emilia-romagna magazine n. 1 | anno XVI giugno 2013 | poste italiane | spedizione in abbonamento postale | regime libero 50% |aut. drt/dcb (bo)
1/2013
magazine La rivista degli emiliano-romagnoli nel mondo
Un anno dopo Nuove regole per l’emergenza One year later New rules in case of emergency
Economia economy | Buongiorno Vietnam. Good Morning Vietnam Portfolio portfolio | Lo sguardo di Michelangelo. The look of Michelangelo
magazine
giugno 2013
Trimestrale d’informazione dell’Agenzia informazione e comunicazione della Giunta della Regione Emilia-Romagna e della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo. N. 1 – Anno XVI giugno 2013 Direttore responsabile Chief Editor Roberto Franchini
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Editoriale
La fragile bellezza
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— Roberto Franchini
In redazione In Editorial office Piera Raimondi
Economia
Dal cratere alle passerelle di Parigi — Piera Raimondi
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Primo Piano
Era solo un anno fa
Segreteria di redazione Editing Coordinator Rita Soffritti
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— Giovanna Antinori
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— Angela Simeoni
Economia
Buongiorno Vietnam — Giovanni Bosi
Buon compleanno Peppino!
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portfolio
Lo sguardo di Michelangelo FOTO DI MICHELE MIORELLI/SHOOT4CHANGE
Direzione – Redazione Editorial Office Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna Telefono (+39) 051/5275440 Fax (+39) 051/5275389 Internet: www.regione.emilia-romagna.it E-mail per cambio indirizzo: stampaseg@regione.emilia-romagna.it
Cultura
Pubblicazione registrata col n. 5080 presso il Tribunale di Bologna il 30 aprile 1994 Progetto grafico Graphic design Kitchen www.kitchencoop.it
emilia-romagna magazine n. 1 | anno XVI giugno 2013 | poste italiane | spedizione in abbonamento postale | regime libero 50% |aut. drt/dcb (bo)
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magazine
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La rivista degli emiliano-romagnoli nel mondo
Un anno dopo
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Nuove regole per l’emergenza Un anno dopo Nuove regole per l’emergenza
Economia economy | Buongiorno Vietnam. Good Morning Vietnam Portfolio portfolio | Lo sguardo di Michelangelo. The look of Michelangelo
Copertina: Campo Trento, Shoot4Emilia (Foto © Michele Miorelli)
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Scoperte
È a Bologna la Torah più antica del mondo — Saverio Malaspina
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società
Dialoghi tra adolescenze
— Piera Raimondi
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Società
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Memoria
rubriche
— Claudio Bacilieri
12/16/20 Regione e Notizie
La donna è mobile
39 Letture Scosse
Scrittori della Bassa per il terremoto
43 Storie Caccia grossa — Claudio Bacilieri
Vintage, che passione! — Leonetta Corsi
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editoriale
di Roberto Franchini
La fragile bellezza Abbiamo lavorato per creare procedure e norme che consentano a un Paese fragile ed esposto all’emergenza come il nostro, di non dover più operare in assenza di leggi certe e chiare.
sotto 1. La presidente della Camera Laura Boldrini, il presidente della Regione Emilia-Romagna e commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, in visita al cantiere della scuola materna donata dall’ANA Associazione Nazionale Alpini, (© Regione Emilia-Romagna A.I.C.G, foto di Anne Nosten); 2. La visita del presidente del Consiglio Enrico Letta a un anno dal terremoto, con Vasco Errani, il ministro Graziano Del Rio, l’assessore Gian Carlo Muzzarelli e la presidente della Provincia di Bologna Beatrice Draghetti (© Regione Emilia- Romagna A.I.C.G, foto di Anne Nosten).
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L
a grande regista giapponese Naomi Kawase era al Festival di Cannes nel 2011, pochi giorni dopo il disastro di Fukushima. Il suo film, in concorso alla Croisette, raccontava di come la separazione dalla Natura genera nell’essere umano l’impossibilità di ritrovare una connessione con l’Altro. A chi le chiedeva dei recenti tragici avvenimenti che avevano colpito la sua terra, Kawase rispondeva: “Dopo il terremoto ho preso coscienza della fragile bellezza della Terra. Dobbiamo proteggere il posto in cui viviamo.” È capitato anche a noi emiliani, certo meno pronti dei giapponesi all’eventualità di un terremoto, di confrontarci all’improvviso con questa grande fragilità. Ve ne raccontiamo ancora, a un anno dai lutti e dalla paura. Vi raccontiamo di come abbiamo lavorato per creare procedure e norme che consentano a un Paese fragile ed esposto all’emergenza come il nostro, di non dover più operare in assenza di leggi certe e chiare, come è accaduto a noi. Perché la bellezza e le capacità artistiche e imprenditoriali che il mondo intero ci riconosce possano essere protette in un ambiente sociale connesso e rispettoso di se stesso. Vi raccontiamo ancora della solidarietà e lo facciamo con uno speciale racconto per immagini realizzato da Shoot4change, l’organizzazione no-profit di fotografi, artisti e sognatori che regalano parte del loro tempo per realizzare reportage di carattere umanitario. Si tratta delle foto scattate a campo Trento, il campo allestito a San Felice sul Panaro dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa di Trento. Qui la necessità aveva costretto comunità marocchine, cingalesi, sikh, nigeriane, italiane, tutte con religioni e culture diverse, a conoscersi meglio. Dopo le difficoltà iniziali, stemperate in una riunione sotto un tendone, l’esperienza è stata positiva e arricchente per tutti. Ancora in questo numero la vicenda di un’impresa del “cratere” che produce a chilometri quasi zero e valorizza la sapienza artigianale del nostro territorio, ma anche l’apertura delle imprese emiliano-romagnole al mercato vietnamita. Poi tutti gli appuntamenti del prossimo autunno per festeggiare il Bicentenario verdiano, un omaggio alla nostra grande tradizione. A Michelangelo Antonioni è dedicato invece il Portfolio. I materiali fanno parte dell’esposizione di Palazzo Diamanti Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti. Il regista ferrarese è uno dei grandi della cinematografia mondiale e ha spesso oltrepassato i confini della settima arte, ispirandosi alle arti figurative che ha a sua volta influenzato. Antonioni, scriveva Roland Barthes, aveva le tre forze, o meglio le tre virtù di un artista: la vigilanza, la saggezza e la più paradossale di tutte, la fragilità.
Fragile Beauty
T
he great Japanese film director Naomi Kawase was at the Festival of Cannes in 2011, few days before the Fukushima disaster. Her film, competing at the Croisette, told us how separating from Nature results in the impossibility for human beings of finding connections with Others. When someone asked her about the recent tragic events which had hit her land, Kawase replied: “After the earthquake I understood the fragile beauty of the Earth. We must protect the place we live in”. We, who live in Emilia, and who are certainly less prepared than the Japanese to respond to an earthquake, also had to suddenly understand what this fragility is. We are telling you about it once again, one year after the losses and fear. We are telling you how we worked to set up procedures and rules such as to allow a fragile land like ours, facing an emergency, to work with clear and safe laws, and not in their absence as it happened to us. Because our beauty and artistic and business skills which the whole world acknowledges must be protected in a social environment which is self-connected and respects itself. We tell you again about solidarity, and we do so with a special story through images, made by Shoot4change, a non-profit organization which gathers photographers, artists and dreamers who donate part of their time to make humanitarian reportages. These are the pictures taken at Camp Trento, the camp set up in San Felice sul Panaro by the Civil Protection and the Red Cross of Trento. There, out of necessity, Moroccan, Sinhalese, Sikh, Nigerian, Italian communities, with very different religions and cultures, were forced to share the same area and get to know each other better. After the initial difficulties, soothed during a meeting under the central tent, this experience proved to be positive and enriched everyone. This issue also tells the story of a company in the “crater” which produces goods traditionally and makes them travel very little, but also the story of the opening of Emilia-Romagna companies to the Vietnam market. Moreover, you will find a list of all the events in the next Autumn to celebrate the two hundredth anniversary of Verdi, a tribute to our great tradition. The Portfolio is dedicated to Michelangelo Antonioni. The materials belong to an exhibition held at Palazzo Diamanti in Ferrara, called Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti (“Michelangelo’s gaze. Antonioni and the arts”). The Ferrara-born film director is one of the greatest in the whole world and has often gone beyond the boundaries of the seventh art, drawing inspiration from the figurative arts which he, in his turn, also inspired. Antonioni, as Roland Barthes wrote, had the three strengths, or rather the three virtues of an artist: vigilance, wisdom and, most paradoxical of the three, fragility.
We worked to set up procedures and rules such as to allow a fragile land like ours, facing an emergency, to work with clear and safe laws.
Sotto 3. Sabato 8 giugno è stata inaugurata la stazione Mediopadana di reggio emilia sulla linea ad alta velocità. La struttura progettata dall’archistar santiago calaltrava sorge a fianco dell’autostrada, nell’area nord della città. è dotata di quattro binari sopraelevati, due centrali destinati ai treni che transitano senza fermarsi e due esterni per i treni diretti a nord e sud (© Tutti i diritti riservati a Comune di Reggio Nell’Emilia); 4. Monica Vitti e Alain Delon ne L’eclisse, 1962 (© Sergio Strizzi).
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primo piano
Era solo un It was just a year ago
anno fa
Il 20 e 29 maggio 2012 la terra ha tremato forte. Ora la risposta dell’Emilia al terremoto diventa traccia imprescindibile per una legge quadro nazionale sulle emergenze. Lo dichiara il presidente del Consiglio in visita a Bologna. On 20th and 29th May 2012 the earth shook hard. Now the Emilia response to the earthquake has become a fundamental premise for a national framework law about emergencies. The Prime Minister stated this during a visit to Bologna. di Giovanna Antinori ™ translation at page 46
primo piano
In questa tragedia inaspettata “si è vista al lavoro l’Italia migliore – ha sottolineato Vasco Errani – sia nell’emergenza che nell’avviare il processo di ricostruzione”.
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N
essun autoincensamento, tanta realtà. È andato così, riassumendo in due parole, l’incontro istituzionale a un anno dal sisma, che si è tenuto il 30 maggio nella sede della Regione Emilia-Romagna. Il presidente Vasco Errani, commissario per la ricostruzione e Palma Costi, presidente dell’Assemblea Legislativa, hanno accolto a Bologna il presidente del Consiglio Enrico Letta, Deputati e Senatori, Parlamentari europei, Consiglieri regionali, Sindaci e Amministratori degli Enti locali colpiti dal terremoto, il capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, esponenti del volontariato e delle forze economiche e sociali. Nessuna autocelebrazione in questo bilancio pubblico a più voci, ma il riconoscimento, con giusto orgoglio
a un anno dai lutti e dalla paura, del lavoro fatto, della voglia di riscatto di una comunità messa a dura prova dagli eventi. Nella consapevolezza che è ancora tanto il cammino da fare, ma il percorso è stato tracciato. E poi i tanti grazie a chi si è speso con generosità, coscienza e qualità. In questa tragedia inaspettata “si è vista al lavoro l’Italia migliore – ha sottolineato Vasco Errani – sia nell’emergenza che nell’avviare il processo di ricostruzione. La solidarietà delle altre Regioni, dei Comuni, dell’Anci, delle Province, del volontariato. E poi il contributo prezioso delle Forze armate, delle forze dell’ordine, dei Vigili del fuoco, di parrocchie, forze politiche, associazioni… L’apporto delle persone, delle famiglie, di tanti giovani. Le iniziative spontanee di giornali e televisioni”.
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primo piano
Solidarietà e generosità quindi i primi mattoni della rinascita che la Regione ha voluto trasparente, garantendo, per la prima volta nel nostro Paese, la piena tracciabilità nell’impiego delle donazioni arrivate da tutto il mondo. E poi, da subito, la netta volontà di puntare sulla comunità e sulla sua identità, perché il tessuto sociale non fosse lacerato perdendo così la sua forza. Niente new town per l’Emilia ferita: il governo della ricostruzione ha voluto far leva sul protagonismo dei cittadini e delle istituzioni locali, lavorando con una visione d’insieme, con regole e obiettivi comuni da costruire insieme. “Non si è cercato un comandan-
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te”, ha ricordato il presidente Errani ai presenti “ma l’effetto-comunità, facendo costantemente riferimento alla società e alle sue rappresentanze democratiche, puntando sul coinvolgimento come fattore di efficienza, di trasparenza e di controllo, scommettendo sulla qualità della pubblica amministrazione, dai dipendenti pubblici agli insegnanti, agli infermieri”. Decisiva in questo senso è stato la creazione del ‘Comitato istituzionale e di indirizzo per la ricostruzione e la piena ripresa delle attività economiche’, organismo composto dalle Province e dai sindaci dei Comuni interessati che si riunisce periodicamente per la programmazione delle attività
e la condivisione degli indirizzi e delle scelte in materia di interventi per la ricostruzione. Perché nella necessità di dare immediatamente riparo e assistenza ci si è trovati di fronte a un vuoto normativo. Si è partiti in un certo senso da zero: le leggi per la ricostruzione dell’Emilia, con i fondi per gli aiuti alle famiglie e alle imprese, sono state faticosamente scritte durante l’emergenza con il Governo, il Parlamento e l’Assemblea regionale. Norme, nazionali e regionali, e ordinanze del Commissario che si sono volute ispirate a tre principi fondamentali: legalità, trasparenza e equità. Legalità, per impedire l’ingresso sul territorio e l’accesso ai fi-
nanziamenti pubblici alla criminalità organizzata; trasparenza, perché tutti i passaggi di denaro siano tracciabili e controllabili; equità, affinché tutti gli aventi diritto possano accedere agli aiuti in condizioni di parità: nessuno deve rimanere indietro, nessuno deve speculare sulla ricostruzione. Insieme sono state definite le prio rità, anzitutto la sicurezza delle persone, dare funzionalità immediata alle strutture sanitarie e assistenziali, poi far ripartire le attività produttive, consentire la chiusura dell’anno scolastico, lavorare per la riapertura regolare a settembre del nuovo anno scolastico, chiudere i 36 campi di accoglienza prima dell’inverno. E
poi avere le risorse per ripartire, che sono state stanziate. Con un riconoscimento del 100% del danno. “Qui c’è il motore della crescita del nostro Paese e la caduta del Pil dell’anno scorso e di quest’anno è anche figlia del terremoto dell’Emilia. Questo motore deve ripartire, ne ha bisogno l’Italia” ha dichiarato Enrico Letta nell’incontro bolognese. Il motore è ripartito, ve lo raccontiamo in dettaglio nella sezione del nostro sito dedicato al terremoto. Si è ripartiti facendo riferimento a principi e regole chiari e condivisi, tracciando procedure e creando norme che ora l’Emilia restituisce come un valore al Paese intero.
in queste pagine le foto pubblicate in queste pagine fanno parte dell’iniziativa “shoot4emilia” promossa da shoot4change e Protezione civica. Sono state scattate a campo Trento, il campo allestito a San Felice sul Panaro dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa di Trento (foto di Michele Miorelli/ Shoot4Change). www.shoot4change.net | www.shoot4change.net/ s4emilia
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economia
Buongiorno Vietnam Una nuova stagione di relazioni commerciali e industriali tra l’EmiliaRomagna e il Paese del Sud-Est asiatico. Good Morning Vietnam. A new era of commercial and industrial relations between Emilia-Romagna and the South-Eastern Asian country. ™ translation at page 47
di Giovanni Bosi
C
on i suoi ottanta milioni di abitanti, in gran parte giovani, e la sua vivace vocazione al commercio, il Vietnam è un Paese in forte espansione. La sua collocazione strategica nei mercati internazionali asiatici offre crescenti opportunità di sviluppo e scambi commerciali. Proprio per questo la Regione Emilia-Ro-
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magna, con il programma per l’internazionalizzazione 2013, ha inserito il Paese del Sud-Est asiatico tra i target principali dell’azione regionale. L’obiettivo è aprire una nuova stagione di investimenti, di cooperazione economica, di attività commerciali che coinvolgono, in modo particolare, le piccole e medie imprese emiliano-romagnole della meccanica avanzata.
Il mondo imprenditoriale regionale – tra le aziende che già operano in Vietnam, ci sono Bonfiglioli, Datalogic, Embassy Freight, Gt Lines, Oltremare, System Group, Cir Food, Wam Group, Sacmi e Cae – ha già avviato contatti e collaborazioni con il Vietnam che si dimostrano sempre più frequenti e stabili. Tra il 2010 e il 2011 l’export dell’Emilia-Romagna
verso il Vietnam è cresciuto del 17%, mentre l’import ha fatto segnare un più 41%. L’Italia è stata uno dei primi Paesi a riconoscere la Repubblica del Vietnam e nel 2013 si celebra il quarantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Anniversario il cui festeggiamento si inserisce nell’ambito di una situazione più ampia che prevede iniziative a carattere commerciale, istituzionale e di scambio tra cui spicca la “Settimana culturale del Vietnam” che si è tenuta a Bologna dal 3 al 11 maggio, contestualmente a una mostra che racconta i quaranta anni di cooperazione e amicizia tra i due Paesi. La ricorrenza è stata inoltre l’occasione per siglare, a marzo di quest’anno, una dichiarazione di intenti e un memorandum operativo tra Ambasciata della Repubblica Socialista del Vietnam in Italia, Regione e Unioncamere Emilia-Romagna. A sottoscrivere gli accordi l’Ambasciatore della Repubblica Socialista del Vietnam in Italia Hoang Long Nguyen, Gian Carlo Muzzarelli, assessore alle Attività produttive della Regione Emilia-Romagna, Patrizio Bianchi, assessore regionale Università e ricerca e il presidente di Unioncamere Emilia-Romagna Carlo Alberto Roncarati. Nella dichiarazione d’intenti, la Regione Emilia-Romagna e la Repubblica Socialista del Vietnam hanno riconosciuto “un potenziale per la collaborazione allo sviluppo di attività che promuovano gli investimenti, la cooperazione economica e le attività commerciali congiuntamente gestite, con una particolare enfasi sulle piccole e medie imprese di entrambi i territori”. Si sottolinea “un interesse condiviso a sviluppare una piattaforma comune per promuovere il trasferimento di tecnologie e la collaborazione in attività di ricerca e sviluppo” in maniera particolare, anche se non solo, nella filiera della meccanica avanzata”. Unioncamere Emilia-Romagna e Ambasciata della Repubblica Socialista del Vietnam in Italia hanno inoltre attivato un “Desk Vietnam” gestito da un esperto vietnamita, attivo per tre mesi a Bologna nella sede di Unioncamere, dall’8 maggio al 31 luglio 2013. Il Desk Vietnam nel continente asiatico è un punto informativo di qualità a disposizione delle aziende regionali interessate a potenziare i rapporti commerciali e di conoscenza
con il Vietnam e a cogliere al meglio le opportunità di diffusione dei prodotti emiliano-romagnoli offerte da un nuovo mercato strategico. Tra le iniziative dei prossimi mesi, oltre agli incontri individuali, a giugno un “Mini Master Vietnam” in collaborazione con “Il Sole 24Ore”; a luglio una missione incoming in Emilia-Romagna di operatori vietnamiti del settore meccanica; a settembre un ciclo di incontri info-formativi propedeutici alla missione outgoing in Vietnam che si svolgerà in ottobre-novembre 2013 con incontri con operatori vietnamiti del settore meccanica.
a sinistra spettacolo vietnamita sopra l’incontro tra Ambasciata della Repubblica Socialista del Vietnam in Italia, Regione e Unioncamere Emilia-Romagna (© meridiana immagini foto di Paolo Righi). vietnam, Mercato sul fiume mekong.
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Regione & notizie
notte rosa
Notte con l’anima
C’è una formula magica che verrà ripetuta dall’alba al tramonto in questa Notte Rosa che si aprirà al tramonto del 5 luglio. AsaNIsiMAsa è il mantra, la formula magica, che i bambini protagonisti di “8 e ½” di Federico Fellini pronunciano di notte per far muovere gli occhi di un ritratto. Scritta in alfabeto sepentino, AsaNIsiMAsa, cela la parola Anima, il grande tema di questa 2013 Notte Rosa. Capace di attrarre ogni estate in Riviera due milioni di turisti nel primo weekend di luglio, la Notte Rosa è il rito collettivo più originale dell’estate. Nata nel 2006, vuole raccontare un modo di stare insieme allegro e sano di vivere la notte, dove il calore, l’innata vocazione all’ospitalità, al buon vivere e alla convivialità della Riviera, unitamente alla suggestione, al fascino senza tempo dei suoi luoghi e a un programma che ogni anno si è fatto più ricco, regalano una notte lunghissima nei luoghi più belli e suggestivi dei 110 km di costa. E allora AsaNIsiMAsa, spicca sui manifesti mentre sul fondo un bimbo con una tuba rossa trasforma con un colpo di bacchetta magica una notte qualsiasi, la notte scura, in un’esplosione di colori. In calendario 300 eventi, tra concerti, spettacoli, reading, mostre, degustazioni e tanto altro, con piazze e viali affollati, stabilimenti balneari, musei, ristoranti aperti tutta la notte e l’immancabile appuntamento con la musica all’alba. Ospiti quest’anno sui palchi da Comacchio a Cattolica, tra gli altri, Gino Paoli con Giuliano Palma & Orchestra, Michael Nyman, Boosta dei Subsonica, Malika Ayane, Antonello Venditti, Pooh, Niccolò Fabi, i Cugini di Campagna, Trilok Gurtu, Enrico Rava, l’etoile Raffaele Paganini, il dj Benny Benassi, PB Underground.
escursioni
“Un Po’ di Bassa in bicicletta” in cerca di Verdi
Arrivare a Giuseppe Verdi attraverso un’esplorazione eco-sostenibile della sua terra. A partire dalla bicicletta e dal buon cibo che di certo non manca lungo questo itinerario. La proposta si chiama Un Po’ di Bassa in bicicletta: un percorso ciclabile sul “grande fiume”. Il gioco di parole racconta un progetto che coinvolge le città dell’Emilia-Romagna. Non a caso sono alcune di queste a guidare la classifica italiana dei centri urbani con più chilometri di piste ciclabili. Modena ne ha 190 ed è in cima alla classifica, ma anche Reggio Emilia, Parma, Ravenna e Ferrara si difendono bene. In questi territori alcuni percorsi seguono le tracce di personaggi illustri: è il
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caso del Percorso Giuseppe Verdi, 17 km da Polesine Parmense a Soragna, attraversando Busseto e Roncole, dove è la casa natale di Verdi. Nella tappa bussetana, con una passeggiata sotto i portici del centro, potrete raggiungere il Museo Nazionale, dedicato alle opere del famoso compositore e visitare il Teatro Verdi, un tempo teatro privato di corte dell’antica Rocca Pallavicino. Sempre a Busseto c’è Casa Barezzi, museo di cimeli verdiani, luogo della prima formazione musicale del giovane Verdi. Lo storico salone, sede della Filarmonica Bussetana fondata da Antonio Barezzi, accolse le prime composizioni ed esibizioni pubbliche di Verdi studente e poi giovane maestro.Nelle vicinanze villa Sant’Agata, la residenza progettata dal Maestro, la più amata, dove assaporare l’atmosfera, ancora intatta, in cui vennero composti grandi capolavori come La Traviata e Rigoletto.
© Apt Servizi Emilia-Romagna
© Giorgio Salvatori
rubriche
cibo e cultura
Feste artusiane, la cucina italiana nel mondo
Diciassettesima edizione per le Feste artusiane di Forlimpopoli. Un grande palcoscenico del gusto ai piedi della rocca trecentesca, in pieno centro storico della città romagnola. Nove giorni (22-30 giugno) di incontri, degustazioni, concerti, mercatini e riflessioni sul cibo. Una scommessa iniziata tanti anni fa quando a parlare di cucina erano in pochi appassionati. Il tema di quest’anno è stato la cucina italiana nel mondo, ieri e oggi. Un tema poco approfondito nei suoi aspetti culturali, nonostante la cucina italiana sia un marchio celebrato in tutto il mondo. Eppure se negli Stati Uniti il 70% dei prodotti italiani non provengono dall’Italia qualche domanda, si sono detti gli organizzatori, è giusto porsela. La cucina italiana ha preso forma, nei secoli, come condivisione di culture locali che si sono incrociate, sovrapposte, arricchite reciprocamente. In questo lungo processo storico – a cui Pellegrino Artusi un secolo fa ha dato un’improvvisa accelerazione – il Paese ha visto consolidarsi un’identità gastronomica multiforme e mutevole, ricca di solide tradizioni e di stimolanti innovazioni. Nel diffondere la nostra cucina nel mondo, fondamentale è stato il ruolo degli italiani emigrati all’estero e anche di questo si è parlato nei 150 appuntamenti: laboratori, degustazioni e una ventina di incontri dedicati alla cultura del cibo. Piaceri della gola e riflessioni sul portato culturale e sociale della buona tavola sono stati, come sempre, parimenti onorati. Tra un omaggio a Federico Fellini e uno a Giuseppe Verdi.
economia
Dal cratere alle passerelle di Parigi A Crevalcore la sede di uno tra i brand di tendenza della moda è stata resa inagibile dal terremoto. L’amministratore delegato, Andrea Vincenzi, ci racconta come l’impresa ha affrontato l’emergenza. From the Crater to Catwalks in Paris. In Crevalcore the headquarters of one of the top fashion brands were made unusable by the earthquake. Its managing director, Andrea Vincenzi, tells us how his company faced the emergency.
di Piera Raimondi
I
™ translation at page 47
l sisma ha colpito una delle aree industriali più importanti del Paese, dove sono presenti distretti produttivi di rilevanza internazionale, come il biomedicale e il tessile. Nel cratere, la zona intorno all’epicentro che ingloba trentatré comuni, le aziende coinvolte sono diverse migliaia, con un danno stimato di 2,7 miliardi di euro. Ma nell’emergenza le imprese hanno lottato per tenere accesi i motori di un territorio che rappresenta un pezzo importante di manifattura italiana. Tra le tante storie che potremmo raccontarvi abbiamo scelto quella di Semi-couture, un Made in Italy che affida la sua produzione a laboratori artigiani che ancora sono nel nostro territorio e perpetuano una tradizione che tutto il mondo ci invidia. La prima linea Semi-couture nasce nel 2008 dalla creatività di Erika Cavallini, giovane stilista emiliana. I suoi abiti, venduti nelle boutique più glam del mondo, sono interamente Made in Emilia, così come la quasi totalità delle materie prime, scelte tra le migliori sul mercato e lavorate da esperti artigiani, seguendo i più classici procedimenti sartoriali.
Ogni creazione è unica grazie alla qualità della manifattura, dei particolari e delle applicazioni che sono spesso preziosi pezzi vintage. — Con il terremoto del maggio scorso avete dovuto lasciare la vostra sede storica nel cuore di Crevalcore, come va a un anno di distanza? Le cose si sono per noi, a livello aziendale, “normalizzate” proprio in questi giorni, in cui abbiamo ultimato – a distanza di un anno esatto dal sisma che ci ha colpito – i lavori di costruzione dei nuovi uffici nella antica sede operativa e magazzino. Tutti gli impiegati hanno affrontato un anno intero adeguandosi alla situazione e ai disagi, in pratica “accampati” come possibile in uno spazio la cui funzione originaria era un puro deposito logistico, con tutti i disagi che ne sono e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 13
Economia
Con un pizzico di orgoglio anche noi abbiamo dato il nostro piccolo ma importante segnale di voler ricostruire e riportare il nostro paese a una situazione precedente al terremoto.
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conseguiti. Ma sono felice di dire che tutti hanno capito e hanno condiviso la nostra ferrea volontà di continuare a restare nel nostro paese, anche se avevamo avuto una opportunità di delocalizzazione molto appetibile. Con un pizzico di orgoglio dico che anche noi abbiamo dato il nostro piccolo ma importante segnale di voler ricostruire e riportare il nostro paese a una situazione precedente al terremoto, anche se sarà un percorso lungo e difficile: noi in primis siamo ancora impossibilitati a rientrare nella nostra casa e come noi tanti altri crevalcoresi, tra cui alcuni nostri dipendenti. Il processo di ricostruzione è difficile e ci pare arduo a livello generale: i fondi promessi tardano ad arrivare e le persone iniziano a essere un poco sfiduciate. Restare sul territorio credo sia anche, alla luce di questo, un segnale importante per
tutti: noi ci siamo e continuiamo ad andare avanti. — La produzione Semi-couture si concentra in un’area geografica ben precisa, quasi a km 0, perché questa scelta? Quanto e come il vostro marchio è connesso al territorio? La nostra avventura inizia a Crevalcore e qui vogliamo restare. Il 90% dei nostri collaboratori e dipendenti sono del nostro paese e noi non vogliamo tradire questo “genius loci”. Qui c’è il clima ideale per lavorare sorridendo e la vita a misura d’uomo che si respira nel nostro territorio entra al 100% in azienda. Impagabile. Per quanto riguarda la decisione di produrre praticamente quasi tutto a km 0 (o km 30 per la precisione, tenendo conto di Modena, Carpi e Bologna) è nata per caso (era la soluzione più semplice all’inizio) ma poi
abbiamo capito come fosse il nostro vero valore aggiunto. Abbiamo il vantaggio enorme che le aziende e i laboratori con cui collaboriamo sono fatti tutti di persone che parlano la nostra medesima “lingua” a livello produttivo e qualitativo. Oltre a questo aspetto, ci sono chiaramente vantaggi logistici e di rapidità, flessibilità e di efficacia assoluta a livello di qualità della produzione, che è uno dei punti forti del nostro brand. Purtroppo pochi capiscono che la cultura e la capacità produttiva che può essere generata nella nostra area vale molto di più di un 10% di margine che si può ricavare delocalizzando la produzione verso Paesi più appetibili a livello di costi … È una pura miopia imprenditoriale. — Le vostre collezioni, fatte di pezzi quasi unici, sottendono un lavoro di ricerca,
recupero e riciclo per certi versi anche faticoso, perché questa scelta? Questa è una passione di Erika, ma alla fine è diventata parte della nostra identità. Recupero, però per noi non significa solo ritrovare vecchi tessuti e vecchi bottoni che le altre aziende sottovalutano per diversi motivi, quanto mantenere viva la storia sartoriale e produttiva della nostra area, nonché una sorta di memoria storica del mondo della moda italiano. — Uno show room milanese, uno parigino. Il vostro made in Italy, anzi made in Emilia, come va per il mondo? Molto bene. L’estero per noi oggi significa il 40% del nostro volume d’affari e si spingerà verso il 50-60% nel giro di 12 mesi. Questo perché c’è una grande riconoscibilità di un prodotto come il nostro interamente Made in Italy e perché la valenza di
una produzione che guarda prima alla qualità che ai margini, alla fine crediamo dia sempre buoni risultati. Piano piano stiamo arrivando anche a nuovi mercati molto interessanti, da Hong Kong (dove stiamo avendo davvero enormi soddisfazioni) al Middle East alla Russia. Tutti sono alla ricerca di un prodotto moderno ma ben fatto, con un sapore preciso, che è il sapore italiano alla fine dei conti. Questo però non significa che stiamo guardando solo all’estero, tant’è vero che ad esempio la parte principale delle nostre campagne di comunicazione e advertising si concentra in Italia, perché siamo fieri del nostro Paese e perché crediamo che una forte presenza nel nostro Paese sia una premessa necessaria per aprirsi ai mercati esteri, un biglietto da visita assolutamente imprescindibile.
a sinistra immagine tratta dalla campagna di erika cavallini spring summer 2013 a destra immagini tratte dal look book di erika cavallini spring summer 2013.
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rubriche
Regione & notizie
grandi opere
Le onde di Reggio Emilia
Gigantesche onde bianche avanzano nel bel mezzo della pianura padana. Le onde si alternano tra loro, in fase o in opposizione di fase, generando un movimento quieto e uno più mosso. Si percepisce così la nuova stazione Alta velocità di Reggio Emilia, la Mediopadana che servirà un bacino potenziale di due milioni di utenti. La copertura avveniristica disegnata dall’archistar Santiago Calatrava è composta da 19 moduli, ciascuno della lunghezza di 25,4 metri, costituiti da una successione di 25 portali di acciaio sfalsati e distanziati tra loro di circa 1 metro, che ne delineano l’andamento sinusoidale. La struttura è lunga 483 metri. Larghezza e altezza variano fino a un massimo di 50 e 20 metri. La nuova stazione è una struttura di acciaio bianco, calcestruzzo e vetro e si sviluppa su due livelli lungo il viadotto esistente, inglobando al piano superiore binari, banchine e spazio delle risalite che conducono all’ingresso. Il livello inferiore, a cui si accede dall’esterno, ospita i servizi propri della stazione: le corrispondenze con treni regionali e le linee pubbliche, i servizi per i viaggiatori e gli spazi per i servizi commerciali. Quattro scale mobili per lato collegano i due livelli e due ascensori panoramici sono stati predisposti nella zona centrale. Per realizzare la Mediopadana sono servite circa 14mila tonnellate di acciaio (una volta e mezzo il peso della Tour Eiffel). Rete Ferroviaria Italiana e Regione Emilia-Romagna hanno investito 79 milioni. Il nuovo scalo dista circa 4 chilometri dal centro di Reggio Emilia ed è l’unica fermata intermedia sulla linea Alta Velocità tra Milano e Bologna. Lontana dal centro cittadino, ma vicinissima all’autostrada A1, che è a soli 30 metri di distanza.
ha messo a repentaglio la salute pubblica di migliaia di persone. Nel documento, la Giunta regionale viene invitata a continuare l’attività di informazione circa i rischi per la salute legati all’uso o allo smaltimento scorretto dei manufatti contenenti amianto e ad assumere iniziative nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni che colmino l’ancora insufficiente assunzione di responsabilità su scala nazionale per un problema che tanti lutti e malattie ha causato e che ancora sta causando. Si chiede anche di promuovere una direttiva regionale circa l’uso dell’ofiolite, tale da ridurre al minimo il rischio per gli operatori e per le popolazioni residenti in prossimità delle cave.
(© Tutti i diritti riservati a Comune di Reggio Nell’Emilia)
sanità
Meditazione in corsia
ambiente
Amianto, sentenza storica in Italia
Sull’onda della sentenza storica del tribunale di Torino che ha condannato in primo grado i vertici della Eternit a 16 anni, per disastro doloso e omissione dolosa di misure di prevenzione infortunistica negli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo, il 13 marzo scorso l’Assemblea legislativa della Regione ha approvato all’unanimità una risoluzione, nella quale si esprime cordoglio per le vittime dell’amianto, vicinanza alla sofferenza dei famigliari e apprezzamento per il lavoro svolto dalla magistratura. Con rammarico per il ritardo con cui si è giunti alla consapevolezza della dimensione di un problema che
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Succede a Bologna, all’ospedale Bellaria. L’Ausl, l’azienda Sanitaria locale, ha approvato una sperimentazione che riguarda la pratica della meditazione tibetana con pazienti oncologici. Si tratta della pratica meditativa Tong Len, guidata dall’equipe di Gioacchino Pagliaro, direttore del reparto di Psicologia clinica dell’ospedale, che si occupa di meditazione da molti anni. I pazienti coinvolti sono ottanta, di questi, quaranta riceveranno come cura la meditazione a distanza praticata dall’equipe medica, continuando ad assumere la terapia tradizionale, gli altri si cureranno solo con i farmaci. Lo studio si protrarrà per alcuni mesi, e a distanza di tempo, lo staff di medici analizzerà i pazienti per capire se ci sono stati cambiamenti e quali. In particolare verranno valutati alcuni parametri come il livello dei globuli bianchi e l’eventuale miglioramento della capacità di affrontare gli stati d’ansia e di tensione che la malattia porta con sé. La meditazione si pratica focalizzando la mente ininterrottamente, per un periodo di tempo, su un pensiero, una frase o una preghiera. La pratica porta di per sé una risposta rilassante immediata. In particolare, nella meditazione Tong Len, che in tibetano significa “del prendere e dare”, si sviluppa la qualità della compassione. Secondo il buddismo tibetano, con questa meditazione impariamo a prendere su di noi la sofferenza e le cause di sofferenza degli altri esseri viventi e a utilizzarle per distruggere il nostro pensiero egoico e egoista, fonte di ogni nostro problema. È possibile così “sperimentare la malattia e tutti i nostri problemi per il bene di tutti gli esseri viventi. Mettendo in pratica un grande amore colmo di gentilezza, doniamo quindi tutto ciò che ci appartiene agli altri esseri viventi”.
regione cultura e notizie
Buon compleanno Peppino! Il Bicentenario della nascita di Verdi: occasione per una festa diffusa in tutta la regione. A cominciare dai teatri. Happy Birthday Peppino! The two hundredth anniversary of Verdi’s birth: a chance to celebrate all over the region. Starting in the theatres. di Angela Simeoni
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primi sei mesi di quest’anno verdiano sono stati una sorta di rodaggio per i grandi festeggiamenti dell’autunno. Peppino nasce infatti a Roncole il 10 ottobre
1813. Iniziamo da Parma, con il “Festival Verdi” che ha in programma ben cinquantuno iniziative dedicate al Maestro. In calendario appuntamenti con le grandi opere come Simon Boccanegra e I Masnadieri con la Filarmonica Toscanini e il coro del Regio, la Messa da Requiem con l’Orchestra nazionale di Francia diretta da Daniele Gatti, ma anche il concerto inaugurale con Riccardo Chailly alla guida della Filarmonica della Scala e Falstaff nel piccolo ma prezioso teatro di Busseto. Il festival prenderà il via il 30 settembre e si concluderà il 31 ottobre, offrendo una panoramica della ricca attività compositiva verdiana, coinvolgendo non solo la Fondazione Teatro Regio di Parma e il Teatro di Busseto ma anche molti istituti musicali. Il Teatro Comunale di Bologna festeggia il Bicentenario aprendo la stagione autunnale con Nabucco, il 19 ottobre. Primo grande successo di Verdi, l’opera avrà la regia di Yoshi Oida, giapponese che si è formato con Peter Brook, per e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 17
A Mirandola, nel cuore della regione devastato dal terremoto, Riccardo Muti dedica un concerto alle vittime. Con le arie più famose di Verdi.
il quale è stato anche interprete. L’allestimento proietta la vicenda in uno spazio senza tempo, stilizzando scene e costumi in una rarefazione quasi metafisica. Con questo Nabucco, il direttore principale Michele Mariotti prosegue il suo lavoro di ricerca sul repertorio verdiano, dopo il grande successo della Messa di Requiem, nello scorso inverno a Bologna. Un altro appuntamento da non perdere è quello di Mirandola, nel cuore della regione devastato dal terremoto. Qui, il 4 luglio, Riccardo Muti, nell’ambito del “Ravenna Festival”, con il coro e i solisti dell’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, dedicherà alle vittime del sisma un programma con le opere più famose di Giuseppe Verdi. In autunno a Ravenna torna il progetto “Trilogia” con l’ideazione, la regia e il coordinamento artistico di Cristina Mazzavillani Muti. Con lei un gruppo di lavoro oramai consolidato e esperto nell’uso delle nuove tecnologie, applicate all’immagine e al suono. Dopo il successo della “Trilogia popolare” (Rigoletto, La Traviata, Il Trovatore), che potete ancora vedere in differita su giuseppeverdi.it, l’attenzione della regista è ora rivolta alla produzione shakesperiana di Verdi: Macbeth, Otello e Falstaff. Le opere saranno presentate a stretto confronto e allestite con la modalità “laboratoriale” che ha fin qui consentito una preziosa attività di promozione di nuovi talenti. Saranno proprio i ragazzi del laboratorio VerdiWeb a scattare le immagini dei luoghi verdiani – Villa Sant’Agata, Roncole e Busseto – che costituiranno lo scenario
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per il Falstaff. Nel contrasto tra luce e oscurità si scioglierà quello tra la nera pelle di Otello e il pallore di Desdemona, così come in bilico tra visione e realtà si consumerà la folle sete di potere di Macbeth. A Villa Sant’Agata, dove tutto è rimasto immutato da quando Verdi abitava quelle stanze, i drammi di Shakespeare sono ancora lì, sul suo comodino. La visita ai luoghi in cui Verdi visse è una delle tappe obbligate per entrare nel clima di festa del Bicentenario, che offre pacchetti turistici, itinerari gastronomici, mostre e concerti. Di tutte queste iniziative troverete notizia sul sito giuseppeverdi.it, dedicato dalla Regione Emilia-Romagna al Bicentenario verdiano. Inoltre, grazie a Cartellone 200, l’iniziativa lanciata dall’Assessorato alla Cultura dell’Emilia-Romagna, molti degli importanti appuntamenti con l’opera di Verdi di cui vi abbiamo parlato saranno visibili in differita sul nostro sito. Hanno aderito all’iniziativa lanciata dall’Assessorato anche molti Istituti Italiani di cultura nel mondo e teatri della regione, dove le opere sono proiettate in simulcast. Ma il viaggio nel multiforme mondo di Verdi ha, proprio in questi giorni, una nuova possibilità di essere compiuto: l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e il Dipartimento di informatica dell’Università di Bologna hanno creato Verso Verdi, un’applicazione per iPhone che si scarica gratuitamente da App Store. VersoVerdi è un’esplorazione dell’universo verdiano che si snoda attraverso 24 pianeti/musei emiliano-romagnoli. Ciascuna tappa è raccontata con video, musiche, letture e slideshow fotografici, attraverso un’esperienza interattiva innovativa che utilizza sofisticate forme di emotional browsing per il riconoscimento delle emozioni attraverso le espressioni del viso.
Nella pagina precedente Giovanni Boldini, Ritratto di Giuseppe Verdi, 1886, Milano, Casa di Riposo per Musicisti. a sinistra “rigoletto” (francesco landolfi), coproduzione Ravenna Festival, Teatro Alighieri Ravenna, Fondazione Teatri di Piacenza. “la traviata”, coproduzione Ravenna Festival, Teatro Alighieri Ravenna, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Fondazione Teatri di Piacenza. in questa pagina “il trovatore”, (anna kasyan), coproduzione Ravenna Festival, Teatro Alighieri Ravenna, Fondazione Teatri di Piacenza. teatro giuseppe verdi di Busseto (© Regione Emilia-Romagna I.B.C.N., foto di Riccardo Vlahov).
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regione rubriche e notizie
Regione & notizie
enrico brizzi, Foto: Mirco Sgarzi
pretato da Gian Maria Volonté, recupero che il laboratorio di casa nostra ha effettuato in collaborazione con The Film Foundation di Martin Scorsese, Cristaldi Film e Paramount Pictures (con il sostegno di Hollywood Foreign Press Association). L’Immagine Ritrovata ha presentato inoltre il restauro di Jour de fête (1949) di Jacques Tati (restauro promosso da Les films de Mon Oncle) e di Plein soleil (1960) di René Clément (restauro promosso da Studio Canal). Nella sezione Cannes Classics infine la nuova visione de Il deserto dei tartari, film che il bolognese Valerio Zurlini diresse nel 1976 ispirandosi all’omonimo romanzo di Dino Buzzati, e de L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, vincitore nel 1987 di innumerevoli premi tra cui nove Oscar e 9 David di Donatello, al cui recupero ha collaborato lo stesso Bertolucci.
viaggi letterari
Uno scrittore per l’Alta Via
Lo scrittore bolognese Enrico Brizzi, che esordì giovanissimo ottenendo un grande successo editoriale con Jack frusciante è uscito dal gruppo, è uno che di camminare se ne intende. In occasione del centocinquantesimo dell’Unità nazionale, ha ideato e compiuto un grande viaggio a piedi dall’Alto Adige alla Sicilia. “Italica 150”, così si chiamava il progetto, era stato pensato come un’indagine sul campo per scoprire chi sono oggi gli italiani e vissuto come un’esperienza concreta con cui consumare tre paia di scarpe. Gli oltre 2100 chilometri furono percorsi a passo d’uomo dallo scrittore e dall’amico fotografo Francesco Monti in 90 tappe nella buona stagione del 2010. Partiti il 7 aprile dalle pendici innevate della Vetta d’Italia, nell’alta valle Aurina, i due protagonisti arrivarono a Capo Passero, in provincia di Siracusa, in un torrido pomeriggio di metà luglio. Contando su questa invidiabile esperienza la Regione Emilia-Romagna ha affidato a Brizzi la scrittura di un film documentario per la valorizzazione dell’Alta Via dei Parchi. Un itinerario di 500 chilometri in 27 tappe lungo l’Appennino fra l’Emilia-Romagna, la Toscana e le Marche che unisce due Parchi nazionali, cinque regionali e uno interregionale riassumendo in sé il meglio che le montagne appenniniche sanno offrire. “Da anni esistono il sentiero 00, la GEA in cresta – dice Brizzi – ma è la prima volta che una regione lontana dalle Alpi si impegna in maniera così forte per la valorizzazione della propria Alta Via, del proprio lembo di territorio più alto, che è anche quello più a sud, per mostrare che questo può essere anche il luogo più intimo e fertile proprio perché è il più tradizionalmente dimenticato di tutta la nostra regione”.
l’immagine ritrovata
A Cannes i capolavori restaurati dalla Cineteca di Bologna
La Cineteca di Bologna ha presentato al Festival di Cannes il restauro di importanti pellicole come Hiroshima mon amour, primo lungometraggio di Alain Resnais, con la sceneggiatura firmata da Marguerite Duras. Il lavoro è stato promosso da Argos Film, Fondation Groupama Gan pour le Cinéma, Fondation Technicolor pour le Patrimoine du Cinéma e Fondazione Cineteca di Bologna, con il sostegno di Centre National du Cinéma et de l’Image Animée. Il pubblico francese ha potuto rivedere in tutto il suo splendore anche Lucky Luciano, diretto da Francesco Rosi nel 1973 e inter-
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ravenna
Verso la Capitale europea della Cultura 2019
Quale sarà la città Capitale Europea della Cultura a rappresentare l’Italia nel 2019? Ravenna, secondo i lettori di “Artribune”. Questo l’esito del sondaggio al quale hanno partecipato quasi 7mila lettori. Addetti ai lavori e art lovers l’hanno scelta tra le diciannove città italiane che si sono candidate alla competizione europea. Ravenna è risultata prima con il 30% dei voti (oltre 2mila). Nelle posizioni successive Matera, con il 28% dei voti (1874) e Mantova (657 click) che precede di solo di 3 voti Perugia-Assisi (654). Il titolo di Capitale Europea della Cultura non è tanto un riconoscimento della qualità e dell’importanza del patrimonio artistico e culturale ereditato dalla storia, quanto piuttosto del potenziale di trasformazione, rinnovamento e sviluppo espresso da un approccio efficace ed innovativo alla cultura. È quindi un premio rivolto alla capacità di immaginare il futuro più che a quella di rappresentare il passato. Gli step per arrivare alla designazione sono ancora molti. Il prossimo autunno la giuria composta da 13 membri (dei quali 7 nominati dalle istituzioni europee e 6 dalle istituzioni nazionali) procederà alla valutazione dei progetti e assisterà alle loro presentazioni da parte delle città candidate, selezionando poi un numero ristretto di città per la seconda fase e formulando per ciascuna di esse una serie di osservazioni e critiche delle quali le città prescelte dovranno tenere conto nella redazione del dossier definitivo. Nel 2014, le candidate prescelte sono invitate a presentare, entro un termine di nove mesi, una versione riveduta e più dettagliata del primo dossier. Ciascun dossier viene quindi valutato e la giuria formula una raccomandazione circa la città che a proprio giudizio merita di ricevere il titolo. Nel 2015, Il Governo Italiano, sulla base della raccomandazione della giuria, notifica alle Istituzioni Europee il progetto della città selezionata; la Commissione Europea ha tre mesi di tempo per esaminare la candidatura. Una volta ricevuto l’assenso della Commissione, la città viene designata ufficialmente Capitale Europea della Cultura 2019 dal Consiglio dei Ministri dell’Unione. Solo a questo punto la città vincitrice potrà fregiarsi del titolo.
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Lo sguardo di Michelangelo The look of Michelangelo
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antonioni e le arti in apertura Michelangelo Antonioni sul set de L’avventura; 1. Fotogramma da Zabriskie Point, 1970; 2. Jackson Pollock, Watery Paths, 1947, Olio su tela, cm 114 x 86 Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali; 3 Bruce Davidson/Magnum/Contrasto, Zabriskie Point, 1970; 4. Mario Schifano, Tutti morti, 1970, Smalto alla nitro su tela emulsionata, cm 195 x 110 (ogni pannello), collezione privata; 5-8. Alain Fleischer, Omaggio a Lucia Bosè, 2013; 9. La signora senza camelie, 1953 (© G.B Poletto); 10-13. Monica Vitti e Alain Delon ne L’eclisse, 1962 (© Sergio Strizzi); 14. deserto rosso, 1964 (© Sergio Strizzi); 15-16. Blow up, 1966. tutte le foto sono tratte da “Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti”, a cura di Dominique Païni, Con testi tra gli altri di Dominique Païni, Alain Bergala, Carlo di Carlo, Bruno Racine. Fondazione Ferrara Arte Editore.
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Michelangelo Antonioni nasce il 29 settembre 1912 a Ferrara. Poeta dell’assenza, del desiderio, indagatore dell’incomunicabilità, è stato autore di cinema tra i più raffinati al mondo. La sua città gli ha reso omaggio quest’anno con la mostra Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti, ideata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, in collaborazione con la Cineteca di Bologna, e curata da Dominique Païni. Le immagini del Portfolio sono solo una parte dei materiali esposti, ma ci fanno capire quale sia stata la straordinaria vicenda creativa del Maestro alla luce del rapporto con altre discipline artistiche, disegnata in un continuo dialogo tra film e pittura, letteratura e fotografia. Nella mostra è confluito il vasto fondo di materiali che compone l’archivio personale di Antonioni, ora di proprietà del Museo Michelangelo Antonioni. Si tratta di film, documentari, sceneggiature originali, fotografie, oggetti personali, epistolari intrattenuti con i più grandi intellettuali del Novecento. Saranno questi materiali, in parte già esposti a Palazzo Diamanti, a costituire il nucleo della mostra Michelangelo Antonioni, il maestro del cinema moderno, al Centre for fine arts di Bruxelles dal 22 giugno all’8 settembre. La rassegna, a cura dellaFondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, farà scoprire al pubblico belga l’universo privato e l’opera del grande maestro italiano, anche grazie a una retrospettiva integrale dei film e documentari.
Michelangelo Antonioni was born in Ferrara on 29th September 1912. Poet of absence and desire, researcher of incommunicability, he was one of the most refined film writers in the world. His town paid tribute to him this year by means of the exhibition Lo sguardo di Michelangelo. Antonioni e le arti (“Michelangelo’s gaze. Antonioni and The Arts”), conceived by Fondazione Ferrara Arte and Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, in cooperation with the Bologna Film Library and edited by Dominique Païni. The images in this Portfolio are part of the materials exhibited, but also suggest what the extraordinary creative parable of the great Master was like, in light of his relations with the other arts, in a constant interaction between films and painting, literature and photography. The exhibition has also collected the large amount of materials belonging to Antonioni’s personal archive, now property of Museo Michelangelo Antonioni. These are films, documentaries, original scripts, photographs, personal items,and letters exchanged with the greatest intellectuals of the twentieth century. These materials, partially already exhibited at Palazzo Diamanti, will be the core of the exhibition Michelangelo Antonioni, il maestro del cinema modern (“Michelangelo Antonioni, The Master of Modern Cinema”), at The Centre for Fine Arts of Brussels from 22nd June to 8th September. The event, organized by Fondazione Ferrara Arte and Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, will allow the Belgian public to discover the Italian master’s private life and his works, also due to a full broadcasting of his films and documentaries. e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 29
scoperte
Ăˆ a Bologna la Torah piĂš antica del mondo Il manoscritto di incommensurabile valore era custodito da secoli tra gli scaffali della Biblioteca Universitaria. The oldest Torah in the world is in Bologna. The priceless manuscript has been stored on the shelves of the University Library for centuries. di Saverio Malaspina
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roprio a Bologna, nella città di Bo-lan-yah (pronuncia dialettale che in ebraico significa: “In essa alloggia il Signore”), fu stampata nel 1482 la prima edizione del Pentateuco ebraico. Oggi, nella città emiliana, il professor Mauro Perani, incaricato di redigere il nuovo catalogo dei manoscritti ebraici della Biblioteca Universitaria, si è trovato tra le mani, immaginiamo non senza emozione, un rotolo di morbida pelle ovina, lungo 36 metri e alto 64 centimetri. Si tratta del manoscritto del testo completo della Torah in ebraico, ovvero Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Il “Rotolo 2”, questa la segnatura, era classificato come opera del XVII secolo. Nel 1889, infatti, il bibliotecario che si occupò della catalogazione del manoscritto, l’ebreo centese Leonello Medona, ne descriveva la grafia come “un carattere italiano piuttosto goffo, in cui alcune lettere, oltre le solite coroncine e apici portano delle appendici non comuni e strane”. L’autore della straordinaria scoperta, ordinario di ebraico dell’Alma Mater bolognese, si è accorto da subito che la grafia orientale era in realtà molto elegante e raffinata,
mentre le caratteristiche grafiche e la struttura testuale risultavano atipiche e molto più antiche del Seicento. Il manoscritto ha infatti caratteristiche grafiche assolutamente proibite ai copisti dopo la codificazione maimonidea, ciò per gli studiosi significa che la Torah bolognese, redatta circa 850 anni fa, è la più antica di cui si abbia notizia. Gli esami grafico-testuale e paleografico sarebbero stati già sufficienti a retrodatare la stesura del testo, ma grazie ai mezzi scientifici di cui dispongono oggi tutte le discipline del sapere, si è stati in grado di avere un’ulteriore conferma. Con due diverse analisi al radiocarbonio, una presso il Centro di datazione e diagnostica del Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento e l’altra dal Radiocarbon Dating Laboratory dell’Università dell’Illinois, è stato possibile stabilire con accuratezza la “data di nascita” del documento. Nel mondo esistono frammenti e codici ancor più antichi di quello bolognese, ciò che lo rende però unico è la completa integrità del testo. Non è noto in che modo e quando il Rotolo 2 sia entrato a far parte del fondo bibliotecario universitario. La scoperta apre così un nuovo filone di ricerca che si annuncia avvincente.
a sinistra Il professor Mauro Perani con il rotolo di pergamena lungo 36 metri. Sopra Manoscritto, Canone di Avicenna con 6 grandi miniature a piena pagina: è l’esemplare più bello del Fondo ebraico (© biblioteca universitaria bologna). sotto rotulo 2 (© biblioteca universitaria bologna).
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Dialoghi tra adolescenze Ogni anno, nel carcere minorile del Pratello di Bologna, i ragazzi si incontrano in nome del dialogo. Dialogues among adolescents. Each year, in the Pratello youth prison of Bologna, guys meet each other in the name of dialogue. di Piera Raimondi
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Un rap finale, Le regole tegola che cadono dall’alto, ha chiuso lo spettacolo del progetto che si è tenuto all’interno dell’Istituto penale minorenni di Bologna. Una compagnia di 45 giovani attori composta da studenti, ragazzi ristretti nel carcere minorile, ragazzi delle comunità minorili e di centri giovanili, guidati dai registi Paolo Billi e Filippo Milani, ha dato vita a uno spettacolo costruito a mosaico, ricco di voci dialoganti ed emozioni, i cui protagonisti si sono interrogati sulla “regola e le sue eccezioni”. In apertura, con una serie di soliloqui a lume di candela o di piccole torce, gli attori hanno rivelato al pubblico, diviso in tre settori separati da quintature nere, “l’essere anormale come tutti”, “il crescere storto”, “l’essere irregolari”. Poi tre operine didattiche – La regola e l’eccezione a giudizio, Il guardiano della regola e l’uomo comune, Il muro della regola – inframmezzate da giochi di parola sulla regola. Infine un rap serrato. Sul palco del carcere si è snodato un percorso di comprensione e di confronto, emozionale e artistico giocato lontano dai luoghi comuni, su un tema che
all’interno del carcere minorile è criticità quotidiana. Il progetto Dialoghi, finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, è giunto alla sua dodicesima edizione. Ogni anno i ragazzi lavorano su un tema: le identità, l’ospitalità, lo straniero, le generazioni, il pregiudizio, il silenzio, il limite. L’attività di Dialoghi si articola in due momenti: un laboratorio di scrittura e un laboratorio teatrale attivo per tre mesi all’interno del carcere con un gruppo misto di studenti e di ragazzi ristretti, e altri due laboratori esterni. Quest’anno ad esempio, uno è stato attivato dal Centro Blogos di Casalecchio con ragazzi di comunità minorili e uno a Cesena. Attraverso la scrittura e la pratica teatrale si creano occasioni di confronto e spesso i ragazzi usciti dall’istituto minorile, tornano a lavorare al progetto. Tra loro, uno in particolare che ora studia Legge, affianca il regista Paolo Billi negli incontri con i ragazzi. A Billi, anima del Teatro del Pratello, abbiamo chiesto quale sia la cosa più importante che ha imparato in questi anni di lavoro con i ragazzi, ci ha risposto così: “Se non fatichi con loro, non ti danno indietro nulla”.
a destra e sotto immagini tratte dallo spettacolo “DANZANDO ZARATHUSTRA” 2012 (foto di alessandro zanini), Progetto annuale di Teatro all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Bologna a cura del teatro del pratello.
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società
Vintage, che passione! Fioriscono in ogni angolo della regione. Sono fiere, mercatini, garage sale, charity shop, negozi e mostre dedicati al vintage. Vintage, what a passion! In each corner of the region, exhibitions, markets, sale garages, charity shops, stores and events dedicated to vintage are mushrooming.
di Leonetta Corsi
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n po’ nascosti nei centri storici delle nostre città, come succede nel Marais, quartiere chic-bohèmien parigino. Sono i negozi vintage, nascosti perché la caccia al pezzo raro richiede, per dare vera soddisfazione, l’avveramento di alcune condizioni. La prima è che il posto sia almeno un po’ segreto, se ne viene a conoscenza grazie alla confidenza di un’amica, in un blog di maniache di Chanel 2.55 o passandoci davanti per caso. Così che il suo ritrovamento possa essere narrato con tutti gli stilemi di una piccola, fortunata avventura. E poi che il tesoro, scovato con tanta fatica, sia unico, dica di te che, sì, segui la moda, ma non ne sei schiava. Racconti che tu, in questo mondo assetato di nuovo, sai guardare al passato e reinventarlo, sai giocare con le citazioni. Questo rito sociale, amatissimo e glamour, è tuttavia abbastanza recente. Negli anni settanta vestire usato significava affermare uno stile di vita anticonformista e gli acquirenti erano gli alternativi, gli artisti o chi non aveva mezzi economici. Si acquistavano i jeans americani, le camicie hawaiane o quelle a quadroni da boscaiolo canadese. Negli anni novanta il termine vintage, risultato di una contaminazione di due parole francesi l’age du vin (vino d’annata) e vendage (vendemmia), sostituisce quello più datato e meno affascinante di “seconda mano” o “usato” e si carica del significato di rarità, selezione, retrò, ricerca. Il vintage entra a pieno diritto nel sistema della moda, diventando anche fonte di ispirazione per gli stilisti più affermati come Yves Saint Laurent, Vi-
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vienne Westwood o il nostro Moschino. Mode e tendenze del secolo scorso sono analizzate, fagocitate, rivisitate: un dejà vu che non riguarda solo la moda, ma il design e la creatività in generale. Il vintage diventa moda ed è ricercato. Nei negozi vintage, nei mercatini come la storica Montagnola di Bologna, nelle Fiere di settore come Vintage. La moda che vive due volte di Forlì, negli innumerevoli siti online (provate a “googlare” vintage …), nelle vendite charity come quella organizzata in primavera dall’Antoniano di Bologna e anche nel “paese di bengodi” del vintage che si trova a Lugo. È nella cittadina romagnola, agli inizi degli anni settanta, che inizia l’avventura di Angelo Caroli, proprietario di un piccolo negozio di abiti usati
che dispensa consigli di stile da una radio libera. Ogni settimana Caroli va a Prato e lì passa in rassegna le balle di abiti usati americani, scovando, in quel periodo, veri e propri tesori. Inizia così una collezione che ai tempi non aveva valore economico, ma di pura ricerca estetica. La collezione cresce e nel 1992 Angelo fonda “Angelo Palace”, la mecca mondiale del vintage che oggi vende i suoi pezzi sui siti più blasonati dell’e-commerce di moda. Si tratta di capi e accessori provenienti da ogni parte del mondo, raccolti e selezionati con il preciso intento, dagli anni ottanta, di recuperare una memoria culturale che altrimenti sarebbe andata perduta. Oggi la collezione vanta 180.000 capi ed è una delle più ricche del mondo. Utilizzata
come archivio dalle più importanti case di moda, produzioni cinematografiche e riviste di settore e da studiosi e operatori museali. Perché il vintage, questo pezzo caleidoscopico di memoria collettiva, comincia ad abitare anche i nostri musei. Al Davia Bargellini di Bologna, ad
esempio, è allestita fino al 31 agosto, Segnali di moda. Stile vintage e nuovi glamour, una mostra organizzata dai Musei civici d’arte antica. In esposizione abiti della Sezione tessile che si è formata al museo negli ultimi tre anni, grazie a donazioni pervenute da sartorie bolognesi e da privati.
Le quattro sezioni – Pattern, Texture, Formae e Black&White – propongono sessanta capi di abbigliamento che illustrano sessant’anni di moda italiana. Ancora a Bologna, al Museo della Tappezzeria Vittorio Zironi, fino al 31 luglio, Eleganza in villa, un’esposizione di abiti del XX secolo. Un vintage più d’annata invece a Modena dove, fino al 14 luglio, è allestita C’è moda e moda... dall’abito aristocratico all’abito uniforme, venti capi della collezione storica del Museo civico d’arte, restaurati dall’Istituto beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Gli abiti storici appartenenti alle raccolte del Museo civico d’arte, sono parte di una collezione che conta circa 250 capi, databili tra la metà del Settecento e la metà del Novecento.
a sinistra due modelli di emilio pucci anni settanta, tratti da “vintage, la memoria della moda”, dossier, istituto per i beni artistici culturali e naturali dell’emilia-romagna. in questa pagina mercato della montagnola a bologna.
Piccola guida (incompleta) per vintage addicted Fiere
• Vintage! La moda che vive due volte, alla fiera di Forlì (20-22 settembre 2013) e in primavera. La più grande fiera italiana del vintage, due volte l’anno.
Negozi
• Angelo vintage palace Corso Garibaldi, 59, Lugo di Romagna (Ra). L’abbiamo detto, è la mecca del vintage, anche online su www.angelo.it o su farfecth.com • Balevin, l’Atelier del Vintage & Design via Rialto 1, Bologna. Abiti e accessori, molti di Chanel e Vuitton, da acquistare o noleggiare. • Fratelli Broche via del Rondone2/E, Bologna. I proprietari sono anche performer teatrali, la loro è una ricerca accurata che spazia dagli anni ‘50 agli anni ‘80, sono capaci di raccontarti anche la storia di un abito.
Mercati
• La Montagnola È il più famoso mercato di Bologna, forse perfino di tutta l’Emilia: un grande “contenitore” all’aperto non lontano dall’Università e da via Indipendenza, in cui, ogni venerdì e sabato, è possibile trovare davvero di tutto. Dagli abiti tirolesi al cachemire inglese. Le signore bolognesi si danno appuntamento al banco di Mirna. È lei che seleziona e prepara i suoi capi pronti da indossare, con una predilezione per gli anni ‘50 e ‘60. •
Charity & Solidarietà
• Vintage e non In primavera e in autunno, l’Antoniano di Bologna organizza una quattro giorni vintage a sostegno dei bambini in situazione di disabilità del Centro Ambulatoriale di Medicina Fisica e Riabilitazione Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza “Antoniano Insieme”. L’evento è organizzato e gestito dalle 200 socie volontarie dell’Associazione Insieme.
Garage sale
• Arena Orfeonica Ce ne sono tantissime, gli appuntamenti si danno tramite facebook. La più colorata è quella di giugno all’Arena Orfeonica di Bologna, cortile di quartiere gestito dall’Allegro Comitato, dove in estate c’è anche una rassegna cinematografica.
Mostre
• Segnali di moda. Stile vintage e nuovi glamour Museo Davia Bargellini, Bologna, fino al 31 agosto • Eleganza in villa Museo della Tapezzeria, Bologna, fino al 31 luglio • C’è moda e moda… dall’abito aristocratico all’abito “uniforme”. Abiti restaurati dei secoli XVIII, XIX, XX delle collezioni museali Museo Civico d’Arte, Modena, fino al 14 luglio.
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memoria
La donna è mobile Il mondo dell’emigrazione è sempre stato declinato al maschile. Ma ci sono stati anche importanti flussi di espatrio femminili, soprattutto verso la Germania. La ricerca di Lisa Mazzi porta alla luce vicende poco note, legate in particolare alla nostra Regione. The Woman Is Fickle. The world of emigration has always been considered as masculine. However, there have also been great emigration flows of women, especially towards Germany. Lisa Mazzi’s research bring to light not very well known events, mainly connected to our Region.
di Claudio Bacilieri
F
ino a pochi decenni fa, le migrazioni femminili non erano oggetto di ricerca sociologica. Non solo per la superiorità numerica degli uomini, ma soprattutto perché le donne erano considerate a rimorchio del marito, del padre o dei figli, anche quando la decisione di emigrare era individuale e presupponeva la rottura di vincoli familiari e sociali. E se le non poche donne che partivano da sole, senza seguire i congiunti, erano malviste perché si riteneva che l’emigrazione favorisse adulteri, nascita di figli illegittimi, prostituzione, per tutte scattava un pregiudizio: chi aveva conosciuto, ad esempio, in terra straniera l’emancipazione del lavoro in fabbrica, difficilmente si sarebbe adattata a un passivo ritorno nella sfera domestica. Ora, il volume di Lisa Mazzi “Donne mobili. L’emigrazione femminile dall’Italia alla Germania (1890-2010)”, edito da Cosmo Iannone, fa luce su un aspetto poco conosciuto dell’emigrazione italiana, riaprendo la questione dell’invisibilità femminile. Sin dalla fine dell’Ottocento, la Germania ha sempre richiesto manodopera femminile, ma di questi flussi, spesso in partenza dalla pianura padana e dall’Emilia-Romagna, si è persa traccia. Lisa Mazzi – modenese, docente all’Università del Saarland a Saarbrücken, dopo la formazione all’Università di Bologna e alla Christian Albrecht Universität di Kiel – li ha ricostruiti setacciando per due anni biblio-
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teche e archivi in Germania e in Italia; tra le fonti, l’Istituto Storico di Modena e il Centro Studi Cardinale A. Casaroli di Bedonia (Parma). Il contributo femminile allo sviluppo economico della Germania non è trascurabile, se si considera che a fine 2010 le italiane nel paese erano oltre 212 mila, e molte famiglie sono l’ultimo anello di una catena migratoria iniziata tra Otto e Novecento, e confermata negli accordi bilaterali italo-tedeschi del 1937 e 1955. Le ragazze erano preferite agli uomini perché billig und willig, cioè costavano poco e lavoravano molto. Per quanto alcuni le dipingessero come incostanti e poco pulite, se ne apprezzava l’abilità nelle filande. Un’eccezione alle migrazioni per necessità fu quella delle attrici del cinema muto nei tumultuosi anni Venti, quando Berlino divenne la capitale europea della settima arte, attirando registi e star al loro seguito, come Maria Jacobini e Marcella Albani. Tra queste, anche la piemontese Isa Querio, che non solo recitava, ma era anche traduttrice e sceneggiatrice. Visse a Berlino dal 1921 al 1933, poi con l’avvento del sonoro ebbe parti di caratterista in film famosi come La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini, e si spense a Bologna nel 1976 nella Casa di Riposo per Artisti Lyda Borelli. Dal 1890 alla prima guerra mondiale la Germania attira molte italiane, alle quali offre migliori condizioni di esistenza. La crisi agraria spinge fuori dai confini nazionali i braccianti della pianura padana e le loro famiglie. Dall’Appennino parmense, in particolare dalle valli del Taro e del Ceno, partono invece – fin da metà Settecento – gli “orsanti”, strani professionisti dello spostamento abituati a girare l’Europa suonando l’organetto e facendo ballare nelle piazze scimmiette, orsi e cammelli. Con loro, anche le donne: a Bedonia, nel Centro di documentazione sull’emigrazione si conserva il passaporto di Sofia Margherita Belfrani, emigrante al seguito del marito di professione “musico”, timbrato dalle autorità tedesche il 2 aprile 1857, e il certificato di matrimonio di Maria Moruzzi e Giuseppe Moruzzi, anch’essi musici, celebrato a Berlino il 15 aprile 1846. L’incremento del settore tessile nella Germania guglielmina apre le porte alle italiane. Fabbriche di maglieria, cotonifici e setifici del Baden Wüerttemberg e della Sassonia richiamano soprattutto donne nubili, richieste per la loro abilità di lavoro e perché meglio si adattano a
contratti di due o tre anni: un periodo sufficiente per trovarsi un marito, sposarsi e abbandonare l’occupazione per dedicarsi alla famiglia. Per molte l’emigrazione indipendente, non al seguito del marito o per ricongiungimento familiare, era una scelta anticonformista dettata dal desiderio di fuga da una società oppressiva. Fuggire per viaggiare e viaggiare per fuggire: da sempre l’emigrazione, nonostante le difficoltà d’inserimento e lo shock culturale che comporta, è l’occasione per un mutamento: conformandosi alle nuove realtà del paese d’accoglienza, generalmente più avanzate, le donne diventano più consapevoli e la presa di coscienza della propria identità diventa la via maestra per l’emancipazione. Le operaie italiane erano ospitate nelle case convitto (Mädchenheime), gestite da suore con regolamenti molto severi. Erano spesso gli stessi proprietari delle fabbriche a costruire le case delle operaie: ne sono rimaste testimonianze in Svevia e in altri luoghi come, vicino a Freiburg, nella Foresta Nera, il Mädchenheime della ditta Gütermann del 1903. Il commissario Giacomo Pertile dell’Ufficio dell’emigrazione italiana di Colonia scrive in un bollettino del 1911 che gli Heime, gli alloggi in comune, “non sono fatti per le nostre ragazze, nella testa delle quali è impossibile ficcar dentro i numerosi verboten tedeschi. Poiché in queste case tutto è regolato
come in una caserma: sveglia a una data ora, mangiare a una data ora, silenzio a una data ora! E quando la casa è diretta da monache anche inginocchiarsi e pregare ad una data ora! Le ragazze italiane vogliono ridere, cantare, saltare, fare del chiasso, dare sfogo alla loro esuberante vitalità quando loro pare e piace”. Negli Heime, un po’ caserma e un po’ convento, le ragazze si sentivano in prigione. Una trentina d’anni dopo riprendono i flussi migratori verso la Germania, come conseguenza delle intese dell’Asse Roma-Berlino. La politica agraria del Terzo Reich, tesa all’autosufficienza alimentare, richiedeva l’impiego di manodopera straniera. Contemporaneamente, nella valle padana si aveva un’eccedenza di braccianti, colpiti dalla disoccupazione. Con gli accordi del 1937 l’Italia s’impegnava a fornire braccianti (molti provenienti dal Ferrarese) e anche donne, su richiesta esplicita della Germania. Il governo fascista non vedeva di buon occhio l’emigrazione femminile, ma l’archivio della Cancelleria del Reich registra nel 1937 la presenza di 2.738 donne italiane, diventate 5.719 l’anno dopo. Le modenesi sono 620, provenienti sia dai comuni della Bassa sia da quelli dell’Appennino, e in generale il contingente modenese, comprensivo degli uomini, è il più numeroso nell’emigrazione verso il Terzo Reich. Le donne in partenza indossavano la divisa, una sahariana di un deciso azzurro e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 37
Negli anni Novanta è iniziata una giovane emigrazione formata da tecnici, studenti Erasmus, ricercatori, dottorandi, con le donne in primo piano.
con gonna grigioverde, senza differenza tra braccianti, cuoche e interpreti. Tra le storie recuperate da Lisa Mazzi, ricordiamo quella di Gelsomina Mantovani di Gualtieri (Reggio Emilia), emigrata nel 1938 per raccogliere patate e barbabietole, e rimasta a Hildesheim nella Bassa Sassonia, dove si era sposata con un tedesco, anche dopo la morte del marito; i figli sono stati cresimati con rito protestante. Un’altra vicenda è quella di Lea Serafini, partita nel 1938 a 24 anni da sola dalla Bassa modenese per fare la bracciante nella zona di Magdeburgo: esperienza ripetuta per altri due
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anni consecutivi alternando il lavoro nei campi a quello di cuoca, con grande soddisfazione, perché la paga e il vitto erano buoni, e il clima in fondo non molto diverso da quello della pianura emiliana. Dopo la guerra, il nuovo accordo bilaterale del 1955 porta migliaia di operaie italiane in Germania: si tratta sempre di emigrazione assistita (Anwerbestop), che a volte ha come destinazione gli stessi luoghi, come la ditta di filati Gütermann di Gutach, sopravvissuta al nazismo, che continua a occupare donne italiane e a ospitarle nella sua “Casa Italiana”. Nel 1973, anno in cui finisce l’emigrazione di massa, le lavoratrici immigrate in Germania sono oltre 103 mila. Antonella Baraldi è una delle fortunate ragazze cui la Germania ha aperto generosamente le porte: partita da Modena con un diploma di ragioneria e una breve esperienza di lavoro ai Magazzini Standa, è assunta alle Poste di Francoforte e in seguito all’ufficio contabilità dell’Alitalia, dove lavora fino al pensionamento. Dal 1975 nasce una nuova mobilità, spesso di natura accademica, e dagli anni Novanta una giovane emigrazione formata da tecnici, studenti Erasmus, ricercatori, dottorandi, con le donne in primo piano. Nelle donne, generalmente di estrazione socio-culturale medio-alta,
alla Fremde (estraneità), alla mancanza di orientamento e alla nostalgia si sostituiscono sentimenti di appartenenza a una condizione multiculturale e dunque la capacità d’integrazione nell’ambiente tedesco. Grazie ai nuovi media e ai social network, nascono nell’ultimo decennio reti femminili su tutto il territorio federale, dal Dica (Donne italiane coordinamento Amburgo) al Coordinamento Donne di Francoforte e alla neonata Rete Donne. Attiva nella creazione di reti femminili è Laura Garavini, modenese di Vignola, in Germania dal 1989 per insegnare italiano nella città di Kiel. Si sposta poi ad Amburgo, Colonia e nella capitale, dove fonda l’Associazione Emiliano-Romagnoli di Berlino. Nel 2007 promuove Mafia? Nein danke!, una forte iniziativa di contrasto alla mafia, che in quell’anno si era fatta sentire anche in Germania. Nel 2008 è stata eletta al Parlamento italiano nella circoscrizione estero, e nel 2013 rieletta.
a pagina 36 famiglia di suonatori in germania. a pagina 37 botosani, romania, donna su cammello. sotto scimmiari in germania. per tutte le immagini: Archivio Centro Studi Cardinale Agostino Casaroli, Bedonia (Parma).
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Scosse “Vedendo la mia terra così martoriata mi sono chiesto: cosa possiamo fare noi scrittori della Bassa, nati e cresciuti qui, per aiutare la nostra gente? La risposta è venuta da sola: possiamo fare il nostro mestiere cioè scrivere di questa tragedia al nostro meglio e devolvere tutti i proventi ai terremotati”, scrive Paolo Roversi, curatore del volume da cui sono tratti i due racconti di queste pagine. Quakes. “When I saw my land so badly damaged, I asked myself: what can we, writers of the Plain, born and raised here, do to help our people? The answer came spontaneously: we can do our job, that is writing about this tragedy as best we can, and donate all the profits to those affected by the earthquake”, Paolo Roversi, editor of the book the two stories are taken from.
La bassa di Andrea Cotti Per Leonardo, appena arrivato Per Silvia e Filippo, gli amici, i genitori Per Stavros, che c’era, lì presente, ne siamo sicuri Per Barbara, la Riccia, il mio nocciolino E per la “Casona”, il luogo dove tornare
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uello che succede è che: se sono cadute le chiese, i campanili, le torri e i municipi; se sono chiusi i centri storici e le piazze; se la memoria e l’identità che stavano in quei luoghi forse se ne sono andate, allora noi dobbiamo diventare chiese, campanili, torri, municipio, centro storico e piazza; diventare noi l’identità dei nostri luoghi, diventare noi stessi luoghi, e conservare noi la memoria. E quindi, noi che possiamo, noi che sappiamo farlo, dobbiamo cominciare a raccontarli, questi luoghi. Per quelli che qui verranno dopo di noi. O per quelli che sono appena arrivati. Come Leonardo, figlio del mio migliore amico, e della migliore amica della
donna che amo, che è nato ieri, 13 giugno 2012. Ecco, io comincio a raccontarla a lui, questa nostra terra adesso spaccata, rotta, che ha tremato e ancora trema. Poche cose, le prime che mi vengono in mente, le più belle, spero. Per le altre, lui che oggi ha esattamente un giorno, avrà tutta la vita. Sai, Leonardo – ecco, iniziamo – tu sei nato a Bentivoglio, e Bentivoglio, come Crevalcore, San Felice, Mirandola, Cavezzo, Finale, San Carlo, Medolla e tutti gli altri paesi che il terremoto ha toccato, sta in un posto che si chiama La Bassa. Che è – appunto – basso. Poco, davvero poco, spesso solo un soffio sopra il livello del mare. A volte anche sotto. Però, se è vero che La Bassa è un posto basso, non è vero che è un posto vuoto. Chi non è nato qui, chi viene da fuori, i furastìr, siccome non vedono colline, montagne, laghi, foreste; siccome – e torniamo lì – non vedono il mare, pensano che qui non ci sia niente. Solo terra piatta. Non capiscono. Non sono capaci di vedere: che qui c’è tutto. Tutto quello che tu sai immaginare. È per questo che qui nella Bassa ci sono e ci sono stati tanti scrittori. Perché se lo sguardo incontra le colline e le montagne e le foreste e i laghi e il mare, si ferma, rimane impigliato alla bellezza. Se invece non incontra nulla, lo sguardo, allora può correre, viaggiare, può immaginare storie, persone e altri mondi, e
così, allo stesso tempo, può riempire questo mondo, questo spazio apparentemente vuoto. Che poi, Leo, certe mattine luminose a fine primavera, questo cielo vuoto, senza ostacoli, diventa una lastra azzurra perfetta. E sterminata. Sconfinata. Vetro liscio che scintilla. E in basso, i campi gialli e verdi sembrano davvero il mare, con il vento che muove nel grano e nell’erba piccole onde, e le case scure e quadrate che spuntano simili a scogli. Allora, vedi, alla fine il mare c’è anche qui. Se guardi nel modo giusto, se alleni gli occhi a vedere non solo quello che c’è, ma anche quello che c’è appena al di sotto. Pensa all’acqua: qui, sì, qui sotto c’era proprio il mare, non quello che se sei bravo puoi immaginare, quello vero. È per questo che questa terra è così grassa e umida. È terra che viene dall’acqua, e l’acqua è ovunque, anche nell’aria. La nebbia, Leo. Tutti sanno che nella Bassa c’è la nebbia, ma pochi la conoscono sul serio. E, come tutte le cose che non si conoscono, la nebbia fa anche paura. Perché è grigia, densa, spessa. Perché ti sembra che dentro la nebbia, le cose, ma soprattutto le persone, possano sparire. Per sempre. E a volte succede, è successo. Perché dentro la nebbia possono nascondersi i mostri. Ma va bene, va bene che faccia anche paura. La nebbia ci ricorda, e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 39
letture 1 come il terremoto, che la Natura è potente. E misteriosa. E comunque, Leo, a noi che nella Bassa ci siamo nati, la nebbia un po’ ci spaventa e un po’ contemporaneamente, ci rassicura. Perché se nella nebbia possono nascondersi i mostri, anche tu, nella nebbia, puoi nasconderti da loro. Anche tu, se ne hai voglia, puoi scomparire. E presto scoprirai che nella vita tante volte si ha voglia di sparire. Anche solo per un po’. Sì, a noi della Bassa la nebbia piace. È come un velo che ci chiude dentro un perimetro, dentro un confine solo nostro. Intimo. Caldo, anche se la nebbia è fredda. Anche se il mattino, quando ti alzi, esci e respiri, ti sembra di inghiottire lana ruvida e ghiacciata. Però è bello. Però la sera, quando torni nella nebbia, e dalla nebbia affiorano le luci delle finestre accese nelle case, simili a piccole pozze gialle, sai che la strada è giusta, e tutto – tutto il tuo mondo – si chiude attorno a te come una mano morbida. Che riconosci. No, Leo, non è mai davvero vuoto, questo posto. Come la nebbia, la neve. Che poi – ancora – è altra acqua. D’inverno. Che copre ogni cosa e ammorbidisce gli spigoli delle forme, arrotonda, alliscia. Si posa e su tutto scende il silenzio, tutto finalmente tace, rallenta. La neve nella Bassa non è come in montagna, non è un addobbo colorato sopra una meraviglia. Qui la neve assomiglia al piumone sotto il quale ti rintani, lasciando spuntare solo gli occhi. La neve, come la nebbia, con il suo freddo bagnato ti costringe a trovare dentro di te un nocciolino caldo e acceso, un rifugio. E tu poi, con quel nocciolino, puoi andare fuori, guardare i campi bianchi e semplicemente, nel silenzio, respirare. Dentro, fuori; dentro, fuori. Il tuo respiro, le nuvolette del tuo fiato riempiono lo spazio. Lo stesso che fa la malinconia d’autunno. Quando gli alberi si spogliano e il buio inizia ad arrivare prima, e il cielo di giorno si raggrigia, ma di un grigio diverso da quello della nebbia, più pesante e cupo. È la nostra malinconia – dolce e tiepida come una febbre leggera – che riempie questo posto in questi mesi, è la sua stessa nudità che lo veste. È l’assenza che lo colma, Leo. L’odore dell’asfalto bagnato, le foglie gialle e rosse sotto le scarpe, i rami degli alberi spogli, i campi scuri, fermi.
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Anche quello che cade, anche quello che non c’è, è una presenza. Che ritorna, e scoppia, e invade tutto d’estate. Il caldo, l’afa, l’aria che sembra sul serio acqua per quanto è densa, liquida, le cicale, i grilli, le rane che cantano, la notte, le zanzare appiccicate addosso, il sudore. L’odore. L’estate riempie la Bassa di odori: erba tagliata, terra secca, frutta, carne, vino, sesso. Le donne, Leo. Lo scoprirai anche tu, le donne della Bassa sono un miracolo, sono streghe e mamme, compagne e amiche, teste brillanti e rapide, svelte, sveltissime. Sono le più belle del mondo. E fanno l’amore come nessuna al mondo. Come mangiano e bevono, come ridono. Con gioia. Gioia pura e vera. Senza limiti e senza vergogna. Un gioco, una festa. Quando le donne della Bassa fanno l’amore, fanno luce, Leo. Uno spettacolo. Incontrale, conoscile, per quel poco che è possibile conoscere le donne. Le donne della Bassa coi loro uomini ci sanno stare assieme, ci lottano contro, se serve, ci fanno le battaglie, graffiano e mordono – sono selvagge, ricordatelo – ma anche li accompagnano e proteggono, li difendono e amano. Smisuratamente. Con tutto il cuore che hanno. Parla con loro, Leo. Ascoltale. E noi, noi uomini siamo qui. Noi mangiamo e beviamo, e corriamo veloci in moto, in macchina, e dietro alle donne. A noi, Leo, invece non ascoltarci troppo, perché siamo simpatici cialtroni, perché facciamo i fenomeni al bar, ma soprattutto perché le cose serie e importanti non sappiamo dirle. O sappiamo dirle solo prendendoti un po’ in giro. Io per anni al mio paese ho avuto una libreria, e tutti i miei amici – che tutti i giorni venivano in libreria, anche se non hanno mai comperato un libro – mi chiamavano “giornalaio.” Te lo dico per farti capire come siamo. Venivano in libreria perché mi volevano bene, per stare con me, ma un po’ dovevano anche prendermi in giro, perché non sembrasse troppo. Siamo così, noi uomini, qui. Un po’ ti prenderemo sempre per il culo, ma se sei nostro amico, per te ci saremo. Sempre.
E preparati, Leo: nessuno qui, tra i tuoi amici, ti chiamerà mai per nome. Solo col soprannome. Io, per tutti, oltre che “giornalaio”, o “scribacchino”, sono Jec. Anzi, io sono soprattutto Jec. Da dove viene il soprannome è sempre un po’ un segreto, ma un giorno te lo svelerò. Tu, intanto, il tuo soprannome dovrai guadagnartelo. E, quale che sia, dovrai portarlo con orgoglio. Perché racconterà la tua storia E poi. Poi basta. Ci sarebbero così tante altre cose ancora da dire. Da raccontare. Profumi, sapori. Scorci di paesaggi. Lampi. Volti. I vecchi, i nostri vecchi. Ma non importa. Così è sufficiente. Questa è La Bassa, Leo. Questa è casa mia. Da ieri è anche casa tua.
La biblioteca capovolta di Davide Barilli
I
l primo scricchiolio si materializzò alle tre di notte. Per sapere che ore erano accesi l’ultimo fiammifero rimasto nella scatoletta che tenevo infilata nel taschino della camicia. Non fumo da molto tempo, ormai. Ma avere sempre con me una scatola di zolfanelli è l’unico vezzo che mi consente di appartenere, quasi nostalgicamente e in modo simbolico, al mondo dei tabagisti, di cui ho fatto parte per oltre mezzo secolo prima che un subdolo enfisema decidesse di disseccare i miei polmoni. Mi piace infatti entrare in tabaccheria e, alla stregua di un bambino che guarda uno scaffale colmo di dolci, rimirare gli strati di pacchetti di sigarette, cubetti colorati e argentati, allineati dietro al bancone per poi limitarmi a dire: «Una scatola di svedesi, per favore.». Dunque. La fiammella del fiammifero illuminò brevemente la spiegazzata cupola dell’antica sala di lettura che mi sovrasta, ora, simile a un ligneo igloo sfondato da cui penzolano, come
letture 2 pipistrelli o stalattiti, migliaia di pagine scompaginate, schiere di tomi, enciclopedie ed enormi cataloghi che formano la spina dorsale di una dinosauresca biblioteca capovolta. È il mio tetto, il mio riparo, quello stare in bilico, ondeggiante, di volumi accatastati. Ma so bene che basterebbe sfilare un libro messo di traverso per far crollare tutto. Il fiammifero stava tirando le ultime. La fiammella tremolò qualche secondo, flebile come la luce di una candela accarezzata dal vento, il tempo di far luce sull’orologio che porto al polso, prima di farmi inghiottire nel buio assoluto. Ma per i miei occhi ormai abituati all’oscurità era stato sufficiente: facendo un calcolo veloce, ero lì sotto da oltre dieci ore. Il grande crollo era stato un colpo improvviso. Uno sconquasso unico. Come se un gigante avesse sferrato un calcio a un castello di carte. La luce della lampada, alla mia sinistra, era diventata una palla sfocata ed enorme, prima di esplodere. Un buio improvviso aveva avvolto la stanza, annunciando sinistramente la scossa sismica. Non so a chi di voi è capitato di venir sepolto da una valanga di libri. È un tonfo strano, come la corsa di una mandria di renne sulla neve ghiacciata della Lapponia. Un rumore ovattato, violentissimo e senz’enfasi. Un precipizio di carta che può uccidere. A quell’ora in biblioteca c’erano solo tre o quattro studenti, presenze quiete che però disturbavano ugualmente il mio desiderio di essere solo. Oltre a preferire le ore antelucane, il mio innato desiderio di solitudine che qualcuno scambiava per misoginia, mi induceva a recarmi in biblioteca non appena il custode schiavardava il pesante portone di quercia. Fra me e lui, col tempo si era creato una sorta di reciproco rispetto cadenzato da gesti che, anziché essere frutto di una sempre maggior confidenza, si caratterizzavano, al contrario, come un rituale il cui scopo era quello di mantenere inalterate le distanze. Pugliese della Daunia, d’antica schiatta, leggermente curvo, i capelli impomatati che accarezzava di continuo seguendo il profilo della sua piccola testa da rettile, mi accoglieva sempre offrendomi un terribile e bollente caffè nerissimo che bevevamo insieme, soffiando su quell’intruglio rovente, nella stanzetta dei prestiti dove Cuccurullo – questo era il suo nome – aveva allestito una piccola e modesta cambusa. Oltre alla caffettiera e al fornelletto, su una mensola di legno aveva collocato
qualche scatoletta di tonno, un bottiglione di vino Alezio rosso e un grande vaso di vetro colmo fino all’orlo di gommose caramelle verdi, alla menta, dalla forma di piccole piramidi, ricoperte di cristallo di zucchero. Dopo aver ingollato quel fetido caffè, la frescura della caramella aveva un effetto davvero balsamico anche se il suo scopo era quello di porsi come un’intercapedine di sapori con l’altra parte del cerimoniale mattutino. A quel punto, infatti, estraevo dal taschino della camicia la scatoletta di zolfanelli e, sfregatone uno, avvicinavo la fiamma alla sigaretta Giubek senza filtro che penzolava dalle sue labbra scure – sormontate da un paio di baffetti appena accennati – vogliose di assaporare l’acre aroma del tabacco. Questo accadeva ogni mattina. «Cuccuruuulloooo... Cuccuruuulloooo...» Avrò ripetuto il suo nome cento, duecento volte, non ricordo più. Non volevo rassegnarmi all’idea che non mi rispondesse. Non volevo credere che quelle gambe secche, quei piedi rovesciati all’indietro, immobili sotto una montagna di cinquecentine dalle copertine di pelle antica appartenessero a lui. Una delle gambe, a dire il vero, era ripiegata, seminascosta sotto una montagnola di volumetti grigi della Bur, mentre l’altra spuntava dai pantaloni di gabardine neri, afflosciati su quello stecco d’osso come una bandiera ammainata. Dalla mia posizione, bloccato sotto una pioggia di tomi caduti dall’alto che mi impedivano qualsiasi movimento dal bacino in giù, quasi le pagine della mia prigionia si fossero trasformate in una sabbia mobile di cellulosa, non riuscivo a toccare il corpo di Cuccurullo. Provai, allora, a lanciare contro le sue gambe, bersaglio pietoso e inerte, i volumi che erano finiti intorno a me e che potei così utilizzare come proiettili di un improvvisato tiro al bersaglio che mi ricordò quando, ragazzo, impazzavo, nel luna park del paese, al popolare gioco detto volgarmente “Tre palle un soldo”. Per forza d’inerzia, abitudine archivistica ormai connaturata a ogni mio gesto, volli leggere – consumando via via i pochi zolfanelli che mi erano rimasti – i titoli di quei volumi usati come armi improprie. Arcuando la forza del braccio intorpidito, afferrai e lanciai dapprima Delle antichità e guerre giudaiche dello storico Giuseppe Flavio e subito dopo Il satirico innocente di Anton Giulio Brignole Sale, opera del Seicento di
Bloccato sotto una pioggia di tomi caduti dall’alto che mi impedivano qualsiasi movimento dal bacino in giù, quasi le pagine della mia prigionia si fossero trasformate in una sabbia mobile di cellulosa. raffinata fattura, che impattarono contro la pianta del piede e il femore di Cuccurullo, spargendo pagine come voli di falene notturne. Poi riuscii ad arpionare un testo di Ludovico Antonio Muratori intitolato Della forza della fantasia umana, stampato a Venezia dal Pasquali nel 1745, testo che non avevo mai letto ma che usai – obbligato dalle circostanze – come arma destinata a colpire il povero Cuccurullo nella speranza, ormai svanita, di risvegliarlo da un torpore che non volevo accettare fosse invece rigidità cadaverica. Preso dall’ira, da una scarica di disperazione mista a angoscia, allungai il braccio finché potei, fino a una pila di testi ottocenteschi, di diverso genere, che andavano dalle Opere complete di Niccolò Machiavelli, stampate nel 1833 a Firenze, alle Poesie di Silvio Pellico, edite dalla Sei nel 1855. Li scagliai alla rinfusa, senza mirare a nulla, gesto estemporaneo di cui ora mi pento. Del 1865, poi, erano i 6 lisi volumi dell’Istoria civile del Regno di Napoli di Pietro Giannone e dello stesso il poema L’esule, stampato a Firenze dalla Tipografia del Giglio nel 1868. A questo celebre figlio del Gargano, nato ad Ischitella, il suo conterraneo Cuccurullo, più per orgoglio di appartenenza che per contiguità geografica fine a se stessa, aveva dedicato uno scaffale isolato della biblioteca che ogni mattina lucidava con un pannetto imbevuto in una cera d’api profumata di lavanda che spandeva in biblioteca un intenso odore che mi faceva viaggiare con l’immaginazione fino alla Provenza che conoscevo attraverso i versi del grande poeta Mistral. Dopo aver consumato tutti i fiammiferi, e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 41
regione letture e notizie
scosse, scrittori per il terremoto Nel volume, a cura di Paolo Roversi con l’introduzione di Loriano Macchiavelli, racconti di Barbara Baraldi, Davide Barilli, Alessandro Berselli, Matteo Bortolotti, Alfredo Colitto, Andrea Cotti, Eliselle, Luigi Guicciardi, Filippo Kalomenìdis, Gianluca Morozzi, Marilù Oliva, Paolo Roversi, Valerio Varesi, Giovanni Ziccardi. felici editore, 2012, € 12,00. tutti i proventi delle vendite saranno devoluti per la ricostruzione della biblioteca di san felice sul panaro.
nel vano tentativo di illuminare una via d’uscita o di capire, perlomeno, la topografia di quel luogo inusitato che era diventato un labirinto senza via di fuga, comiciai ad accettare la situazione. In quella caverna di libri mi sentivo protetto, a dire il vero. Protetto come può sentirsi uno che ha sopra di sé una montagna di libri. Una traballante, disordinata, favela di parole stampate, impacchettate, cucite, incollate, che dava l’idea di crollare da un momento all’altro. Dove un tempo regnava un reticolo di logica, un ordine certosino, con migliaia di libri sull’attenti come l’esercito di soldatini di piombo di un maniacale collezionista, ora era sprofondato il caos. Quasi fossero usciti, centrifugati dalla bocca di un vulcano senza fuoco, vecchi tomi rilegati, in brossura, testi dalle copertine di marocchino, cinquecentine brulicanti di spore, bibbie pesanti come colonne di cemento illustrate da Gustave Doré, intere biblioteche di nobili in disarmo, raccolte di testi spuri, manifesti anarchici e bignami, polizieschi ormai illeggibili e romanzi di ogni sorta, si reggevano l’un l’altro come in una sfida prometeica. Un equilibrio incostante, illogico, fatto di incastri casuali, che rendeva le cataste di libri sopra di me come un ponticello tibetano sospeso nel vuoto su cui passasse una mandria di yak inferociti. Eppure sono finito qui sotto e mi sento un miracolato. È assurdo, da dire. Ma questa coltre di carta mi protegge come un tetto, un paracadute che si è solidificato in pagine ingiallite che si tengono in bilico come una vela su un mare che ora pare in bonaccia. Di solito i terremoti creano disegni spietati,
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visioni che agghiacciano per le ferite inferte alla normalità. Intorno a me so di non avere muri spaccati, pareti attraversate da rigagnoli di crepe, blocchi di calcestruzzo, ferraglie d’acciaio o putrelle. No: solo libri, aperti come ali di uccelli, spalancati sul nulla. Ripenso a quando venivo qui in biblioteca, da ragazzo; alle luci giallastre dei paralumi che ombreggiavano gli enormi tavoli color mogano, allo scricchiolio del parquet antico, ai profili biondi di ragazze che bramavo senza il coraggio di avvicinarle, ai busti di bronzo, alle scale di legno appoggiate alle enormi scaffalature bordate d’oro sormontate da arzigogolate cimase su cui gli inservienti si arrampicavano per sfilare, da quelle pareti imbottite di libri, volumi rimasti magari intonsi per secoli, dalle pagine di carta friabile come ostie da messa. Non avrei mai immaginato che il terremoto mi avrebbe fatto questo scherzo. Sono un intellettuale, si dice così, abusando di una parola che fa venire l’orticaria a molti. Qui dentro mi sento sicuro, da sempre. Mi piace trascorrere giornate intere a sfogliare antichi manoscritti, ai più illeggibili, a caccia di segrete storie sfuggite alle cronache dell’epoca. È un posto dove la mia vecchiaia non stona. Qui passo inosservato. Nessuno si stupisce delle mie anche affaticate che dolorano a ogni passo. Nessuno deride la mia testa da uccello spennato, con i pochi capelli che scivolano su un cranio color alabastro come fili di un burattino. La prima scossa, più di dieci ore fa, era stata la mia inconsapevole alleata. Lo sconquasso aveva svuotato la biblioteca, facendo scappare tutti gli studenti.
Era scomparso persino il fastidioso borbottare di Cuccurullo che ogni giorno, dalla stanza dei prestiti, scandiva a voce alta, fumando senza sosta, gli interrogativi della Settimana enigmistica. Volevo approfittare di quell’isolamento totale; del silenzio che dominava in quell’enorme stanza dal soffitto ad arco in cui, a parte me, non c’era più nessuno. Volevo dominare la scena, divorare pagina dopo pagina tutto lo scibile che mi circondava. Ma ora mi sento dimenticato. Solo in mezzo a questa baraccopoli di carta che mi sovrasta come un dirigibile pronto a scoppiare da un momento all’altro. Passa il tempo, implacabile, nel buio che mi circonda. Al primo scricchiolio ne stanno seguendo altri, sempre più vicini. Basterebbe una nuova scossa e io farei la fine che merito. Schiacciato, ucciso da quelle tonnellate di carta a cui ho dedicato la vita. Mi viene da ridere. Quando è arrivata la prima scossa stavo leggendo un libro dedicato agli scrittori di aforismi e la mia attenzione era caduta su una frase di Jules Renard che ora suona quasi come una beffa. “Quando penso a tutti i libri che mi restano da leggere, ho la certezza di essere ancora felice.” Eccolo, un altro scricchiolio. Stavolta è vicino, vicinissimo. Davanti a me sta per crollare tutto, un castello di libri che si spalancherà aprendo il suo ponte levatoio su una voragine senza fine. Una pioggia di volumi che diventerà nubifragio, tempesta. Ecco. Una luce accecante mi abbaglia. Intravedo l’ombra di una grande mano che avanza verso di me. E allora penso che mi hanno trovato... Sì, mi sono venuti a prendere...
storie
Caccia grossa Quando viaggiare era un’avventura: le lettere scritte dal marchese Francesco Pizzardi, giovane rampollo di una delle famiglie più importanti della Bologna post-risorgimentale, riflettono il gusto dell’epoca per l’esotico e lo straordinario. Big Game Hunting in India. When travelling was an adventure: the letters written by Marquis Francesco Pizzardi, the firstborn son of one of the most important families of Bologna after the Risorgimento, show the relish for exoticism and extraordinary things of that time.
™ translation at page 47
di Claudio Bacilieri
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o si potrebbe definire uno scavezzacollo d’altri tempi, il marchese Francesco Pizzardi, figlio d’illustre famiglia liberale della Bologna dell’ultimo quarto dell’Ottocento. Una città che, da un lato, era “ancora incastonata nella cerchia delle antiche mura, più tardi vandalicamente abbattuta, ancora intatta nelle sue vie porticate dalle lente curve sinuose, piena di silenzio e di mistero” – come scrisse Giovanni Pascoli agli inizi del Novecento – e dall’altro era attratta dalla modernità della musica wagneriana, tanto da ospitare al Teatro Comunale tra il 1871 e il 1883 quattro rappresentazioni del compositore tedesco. L’élite intellettuale si raccoglieva intorno a Giosuè Carducci e si riuniva nel retrobottega della libreria Zanichelli, sotto il portico del Pavaglione. A portare le moribonde strutture politiche ed economiche dello Stato Pontificio dentro il nuovo assetto istituzionale dello Stato unitario fu il nuovo gruppo dirigente dei Minghetti, Tanari, Berti Pichat, Audinot. Parte rilevante in quella fase ebbe anche Luigi Pizzardi, presidente della Banca popolare, senatore del Regno e “primo sindaco di Bologna libera” dal marzo 1860 all’ottobre 1861. Il nonno Camillo e il padre Gaetano erano stati gli artefici della fortuna della famiglia: i vasti possedimenti terrieri nella pianura bolognese e la partecipazione alla Società per le miniere sulfuree
di Romagna procurarono ai Pizzardi ricchezza, il titolo di marchese e la magnifica dimora urbana di via Farini. All’impegno civile e politico che caratterizzò le vite di Gaetano e Luigi
Pizzardi si sottrasse il figlio primogenito di quest’ultimo, Francesco, nato nel 1846 e affidato alle cure della nonna materna dopo la morte per parto della madre nel 1852. e-r magazine n. 1 | giugno 2013 | 43
storie
A Torino, dove a sedici anni è mandato a studiare per far carriera nell’esercito, Francesco Pizzardi è preso dal vizio del gioco, costringendo il padre a numerosi interventi riparatori. Dopo che nel 1867 il giovane ufficiale ha perso un’ingente somma, il padre ne chiede l’inabilitazione al Tribunale di Bologna per motivo di prodigalità, sentenza poi revocata nel 1873 per “ravvedimento totale”. L’episodio più clamoroso di questa cattiva condotta è del 1869, quando Francesco per una questione di donne uccide in un duello alla pistola il venticinquenne
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Giuseppe Mazzacorati, amico dell’eroe risorgimentale, politico e scienziato Quirico Filopanti. Luigi Pizzardi muore nel 1871 senza essere riuscito a domare il suo primogenito, che con i fratelli Carlo Alberto, Camillo e Cesarina eredita una vera fortuna. Degli affari di famiglia si occupa Carlo Alberto: dalla donazione di questi, poco prima di morire, all’Amministrazione degli Ospedali, nascerà nel 1927 il Bellaria “Carlo Alberto Pizzardi”, uno dei quattro ospedali pubblici di Bologna. Francesco, invece, è interessato solo alla caccia e ai viag-
gi esotici. Il diario epistolare del suo viaggio in India è pubblicato nel volume “Da Bologna all’India. Il viaggio del Signor Marchese Francesco Pizzardi (1877-1878)” edito da Bononia University Press e curato da Angelo Varni. Indirizzate ai fratelli, le lettere di Francesco raccontano il viaggio iniziato da Bologna il 13 ottobre 1877 e terminato il 30 maggio 1878 con il ritorno sotto le Due Torri da Alessandria d’Egitto. L’interesse di questo documento sta nella sua aderenza alle idee di un’epoca: il giovane rampollo di una delle famiglie più in vista del liberalismo bolognese, gira il mondo per curiosità, insoddisfazione e forse ribellione allo stesso ambiente da cui proviene. Si legge, nelle lettere di Francesco, l’insofferenza verso gli obblighi di ospitalità, come l’uso di abito da sera e cravatta, dovuti alle autorità inglesi che lo accolgono e gli danno supporto per le battute di caccia. Nondimeno, anche quando avverte le contraddizioni di un sistema che tiene insieme i cinque pasti al giorno degli inglesi e la morte per carestia di milioni di indigeni, non vacilla il suo sentimento di superiorità morale, culturale e razziale nei confronti di questi ultimi. “Tutti gli Hindù coi quali ho parlato sono d’accordo nel confessare che da soli non sarebbero capaci di governarsi, e riconoscono che debbono molto agli Inglesi i quali realmente fanno sforzi inauditi per incivilirli” – scrive. Tuttavia, la curiosità per l’India e i suoi riti è talmente forte da farlo innamorare di questo paese “meraviglioso per tutto ciò che riguarda natura, abitanti, costumi, monumenti, caccia” – anche se ai monumenti non è per nulla interessato, e moltissimo invece alla caccia, che sembra essere la sua prima ragione di vita. “Io non amo che la caccia”, scrive Francesco. La ama come sport, come spettacolo, e come in fondo ama l’India, cioè per quanto di straordinario, di lontano dalla quotidianità c’è in un’attività in cui può capitare di montare un elefante per cacciare la tigre, inseguire antilopi servendosi di un leopardo bendato, far strage di cervi, braccare rinoceronti. A noi, anime ambientaliste, fa ribrezzo questa disinvoltura nello sparare ai tigrotti e nell’annotare il bottino di caccia: “In 13 giorni in 9 persone da principio e in 8 dopo abbiamo ucciso 1 Tigre, 16 Bufali, 122 Cervi, 102 cignali, 10 lepri, 6 florikan, 57 pernici, 2 quaglie, 1 oca
e 15 anitre. Totale 317 capi”. In una delle ultime lettere, Pizzardi si lamenta che una certa “campagna è meno selvaggia di quella di Kuch-Bahar. Vi è una quantità enorme di cervi e di cignali, bufali in abbondanza ma poche tigri. Ciò dipende dalla grande strage che ne è stata fatta negli anni scorsi”. Se in questa frase c’è un minimo di consapevolezza della fragilità dell’ecosistema (troppa caccia, niente caccia), prevale sempre la voglia di avventura: sentirsi sballottato nel deserto sopra un elefante, vedere un bufalo pazzo che s’immola per caricare sessanta elefanti, rinunciare a sparare a un pitone per non farsi sentire dalla tigre alla quale si sta tendendo un agguato, far abbattere alberi dagli elefanti per penetrare negli inestricabili boschi del jungle. Tra una battuta di caccia e l’altra, scorre davanti agli occhi l’India misteriosa. Come la danza rituale delle nautch (ballerine) al matrimonio di un rajah quindicenne vestito come un damerino di Londra: “Finché alcune signore Inglesi (tutti mostri) furono presenti, le nautch furono insulse, ma partite quelle cominciarono un ballo così lascivo, così eccitante da far perdere la testa a un cantore della cappella Sistina. E tutto questo con un’aria compunta e modesta come se si vergognassero”. C’è sgomento davanti alla morte per fame: “Sono rimasto come ebete davanti allo spettacolo di queste povere creature che non hanno più nulla di umano. Immaginatevi degli scheletri
rivestiti con una pelle troppo larga; le cosce degli uomini e delle donne non sono più grosse del mio braccio, e gli stinchi non più del mio polso; non vi parlo dei bambini i quali per un’amara ironia della sorte hanno il ventre sviluppatissimo per un’enorme dilatazione del fegato prodotta, io credo, dall’acqua infetta che bevono”. In un’altra lettera annota: “Accanto a un accampamento Inglese dove regna il confort, dove non si beve che Champagne, dove ogni pasto non ha meno di 10 portate, vi è della gente che mangia erba e sterco e finisce per morire di inanizione. Esci dalla casa di un’Ufficiale Inglese, dove haj pranzato in cravatta bianca, dove le Signore erano decollatées, e passeggi in mezzo a una folla nuda o quasi nuda”. A Bombay Francesco vede le pire funebri “nel cimitero degli Hindou, ossia nel luogo dove abbruciano i cadaveri. È uno spettacolo ributtante. Quando siamo giunti stavano abbruciando 6 cadaveri: il corpo stà fra due strati di legna, ma la testa e le gambe sporgono dal rogo e si vedono le carni abbrustolirsi, e colare il grasso che frigge e ravviva la fiamma”. Infine, lo spettacolo del Gange a Benares: “È un amalgama di sontuosi palazzi di Rajahs e di tempii di tutte le forme e di tutti i colori, immense gradinate scendono da questi fabbricati al fiume, e sui gradini un formicolio continuo di gente che viene a bagnarsi nelle onde del fiume sacro (…). Dove volete trovare un quadro più bello di questo? (…) ciò che dà la vita al quadro sono i vestiari delle donne ed anche degli uomini. Hanno dei colori e soprattutto delle mezze tinte che non si conoscono in Europa. Oltre il rosso vivissimo ed il turchino ed il giallo, vedi a miriadi il verde chiaro, il rosa tenero, il lilla moribondo. La simmetria morirebbe idrofoba se guardasse Benares dal Gange”. La passione per la caccia porterà ancora in Oriente negli anni successivi Francesco Pizzardi: sappiamo che nel 1883 è a Singapore e in Indonesia. A Bologna ha preso in affitto una residenza in palazzo Montanari di via Galliera, dove conserva la sua collezione di trofei di caccia fino alla morte, avvenuta nel 1919 nella sua abitazione di Montecarlo. Morì tra i debiti il marchese di Bologna per il quale la vita era un’avventura di caccia grossa, dopo la quale ci sarebbe stato soltanto il banale viaggio turistico.
Tra una battuta di caccia e l’altra, scorre davanti agli occhi l’India misteriosa. Come la danza rituale delle naucht al matrimonio di un rajah quindicenne vestito come un damerino di Londra.
a pagina 43 Francesco pizzardi vestito da ussaro (1886 circa). nella pagina accanto Francesco pizzardi in tenuta da cacciatore. in questa pagina Francesco pizzardi A 28 ANNI. Copertina del libro “Da bologna all’india. Il viaggio del signor Marchese Francesco Pizzardi (18771878)”, bononia university press, 2006 IMMAGINI MESSE A DISPOSIZIONE DALLA BIBLIOTECA COMUNALE DELL’ARCHIGINNASIO, BOLOGNA.
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english version
p. 04 It Was Just One Year Ago by Giovanna Antinori
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o self-flattery, just reality. The institutional meeting which took place on 30th May in the Emilia-Romagna Region headquarters, one year after the earthquake, could be summarized in this way. In Bologna President Vasco Errani, Commissioner for Reconstruction, and Palma Costi, President of the Legislative Assembly, welcomed Prime Minister Enrico Letta, Deputies and Senators, European MPs, Regional Councilors, Mayors and Administrators of the Institutions affected by the earthquake, head of Civil Protection Franco Gabrielli, members of voluntary groups and economic and social bodies. No self-congratulations in this public assessment including many items, merely acknowledgement, with understandable pride, one year after the deaths and fear, of the work done and the desire to restart of a community badly affected by the events. Everyone is aware that there is still much to do, but the way has been paved. And there were many thanks to those who generously, intelligently and wisely gave a contribution. In this unexpected tragedy “we see the best Italy working” stated Vasco Errani “both in the emergency and in starting the reconstruction process. The solidarity of other Regions, Municipalities, Anci, Provinces, volunteers. And we should also mention the precious contribution of our Armed Forces, police forces, fire brigades, churches, political groups, associations… The contributions given by people, families, many young people. Spontaneous initiatives by newspapers and television channels”. Solidarity and generosity have been the first bricks in the rebirth of the Region, which was desired to be transparent, ensuring, for the first time in our country, traceability of all donations coming from all over the world and their uses. And from the very start, a clear will to focus on our community and its identity, lest the social tissue be torn and lose its strength. No new towns for wounded Emilia: the reconstruction management decided to give a key role to citizens and local institutions, sharing a common overview, with shared rules and objectives to achieve together. “We have not looked for a leader” remarked president Errani to
a cura di Agata Bienna e Bruna De Luca – Benedict School
the audience “but a community effect, constantly referring to society and its democratic representations, focusing on involvement as an element of efficiency, transparency and control, basing our work on the quality of the public administration, public employees as well as teachers and nurses”. In this respect, a milestone was the establishment of the “Comitato istituzionale e di indirizzo per la ricostruzione e la piena ripresa delle attività economiche” (“Institutional and Reference Committee for Reconstruction and Full Restart of Economic Activities”), a body including the affected Provinces and Municipalities which periodically meet to plan activities and share aims and choices concerning reconstruction. Since while needing to immediately provide people with help, we found a hole in the laws. In a certain sense, we had to start from scratch: laws to reconstruct Emilia, with funds and help to families and enterprises, were written, in a hard situation, during the emergency in agreement with the Government, the Parliament and the Regional Assembly. Rules, both national and regional, and Commissioner’s decrees drew inspiration from three fundamental principles: legality, transparency and fairness. Legality, to prevent organized crime groups from entering the territory and being granted public funds; transparency, because all money movements must be traceable and controllable; fairness, so that all those entitled can receive support under equal conditions: nobody must be forgotten, there must be no speculation on reconstruction. Priorities have been defined together. First of all, safety for people, providing immediate health and support services, then productive activities, making it possible to finish the school year, working to start a new school year regularly in September, closing the 36 camps before the winter. Moreover, finding the funds to restart, and this objective was achieved. With damage acknowledged 100%. “Here we can find the engine of the growth of our country and the fall of the GDP last year and this year is also due to the earthquake in Emilia. This engine must be restarted, Italy needs it” stated Enrico Letta during the meeting in Bologna. The engine must be restarted, we tell you about that in the section of our website dedicated to the earthquake. We restarted on the basis of clear and shared principles and rules, defining procedures and implementing norms which Emilia can now return to the fragile beauty of our country.
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p. 10 Good Morning Vietnam by Giovanni Bosi
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ith its eighty million inhabitants, most of whom are young, and its natural inclination to commerce, Vietnam is a rapidly growing country. Its strategic position in Asian international markets offers growing opportunities for development and marketing exchanges. For this reason Emilia-Romagna, with its 2013 internationalization programme, included the South-Eastern Asian country among the main regional targets. The aim is to start a new season of investments, economic cooperation, business activities involving, above all, small- and medium-size Emilia-Romagna companies dealing with advanced mechanics. Businesses from our region – the list of companies already working in Vietnam includes Bonfiglioli, Datalogic, Embassy Freight, Gt Lines, Oltremare, System Group, Cir Food, Wam Group, Sacmi and Cae – has already established contacts and collaborations with Vietnam, which are proving more and more frequent and stable. Between 2010 and 2011 exports from Emilia-Romagna to Vietnam grew by 17%, whereas imports rose by 41%. Italy was one of the first few countries to acknowledge the Republic of Vietnam and in 2013 we are celebrating the fortieth anniversary of diplomatic relations between our two countries. An anniversary which lies within a broader framework including marketing, institutional and cultural events, mostly the “Vietnam Cultural Week”, which took place in Bologna between 3rd and the 11th May, along with an exhibition narrating the 40 years of collaboration and friendship between these two countries. It was also a good occasion to sign, in March this year, a memorandum of intents and an operating memorandum between the Embassy of the Socialist Republic of Vietnam in Italy, the Region Emilia-Romagna and Unioncamere Emilia-Romagna. The agreements were signed by the Ambassador of the Socialist Republic of Vietnam in Italy, Hoan Long Nguyen, the Councilor for Productive Activities of the Region Emilia-Romagna, Gian Carlo Muzzarelli, the Regional Councilor for Universities of the Region Emilia-Romagna, Patrizio Bianchi, and the Chairman of Unioncamere Emilia-Romagna, Carlo Alberto Roncarati. In the memorandum of intentions, the Region Emilia-Romagna and the Socialist Republic of Vietnam recognized “a potential for economic cooperation and
business activities jointly managed, with particular emphasis on small- and medium-size enterprises of both territories”. The document stresses “a shared interest in developing a common platform in order to foster transfer of technologies and cooperation in research and development activities”, in particular, but not exclusively, in the advanced mechanics field. Unioncamere Emilia-Romagna and the Embassy of the Socialist Republic of Vietnam also launched a “Vietnam Desk”, managed by a Vietnamese expert, working in Bologna at the Unioncamere headquarters for three months, from 8th May to 31st July 2013. “Vietnam Desk” in the Asian continent is a high-quality information point for companies in the region interested in strengthening business relations with and knowledge with Vietnam and to make the best possible use of the opportunities to spread Emilia-Romagna products present in a new strategic market. Among the events scheduled for the next few months, besides single meetings, in June there will be a “Mini Master Vietnam”, in cooperation with newspaper “Il Sole 24Ore”; in July an incoming mission in Emilia-Romagna with Vietnamese operators dealing with the mechanical sector; in September a cycle of information and training meetings envisaged to prepare an outgoing mission to Vietnam, which will take place in October-November 2013 with meetings with Vietnamese operators in the mechanical sector.
p. 13 From the Crater to Catwalks in Paris by Piera Raimondi
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he quake hit one of the most important industrial areas in the country, where there are productive districts famous worldwide, like the biomedical and textile ones. In the crater, the area around the epicenter which includes 33 municipalities, there are several thousand affected companies, damage having been assessed as 2.7 billion Euros. But during the emergency, companies struggled to keep a territory which accounts for an important share of the Italian production alive. Among the many stories we could tell you, we chose the Semi-couture one, a Made in Italy brand whose production is made by small workshops present in our territory, which perpetuate a tradition the whole world envies. The first Semi-couture line appeared in 2008, stemming from the creativity
of the young Emilia-Romagna fashion designer Erika Cavallini. Her clothes, sold in the most prestigious boutiques worldwide, are totally Made in Emilia, like almost all her raw materials, chosen from among the best on the market and processed by experienced artisans, in compliance with the most traditional dressmaking tradition. Each creation is unique, thanks to the quality of production, detailing and applications, which are often precious vintage pieces. —Due to the earthquake last May you had to leave your headquarters in the heart of Crevalcore. What is the situation like one year later? From the point of view of the company the situation has “normalized” in the last few days, in which we finished – precisely one year after the earthquake hit us – building our new offices in the old operating headquarters and warehouse. All the employees have gone through a whole year of hardship and adjustments to the situation and discomfort, practically “camping” as best as they could in a place whose original function was to be merely a logistic warehouse, this obviously entailed many problems. But I am happy to say that everyone understood and shared our strong will to go on and to stay in our town, even though we had had a very attractive chance to relocate somewhere else. I am proud to say that we have also given a little but important contribution, showing that we wanted to rebuild our town and bring it back to the situation before the earthquake, although the path is hard and long: for instance we, like other citizens of Crevalcore including some of our employees, cannot enter our houses. The rebuilding process is difficult and appears to be hard in general: the funds allocated are being delayed and people start to feel some sort of mistrust. I believe that, in view of this, staying here is also an important symbolic action for everyone: we are here and we are carrying on. —Semi-couture production is focused on a very precise geographic area, with almost no movement of materials. Why this choice? To what extent and in what ways is your brand connected to the local territory? Our company was established in Crevalcore and we want to stay here. 90% of our collaborators and employees live in our town and we do not want to betray our “genius loci”. Here there are the ideal conditions to work with a smile and the life style focused on people present in our territory is 100% present in our company.
This is priceless. As regards the decision to use materials almost not travelling at all (or rather, travelling for no more than 30 km, if we consider the distances between Modena, Carpi and Bologna), it all started as a coincidence (it was the easiest thing to do at the beginning), then we understood that it was our real added value. We have an enormous advantage, namely the enterprises and workshops we collaborate with are all made up of people who speak “our same language”, from the point of view of production and quality. In addition to this, there are some clear logistics and speed benefits, more flexibility and efficiency as regards production quality, and the production capacity we can achieve in our area is worth much more than the 10% margin we can get if we move production to countries were labour is cheaper… That is sheer business short-sightedness. —Your collections, made up of almost unique pieces, imply that you carry out research, retrieval and recycling activities which, in a certain sense, are demanding. Why did you choose to do so? This is Erika’s passion, but eventually it has become our very identity. Retrieval, however, does not only mean finding old tissues and old buttons which other enterprises underestimate for various reasons, but rather keeping the dressmaking and production history of our area alive, as well as preserving a historical memory of Italian fashion. —A show room in Milan, one in Paris. How is your made in Italy, or rather made in Emilia production performing throughout the world? Very well. Foreign sales today account for 40% of our turnover and will reach a 50-60% threshold in the next 12 months. Because an entirely Made in Italy product like ours is very recognizable abroad and because we believe that producing items which do not only take margins into consideration eventually pays off. Little by little, we are also reaching very interesting new markets, from Hong Kong (where we are performing very satisfactorily) to the Middle East and Russia. Everyone is looking for a modern but well-made product, with a precise style, which is the Italian style, after all. But this does not mean we only take into consideration foreign markets; for instance, most of our communication and advertising campaigns focus on Italy, because we are proud of our country and we do believe that playing a key role in our country is a fundamental premise to pave the way to foreign markets, this is something we cannot do without.
p. 17 Happy Birthday, Peppino! by Angela Simeoni
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he first six months of this year dedicated to Verdi have been a sort of general test for the big celebrations which will be taking place in Autumn. “Peppino” Verdi was born at Roncole on 10th October 1813. Let us start from Parma, with “Festival Verdi”, which includes as many as fifty-one events dedicated to the Maestro. In the calendar there are some great operas like Simon Boccanegra and I Masnadieri with the Filarmonica Toscanini orchestra and the Regio Theatre chorus, Requiem Mass with the French National Orchestra conducted by Daniele Gatti, but also the inauguration concert with Riccardo Chailly conducting the Scala Theatre Filarmonica orchestra and Falstaff in the small but precious theatre of Busseto. The festival starts on 30th September and finishes on 31st October, offering an overview of the rich Verdi repertoire, involving not only the Fondazione Teatro Regio di Parma and Teatro di Busseto, but also many musical institutes. Teatro Comunale of Bologna will celebrate the two hundredth anniversary by starting its Autumn season with Nabucco, on 19th October. Verdi’s first great success, the opera will be directed by Yoshi Oida, a Japanese whose training took place with Peter Brook, whom he also interpreted. The scenery projects the story into a timeless space, using scenes and costumes which acquire an almost metaphysical look. With this Nabucco, head director Michele Mariotti carries on with his research work on Verdi’s repertoire, after the successful Requiem Mass played in Bologna last Winter. Another must-see event is the one in Mirandola, in the heart of the area devastated by the earthquake. There, on 4th July, Riccardo Muti, within the framework of “Ravenna Festival”, with the chorus and solo singers of “Luigi Cherubini” Youth Orchestra, will dedicate a programme including Giuseppe Verdi’s most famous operas to the victims of the earthquake. In Autumn, the “Trilogia” project returns to Ravenna. It is devised, directed and coordinated by Cristina Mazzavillani Muti. She collaborates with an already well-established work team, experienced in the use of
new technologies, applied to images and sounds. After the success of “Trilogia popolare” (Rigoletto, La Traviata, Il Trovatore), which you may still watch on giuseppeverdi.it, the director’s attention has shifted to Verdi’s Shakespearean production: Macbeth, Othello and Falstaff. These works will be put on stage in a close comparison and arranged according to the “laboratory” mode which has made it possible promote new talents. The guys of VerdiWeb laboratory will take the pictures of Verdi’s places – Villa Sant’Agata, Roncole and Busseto – which will be the scenery for Falstaff. The contrast between light and darkness will mirror that between Othello’s dark skin and Desdemona’s paleness, whereas the edge between vision and reality will accompany Macbeth’s fooling power thirst. At Villa Sant’Agata, where nothing has changed since the time when Verdi lived in those rooms, Shakespeare’s tragedies are still there, on his bedside table. A visit to the places in which Verdi lived is a must in order to understand the celebrative atmosphere of the anniversary, which offers tourist packages, gastronomic itineraries, exhibitions and concerts. You may find all the information about these events on the website giuseppeverdi.it, dedicated by the Region Emilia-Romagna to the two hundredth anniversary of Verdi’s birth. Moreover, thanks to Cartellone 200, the initiative started by the Councillorship for Culture of the Region Emilia-Romagna, many important Verdi’s operas we have just mentioned will be visible on our website after the events. Many Italian culture institutes worldwide and many theatres all over the region, where operas are broadcast in simulcast, have also taken part in the project. But the journey into Verdi’s varied world can also be made in a different way these days: the Institute for Cultural Heritage of the Region Emilia-Romagna and the Information Technology Department of the University of Bologna have created Verso Verdi, an iPhone application which you can download for free from App Store. Verso Verdi is a way to explore Verdi’s world through 24 planets/museums in Emilia-Romagna. Each stop includes a video, some music, readings and picture slideshows, through an innovative interactive experience which uses some sophisticated emotional browsing forms to recognize emotions through facial expressions.
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english version p. 36 The Woman Is Fickle by Claudio Bacilieri
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ntil a few decades ago, women’s emigration was not taken into consideration by sociological research studies. Not only due to the greater number of men, but mostly because women were considered as their husbands’, fathers’ and sons’ trailers, even when the decision to leave was individual and based on the breakage of family and social ties. And the not so few women who left alone, without travelling with their relatives, were not just frowned at because it was believed emigration would booster adulteries, births of illegitimate children, prostitution, but also discriminated against. For instance, those who would not find a job in a factory abroad were not likely to accept going back to a family life passively. Now Lisa Mazzi’s book “Donne mobile. L’emigrazione femminile dall’Italia alla Germania (1890-2010)” (“Moving women. Women’s Emigration From Italy To Germany (1890-2010)”, published by Cosmo Iannone, throws light on a not very well known side of Italian emigration, reopening the issue of women’s invisibility. Since the end of the nineteenth century, Germany has always looked for women’s labour, but the track of these migration flows, often originating from the plain of the river Po and Emilia-Romagna, has been lost. Lisa Mazzi – born in Modena, a teacher at Saarland University in Saarbrücken, after studying at the University of Bologna and at Christian Albrecht Universität of Kiel – reconstructed them by sifting through libraries and archives in Germany and in Italy for two years. Her sources include Istituto Storico of Modena and Centro Studi Cardinale A. Casaroli of Bedonia (Parma). Women’s contribution to the economic development of Germany should not be neglected. Suffice it to say that at the end of 2010 there were over 212 thousand Italian women in that country, and many families are the last ring in a migration chain which started between the nineteenth and the twentieth centuries, confirmed by the Italian-German bilateral agreements of 1937 and 1955. Girls were always preferred to men because they were billig und willig, that is they were paid less and worked a lot. Although someone used to describe them as fickle and not very clean, their skills in spinning mills were appreciated. Exceptions to migration out of necessity were the mute cinema actresses of the Twenties, when Berlin became the European
capital of the seventh art, attracting film directors and stars travelling with them, like Maria Jacobini and Marcella Albani. One of them, Piedmont-born Isa Querio, did not only act, but was also a translator and scriptwriter. She lived in Berlin from 1921 to 1933, then when spoken films started to appear she was a character actress in famous films like Long Night in 1943 by Florestano Vancini, and passed away in Bologna in 1976 in the Lyda Borelli Hospice for Artists. From 1890 to the First World War, Germany attracted many Italian women, whom it offered better living conditions. The agricultural crisis pushed workers and their families from the plain of the river Po out of Italy. The so-called “orsanti” left from the Apennines south of Parma, particularly from the valleys of the rivers Taro and Ceno, as early as in the mid-eighteenth century. They were strange professionals used to travel around Europe playing the barrel-organ and making monkeys, bears and camels dance in town squares. Women left with them: at Bedonia, in the Emigration Documentation Centre, there is Sofia Margherita Belfrani’s passport. She left the country with her husband, a professional “musician”. Her passport was stamped by the German authorities on 2nd April 1857. You can also find Maria Moruzzi and Giuseppe Moruzzi’s wedding certificate; they were also musicians and got married in Berlin on 15th April 1846. The growth of the textile sector in Germany under Wilhelm paved the way for the immigration of Italian women. Clothes factories, cotton mills and silk mills in Baden Wüerttemberg and Saxony mostly attracted single women, required for their professional skills and because they could adjust to two- or three-year contracts better: a sufficient period to find a husband, get married and leave their job to take care of their families. For many women, independent immigration, not following their husbands or leaving to meet them abroad, was an unconventional choice due to their desire to escape an oppressive society. Escaping for travelling and travelling for escaping: emigration, despite the difficulties due to adjusting and the subsequent culture shock, has always been a chance to change. As they adjusted to the new situation of their host country, generally more advanced than their own, women acquired more self-awareness and understanding their identities became the way towards emancipation. Italian factory workers were hosted in boarding houses (Mädchenheime), run by nuns with strict rules. The very factory owners often built these boarding houses: some have been preserved in Swabia and in other places, for instance near
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Freiburg, in the Dark Forest, the Mädchenheime of the company Gütermann built in 1903. Commissioner Giacomo Pertile of the Italian Emigration Office of Koln wrote in a bulletin in 1911 that the Heime or common accommodation houses “were not made for our girls, into whose heads you cannot stick such numerous German verboten. Because in those houses, everything is disciplined like in barracks: wake up at a certain time, meals at certain times, silence at a certain time! And when the house is run by nuns, even kneeling down and praying at a certain time! Italian girls want to laugh, sing, jump, be noisy, pour out their liveliness whenever they want”. In the Heime, a cross between barracks and convents, girls felt like in prison. About thirty years later, migration flows towards Germany started again, as a consequence of the agreements between Rome and Berlin. The Third Reich agricultural policy, aiming at food self-sufficiency, required the use of foreign labour. At the same time, in the valley of the river Po there were too many field workers, who often became unemployed. With the agreements of 1937, Italy accepted to supply farm labourers, (many from the province of Ferrara), including women, as explicitly required by Germany. The fascist government was not in favour of women’s emigration, but the archive of the Reich Chancellery registered, in 1937, as many as 2,738 Italian women, and the figure rose to 5,719 the following year. 620 of them were from the province of Modena, both from municipalities on the plain and on the Apennines, and in general Modena immigrants, including men, were the most numerous who moved to the Third Reich. Women wore a uniform as they departed: a bright blue safari jacket with a grey-green skirt, with no difference between farm labourers, cooks and interpreters. Among the stories discovered by Lisa Mazzi, we would like to mention that of Gelsomina Mantovani from Gualtieri (Reggio Emilia), who emigrated in 1938 to pick potatoes and beets, and stayed in Hildesheim, in Lower Saxony, where she married a German man, even after her husband’s death; her children received Confirmation according to the Protestant rite. Another story is Lea Serafini’s; she left the Modena plain in 1938 at the age of 24, alone, to work as a farm labourer in the Magdeburg area: she stayed there for two years, alternating work in the fields with work as a cook and was extremely satisfied, since pay and food were good and the weather, after all, was not so different from that of the Emilia-Romagna plain. After the Second World War, a new
bilateral agreement in 1955 brought many Italian women factory workers to Germany: once again, it was assisted emigration (Anwerbestop), sometimes to the same places, such as the textile company Gütermann in Gutach, which survived Nazism and kept on employing Italian women and hosting them in its “Casa Italiana”. In 1973, the year when mass emigration ceased, women workers who had emigrated to Germany were over 103,ooo. Antonella Baraldi is one of the lucky girls Germany generously opened the doors to: leaving Modena alone with a secondary school diploma and a brief work experience at Standa shopping centre, she was hired by the Mail Offices of Frankfurt and later worked for the accounting office of Alitalia, where she remained until she retired. In 1975, a new type of migration started, often academic in nature, and in the Nineties a young emigration rose, made up of technicians, Erasmus students, researchers, PhD students, with women on the front line. In women, generally belonging to a medium-high socio-cultural context, Fremde (strangeness), lack of orientation and nostalgia are often replaced by a sense of belonging to a multicultural society and, therefore, they are generally capable of integrating in Germany. Thanks to the new media and social network, in the last ten years networks of women have appeared all over the federal territory, from Dica (Donne italiane coordinamento Amburgo) to Coordinamento Donne in Frankfurt and the newly established Rete Donne. An active role in the establishment of women’s network has been played by Laura Garavini, born in Vignola in the province of Modena, living in Germany since 1989, where she taught Italian in the town of Kiel. Later, she moved to Hamburg, Koln and then to the capital, where she established Associazione Emiliano-Romagnoli di Berlino. In 2007 she promoted Mafia? Neindanke!, a strong event to fight the mafia, which in that year was also felt in Germany. In 2008 she was elected to the Italian Parliament in the foreign district, and in 2013 she was re-elected.
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ou might define him as a daredevil of the past. He was Marquis Francesco Pizzardi, son of an illustrious liberal family of Bologna of the last quarter of the nineteenth century. A city which, one the one
hand, was “still closed within the ancient city walls, which would later be barbarically demolished, with winding portico-lined streets still perfectly preserved, full of silence and mystery” – as poet Giovanni Pascoli wrote in the early twentieth century – and on the other hand was so attracted by the modern music of Wagner as to host four works by the German composer at Teatro Comunale between 1871 and 1883. The intellectual elite gathered around poet Giosuè Carducci and used to meet in the back of Zanichelli bookshop, under the Pavaglione portico. The decaying political and economic structures of the old State of the Church were brought to the new system of the united Italian state by the new leaders: Minghetti, Tanari, Berti Pichat, Audinot. A relevant role in this phase was also played by Luigi Pizzardi, chairman of Banca Popolare, senator of The Kingdom of Italy and “first mayor of liberated Bologna”, from March 1860 to October 1861. His grandfather Camillo and his father Gaetano had been the authors of his family’s fortune: the large lands they owned in the plains around Bologna and the shares in the Sulphur Mines Company of Romagna made the Pizzardi family rich, gained them the title of marquis and earned them their beautiful town palace in Via Farini. The civil and political engagement which characterized Gaetano’s and Luigi Pizzardi’s lives did not affect the latter’s eldest son, Francesco, born in 1846 and entrusted to his grandmother on his mother’s side after his mother died during childbirth in 1852. In Turin, where at the age of sixteen he was sent to study and form a career in the army, Francesco Pizzardi became a gambler, forcing his father to pay his debts numerous times. When the young officer lost a high amount of money in 1867, his father resorted to the Law Court of Bologna and asked him to be legally incapacitated due to his prodigality. This sentence was later repealed in 1873, when the young man “totally returned to reason”. The most striking event among his bad deeds took place in 1869, when for a matter involving some ladies Francesco killed 25-year-old Giuseppe Mazzacorati in a duel, a friend of Quirico Filopanti, Risorgimento hero, politician and scientist. Luigi Pizzardi died in 1871 without having managed to tame his firstborn son, who inherited a fortune together with his siblings Carlo Alberto, Camillo and Cesarina. Carlo Alberto dealt with the family business; the donation he later made to the Hospital Adminis-
tration, shortly before dying, in 1927, resulted in the foundation of Bellaria “Carlo Alberto Pizzardi”, one of the four public hospitals of Bologna. Unlike him Francesco was only interested in hunting and exotic trips. The collection of his letters describing his trip to India was published in a book called “Da Bologna all’India. Il viaggio del Signor Marquese Francesco Pizzardi (1877-1878)” (“From Bologna to India. Marquis Francesco Pizzardi’s journey (1877-1878)”, published by Bononia University Press and edited by Angelo Varni. Sent to his siblings, Francesco’s letters tell the story of a journey starting from Bologna on 13th October 1877 and ending on 30th May 1878 when he came back to the shade of the Two Towers from Alexandria in Egypt. This document is interesting because it shows the ideas of an epoch: the young firstborn of one of the most promient families of liberal Bologna travelled around the world out of curiosity, dissatisfaction and, perhaps, rebellion to the very environment he came from. In Francesco’s letters we can find his intolerance towards a host’s obligations, for instance using a dinner jacket and a tie, imposed by the English authorities who welcomed him and helped him during his hunts. However, even when he felt the contradictions of a system which combines five meals a day for the English and death due to famine for millions of local inhabitants, his feeling of moral, cultural and racial superiority towards the Indians does not falter in the least. “All the Hindus I have spoken to agree that, by themselves, they would not be able to govern themselves, and admit they are most indebted to the English, who really make great efforts to civilize them”, he wrote. However, curiosity for India and its rituals is so strong that he fell in love with this country, which is “marvellous in all its natural elements, inhabitants, costumes, monuments, hunting”, although he was not at all interested in monuments, but very much so in hunting, which seemed to be his reason for living. “I love nothing but hunting”, wrote Francesco. He loved it as a sport, as a show, and after all in the same way as he loved India, that is as something extraordinary, far from daily life you can find in an activity which requires you to ride an elephant to hunt a tiger, follow antelopes using a blindfolded leopard, massacre deer, chase rhinos. To us, who have developed an animal-friendly attitude, the easiness with which he shot tiger cubs and listed his hunting preys sound
disgusting: “In 13 days with 9 people at the beginning and 8 later, we killed 1 tiger, 16 buffaloes, 122 deer, 102 boars, 10 hares, 6 florikans, 57 partridges, 2 quails, 1 goose and 15 ducks. For a total of 317 animals”. In one of his last letters, Pizzardi complained that a certain “countryside is less wild than that of Kuch-Bahar. There are enormous amounts of deer and boars, abundant buffaloes but few tigers. This is due to the great massacre which has been done in the past few years”. If this sentence shows a little awareness of the fragility of the ecosystem (excessive hunting, no hunting), what prevails is still his desire for adventure: bumpily riding an elephant, seeing a crazy buffalo which kills itself charging sixty elephants, deciding not to shoot a python lest a tiger he is ambushing may hear the noise, having the elephant cut down some trees in order to penetrate into the dense jungle. Between one hunt and another, mysterious India is before his eyes. Like the ritual dance of the nautch (female dancers) for a fifteen-year-old raja’s wedding, dressed like a London dandy: “As long as some English ladies (all horrible-looking) were present, the nautch were silly, but when they left, they started such a lewd, exciting dance that even a Sistine Chapel singer would lose his mind. All this with serious and humble expressions, as if they were ashamed”. He was harrowed when he saw people starving to death: “I remained wordless seeing those poor creatures who do not have anything human anymore. Imagine some skeletons dressed skin too wide: the men’s and women’s thighs are not wider than my arm, and their shins are not wider than my wrist; I will not mention the children, who, bitter irony, have very large bellies due to an enormous dilation of their livers caused, I believe, by the infected water they drink”. In another letter he remarked: “Next to an English camp where comfort reigns, where they drink nothing but champagne, where each meal does not have less than 10 courses, there live people who eat grass and dung and end up dying of starvation. You leave the house of an English Officer, where you had lunch wearing a white tie, where the ladies wore low-neckline dresses, and you walk among a naked or almost naked crowd. In Bombay Francesco saw funeral pyres “in the Hindu cemetery, that is the place where they burn corpses. It is a disgusting show. When we arrived, they were burning 6 corpses: each corpse lies between two layers of
wood, but the head and legs lean outside the stake and you can see the flesh burning, and the fat leaking and frying as it kindles the flame”. Finally, he contemplated the river Ganges at Benares: “It is a mixture of luxurious Rajas’ palaces and temples of all shapes and colours, with enormous staircases going down from those buildings to the river, and the steps are constantly teeming with people who come to bathe in the waves of the holy river (…). Where can you see a more beautiful picture than this? (…) what makes this picture alive is the clothes of women and even of men. They have colours and, more importantly, shades of colours which are unknown in Europe. Besides very bright red and deep blue and yellow, you can see myriads of light greens, soft pinks, moribund lilacs. Symmetry would die of hydrophobia if it looked at Benares from the river Ganges”. His passion for hunting would take Francesco Pizzardi to the East again: we know that in 1883 he was in Singapore and Indonesia. In Bologna he rented an apartment in Palazzo Montanari, in Via Galliera, where he kept his collection of hunting trophies, until he died, in 1919, in his house in Montecarlo. The Marquis from Bologna whose life was big game hunting, which would then turn into banal tourist trips, died full of debts.
Modena, Piazza grande