento da trarsi dalla Comune è che dobbiamo prestare grande attenzione ai movimenti ed alle tendenze popolari. Non dobbiamo attenderci che il popolo si sollevi con un programma comunista ed anarchico definito." Una rivoluzione non comincia mai con un programma stabilito. Quella deir89 si iniziò al grido di "viva il re" (perchè il re aveva finalmente convocato gli Stati Generali, vale a dire un parlamento sospeso da 150 anni). Ciò per quanto concerne il grande movimento che si sta ora preparando. Il popolo chiede a gran voce le otto ore, ma le otto ore non si avranno mai; il fatto che la richiesta è così modesta non è una ragione che possa indurci a rimanere lontani. Dobbiamo invece unirci al popolo ed insegnargli come giungere all'espropriazione ed attaccare l'autorità. Se rimaniamo col popolo e condividiamo i suoi pericoli, esso


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comprenderà meglio le nostre idee e meglio le attuerà." Un anno dopo, nel maggio 1892, comparve in Brusselles il tanto discusso opuscolo di Merlino Necessità e Basi di una Intesa pubblicato nella serie Propagande Socialiste — anarchiste revoluzionarie. L'indirizzo del gruppo editoriale era quello di Malatesta, il quale avrebbe dovuto pubblicare un altro opuscolo, Organisation et Tactique, che non vide mai la luce. In Italia si tenne allora un congresso di lavoratori (Genova, agosto 1892) in cui la maggioranza risultò composta di anarchici — Gori, Galleani ed altri. Ne risultò la costituzione di un partito anti-politico di lavoratori. Tutti questi furono tentativi pratici per rimanere a contatto con uomini ed organizzazioni in Italia, quali realmente erano. Essi attirarono insulti su Malatesta e sui suoi amici, i quali venivano ritenuti gli esponenti di una evoluzione verso i partiti legalitari. Le accuse non solo furono proclamate in scurrili pubblicazioni pseudo-individualiste in Londra, ma trovarono posto persino in Revoltè (13 agosto 1892). Nel numero seguente (20 agosto) comparve «l'indignata protesta di Kropotkin:" è semplicemente ridicolo accuse così false e indegne non avrebbero mai dovuto farsi strada in Revoltè." Malatesta chiede prove. Io non riassumerò gli argomenti di un corrispondente, il quale (come deduco da avvenimenti susseguenti) non merita la nostra attenzione. Malatesta pubblica, inoltre delle dichiarazioni (20, 28 agosto, 12 set-


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tembre e Questioni di Tattica (Revoltè 10 ottobre 1892). Egli ammette l'errore commesso a Capolago nell'aver creduto che tutti gli anarchici p o s a n o marciare insieme per il fatto che s'accordano su formule generali, mentre dissentono sul movimento operaio, che alcuni riguardano con indifferenza od ostilità, mentre noi crediamo di non poter far niente se non strappiamo il movimento dalle mani dei legalitari ; dissentono, altresì, sulla relativa importanza degli atti individuali e collettivi e sull'intrinseco valore e sull'uso di certi atti." Egli dice inoltre "vogliamo far propaganda, non essendo soddisfatti di godere come aristocratici della nostra conoscenza di ciò che è verità. Crediamo che una rivoluzione fatta da un partito solo, senza le masse, condurrebbe al dominio di quel partito e non sarebbe in alcun modo rivoluzione anarchica. "Perciò dobbiamo stare colle masse, come abbiamo sempre fatto, tranne negli intervalli in cui siamo stati posti fuori combattimento da persecuzioni". Egli sostiene la necessità di partecipare a tutti i movimenti ed alle organizzazioni popolari. "Che i legalitari dicano che predichiamo l'organizzazione e non siamo anarchici mi è completamente indifferente." Egli ritiene che la maggioranza degli anarchici italiani e spagnoli condividano queste idee. La diversità di opinione fra compagni italiani e francesi in quel tempo consisteva nel fatto che Malatesta non cessò mai di creder alla possibilità di una vera azione generale, mentre in


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Francia il contatto col popolo si considerava irrimediabilmente perduto e la propaganda, l'azione individuale e gli atti personali di protesta sembravano gli unici mezzi disponibili; la scoperta del sindacalismo nel 1895 (*) alterò questa mentalità. Un intervista assai imparziale di Jules Huret con Malatesta venne pubblicata nel Figaro al tempo di Ravachol e ristampata nel libro di Huret e nel supplemento di Revoltè (voi. II., p. 337-9). Potete concepire una società (che possa vivere senza un governo? è la domanda; Malatesta risponde : "sarebbe piuttosto diffìcile per me concepire un governo che facesse vivere una società." L'origine e le ragioni di atti individuali di rivolta sono esposti con notevole chiarezza. Poco dopo il giudice istruttore francese nel decretare il sequestro della corrispondenza di tutti gli anarchici pericolosi ordina che vengano sequestrate, insieme con quelle di Kropotkin e di Reclus, anche quelle di Malatesta, al 112 High Street, Islington, Londra (Révolté, 13 gennaio 1894). La situazione economica in Sicilia era divenuta nel 1893 così intollerabile che l'organizzazione dei Fasci per opera di De Felice, N. Barbato e molti altri faceva presagire una vera sollevazione popolare. Senonchè, si vide (*) Gli articoli di Fernand Pellotier in Temps Nouveaux, 6 luglio 1895, 3, 24 agosto, 14, 24 settembre, etc., "L'anarchia e i sindacati dei lavoratori (di data 20 ottobre), 2 nov., segnano il principio di questa nuova evoluzione per il pubblico dei lettori.


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ben presto che non trattavasi di movimento anarchico e nulla si concluse. Alcuni dei capi si diedero alla carriera politica ed i contadini rimasero dove si trovavano. Verso la fine del 1893 ed al principio del 1894 — allorché nell'Italia settentrionale furono tratti in arresto numerosi anarchici ed in Francia vennero inaugurate persecuzioni interminabili — la stampa non mancò di denunciare giornalmente la presenza di Malatesta e di Merlino in un luogo o nell'altro. Sembrava, invero, che gareggiasse colla polizia nel dare la caccia ai due uomini. Marlino finì coll'essere arrestato il 30 gennaio 1894 a Napoli, dopo un inseguimento attraverso il parco. Malatesta, che trovavasi parimenti in Italia, riuscì, invece, a sfuggire alla rete delle autorità ed a far ritorno a Londra (Fabbri— Biografia, p. 5). Non ho mai domandato i particolari di tutti questi e di altri viaggi avvenuti in un periodo in cui gli anarchici erano molestati anche a Londra ed uomini come Malatesta venivano tratti in arresto. Una o due volte Malatesta si recò a Parigi in previsione di grandi dimostrazioni operaie per il primo maggio od in altre ricorrenze, ma ne ripartì due o tre giorni dopo, quando si avvide che nulla sarebbe avvenuto. Fu anche nel Belgio in un momento in cui lo sciopero generale, promosso dal partito socialista per ottenere il suffragio universale, sembrava dovesse condurre ad un movimento popolare destinato a rovesciare l'ordine di cose esistente; ma anche in questa speranza rimase deluso. I


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viaggi cui si è accennato avevano ben poco a che fare coi piani o colle azioni di indole anarchica locale. Malatesta intendeva, piuttosto, osservare e studiare il vero carattere dei movimenti più generali, per vedere se esistesse veramente fra le masse la tendenza alla rivoluzione. Probabilmente il risultato di queste osservazioni fu assai poco incoraggiante. Charles Malato nel suo libro Les Joyeusetés de l'exil (Parigi 1897) descrisse, credo, la visita ai distretti minerari belgi. Dalla fine del 1889 al principio del 1897 rimase quasi sempre a Londra dove, abbandonata Fulham e successivamente le vicinanze della Euston Station, si recò ad abitare per tutti i rimanenti anni di esilio in casa della famiglia Defendi, prima in High Street, Islington, N., e poi nei pressi di Holborn, W. C. Non vidi mai la sua officina (per impianti elettrici etc.), che era situata non molto lontano. Per un uomo costretto a passare metà della sua vita di esilio a Londra, in una stanza contenente un letto, un tavolino, le sue carte e forse un cassettone, fu gran ventura trovare un asilo quieto dove poter rimanere sicuro in mezzo ai suoi vecchi amici. La famiglia che l'ospitava, coi figliuoli già divenuti adulti, la bottega italiana, i compagni italiani di passaggio o residenti a Londra, gli crearono intorno un'atmosfera così calda da allietargli anche i giorni più tristi dell'inverno londinese. Fu così nel novanta, fu così trent'anni dopo. Non le comodità, ma neppure l'indigenza; e tutto all'intorno la


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tranquillità derivante dalla perfetta sicurezza. In seguito la sua salute incominciò a declinare per l'eccessiva fatica, come vedremo in appresso; ma per molti anni sembrò rinvigorirsi col procedere del tempo. Il movimento anarchico italiano dall'80 al 90 abbandonò gradatamente il carattere internazionale per dar luogo a numerosi movimenti locali e regionali. Il congresso di Capolago (gennaio 1891) tentò di riunire tutti questi vari movimenti, ma senza alcun successo per il fatto che la tendenza generale era all'espansione ed alla lotta contro il duplice nemico. In Italia, come in altri paesi, il governo ed i capitalisti erano assecondati da partiti operai che professavano un socialismo dottrinario e riformista, disprezzavano i mezzi rivoluzionari e creavano quella classe bastarda di "leaders" e politicanti socialisti, i quali si frappongono sempre fra il popolo e la rivoluzione e reppresentano i difensori del capitalismo contro l'anarchia ed i tentativi di rivendicazione del popolo. L'Italia settentrionale fu sempre il loro campo di azione preferito, il che non impedi, per altro, che verso il 90 l'anarchia si rafforzasse anche là e che Milano, Torino e Genova si ponessero all'avanguardia. Così durante la crisi siciliana si ebbe un movimento nella Lunigiana, a Massa Carrara, accompagnato da vivo fermento dappertutto. In quel tempo, nel 1893 e 1894, si fece in Francia uno sforzo supremo per schiacciare l'anarchia, sforzo che culminò nelle leggi scellerate (come vennero definite sin dal primo


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istante) ; le manifestazioni esteriori del movimento vennero soppresse per circa un anno (1894-95). In Italia avvenne la stessa cosa. Il Pensiero di Chieti (Abruzzi), 30 settembre 1894, fu probabilmente l'ultimo giornale e l'Avvenire Sociale di Messina, 26 gennaio 1896, il primo periodico del rinnovato movimento. In Francia Révolté, soppresso il 10 marzo 1894, continuò sotto il nome Le Temps Nouveaux, 4 maggio 1895, e Le Pere Peinard, soppresso il 21 febbraio 1894, dopo una serie edita a Londra sotto forma di opuscolo, seguitò a pubblicarsi col nome La Sociale, il 10 maggio 1895. A Londra scomparve il Commonwill, 6 ottobre 1894; Freedom, dopo una volontaria sospensione nell'inverno di quell'anno, ricomparve nel maggio del 1895. Dei molti compagni italiani di quegli anni mi limiterò a menzionarne alcuni. Il Dr. F. S. Merlino, esiliato sin dal processo di Roma nel 1884, aveva partecipato per anni al movimento di Napoli. Durante la sua lunga permanenza a Londra si distinse come uno dei più forti pensatori e scrittori anarchici di quel tempo. Egli si era già costituita una salda reputazione quando Malatesta lo trovò à Londra nel 1889. Le loro speciali caratteristiche erano così diverse che la personalità dell'uno non avrebbe potuto in alcun modo elidere quella dell'altro. Malatesta procede sempre, a mio modo di vedere, per l'ampia via della propaganda e dell'organizzazione anarchica popolare e, possibilmente, dell'azione, senza mai deviare


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dalla linea retta tracciatasi. Ciò non significa, peraltro, che egli non osservi e non esamini ogni altra cosa attinente al movimento. Prova siano di ciò i numerosi articoli scritti nei suoi giornali, in Révolté ed in Temps Nouveaux per esporre accuratamente le sue vedute sui problemi del giorno (*). Merlino, per contrario, ebbe sempre uno spirito irrequieto, che lo spinse non solo ad occuparsi di propaganda (in italiano, in francese ed in inglese), ma anche a sollevare problemi, a discutere possibilità. In breve egli mancava di quella pazienza tenace e quieta che forma la caratteristica di Malatesta. Merlino ebbe il coraggio di esprimere opinioni impopolari. Dei suoi lavori mi limito a rammentare i seguenti : il voluminoso libro Socialismo o monopolismo? (Napoli e Londra, 1887, 288 pp.) ; l'opuscolo sovente ristampato e tradotto Perchè siamo anarchici (New York, 1892, 24 pp.) ; l'opuscolo, che sollevò tante discussioni, Necessità e basi di una intesa (Bruxelles, maggio 1892, 32 pp.)> ed il libro L'Italia qual'è (Parigi, 1890, 392 pp.), narrazione descrittiva dell'Italia moderna che i lèttori desiderosi di comprendere "la base moderna", per così dire, del lavoro e della vita di Malatesta, farebbero bene a consultare. Merlino prestò valido aiuto al Freedom di Londra, al movimento di Bruxelles per mezzo (*) Un peu de theorie fu riprodotto da L'Endehors (Parigi) 21 agosto 1892, in "Bibliotheque des temps nouveaux," no. 15, 1899, 15 pp., serie pubblicata sotto la guida di Eliseo Reclus.


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deirHomme libre ed in seguito alla propaganda in New York, come può riscontrarsi nei giornali allora fondati, Il Grido degli Oppressi (5 giugno 1892) e Solidarity (18 giugno 1892). Arrestato a Napoli il 30 giugno 1894, dovette prendere la via dell'esilio. La persecuzione inaugurata dalle autorità francesi nel maggio del 1890 costrinse molti giovani italiani, studenti ed operai, ad abbandonare Parigi. Uno di essi si recò a Londra e divenne compagno inseparabile di Malatesta e pensatore anarchico indipendente. Altri ripararono a Ginevra, donde alcuni mesi dopo vennero espulsi. Fu allora che Luigi Galleani, il quale era in quel tempo in stretti rapporti con Eliseo Reclus, ritornò in Italia ed il movimento nel settentrione venne ad acquistare in lui un poderoso oratore. Altro oratore, ed anche poeta, era Pietro Gori, giovane avvocato nativo dell'isola d'Elba dimorante in quel tempo a Milano. In quei due o tre anni di vivace agitazione l'anarchia si propagò da Venezia a Milano, dove si affermò saldamente. Verso la fine del 1893 la repressione culminò nell'arresto di L. Galleani e di molti altri. Della situazione di allora e dei pretesti coi quali gli anarchici venivano processati (a simiglianza di quel che avviene tutt'ora), può acquistarsi un'idea molto chiara leggendo la difesa di Gori : Gli anarchici e l'art. 238 del Codice Penale Italiano. Difesa dell'avv. Pietro Gori innanzi al tribunale penale di Genova (New York, maggio


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1895, 47 pp.), riguardante il processo contro Galleani ed altri 34 anarchici, 2 giugno 1894. A Milano, accanto a Gori, era anima del movimento Edoardo Milano (di Grigliano, presso Torino), non oratore nel vero senso della parola, ma quieto, fervido propagandista, amico di Sante Caserio. Scrisse II Primo Passo all'Anarchia (Livorno, 1892, 83 pp.). Questo gruppo milanese dovè nell'estate del 1894 riparare a Lugano, donde fu costretto a trasferirsi a Londra nella primavera del 1895. A Londra Gori, Milano ed una ventina di loro compagni trovarono accoglienza ospitale nella tipografia del Torch, giornale anarchico inglese, scritto, stampato e pubblicato da due ragazze inglesi di origine italiana. Quando nell'autunno del 1894 Commonwill e Freedom sospesero le pubblicazioni, il piccolo Torch (fondato nel 1894 sotto forma di foglio manoscritto) procedè da solo e riuscì perfino a procurarsi una tipografia provvista di una grande macchina stampatrice, quantunque di età assai venerabile. Malatesta installò la macchina, che Harry Kelly descrisse in Freedom di New York come "una vecchia stampatrice del tipo Wharfdale, che richiedeva il lavoro di ben tre persone." Malgrado la difficoltà di far agire la ponderosa macchina, si riuscì a stampare con essa gran numero di pubblicazioni, fra cui le poesie di Pietro Gori. L'ufficio esiste tuttora. L'anno seguente divenne la sede di Freedom. Molti anni dopo Malatesta apportò miglioramenti all'impianto del gas nell'officina di composizione.


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"Erano giorni gloriosi per tutti noi, quelli," dice Kelly. Una vivace descrizione dei piacevoli episodi, cui dava luogo la presenza dei profughi milanesi nel misero quartiere inglese nell'estate del 1895, si riscontra nel libro Una ragazza fra gli anarchici (Londra, 1903). E ' difficile, per altro, distinguere i fatti reali da quelli immaginari. In quel tempo ebbi occasione di intrattenermi con Gori e più a lungo ancora con Edoardo Milano, i quali mi rivelarono le loro impressioni sull'opera di Malatesta. Ambedue erano piuttosto scettici in riguardo "all'organizzazione" di cui si parla sempre ogni qualvolta si accenna a Malatesta, e che formerà oggetto di breve discussione. Edoardo Milano abitava a Somers, in una minuscola soffitta adibita precedentemente ad uso di piccionaia. Gori aveva preso alloggio non molto lontano, in una viuzza infestata dai delinquenti del quartiere. I ladri avevano per lui un salutare rispetto perchè lo sapevano tenuto d'occhio dalla polizia, il che probabilmente faceva loro sospettare che il dotto agitatore fosse un bandito in temporaneo congedo. Non passò molto tempo che Gori, il quale era abile marinaio, si imbarcò su di un piroscafo e, prestando l'opera sua durante il viaggio, potè ottenere di recarsi negli Stati Uniti, donde ritornò nel 1896, in occasione del congresso internazionale socialista. Anche Milano emigrò in America, ma ne ripartì quasi subito ed incominciò a dar segni di squilibrio mentale. In Italia si stabilì nel suo villaggio natio; nel 1896


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lo vidi a Torino per l'ultima volta. Da Malatesta ho appreso che morì tragicamente nel 1907, se ben rammento. La vita degli italiani residenti a Londra in quel tempo era assai laboriosa. Malatesta conobbe da vicino anche molti anarchici francesi, i quali fra il 1892 e il 1894 si rifugiarono a Londra, dove, per altro, non riuscirono a sottrarsi allo spionaggio ed alle persecuzioni delle autorità, tanto che non pochi di essi, fra cui Meunier che aveva vendicato il tradimento di Ravachol, furono espulsi. Malatesta dovette far ricorso a tutto il suo sangue freddo per salvare sè stesso e molti compagni meno cauti, dai tranelli tesi dalla polizia francese, inglese ed italiana. Non v'era rivoluzionario di una qualche autorità che egli non conoscesse. Fra i molti basta menzionare Kropotkin, Cherkezov, Malato, Lucien Guerineau, Emil Pouget, Victor Richard, Lorenzo Portet e diversi catalani ; indubbiamente dovè conoscere anche Eliseo Reclus, che nel 1895 trovavasi a Londra, e l'allora invisibile Paul Reclus. In occasione del congresso internazionale del 1896 fece certamente la conoscenza di F. Domela Nieuvenhuis, Tom. Mann, G. Landauer e di quanti desideravano che tutto procedesse con perfetta imparzialità. Ho già detto che i social-democratici si comportano talvolta come se egli non esistesse; egli, dal canto suo, non credo si occupi menomamente di loro. Conobbe Hermann Yung, uno dei fondatori dell'Interna-


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zionale, ed il segretario svizzero assassinato nel 1901. Non v'è alcuna ragione di passare sotto silenzio le correnti di opposizione che in quegli anni si manifestarono contro l'opera di Malatesta, correnti che precedentemente, dal 70 all'80, avevano preso di mira la Federazione Italiana nel suo complesso. Può sempre accadere che un singolo individuo proceda più rapidamente di una massa, che sia dotato di maggiore intelligenza e spenda in pochi mesi od anche d'un sol colpo l'energia della vita intera. A persone di tal fatta Malatesta sembrava troppo lento, giacché egli volgeva i suoi sforzi all'avanzamento di grandi masse composte di uomini di media intelligenza ed energia e non si curava di procedere innanzi a tutti per poi correre il rischio di rimanere in un impotente isolamento. Quest'ultima tattica egli aveva adottato a Castel del Monte, da lui occupato con cinque compagni, e sui monti Matese, in cui aveva vagato con altri ventisette anarchici senza che alcuno si muovesse ad aiutarlo. Ammaestrato dall'esperienza, egli preferisce ora mostrare a grandi masse poche semplici cose e lavorare efficacemente ed in silenzio. Non si tratta già di moderazione, ma semplicemente di preferenza per un dato metodo, il che non esclude che altri possano adottarsene. Premesso ciò, è facile comprendere che ben poco danno poterono arrecargli gli attacchi provocati più che altro da esuberanza giovanile, come quelli comparsi in Porvenir Anarquista


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di Barcellona (fine del 1891). Altri attacchi non meritano quasi alcun cenno, perchè in essi la malvagità rivaleggia coll'intolleranza autoritaria, quantunque chi li promosse si atteggiasse ad individualista (*). Voglio alludere alle pubblicazioni iniziate a Parigi nel 1887, pubblicazioni che dopo aver raggiunto il massimo della popolarità a Londra nel 1892 e 1893, diedero luogo ad un curioso processo per diffamazione quindici anni dopo. Ciò che io posso dire è questo: che la vita politica di Malatesta non presenta alcuna macchia, dappoiché i suoi detrattori nella loro malvagia animosità non hanno mai potuto addurre un solo argomento serio contro di lui. Il solo fattore che in certo qual modo limitò la sua influenza sul movimento è la quistione della organizzazione. Io posso parlare di questo argomento con assoluta imparzialità perchè non ho mai appartenuto ad organizzazioni e non intendo appartenervi, pur riconoscendo non solo i vantaggi ma anche gli svantaggi del mio isolamento. Malatesta vuole che si prepari e si eseguisca un lavoro reale e pratico e ciò richiede esperta cooperazione tecnica — vale a dire organizzazione. Kropotkin e Reclus non avevano da compiere un tal lavoro collettivo, non dovevano, perciò, incaricare delle persone di far questa o quella cosa con puntualità ed esattez(*) I lettori delle pubblicazioni individualistiche del giorno d'oggi non possono formarsi un'opinione di questa teoria estinta, che presenta un carattere completamente diverso.


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za. Ambedue possono, quindi, venir considerati come anarchici spazianti in una atmosfera più elevata, sebbene in pratica suolessero organizzare meravigliosamente il proprio lavoro individuale. Nel caso di Malatesta è da notare che essendo egli destinato, per la sua intelligenza ed esperienza, ad occupar sempre in qualsiasi organizzazione il posto di capo morale ed avendogli l'organizzazione imposto sino dai primi tempi dei legami assai tenui (nella piccola cerchia di Bakunin era stato quasi subito ammesso da eguale), può darsi che non si sia sempre avveduto che l'organizzazione costituisce un fardello assai più grave per l'individuo di media intelligenza e coltura che non per lui. Per tal motivo non pochi esitano a partecipare ad un movimento in cui un uomo di doti superiori sembra acquisti prepoderanza sugli altri. Ad ogni modo la quistione non assunse allora che un'importanza temporanea. A volte il movimento si ridusse a tal segno che la tenace perseveranza, di cui natura l'ha dotato, diede a Malatesta una posizione unica, mentre in seguito raggiunse proporzioni così imponenti da sottrarsi facilmente all'azione personale ed all'influenza di un singolo individuo. La quistione dell'organizzazione si è andata gradatamente eliminando da sè.

Nel compulsare il Révolté osservo l'articolo, non firmato, Encore Busance (7-14 giugno 1890) che mi colpisce per l'annedoto bakuniniano sul


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libero arbitrio ; a me sembra di scorgervi la mano di Malatesta. Esso tratta di talune persone che non esiterebbero a fare qualsiasi cosa vantaggiosa ai propri interessi e si giustificano adducendo la mancanza di libero arbitrio. Malatesta non riponeva fede in tal gente ed essa lo considerava o lo chiamava tiranno. Nella lettera pubblicata il 4 ottobre 1890 egli riassunse il suo discorso del 3 agosto nel comizio internazionale in cui erano ampiamente discussi lo sciopero generale ed altre questioni (tra i presenti vi erano i compagni inglesi delle provincie ; si tenga bene in mente il comizio.) La questione principale (solidarietà internazionale in azione) condusse a quella dell'organizzazione che alcuni compagni ripudiarono del tutto. Malatesta (dopo aver respinto ogni organizzazione autoritaria) insistè nell'affermare che d'altro canto "l'assenza di organizzazione significa impotenza e morte ; porta alla mancanza di solidarietà, alla odiosa rivalità di tutti contro tutti e finisce in stasi. Come norma le iniziative vengono prese se si ha la convinzione che debbano condurre a qualche cosa; in ogni caso coloro i quali agiscono senza pensare agli altri sono molto pochi. La persona isolata è il più impotente degli animali." (Qui rammento che egli ripetè la frase di Ibsen che "il più forte è quegli che sta solo" e disse di ritenere questa una affermazione assai sciocca). Egli combattè anche la tendenza (che lo sciopero degli scaricatori di Londra nel 1889, i mo-


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vimenti dei braccianti etc., contribuirono a creare) "di attendersi ogni cosa dagli scioperi e di confondere quasi lo sciopero colla rivoluzione", tendenza che qualificò pericolosa ed ingannatrice, giacché ("lo sciopero sarebbe unicamente una magnifica occasione per fare la rivoluzione e nulla più." E' superfluo dilungarci ulteriormente su questo soggetto. In ogni occasione vedremo Malatesta dar prova di grande attività nell'allargare il movimento (tralasciando le questioni secondarie e rinviandole a tempo più opportuno) ed opporsi al predominio di soggetti parziali o di importanza non preponderante. Più esamino le sue opinioni, espresse nei primi tempi od in seguito, più lamento il fatto che non siano state più ampiamente diffuse, meglio conosciute e più ascoltate.

Dopo le persecuzioni di cui fu oggetto nel 1893 e nel 1894, il movimento anarchico ricevette un vigoroso impulso dall'improvviso e rapido sviluppo del sindacalismo francese. La notizia di questa nuova attività pervenne a Londra verso la metà del 1895. Malatesta ne aveva già probabilmente discusso in precedenza con Emil Pouget, il quale era partito in maggio alla volta di Parigi. Negli uffici di Alfred Marsh, direttore di Freedom, a Camden Town, N. W., si tenne un comizio alla presenza di Malatesta per uno scambio di idee in merito al


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sindacalismo (1) ed al congresso internazionale socialista del 1896 (Londra). Altre adunanze ebbero luogo durante Tanno. Nel 1896 si fece un ultimo tentativo per mantenere la solidarietà delle organizzazioni socialiste ed operaie di qualsiasi gradazione di pensiero socialista ed anarchico — principio già riconosciuto nei congressi di Bologna e di Berna nel 1873 e nel 1876. A tale scopo fu convenuto di invitare le organizzazioni democratiche sociali ad una discussione amichevole. Al convegno parteciparono numerose delegazioni dei sindacati sorrette dagli allemanisti francesi, da Domela Nienwenhuis e Cornelissen del partito olandese, dagli indipendenti tedeschi e dagli anarchici, tra i quali G. Landoner, Keir Hardie, Tom Mann e molti altri. E' noto che i marxisti, per assicurarsi la maggioranza in questi congressi, ricorsero allo strattagemma di dare i voti ai delegati appartenenti a minuscole nazionalità, le quali venivano, per tal modo, a figurare come marxiste. Con tale sistema, cui deve in non piccola misura attribuirsi l'esagerato nazionalismo prevalente oggi giorno, stabilirono la norma che soltanto i partiti che riconoscono l'azione politica e la necessità di ottenere riforme (1) Su questo soggetto possono consultarsi i seguenti libri: Histoire des Bourses du Travail. Fernand Pelloutier; Sindacalismo e Anarchismo — Catilina (U~ manità Nova, 28 nov. 1920), in cui si accenna al lavoro compiuto nei primi tempi da Malatesta e da altri italiani in prò del sindacalismo; La resistenza operaia — Paul Delesalle (traduzione dal francese con prefazione di Errico Malatesta), pubblicato a Messina nel 1901, 14 pp., a cura dell'Avvenire Sociale.


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nel campo operaio con mezzi parlamentari dovessero venire ammessi ai futuri congressi internazionali. Parve a loro, e ne fecero pompa come di un vero trionfo, di essere finalmente riusciti, in virtù di questa formula, ad escludere il sindacalismo, l'antiparlamentarismo e l'anarchia dai congressi socialisti. Fu appunto in questa atmosfera di intolleranza bigotta, di soddisfazione per avere scisso il movimento operaio che venne inaugurata in Londra, nell'agosto del 1896, la cosi detta Seconda Internazionale. Mediante l'intervento di Malatesta si potè ottenere l'uso delle stanze di un club in Frith Street, Soho, per le riunioni dei delegati antiparlamentari e di tendenze consimili durante il congresso. Un affollatissimo comizio si tenne in Holborn Town Hall. Gli oratori furono J. Presberg, J. K. Hardie, Eliseo Reclus, C. Cornelissen, Tom Mann, Louise Michel, J. C. Kenworthy, Tortelier, Kropotkin, Bernard Lazare, Touzeau Parris, F. D. Nienwenhuis, W. K. Hall, E. Maltesta, P. Gori, G. Landaner, Louis Gros (sindacalista di Marsiglia) W. Weis, F. Kitz, S. Mainwaring, A. Hamon, P. Pawlowitsch (operaio metallurgico anarchico). Dal discorso di Malatesta (Freedom, ag.-sett. 1896) riporto: "La proprietà non verrà mai toccata se quelli che attaccano non passeranno sul corpo dei suoi difensori — i poliziotti. Per tali motivi noi siamo contro i governi, anche contro quelli dei social-democratici. I poliziotti di Bebel, Liebknecht e Jaures rimarranno sempre poli-


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ziotti. Chiunque li comanderà sarà sempre in grado di tenere sottoposto il proletariato e di massacrarlo. Noi non daremo questo potere a nessuno — nè ai social-democratici nè a noi stessi ; perchè coloro che lo possiedono non possono fare a meno di divenire delle canag l i e . . . . Emancipatevi organizzando le vostre forze, e sarete liberi. Ma se attendete la vostra liberazione dai governi — siano borghesi o siano dei social-democratici — siete perduti per sempre." Discussioni internazionali anarchiche si tennero in St. Martin's Hall dove Malatesta parlò sulla questione dei contadini (v. Relazione in Freedom), condannando l'attitudine dei Marxisti che desiderano vedere i contadini proletarizzati ("il Marxismo è in realtà un cancro nel corpo del movimento operaio" etc.), "in realtà la terra è uno degli arnesi del piccolo contadino e l'arnese dovrebbe appartenere al lavoratore. Anche il prodotto del suo lavoro dovrebbe appartenere a lui — chi può toglierglielo ?" Tale questione non è naturalmente risolta da questi piccoli estratti. La terra nel suo complesso è di importanza troppo grande e vitale per poter essere, assegnata individualmente come alcuni strumenti e deve sempre appartenere a tutti come ogni altra ricchezza reale ed indispensabile, sia naturale sia artificiale. Fabbri dice (biografia, p. 5) che egli rappresentava organizzazioni operaie e che scrisse al congresso nell'Italia del Popolo (giornale repubblicano milanese, 1896).


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I sette anni e mezzo (circa) del secondo esilio londinese di Malatesta terminarono. La sua condanna del 1884 cadde in prescrizione subito dopo la sua partenza per l'Italia. Dovette convincersi allora che gli uomini ed i mezzi per fondare un nuovo giornale erano pronti e che la sua azione personale sarebbe stata sorretta da uno sforzo collettivo. Tutto ciò si avverò. All'età di quarantaquattro anni si stabilì di nuovo in Italia, nella città di Ancona, sull'Adriatico.


CAPITOLO DECIMOSESTO L'AGITAZIONE, 1897-98


XVI. ANCONA (L'AGITAZIONE, 1897-98); CARCERE E FUGA; L'AMERICA; TERZO ESILIO LONDINESE, DALLA

PRIMA-

VERA D E L 1899 ALLA PRIMAVERA D E L 1913.

La storia del giornale L'Agitazione, pubblicato da Malatesta in Ancona, è stata recentemente narrata in Umanità Nova del 12 dicembre 1920; alcuni particolari supplementari trovansi nel necrologio di Adelmo Smorti, ib., 28 gennaio 1921. La collezione che io posseggo si compone di: L'Agitazione, 14 marzo 1897, 6 numeri, seguiti da L'Agitatore (25 aprile), Agitiamoci (l.o maggio), Agitatevi (8 maggio) e dei N.i da 10 a 42 e II da 1 a 17 (5 maggio 1898). Il 18.o numero stava per essere stampato allorché la polizia perquisì gli uffici sequestrando ogni


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cosa; di esso non esistono che poche copie che io non ho mai visto (*) . Ancona è una città in cui videro la luce molti eccellenti giornali anarchici, che durarono ben poco, come II Paria (26 aprile 1885-87),- Il Libero Patto (3 febb. 1889 2 seg.), Primo Maggio (1892), Carlo Cafiero (24 luglio 1892), L'Art. 248 (7 gennaio 1894 e seg.), Tempi Nuovi (22 marzo 1896), L'Errore Giudiziario (1896), La Lotta Umana (26 aprile 1896), e certamente parecchi altri. Un gruppo di anarchici del luogo, fra i quan Smorti, preparò il nuovo giornale ed invitò Malatesta a recarsi a dirigerlo. Recchioni (principale compilatore di L'Art. 248 (dispositivo di legge che classifica gli internazionalisti fra i malfattori), Smorti (tesoriere di tutti i giornali anconetani), Agostinelli ed altri coadiuvarono Malatesta nella redazione ed amministrazione del periodico. Un manifesto anti-elettorale dell'Agitazione, firmato da un gruppo di tutta l'Italia, comparve tradotto in Freedom, maggio 1897. Merlino condannava in quel tempo la troppo energica »

(*) Vi furono per lo meno due numeri di un supplemento quotidiano (1898). Un altro gruppo riprese la pubblicazione del giornale il 14 marzo 1900. Redasse 54 numeri (fino all'I 1 aprile 1901) ed un Agitatore (in sostituzione del 55.0") che io non ho visto. Seguì un giornale romano, Agitazione (2 giugno 1901; 14 giugno e segg.). Numeri unici, (otto e forse più) portanti altri titoli, continuarono a pubblicarsi sino alla fine del 1905 e probabilmente anche dopo. Di tutti questi non ne ho presentemente alcuno sott'occhio.


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rinunzia alla tattica parlamentare (lettera al Messaggero di Roma) mentre Malatesta notava in altra lettera: "Tra il parlamentarismo accettato e preconizzato ed il dispotismo sorretto dalla forza e con spirito pronto alla ribellione il dispotismo è mille volte preferibile." Dopo l'attentato di Acciarito contro la vita di Umberto in Roma, E. Recchioni, E. Agostinelli, R. B. Faccetti, dell'Agitazione venivano tratti in arresto in Ancona ed i giornali parlavano della presenza di Malatesta in quella città. Alcuni di essi furono inviati nelle isole e contemporaneamente veniva presentato un nuovo progetto di legge regolante il domicilio coatto (primavera ed estate 1897). La polizia sequestrò le lettere dell'Agitazione. Nel numero del 2 settembre Malatesta spiegò perchè, sebbene la sentenza di condanna del 1884 fosse caduta in prescrizione, egli preferisse vivere in incognito. Il 15 novembre la polizia lo scoperse, ma dovette lasciarlo in pace. G. Ciancabilla (Temps nouveaux, 20 novembre 1897) descrive il lavoro di Malatesta in questi nove mesi ; egli connette il ritorno di lui in Italia coll'accettazione da parte di Merlino delle tattiche parlamentari, ma io non sono in grado di dire se questa supposizione sia corretta. Egli accenna all'esistenza di un partito organizzato sulla base, o con eventuali miglioramenti, dei principii discussi a Capolago (*). (*) Analoga descrizione del lavoro di organizzazione del gruppo dell'Agitazione è fatta da Nino Samaja (ib., 25 giugno 1898).


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Comunque sia, tutte le disposizioni prese temporaneamente nel 1891-92 vennero annullate dalle persecuzioni del 1893-94, cui fece seguito un periodo di quiete, 1895-96. Quel che fu creato di nuovo nel 1897 e nella prima parte del 1898 rimase distrutto in seguito alle persecuzioni del 1898. Questi periodi di alto e basso nell'opera di organizzazione si verificarono in tutti i venti anni seguenti. Quando in circa cinquanta città italiane scoppiarono i tumulti per la questione del pane Ancona non si sottrasse ai disordini, (gennaio 16, 17 1898) ed il secondo giorno la polizia approfittò per trarre in arresto Malatesta; veggasi la cinica dichiarazione di Di Rudini in Senato. In quell'occasione Malatesta, Smorti, Bersaglia, Panficchi, Baiocchi, ed altri anarchici appartenenti al giornale vennero incriminati sotto l'accusa di essersi costituiti in associazione a delinquere (art. 248). Alcuni compagni, quasi tutti giovani e studenti, come Nino Samaia, di Bologna, e Luigi Fabbri, di Macerata, accorsero allora ad Ancona e redassero il giornale. Il processo si svolse nell'aprile del 1898. Tremila anarchici firmarono una dichiarazione confessandosi rei dello stesso delitto, ammettendo, cioè, di essere "delinquenti," malfattori nel senso previsto dall'articolo 248 (*). * A Londra si tentò di richiamare l'attenzione di tutto il mondo sul vergognoso trattamento fatto agli


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L'indignazione pubblica fu tale che i giudici non osarono applicare l'art. 248 e pronunciarono sentenze di condanna a sei o sette mesi di carcere per associazione non a delinquere, ma sediziosa o sovversiva. La Corte d'Appello confermò la sentenza di prima istanza (*). Nel frattempo a Milano scoppiava la rivolta anarchici i quali venivano considerati come malfattori. Tra i firmatari vi erano non pochi degli estremisti londinesi del 1898 e molti fra gli amici di Malatesta. I nomi possono riscontrarsi in Freedom del Maggio 1898: E. Carpenter, Walter Crane, H. S. Salt, J. F. Green, C. C. Lisle, Lothrop Withington, H. W. Nevinson, Peter e Mrs. MacDonald, Miss C. Roche, Mrs. N. F. Dryhurst, Miss Charlotte Sheritt, Miss A. Davis, Miss A. C. Morant, Miss E. Warlow, Tom Mann, J. Keir Hardie, Frank Smith, Paul e Mrs. Campbell, Peter e Mrs. Kropotkin, Mrs. Fanny Stepniak, N. Tchaikowsky, V. Tcherbesov, Louise Michel, Lucien Guerineau, E. Defendi, F. Mattini, I. Paccini, J. Thioulouze, Victor Richard, F. Tarrida del Marmol, Jaime Brossa, Lorenzo Portet, M. Nettlau, W. Wess, Joseph Presberg, Ch. Morton, H. Stockton, Thomas Cantwell, E. Lowe, R. C. Moore. All'estero furono avanzate proteste da Eliseo Reclus, F. D. Nieuwenhuis, Bernhard e Mrs. Kampffmeyer, Dr. Bruno Wille, G. Landaner, Wilhelm Spohr, A. Weidner ed altri. Sebbene questi nomi possano non avere grande significato per la presente generazione, nondimeno essi, ad eccezione di pochissimi, richiamano infinite memorie della Londra rivoluzionaria della generazione passata. (*) Un articolo su Pietro Gori (firmato 1. f. Um. Nova, 12 gennaio 1921) contiene questi accenni al processo di Ancona: "Io lo ricordo ancora (P. G.) avvolto nella toga, dinanzi al tribunale di Ancona, pronunciare nell'aprile 1898 quella sua cosÏ bella arringa in difesa di Malatesta e compagni, nel momento in cui dichiarava che anche egli era "associato a delinquere" con gli imputati, e che lo si cacciasse a sedere, se si aveva il coraggio, nella panca dei giudicabili, diventato posto d'onore. Tutti, anche qualcuno dei giudici, avevano le lagrime agli occhi in quel momento.


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(primi di maggio), mentre m Ancona e nel resto delle Marche non si verificava alcun movimento. Malgrado la quiete che regnava in città la polizia perquisÏ (9 maggio) gli uffici dell'Agitazione e soppresse il giornale al pari di tutti gli altri periodici anarchici d'Italia. Samaia, Lucchini, Vezzani, Zavattero abbandonarono il paese; Fabbri venne tratto in arresto a Macerata. Del processo di Ancona trattano i libri seguenti : Una pagina di storia del Partito Socialista anarchico. Resoconto del processo Malatesta e compagni (Tunisi, Tipografia socialista-anarchica, 1898, 119 pp. in -6.o). Gli anarchici in tribunale, autodifesa di Errico Malatesta (RomaFirenze, F. Serantoni, 1905, 16 pp.) Il Processo Malatesta e compagni (ed altri processi di Ancona), Castellamare Adriatico, 1908, 118 pp. e una nuova edizione. Quando il processo stava per terminare (2127 aprile 1898), scoppiarono a Bari ed a Foggia i violenti tumulti del pane (27, 28 aprile), che ebbero diretta relazione coll'accaparramento del grano operato da Leiter in Chicago, avvenimenti che inspirarono "L'epica del grano" del defunto Frank Norris. Il movimento si propagò dal sud al nord e pervenne a Milano il 7 maggio. Anche la Spagna meridionale, la provincia intorno a Murcia, risentÏ gli effetti delle sollevazioni popolari. Da quel tempo si comprese l'importanza internazionale del grano e del carbone.


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La repressione che seguì a queste disperate ribellioni del popolo affamato colpì anche Malatesta il quale invece di essere liberato il 17 agosto (alla fine dei sette mesi) venne detenuto in carcere e confinato nelle isole, prima ad Ustica e poi a Lampedusa. Allorché alcuni socialisti e repubblicani proposero di nominarlo candidato nelle elezioni locali egli rifiutò (lettera pubblicata nell'Avanti di Roma il 21 gennaio 1899) ; uguale rifiuto oppose quando Merlino, scrivendo all'Italia Nuova di Roma, 22 maggio 1900, rivolse un ap^ pello agli anarchici esortandoli ad inviare Malatesta alla Camera dei deputati quale loro rappresentante ed ottenere, come egli immaginava, voce diretta in politica. Malatesta scrive a Jean Grave (Temps nouveaux, 9 giugno 1900) . . . . " I o considero oltraggio immeritato il semplice dubbio che io possa entrare nella carriera parlamentare." Preferì, invece, evadere dall'isola di Lampedusa, riparando in una barca insieme con altri tre durante una tempesta. Si portò a Malta e quindi a Londra (maggio 1899). In agosto si reca negli Stati Uniti dove parla in italiano ed in spagnolo in diversi comizi. Io non so quali rapporti egli abbia avuto, colla Questione Sociale di Paterson, la cui prima serie (127 numeri, 15 luglio 1895-2 settembre 1899) era appunto allora terminata con una dichiarazione di G. Ciancabilla, Barile, Guabello, i quali non trovandosi d'accordo sulla questione della organizzazione (3 contro 80) abban-


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donarono volontariamente il giornale ed iniziarono la pubblicazione dell'Aurora (16 settembre in West Hoboken), mentre Malatesta redigeva temporaneamente la Questione Sociale (nuova serie). Attualmente non ho sott'occhio la collezione di questo giornale che continuò a pubblicarsi per molti anni ancora; l'ultimo numero che ho visto è il 411.o del 25 gennaio 1908. Malatesta non rimase nel giornale che pochi mesi. Rammento che le discussioni, di solito vertenti sull'organizzazione in contrapposto alla libera iniziativa, furono molto tempestose e che una volta fu esploso un colpo di rivoltella che fortunatamente non colpì Malatesta. Ciancabilla pubblicò l'Aurora (in West Hoboken e Yohoghany, Pa.) fino al 14 dicembre 1901, allorché le persecuzioni lo costrinsero a riparare a San Francisco dove fondò il suo ultimo giornale La Protesta Umana (feb. 1902) ; morì il 16 settembre 1904. Nel frattempo sorgeva nell'East La Cronaca Sovversiva di Galleani (6 giugno 1903, a Barre, Vt.) Di Malatesta rammento che nella primavera del 1900 "i suoi comizi furono proibiti in Havana", fatto rivelato dai giornali su menzionati o dal Despertar di Pedro Esteve o da E1 Nuevo Ideal, l'organo anarchico di Habana cui può ricorrersi per conoscere i particolari di un viaggio effetivamente avvenuto o semplicemente ideato. Verso la fine dell'inverno (1900) egli era di nuovo di ritorno a Londra e si recava ad abitare di nuovo presso i Defendi in High Street,


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Islington, donde in seguito si trasferÏ, coi suoi ospiti, nei dintorni di Oxford Circus. Nel settembre del 1900 comparve il numero unico Cause ed Effetti, 1898-1900, alludente alla feroce repressione dei moti popolari provocati dalla fame ed all'uccisione di re Umberto per mano di Bresci. Ad esso tenne dietro una piccola serie di periodici italiani, d'un solo o M pochi numeri, pubblicati a Londra dal gruppo di Malatesta e contenenti articoli scritti da quest'ultimo. Una o due pubblicazioni furono emesse a cura di un altro gruppo londinese. Non avendo ora sott'occhio la collezione, non sono in grado di precisare quali periodici appartenessero al gruppo Malatesta, ma indubbiamente essi erano in maggioranza. La seguente lista comprende quelli di ambedue i gruppi: L'Internazionale : 4 ni. (12 gennaio, 5 maggio 1901); Lo Sciopero Generale. La Greve Generale: 3 ni. (18 marzo, 2 giugno 1902), non di Malatesta; La Rivoluzione Sociale: 9 ni. (4 ottobre 1902 etc.); La Settimana Sanguinosa: 18 marzo 1903; Germinai: l.o maggio 1903; L'Insurrezione: luglio 1905; La Guerra Tripolina: aprile 1912; La Gogna: luglio 1912. In Paterson, N. J., venne pubblicato l'opuscolo : Al Caffè. Conversazioni sul socialismo anarchico (Biblioteca della Questione Sociale", 1902, 63 pp.). E' del genere di Fra Contadini. Ne esistono traduzioni in francese, spagnolo, portoghese, ebraico, bulgaro e probabilmente in altre lingue.


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Il Nostro Programma (Paterson, 1903, 31 pp.), redatto dal gruppo soc-anarchico l'Avvenire di New London, Conn. Non so se questo programma ed i due opuscoli seguenti contenessero articoli originali di Malatesta o sempliccemente riproduzioni di scritti già pubblicati altrove. Non Votate! Appello dei Socialisti anarchici ai lavoratori italiani in occasione delle elezioni, e:Il Suffragio Universale (Mantova, 1904 e S. A., 8 a 13 pp.). L'opuscolo : "I Congressi socialisti internazionali (Biblioteca della "Questione Sociale", 8, Paterson, 1900, pp. 43 e 57) contiene articoli pubblicati da Malatesta nella Questione Sociale, riferentisi al congresso anarchico di Parigi nel 1900, cui furono inviate molte relazioni comparse in francese nel supplemento letterario di "Tetnps Nouveau," (Parigi, 1900). Il Congresso di Parigi non potè tenere che due brevi sedute (settembre 1900) a causa dell'intervento della polizia. In Amsterdam, invece, si ebbe la libertà di procedere ad aperte discussioni e di costituire L'Internationale Anarchiste. Tanto nel Congresso quanto nell'organizzazione Malatesta ebbe parte prominente. Il resoconto dei dibattiti lo pone in splendida luce nella sua attitudine di propugnatore dell'anarchia rivoluzionaria senza compromessi o diversioni. Del congresso di Amsterdam trattano le seguenti pubblicazioni :


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Ordini del giorno approvati al Congresso anarchico tenuto in Amsterdam, 2 4 - 3 1 agosto 1907. Pubblicazione a cura deirinternational Bureau (Londra, dicembre 1907, 13 p. p.) ; Il Congresso anarchico Internazionale d'Amsterdam (in inglese) Ristampato da "Fredom" (Londra, Freedom Pamphlet, dicembre 1907, 23 pp.). Congresso anarchico tenuto in Amsterdam, agosto 1907. Rendiconto anarchico delle sedute e riassunti delle relazioni (in francese; Parigi, P. Delesalle, marzo 1908, 116 pp.) ; Resoconto generale del Congresso Int. Anarchico di Amsterdam, con prefazione di Errico Malatesta... (1907, 24 pp. in 4.o) ; dalla rivista Il Pensiero, di Roma (l.o novembre 1907, pp. 321 - 244) ; Resoconto in russo di N. Rogdaev (N. G. Muzil), pubblicato dal gruppo "Burvyestnik" (Ginevra, novembre 1907, 30 pp.) ; tradotto in bulgaro ed ampliato in Razgrad, 1909, V i l i , 66 pp. ; Rivista Pages Libres (Parigi), nel no. del 23 novembre (l'articolo di Amedèe Dunois) ed in quello del 21 dicembre. Alle succitate possono aggiungersi molte altre pubblicazioni sul medesimo soggetto. Malatesta fu uno dei pochi membri dell'Ufficio Internazionale (Londra; A. Shapiro, segretario). Il progresso dell'Associazione si svolse piuttosto lentamente, come può rilevarsi dal Bullettin de Tlnternational Anarchiste (31 Gennaio 1908 aprile 1910, 13 ni.), dalle


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circolari dell'Ufficio e da altri documenti. Avrebbe potuto, bensì, acquistare vita più rigogliosa, ed a tale proposito si era stabilito di tenere un altro congresso nell'agosto del 1914, in Londra, ma la guerra, scoppiata in quel mese, impedì che il progetto venisse attuato. Presentemente si parla di un congresso che si vorrebbe convocare al più presto possibile, ma nulla si è deciso a questo riguardo. Il fatto è che da lungo tempo le idee anarchiche formano oggetto di ampia discussione su molti giornali, in tutti i paesi. Alcuni periodici si sono pubblicati regolarmente per diversi anni ed hanno costituito il centro di discussioni locali. Citiamo, fra gli altri, i seguenti. : Temps Nouveaux (Parigi), Le Libertaire e l'Anarchie (Parigi), Le Reveil-Risveglio, (Ginevra), Il Pensiero (Roma), Freedom (Londra), Der Sozialist (di Gustav Landonez) e Freie Arbeiter (Berlino), De Vrije Socialist (di Domela Nieuwenhuis, Olanda), Revista Bianca e Tierra y Libertad (Spagna), Free Society, Mother Earth, E1 Despertar, Cronaca Sovversiva, Questione Sociale (Stati Uniti), Protesta (Repubblica Argentina.) Fra paese e paese si svolse, inoltre un costante scambio di idee per mezzo di traduzioni di scritti aventi un interesse di indole generale. Ogni buon opuscolo si diffuse da un capo all'altro del mondo. Tutto ciò rese superflua una organizzazione formale, per il fatto che innegabilmente il fine cui essa mirava, vale a dire l'instaurazione di amichevoli rapporti inter-


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nazionali, era già stato raggiunto in quei giorni felici in cui la terra sembrava fosse divenuta un unico piccolo paese, mentre oggi è suddivisa in minuscole particelle, separate l'una dall'altra più che non lo fossero nei peggiori tempi medioevali. Questo spiega come l'opera reale di Malatesta, in quanto riguarda il suo contributo alle stampe, non si riduca ai pochi opuscoli menzionati, ma sia sparsa in vari giornali, in cui egli partecipa alla discussione sui problemi più importanti. Le speranze riposte sin dal 1895 nel sindacalismo non erano state completamente realizzate, talché si rese necessario disingannare tutti coloro i quali, avendo un esagerato concetto del sindacalismo come fattore rivoluzionario, erano disposti a confinare l'anarchia nell'ombra o ad eliminarla del tutto in favore della nuova teoria. Un altro problema era lo sciopero generale ed a questo proposito io ricordo che Malatesta assistè alle prime discussioni che si fecero sull'argomento sin dall'estate del 1890. L'antimilitarismo ebbe sempre il suo appoggio ; di quistioni concernenti l'organizzazione e l'individualismo si occupò di frequente. Nei suoi scritti egli espone il suo punto di vista in forma chiara, precisa, semplice, non è mai ambiguo, non offusca il suo pensiero con frasi involute, non si diparte mai dalla trattazione del soggetto principale. I seguenti giornali contengono, probabilmente, la maggioranza dei suoi articoli dal 1900,


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e di quanto concerne l'opera sua da quell'anno al 1913: "Les Temps nouveaux (Ginevra, 7 luglio 1900 etc.) ; La Quistione Sociale (Paterson, N. J., 15 luglio 1895 etc.); L'Era Nuova (13 giugno 1908 etc.); Cronaca Sovversiva (Barre, Vt.; Lynn, Mass., 6 giugno 1903 etc.) ; E1 Despertar (New York; Paterson, N. J. 1891 etc.); Freedom (Londra, ottobre 1886 etc.). Altri periodici, pubblicati in Italia, si occuparono per molti anni dei suoi lavori, ristampando i suoi scritti e le notizie che lo riguardavano, e potrebbero, quindi, essere consultati con profitto anche per iscoprirvi le tracce di nuove fonti. Essi sono: "L'Agitazione (Roma, 2 giugno -901 etc.) ; Il Pensiero (25 luglio 1903 9 dicembre 1912) ; L'Alleanza Libertaria (8 maggio 1908 etc.) ; Il Libertario, (Spezia, 16 luglio 1903 etc.); Il Grido della Folla (Milano 4 aprile 1902 - 8 agosto 1905); La Protesta Umana (13 ottobre 1906 etc.) ; un altro Grido della Folla (11 novembre 1905-1907), ancora un altro (13 ottobre, 11 novembre 1910-1911..); L'Avvenire sociale (Messina, 26 Gennaio 18961905 o poi), ed altri. Fra i giornali pubblicati all'estero anche per piÚ lunghi periodi vanno annoverati II Grido degli Oppressi (New York, Chicago, 1892-94) ; L'Aurora (West Hoboken ; Yohoghany, Pa., 1899-1901); La Protesta Umana, di G. Ciancabilia (San Francisco, 1902-04). Ometto di proposito gli scritti individualisti di questi anni, perchè contengono dibattiti


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materiale nuovo. Al di fuori della cerchia

costituita dalle pubblicazioni menzionate è inutile compiere indagini. Pei quotidiani e per le riviste egli non ha mai scritto nulla, per quanto io sappia. E' possibile che quando il suo nome acquistò grande notorietà i corrispondenti londinesi di giornali italiani chiedessero la sua opinione su questo o quel soggetto e spargessero sul suo conto notizie in gran parte false, ma questo materiale non ha quasi alcun valore. Si rammenti che ogni qualvolta egli credette di doversi occupare di una questione, scrisse articoli o lettere contenenti il suo giudizio preciso e vi appose la sua firma, articoli e lettere che trovansi nei periodici anarchici menzionati. Alcuni pochi articoli che riassumono le idee di Malatesta su interessanti argomenti sono i seguenti : L'indualisme dans Tanarchisme (Reveil, Ginevra 26 marzo 1904), in cui si discute del "provvidenzialismo" o "fatalismo ottimista" degli "anarchici individualisti della scuola comunista" ; "libera, volontaria cooperazione per il beneficio di tutti è l'anarchia" — conclude Malatesta. Les anarchistes et le sentiment moral (ib., 5 nov. 1904, ristampato in Temps neuveaux, 8 die. 1906), repudiando coloro che respingono "la morale dell'onore e della solidarietà". Anarchism and Syndicalism (Freedom, novembre 1907), in cui chiede che "gli anarchici si astengano dall'unirsi al movimento sindacalista e considerino come fine ciò che non è se


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non uno dei mezzi di propaganda e di azione che essi possono utilizzare" "L'errore di aver abbandonato il movimento operaio ha arrecato immenso danno all'anarchia, ma lascia almeno inalterato il carattere distintivo. L'errore di confondere il movimento anarchico col Tradeunionismo sarebbe ancora più grave. Accadrà a noi quel che accadde ai sociali-democratici non appena si lanciarono nella lotta parlamentare. Guadagnarono in forza numerica, Anche noi diverremmo più numerosi ma cesseremmo di essere anarchici." A questo riguardo egli disse al Congresso di Amsterdam (Freedom) : "che egli stesso era stato un così strenuo sostenitore della convenienza di entrare nei sindacati che era stato accusato di essere un creatore di sindacati. Ciò avvenne una volta, ma ora ci troviamo di fronte al "sindacalismo" come dottrina." Egli combattè l'idea che "il sindacalismo da solo potrebbe, come si era preteso, distruggere il capitalismo" e "l'idea tanto liberamente propagata da taluni sindacalisti che lo sciopero generale possa sostituire l'insurrezione." E' fallacia, egli notò, "fondare i loro argomenti, come alcuni di essi fanno su di una supposta sovrabbondanza di produzione. Non avendo molta famigliarità colle statistiche, una volta domandò a Kropotkin quale fosse la vera posizione dell'Inghilterra sotto questo rispetto ed apprese che l'Inghilterra produce soltanto il fabbisogno per tre mesi dell'anno e che se per quattro mesi vennissero arrestate le importa-


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zioni tutti gli abitanti dell'isola morrebbero di fame".... In riguardo allo sciopero generale "dobbiamo cominciare col considerare la necessità dei viveri. Questa è una base più o meno nuova di concezione. Uno sciopero di contadini, ad esempio, gli sembrava la massima delle assurdità. L'unica loro tattica era l'immediata espropriazione ed ogni qualvolta li troviamo (i contadini) "intenti ad espropriare dobbiamo recarci ad aiutarli contro i soldati".... (Sulla distruzione dei ponti ferroviari) "egli si meravigliava che i sostenitori di una tale pazzia non avessero riflettuto che il grano deve essere trasportato allo stesso modo dei cannoni. Adottare la politica 'nè cannoni nè grano' equivale a rendere tutti i rivoluzionari nemici del popolo. Dobbiamo affrontare i cannoni se vogliamo avere il grano." "Nei suoi primi anni, quando parlavano per la prima volta di sciopero generale, ogni uomo aveva il suo fucile e la sua rivoltella, il suo piano della città, dei forti, degli arsenali, delle prigioni, degli edifici governativi. Ora nessuno pensa a queste cose, eppure parlano di rivoluzione. Osservate ciò che avvenne nell'Italia meridionale. Il governo abbattè a colpi di fucile centinaia di contadini mentre dei soldati uno solo rimase ferito cadendo accidentalmente da cavallo. (Fu questo massacro che indusse Bresci a ricorrere ad una azione estrema. Egli prestò fede ad un telegramma inviatogli da Roma in cui gli si annunziava che il re •


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stesso aveva ordinato ai soldati di far fuoco senza p i e t à ) " . . . . Un articolo in Freedom, giugno 1909, Anarchists and the Situation, contiene l'affermazione che "la rivoluzione avanza" ed invita gli anarchici a riflettere seriamente al modo di far fronte a questa situazione. Avendo potuto riesaminare questi pochi articoli, posso affermare che essi come ogni espressione delle idee di Malatesta, rivelano grande unità ed armonia di concezione. Fu sventura per l'anarchia che durante quei tredici lunghi anni di esilio londinese (1900-1913) non avesse modo di esercitare la propria energia. Ciò si dovè, in gran parte, a quella terribile parola "organizzazione". Eravamo così lieti di sentirci liberi e di esserci liberati dalle pastoie dell'organizzazione. Se egli avesse adoperato la parola lavoro, o cooperazione od efficienza, come effettivamente intendeva, non vi sarebbe stato malinteso. Egli fu ed è quasi il solo che creda nella possibilità dell'azione — al pari di Bakunin — e non nella mera propaganda persuasiva o nell'automatico od accidentale crollo del sistema. L'anarchia si sviluppò in tutti i sensi durante quegli anni, eccetto in quello della vera efficienza, che a Malatesta sta a cuore più di ogni altra cosa. Allorché nel 1911 la spedizione di Libia inaugurò la serie di guerre che non si è peranco chiusa, egli non tardò ad entrare in lotta contro la furia del nazionalismo che pervase l'Italia. Nell'autunno di quell'anno gli italiani tennero in


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Londra dei comizi assai agitati. I loro sforzi non trovarono, però, valido appoggio e la guerra balcanica del 1912 venne salutata come una "crociata cristiana". Fu in quel torno di tempo che Gustave Hervè si recò a Londra per esporre il suo punto di vista. Dopo la sua ultima liberazione dal carcere egli disse di avere abbandonato il chiassoso "insurrezionismo" ed io credetti, in verità, che egli avesse bene il diritto, dato il suo passato, di adottare forme più moderate di procedura. Nel comizio che si tenne in Charlotte Street Malatesta ebbe una perspicacia infinitamente superiore. Egli comprese che l'Hervè del passato era scomparso e senza pietà procedè a demolire l'uomo che gli stava dinanzi, nel quale, sin dal principio, aveva previsto il futuro rinnegato. Poco prima che ciò avvenisse Malatesta, per una serie di circostanze, si trovò coinvolto in avvenimenti che poco mancò non avessero per lui conseguenze gravissime. Un giorno una banda di ladri si introdusse in un negozio di Honusditch. I malfattori, sorpresi dalla polizia, si diedero alla fuga lasciando uno di loro mortalmente ferito. Alcuni constabili rimasero uccisi. Le indagini portarono alla scoperta di un cilindro di ossigeno, di cui i ladri si erano serviti per aprire la cassaforte. Fu quella, naturalmente, una traccia preziosa. Non riuscì difficile appurare che il cilindro era stato ordinato per l'officina di Malatesta, cui non era sconosciuto il ladro rimasto ferito mortalmente. La spiegazione era assai semplice. Malatesta


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aveva permesso a quell'uomo, che era un terrorista lettone, di lavorare nella sua officina e l'operaio aveva abusato dell'ospitalità facendosi inviare il cilindro di cui aveva bisogno per la sua spedizione ladresca. Interrogato dalla polizia, Malatesta fu in grado di fornire le spiegazioni più esaurienti e venne, quindi, trattato con ogni riguardo. Il pericolo fattogli correre dal terrorista lettone era stato, per altro, tremendo. Nell'aprile del 1912 Malatesta pubblicò una dichiarazione dal titolo : Errico Malatesta alla colonia italiana di Londra. Per un fatto personale (portante la sua firma, 22 aprile 1912; 1 p. in 4.o.), per richiamare l'attenzione sulla condotta sospetta di un italiano a nome Enrico Bellelli. Questi, che per molti anni si era atteggiato a compagno, lo querelò per diffamazione. Il giudice della Old Bailey condannò Malatesta il 20 maggio a tre mesi di carcere, colla raccomandazione che venisse in seguito espulso. La domanda di appello alla Corte superiore venne respinta. L'indignazione del pubblico fu tale che sorsero numerose proteste sotto forma di pubblicazioni, quali : "Un appello agli uomini ed alle donne di Londra da parte del comitato per la liberazione di Malatesta"; Perchè domandiamo la scarcerazione di Malatesta; Malatesta (ristampa di una nota editoriale comparsa nel Manchester Guardian, 25 maggio) Memorandum sullo scandalo Malatesta (del comitato italiano di difesa) ; una lettera di Kropotkin in The Nation; un numero speciale in italiano in-


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titolato La Gogna (luglio), in cui si adoperò un linguaggio molto chiaro nei riguardi di Bellelli e delle lezioni del processo. Finalmente il Segretario degli Interni comprese che Malatesta meritava un maggiore riguardo e non firmò l'ordine di espulsione; ma all'infuori di questa altre soddisfazioni non volle concedergli. Durante il periodo di cui ci occupiamo il nostro rivoluzionario si diede a lavori assai faticosi, il che doveva, naturalmente, fargli risentire ancor più il peso degli anni. Una volta un chiodo, od un utensile che fosse, gli forò la palma di una mano producendogli una gravissima ferita. Fu un vero miracolo se non sopravvenne l'intossicazione del sangue. Costretto dal suo mestiere a lavorare in luoghi malsani ed esposti alle correnti d'aria, contrasse un'infiammazione polmonare, per cui per varie settimane si temè della sua vita, quantunque gli venissero apprestate le cure più diligenti in casa Defendi. La sua salute incominciò effetivamente a declinare nel 1912, dopo la liberazione dal carcere di Londra. Gli amici, preoccupati, insitettero perchè si recasse a passare l'inverno in Portogallo, il solo paese meridionale in cui avrebbe potuto vivere senza essere molestato. Egli non volle, però, muoversi, quasi prevedesse che l'anno dopo avrebbe potuto far ritorno in Italia, sebbene per breve tempo. Fu allora che egli incominciò a parlare l'inglese. In quel tempo ricordo di averlo udito pronunciare il primo discorso nella lingua del luogo. Il suo ritardo ad acquistare una buona


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conoscenza dell'idioma del paese in cui aveva vissuto tanti anni si spiega col fatto che sebbene fosse sempre pronto ad aiutare i compagni inglesi, nondimeno si intratteneva di solito cogli amici francesi ed italiani. Kropotkin, anch'egli occupatissimo, lo vedeva assai di rado perchè abitava molto lontano. Cherksov, invece, trovandosi a mezza via, visitava l'uno e l'altro di sovente e di entrambi era vecchio amico. Anche Tarrida del Marmol era buon amico di Malatesta e tale rimase fino al giorno della sua morte immatura, avvenuta nel marzo del 1915 all'età di 54 anni. In occasione della morte dell'amico Malatesta scrisse queste parole : "Probabilmente le mie idee non hanno concordato colle sue — eppure eravamo ugualmente buoni amici. Si poteva quistionare con lui, ma non si poteva fare a meno di volergli bene, perchè egli era, sopra tutto, uomo affettuoso ed amabile. Nel dire ciò credo di rendergli il più alto tributo che si possa rendere ad un uomo." (Freedom, aprile 1915). Per mezzo di Tarrida egli dovè indubbiamente fare la conoscenza di Francisco Ferrer, quando l'agitatore spagnuolo si recò a Londra. Fra coloro coi quali Malatesta si intrattenne sovente vanno annoverati Arnold Roller, considerato allora in tutta l'Europa come un giovane cavaliere errante dello sciopero generale, oggi in armi contro il militarismo, domani in esplorazione nella repubblica di Andorra per seminarvi il primo verbo delle dottrine anarchiche, Louise Michel, Alfred Marsh e T. H.


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Keell del Freedom, Harry Kelly, Luigi Fabbri e Jacques Mesnil. Ma chi, del resto, non conosceva Malatesta? Io stesso ebbi con lui lunghe e frequenti conversazioni per indurlo, sebbene comprendessi quale disturbo gli arrecavo, a richiamare alla memoria particolari riguardanti gli eventi del tempo di Bakunin, verso il settanta. Per non importunarlo soverchiamer te evitai di proposito di soffermarmi su fatti più recenti e di ciò non ho, ora, che a dolermi. A non compiere un'indagine diretta ed accurata sulla sua vita mi indusse allora un altro ordine di ragioni. Io credevo che egli durante gli anni di quieta permanenza in Londra si sarebbe, prima o poi, risolto a scrivere le sue memorie, mentre non tenevo conto di due fatti. An zitutto egli non riteneva di essere pervenuto a/ termine della sua vita attiva, che è il periodo in cui si suole pensare a scrivere le proprie memorie; eppoi, il faticoso lavoro quotidiano e le altre occupazioni lo lasciavano la sera assai più stanco che io non immaginassi. Si aggiunga a ciò il fatto che Malatesta è, a mio credere, il meno personale di tutti gli anarchici, non già nel senso che manchi di personalità, ma perchè si è volontariamente piegato ad adattare la personalità sua alle esigenze del movimento, fondendola, per così dire, con esso. Egli vede che la massa d'uomini che desidera mettere in moto e spingere all'azione non si compone di individualità brillanti, originali; vuole, perciò, dare il minimo risalto ai suoi meriti per


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ridursi al livello degli altri. In questo senso egli è il più democratico degli anarchici e quello che meno pensa a sè stesso. Tali caratteristiche tutte sue proprie valgono a spiegare la sua avversione ad intrattenere il pubblico sugli avvenimenti del passato, in cui ebbe parte considerevole. In una lettera (in francese) in data 22 marzo 1912 egli mi scriveva: "Sono attualmente occupato a scrivere un libro che chiamerò: 'La Rivoluzione Sociale; pensieri di un anarchico/ o qualche cosa di simile. Ciò richiede più tempo che io non desideri, ma intendo finire il lavoro ad ogni costo." "Dopo incomincerò 'I ricordi' in forma di raccolta dei miei vecchi scritti che mi sembrano di qualche interesse, aggiungendovi note sul tempo e le circostanze della loro origine, sulle persone colle quali ho lavorato etc." Ed aggiungeva, non senza ironia: "Se questo lavoro avrà un qualche valore, il merito sarà tutto da attribuirsi a voi, che mi spingete con una insistenza che in verità io non merito." Gli avevo proposto di pubblicare un libro in italiano, "L'opera di Bakunin in Italia", che avrebbe dovuto contenere i pochissimi scritti, stampati o non, e le lettere di Bakunin fra il 1864 ed il 1872 (vegg. Cap. II - VII), con prefazione e note di Malatesta. L'idea gli piacque, ma fece delle riserve nei riguardi dell'editore, che si sarebbe dovuto scegliere fra il gruppo di Ginevra, Luigi Molinari di Milano (ora morto) ed una grande casa editrice ordinaria. In


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seguito G. Landaner mi parlò del progetto di una raccolta degli scritti tedeschi di Bakunin. a cominciare dal quaranta. In quegli anni si ventilò, inoltre, con Kropotkin la proposta di una edizione in russo delle opere di Bakunin. Di tutti questi piani neppure uno, purtroppo, ha potuto essere attuato. Quando il carcere del 1912 ed il susseguente declinare della salute gli resero l'esilio un peso più grave che non fosse mai stato, Malatesta vide finalmente offrirglisi — ignoro in quali circostanze — l'opportunità di lavorare in Italia. In maggio o giugno del 1913 partì alla volta di Ancona per dirigere il nuovo giornale Volontà. <


CAP. DECIMOSETTIMO ANCONA E LA RIVOLTA IN ROMAGNA


XVII. ANCONA

(VOLONTÀ', 1913—14); LA RI-

VOLTA IN ROMAGNA. QUARTO ESILIO LONDINESE,

DALL'ESTATE

DEL

1914

ALLA F I N E D E L 1919. LA GUERRA.

Anche durante i lunghi anni di esilio Malatesta si tenne sempre a contatto col movimento e colla vita politica d'Italia e degli altri paesi, tanto da essere in grado di iniziare, senza il minimo lavoro preparatorio, la pubblicazione di grandi giornali ottimamente redatti, come dimostrano i numerosi periodici cui diede vita, dalla Questione Sociale del 1883 a Volontà di trent'anni dopo. Non solo nei suoi scritti, ma anche nei suoi discorsi egli si rivela conoscitore perfetto dei problemi politici del giorno. Nella scelta dei compagni più adatti a coadiuvarlo nel suo lavoro dà prova di perspicacia non comune. Ogni qualvolta assunse la direzione di un periodico, nel 1883, 1889, 1898, 1913, 1920, le sparse energie del movimento incominciarono, sotto il suo impulso vigoroso, a ridestarsi, cristalizzandosi intorno a lui ed al nuovo giornale.


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E' un genuino, spontaneo senso di fiducia in un uomo che tutti ritengono incapace di ingannare, che non lavora nell'interesse proprio, che dà tutto sè stesso per il bene altrui, oggi come cinquant'anni fa. Uguale disinteresse dimostrarono alcuni dei primi socialisti, quali Robert Owen, Faurier, Blanqui, e non pochi socialisti ed anarchici conosciuti in cerchie più ristrette, a non parlare di uomini come Reclus, Kropotkin e Tolstoi, Mazzini e Garibaldi. Ma i socialisti in genere, dal giorno che si sono dati alla politica, non hanno più seguito l'esempio dei loro predecessori ed a somiglianza dei "leaders" dei partiti del lavoro e di tanti altri movimenti hanno, nella maggior parte dei casi, perduto la vera stima e la fiducia popolare. Il popolo, tradito di generazione in generazione da ambiziosi politicanti, anela ad essere guidato da uomini onesti. Il nome e la popolarità di Malatesta non possono, quindi, che propagarsi immensamente. Egli non è più il giovane anarchico isolato, egli è l'uomo dal quale tutti coloro che non sono animati da meschini pregiudizi settari s'attendono grandi cose, poco meno di miracoli simili a quelli che si attribuiscono a Garibaldi. Se le speranze non si sono ancora realizzate, non è colpa di Malatesta. Nessuno afferma con più franchezza di lui che la sua volontà di per sè è nulla e che la volontà del popolo di ottenere il riconoscimento dei propri diritti è tutto. Sventuratamente questa verità non viene compresa abbastanza, specialmente per il fatto che tutti i movimenti popolari sono


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da generazioni nelle mani di capi i quali non hanno fatto che sostituire sè stessi alla vecchia guida spirituale della chiesa ed alla dominazione materiale dello stato. A ciò devesi se la spontanea cooperazione delle masse con Malatesta — che esse seguono come non seguirebbero alcun altro uomo — non dà peranco tutti i frutti che dovrebbero attendersi. Osservando, per altro, le condizioni prevalenti nel 1914 e nel 1920 non può negarsi che l'orizzonte si presenti più roseo che in passato, malgrado tutte le delusioni patite. Volontà iniziò le sue pubblicazionini in Ancona l'8 giugno 1913 e rimase in vita, sotto la direzione di Malatesta, fino alla settimana rossa del giugno 1914. Riprese in seguito le pubblicazioni, ma non so se colla partecipazione di Malatesta (che allora trovavasi a Londra). Durante le elezioni generali (autunno del 1913) gli anarchici condussero una vigorosa campagna anti-elettorale per mezzo di comizi, giornali e manifesti. Malatesta si recò in molte località a parlare in comizi, a spiegare i motivi per cui gli anarchici non votano e non ammettono lo stato, e ad esporre le sue teorie. Nella primavera del 1914 si tenne a Bologna un congresso repubblicano, in cui Malatesta venne ammesso a pronunciare un discorso. Una lunga dichiarazione pubblicata dall'Unione Anarchica Anconetana il 25 settembre 1920 (Um. Nova, 26 settembre) accenna a quel congresso affermando che i repubblicani dopo la guerra del 1914 hanno completamente ripudiato


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le teorie in esso accettate. L'Unione Anarchica ricorda che nel 1914 si gridò" abbasso Trento e Trieste", si denunciò il lavoro della massoneria che in seguito doveva condurre all'intervento, si inveì non solo contro i fautori, ma anche contro i tiepidi oppositori della guerra e finalmente si respinse ogni e qualsiasi collaborazione colla monarchia. Tali erano i sentimenti prevalenti allora nella Romagna nei partiti avanzati più discosti dal socialismo e dall'anarchia. Non è, perciò, da meravigliarsi se i moti popolari del giugno 1914 si estesero ben presto a molte città, a villaggi della Romagna ed alla stessa Ancona, dove Malatesta si trovava. Repubblicani, rivoluzionari, socialisti, anticlericali ed anarchici collaborarono come non avevano mai fatto prima ed agirono con sì perfetto accordo da superare perfino le speranze di coloro i quali avevano ideato un movimen to simile nel 1874. Non sono in grado di fare un esatto resoconto di questo movimento, avendone seguito le fasi unicamente nei giornali quotidiani del tempo, giacché la guerra, scoppiata meno di due anni dopo, non mi permise di leggere periodici anarchici o semplicemente avanzati. La guerra mise termine alle discussioni ed ai processi. Il partito repubblicano si diede a lavorare con tale ardore per spingere l'Italia ad entrare nel conflitto e parte dei socialisti e quasi tutti gli anarchici erano così intenti a combattere la politica di guerra, che la rivolta della Romagna e di Ancona del giugno 1914


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dovette formare soggetto di ben poca discussione. Può darsi che le varie fasi del movimento siano state descritte con esattezza ed imparzialità, ma non ho mai avuto occasione di vedere una pubblicazione di tal genere. Durante la permanenza di Malatesta in Ancona i giornali si sbirizzarrirono a pubblicare sul suo conto le notizie più strane e fantastiche, annunziando contemporaneamente la presenza del rivoluzionario nelle località più lontane, ora nella repubblica di San Marino, ora in altri luoghi. E* facile comprendere da ciò l'ansietà degli amici. Uno di questi incontrò un giorno Malatesta a Ginevra, dove l'agitatore si soffermò poche ore per poi procedere alla volta di Londra e quivi iniziare un nuovo periodo di esilio destinato a prolungarsi per sei anni e mezzo. Dopo i tumulti di maggio, dopo i moti del 1898 in Italia e la settimana Ferrer in Barcellona (luglio 1909), la rivolta di giugno nella Romagna ed in Ancona costituì la più vigorosa sollevazione popolare in Europa dalla Comune di Parigi e dalle insurrezioni spagnole del 1873. Probabilmente essa ebbe diretto rapporto colla guerra e nelle sue origini e nelle sue conseguenze. L'Italia aveva iniziato il primo conflitto, attaccando la Turchia per impadronirsi di Tripoli (1911-12). Cessata la guerra balcanica (1912-13), si era entrati nella crisi permanente del Montenegro, di Scutari e dell'Albania (1913-14). La situazione balcanica veniva seguita dall'Italia con un interessamento sempre


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crescente perchè avrebbe potuto condurre ad un nuovo conflitto generato dall'avidità di espansione imperialista. Il timore di nuove guerre doveva essere maggiormente sentito in località come la Romagna ed Ancona, che sono geograficamente più prossime alla penisola balcanica, da cui era da attendersi che da un istante all'altro partisse la scintilla destinata a far scoppiare una immane conflagrazione. Bastò, quindi, lo stimolo di un moto violento per accendere le fiamme della rivolta, che doveva rivelare a tutta l'Italia ed all'Europa intera la gravità del malcontento che serpeggiava nel paese e la imminenza di una vera e propria rivoluzione. Non è affatto da escludersi, almeno questa è la mia opinione, che l'allarme destato dalla prospettiva di un moto generale inducesse i governi ad abbandonare tutte quelle considerazioni che per tanti anni avevano fatto localizzare le quistioni balcaniche e che, se adottate nel 1911, 1912, 1913, avrebbero potuto imporre una soluzione locale analoga nel 1914. Il malcontento popolare e la disposizione a ricorrere ad un'azione estrema si rivelarono così accentuati nella rivolta della Romagna che probabilmente indussero i governi a pensare che l'unico mezzo di sottrarsi ad una vera rivoluzione fosse quello di scatenare una conflagrazione mondiale, astenendosi da qualsiasi serio tentativo diretto a localizzare la crisi del luglio 1914. D'altra parte nel 1914 il popolo era assai più forte che non credesse, il che induce a ri-


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flettere a quel che esso avrebbe potuto fare in una quistione di vita e di morte per tutta l'Europa, esso che per una quistione relativamente trascurabile aveva agito con tanta energia nella Romagna. Ma a che fare recriminazioni sul passato ? Malatesta ritornò nella sua vecchia casa di Londra, dove probabilmente rimase, attendendo al quotidiano lavoro, durante tutto il periodo della guerra ed anche dopo, sino alla fine del 1919, allorché potè abbandonare l'Inghilterra. Sebbene indubbiamente addolorato nel constatare che la vita pubblica, le abitudini e la mentalità erano cambiate e che la più gran parte della libertà formale di cui egli aveva goduto nei suoi molti anni di residenza in Inghilterra era sospesa e destinata a non ritornare mai più in tutta la primitiva estensione, nondimeno dovè trovare conforto nell'osservare che il capitalismo stava veramente scavandosi la fossa e che tutte le forze immani liberate dalla guerra cooperavano fatalmente per rendere l'esistenza del capitalismo, malgrado i trionfi momentanei, una semplice quistione di tempo. Tutto ciò egli vide siti dal primo istante e non si lasciò, quindi, fuorviare dalle quistioni secondarie che paralizzarono prima e distrussero poi l'azione sindacalista, finché la Russia non vibrò il primo colpo nel 1917. Presentemente io non ho sott'occhio che gli articoli da lui scritti sulla guerra nella forma in cui vennero pubblicati in Freedom (Londra, 1914-1916). La sua opera e gli effetti di essa


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dovrebbero studiarsi in Reveil-Risveglio (Ginevra), Cronaca Sovversiva di L. Galleani (in seguito trasferita dall'America a Torino) , Libertaire e Vie Ouvrière (Parigi) e nei giornali italiani. Fra questi ultimi anche il quotidiano Avanti, benché socialista, contiene utili informazioni per il fatto che un gran numero di socialisti organizzati e di sindacalisti condivisero, almeno in parte, le opinioni di Malatesta sulla guerra, sebbene, per legami di partito e per altre considerazioni, si astenessero da qualsiasi azione veramente efficace. Umanità Nova dell'8 settembre 1920 annunziò la preparazione d'una ristampa di tutti gli scritti dell'agitatore sulla guerra e di ciò che di lui venne pubblicando in Ancona durante il conflitto (ib. 26 sett. 1920; veggansi anche gli articoli comparsi il 29 agosto, il l.o sett. (non firmato), l'8 sett. (firmato), ed il numero del 26 agosto). Gli anarchici hanno dimenticato i loro principi è il titolo di un articolo di Malatesta pubblicato in Freedom nel novembre del 1914. L'articolo incomincia così : "A costo di passare per un semplicione, confesso di non aver mai creduto possibile che i socialisti — neppure i socialdemocratici — avrebbero plaudito e partecipato volontariamente, dalla parte sia dei tedeschi sia degli alleati, ad una guerra del genere di quella che devasta ora l'Europa. Ma che dire quando altrettanto fanno gli anarchici, non molti, è vero, ma di quelli che più amiamo e rispettiamo fra i nostri compagni?" Non tenterò di riassumere i suoi argomenti,


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perchè essendomi proposto di occuparmi dei fatti della sua vita, non posso soffermarmi ad esporre dettagliatamente le sue idee. Mi limiterò, pertanto, a riprodurre il brano seguente, da cui il lettore può apprendere come egli considerasse la situazione alla fine di ottobre del 1914. . . . ."Pur giudicando per quel che valgono "il cane arrabbiato" di Berlino ed "il boia" di Vienna, io non ho maggiore fiducia nello czar sanguinario, nè nei diplomatici inglesi che opprimono l'India, che tradirono la Persia, che schiacciarono le repubbliche boere; nè nella borghesia francese, che massacrò i marocchini ; nè in quella del Belgio, che permise le atrocità del Congo, traendone lauti guadagni — e mi sono limitato a citare a caso alcuni dei loro malefatti, senza menzionare quello che tutti i governi e tutte le classi capitaliste fanno contro i lavoratori ed i ribelli nei loro paesi. "A mio modo di vedere la vittoria della Germania significherebbe certamente il trionfo del militarismo e della reazione; ma il trionfo degli alleati condurrebbe ad un dominio russoinglese (vale a dire knut-capitalista) in Europa ed in Asia, alla coscrizione ed all'incremento dello spirito militarista in Inghilterra e ad una reazione clericale e forse monarchica in Francia. "Io ritengo, inoltre, che assai probabilmente nè l'una parte nè l'altra riporterà una vittoria decisiva. Dopo lunga guerra, dopo perdita di vite e di ricchezze, l'esaurimento dei combattenti obbligherà a concludere una pace qual-


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siasi, che lasciando insolute tutte le quistioni aprirà la via ad un nuovo conflitto più micidiale di quello presente. "Unica speranza è la rivoluzione e poiché credo che da una Germania sconfitta partirebbe con ogni probabilità la rivoluzione, per questo motivo — e per questo soltanto — desidero la sconfitta della Germania".... Questo articolo è forse identico ad uno pubblicato nelTAvanti! (Milano) e seguito da una lettera (dicembre 1914) che Malatesta riprodusse in Umanità Nova (8 sett. 1920). L'autore 4 spiega perchè i rivoluzionari, pur desiderando la sconfitta della Germania, non debbano aiutare i governi capitalisti a vincere la guerra. Egli dice : "Ma per coloro che mettono al di sopra di tutto la causa della libertà, della giustizia, della fratellanza umana non vi può essere dubbio alcuno : in mezzo allo scatenarsi delle più feroci passioni, quando le masse inconscie si lasciano trascinare dalle malvagie suggestioni delle classi privilegiate a scannarsi tra fratelli, essi debbono più che mai invocare la pace tra gli oppressi e la guerra agli oppressori, ed evitare ogni transazione, ogni dedizione ai propri avversari" (La lettera è una risposta a Mussolini, il quale aveva detto che poiché Malatesta riteneva che la sconfitta della Germania avrebbe potuto determinare la rivoluzione, egli doveva convenire che era necessario aiutare i governi dell'Intesa a battere la Germania.) Quando l'Italia dichiarò la guerra all'Austria (Maggio 1915),


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Malatesta pubblicò in Freedom (giugno) il seguente articolo intitolato: "Anche l'Italia"!: "Avevamo sperato che i lavoratori d'Italia avrebbero potuto restistere alle classi governative ed affermare fino all'ultimo la propria fratellanza coi lavoratori di tutti i paesi, perseverando nella lotta contro gli sfruttatori e gli oppressori, per la emancipazione del genere umano. Il fatto che la grande maggioranza dei socialisti e dei sindacalisti e tutti gli anarchici (tranne pochissimi) si schierarono compatti contro la guerra, unito all'evidente disposizione delle masse, aveva fatto sorgere in noi la speranza che l'Italia sarebbe sfuggita al massacro ed avrebbe conservato intatte le sue forze per le opere di pace e di civiltà. "Ma, ohimè! no. Anche l'Italia è stata trascinata al macello. Gli stessi italiani che, oppressi ed affamati nel loro paese di nascita, sono costretti a procurarsi il pane in terre lontane ; gli stessi italiani che domani dovranno, per la fame, emigrare di nuovo, uccidono ora e si lasciano uccidere in difesa degli interessi e delle ambizioni di coloro i quali negano loro il diritto di lavorare e di condurre una vita decente. "E' sorprendente ed umiliante il constatare con quanta facilità le masse possano essere ingannate dalle più grossolane menzogne ! Durante tutti questi tristi mesi i capitalisti italiani hanno continuato ad arrichirsi vendendo a prezzi enormi alla Germania ed all'Austria un'immensa quantità di prodotti utili alla guerra. Il governo italiano ha tentato di vendere


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la sua neutralità agli imperi centrali in cambio di nuovi dominii pel re savoriardo. Ed ora, poiché non ha potuto ottenere tutto ciò che voleva ecl ha trovato vantaggioso unirsi agli alleati, parla con impudenza incredibile, atteggiandosi a cavaliere errante di difesa della civiltà e del "povero Belgio". Eppure la maschera è assai trasparente. Esso che va alla guerra per la liberazione del popolo dal giogo straniero e tenta di infiammare i giovani colle glorie della lotta italiana contro la tirannia austriaca; ed in pari tempo tenta di sottomettere colla forza gli arabi di Tripoli, vuol conservare le isole greche "provvisoriamente" occupate al tempo della guerra colla Turchia, domanda territori e privilegi in Asia Minore, occupa una parte dell'Albania, che certamente non può dirsi italiana, e pretende di annettersi la Dalmazia, dove gli italiani rappresentano soltanto una piccola minoranza della popolazione. In fatto esso avanza diritto su ogni paese che ha, o crede di avere, la forza di prendere e tenere. Un territorio dovrebbe appartenere all'Italia perchè fu una volta conquistato dagli antichi romani, un altro perchè lo fu dai veneziani, un altro perchè è abitato da molti emigrati italiani, un altro perchè è necessario per la sicurezza militare; tutti gli altri paesi del mondo perchè possono essere utili allo sviluppo del commercio italiano" Dalla notizia dell'arresto di molti anarchici Malatesta trae la convinzione che essi rimangano fedeli alla loro bandiera fino all'ultimo e,


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cosa ancor più importante, che il governo tema la loro influenza sulle masse, e conclude: "Tutto ciò ci da l'assicurazione che non appéna la febbre dell', guerra si sarà calmata noi potremo incominciare di nuovo la nostra guerra — la guerra per la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza del genere umano — ed in migliori condizioni di prima, perchè il popolo avrà avuto una nuova esperienza e quanto terribile ! Dai governi non può attendersi che ingiustizia, miseria ed oppressione e, a guisa di cambiamento, un massacro colossale. Il patriottismo, il nazionalismo, la rivalità di razza non sono che dei mezzi per ridurre in schiavitù i lavoratori; la loro salvezza sta nell'abolizione del governo e del capitalismo." Malatesta firmò anche il Manifesto Anarchico Internazionale sulla guerra (riprodotto in Freedom marzo 1915) e firmato da Léonard Abbott, Alexander Berkman, L. Bertoni, L. Bersani, G. Bernard, G. Barrett, A. Bernardo, E. Bondot, A. Calzitta, Joseph J. Cohen, Henry Combes, Nestor Ciele von Diepen, F. W. Dunn, Ch. Frigerio, Emma Goldman, V. Garcia, Hippolite Havel, T. H. Keell, Harry Kelly, J. Lemarie, E. Malatesta, H. Marques, F. Domela Nienwenhuis, Noel Panavich, E. Recchioni, G. Rijunders, J. Rochtchine, A. Savioli, Aò Schapiro, Villiam Schatoff, V. J. C. Schemrehorn, C. Trombetti, P. Vallina, G. Vignati, Lillian G. Woolf, S. Yanowsky. Dopo la pubblicazione del così detto "Manifesto dei Sedici" (28 febbraio; una ristampa,


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Losanna, "Libre Federation", maggio 1916, 8 pp. in 16.o, contiene altre adesioni), Malatesta scrisse l'articolo "Anarchici di governo" (Freedom, aprile 1916), di cui fu stampata segretamente un'edizione in francese dal titolo : "Rèponse de Malatesta au manifeste des seize anarchiste de Gouvernment (7 pp. in-160.) ; in esso si fa parola anche in Um. Nova, 26 agosto, 8 set. 1920. L'articolo incomincia con qusete parole: "In questi giorni è apparso un manifesto firmato da Kropotkin, Grave, Malato e da una dozzina di altri vecchi compagni, i quali, facendo eco ai fautori dei governi dell'Intesa che chiedono una lotta ad oltranza e lo schiacciamento della Germania, si dichiarano contrari a qualsiasi idea di "pace prematura" "Gli anarchici — dice Malatesta — hanno il dovere verso sè stessi di protestare contro questo tentativo di implicare l'anarchia nella continuazione di un massacro feroce che non ha mai dato alcun affidamento di arrecare il più piccolo vantaggio alla causa della giustizia e della Libertà, e che ora si addimostra inutile perfino alle classi dominanti dell'una o dell'altra parte combattente" Delle conclusioni mi limito a riprodurre una parte: . . "La linea di condotta degli anarchici è nettamente segnata dalla stessa logica delle loro aspirazioni. "La guerra avrebbe dovuto essere impedita attuando la rivoluzione, o quanto meno incu-


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tendo nei governi il timore della rivoluzione, ma sono mancate o la forza o l'abilità. "Non vi è che un rimedio: far meglio in avvenire. Più che mai dobbiamo evitare il compromesso, approfondire l'abisso che separa i capitalisti dagli schiavi dei salari, i dominatori dai dominati ; predicare l'espropriazione della proprietà privata e la distruzione degli Stati come il solo mezzo per garantire la Fraternità dei popoli e la Giustizia e la Libertà per tutti ; dobbiamo prepararci a compiere tutte queste cose. Nel frattempo mi sembra criminoso qualsiasi atto che tenda a prolungare la guerra, che massacra uomini, distrugge ricchezze ed ostacola la ripresa della lotta per l'emancipazione. Mi sembra che predicando la "guerra ad oltranza" non si faccia altro che il giuoco del governo tedesco, il quale inganna i suoi sudditi ed infiamma il loro ardore alla lotta persuadendoli che i nemici vogliono schiacciare e rendere schiavo il popolo tedesco.. Un evviva ai popoli, a tutti i popoli!" Sebbene io non abbia potuto consultare gli scritti di Malatesta durante gli anni 1917, 1918, 1919, nondimeno vi è tale omogeneità fra gli articoli del 1914-16 e quelli comparsi in Umanità Nova nel 1920 che non è difficile indovinarne il contenuto. Egli accolse certamente con piacere la notizia della rivoluzione russa del 1917 ed ancor più quella del carattere socialista che andò assumendo col trionfo del cosi detto bolscevismo nel novembre dello stesso anno. Senonchè, pur esigendo pei russi la libertà *


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di elaborare il loro tipo di socialismo e protestando contro Tintromissione dei capitalisti occidentali, non potè certamente accettare con entusiasmo il comunismo autocratico, che egli dovè considerare come un pericolo nell'avanzata del proletariato europeo, che incominciava appena a riaversi dalla febbre del nazionalismo. Questa convalescenza dalla lue nazionalista fu probabilmente più rapida in Italia che altrove, giacché i partiti avanzati italiani avevano, specialmente nell'animo e nella mentalità dei gregari, se non di tutti i capi, resistito ottimamente alle seduzioni patriottiche dell'ora. Tal fatto e gli avvenimenti russi favorirono l'idea del fronte unico rivoluzionario, idea che gli anarchici hanno sempre accarezzato, ma che perdette ogni base realistica durante i molti anni in cui i socialisti scientifici "dimostrarono" la puerile assurdità di rivoluzioni e predicarono le teorie dei metodi parlamentari come unica via per ottenere ogni cosa. L'esempio russo aperse loro gli occhi, convincendoli del fatto che dopo tutto le rivoluzioni sono possibili. In altre parole i capi del partito socialista non poterono più nascondere ai loro aderenti la possibilità di rivoluzioni, nè poterono impedir loro di paragonare l'attitudine inconcludente assunta dai "leaders" all'opera espletata da Malatesta e da altri durante tutto il corso della vita in prò della rivoluzione. Ne conseguì che verso Malatesta andarono convergendo le forze dei partiti avanzati ed egli rispose dedicando tutta l'energia rimastagli — nel 1919 aveva 66


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anni — ad un tentativo concorde nella giusta direzione. In questo senso egli parlò in un comizio della sezione londinese del partito socialista italiano convocata per celebrare le vittorie socialiste nelle elezioni del 16 novembre 1919. L'Avanti (l'articolo è riprodotto in Vie Ouvriére del 2 gennaio 1920) riferisce le seguenti parole di Malatesta : "Alcuni anni fa io avrei rifiutato di assistere ad un comizio indetto per celebrare una vittoria elettorale, ma oggi le quistioni che ci uniscono sono più numerose di quelle che ci separano. "In quest'ora critica in cui tutte le forze della reazione lottano per sopprimere la rivoluzione, vorrei che tutte le forze rivoluzionarie marciassero unite e compatte contro il comune nemico.... Anarchia significa libertà ; l'ideale anarchico non può realizzarsi che colla violenza. Gli anarchici non domandano che la libertà pei popoli di scegliersi il sistema che preferiscono." (Queste idee si trovano più ampiamente svolte in Umanità Nova, 1920. Confr. XVIII). • Malatesta era animato da queste idee allorché ritornò in Italia. Le vicende russe lo convinsero — io credo — di due fatti: l'uno che quando masse considerevoli sono decise e realizzare il comunismo autocratico, possono vibrare un colpo al capitalismo, ma non riescono a creare nulla di efficace, di permanente, nulla che sia suscettibile di generalizzazione; l'altro che gli anarchici possono collaborare coi socialisti »


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per l'abbattimento iniziale del capitalismo, ma debbono poi essere lasciati liberi di realizzare i propri ideali. Egli previde che i "leaders" socialisti non avrebbero mai aderito sinceramente a queste idee, ma l'entusiasmo della massa li costrinse in quell'occasione a non contrastarle. Ad ogni modo qualunque fosse il suo giudizio personale sulla situazione, egli non poteva non rispondere agli appelli che gli giungevano con sempre crescente entusiasmo ed insistenza e ritornò in Italia. %


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CAPITOLO DECIMOTTAVO RITORNO IN ITALIA

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XVIII.

RITORNO IN ITALIA (FINE DEL 1919). MALATESTA ED UMANITA' NOVA (MILANO), 1920. Ai cinquanta anni di costante progresso dell'anarchia in Italia corrisponde l'avanzata dal sud al nord dei centri di attività di Malatesta. Come ho già accennato, al romantico Castel del Monte del 1874 seguono i villaggi più realistici di Monte Matese nel 1877, quindi una storica capitale (1883), poi l'attivo porto commerciale di Ancona (1897, 1913), ed infine la capitale industriale d'Italia, Milano (1919), la città in cui nacque ed è ancor forte il socialismo legalitario, ma dove, in pari tempo, l'anarchia ha piantato salde radici fin dai giorni di Pietro Gori e di altri, or sono trenta anni. A Milano, che aveva visto sorgere ottimi periodici, come II Grido della Folla e Protesta Umana (fra il 1902 ed il 1911 o poi), un piccolo gruppo di compagni concepì l'idea di pubblicare un quotidiano anarchico. Il congresso anarchico tenutosi a Firenze nel marzo del 1919


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diede la sua approvazione, così che il l.o giugno potè iniziarsi il lavoro preparatorio. Come leggesi in Um. Nova del 28 agosto 1920, alla fine di gennaio di quell'anno si erano raccolte 200,000 lire ed a capo di un anno le sottoscrizioni ammontavano a quasi mezzo milione. (*) Queste somme erano rappresentate da piccole contribuzioni, quasi tutte individuali, da parte di un numero grandissimo di compagni, molti dei quali residenti all'estero. Il primo numero di Um. Nova, che si sarebbe dovuto pubblicare il 24 gennaio 1920, non uscì prima del 27 febbraio; il 31 dicembre si era al 26.o numero. Il prezzo della carta rappresenta ancora oggi una difficoltà enorme (fino a 550 lire si sono dovute spendere per carta che prima costava non più di 30.) Il governo, dal canto suo, non trascura alcun mezzo per costringere il giornale ad abbandonare del tutto le pubblicazioni. Il 27 marzo i minatori di Valdarno telegrafarono al governo minacciando di sospendere l'estrazione della lignite se all'Umanità Nova fosse stata negata la carta. Il giorno dopo, in seguito ad urgente telegramma, la carta giunse. Questo è il giornale che Malatesta fu chiamato a dirigere. Il viaggio da Londra a Milano venne ostacolato in ogni maniera da tre governi, sebbene l'agitatore avesse il diritto di ritornare liberamente nel suo paese per effetto di un'amnistia Dal febbraio 1920 al febbraio 1921 furono sottoscitte 800,000 lire, oltre alle 170,000 lire raccolte prima del febbraio del 1920 (Um. Nova, 27 febb. 1921).


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promulgata in Italia. Soltanto nell'autunno del 1919, al tempo delle elezioni, quando in molti comizi si domandò con insistenza il ritorno di Malatesta, questi ricevè graziosamente il passaporto dalle mani dei funzionari italiani in Londra. Fu allora la volta della Francia, che negò l'autorizzazione di passaggio attraverso il territorio della repubblica. In quell'occasione egli così scriveva all'Avanti (vegg. Vie Ouvriére, 12 die.) : "Le autorità francesi mi negano il permesso di passare attraverso la Francia perchè venni espulso da quel paese soltanto 40 anni fa (1879) — per avere smascherato, in un pubblico comizio tenuto a Parigi, una spia del consolato italiano che aveva incitato dei giovani a lanciare bombe". Non rimaneva che la via del mare. Ma il governo inglese (vegg. Cronaca Sovversiva, Torino, nel riassunto in Vie Ouvrière del 13 febbraio 1920) proibì a tutti i capitani di bastimento di prenderlo a bordo. In seguito a questo divieto l'agitatore si vide respinto da un vapore greco su cui avrebbe dovuto imbarcarsi l'il dicembre. Allora il capitano Alfredo Giulietti, segretario della Federazione Italiana dei Lavoratori del Mare, di Genova, si recò a Londra e lo fece salire, dopo averlo munito di false carte di imbarco, su di una nave carboniera delle ferrovie italiane in partenza da Cardiff. Solamente sette ore dopo l'uscita della nave dal porto si venne a sapere, con un messaggio radiografico, che Malatesta era a bordo. Ma egli era già al sicuro e procedè, così, alla volta di Genova. La Federazio-


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ne dei Lavoratori del Mare è un'organizzazione assai moderata. Il suo segretario, Giulietti, è un repubblicano che per Garibaldi, che fu anch'egli marinaio, professa culto ardente. Nel recarsi in aiuto di Malatesta egli volle dimostrare tutta la simpatia che provava per un uomo coraggioso, che tutti i governi si erano uniti per tener lontano dal suo paese. Veggasi, a tale proposito, Umanità Nova del 29 ottobre (comunicato dell'organizzazione sull'arresto di Malatesta) ed i numeri del 16 sett. e del 22 ott. Quando la nave carboniera entrò nel porto di Genova tutti i piroscafi fecero il saluto, i lavori vennero sospesi e l'intera popolazione operaia accolse festante l'agitatore al suo passaggio. A Torino, a Milano, a Bologna Malatesta ebbe accoglienze non meno calorose. Per molti mesi la sua presenza venne salutata dall'accorrere di uomini e donne appartenenti alle sezioni avanzate. Allorché un anno dopo (Um. Nova, 28 dicembre 1920, articolo Ora è un anno ! . . . ) vennero richiamati alla memoria questi giorni si disse, a rao' di spiegazione, che molti avevano creduto e sperato che nella persona di Malatesta fosse ritornato tra loro un capo, un salvatore, un liberatore. Fors'anco la coscienza popolare, satura della vecchia leggenda garibaldina e del recente culto leniniano, aveva intraveduto in Malatesta il Garibaldi socialista od il Lenin italiano. Questo malinteso, frutto del culto di autorità che è proprio di tutti i partiti avanzati, eccetto l'anarchico, è veramente tragico. Malatesta era disposto a


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qualsiasi sacrificio, ma non ad afferrare il potere. Anche se gli avessero deposto ai piedi la dittatura, egli non l'avrebbe raccolta. Il popolo, in attesa di un segnale, di un ordine che non venivano e non potevano venire, si limitava ad applaudire ed a ritornare alle proprie case. La minima iniziativa popolare avrebbe messo in moto la valanga ed un nuovo capitolo di storia sarebbe probabilmente incominciato. Ma così non doveva essere. (E' superfluo dire che queste impressioni sono mie, vale a dire di uno straniero lontano dal teatro degli avvenimenti, che possiede un materiale troppo limitato per potersi formare un'opinione esatta. Precisare il tempo in cui nel 1920 il movimento raggiunse la massima intensità è assai difficile e anche se fossi in grado di farlo, me ne asterrei. Se qualche cosa dico, lo faccio unicamente perchè so di poter esprimere null'altro che opinioni individuali.) Umanità Nova, (*) essendo quotidiana, differisce necessariamente dai periodici settimanali cui Malatesta collaborò assiduamente sin dal 1883. Per questo fatto e per la grande estensione del movimento egli non era più in grado di attendere personalmente al disbrigo di tutto il lavoro, alla lettura di migliaia di notizie provenienti giornalmente da ogni parte, notizie (*) Non ho mai letto i primi 95 numeri di Umanità Nova (tutti anteriori al 19 giugno 1920) e dei seguenti alcuni non mi sono pervenuti. Interessanti commenti sul giornale trovansi in Vie Ouvrière, 19 marzo 1920) (art. di acques Nesmil) e nel Libertaire del 28 marzo.


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di cui si doveva fare una accurata, per quanto rapida, scelta. In nessun altro paese forse, ad eccezione dell'Irlanda, si sono mai svolti tanti atti di malcontento popolare quanti ne occorsero in Italia nei primi 9 o 10 mesi del 1920. Dimostrazioni di solidarietà, scioperi generali da un lato, sanguinose repressioni dall'altro, si susseguirono senza interruzione. La furia dei fascisti si sfogava sugli amici del popolo con incendi ed assassini commessi con crescente brutalità. Queste scintille e questi piccoli incendi avrebbero potuto far scoppiare la grande conflagrazione. Invece non solo ciò non avvenne, ma i tumulti verificatisi qua e là nel 1920 e negli anni precedenti contribuirono, probabilmente, a tenere in vita il presente stato di cose, giacché uno dei metodi per governare l'Italia consisteva nello spargere il terrore in una località dopo l'altra per mezzo di feroci repressioni, in modo da fiaccare prematuramente le energie locali. Siamo nel periodo più intenso della lotta. Alla redazione del giornale affluiscono di continuo notizie riguardanti simili violenze e l'opera indefessa di propaganda. Le discussioni e le polemiche si susseguono, particolarmente con quelli che cadono sotto la suggestione del comunismo. Malatesta deve lasciare tutto questo lavoro ad altri e limitarsi a scrivere articoli e note in cui si occupa a preferenza di avverarsi nei quali riconosce la buona fede. La calma, la franchezza, l'acume e l'onestà scrupolosa che lo scrittore spiega in queste polemiche, in cui,


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oltre l'occasionale fine umorismo risalta tutta l'esperienza dell'uomo, serviranno ad illuminare in tempi più o meno lontani un lato del carattere di questo agitatore, il quale argomenta con tanta imparzialità con i suoi avversari. A volte egli ritorna sulle sue vecchie idee, specialmente in quanto possono applicarsi alla situazione attuale, la medesima che tutti gli anarchici, quando acquisteranno la forza che presentemente hanno in Italia, saranno chiamati a fronteggiare dappertutto. (L'articolo Le Due Vie, pubblicato il 5-15 agosto 1920, è ristampato sotto forma di opuscolo, 15 pp. ; Fra Contadini viene diffuso a decine di migliaia di copie; In tempo di elezioni e L'Anarchia sono parimenti ristampati). Alcuni brani dei suoi ultimi articoli, scritti immediatamente prima e durante l'occupazione delle fabbriche da parte degli operai mettallurgici, possono servire ad illustrare lo spirito della sua propaganda. Fra anarchici e socialisti (Um. Nova., 25 agosto 1920; polemica con la Giustizia, di Reggio Emilia, il vecchio periodico socialista moderato) Malatesta dice : . . . . "Ma quante volte dobbiamo dunque ripetere che noi non vogliamo imporre niente a nessuno; che non crediamo nè possibile nè desiderabile il fare il bene della gente per forza, e che tutto quello che vogliamo si è che nessuno imponga a noi la volontà sua, che nessuno possa imporre agli altri una forma di vita sociale che non sia liberamente accettata? "In verità i veri evoluzionisti siamo noi, »


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in quanto vogliamo conquistare per la società umana la possibilità di evolvere liberamente, in quanto vogliamo distruggere quell'organismo di violenza o di sfruttamento che strozza ogni libera manifestazione dell'iniziativa individuale e collettiva e svia, violenta ed arresta l'evoluzione naturale nell'interesse di coloro che attraverso alla storia sono riusciti ad impossessarsi del potere e della ricchezza sociale. "Noi siamo comunisti perchè crediamo che il comunismo è la forma di organizzazione sociale che meglio garantisce la libertà individuale ed il benessere collettivo. "Ma pensiamo che il comunismo imposto colla forza sarebbe la più esosa tirania dello spirito di libertà nel ritorno all'individualismo borghese. "Quello che vogliamo fare per forza è l'espropriazione di coloro che detengono i mezzi di produzione e costringono i diseredati a lavorare a loro vantaggio, e naturalmente la distruzione del potere governativo, senza la quale non sarebbe possibile nè l'espropriazione nè la susseguente riorganizzazione sociale a vantaggio di tutti e secondo la volontà varia e variabile degli interessati. "Abbattuto il governo, conquistati per tutti i lavoratori i mezzi di produzione, impedito che un nuovo governo venga ad imporre le proprie leggi ed a creare una nuova classe privilegiata, la rivoluzione andrà sviluppandosi secondo le linee che saranno tracciate dalle necessità pratiche e man mano modificate dalla libera esperimenta-


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zione. Intanto la rivoluzione darà immediatamente quello che potrà dare, cioè quello che le masse (e nelle masse sono compresi gli uomini di idee, i propagandisti, gli intellettuali, i tecnici etc.) saranno capaci di fare col sistema del più largo federalismo topografico e funzional e . " . . . . Nell'articolo seguente, intitolato: Insurrezione, Libertà e Dittatura (27 agosto), Malatesta polemizza col comunista Andrea Viglongo, (il quale aveva scritto nell'Avanti di Torino). . . . . "Dopo la vittoria insurrezionale bisognerà attrarre e difendere la rivoluzione: d'accordo. Ma i pericoli cui va incontro una rivoluzione non vengono solo, nè principalmente, dai reazionari, che cospirano per la restaurazione ed invocano l'intervento straniero; vengono pure dalla possibilità di degenerazione della rivoluzione stessa, vengono dagli arrivisti, da coloro che, essendo o essendo stati rivoluzionari, conservano nullameno una mentalità ed una sentimentalità borghese e cercano volgere la rivoluzione verso fini tutt'altro che ugualitari e libertari. "Se si crede che il proletariato sia incapace di difendersi dai reazionarii, dagli ex-borghesi senza sottoporsi ad una dittatura, che poi, con un nome o con un altro, sarebbe necessariamente una dittaura militare, bisogna anche ammettere che esso è incapace di resistere alle sue conseguenze reazionarie. Ed allora, addio rivoluzione !" "Se il proletariato lascerà mettersi sul


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collo una dittatura, coirillusione che questa farà i suoi interessi, gli succederà quello che avvenne al cavallo della favola, il quale per meglio correre dietro al cervo, si fece mettere sella e m o r s o . . . . e restò schiavo dell'uomo. "La dittatura comincerà col costituire un corpo armato al suo servizio, il quale potrebbe anche essere utile per la difesa contro le possibili invasioni e i possibili tentativi reazionarii, ma avrà per missione essenziale quella di imporre ai ricalcitranti la volontà dei dittatori e prolungare al più possibile la loro permanenza al potere. Esso affiderà tutte le pubbliche funzioni ad uomini ligi, darà posizioni privilegiate ai propri amici, e creerà un classe di militari professionali e di burocratici, che sosterrà il governo che l'ha creata o, quando occorra la sostituirà con persone che non abbiano nessuna macchia d'origine rivoluzionaria. Dopo, i salari elevati, le posizioni vantaggiose, la possibilità di profittare delle cariche governative meneranno alla ricostituzione della proprietà individ u a l e . . . . e saremo da c a p o . . . . " . . . . "Se i comunisti vogliono cooperare con noi o, se preferiscono, vogliono accettare la nostra cooperazione per la rivoluzione e per l'atto insurrezianole, noi siamo sempre pronti. Dopo l'insurrezione vittoriosa, se vorranno lasciarci la nostra libertà, potremo ancora intenderci perchè ciascuno compia il proprio esperimento con il meno d'attriti possibili — se no penseremo noi a farci rispettare. "Se invece i comunisti mettono come condi-


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zione della cooperazione cogli anarchici l'accettazione del loro programma e la sottomissione al loro partito, quando sarà costituito, allora è meglio non parlarne più e fare ciascuno da se •••• Ancora su Comunismo e Anarchia: . . . . "In comunismo, secondo la formula classica, ciascuno dà secondo le sue capacità e ciascuno riceve secondo i suoi bisogni. "Provatevi un pò ad applicare questa formula autoritariamente, per mezzo di leggi e decreti emanati da un governo ed imposti colla forza! "Quel'è la misura della capacità d'un uomo e chi può giudicarne? Qual'è il limite dei bisogni ragionevoli e chi può determinarlo ed imporlo ? "Le facoltà degli uomini variano grandemente e così pure i bisogni. Variano da località a località, da professione a professione, da individuo a individuo, da momento a momento. Come sarebbe nossibile, pensabile, una regola applicabile a tu-'ì? E chi sarebbe il genio, il Dio, che potrebbe dettar quella formula? "E' possibile un redime da caserma, in cui l'individuo è soffocato, in cui nessuno è soddisfatto, in cui l'uguaglianza è formale, apparente, ma vige in realtà la più esosa e la più stupida delle disuguaglianze ; ed ancora la caserma può resistere solo perchè i capi, coloro che sono riusciti ad imporsi si sottraggono alla regola comune e dominano e sfruttano la massa. Ma non è possibile una società comunistica se essa non sorge spontanea dal libero accordo,


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se essa non è varia e variabile come la vogliono e la determinano le circostanze esteriori e i desideri, la volontà di ciascuno. "La formula classica che abbiamo citata può sussistere solo se si interpreta coll'altra : ciascuno da e prende ciò che vuole. Ciò suppone l'abbondanza e l'amore . L'abbondanza non si accresce, anzi si diminuisce, col lavoro forzato, che mette in opposizione di interessi e di sentimenti il lavoratore che eseguisce con colui che concepisce e dirige. L'amore, lo spirito di fratellanza, la disposizione a transigere, a tollerarsi, a sopportarsi non si crea e non si sviluppa certamente per mezzo di leggi o per opera di gendarmi. "Il comunismo per essere possibile, per essere davvero la comunione degli animi e delle cose e non già un ritorno alla schiavitù, deve sorgere localmente, tra gruppi affini, per la esperienza dei vantaggi materiali che procura, per la sicurezza che ispira, per la soddisfazione dei sentimenti di sociabilità, di cordialità che stanno nell'animo di ogni essere umano e che si manifestano e si sviluppano non appena cessa il bisogno di lottare contro gli altri per assicurare la propria vita e quella delle persone più care. "Il comunismo, insomma, deve essere nel sentimento prima di essere nelle cose. "Gli è come in una famiglia o in un gruppo di compagni che vivono insieme. Si vive in comunismo se ci si ama ed in proporzione di quanto ci si ama. Si dà dippiù a chi è più debole, a chi ha più bisogno, e ciascuno è lie-


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to c fiero di concorrere al benessere comune solo se vi è l'accordo, l'amore tra i membri del gruppo. Se subentra la forza, l'autorità, comincia subito la lotta d'interessi e la famiglia si dissolve. "I comunisti autoritari vogliono dire che l'autorità, il governo, la dittatura, è necessaria al principio "provvisoriamente", subito dopo l'insurrezione trionfante, per organizzare la società: dopo sarebbero disposti anche ad accettare l'anarchia* "E' piuttosto il contrario che sarebbe giusto. Quando la società comunistica fosse bene organizzata e funzionasse a soddisfazione di tutti in tutto il paese, allora la quistione dell'autorità non esisterebbe più, l'amministrazione delle cose condotta nell'interesse di tutti e col concorso di tutti non ammetterebbe alcun dominio dell'uomo sull'uomo. Ma quando invece si tratta ancora di render possibile e di organizzare il comunismo allora l'autorità è nefasta, perchè soffoca ogni spontaneità ed ogni varietà, perchè sottopone gli interessi degli individui e delle collettività a quelli della casta governante, perchè nella migliore delle ipotesi vorrebbe imporre colla forza quel bene che non può sussistere se non è liberamente voluto. "Il comunismo deve svilupparsi gradualmente quando lo permettono le circostanze esterne e lo sviluppo del sentimento morale. "Per giungervi, secondo noi, è necessario ed è sufficiente che tutti abbiano la libertà ed i mezzi di produzione : che nessuno


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possa imporre agli altri la propria volontà e nessuno possa obbligare gli altri a lavorare per lui. Ed è per realizzare queste condizioni che noi crediamo necessaria la rivoluzione violenta. Una volta abbattuto l'ostacolo materiale (il governo) che si oppone alla loro realizzazione, ogni violenza sarebbe inutile, dannosa, criminale." Maggioranze e minoranze (11 settem. 1920) : . . . . "Nessuno può giudicare in modo sicuro chi ha ragione o torto, chi è più vicino alla verità e quale via conduce meglio al maggior bene per ciascuno e per tutti. La libertà è il solo mezzo per arrivare, mediante l'esperienza, al vero ed al meglio: e non vi è libertà se non vi è la libertà dell'errore. "Per noi dunque bisogna arrivare alla pacifica e proficua convivenza tra maggioranze e minoranze mediante il libero accordo, la mutua condiscendenza, il riconoscimento intelligente delle necessità pratiche della vita colletiva e della utilità delle transazioni che le circostanze rendono necessarie. "Noi non vogliamo imporre a nessuno, ma non intendiamo sopportare imposizioni di alcuno. "Felicissimi di veder fare da altri quello che non potremo far noi, pronti a collaborare cogli altri in tutte quelle cose quando riconosciamo che da noi non potremmo far meglio, noi reclamiamo, noi vogliamo per noi e per tutti la libertà di propaganda, di organizzazione, di esperimentazione.


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"La forza bruta, la violenza materiale dell'uomo contro l'uomo deve cessare di essere un fattore della vita sociale. "Noi non vogliamo, e non sopporteremmo, gendarmi, nè rossi, nè gialli, nè neri. "Siamo intesi?" Il 26 settembre l'Avanti scrisse:.... "In Russia nel regime soviettistico, il partito dirige veramente tutta la politica dello stato e ogni attività pubblica, così dei sigoli come delle collettività, è subordinata alle decisioni del partito, sicché veramente la dittatura del proletariato è la dittatura del partito e conseguentemente dello stesso comitato centrale." Malatesta rispose (28 settembre) dicendo che secondo l'Avanti i dirigenti del partito socialista e del futuro partito comunista o dei sindacati moderati si sarebbero potuti considerare i dittatori del proletariato, ma che questo non sarebbe avvenuto, dappoiché gli anarchici ed i sindacalisti erano ancora presenti. Ed aggiunse: . . . . "Se noi stessimo nella stessa proporzione di forza coi socialisti in cui forse si trovano i nostri compagni in Russia, la cosa sarebbe semplice: i dittatori si sbarazzerebbero di noi coi mezzi cari a tutte le dittature, forche e galere, e andrebbero avanti fino a che non sarebbero buttati giù dalla rivoluzione o dalla reazione. "In conseguenza di che una rivoluzione fatta con criteri autoritari e con fini dittatoriali menerebbe in Italia necessariamente alla guerra tra rivoluzionari e rivoluzionari. "Questo non vorremmo noi, questo non do-


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vrebbero volere i socialisti. "Perciò teorie a parte e giudicando le cose con senso realistico, converrebbe ai socialisti di rinunciare ad ogni pretesa dittatoriale ed accettare il concetto libertario della rivoluzione : di una rivoluzione che si svolgerebbe variamente secondo le varie condizioni materiali e morali delle diverse regioni, dei diversi comuni, delle diverse corporazioni; che prenderebbe un colore diverso secondo il prevalere nei diversi luoghi, di un partito o dell'altro ; e che arriverebbe ad un fine comune per l'armonizzazione graduale degli interessi e delle volontà e non già per imposizioni arbitraria proveniente dall'alto. "Se i socialisti accettassero questo programma — libertà di tutti — molti sospetti reciproci sparirebbero, e potremmo cooperare oggi per abbattere il regime vigente ed aiutarci anche domani per un più felice sviluppo del divenire rivoluzionario." Pongo fine a queste citazioni riproducendo un brano in cui l'autore descrive l'azione anarchica all'indomani di una insurrezione anarchica condotta a buon fine mercè gli sforzi comuni dei partiti avanzati. Da Le Due Vie (agosto 1920, pp. 9-10) : "Ma dopo l'insurrezione vittoriosa, dopo che il governo è caduto, che cosa bisogna fare? "Noi anarchici, vorremmo che in ciascuna località i lavoratori, e più propriamente quella parte dei lavoratori che ha maggiore coscienza e maggiore spirito di iniziativa, pigliasse possesso di tutti gli istrumenti di lavoro, di tutta la rie-


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chezza, terra, materie prima, case, macchine, generi alimentari, ecc., ed abbozzasse il meglio possibile la nuova forma di vita sociale. Vorremmo che i lavoratori della terra, che oggi lavorano per dei padroni, non riconoscessero piĂš alcun diritto ai proprietari e continuassero ed intensificassero il lavoro per conto proprio e della collettivitĂ , trasformando subito quelle fabbriche che oggi producono cose inutili o dannose in produttrici delle cose che piĂš urgono per soddisfare i bisogni del pubblico; che i ferrovieri continuassero ad esercire le ferrovie ma per il servizio della collettivitĂ ; che comitati di volontari o di eletti dalla popolazione pigliassero possesso, sotto il controllo diretto della massa, di tutte le abitazioni disponibili, per elloggiare il meglio che per il momento si potesse, tutti i bisognosi; che altri comitati, sempre sotto il controllo diretto delle masse, provvedessero airapprovigionamento ed alla distribuzione dei generi di consumo ; che tutti gli attuali borghesi fossero messi nella necessitĂ di confondersi nella folla di coloro che furono proletari e lavorare come gli altri per godere gli stessi beneficii degli altri. E tutto questo subito, nel giorno stesso o nell'indomani immediato dell'insurrezione vittoriosa, senza aspettare ordini di comitati centrali o di qualsiasi altra a u t o r i t Ă " . . . . Ho dovuto necessariamente limitarmi a scegliere queste poche gemme del pensiero anarchico sparse negli scritti del 1920, che Malatesta compose sotto la pressione di un intenso


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lavoro, mentre gli avvenimenti incalzavano da ogni parte. Quando potranno essere esaminati nella loro interezza si troverĂ che gli articoli contengono idee della massima importanza per gli anarchici di ogni paese.


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CAPITOLO DECIMONONO L'OPERA DI MALATESTA IN ITALIA


XIX. L'OPERA

DI

MALATESTA

IN

ITALIA

DAL GENNAIO ALL'OTTOBRE D E L 1920

Dovrei ora fare una cronistoria dei viaggi di Malatesta, in Italia ed altrove, nei primi nove mesi e mezzo del 1920, dei suoi discorsi, della sua partecipazione a congressi ed a conferenze per dare un'idea dell'intensità del movimento, ma ciò non mi è possibile perchè non sono presentemente in grado di consultare i giornali da cui potrei attingere notizie dettagliate. Dappertutto si desiderava la presenza dell'agitatore ed egli si sottoponeva volentieri a qualsiasi sacrificio per accontentare i compagni ansiosi di ascoltare la sua parola. A Milano il personale dell'Umanità Nova insisteva perchè egli rimanesse ad attendere all'opera sua di direttore. Senonchè assai spesso l'agitatore doveva allontanarsi per assistere a comizi ed a conferenze. Quando la stanchezza ed il desiderio di quiete lo inducevano ad appartarsi, il suo rifugio non tardava ad essere scoperto ed egli non sapeva sottrarsi all'invito


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di prestare la sua collaborazione alla propaganda locale. Al congresso di Bologna si giunse ad approvare un ordine del giorno per esprimere il desiderio che Malatesta rimanesse a capo della redazione del giornale e per invitare i compagni a non disturbarlo nel suo lavoro. Malgrado ciò, pochi giorni dopo egli veniva trattenuto in Toscana. Occorse allora un appello diretto nel giornale per ottenere che i compagni non si opponessero al ritorno del direttore a Milano. Durante la discussione al congresso Malatesta dichiarò modestamente che la sua presenza nella redazione non era necessaria. Effettivamente Umanità Nova, dopo aver superato tutte le tempeste, procedeva ottimamente. Alla fine di gennaio le autorità fiorentine iniziarono le persecuzioni contro Malatesta, di cui ordinarono l'arresto in seguito ad un discorso che egli aveva pronunciato in un comizio. Non osando impadronirsi dell'agitatore in una grande città, attesero che fosse salito in treno e lo trassero in arresto nella piccola stazione di Tombolo, donde si affrettarono a tradurlo a Firenze in automobile, ammanettato. I compagni rimasti in treno ritornarono a Livorno e sparsero la notizia della cattura. Venne deciso immediatamente lo sciopero generale, che in poche ore si sarebbe certamente esteso a tutta l'Italia. Di fronte a questo pericolo il tribunale ordinò la scarcerazione dell'agitatore, riserbandosi di rinviarlo dinanzi alle Assise per il discorso che aveva causato l'arresto.


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Se non mi inganno, Malatesta ha trascorso nelle prigioni italiane e nelle isole circa cinque anni, di cui soltanto sette mesi in forza di una sentenza, ed il resto, — oltre quattro anni — in detenzione preventiva od in attesa di processi che non ebbero mai luogo. In esilio ha vissuto 36 anni, e di questi uno in prigione. In febbraio Umanità Nova iniziò le sue pubblicazioni. Il fatto che vi collaborano anarchici individualisti e comunisti costituisce un ottimo esempio di mutua tollerranza. Del resto il principio anarchico è assai comprensivo nei riguardi della sua base economica. A ciò si aggiunga il fatto che l'individualismo anarchico quale viene oggi esposto da C. Molaschi e da altri in Italia è in più grande armonia ed in più stretto contatto con il movimento generale di quello che non lo fossero il vecchio individualismo dottrininario o di rdtro genere. Le idee di Malatesta, esposte il 13 marzo, sono: cooperazione con tutti i partiti avanzati per schiacciare il sistema borghese e quindi difesa, anche colla forza, del "nostro diritto alla completa libertà di organizzazione autonoma e di esperimentazione dei nostri metodi. Il resto seguirà in proporzione della diffusione delle nostre idee." Egli ritiene che non sia neppur desiderabile che gli anarchici compiano la rivoluzione da soli, perchè ciò verrebbe fatalmente a collocarli nella posizione di classe dominante e li porrebbe in contraddizione colle loro idee


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e coi loro fini (riassunto da Le Libertaire, 28 marzo). In marzo od in aprile si discute già nel giornale dell'occupazione delle fabbriche e dell'idea di rimanervi per non correre poi, uscendo, il rischio di esserne esclusi; (veggansi brani in Vie Ouvrière, 16 aprile). Malatesta si rivolge sempre, in tutte le organizzazioni operaie, alla massa, perchè da questa, non già dai capi, deriva l'appoggio alla causa comune. "Il cpaitalista che sfrutta la massa non fa distinzione di partito; il poliziotto che fa fuoco non bada a quale organizzazione appartengono le vittime ; serva questo di lezione" (riassunto da Libertaire, 18 aprile). Il 22 aprile si tenne a Milano un immenso comizio all'aria aperta per esprimere la simpatia della classe operaia verso i tramvieri scioperanti (Malatesta offerse la solidarietà di uno sciopero generale, se i tramvieri lo avessero desiderato). Mentre, sciolto il comizio, la massa del popolo faceva ritorno in città, venne assalita dai poliziotti e dai nazionalisti, che apersero il fuoco sulla folla; cinque giovani operai rimasero uccisi e molti altri feriti. "Malatesta (come narrò egli stesso in U. N. il 25 giugno), mentre si recava verso il centro, si trovò improvvisamente di faccia ad una folla che fuggiva, intese fischiare le palle e si rifugiò in un portone. Che cosa avrebbe dovuto fare? farsi ammazzare per far piacere a loro signori? "Stiano pur tranquilli i signori fascisti.


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"Il giorno in cui crederemo di poter dare battaglia — quando lo crederemo noi, non quando lo crederanno loro — noi staremo al nostro posto e faremo tutti il nostro dovere. Il che non vuol dire che resteremo in mezzo alla strada a petto scoperto per farci uccidere stupidamente a soddisfazione di coloro che, ben sicuro, ci tireranno addosso dalle finestre. Noi ci faremo uccidere, se sarà necessario, ma non ci suicideremo. "Noi vogliam vincere... e vinceremo." Questo egli scrisse in risposta ai nazionalisti che gli rinfacciavano di essersi rifugiato in un portone, mentre altri "ex-combatte(nti" pronunciavano minacce di morte (vegg. U. N. 3 luglio). "Il nostro alto ideale non è violenza, ma è pace, è società di liberi e di eguali nella quale non siano più possibili nè conflitti, nè massacri. La violenza non è nostra, ma loro, della classe dirigente che opprime, che schiaccia, che massacra il più debole. Non rimane al proletariato altro mezzo che reagire violentemente alla loro violenza, e per debellare la violenza opporre piombo al piombo. "E noi giuriamo di vendicarli questi morti, ed il giorno della loro vendetta sarà quello in cui raggiungeremo il nostro grande ideale di redenzione umana." In quel tempo scoppiava in Ancona una rivolta di soldati che rifiutavano di partire per l'Albania. Sembrava allora che l'energia locale fosse •


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pressoché esaurita o andasse disperdendosi in movimenti isolati. E' da notare, inoltre, che i tentativi di agire collettivamente allo scopo di ottenere un'amnistia e la liberazione dei prigionieri politici e militari non erano secondati mediante azione diretta, nè erano facilitati dalla sincera collaborazione delle organizzazioni socialiste ed operaie, i cui capi, adottando la tattica della dilazione, aiutavano il governo a superare la difficile crisi. Il generoso appello di Malatesta che invitava a collaborare contro il comune nemico, rimase inascoltato. La politica dei capi delle organizzazioni consisteva nel guadagnar tempo, lasciare che l'entusiasmo svanisse ed isolare gli anarchici. In tutto ciò essi agirono nell'interesse del governo e della classe capitalista, dappoiché essi, i capi, preferiscono naturalmente l'attuale sistema, che tanto li apprezza come mediatori fra capitale e lavoro, ad un sistema rivoluzionario che li spazzerebbe subito via o li costringerebbe a lavorare ! Questa aristocrazia del lavoro, in verità assai poco numerosa di fronte alle masse che seguono Malatesta, non cessa mai dal praticare l'ostruzionismo ed - il sabottaggflo. Giolitti rimane sempre l'uomo del suo cuore. Tale era la situazione allorché dal l.o al 4 luglio 1920 si tenne a Bologna il secondo congresso dell'Unione Anarchica Italiana coll'intervento di Malatesta (per informazioni particolareggiate consultare Umanità Nova ed altri giornali). Malatesta riferì su di una dichiarazione di principii :


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"Espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a vantaggio di tutti ed abolizione del governo. "Ed aspettando che questo si possa fare : propaganda dell' ideale ; organizzazione delle forze popolari ; lotta continua, pacifica o violenta, secondo le circostanze, contro il governo o contro i proprietari per conquistare quanto più si può di libertà e di benessere per tutti." (U. N., 3 luglio). Nella discussione su di un patto di alleanza fra gli anarchici Malatesta trova la formula : "autonomia individuale limitata dall'obbligo di mantenere gli impegni presi." In riguardo al Fronte Unico egli dice : "se noi vogliamo la rivoluzione dobbiamo cercare l'aiuto di tutti quelli che vogliono la rivoluzione, poiché l'anarchia non si può fare se non le si sbarazza il terreno . . . . noi dobbiamo avvicinarci ai gregari e non ai capi. I gregari finiranno per venire con noi anche perchè i capi si svalorizzano da loro stessi." Il congresso approva e consiglia — al di fuori dei partiti e delle organizzazioni esistenti — la formazione, nelle singole località, di nuclei locali di azione tra tutti gli elementi che alla prima occasione prevista o prevedibile, si impegnano a scendere sul terreno dei fatti per abbattere con tutti i mezzi le attuali istituzioni. La proposta di relazioni anarchiche internazionali del genere di quelle formate al congresso di Amsterdam (1907) è approvata; la quistione di un congresso anarchico interna-


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zionale per la costituzione di una Internazionale Anarchica viene presa in esame (proposta di Binazzi e Boldrini). Binazzi e Boldrini presentano il seguente ordine del giorno: "Il congresso della U. A. I. visto che in certe località si obbligano i lavoratori ad entrare nelle organizzazioni sotto pena di non poter lavorare; ritenendo che tutti hanno diritto al lavoro e che le organizzazioni debbono essere il portato della crescente coscienza dei lavoratori e non già imposte colla forza; protesta contro questa violazione di libertà che poi risulta a danno delle organizzazioni stesse, perchè toglie loro ogni contenuto idealistico ed ogni spirito di lotta e costituisce un germe di dissoluzione in seno ad esse." Debbo omettere una discussione sulle organizzazioni socialiste nella quale Malatesta negò che gli anarchici fossero in cattiva armonia coll'Unione Sindacale Italiana; sostenne, anzi, precisamente l'opposto. Aggiunse che se egli aveva potuto far ritorno in Italia il merito doveva attribuirsi in gran parte all'azione della U. S. I., etc. (vegg. U. N., 10 luglio). L'U. S. I. è la grande organizzazione formata al congresso di Modena nel 1912; ne è segretario Armando Borghi ; il suo organo è La Guerra di Classe. Analoga ad essa è un'organizzazione moderata, la Confederazione Generale del Lavoro. La commissione di corrispondenza dell'Unione Anarchica Italiana risiede a Bologna; la dichiarazione di principii etc. è inserita nell'opu-


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scolo Programma Anarchico accettato al Congresso d e i r u . A. I. Il 12 luglio la polizia operò una perquisizione negli uffici del giornale, nelle stanze di Malatesta e nei locali dell'Unione Anarchica Milanese, di cui egli è membro, sotto il pretesto di una lotteria — che in verità non era stata mai indetta. (U. N., 15 luglio). La conferenza dei delegati delle grandi organizzazioni, promossa per liberare i detenuti politici, si inaugurò a Firenze il 15 agosto. Malatesta e Bonazzi vi rappresentavano la U. A. I. Non vale la pena riferire le tergiversazioni dei partiti moderati e dei loro capi per frustrare gli sforzi concordi e rinviare la quistione a tempo indeterminato. I convenuti rifiutarono di entrare in rapporto coi capi repubblicani a motivo dell'attitudine da questi assunta durante la guerra, ma non respinsero la solidarietà coi singoli lavoratori repubblicani. Questa attitudine venne da Malatesta spiegata in parecchi articoli già riprodotti. Nella discussione, dopo constatata l'insufficienza dei semplici scioperi, si decise di studiare nuovi e più efficaci mezzi di azione. Tali mezzi furono rivelati immediatamente agli occhi di tutto ' il mondo coll'occupazione delle fabbriche per opera dei metallurgici. La quistione dei prigionieri politici e quella dell'espressione di solidarietà colla Russia Rivoluzionaria furono di nuovo oggetto di discussione alla conferenza di Bologna che si tenne il 28 agosto, anche questa volta coll'intervento di


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Malatesta e di Bonazzi. Vi parteciparono, inoltre, i capi moderati. Alla chiusura il Partito Socialista Italiano firmò un manifesto, cui aderirono TUnione Anarchica Italiana, la Confederazione Generale del Lavoro e TUnione Sindacale Italiana, l'Avanti, l'Umanità Nova etc. (U. N., 31 agosto). Verso il 20 agosto gli operai metallugici iniziarono l'ostruzionismo nelle fabbriche. Alla fine del mese e nei primi di settembre si svolse il fenomeno nuovo e meraviglioso dell'occupazione delle fabbriche da parte degli operai, occupazione risoluta, efficace e completa. I lavoratori si tenevano pronti alla difesa armata e nel frattempo procedevano ai consueti lavori, come se il capitalismo non fosse mai esistito. I fatti più salienti di queste tre settimane sono cosi freschi nella memoria di tutti che è superfluo soffermarvisi ulteriormente. Umanità Nova pubblicò giornalmente articoli di supremo interesse, concepiti con eccezionale abilità, per richiamare l'attenzione sugli ammaestramenti da ricavarsi dall'azione quotidiana e per dar consigli basati sull'esperienza. Ben presto si comprese che il movimento, per quanto ampio, avrebbe dovuto, per riuscire appieno, estendersi dalle fabbriche ai produttori, agli importatori di materie prime, agli agricoltori che adoperano macchinario ; dalle associazioni cooperative e di altro genere, che raccolgono i prodotti del suolo, agli operai delle fabbriche, per attuare uno scambio di commestibili ed utensili; dalle fabbriche ai contadini russi i quali erano dispo-


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sti ad accettare strumenti di lavoro in cambio di grano, che avrebbero inviato se i marinai e gli operai addetti ai trasporti avessero insistito nell'attendere a questo genere di traffico invece di prestarsi a trasferire materiale da guerra e soldati per alimentare le guerre dei capitalisti e reprimere le rivoluzioni. Nulla di tutto ciò fu fatto, ma la lezione non verrà dimenticata. Come, del resto, poteva pretendersi che il congegno dell'espropriazione riuscisse perfetto al primo tentativo? I nemici e gli esitanti si affrettarono a sollevare l'obbiezione che l'Italia sarebbe stata bloccata e boicottata dagli onnipotenti stati capitalisti che hanno attualmente nelle loro mani i destini degli uomini, l'Inghilterra e l'America. Io credo, invece, che se in Italia fosse scoppiata una vera rivoluzione, queste due ultime cittadelle del capitalismo avrebbero avuto ben altro lavoro da fare, anche a prescindere dal fatto che il loro intervento in Russia si è dimostrato tutt'altro che un successo. Ad ogni modo, a parte la mia opinione personale, la quistione venne seriamente esaminata in articoli di "Epifane" pubblicati in Umanità Nova e ristampati col titolo Fattori economici pel successo della rivoluzione sociale (Milano 1920). In essi l'autore dimostrava che l'Italia aveva risorse sufficienti per resistere al boicottaggio ed al blocco. Malatesta (il quale verso la fine di agosto aveva pronunciato un discorso a Greco, presso Milano, dinanzi ad un uditorio numerossisimo, U. N., 2 agosto) visitava talvolta le fabbri-


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che occupate dagli operai. Di queste visite rUm. N. del 12 settembre pubblicò un vivace resoconto. E* superfluo dire che egli veniva entusiasticamente accolto dappertutto, "nelle trincee rosse", dove veramente esisteva il fronte unico, come notava il giornale. Egli esortava gli operai a non abbandonare il loro posto, per non tornare di nuovo schiavi. Senonchè egli non poteva non accorgersi che i lavoratori erano traditi dai loro capi, i quali, impressionati dalla piega degli avvenimenti, desideravano venire ad un accordo per sottrarsi alla minaccia di una vera rivoluzione. In pari tempo il vecchio agitatore ed i suoi amici non visionari comprendevano di essere troppo deboli per potere influire sulla grande massa. Malgrado tutto ciò, egli era forse oltremodo felice, giacché pensava che perfino il tradimento dei capi sarebbe stato un prezioso ammaestramento per l'avvenire. Egli si trovava allora, durante le sue visite, su suolo veramente libero, nella più grande città industriale d'Italia, nelle fabbriche da cui i capitalisti erano stati scacciati e dove i lavoratori erano animati da quello spirito di sincerità e di fratellanza che è indispensabile se si vuole essere veramente liberi. La sottomissione volontaria, la servitude volontaire di La Boetie, è il più valido sostegno della tirannide. Ben presto il tradimento si rivelò agli occhi di tutti. I capi, ricacciando nella schiavitù i liberi lavoratori, ritrassero, però, dall'opera loro un discredito ben maggiore dei guadagni che poterono realizzare col loro momentaneo sue-


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cesso. Traduco da Vie Ouvrière, 8 ottobre, un discorso di Malatesta agli operai delle fabbriche di Milano, articolo tolto da Umanità Nova: "Quelli che celebrano l'accordo firmato a Roma (tra la Confederazione ed i capitalisti) come una grande vittoria nostra si ingannano. La vittoria in realtà appartiene a Giolitti, al governo, alla borghesia, che si salvano dal precipizio in cui stavano per cadere. "La rivoluzione non è mai stata in Italia così prossima nè ha mai avuto tante probabilità di successo. La borghesia tremava, il governo era impotente a fronteggiare la situazione. La forza e la violenza non vennero adoperate perchè voi opponevate una forza superiore a quella del governo, perchè occupando le fabbriche, munendole per l'attacco e per la difesa come la guerra vi ha insegnato, avete dimostrato che avreste risposto alla violenza colla violenza e che non voi ma i vostri nemici erano questa volta in condizioni di inferiorità. "Parlare di vittoria quando l'accordo di Roma vi caccia di nuovo sotto lo sfruttamento della borghesia, cui avreste potuto sottrarvi, è una menzogna. Se abbandonate le fabbriche, fatelo colla convinzione di avere perduto una grande battaglia e colla ferma intenzione di riprendere la lotta alla prima occasione e di condurla a buon fine. Caccerete i padroni dalle fabbriche e non permetterete loro di ritornare se non come lavoratori, come vostri eguali, disposti a lavorare per sè e per tutti gli altri. "Nulla è perduto se non vi create illusioni


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sul carattere ingannatore della vittoria. Il famoso decreto pel controllo delle fabbriche è un inganno, perchè tende a creare una nuova categoria di funzionari che usciranno dalle vostre file e non difenderanno più i vostri interessi ma la loro nuova situazione, e perchè tende ad armonizzare i vostri interessi con quelli della borghesia, il che equivale a voler armonizzare gli interessi del lupo con quelli della pecora. "Non prestate mai fede ai vostri capi che cercano di farvi passare per degli sciocchi rinviando la rivoluzione da un giorno all'altro. Voi stessi dovete fare la rivoluzione quando vi si presenterà l'occasione, senza attendere ordini che non vengono mai o che vengono per imporvi di abbandonare l'azione. Abbiate fiducia in voi stessi, nel vostro avvenire e vincerete." La reazione non si fece, naturalmente, attendere. Prima di narrare, però, le vicende dell'ultimo arresto di Malatesta, voglio accennare agli articoli che egli scrisse ed all'attività che spiegò nel periodo che precedette immediatamente il suo ingresso nel carcere. La Psicosi autoritaria del Partito Socialista (UM. N., 3 ottobre), Anche questa! A proposito di Massoneria (7 ottobre) e La dittatura di Maltesta!! (12 ottobre) sono gli ultimi tre articoli (a me noti) scritti prima del suo arresto. Egli paragona gli atti autoritari di Marx a quelli di Lenin nelle loro rispettive Internazionali e dice che Lenin, al pari di Marx, rovinerà la propria Internazionale. Nell'articolo seguente si occupa dell'asserzione dei socialisti che lo


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hanno accusato di essere massone e parla della sua breve avventura massonica nel 1875-76 (vegg. nota alla fine del cap. IX) L'ultimo articolo, scritto con vena umoristica, è dedicato ad un giovane avversario. "Caro Ambrosini— dice l'autore—tu mi chiami papà e forse vuoi dire con questo che tu sei un giovane all'altezza dei tempi. Ma la verità è che quello che tu ed io diciamo sono cose che erano risapute all'epoca (preistorica, dice Simplicio per farmi arrabbiare) quando io ero un ragazzo." Meno di una settimana dopo la sua voce veniva soffocata dietro le sbarre della cella. Nei giorni di libertà, prima della sua incarcerazione, assistè alla riapertura della Scuola Moderna di Clivio (3 Ottobre), in seguito chiusa per ordine governativo (UM. N. 17 febbraio 1921), ed alla prima adunanza semestrale del Consiglio Generale dell'Unione Anarchica Italiana, tenutasi a Bologna il 10 ottobre. All'assemblea, cui parteciparono 22 dei 30 compagni, egli riferì intorno all'azione in favore dei detenuti politici. Infine si decise di entrare in rapporto con la Federazione socialista — anarchica di Olanda, che aveva proposto di organizzare un congresso anarchico internazionale (UM. N., 14 ottobre 1920).


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CAPITOLO VENTESIMO L'ARRESTO DI MALATESTA


L'ARRESTO DI MALATESTA IL 17 OTTOBRE 1920; L A G I T A T O R E N E L CARCERE DI MILANO. IL PROCESSO E L'ASSOLUZIONE. CONCLUSIONE.

Quando i capi moderati tradirono il meraviglioso movimento dei metallurgici, arrestando la marcia verso l'appropriazione collettiva dei mezzi di produzione, misero implicitamente i reazionari in grado di esercitare tutto il loro potere per schiacciare i partiti avanzati. E' superfluo ricordare le prime misure adottate dalle autorità. Il 12 ottobre il segretario generale dell'Unione Sindacale Italiana veniva tratto in arresto in forza di un mandato di cattura emesso il 20 luglio, che non si aveva avuto il coraggio di applicare prima. Volendo colpire tutta l'organizzazione, la polizia arrestò anche la moglie del segretario, Virgilia D'Andrea, che aveva espletato tutto il lavoro nell'assenza del marito, ed il 21 tradusse in carcere oltre venti delegati della società, i quali si erano adunati a Bologna. •


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L'organizzazione di cui parlasi non è anarchica, ma strettamente sindacalista e comprende circa 300,000 lavoratori (vegg. Umanità Nova, 14-23 ottobre, 20 nov.., 5 febb. 1921 ; Vie Ouvrière, 28 marzo 1919.) Il 14 ottobre si tennero in tutta l'Italia numerosi comizi per domandare la liberazione dei detenuti politici, per esprimere solidarietà colla Russia rivoluzionaria ed in pari tempo impedire al governo di prestare aiuto agli altri stati nel tentativo di ristabilire il regime capitalista in Russia. Per accrescere la solennità della dimostrazione, si decise di astenersi dal lavoro per due ore (dalle 3 alle 5 p. m.). La giornata passò tranquillamente. Tra i pochi incidenti è notevole quello di Bologna. Quivi, terminato il comizio, i dimostranti si diressero in colonna verso la prigione, situata in una vecchia ed angusta strada della città. Mentre i più ritenevano che, ascoltato un breve discorso, la folla si sarebbe dispersa, dal carcere, dalle caserme e da persone sconosciutee partirono alcuni colpi di arma da fuoco; un poliziotto ed un agente in borghese caddero uccisi (Legg. U. N. 25 nov. I fatti del casermone del 14 ottobre a Bologna narrazione particolareggiata da cui si rileva che gli incidenti non ebbero nulla a che fare col comizio). Fu questo finalmente il pretesto desiderato per gli arresti in massa. Il 15 ottobre le autorità perquisirono gli uffici dell'Umanità Nova, compreso quello di Malatesta, che in quel giorno si trovava a Bologna (U. N., 16 ottobre),


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e trassero in arresto tutto il personale di redazione. Complessivamente le persone arrestate furono 90. Malatesta venne tradotto in carcere la mattina del 17, in casa sua, al ritorno da Bologna. Subito un primo interrogatorio a San Fedele, passò nella prigione di San Vittore, al cui ingresso erano piazzati un cannone e delle mitragliatrici, (U. N., 19 ott.) Giova qui richiamare alla memoria gli ultimi giorni di libertà dell'agitatore, quali vennero descritti da un compagno di Bologna in U. N. il 21 nov. ed 13 febb. 1921. Si noti che mentre la pubblica accusa gli imputò la sua attività di oratore rivoluzionario, in realtà i nove decimi dei comizi che egli presiedette vennero promossi da altri, a sua insaputa, anzi spesso con suo rincrescimento, perchè lo costringevano a trascurare altri impegni. Ma come fare altrimenti? Quando riceveva gli inviti i comizi erano già stati annunziati, le sale noleggiate, l'automobile era pronto alla porta per condurlo da un punto all'altro ad assistere ad un numero interminabile di convegni. Egli protestava, ma in pari tempo non voleva che il denaro già speso andasse perduto e che tanta gente rimanesse delusa. Quando partiva da Milano per uno o due giorni era costretto a trattenersi due o tre settimane. La redazione del giornale spediva telegrammi su telegrammi, invitandolo a ritornare. Al congresso di Bologna lo stesso Malatesta espresse il desiderio di liberarsi da uno dei due pesi, o dalla redazione del giornale o dalle conferenze.


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A Bologna rimase in casa di un amico per riposarsi e per terminare un suo scritto sulla questione sociale, scritto che aveva interrotto nel 1913 o 1914 (forse il libro iniziato nel 1912). Il 14 non potè rifiutarsi di unirsi ai sei o sette oratori i quali arringarono in una grande piazza una folla immensa di decine di migliaia di persone. In quell'occasione egli pronunciò, come di solito, un discorso sobrio e preciso, senza fioriture retoriche e senza incitamenti; fu il meno violento di tutti. La pubblica accusa, per potersene servire come di un'arma, diede del discorso una versione fantastica ed anche illogica giacché, se violenza si fosse inteso di praticare in quel giorno a Bologna non si sarebbe esercitata certamente contro muri ben difesi, in strade anguste. Immediatamente dopo il comizio Malatesta si recò alla Camera del Lavoro, dove scrisse una lettera polemica sulla massoneria al giornale capitalista II Resto del Carlino, che lo aveva accusato di appartenere alla società segreta (vegg. U. N., 5 dicembre, e nota alla fine del cap. IX). Fu precisamente nella Camera del Lavoro che venne informato della tragedia svoltasi vicino al carcere. A Bologna rimase i due giorni seguenti (15 e 16) senza subire molestie di sorta. Dopo l'arresto non si fecero tentativi concordi e generali per ottenere la scarcerazione dell'agitatore. La Camera del Lavoro Sindacale di Carrara proclamò, bensì, lo sciopero generale (U. N., 21, 24, 27 ott.), ma in genere tutto si


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limitò a discorsi, ad ordini del giorno, e ad un manifesto socialista (Firenze: U. N., 22 ott.). Ciò permise a Giolitti di vantarsi col corrispondente del Manchester Guardian che nessuna protesta era stata fatta. L'Umanità Nova inviò al giornale inglese una rettifica, che non venne pubblicata (U. N., 19 dicembre). Il 17 ottobre le autorità perquisirono gli uffici bolognesi dell'Unione Anarchica ed il 25 ottobre (U. N., 26 ott.) sequestrarono i libri dell'Umanità Nova, di cui trassero in arresto l'amministratore, detenendolo per qualche tempo. Nel carcere Malatesta venne trattato con meschina crudeltà. Non essendo più giovane, si fece di tutto per deprimerlo fisicamente. Fu ammalato di febbre e di bronchite e non ricevette le cure idonee. * Il cibo, che gli veniva mandato dal di fuori e che aveva diritto di ricevere nella sua qualità di detenuto in attesa di giudizio, gli perveniva freddo per la raffinata crudeltà dei carcerieri ; l'uso di bevande calde, permesso ad altri, a lui veniva proibito. Trascorse lungo tempo prima che gli venisse concesso di ricevere visite. Finalmente i suoi amici poterono vederlo, ma in circostanze speciali. Il 28 novembre l'Umanità Nova pubblicava la notizia seguente : "Solo oggi (27 nov.) ci viene comunicata una lettera giunta ieri e scritta il 16 corr. dal nostro direttore a persona amica. "In essa rileviamo queste righe che sottopo-


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niamo ai compagni ed agli amici : "Sono ammalato e qui non è modo di curarsi razionalmente; ma non ti allarmare/ speriamo che passerà. "Chiunque ha conosciuto dappresso Errico Malatesta e sa che egli non è uomo propenso a lamentarsi ed ha potuto apprezzare il suo inalterabile ottimismo, trarrà da queste poche righe le deduzioni necessarie". La magistratura inquirente, per ordini espressi ricevuti da Roma, iniziò il suo lavoro basandosi non su fatti specifici (che nulla era avvenuto), ma unicamente sulle informazioni della polizia. In mancanza di accuse definite essa dovè tentare, impadronendosi di tutti gli uomini e di tutti i documenti che potevano servire ai suoi intenti, di attribuire ai detenuti la responsabilità di tutto ciò che era accaduto nel 1920 o prima( dal giorno dell'amnistia)) In mancanza di prove ricorse all'espediente di "criteri aprioristici" e di "responsabilità morali" In altre parole la magistratura, constile Giolitti, argomentò in questo modo : "Da uomini come gli accusati è da aspettarsi qualunque cosa. Basandosi sulla loro parola, scritta o parlata, è possibile attribuire loro la responsabilità di qualsiasi atto. Gli accusati non poterono non desiderare che gli atti rivoluzionari avenissero, perciò complottarono per farli compiere, perciò debbono averli compiuti." I primi interrogatori furono rivolti ad ottenere dagli imputati le loro opinioni su alcuni atti di terrorismo avvenuti a Milano. Si noti che il


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codice italiano non ammette reponsabilità morale e che, ad ogni modo, la responsabilità per articoli di giornale è strettamente limitata al gerente responsabile, e, se firmati, anche all'autore. Nel caso di Umanità Nova, invece furono coinvolti tutti indistintamente coloro che appartenevano al giornale, e per rendere più plausibile questa enormità vennero esaminati i libri per rintracciare la provenienza di "quell'oro straniero" che in realtà era rappresentato dalle contribuzioni dei compagni di tutte le parti del mondo (vegg. U. N. del 6 e 25 nov., dove è analizzato il punto di vista legale). Il 30 novembre perfino il giudice istruttore (avv. Carbone) dovette ammettere che "non è risultato allo stato degli atti che un qualche cosa di concreto ci fosse dietro la continua sistematica violenza verbale della piazza e dei giornali. L'accusa di cospirazione contro i prevenuti si presentava, nella sua origine, aprioristicamente attendibile, sembrando strano e contrastante colla stessa capacità organizzatrice, specie di taluno fra gli imputati, che la persistente campagna di odio e di eccitamento alla rivolta si fosse esaurita in una morbosa esercitazione verbale, senza il costrutto di qualche cosa di reale, idoneo per tradurre in atto i propositi rivoluzionari." Virgilia D'Andrea, l'imputata sindacalista, dopo aver citato questo brano, uscì nelle seguenti p a r o l e : . . . . "in tal modo ogni sovversivo può essere arrestato perchè essendo un rivoluzionario si suppone che prepari la rivoluzione : e


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tutto questo significa fare il processo alle intenzioni (U. N., 5 febb. 1921.). Intanto (si è ai primi di marzo del 1921) u n nuovo moto generale di malcontento agita l'Italia da un capo all'altro. L'Italia ufficiale, come l'Inghilterra in Irlanda, come il governo spagnolo nelle persecuzioni contro gli anarchici ed i sindacalisti, come tutti gli stati quando sono ridotti alle ultime trincee, getta la maschera. Le guardie bianche d'Italia, chiamate fascisti, ricevono carta bianca per incendiare, assassinare e sfogare tutta la loro bestiale crudeltà contro i lavoratori organizzati e loro famiglie, contro gli uffici delle società e dei giornali sovversivi. La polizia li precede, togliendo agli operai ogni mezzo di difesa mediante confische di armi ed arresti. I partiti socialisti assistono indifferenti "serbando tutta la loro calma", ben lieti di passare inosservati. In alcune parti, però, anch'essi vengono presi di mira e, abbandonati alla mercede del malandrinaggio ufficialmente tollerato, non osano mostrare il capo. Malatesta, Borghi e Quaglino, stanchi di dover rimanere in carcere semplicemente perchè il magistrato non osa confessare che non v'è mai stato alcun complotto, si abbandonano (18 marzo 1921) "allo sciopero della fame" e domandano di venire processati. Il vecchio Malatesta si astiene dal mangiare per quasi una settimana, con gravissimo pericolo per la sua esistenza, già minata da inque mesi di prigionia. In questo frattempo si svolge un tragico inci-


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dente. Alcuni compagni non possono più resistere alla tensione nervosa provocata dall'agonia dei detenuti e nel teatro Diana, a Milano, scoppia una bomba colla predita di molte vite. Alla notizia dell'esplosione (23 marzo) i fascisti scatenano l'inferno, demolendo gli uffici di Umanità Nova; la polizia opera arresti in massa. In queste circostanze i detenuti comprendono che assai probabilmente l'attenzione del pubblico si concentra sul fatto nuovo e decidono di abbandonare lo sciopero della fame. Prevedono, altresì, che sotto l'immediata impressione della catastrofe i giurati siano per emettere un feroce verdetto. Nei mesi seguenti la barbarie fascista si sfoga con violenza inaudita. Malgrado tutto, però, il regime giolittiano precipita e conseguentemente l'edificio del "mostruoso complotto" crolla dalle fondamenta. Il pubblico accusatore ne approfitta per pronunciare un'arringa assai blanda alle Assise di Milano (27-29 luglio). Come era prevedibile, il processo terminò in un'assoluzione generale. Il nostro vecchio compagno ed i suoi amici dovettero, però, rimanere tre giorni dietro le sbarre della loro gabbia di ferro, e difendersi. Malatesta parlò, come è suo solito, con acume, e buon senso, adducendo stringenti argomenti. La sua analisi della situazione rivoluzionaria passata e presente costituisce un documento degno di ulteriore studio, come può rilevarsi dal libro "Il processo E. Malatesta e Compagni"


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contenente il resoconto stenografico del dibattimento. (*) Umanità Nova, dopo parecchi mesi di interruzione, riprese con grande sacrificio le sue pubblicazioni in Roma, senza notevoli cambiamenti airinfuori del formato, che ora è uguale a quello comune dei quotidiani. Malatesta, stabilitosi a Roma, si occupa assiduamente del giornale, ma scrive, credo, assai meno frequente che non facesse a Milano nel 1920. Dei suoi articoli mi limito a pubblicare queste poche linee pubblicate il 31 marzo 1922, dalle quali risalta la ferma decisione e la tenacia di propositi che non sono mai venute meno in lui : . . . . "Oggi è più che mai necessaria la concordia di tutti i proletari, di tutti i rivoluzionari per la difesa comune, che può, che deve poi diventare concordia per l'attacco e la demolizione di quell'ostacolo, le istituzioni vigenti, che toglie e tutti ed a ciascuno di noi la possibilità di esperimentare le proprie idee. " E questo accordo debbono farlo le masse stesse, sorpassando le ambizioni, le rivalità, gli interessi ed i rancori dei capi." I problemi che l'attuale movimento italiano deve affrontare sono molteplici. La situazione economica internazionale non permetterà al capitalismo di riprendere il dominio assoluto che aveva prima della guerra nè *

(*) Non ho avuto ancora occasione di consultare questo libro nè l'altro, edito a Buenos Aires, intitolato Paginas de Lucha cotidiana por Enrique Malatesta (1921) che ritengo sia una raccolta degli articoli comparsi in Umanità Nova.


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di godere tutti i vantaggi che si proponeva di conseguire durante la guerra e dopo. Il fallimento del comunismo ufficiale in Russia, eretto sulla dittatura, dovrà ben presto o aprire gli occhi dei ciechi imitatori d'Italia o isolare questi ultimi completamente. Il sindacalismo, d'altro canto, dovrà scegliere fra coloro i quali lo costrinsero alla resa nel 1920 e quelli che (Unione Sindacale Italiana) sono fermi nella determinazione di impedire che gli avvenimenti del passato si ripetano in avvenire e di liberarsi da ogni legame così di Mosca come di Amsterdam. La forma più bestiale di militarismo, il fascismo, infuria tutt'ora, sorretta dal capitalismo e dal nazionalismo governativo avido di Fiume, della Dalmazia e di altri territori. I lavoratori oppongono una certa resistenza, ma non quale sarebbe da attendersi, non certamente un'azione energica e radicale che schiaccerebbe una volta per sempre l'idra fascista annidatasi nel cuore di un popolo civile. Vi sono, infine, i socialisti, ugualmente inabili ed impotenti, sia che uno di loro, Bonomi, permanga per qualche tempo alla Presidenza del Consiglio, sia che un'altro, Serrati, partecipi o no, non so bene se alla seconda, alla seconda e mezzo od alla terza Internazionale. Tutto ciò non può fare a meno (è questa la mia ferma convinzione) di provocare in gran numero di persone assennate, quali si trovano dappertutto, il disgusto per la politica, per l'autorità, pel nazionalismo e per l'attuale sistema


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in genere. L'anarchia dovrebbe, quindi, propagarsi più che mai. E' lamentevole, invece, vedere i suoi maggiori esponenti perdere continuamente il tempo in questioni di secondaria importanza, in discussioni sull'individualismo e l'organizzazione che questo o quel compagno ritengono essenziali in tutti i possibili casi di coscienza, ed osservare Malatesta costantemente occupato nell'impartire lezioni elementari di senso comune ai dottrinari di ogni genere Quanto meglio sarebbe se la sua energia, il suo spirito, la sua devozione, la sua esperienza fossero consacrati ad uno sforzo supremo per guadagnare alla causa tutti quelli che l'inferno scatenato dal 1914 e reso ancor più terribile dal 1918 ha reso vittime e nemici dell'attuale sistema, ma che la voce della libertà, soffocata in questi anni, non ha ancora raggiunto! Molti sono stati attratti dal comunismo, che li ha o abbrutiti o costretti ad allontanarsi di nuovo, delusi e scoraggiati; altri, troppo lontani dalla Russia per poter osservare la pratica attuazione delle teorie leniniane, le accettano a cuor leggero come artisti ed esteti o come pessimisti in cui la sottomissione del genere umano alle esigenze della guerra ha completamente distrutto ogni fiducia nella libertà. Le voci di Eliseo Reclus, di Tolstoi, di Kropotkin ora sono spente. Esse avrebbero potuto, in questi giorni infelici, ammonire gli uomini a non dimenticare la libertà e molti le avrebbero ascoltate. Non sono mai stato un adoratore di


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eroi, ma a me sembra che Malatesta, non inferiore ai tre scomparsi, dovrebbe prendere il loro posto e rivolgere più sovente la parola al mondo. Non vi è altro uomo in cui cinquanta anni di studio dei problemi rivoluzionari e di contatto diretto colla massa abbiano accumulato tanta esperienza ed una pari energia e devozione al genere umano ed alla libertà. E* facile immaginare quanto beneficio si ricaverebbe se la voce del vecchio agitatore si facesse udire da un più vasto pubblico di ascoltatori. Discussioni più pratiche potrebbero inoltre estendersi ad una più ampia cerchia di compagni per creare la nostra Internazionale mentale in questo continente europeo abitato da popoli i quali vivono in istato di vera prigionia, tanto che dopo i lunghi anni spesi nel trattare di azione diretta, nessuno ha il coraggio di opporsi neppure alla schiavitù dei passaporti, cui si deve l'esclusione di Malatesta dal congresso anarchico internazionale del dicembre del 1921. Questo è tutto quello che io posso dire della vita di Malatesta presentemente, non avendo a mia disposizione molti materiali che, se utilizzati, potrebbero rendere molte parti di questa biografia più diffuse e complete. Credo, nondimeno, di avere tracciato uno schema cronologico, sia pur esso manchevole per quanto riguarda la narrazione di fatti. Non ho mai considerato i miei compagni viventi come oggetto di biografia, sebbene li abbia sempre esortati a scrivere i ricordi della loro vita per indurli a contribuire alla conservazione


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di materiale storico. Malatesta conosce questa mia debolezza e probabilmente ne sorride. A lui mi rivolgo ora, pregandolo di prestare la sua collaborazione, narrando i fatti più salienti della lotta per la libertà che egli ed i suoi molti compagni fedeli sostennero negli ultimi cinquanta anni. Se la vita sua è imperfettamente nota, che cosa avverrà di coloro il cui ricordo verrà ben presto cancellato? Comunque sia, anche se il mio tentativo di tracciare la storia della vita di un uomo vivente potrà sembrare indiscretezza e l'esposizione non troppo vivace, nondimeno posso asserire che le mie intenzioni sono state lodevoli e che nello scrivere ho provato vero piacere, perchè ha trattato di un ribelle e di un uomo libero, giovane o vecchio, o piuttosto giovane sempre, vecchio mai. Il tempo aggiungerà, spero, molti altri bei capitoli a questa biografia frammentaria. (*) 6 aprile 1922.

FINE.

(*) Per rendere le future edizioni più complete e più corrette, l'autore sarà grato a chiunque vorrà fargli recapitare (a mezzo dell'editore) nuovi materiali etc. ed anche documenti riferentisi alla storia dell'Internazionale Italiana, specialmente fra il 1869 ed il 1883.


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APPENDICE LA DICHIARAZIONE F I N A L E DI ERRICO MALATESTA DAVANTI AI GIURATI DI MILANO. i

Signori della Corte, cittadini giurati ! I processi sono stati sempre uno dei nostri migliori mezzi di propaganda. Ed il banco degli accusati è stato sempre la più efficace e, lasciatemelo dire, la più gloriosa delle nostre tribune. Io non avrei dunque mancata l'occasione per farvi una larga esposizione del programma anarchico, sia per il pubblico, sia nella speranza di convertire all'anarchismo qualcuno di voi stessi, incoraggiato in questa speranza da quello che successe a Trani, quando passai in Corte d'Assise. Undici giurati non solo mi assolsero, ma accorsero immediatamente a iscriversi nelle file delle nostre associazioni, nelle file dell'associazione internazionale dei lavoratori. Ma come fare? Il P. M. al quale presento i miei ringraziamenti e l'attestato della


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mia ammirazione, il P. M. mi ha reso un cattivo servizio; mi ha tagliato l'erba sotto i piedi. Ridotte le cose ai termini come sono, se venissi a farvi un grande discorso, somiglieri a quel cavaliere antico che si vestiva di ferro, indossava la sua migliore corazza, si metteva la barbuta, saliva sul più focoso dei suoi destrieri, per andare al mercato a comperare un chilo di ravanelli ! Io non dirò altro. Solamente approfitterò dell'occasione per dire qualche cosa non nell'interesse nostro, non nell'interesse dei miei compagni, ma nell'interesse della civiltà, nell'interesse di questa Italia che ci accusano di non amare soltanto perchè noi la vorremmo vedere affratellata con tutte le altre nazioni, soltanto perchè noi, oltre amare le genti italiane, amiamo tutte quante le genti umane, concetto internazionalistico e cosmopolita che del resto era già ammesso e sentito da tutti i lottatori, da tutti gli eroi, da tutti i martiri del Risorgimento italiano, i quali avendo superato l'idea ristretta di patria, correvano in tutte le parti del mondo a spargere il loro sangue su tutti i 1 r camp^ di >at ac ln do\e si elevava una bandiera di libertà. Sapete che in Italia oggi c'è una guerra che, per una stranezza del nostro dizionario, si chiama civile, appunto perchè è incivile e selvaggia. In Italia c'è tale una posizione che ritorniamo verso la notte buia e sanguinosa del Medio Evo. L'Italia è piena di lutti. Madri, figlie, e spose che piangono, e perchè? Per una lotta senza scopo. Voi sapete che io sono rivoluzionario. Io sono per l'insurrezione; io sono


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anche per la violenza quando la violenza può servire ad una buona causa. Ma la violenza cieca, la violenza stupida, la violenza feroce che oggi affligge Tltalia, ebbene, è una violenza che deve sparire altrimenti Tltalia cesserà di essere una nazione civile. Signori giurati, voi darete il verdetto che la vostra coscienza vi detterà : a me non importa gran che; io sono troppo indurito alla lotta per lasciarmi impressionare da un po' di prigione : se voi deste un verdetto di condanna, io direi che avete commesso un errore giudiziario, ma non penserei mai che voi avete commesso coscientemente una voluta ingiustizia. Io vi stimerei lo stesso, perchè sarei sicuro che è stata la coscienza che vi ha dettato quel verdetto. Ma io sono un ottimista, io non credo che vi siano uomini che facciano il male per il male, o se ve ne è alcuno, appartiene più al medico alienista che al giudice criminale. Ma purtroppo, non tutti pensano come me. Se date un verdetto affermativo, i nostri amici, per spirito di partito, per soverchio affetto che hanno verso di noi, lo interpreterebbero come un verdetto di classe, lo interpreterebbero come una voluta ingiustizia e voi avreste fatta una nuova seminagione di odii e di rancori. Non lo fate. Signori Giurati. Questa lotta civile ripugna a tutti : ripugna a tutti per sentimento elementare di comune umanità e poi non giova a nessuno, a nessuna classe, a nessun partito. Non giova ai padroni, ai capitalisti che hanno pure bisogno di ordine per le loro industrie ed i loro com-


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merci. Non giova ai proletari che hanno bisogno di lavorare per vivere e devono prepararsi alla loro ascensione, mediante la pratica e la solidarietĂ . Non giova ai conservatori che devono pure conservare qualche cosa che non sia la strage feroce. Non giova a noi che mal sapremmo fondare sull'odio una societĂ armonica, una societĂ di liberi di cui deve essere condizione e garanzia la tolleranza, il rispetto di tutte le opinioni onestamente professate. Mandateci a casa ! (applausi vivissimi subito repressi dal presidente).


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