E-R magazine 2/2013

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emilia-romagna magazine n. 2 | anno XVI dicembre 2013 | poste italiane | spedizione in abbonamento postale | regime libero 50% |aut. drt/dcb (bo)

2/2013

magazine La rivista degli emiliano-romagnoli nel mondo

Nella terra di Verdi Il musicista della Vita tra melodramma e agricoltura. In Verdi’s land The musician of Life between operas and agriculture.

Economia economy | Passaggio in India. A Passage to India Portfolio | Album Giuseppe Verdi. Giuseppe Verdi picture card album


magazine

dicembre 2013

Trimestrale d’informazione dell’Agenzia informazione e comunicazione della Giunta della Regione Emilia-Romagna e della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo. N. 2 – Anno XVI dicembre 2013

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Editoriale

Terra!

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— Roberto Franchini

In redazione In Editorial office Piera Raimondi Cominesi

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Primo Piano

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— Giovanna Antinori

Direzione – Redazione Editorial Office Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna Telefono (+39) 051/5275440 Fax (+39) 051/5275389 Internet: www.regione.emilia-romagna.it E-mail per cambio indirizzo: stampaseg@regione.emilia-romagna.it

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Economia

Passaggio in India — Giovanni Bosi

Y, come successo

— Piera Raimondi Cominesi

Con i piedi per terra

Segreteria di redazione Editing Coordinator Rita Soffritti

Imprese

Cultura

Il musicista della Vita — Riccardo Muti

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portfolio

Album Giuseppe Verdi

Pubblicazione registrata col n. 5080 presso il Tribunale di Bologna il 30 aprile 1994 Progetto grafico Graphic design Kitchen www.kitchencoop.it

emilia-romagna magazine n. 2 | anno XVI dicembre 2013 | poste italiane | spedizione in abbonamento postale | regime libero 50% |aut. drt/dcb (bo)

Stampa e spedizione Printing & mailing Titolitografia FD

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2/2013

magazine La rivista degli emiliano-romagnoli nel mondo

Nella terra di Verdi Il musicista della Vita tra melodramma e agricoltura. In Verdi’s land The musician of Life between operas and agriculture.

Economia economy | Passaggio in India. A Passage to India Portfolio | Album Giuseppe Verdi. Giuseppe Verdi picture card album

Copertina: Luigi Secchi, monumento a Giuseppe Verdi, Busseto (PR).

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© REGIONE EMILIA-ROMAGNA DIATECA AGRICOLTURA, FOTO DI FABRIZIO DELL’AQUILA

Direttore responsabile Chief Editor Roberto Franchini


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cultura

— Saverio Malaspina

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Mosaico di culture società

L’Emilia-Romagna nel cuore — Leonetta Corsi

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Cultura

— Piera Raimondi Cominesi

Bertolucci on Bertolucci

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Cucina

Le mani in pasta — Angela Simeoni

38 Letture Capriccio verdiano — Attilio Bertolucci

41 memoria Ritorno alle origini — Claudio Bacilieri

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43 storie Serge Reggiani, da un tricolore all’altro — Claudio Bacilieri

rubriche 12/20/43 Regione e Notizie

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editoriale

di Roberto Franchini

Terra! In Verdi, concreto e immaginifico, agricoltore e musicista immortale, ci piace riconoscere una guida per raccontare l’Emilia-Romagna.

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“A

mo la terra”, scriveva Giuseppe Verdi, “perché ci dà il pane e l’erba, cioè il pane per gli uomini e l’erba per le bestie”. Nella terra il Maestro investe gran parte dei proventi, non pochi, che gli derivano dalla musica, tra le arti la più immateriale. Il Mago, così lo chiamava la moglie, unisce terra e cielo. Si appassiona all’agricoltura e all’allevamento, progetta, innova, si fa carico della condizione di vita dei suoi contadini, sfrutta al meglio le risorse, fa progettare una pompa idraulica che preleva l’acqua dall’Ongina e irriga i suoi terreni. Intanto compone musica immortale che riempie ancora oggi di note l’aria. In questo Verdi, insieme concreto e immaginifico, amante della buona cucina e quasi ossessivo nello scegliere i prodotti migliori del territorio, ci piace riconoscere una guida per raccontarvi l’Emilia-Romagna in questo numero della rivista, a partire dal nuovo Programma di Sviluppo Rurale. La programmazione regionale per i prossimi sette anni esprime un sistema agroalimentare orientato alla sostenibilità, al biologico e alla tutela della biodiversità. Di questo testimonierà l’Emilia-Romagna a Expo 2015 - Nutrire il pianeta, energia per la vita, che coinvolgerà 125 Paesi e 20 milioni di visitatori alla ricerca di modi sostenibili per assicurare cibo sufficiente e di qualità a tutto il pianeta. Per far conoscere il nostro territorio ai visitatori di Expo stiamo preparando pacchetti di turismo rurale che troveranno in Verdi un grande testimone. E chissà se al nostro Verdi, definito “musicista della Vita” da Riccardo Muti nella sua preziosa testimonianza, si deve l’inusuale concentrazione di voci e cantanti che abbiamo in regione. Forse alla tradizione del melodramma è debitrice anche la voce di Laura Pausini, nominata ambasciatrice dell’Emilia-Romagna nel mondo. Per lei che ha il “cuore a forma di Emilia-Romagna”, la terra in cui è nata è un luogo dell’anima. Di terra, speranza di una vita migliore, ci racconta Claudio Bacilieri nel suo pezzo su Serge Reggiani, uno che per tutta la vita non ha mai dimenticato di essere un migrante. Dedichiamo questa storia a tutti quegli uomini, donne e bambini che arrivano alle porte d’Europa con un sogno di vita migliore e alla memoria di quanti in questo confine di terra e mare sono morti, a Lampedusa come a Gibilterra.


Land!

“I

love the land”, wrote Giuseppe Verdi, “because it gives us bread and grass, that is bread for people and grass for beasts”. The Maestro invested most of his remarkable profits due to music, the most immaterial of all arts, to buy lands. The Wizard, as his wife used to call him, connected land and sky. He fell in love with agriculture and animal breeding, he planned, innovated, cared for the living conditions of his farmers, made the best possible use of resources, had a hydraulic pump designed and built, to collect water from the Ongina stream and irrigate his land. Meanwhile, he composed immortal music, which still fills the air with his notes. This side of Verdi, concrete and fanciful at the same time, a lover of good cuisine and almost obsessive in choosing the best products available in the territory, is our choice to tell you about Emilia-Romagna in this issue, starting from the new Rural Development Programme. The regional planning in the next seven years is based on an agricultural and food system focusing on sustainability, organic food and safeguarding of biodiversity. Emilia-Romagna will show this at the 2015 Expo 2015 - Feeding the planet, energy for life, which will involve 125 countries and 20 million visitors looking for sustainable ways to ensure a sufficient amount of good quality food for the whole planet. In order to spread knowledge about our territory among the Expo visitors, we are preparing rural tourism package tours, whose great advertising testimonial will be Verdi. And, who knows?, maybe our Verdi, defined as “musician of Life” by Riccardo Muti in his precious interview, is also responsible for the high concentration of voices and singers in our region. Perhaps even Laura Pausini, appointed as ambassador of Emilia-Romagna worldwide, is in debt to our opera traditions. For her, who has a “heart shaped like Emilia-Romagna”, the land where she was born is a place of the soul. Claudio Bacilieri tells us a story about land, hope for a better life, in his article about Serge Reggiani, someone who never forgot, in his whole life, being an immigrant. We would like to dedicate this story to all the men, women and children who reach the threshold of Europe dreaming of a better life and the memory of all those who have died in this boundary between land and sea, from Lampedusa to Gibraltar.

In Verdi, concrete and fanciful, a farmer and an immortal musician, we are happy to find a guide to describe Emilia-Romagna.

Sotto 1. giuseppe verdi in un ritratto di Bice Lombardini, torino, museo del risorgimento; 2. Colline Appennino bolognese, coltivazione girasoli (© Regione Emilia-Romagna, foto di Angela Benassi); 3. Riccardo Muti, concerto di Mirandola (© foto di Maurizio Montanari); 4. laura pausini

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primo piano

Con i piedi per Feet firmly on the ground

L’agricoltura in Emilia-Romagna: bilanci e prospettive per uno sviluppo sostenibile e amico dell’ambiente. Agriculture in the region: perspectives and a first draft of the 2007-2013 Rural Development Plan. di Giovanna Antinori

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terra

Per i giovani che vogliono diventare agricoltori la Regione Emilia-Romagna ha stanziato 2 milioni 790 mila euro.

I

nnovativa, orientata al biologico e alla qualità certificata dei prodotti, consapevole del proprio ruolo ambientale, fonte di nuova occupazione, attenta ai giovani agricoltori considerati una risorsa, ma anche più forte grazie all’esperienza dei progetti di filiera: questi i tratti principali dell’agricoltura in regione, così come è stata delineata nel primo bilancio del Programma di Sviluppo Rurale (Psr) dell’Emilia-Romagna 2007-2013, presentato a Bologna nel corso del convegno Risultati e nuova programmazione. Lo sviluppo rurale in Emilia-Romagna. L’incontro si è svolto a pochi giorni dall’accordo sulla nuova Politica Agricola Comune (Pac) ed è servito anche a mettere a fuoco gli obiettivi della nuova programmazione 2014-2020 e, nei fatti, a dare il via alla preparazione del nuovo Programma che dovrà essere inviato a Bruxelles per l’approvazione entro primavera 2014. Un bilancio definitivo del Prs 20072013 al momento non è ancora possibile, la programmazione non è ancora conclusa, le risorse impegnate sono il 71% di quelle disponibili e nei prossimi mesi usciranno ancora molti bandi. Ultimo in ordine di tempo, quello destinato ai giovani che vogliono diventare agricoltori: per loro la Regione ha stanziato nuove risorse per 2 milioni 790 mila euro. Si tratta di un premio di primo insediamento per chi ha meno di 40 anni, che va dai 15 mila ai 40 mila euro, assegnati in funzione del piano aziendale presentato. Ma vediamo in dettaglio cosa è successo fino ad oggi nel periodo del Psr 2007-2013, piano che contemplava diverse Misure articolate in tre grandi Assi: competitività, sostenibilità ambientale e qualità della vita nei territori rurali. A questi si aggiungeva il programma e-r magazine n. 2 | dicembre 2013 | 5


primo piano

Il sostegno alle produzioni biologiche ha assorbito il 34% delle risorse, mentre i prodotti Dop e Igp hanno potuto contare su oltre la metà dei finanziamenti impegnati.

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Leader, attuato in territori che presentano elementi di debolezza e fragilità, con un approccio di programmazione e gestione degli interventi realizzati direttamente dagli attori locali. In questi sette anni il numero delle aziende agricole beneficiarie è aumentato del 28%, con un picco del 76% in montagna, mentre gli investimenti aziendali hanno generato un valore aggiunto del 15% con un aumento dell’11% degli occupati. I giovani agricoltori hanno presentato il 26% del totale delle domande ammesse e ad essi è stato concesso il 50% dei contributi. Il sostegno alle produzioni biologiche ha assorbito il 34% delle risorse, mentre i prodotti Dop e Igp hanno potuto contare su oltre la metà dei finanziamenti impegnati. Il Psr 2007-2013 ha coinvolto oltre 208 mila ettari (il 20% del totale) in

interventi di carattere ambientale e ha permesso di ridurre del 42% le concimazioni azotate, del 51% l’uso di fitofarmaci, di 200 mila tonnellate all’anno le emissioni di Co2. Con evidenti ricadute per il miglioramento della qualità dell’acqua in termini di differenze dei carichi, surplus e rilasci di azoto, fosforo e fitofarmaci e conseguente miglioramento della qualità dei suoli e mitigazione dei cambiamenti climatici. Il fiore all’occhiello, tratto distintivo della programmazione dell’Emilia-Romagna, è l’insieme dei progetti integrati di filiera che hanno promosso la collaborazione tra aziende di produzione, trasformazione e commercializzazione, rafforzando in particolare il ruolo della parte agricola. Estendere questa esperienza, promuovere l’innovazione e facilitare l’accesso al credito sono azioni che caratterizzeranno


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primo piano

Il fiore all’occhiello, tratto distintivo della programmazione dell’Emilia-Romagna, è l’insieme dei progetti integrati di filiera.

fortemente il Psr 2014-2020. Per la sua stesura il regolamento comunitario ha indicato alcune priorità: innovazione e capitale umano, competitività e integrazione di filiera, cambiamenti climatici e sostenibilità ambientale, territori rurali e montagna. Nella nuova Pac gli schemi rigidi degli Assi e delle Misure sono stati superati, contemplando la possibilità di combinare tra loro più misure allo scopo di raggiungere un determinato risultato imprenditoriale o territoriale. È stato previsto inoltre un forte sostegno alle diverse forme di cooperazione tra i soggetti della filiera agroalimentare e altri soggetti che possono contribuire allo sviluppo rurale. Infine saranno erogati contributi per il pagamento dei premi di as-

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sicurazione e ai fondi mutualistici per la stabilizzazione del reddito. Il regolamento introduce un’importante incentivazione economica per gli investimenti collettivi e i progetti integrati di filiera, i giovani e le aree svantaggiate. Non senza un pizzico di orgoglio, possiamo dire che i progetti di filiera sperimentati positivamente in Emilia-Romagna hanno anticipato e ispirato una scelta strategica della nuova Politica Agricola Comune.

pagina 4 colline di brisighella (Archivio fotografico Apt Servizi). pagina 6 raccolta delle mele, Azienda agricola LA MAINA, Correggio, reggio emilia (© Regione Emilia-Romagna, Diateca Agricoltura, foto di Fabrizio dell’Aquila). pagina 7 1. Trasformazione dei pomodori (© foto di Fabrizio dell’Aquila); 2. Mietitura (© Regione EmiliaRomagna, foto Marco Caselli Nirmal); 3. vigneto (© comune di Bologna). nella pagina accanto 1. giovani agricoltori (© Regione Emilia-Romagna, Diateca Agricoltura, foto di Fabrizio dell’Aquila); 2. Vigneto (© Regione Emilia-Romagna, Diateca Agricoltura, foto di Fabrizio dell’Aquila); 3. Prodotti biologici (© Regione Emilia-Romagna Diateca agricoltura, foto Fabrizio Dell’Aquila). a sinistra 1. MIELE BIOLOGICO (© Regione Emilia-Romagna, Diateca Agricoltura, foto di Fabrizio dell’Aquila); 2 PARMIGIANO REGGIANO BIOLOGICO (© Regione EmiliaRomagna, Diateca Agricoltura, foto di Fabrizio dell’Aquila). sotto Vandava Shiva

Sana 2013 PRESENZE

Sana, il Salone Internazionale del Biologico e del Naturale ha chiuso l’edizione 2013 con una crescita record dei visitatori italiani e internazionali, 20% in più rispetto allo scorso anno, per un totale di oltre 32.000 presenze.

OSPITI

La 25a edizione è stata inaugurata da Vandana Shiva, nota in tutto il mondo per il suo impegno a tutela della biodiversità. Nel suo intervento Semi di libertà, giardini di speranza. L’agricoltura biologica per salvare il mondo, la scienziata e ecologista ha dichiarato: “Sono con voi nella strada che percorrerete per portare a Expo 2015 il biologico e la biodiversità, a partire da quella dei semi, perché la

biodiversità è sinonimo di libertà e di mantenimento delle tradizioni”. Vandana Shiva ha piantato in due vasi alcuni semi portati dall’India insieme ad altri di specie vegetali italiane, a simboleggiare lo scambio fecondo tra due culture. Il contenuto dei due vasi è stato ora ripiantato negli orti comunali di Bologna.

expo 2015 e sana

Bolognafiere con Sana si è candidata, attraverso una presenza diretta a Expo 2015-Nutrire il pianeta. Energia per la vita, a organizzare con i produttori del settore la filiera di qualità della nuova eco-agricoltura italiana e dell’agroindustria. Bolognafiere ha inoltre annunciato che, da dall’edizione 2014, si terranno insieme a Sana, Nuce (Salone internazionale per l’industria nutraceutica, cosmeceutica, dei functional foods & drinks e degli health ingredients) e Food-Ing (evento dedicato agli ingredienti del food & beverage per tutti i settori dell’industria alimentare e delle bevande). L’insieme delle manifestazioni offrirà un’ampia piattaforma di tutta la filiera dell’alimentazione biologica e della salute, della nutraceutica e della cosmeceutica.

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economia

Passaggio in India Le imprese dell’Emilia-Romagna verso il vasto mercato del gigante asiatico. Con un serrato programma pluriennale di incontri, focus-group e missioni. A Passage to India. The feats of Emilia-Romagna towards the huge Asian market. With an intense multi-year programme including meetings, focusgroups and missions.

di Giovanni Bosi

S

ono giovani e sono tanti gli indiani. Un miliardo e duecento milioni, con un’età media di soli 25 anni. Nel 2011 il Pil della più popolosa democrazia del mondo è cresciuto del 7,2%, nel 2012 del 5,5% e per il 2013 le stime dicono di un +6% circa.

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Si tratta di un mercato di enormi potenzialità ma complesso e multiforme, verso il quale Programma India nell’ambito del progetto Bricst Plus 2013-2015, sta accompagnando gli imprenditori della nostra regione. Promosso da Unioncamere Emilia-Romagna, sistema camerale e Regione Emilia-Romagna, in collaborazione

con la Indo-Italian Chamber of Commerce and Industry (IICCI), Programma India è nato per favorire rapporti commerciali stabili e partnership produttive tra realtà economiche dei due Paesi. Partito nel 2011, sin dal suo esordio si è focalizzato su quattro settori – meccanica e agro-industria, tecnologie ambientali e costruzioni – nei


quali si riscontra una forte domanda nel mercato indiano. Si è iniziato tre anni fa, con una missione istituzionale e operativa dell’Emilia-Romagna: un gruppo di aziende ha incontrato potenziali partner e visitato realtà aziendali di Mumbai, Bangalore, Chandigarh e New Delhi. In seguito, una delegazione di 12 buyer indiani ha visitato, in Emilia-Romagna, oltre 60 imprese regionali. Nel 2012 sono stati compiuti 45 check-up aziendali, per verificare la compatibilità delle imprese con le necessità del mercato indiano. Le 21 imprese selezionate sono state le protagoniste di una missione che ha toccato numerose città (New Delhi, Mumbai, Bangalore, Chennai, Ahmedabad e Pune) dove si sono svolti incontri d’affari e visite aziendali a oltre 220 operatori indiani. Il secondo anno si è concluso con la visita di una delegazione di 11 buyer indiani a 70 imprese dell’Emilia-Romagna. In questo 2013, la terza fase del progetto si è concentrata sulle filiere della meccanica agricola e dell’abitare-costruire. Per favorire la penetrazione commerciale di macchine agricole prodotte in regione, questa primavera è stato allestito nel Punjab un “Campo Prova”. Presso il Campus della Punjab Agricultural University PAU di Ludhiana, in concomitanza con

la fiera agricola “Kisan Mela”, organizzata dall’Università stessa e che ha visto oltre 300.000 visitatori, sono state realizzate dimostrazioni dei prodotti italiani. I tanti agricoltori indiani presenti hanno potuto apprezzare l’ampia gamma, la qualità e l’efficienza delle macchine e attrezzature per l’agricoltura, per l’agro-industria e il food processing emiliano-romagnole. Non solo, alla Punjab Agricultural University è sorto un “centro dimostrazioni permanente” di macchinari italiani e nel marzo 2014 sarà allestito un secondo campo prove. Ispirata alla fiera Eima di Bologna, dal 5 al 7 dicembre a New Delhi si terrà la fiera Eima Agrimach 2013, uno dei più grandi eventi dedicati alla meccanizzazione agricola del continente asiatico. L’altro settore promosso, con un’azione di approfondimento dei rapporti istituzionali ed economici, è stato quello delle infrastrutture e dell’edilizia, con un’importante sezione dedicata all’arredamento, mercato ancora di nicchia in India, ma con grande potenziale. Il potere d’acquisto della fascia media della popolazione dei grandi centri urbani sta infatti crescendo. Solo le aree metropolitane di Mumbai, New Delhi e Bangalore – rispettivamente la capitale finanziaria, politica e tecnologica dell’India – raggiungono i

45 milioni di abitanti e per le aziende italiane, soprattutto per i produttori di mobile imbottito, interior design e scale per interni, ciò rappresenta una grande occasione. La Camera di Commercio Indo-italiana ha lanciato il sito www.furnituredesignitalia.com, una vetrina informativa di prodotti di arredo casa “made in Italy”. In ottobre alla fiera Saie di Bologna, delegazioni di buyer indiani hanno visitato aziende produttrici e incontrato imprenditori del settore edilizia. Nel gennaio 2014 sarà invece un gruppo di imprenditori emiliano-romagnoli delle costruzioni a volare in India.

SINISTRA Trivandrum, India, tipico mercato indiano. sopra 1-3. punjab agricultural university, campo prova e incontro con Alberto ZAMBIANCHI, Presidente Camera di Commercio di Forlì-Cesena; 4. Workshop for Indian and Italian Companies al SAIE 2013 (© Regione Emilia-Romagna, foto di Bruno Valeriani).

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rubriche

Regione & notizie Le scuole danneggiate dal terremoto, frequentate da 70 mila studenti, sono state oltre 500. La risposta delle istituzioni è stata immediata e nella ricostruzione si è deciso di dare priorità alla scuola: in brevissimo tempo, in media nell’arco di 50 giorni, con risorse dell’Unione europea e nazionali sono state costruite 58 nuove scuole e centinaia sono state riparate con miglioramento antisismico. Il primo giorno di scuola, il 17 settembre 2012, le lezioni sono ricominciate anche nei comuni più colpiti dal terremoto.

Green Economy

Gli Stati Generali

Fondi europei

Il primato dell’Emilia-Romagna

Il Rapporto annuale del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico, dice che l’Emilia-Romagna è prima in Italia per capacità di utilizzo dei fondi europei Por Fesr e Por Fse. 
Per il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) si tratta di quasi 170 milioni di euro di spesa certificata al 28 febbraio, su un totale di 347 milioni di risorse a disposizione per la programmazione 2007-2013. In termini percentuali, l’EmiliaRomagna ha certificato il 48,9% degli impegni di spesa, superando così di 0,5 punti la virtuosa Provincia autonoma di Trento e staccando nettamente le Marche, seconda tra le Regioni a Statuto ordinario, che si ferma al 43,6%. Per il Fondo sociale europeo (Fse) la spesa certificata è del 59,4% in termini assoluti, oltre 479 milioni di euro su 806,5. Sul secondo gradino del podio, anche in questo caso, la Provincia autonoma di Trento – con il 59,2% della spesa certificata – mentre tra le Regioni a Statuto ordinario l’Emilia-Romagna si deve misurare con il 51,6% della Lombardia.

ricostruzione terremoto

Act. React. Rebuild

L’Emilia colpita dal terremoto ha portato a Bruxelles la sua esperienza nella ricostruzione delle scuole danneggiate dal sisma del 2012. L’iniziativa dal titolo Act. React. Rebuild. Le scuole dell’Emilia-Romagna dopo il terremoto si è tenuta al Parlamento europeo. L’incontro, cui hanno partecipato studenti, insegnanti, ricercatori e amministratori emiliani, si è aperto con la proiezione del documentario Il battito della comunità che racconta come l’Emilia sia diventata nel 2012 un laboratorio di sperimentazione di tutte le tecnologie disponibili oggi per la costruzione di scuole sicure, innovative e sostenibili.

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1.200 aziende della green economy hanno accolto alla diciassettesima edizione di Ecomondo, a Rimini, 85.000 operatori italiani e stranieri. Tutti interessati a conoscere prodotti e tecnologie pensati per lo sviluppo sostenibile. Nell’ambito di Ecomondo - Fiera internazionale del Recupero di Materia ed Energia e dello Sviluppo Sostenibile - si sono tenuti Gli Stati Generali della Green Economy, due giorni di confronto e dibattito per lanciare proposte condivise per uscire dalla crisi economica e climatica. A introdurre le giornate è stato l’Assessore regionale alle attività produttive, Giancarlo Muzzarelli, nella sua veste di Coordinatore del Gruppo di lavoro Regioni e Enti locali per la green economy del Consiglio Nazionale della Green Economy. I dieci gruppi di lavoro (ecoinnovazione, efficienza, rinnovabilità dei materiali e riciclo dei rifiuti, risparmio energetico, fonti energetiche rinnovabili, servizi degli ecosistemi, mobilità sostenibile, filiere agricole di qualità ecologica, finanza e credito sostenibili per la green economy, tutela dell’acqua e Regioni ed Enti locali) hanno presentato un elenco di priorità per realizzare un “Green New Deal” nel nostro paese. Le due giornate hanno visto confrontarsi ministri, esponenti delle istituzioni europee, dell’UNEP, dell’OCSE, del mondo politico e parlamentare, delle associazioni ambientaliste e di Enti locali e Regioni. Un momento importante per mettere a punto una roadmap nazionale in linea con le evoluzioni della green economy degli altri paesi europei e per gettare le basi di un piano strategico di sviluppo “verde” per l’Italia.


IMPRESE

Y come successo Yoox e Yalla Yalla, moda e viaggi. Grandi sul web, le due imprese fanno base in Emilia-Romagna. Y for success. Yoox and Yalla Yalla, fashion and travel. Great on the Web, these two companies are based in Emilia-Romagna.

di Piera Raimondi Cominesi

E

-store di moda, design e arte, leader nel mondo, Yoox ha segnato una rivoluzione nell’e-commerce della moda. Il suo nome è composto di Y e X , i cromosomi maschile e femminile, che a loro volta racchiudono lo zero del codice binario e il simbolo dell’infinito. Yoox.com, nato nel 2000, offre online una selezione infinita di capi di abbigliamento e accessori, non solo le collezioni dell’anno precedente di centinaia di firme della moda, ma proposte esclusive e eco-friendly, capi vintage e opere d’arte. Dal 2006 si affianca a questa prima esperienza, grazie al know how acquisito e alla solida piattaforma tecnologica e logistica, la gestione e la progettazione dei negozi online dei principali brand di moda: Diesel, Marni, Valentino, Moschino, Armani, Zegna solo per citarne alcuni. Nel 2008 nasce la boutique online del gruppo, thecorner.com, e nel 2012, shoescribe.com, destinazione online tutta dedicata alle scarpe da donna. Nel 2012 arriva per l’azienda di Zola Predosa un riconoscimento di grande prestigio: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano consegna nelle mani del fondatore, il ravennate Federico Marchetti, il Premio Leonardo per l’“azienda più innovativa d’Italia”. Il gruppo conta su una squadra di

oltre 700 donne e uomini. Un team giovane, circa il 40% ha meno di trent’anni e un’età media di trentadue, cresciuto nel solo 2012 del 27%, con l’83% assunto a tempo indeterminato. Circa il 60% di questi giovani lavora nelle sedi bolognesi, presso gli uffici di Zola Predosa e il centro logistico centrale di Bologna Interporto; gli altri operano dalle sedi di Parigi, Madrid, Tokyo, Hong Kong, Shanghai, New York. Nel mondo, ogni dodici secondi qualcuno invia un ordine a Yoox, o a un sito powered by yoox, e resta in attesa del pacco contenente l’oggetto del desiderio, confezionato con cura, che in pochi giorni gli arriverà a domicilio. Si tratta oggi di un milione di clienti attivi (che hanno fatto un ordine negli ultimi due mesi), età

media intorno ai trent’anni, utenti attivi di Internet e amanti della moda e del design. Tra le principali città italiane: Roma che batte Milano e, in Emilia-Romagna, Bologna e Ravenna. Gli Stati Uniti sono il primo mercato in assoluto. L’Italia è in crescita, grazie anche alla grande penetrazione del canale mobile in un mercato che in passato si è contraddistinto per uno scarso utilizzo del computer. E l’Emilia-Romagna, tra tutte, si è dimostrata essere la regione più mobile-friendly. Al 31 dicembre 2012 Yoox ha realizzato ricavi pari a 375,9 milioni di euro, in crescita del 29,1% rispetto all’anno precedente; mentre al 30 giugno di quest’anno, i ricavi sono in crescita del 20%. Yoox Group, quotato in borsa dal 2010, ha in pre-

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IMPRESE

La crescita di App e siti mobile per l’e-commerce è la risposta alla migrazione in atto dal pc fisso ai dispositivi mobili per le ricerche su Internet.

nella pagina precedente il simbolo di yalla yalla, la papera e il logo di yoox. sopra la sede bolognese di yoox.

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visione investimenti per 100 milioni nel triennio 2013-15. Di questi circa 70 in innovazione tecnologica e 30 in piattaforma logistica e altro. Yalla Yalla, nome dell’agenzia viaggi online italiana con sede a Rimini, è invece una parola usata nel nord dell’Africa per dire “Vai, vai”. Nata nel 2011 da un’idea dell’allora trentunenne riminese Manuel Mandelli, Yalla Yalla ha chiuso il primo anno con 10 milioni di fatturato e il secondo con 30. Mandelli e il suo socio, Paolo Pezzoli, hanno riempito una lacuna dell’e-commerce legato al turismo. Prima del loro arrivo in rete, i siti che vendevano viaggi erano perlopiù stranieri e concentravano la loro offerta sulle camere d’albergo e i biglietti aerei. E soprattutto erano poco chiari riguardo al prezzo finale e ai contenuti del pacchetto. La sfida, vinta, è stata consentire in pochi clic il calcolo esatto del prezzo finale. Un altro punto di forza dell’offerta è il pagamento multicarta: due amici possono dividere al 50% usando cia-

scuno la propria carta di credito. Rapidità e trasparenza si sono rivelate essere i punti di forza di Yalla Yalla, che interroga in tempo reale i tour operator con i quali è connessa e sceglie il pacchetto più conveniente sulla base delle richieste degli utenti. Un call center di 20 operatori, a Rimini, fornisce supporto telefonico a chi viaggia e, dall’estate 2013, l’agenzia è anche mobile. Con uno smartphone è possibile accedere a oltre 500 località, prenotare e comprare una vacanza. La crescita di App e siti mobile per l’e-commerce è la risposta alla migrazione in atto dal pc fisso ai dispositivi mobili per le ricerche su Internet. Secondo una ricerca Audiweb, rispetto allo scorso anno, il numero di italiani che si connettono a Internet tramite smartphone (9,2 milioni) è cresciuto del 35%. Il numero che naviga da tablet (4 milioni) è cresciuto invece del 160% Yoox e Yalla Yalla stanno già raccogliendo i frutti.


rubriche

Regione & notizie

© conapi

© Regione Emilia-Romagna Diateca Agr. (f. Dell’Aquila)

le esportazioni di vino emiliano-romagnolo supereranno la soglia dei 400 milioni di euro.
Nel 2011 il Consorzio Vini di Romagna ha conseguito un significativo traguardo con l’approvazione della DOC “Romagna”, ovvero di uno strumento destinato a caratterizzare tutti i vini del territorio romagnolo, rafforzandone il rapporto con l’area geografica di provenienza e, nel caso del Sangiovese, con le specificità legate alle singole zone di produzione.

Green life

Dove volano le api

A Monterenzio c’è un museo en plein air per scoprire i segreti delle api. Il Parco delle Api e del Miele si trova nel giardino della sede di Conapi, a Monterenzio. Qui è possibile osservare da vicino la vita delle api in tutti gli aspetti che regolano quella che può dirsi una vera e propria società organizzata. 
Seduti su un prato i visitatori del Parco vedono scorrere sullo schermo le immagini che raccontano il linguaggio delle api, come queste si orientano tra i fiori, come nasce il miele. Ma anche il canto dell’ape regina e una simulazione di come vedono gli occhi delle api mentre volano. In un’arnia a vetri è possibile osservare la vita quotidiana delle api nella casa che l’uomo ha costruito per loro. E poi laboratori in cui i piccoli e grandi visitatori possono confrontare e assaporare i colori, i profumi e i sapori del miele e del polline. 
Il Parco delle Api e del Miele nasce per volontà di Conapi, cooperativa che riunisce oltre 600 apicoltori di tutta Italia, grazie al contributo del Ministero delle Politiche agricole e della Regione. Info: www.parcoapiemiele.com

Vendemmia

In Romagna, annata DOC In Romagna si produce circa il 50% del vino della nostra regione e la vendemmia 2013 ha tutte le caratteristiche per confermarsi come una delle migliori degli ultimi anni, sia per le quantità raccolte (circa il 10% in più rispetto al 2012), sia per la qualità delle uve. L’Emilia-Romagna si avvia dunque a confermarsi anche nel 2013 seconda regione produttrice di vino in Italia, dopo il Veneto. Un traguardo che conferma l’ottimo stato di salute del settore vitivinicolo regionale. La crescita non è peraltro solo nelle quantità. Ormai da diversi anni i vini made in Emilia-Romagna riscuotono crescente successo sui mercati e ottengono importanti riconoscimenti nelle guide internazionali. Un dato su tutti è quello dell’export che ha messo a segno un + 15% nel 2012 contro un dato medio nazionale del 6,5%. Nel primo semestre 2013 le nostre esportazioni sono passate da 168.514 a 198.807 milioni di euro, ovvero un ottimo + 17,8% contro il + 8,4% dell’insieme delle regioni. Se questa tendenza sarà confermata,

certificazioni

Il Melone Mantovano è anche emiliano

L’Unione europea ha riconosciuto l’Indicazione geografica protetta (Igp) per il Melone Mantovano. Per l’Emilia-Romagna si tratta della 39a denominazione d’origine riconosciuta tra Dop (Denominazione d’origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta). La zona di produzione interessa infatti una parte significativa della regione perché si estende, oltre che nelle province di Mantova e Cremona, in diversi comuni della provincia di Modena (Concordia, Mirandola, San Felice sul Panaro), di Bologna (Crevalcore, Galliera, San Giovanni in Persiceto) e di Ferrara (Bondeno, Cento, Sant’Agostino). Si tratta di territori simili per condizioni climatiche e pedologiche e che vantano una produzione analoga, dal punto di vista qualitativo, a quella delle aree lombarde. Il Melone Mantovano Igp ha un sapore caratteristico, polpa succosa che varia dal colore giallo-arancio al salmone, particolarmente spessa, fibrosa e consistente; ha grado zuccherino elevato e una quantità media di sali minerali e potassio generalmente superiore a quella riscontrata in altre zone di coltivazione. Tipici anche l’odore di fungo e polpa di anguria, l’aroma di tiglio e di zucchino.

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regione cultura e notizie

Verdi, il musicista della Vita Riccardo Muti, il più grande interprete verdiano dei nostri giorni svela in queste pagine il “suo” Verdi. Verdi, the musician of Life. Riccardo Muti, today’s greatest interpreter of Verdi’s music, explains “his” Verdi in these pages. di Riccardo Muti

V

erdi è il musicista della Vita, e certo è stato il musicista della mia vita. È un compositore talmente capace di mettere a nudo e trattare le nostre passioni e i nostri dolori, i nostri pregi e i nostri difetti, che noi ci riconosciamo in essi, e questo è uno dei motivi della sua universalità: sarà sempre attuale. Fino a quando l’uomo resterà tale, con le sembianze di oggi, e non avrà come in Star Trek le orecchie lunghe, la testa a fungo e le gambe rattrappite, ogni generazione troverà nella sua musica una parola di conforto. Verdi, infatti, non ti stravolge mai: ti fa sempre sentire che ti è vicino e ti comprende. Entrando in contatto con la sua musica e il suo teatro, hai la netta sensazione di un musicista che parla all’uomo dell’uomo, vivendo tutti i sentimenti in prima persona. Studiando sempre di più questo autore, sono convinto infatti che i personaggi siano per lui un mezzo per esprimere molti dei suoi stati d’animo e in ogni opera ce n’è almeno uno che rappresenta una trasposizione del compositore. La sua vita fu contraddistinta da un’amarezza continua - si parla spesso infatti di “pessimismo Verdiano” - ed essa traspare nelle sue opere . Non solo nel finale del Falstaff, dove Verdi anche scherza e, con un sorriso amaro, dà l’addio a tutto, ma i

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suoi personaggi più tristi e più desolanti sono quelli che rappresentano la sua autobiografia. Fiesco, nel Simon Boccanegra, è certamente una espressione di Verdi nel suo dolore, nel suo pessimismo, nella sua tragedia (e pensiamo in quest’opera alla frase, pronunciata dal Doge: “Perfin l’acqua del fonte è amara al labbro dell’uom che regna”), ma lo è anche Riccardo, in questo caso baldanzoso, nel Ballo in maschera. L’amore di Rigoletto verso la figlia è un sentimento paterno, come quello di Verdi che ha perduto i figli molto presto; l’innamoramento, il senso della gelosia, il tradimento dei vari personaggi sono i suoi; La traviata è la sua risposta alle critiche dei “benpensanti” di Parma e di Busseto per il fatto che da vedovo, convivesse con Giuseppina Strepponi e, sempre nella Traviata, papà Germont, il padre di Alfredo che induce Violetta a lasciare il figlio, non è altri che papà Barezzi, padre di sua moglie Margherita. naturalmente visto sotto una luce più aspra. Ma bisogna anche aggiungere che, superando l’aspetto autobiografico, i suoi personaggi finiscono poi per essere prototipo di un modo di essere universale. Un esempio per tutti: Desdemona. Rappresenta le Desdemone di tutto il mondo, comprensive, oneste, innamorate dell’amore per i loro uomini come lei è innamorata dell’amore per Otello. Per questo, assistendo a un’opera di Verdi, ognuno trova sul palcoscenico il proprio scrigno di sentimenti realizzato in maniera sublime, e ciò rende Verdi imperituro, in grado di es-

sere compreso da cinesi, australiani, peruviani… perché il suo è un messaggio che viene dal profondo di un cuore grande, capace di riscaldare. Non a caso, per la morte di Giuseppe Verdi, D’Annunzio scrisse nell’Elettra i famosi versi: “Diede una voce alle speranze e ai lutti. / Pianse ed amò per tutti”. Questa capacità di comunicare e di toccare direttamente le corde più profonde dell’ascoltatore, senza orpelli, senza bisogno di traduzioni, non significa però né superficialità, né leggerezza. Molti lo considerano un musicista sanguigno. Certo, neppure io dico che non sia passionale, ma lo è nella cornice di una grande nobiltà e aristocrazia delle espressioni, come ho cercato di rendere nel mio modo di dirigere le sue opere e come spiegherò approfondi nelle prossime pagine, tentando di capire chi realmente fosse Verdi e quali indicazioni desse per l’esecuzione della sua musica. Verdi, come dicevo, è il musicista della mia vita, nel senso che mi ha sempre accompagnato, sin da bambino. A tre anni mi portarono al teatro Petruzzelli di Bari a vedere un’Aida. Stavo in braccio al nostro autista e sembra che non abbia dato segni di stanchezza, ascoltando l’opera in assoluto silenzio. O forse dormivo, non lo so. Mio padre, che era un medico, aveva la voce di tenore e in casa spesso cantava, accennava delle arie. Quando ho iniziato a studiare il pianoforte, a lui non è sembrato vero di poter cantare avendo finalmente uno che lo accompagnava, e così arie di Verdi

Verdi è un passionale, ma lo è nella cornice di una grande nobiltà e aristocrazia delle espressioni, come ho cercato di rendere nel mio modo di dirigere le sue opere.

per maggiori informazioni visita il sito www.riccardomutimusic.com a sinistra Riccardo Muti (foto di Silvia Lelli). SOTTO CONCERTO DI Riccardo Muti A MIRANDOLA (foto di Maurizio Montanari).

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regione cultura e notizie

Il miglior modo per festeggiare il bicentenario è approfondire lo studio delle opere di Verdi.

mi sono divenute familiari. Ascoltavo però le stesse arie anche nelle feste patronali, dove le bande – che ancora oggi io ammiro e proteggo – suonavano le fantasie delle opere di Verdi più che di qualsiasi altro autore: i vari duetti tra baritono e tenore, baritono e soprano, tenore e soprano. La parte del soprano veniva fatta dalla cornetta, cioè la tromba, e la parte del baritono dal bombardino e dal flicorno tenore, strumenti che avevano un vibrato che sembrava addirittura riprodurre la voce umana. Quindi, anche se non frequentavo il teatro, avevo dimestichezza con questi motivi. La prima vera opera che ricordo è stata al teatro Piccinni di Bari, quando avevo dodici o tredici anni: un Otello, diretto da Napoleone Annovazzi. Il tenore era l’argentino Carlos Guichandut, certo non era al livello di Mario Del Monaco, però per me fu molto importante. Ricordo che mio padre, quando iniziò l’Otello, con la tempesta – “Una vela! Un vessillo”, “È la nave del duce…” – mi disse “Uagliò, sta’ attento, adesso arriva l’Esultate”, perché era, ed è, di prammatica che l’Esultate fosse il banco di prova del tenore: se è bocciato nel momento dell’Esultate, è condannato per l’intera opera, ma di questo parleremo più avanti. Bisogna dire che ho subito avvertito Verdi come un musicista a me molto affine, con cui sentivo un rapporto diretto. Uno dei momenti in cui ne

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presi a quell’epoca consapevolezza fu quando seguii le prove alla Scala del mio maestro, Antonino Votto. Ne ricordo due in particolare: il Falstaff e Un ballo in maschera. Votto aveva una conoscenza del Falstaff miracolosa: sarebbe stato in grado di riscrivere la partitura nota per nota. Si recava alla Scala per le prove ed entrava da via Verdi col suo cappottino grigio; un usciere gli toglieva il cappottino dalle spalle, lui passava dai sotterranei e andava direttamente in orchestra. Senza partitura: dirigeva a memoria. Non voglio dire che chi dirige con la partitura sia meno bravo di chi dirige senza, però dirigere a memoria è un conto, provare tutto a memoria è un altro. Fare le prove di Falstaff senza avere una partitura davanti, senza portarla proprio in teatro, neanche in camerino, è notevole. Ma Votto era così: si comportava come se andasse a un ritrovo con amici. Un giorno. avevo venti-ventidue anni, gli chiesi: “Maestro, ma come fa?”. Lui mi rispose con molta semplicità: “Se avessi lavorato con lui, sarebbe lo stesso anche per te”. “Lui” era Toscanini: non c’era altro lui. Era un mondo fantastico, cui ripenso con malinconia… Nel 1968 fui nominato direttore del Maggio Musicale Fiorentino. La prima grande opera dell’Ottocento in forma scenica che diressi, in un teatro vasto, con un palcoscenico grande, fu I masnadieri, nel 1969: anche la mia carriera comincia quindi con Verdi.

Ero pieno di entusiasmo, quasi di spirito garibaldino nell’affrontare quest’opera. La regia era di Erwin Piscator, realizzata per l’esecuzione di qualche anno prima con Gianandrea Gavazzeni: una regia a quell’epoca estremamente moderna e intelligente. Fu un periodo bellissimo. Non avvenne nulla che potesse turbare la preparazione dell’opera. Durante e prove di scena, dove ero sempre presente (come ancora oggi quando non sono impegnato in altre prove), c’era un momento in cui il coro era in una posizione da cui non poteva vedermi, allora mi misi a dirigere il coro in piedi su una sedia di paglia. Poi avrei capito che i conti in un teatro sono ben diversi, ma nel 1968-69 si era ancora sull’onda di uno slancio postbellico, c’era un’atmosfera febbrile in tutto il Paese. Era anche un periodo di contestazione, di rivoluzioni giovanili, che hanno portato poi a una crisi, con tante cose buone e altre meno buone. Firenze è sempre stata una delle città più combattive dal punto di vista dialettico e si sentiva, nel bene e nel male, un’aria molto frizzante, che investiva anche il teatro. Quindi il titolo dei Masnadieri si confaceva anche a un atto d’accusa rivolto da parte della popolazione a certi vertici. Quel titolo, nella situazione di oggi, forse sarebbe di attualità. Nel 2013 cade il bicentenario della nascita di Verdi. Il miglior modo per celebrare questo anniversario non è a


mio parere quello di riproporre le sue opere, perché Verdi è già il compositore più eseguito al mondo, bensì di approfondirne lo studio. Il problema è che non si può continuare a interpretare la sua musica rispettando una inviolabile tradizione, perché dicendo «si è fatto sempre così e bisogna continuare a far cosi» non si va avanti: occorre cogliere l’occasione per ristudiarlo. Qualcuno potrebbe considerarmi arrogante, ma non credo affatto di possedere la verità assoluta su Verdi. Si è scritto molto su Bach, Mozart, Rossini, sullo stile, sugli strumenti, ma cosa si sa di Verdi? Innanzi tutto si commettono molti errori, non rispettando le sue disposizioni; in secondo luogo si dimentica che, vista la longevità del compositore, le sue opere sono nate in epoche differenti. La sua prima opera è Oberto, del 1839, l’ultima è Falstaff, del 1893. AI tempo delle prime creazioni di Verdi, le orchestre erano composte da strumenti costruiti in modo diverso rispetto a quelli di cinquant’anni dopo: gli ottoni non avevano pistoni, gli archi erano differenti, inoltre la buca non esisteva e i teatri erano sempre illuminati. Lo stile dell’orchestra che suona in palcoscenico allo stesso livello dei cantanti è certo dissimile dallo stile dell’orchestra dell’Otello o del Falstaff, decenni più tardi, quando l’orchestra viene fatta mettere nella buca e alla Scala il giovane Toscanini suona

il violoncello diretto da Verdi. Quindi il vero suono filologico di Otello e Falstaff è quello di Toscanini, quello che lui ricordava avendo ascoltato di persona le indicazioni di Verdi, diversamente il suono di Oberto o Nabucco è quasi settecentesco, esile piuttosto che robusto. Per cui, chi è Verdi? L’opera è un fatto culturale, oggi più che mai. Io credo che, anziché concentrarci sulla singola nota o sulla durata del fiato di un cantante, dovremmo cercare di sviscerare con sempre maggiore attenzione il messaggio artistico-culturale dell’autore. Davvero vorrei che l’opera tornasse a rappresentare la cultura del nostro Paese, non come esibizione da circo di questo o quel cantante. Oggi tutto sembra diventato più facile, più superficiale e più immediato e, attraverso la televisione e il cinema, la società è diventata abile a guardare, ma meno ad ascoltare. I nostri musicisti del passato hanno creato un grande patrimonio, che ora è proprietà del mondo intero. Anche cogliendo l’occasione dell’anno verdiano, noi dobbiamo restituire a Verdi, il patriarca, la dignità e il rispetto che desiderava, e che merita. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il compositore d’opera più amato è ancora ben lontano dall’essere conosciuto a fondo. L’opera di Verdi è ancora da venire: in questo senso Verdi è l’autore del futuro.

il libro Il testo è tratto dal volume di Riccardo Muti, “Verdi, l’italiano”, Rizzoli, 2012. Proprietà lettereraria riservata © 2012 RCS Libri S.p.A., Milano. Ringraziamo l’editore per la gentile concessione. a sinistra Riccardo Muti, Lezione Nabucco, Roma 2013 (foto di Silvia Lelli). SOPRA riccardo Muti, Chicago Requiem Verdi 2009 (foto di Todd Rosemberg)

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rubriche

Regione & notizie

© Regione Emilia-Romagna A.I.C.G. foto di Michele Nucci

one Magiera - testimoniano in 16 minuti il “loro” Verdi. Cosa ha significato nella loro vita artistica, nella loro carriera, cosa lega il compositore alla terra in cui è nato, cosa la sua musica immortale può dire alle generazioni future. 
Il racconto si delinea ulteriormente nelle immagini dei luoghi verdiani, dalla casa natale di Roncole Verdi a Villa Sant’Agata, dove il maestro ha vissuto e composto le sue opere più amate. 
Un biglietto di auguri che è anche un ritratto del Maestro, una riscoperta dei motivi che lo hanno reso universale e immortale e un’inedita visione del Verdi emiliano-romagnolo, agricoltore appassionato, prima ancora che grande italiano e patrimonio del mondo intero. 
Buon Compleanno Maestro! è prodotto dalla Regione Emilia-Romagna, Agenzia Informazione e Comunicazione della Giunta regionale e Assessorato alla Cultura, con la produzione di 3V Multimedia. Lo potete vedere su www.giuseppeverdi.it.

riconoscimenti

Aung San Suu Kyi a Bologna Il Premio Nobel per la Pace nel 1991 ha ricevuto (il 30 ottobre) la Cittadinanza Onoraria che le era stata assegnata dal Consiglio Comunale di Bologna nel 2008 e che in quella data non aveva potuto ritirare. La leader politica birmana infatti è stata liberata solo il 13 novembre 2010. Nel 1988 fonda la Lega nazionale per la democrazia, che rivendica libertà, diritti umani e democrazia. I generali birmani reagiscono arrestandola, impedendole di partecipare alle elezioni che essi stessi avevano promesso per il 1990. Con sorpresa e disappunto dei generali la Lega, pur privata della sua leader, ottiene l’81% dei voti. La giunta militare invalida le elezioni, arresta e manda in carcere i dirigenti del partito e i militanti. Deve arrivare il 1º aprile 2012 perché Aung San Suu Kyi ottenga un seggio al parlamento birmano. Solo il 16 giugno 2012 può ritirare il premio Nobel per la Pace. Da quella data inizia a visitare vari Paesi, dato che solo allora le è concesso il permesso dal Governo birmano. Nel 2000 l’Università di Bologna le aveva conferito la Laurea honoris causa in Filosofia, onorificenza che ha potuto ricevere ufficialmente solo il 30 ottobre 2013. Questi riconoscimenti ricordano e premiano la tenacia e la coerenza di Aung San Suu Kyi, la sua lotta per i diritti di donne e uomini, cui si è dedicata senza tregua, incurante dei rischi personali. Liberi dalla paura, il libro che ha scritto rende in maniera efficace il suo pensiero: “Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo del potere corrompe chi ne è soggetto”.

bicentenario verdiano

Buon Compleanno Maestro! “Grande, umano, unico, amorevole, testardo, generoso, italiano, mediterraneo, teatrale, universale, forte, geniale, geniale… basta”. Così raccontano Giuseppe Verdi, nel giorno del suo compleanno, i registi, cantanti, direttori d’orchestra nati o vissuti in Emilia-Romagna, protagonisti del video Buon Compleanno Maestro! 
Tutti legati profondamente al repertorio verdiano - la regista Cristina Mazzavillani Muti, i soprani Mirella Freni, Raina Kabaivanska, Maria Agresta, Anna Pirozzi, il tenore Sergio Escobar, i direttori d’orchestra Michele Mariotti e Le-

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Arte Fiera 2014

Verso Est Più gallerie, apertura all’Ottocento e alla Fotografia artistica con la presenza di una selezione di gallerie impegnate esclusivamente nel settore fotografico. E poi un Focus sui Paesi dell’est Europa e la Cina e l’attenzione ai collezionisti con la mostra Il piedistallo vuoto di Marco Scotini. Sono queste le novità della prossima edizione di ArteFiera si svolgerà dal 24 al 27 gennaio 2014 a Bologna. Le gallerie, italiane e straniere, sono più di 150, con un aumento di circa il 20% rispetto all’edizione precedente, quando ancora le iscrizioni non sono chiuse. La selezione dei curatori artistici, Claudio Spadoni e Giorgio Verzotti, ha dovuto far fronte a un rinnovato interesse delle gallerie per la manifestazione che mantiene intaccata la sua posizione di leadership. Il mercato del collezionismo cinese godrà di una particolare attenzione con una mostra dedicata al tema della carta e dell’inchiostro nell’arte contemporanea cinese. ArteFiera che collabora inoltre alla nuova edizione in Cina di BolognaFiere Sh contemporary Art, la principale manifestazione di arte contemporanea di Shanghai, organizzata da Bolognafiere a Shanghai dall’11 al 14 settembre 2014. Anche quest’anno Art City, l’intenso calendario di iniziative realizzato da Gianfranco Maraniello, direttore del MAMBO e della Istituzione Musei Civici di Bologna, coinvolgerà i luoghi d’arte della città per tutti i giorni della manifestazione. La notte del sabato sarà tradizionalmente dedicata alle proposte degli operatori commerciali e culturali Bolognesi con la Art White Night che ogni anno richiama in un clima di festa decine di migliaia di persone.


portfolio

Album Giuseppe Verdi Giuseppe Verdi picture card album

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La vita

Giuseppe Verdi, 1902 Litografia Fritz Schneller & Co., Norimberga PubblicitĂ Liebig, Londra Serie di 6 figurine

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La vita di Giuseppe Verdi, 1951 Su disegni di Italo Giovanni Mattoni (1895-1974) Arti Grafiche Manzoni, Torino PubblicitĂ Lavazza, Torino Serie di 12 figurine particolare 1. esame negativo al conservatorio particolare 2. la prima del nabucco particolare 3. estreme onoranze

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portfolio

Sono queste immagini di larghissima diffusione a raccontare come Verdi è tra le figure più popolari e amate del XX secolo. These very widespread pictures prove that Verdi is one of the most popular and beloved characters of the 20th century. Alfabeto (uomini in costume), 1892 Su disegni di Florence Edel (1871-1944) Litografia Liebich & Kuntze, Lipsia. Pubblicità Liebig, Londra 4 figurine da una serie di 12

Centenario della nascita di Giuseppe Verdi, 1913 Pubblicità Borsari & C., Parma Calendarietto da barbiere

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G. Verdi, 1964 Grafiche Mignani, Bologna Calendarietto da barbiereModena

Verdi e le sue opere, 1913 Su disegni di Florence Edel (1871-1944) Litografia Fritz Schneller & Co., Norimberga PubblicitĂ Liebig, Londra Serie di 6 figurine

Teatri e ritratti di autori d’opera

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portfolio

“Celeste Aida, forma divina, mistico serto di luce e fior�

Aida, 1933 Calendarietto da barbiere

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Aida, 1891 Su disegni di Florence Edel (1871-1944) Litografia Gebrüder Klingenberg, Detmold Pubblicità Liebig, Londra Serie di 6 figurine SINISTRA E SOTTO Alfabeto (donne in costume), 1892 Su disegni di Alfredo Edel (1856-1912) Litografia Gebrüder Klingenberg, Detmold Pubblicità Liebig, Londra 2 figurine da una serie di 12

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portfolio

Opere di Verdi, 1899 Litografia Liebich & Kuntze, Lipsia PubblicitĂ Liebig, Londra Da una serie di 6 menu Otello. Parole di A. Boito, 1920 Calendarietto da barbiere

La Traviata, 1929 Calendarietto da barbiere

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Il teatro “Alla Scala” di Milano, 1924 Pubblicità Liebig, Londra Figurina dalla serie I più famosi teatri d’opera del mondo

Le immagini di questo Portfolio verdiano provengono dal Museo della Figurina di Modena e per la maggior parte appartengono alla Raccolta Liebig che contribuì non poco a consolidare il mito iconografico di Giuseppe Verdi. Senza dubbio la storia delle figurine non sarebbe stata la stessa senza l’apporto essenziale dell’azienda che più di ogni altra ha legato il proprio nome ai cartoncini stampati: la Liebig, produttrice del famoso estratto di carne, la cui formula fu pubblicata nel 1847 dopo diversi anni di studi, ma che leggenda vuole essere stata scoperta da Justus von Liebig, dopo aver passato una notte intera nel suo laboratorio alla ricerca di una cura per un’amica della figlia malata di tifo. La ditta non produsse solo figurine, ma un’enorme quantità di gadget e di oggetti stampati, quali menù, segnaposti, sottobicchieri, calendari e molto altro. Per capire quanto fossero noti i prodotti Liebig basti sapere che quando Stanley intraprese il viaggio in Africa alla ricerca di Livingstone, si dotò del vasetto Liebig; stessa cosa fecero gli scalatori del K2 nel 1954; persino Jules Verne fece gustare ai protagonisti del suo Intorno alla Luna delle saporitissime tazze di brodo Liebig. Museo della Figurina Il Museo della Figurina nasce dalla appassionata opera collezionistica di Giuseppe Panini, fondatore nel 1961 dell’omonima azienda, assieme ai fratelli Benito, Franco Cosimo e Umberto. Nel corso degli anni Giuseppe raccoglie centinaia di migliaia di piccole stampe a colori che nel tempo sono andate a costituire questa straordinaria collezione, diventata museo all’interno dell’azienda nel 1986. Nel 1992 Giuseppe Panini e l’azienda decidono di donare il Museo al Comune di Modena, città ritenuta sua sede naturale in quanto capitale mondiale della figurina moderna. La raccolta riunisce accanto alle figurine propriamente dette, materiali affini per tecnica e funzione: piccole stampe antiche, scatole di fiammiferi, bolli chiudilettera, carta moneta, menu, calendarietti, album pubblicati dalle ditte per raccogliere le serie o creati per passatempo dai collezionisti seguendo il proprio gusto e la propria fantasia, e molti altri materiali ancora. www.museodellafigurina.it

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cultura

Mosaico di culture Capitale Europea della cultura 2019. Ravenna è tra le finaliste con un progetto che è già un libro di cose concrete. A mosaic of cultures. 2019 European capital of culture. Ravenna is one of the finalists with a project which has already produced a book of concrete things. di Saverio Malaspina

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R

avenna è nel ristretto gruppo delle sei città finaliste candidate. La notizia del 16 novembre conferma il grande lavoro che Ravenna sta compiendo: un work in progress a tappe serrate che continua ad attivare nuove energie, nuovi modi di immaginarsi nel futuro. Il 20 settembre le ottanta pagine del dossier di candidatura pronto per Bruxelles sono state presentate a Bologna con il titolo Mosaico di culture. Dopo centinaia di incontri, tavoli di lavoro, workshop, si è arrivati a un corpus di cento progetti, diviso in 18 tematiche, esito di 400 idee emerse da un’open call e da 28 gruppi. La metafora del mosaico, così connessa alla storia di Ravenna, ponte tra Oriente e Occidente, è una sintesi felice del percorso di immaginazione e costruzione di una nuova realtà, nutrita dalla ricchezza delle differenze ed elaborata grazie a un progetto preciso. Senza tessere non esiste mosaico, ma senza mosaico una singola tessera è davvero poca cosa. Ravenna sta lavorando alla Candidatura dal 2007 riflettendo sulle criticità e sviluppando un’idea di città inclusiva, intelligente e contemporanea, avamposto europeo di condivisione e creatività. Intelligenza collettiva della città e del territorio sono state chiamate a raccolta, contando sulla forza di cooperazione, sul saper fare e sul fare insieme che storicamente sono tratti distintivi dell’essere cittadini qui, dove uno su due è socio di una cooperativa. Il dossier è un libro di desideri ma anche di cose concrete, alcune realizzate nel lavoro preparatorio durato due anni, con migliaia di cittadini coinvolti e tante ore di volontariato, altre da realizzare indipendentemente dall’esito della candidatura. Mosaico di culture racconta una visione precisa e questa è la sua forza. Parla di una città che nel 2019 sarà trasformata, ricca di spazi condivisi, dove la cultura diventa opportunità di scambio, contaminazione, economia. E soprattutto di una città sull’acqua, rigenerata negli spazi, grazie anche alla Darsena pensata come quartiere smart, votato alla sostenibilità e alla dimensione europea, ideato attraverso una progettazione partecipata. Ravenna tradurrà in pratica comunque molti dei progetti presentati, in particolare quelli riguardanti la pianificazione urbanistica e la programmazione

artistica Anche questa esito di un processo condiviso e discusso tra cittadini e artisti e intellettuali del calibro di Marc Augè, Zygmunt Bauman e Hanif Kureshi. Tra gli eventi principali, oltre progetti dedicati a Dante Alighieri, si segnala il Festival della cultura adriatica, progetto multiculturale e multidisciplinare che unirà le due rive dell’Adriatico (Italia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Albania). Guardano a est anche i Concerti dell’amicizia che Riccardo Muti e il Ravenna Festival porteranno in Europa orientale dal 2014 al 2019. L’orchestra giovanile Cherubini sarà a Sarajevo, Istanbul, Atene, Belgrado, Tirana e in Bulgaria, Paese che condividerà con l’Italia l’anno della Capitale culturale, e con cui Ravenna ha già sottoscritto patti di collaborazione e cooperazione. Si ispira alla storia dell’arte, e alla presenza in Romagna di grandi personalità che qui nei secoli sono transitati e vissuti, la mostra Artisti europei in Emilia-Romagna, da Dürer ai fiamminghi, da Calvaert a Klimt. Di grande impatto Il mosaico solare, una gigantesca opera che sposa l’arte all’ecologia: un mosaico composto di migliaia di pannelli fotovoltaici colorati, visibile dal satellite e tramite Google Maps. Con We dance from dusk till dawn, il più grande evento di ballo partecipato mai organizzato al mondo, la Romagna intera ballerà dal tramonto all’alba. E un banchetto lungo quanto tutta la costa romagnola, da Casal Borsetti a Cattolica accoglierà i turisti della Riviera e festeggerà l’inizio dell’estate 2019, che ci auguriamo europea. In bocca al lupo Ravenna!

a sinistra RAVENNA, 6 MAGGIO 2013: 400 ragazzi in piazza per la festa d’Europa A destra 1. Zygmunt Bauman, ospite di cinque tracce 2. Particolare del Il wall painting di Ericailcane realizzato a novembre 2011 per ‘Cinquetracce, dialoghi per la candidatura di Ravenna a Capitale Europea della Cultura’ 3. romagna express 2019.il treno storico che ha fatto tappa nelle principali città della romagna portando sul territorio i temi e i contenuti della candidatura.

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società

L’Emilia-Romagna nel cuore Laura Pausini è ambasciatrice dell’EmiliaRomagna nel mondo. La cantante, tra le più amate del pianeta, è stata insignita dello speciale riconoscimento dal Presidente della Regione. The Emilia-Romagna region in the heart. The singer, one of the most beloved on the planet, received this special title from the President of the Region. di Leonetta Corsi 32 | e-r magazine n. 2 | dicembre 2013

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È

un grande orgoglio – ha dichiarato Vasco Errani – “poter condividere con un’artista come Laura Pausini l’amore per questa terra e per i valori che rappresenta in termini di cultura, di musica, di stile di vita aperto, solidale, generoso. Sono certo che Laura sarà una splendida ambasciatrice di questi valori e di questa energia vitale”.

Perché Laura c’è, sempre. A raccontare il mondo che vorrebbe, a dare una mano. La sua biografia dice delle innumerevoli iniziative di sensibilizzazione su temi sociali e di concerti di solidarietà cui ha partecipato nella sua giovane vita e nella sua lunga carriera, che conta 45 milioni di dischi venduti, un Grammy Award, e tre Latin Grammy Awards. Laura c’era anche al Concerto per l’Emilia il 25 giugno 2012, un mese dopo il terremoto, allo Stadio Dall’Ara di Bologna. C’è ora a raccontare ai suoi fan, con l’entusiasmo e l’energia potente di cui è capace, il meglio dell’Emilia-Romagna, senza volere nulla in cambio. “Per me”, ha detto, “sarà una gioia poter parlare ai fan, durante il mio tour mondiale, di quanto è bella, accogliente, allegra e ospitale la terra che mi ha cresciuta, sia umanamente che professionalmente”. Qui è stata possibile una delle storie belle del nostro Paese, quella di una giovane studentessa della Scuola

“Per me sarà una gioia poter parlare ai fan, durante il mio tour mondiale, di quanto è bella, accogliente, allegra e ospitale la terra che mi ha cresciuta, sia umanamente che professionalmente”

d’Arte di Faenza che, con forza di volontà e coraggio – “tratti caratteristici inconfondibili della nostra regione”, ricorda Laura, ha saputo conquistare il mondo. “Sono veramente orgogliosa di questo riconoscimento, sono innamorata della mia regione, l’Emilia-Romagna ce l’ho nel cuore, anzi ho il cuore a forma di Emilia-Romagna. E lo dirò a tutto il mondo!”, ha detto ancora Laura Pausini ricevendo il riconoscimento dal presidente Errani alla Festa del Fan-club, a Faenza, davanti a 4000 fan da tutto il mondo. Già insignita del titolo di commendatore della Repubblica dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, Laura è in uscita il 12 novembre con 20 -The greatest Hits ed è alla vigilia di un tour mondiale in Portorico, Messico, Usa e Brasile, dove porterà la sua storia e tutte le tappe di questi 20 anni di musica e vita. 20 -The greatest Hits e The greatest Hits World Tour saranno l’occasione per raccontare a milioni di persone le sue origini e il legame con la terra dove e nata e dove ha scelto di vivere con la sua nuova famiglia. In Emilia-Romagna spesso hanno inizio i suoi tour mondiali, qui sono nati il nuovo album e l’intero nuovo progetto.

a sinistra laura pausini insignita dello speciale riconoscimento di ambasciatrice dell’Emilia-Romagna nel mondo da vasco errani Presidente della Regione. (© Naphtalina/Free-Event).

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CULTURA

Bertolucci on Bertolucci ll film di Luca Guadagnino e Walter Fasano, presentato nella sezione Classici alla 70ª Mostra del Cinema di Venezia, presieduta quest’anno da Bernardo Bertolucci. Luca Guadagnino and Walter Fasano’s film was presented in the Classical section at the 70th Venice Film Festival, chaired this year by Bernardo Bertolucci.

di Piera Raimondi Cominesi

D

ue anni di lavorazione, oltre trecento ore di materiale da archivi di tutto il mondo, scandagliati con pazienza certosina e grande passione per il cinema. Questi gli ingredienti di Bertolucci on Bertolucci, realizzato in collaborazione con il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, la Sigmund Freud Foundation, la Regione Emilia-Romagna e Rai teche. Il film è un racconto in prima persona dello straordinario maestro del cinema. La voce e il volto di Bertolucci sono già il cinema. In un’ora e cinquanta di film scorrono decine di interviste, mutamenti fisici, riflessioni sui propri film e sulla realtà, riprese sui set di film che hanno fatto la storia del cinema. Bertolucci si racconta nel tempo e nello spazio di decenni, dalle prime premiazioni come poeta, le prime interviste, rigorosamente in francese se si parla di cinema, di un giovane che esordì alla regia a 21 anni, fino

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al making of di Io e te, ultimo film del regista, uscito lo scorso autunno. Il materiale utilizzato, in più lingue, spesso in bianco e nero, è montato in base ai campi, ai colori, alle assonanze, come si fa per un film di finzione, ma è anche pieno di rimandi alle forme stesse del film. Ne abbiamo parlato a Venezia con Walter Fasano, che si è formato alla scuola di Roberto Perpignani, storico montatore dei primi film di Bertolucci. — Come è nato questo progetto? Nasce da una masterclass che Giovanni Spagnoletti ha organizzato al Festival di Pesaro due anni fa, quando ha dedicato a Bertolucci una retrospettiva completa delle sue opere. Bernardo era presente e ha tenuto una lezione di cinema, moderata da Adriano Aprà. Luca era presente e ha filmato le riprese dell’incontro. Come spesso accade nel cinema, questo è stato solo il punto di partenza, con una traccia che era il titolo Bertolucci on Bertolucci. Un titolo che mima un certo tipo di letteratura o di cinema in cui i registi parlano di loro stessi, ricordiamo Lynch on Lynch, Scorsese on Scorsese. Poi il lavoro ha preso un’altra direzione, non abbiamo montato le riprese di quell’incontro, ma solo materiale di repertorio di Bernardo Bertolucci che parla di sé, della sua vita, del suo cinema, dal 1962 al 2012. — Nel vostro racconto però “la cronologia è saltata”, come dice Bertolucci a un certo punto del film riferendosi ad altro. Sono contento che tu l’abbia notato, c’è una serie di rimandi interni al film tra le cose che vengono dette e la forma del film. Abbiamo deciso di non usare una cronologia secca, nonostante ci sia un fiume temporale che scorre sotterraneo: questo per creare effetti più sorprendenti o divertenti nel montaggio.

contro sulla psicoanalisi cui Bernardo partecipò alla fine degli anni novanta, presso la Sigmund Freud Foundation. La psicoanalisi è un segno forte e anche nella forma del abbiamo cercato di assecondare il flusso di pensiero, perché se il cinema è molto vicino ai sogni, il montaggio è uno dei dispositivi forti per riportare il cinema a questa sua natura onirica. — Se il cinema è il sogno collettivo degli spettatori che sono in sala, come dice Bertolucci, questo sogno che avete montato si poterebbe intitolare “Bertolucci, le cinema c’est moi”. Bertolucci non lo direbbe, nonostante possa averlo pensato nel suo periodo “megalomane” che egli stesso definisce tale. Questo possiamo però dirlo Luca ed io. Montando questo lavoro abbiamo scoperto quanto Bernardo sia stato parte del cinema nella seconda metà del Novecento, quanto ne abbia incarnato in maniera profonda e intelligente nella sua poetica i movimenti più veri. Anche per questo, lavorare sui materiali di Bernardo ci ha profondamente arricchito. — Anche il tema del padre, o dei padri, caro a tanta critica, è stato affrontato in maniera inconsueta. Nella prima parte del lavoro c’è una sovrapposizione di due figure paterne, due grandissimi poeti. Il padre, Attilio, e Pier Paolo Pasolini, due figure di riferimento importantissime per Bertolucci. Immaginandone la statura possiamo anche capire perché ciò sia successo. La cosa divertente del lavoro di mon-

taggio è che le due figure spesso sono sovrapposte, a volte non si sa se si stia parlando di Attilio o di Pier Paolo, anche perché c’è il terreno comune della poesia. Fu Pier Paolo Pasolini a spingere Bernardo a pubblicare le sue poesie, ancora prima della maggiore età. — Bertolucci come ha accolto il film? È andata splendidamente. E questo lo metto tra le nostre grandi fortune e tra i momenti più belli della realizzazione di questo film. Bernardo ha visto il lavoro quando era già in fase avanzata, ha visto un montato di poco meno di due ore. Gli è piaciuto molto, ma non mi piace sottolinearlo. La cosa più divertente è stata quando l’abbiamo raggiunto a casa sua, la prima cosa che ci ha detto accogliendoci è stata: “In questo momento ho qualche problema con la mia immagine e con la mia voce”. Per ciò ho detto “Va bene Bernardo, allora ce ne andiamo, nel film ci sei solo tu che parli per due ore”. Ma poi, stava guardando una serie francese, “Le revenants”, e ha aggiunto che la sua parola preferita in quel momento, o forse sempre, era rêverie, il ricordo, anzi più di ricordo perché significa anche sogno. Allora, mi sono detto, abbiamo qualche chanches.

a sinistra Bernardo bertolucci. (foto di Brigitte Lacombe) sotto luca guadagnino e walter fasano.

— Il racconto infatti non è né diacronico né didascalico. Il dispositivo narrativo usato sembra essere quello dell’associazione libera, strumento principe della psicoanalisi, tema caro a Bertolucci. È un tema caro anche a Luca. Lui è un appassionato di psicoanalisi che conosce molto meglio di me. C’è un altro aspetto importante legato a questo: la colonna sonora è tratta da un film di John Huston del 1962, scritta da Jerry Goldsmith, anche in questo caso c’è quindi una serie di rimandi. Nel film ricorrono estratti da un ine-r magazine n. 2 | dicembre 2013 | 35


cucina

Le mani in pasta Alessandra Spisni le fa mettere a 9.000 allievi che arrivano da ogni parte del mondo nella cucina della Vecchia Scuola Bolognese di via Galliera. The fingers in the pasta. This is what Alessandra Spisni makes her 9,000 students do; they come from every part of the world to her Vecchia Scuola Bolognese in via Galliera. ™ translation at page 48

di Angela Simeoni

Q

uando Alessandra Spisni ti dà la mano, hai già capito molto di questa bolognese doc. La sua è un’energia concreta e felice di essere al mondo. Diventata famosa in Italia per sua partecipazione settimanale a La prova del cuoco, un programma di cucina da grandi ascolti trasmesso da RaiUno e da Rai International, la Spisni si racconta in sincerità, senza costruire mitologie. Il suo mestiere è nato da una necessità. E lei, da donna padana, non si è certo tirata indietro. — Come è nata la sua passione per la cucina? Non è stata una vocazione. Si è rivelata che ero già grandina. Prima facevo tutt’altro. Avevo giurato a mia nonna che non avrei mai fatto il suo mestiere. Lei era cuoca e io la vedevo tornare a casa la sera tardi, essere sempre al lavoro, anche la domenica. “Non ci penso neanche”, le dicevo, nonostante lei insistesse: “Tu sei fatta per fare la cuoca”. Poi a vent’anni ho messo su famiglia, ho avuto un figlio. Tanti soldi da spendere e niente in tasca. E allora mi sono detta, dai, facciamo la cuoca. E lì ho scoperto che la gente ti paga per quello che sai fare. Poi con la pratica ho scoperto che mi piaceva e mi sono detta che stupida! Perché non l’hai fatto prima. In realtà sono contenta che tutto sia arrivato al momento giusto per me, perché me la sono goduta e me la godo ancora adesso. — L’idea della scuola come è venuta? Anche questa è un’idea che non è venuta a me, è stata la conseguenza di una richiesta. Io avevo già un laboratorio dove lavoravo la pasta fresca, facevo

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quello che faccio anche oggi. Nel 199293 hanno cominciato a venire gruppi di turisti, spesso accompagnati da tour operator. Chiedevano di poter assistere alla preparazione dei piatti tradizionali emiliani, di conoscere gli ingredienti. Ho cominciato a fare dei corsi una volta ogni tanto e poi sempre più spesso. A un certo punto ho capito che quella era la strada da prendere. Nel momento in cui calavano le vendite e il pubblico delle fiere era diminuito, la richiesta di corsi era invece diventata quasi quotidiana. C’era uno spazio da riempire, noi che pure qui abbiamo tanta arte, tanto

territorio, non lo “lavoriamo” come fanno ad esempio Roma, Firenze e Venezia. Ho iniziato noleggiando le sale dai ristoratori amici che nei giorni di chiusura mi davano la possibilità di usare le loro strutture. Poi, con mio fratello ci siamo detti, qua dobbiamo dare una svolta. Era il 1998, abbiamo aperto la prima sede a Quarto Inferiore, dove ho gestito un locale in cambio della possibilità di usufruire degli spazi per i miei corsi. Poi via Malvasia, adesso qui, nella sede di via Galliera. Siamo cresciuti insomma. E continuiamo a crescere, nonostante la crisi.


— Chi sono gli allievi della scuola? Gli stranieri sono più degli italiani. Siamo nati come scuola per stranieri perché raccontare le tagliatelle e il ragù ai bolognesi è tutta da ridere. Qui ogni casa ha la sua tradizione, la sua ricetta che si differenzia dalle altre per dosi, grammi, per ingredienti. Mentre per gli stranieri, soprattutto per quelli di origine italiana, seconde o terze generazioni, è come ritrovare un pezzo di memoria. Sono alla ricerca di un passato che non hanno potuto vivere, ma che sentono loro. Vengono qui, cercano i sapori della memoria, ma anche i gesti. Quanti ci dicono: “la mia nonna faceva così, la mia mamma mi racconta che sua zia…” Per me è una cosa bella, mi fa piacere questa emozione. — Da che parte del mondo arrivano? I nostri primi clienti sono stati gli israeliani e gli americani. Israele ha avuto un exploit esagerato, sono stati i primi a venire con le troupe televisive, filmavano e poi trasmettevano le lezioni alla tv nazionale. Poi hanno cominciato a spararsi addosso… Gli americani sono i clienti più numerosi. Ma adesso arrivano da tutte le parti del

Il panone di Natale della Vecchia Scuola Bolognese INGREDIENTI E DOSI per 12 PERSONE 750 gr. di farina 150 gr. di mandorle (1/2 tritate e metà intere) 150 gr. di cedro candito 100 gr. di canditi misti a pezzetti

mondo: russi, giapponesi, dal Bagladesh, Pakistan, India, Africa, Canada, sia turisti che persone che vengono da noi per crearsi una professione. I turisti sono comunque una parte consistente, e anche se il corso è breve, tutti impastano e tirano la sfoglia… Certo non riescono a fare tutti i tipi di sfoglia in un giorno, ma li vedono fare tutti. Tutti assaggiano, tutti mettono le mani in pasta… Poi ci sono i corsi da tre, da cinque giorni, da un mese, da tre mesi. Molti americani e giapponesi sono venuti a fare il corso da tre mesi, ma le mani in pasta le mettono davvero tutti… — E imparano, così da zero? Meglio da zero, perché non hanno difetti da correggere, non hanno gesti automatici visti e rivisti in famiglia. Se uno arriva e non ha mai fatto nulla, impara più velocemente.

50 gr. di pinoli 100 gr. di uvetta sultanina 100 gr. di noci pulite 300 gr. di marmellata (di mostarda o di albicocca) 100 gr. di burro 100 gr. di zucchero a velo vanigliato 200 gr. di zucchero semolato 200 gr .di fichi secchi 50 gr. di cioccolato fondente a pezzetti 50 gr. di cioccolato in polvere 1 bicchiere di vino bianco lievito in polvere per 1,5 Kg di farina (1 bustina e 1/2) 2 uova latte q.b. canditi e mandorle per la decorazione cognac all’arancio miele da pennellare la scorza grattugiata di un limone

PREPARAZIONE

Preparare l’impasto fin dalla sera prima. 1. Amalgamare la farina, 1 bicchiere di vino bianco, le mandorle (metà

— E una volta tornati a casa sono in grado di rifare quanto hanno imparato qui? Con una giornata di corso forse i tortellini no, ma qualche tagliatella la potrebbero pure osare. Ma quello che è più importante per me è che racconteranno con entusiasmo a tante persone la nostra cucina autentica, e questo muove la curiosità e l’amore per la nostra cultura gastronomica e per il nostro territorio. Noi non abbiamo mai fatto pubblicità, tutto è successo grazie al passaparola. E qui arrivano 9.000 stranieri ogni anno, non quattro gatti.

a sinistra la preparazione dei tortelloni. sopra alessandra spini e il suo staff nella sede della vecchia scuola bolognese di via galliera.

tritate e metà intere), il cedro candito, i canditi misti a pezzetti, i pinoli, l’uvetta sultanina, le noci sgusciate e pulite, la mostarda o la marmellata di albicocca, il burro, lo zucchero a velo vanigliato, lo zucchero semolato, le uova, i fichi secchi, il cioccolato fondente a pezzetti, il cioccolato in polvere e la scorza grattugiata di un limone. 2. Aggiungere una bustina e mezzo di lievito in polvere, mescolandolo con un po’ di latte. 3. Foderate di carta da forno lo stampo ad albero di Natale . 4. Distribuire il composto in maniera uniforme, coprire con la pellicola trasparente e lasciarlo riposare per tutta la notte a temperatura ambiente. 5. Il giorno successivo, decorare la superficie con mandorle e canditi, proprio come un albero di Natale. 6. Cuocere in forno a 160° per mezz’ora. 7. Da ultimo, pennellare con del miele scaldato assieme al cognac all’arancio.

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letture

Capriccio verdiano Il “Verdi” di Attilio Bertolucci, grande poeta del Novecento, è profondamente radicato nella “terra che Taro e Parma e Enza rigano”. Va e viene dalle capitali di tutto il mondo, ma torna sempre a Sant’Agata. Dopo ogni battaglia. Verdi’s capriccio. The “Verdi” of Attilio Bertolucci, a great Twentieth-century poet, is deeply rooted in the “land which is streaked by rivers Taro, Parma and Enza”. He has been travelling back and forth to all the world’s capitals, but he invariably comes back to Sant’Agata after each battle. di Attilio Bertolucci

H

o avuto la mia iniziazione a Verdi tra i sette e gli otto anni, età giusta, nel Collegio Maria Luigia di Parma dove, piccolo convittore, soffrivo il primo sradicamento da mamma e babbo e benedetta campagna nutrice, soffrivo il primo, non facile avviamento agli studi: terribili problemini da riconsegnare in bianco, meravigliosi temini da svolgere con selvaggia e timida aggressività, consegnare in volata, con distacco incredibile su tutti gli altri, pensosi a succhiare cannucce distratti lungamente a guardarmi meravigliati, per niente invidiosi. Così almeno mi pareva. Mi illudevo? Non vorrei proprio che fosse così. Il rettore offriva a noi bambini e ragazzi in gran parte di campagna, o di paese o piccola città senza una scuola possibile, qualche volta in situazione familiare difficile, offriva dicevo alcuni complementi alla pura e semplice scuola, da far pagare come extra rispetto la retta e da illustrare ai genitori o nonni o tutori (o pellegrina genitrice unica) come essenziali, in un collegio chiamato un tempo dei nobili. Ricordo le lezioni di danza, impartite però ai più grandi, quelli del ginnasio superiore e del liceo, come mio fratello Ugo: il professore era, ahimè, claudicante, ma pare squisito nell’insegnare le buone maniere, nel mettere in guardia dall’affrontare dame e damigelle senza aver infilato guanti immacolati. Quei torvi adolescenti e giovinetti ridacchiavano sotto gli spuntanti baffi, mentre già infuriavano fox e tango, forse dal maestro ritenuti

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osceni, sola danza da lui ammessa essendo il valzer, ritenuto a sua volta osceno cento anni prima. Noi bambinaglia, chiusi in uniformi di severità militare più che religiosa (si trattava di un convitto nazionale, laico), si faceva invece canto corale. S’attaccava, serissimi “Va’ pensiero”, “O Signor che dal tetto natio”, si veniva iniziati alla musica. E la musica era Verdi. Non Wagner, che pure una volta ci toccò ascoltare perché ci portarono a una matinée del Teatro Regio ai fini di riempire un po’ di palchi sempre vuoti durante le rappresentazioni del Parsifal. Forse una certa incantagione da quel magma sonoro mi raggiunse, ma in altre zone del mio essere da quelle in cui le onde dei sublimi cori italiani (oh, le “torri atterrate” con quel bellissimo gioco di t e di r; il “tetto natio” di dolcezza, ancora non potevo saperlo, manzoniana) s’allargavano all’infinito, come acqua azzurra di torrente colpita da una mano esperta di bambino (non io), straordinaria nel lanciare sassi in quel gioco inebriante del pio pès. Oggi siamo tutti d’accordo nell’accettarli entrambi, i fratelli nemici (non il romanziere americano Saul Bellow che ha affermato: “Più il tempo passa più amo Verdi, odio Wagner”), anche se riascoltando l’Incantesimo del Venerdì Santo o Preludio e morte d’Isotta l’effetto è lo stesso di quegli inverni lontani e nevosi: un’incantagione come di droga, assonnante, debilitante. Mentre se m’investe “È morto assassinato il Re Duncano” dal Macbeth, “Stride la vampa” dal Trovatore e via, a non finire, del Nostro, dico di noi tutti,

anche se ho la tentazione di considerarlo nel senso più ristretto, non della nazione, non della regione, ma della provincia, quello che sento è un aumento di vitalità fisica e morale. Che è il fine supremo del teatro, da Sofocle a Bertolt Brecht. E Verdi è teatro, meravigliosamente, a ogni costo teatro, con buona pace dei musicologi che a Verdi chiedono, che so, di essere Brahms. È stato Goethe a scrivere “Shakespeare ora e sempre…”. Posso imitarlo, e scrivere “Verdi allora ora e sempre”? Dico allora, quando il maestro Lazzari c’istruiva nei cori e l’iniziazione fu compiuta, perfetta. Ma passarono anni e anni e anni che, in me almeno, essa entrò in letargo. Altre ne seguirono, di iniziazioni: alla poesia, al romanzo, al cinema. E furono per me fatali, necessarie. Coincisero poi con tempi tristissimi, che gli intenditori dicevano sì ai due preludi della Traviata, all’Otello, al Falstaff, no a quasi tutto il resto. Fu attraverso la letteratura, preciso, Bruno Barilli, grande critico musicale nel senso che Baudelaire è grande critico d’arte, e lo sono John Ruskin e Roberto Longhi, che io lentamente cominciai a risvegliarmi. O meglio si risvegliò entro di me, nel profondo di me, quel Verdi che vi giaceva sepolto, ma intatto. Forse chiuso in un sonno protettore. Non voglio annoiare oltre con questa storia personale, soltanto lasciatemi dire che a quell’“allora” è seguito un’“ora” di infinita passione e, mi si permetta, identificazione. Devo spiegarmi su quest’ultima frase che è, temo, ancora storia personale, ma non soltanto mia, di tutti


a sinistra la famiglia Bertolucci: giuseppe, bernardo, attilio e la moglie ninetta. Sotto il volume da cui è tratto il brano di queste pagine.

quanti sono nati e hanno vissuto fra l’azzurra frangia dell’Appennino e il perenne scorrere di Po, nella terra che Taro e Parma e Enza rigano e pioppi e minareti di chiese sovrastano. Insomma nell’enorme zanzariera di cui parla proprio Barilli. In essa Giuseppe Verdi sta come un padre benigno e severo, insostituibile. Sì, pianse eccetera per tutti, ma per noi sta là, a Sant’Agata, anche se fa delle scappate a Montecatini, Pietroburgo, Parigi. Dove però nel 1853 scrive: “Ho una voglia feroce dì tornare a casa”. […] Va e viene ormai. E viene anche a Parma dove al Regio incontra la prima volta la signora Strepponi, come lui la chiamava allora, che pare fosse bravissima nel ruolo non facile di Abigaille. L’incontro fu decisivo per la sua vita. Lei diventò per lui Livello lui per lei Il Mago, e non li divise che la morte. Comunque lui doveva tornare a casa, se pure i bussetani tentando di sabotargli la Peppina, fecero di tutto perché si allontanasse, varcasse l’oceano. Lui s’accontentò di passare l’Ongina, un po’ lutulenta e generatrice di rane e zanzare, non più poveretto come a Roncole ma proprietario di terre con villa: che si costruì giusta, proprio a misura sua. Una volta può anche scrivere “sento il peso dell’immutabile serenità di Sant’Agata”. Ma ci torna sempre, dopo le battaglie non sempre vinte subito,

del suo teatro fiammante di novità, qualche volta provocatorio. Un teatro che gli nasce in queste lunghe nebbie invernali, in queste caldissime estati, in queste meravigliose primavere nevicate di polline, meravigliosi autunni sonori di foglie aurate. Non è che si metta lì ad ascoltare, a imitare quel che lo circonda, che so, scorrere di torrente, cinguettio mattutino d’uccelli. La sua vocazione è il teatro, quella che già ebbe il suo “diletto Shakespeare”. Non è vero neppure che fosse sordo alle voci della natura, ma quelle se mai gli servivano a fini drammatici: rumore d’acque e di fronde si avvertono in Attila, nel Simon Boccanegra, nell’Aida, perché drammi umani si svolgono là dove la didascalia del librettista indica laguna veneta, mare di Genova, Nilo. E in Rigoletto fa scoppiare e srotolarsi e morire un gran temporale. Figurarsi se non nasce da quelli che si saranno abbattuti sulla sua casa e sui suoi campi. Che a lui, proprietario-conduttore di fondi, avranno interessato principalmente, innervosendolo, perché poteva tempestare sulle viti, sul frumento, sulla melica, dimezzando, se andava bene, il raccolto. Ma se pure componeva nel parco, en plein air, e avrà tante volte alzato il capo dai fogli, poi ritornando a comporre musica, cioè a fare rampini (che gli permettevano, coi diritti d’autore, di comprare possessioni, come la Pigorini racconta d’aver sentito dire da un vicinante del Maestro), lui

si trovava chissà quanto lontano da Sant’Agata, magari sotto la volta nera dell’Escuriale. Perché “non bisogna copiare il vero, che è fotografia… bisogna inventare il vero”. Per continuare quella lunghissima, quanto fu lunga la sua vita, invenzione del vero. Verdi doveva starsene lì. Gli poteva capitare di prendere in affitto una villetta a Parigi, in una Parigi dove abitava ancora Baudelaire, che però s’innamorava del Tannhauser, e lui dovette accontentarsi di piacere a Théophile Gautier. Voglio immaginare tuttavia che i concerti ricchi d’ottoni che nelle sere d’oro riempivano d’eroismo i cuori dei cittadini, giusta i versi sublimi di Baudelaire, eseguissero già preludi e sinfonie di Verdi, che d’eroismo fiammeggiano… Gli poteva essere necessario, in età grave, d’affittare un piano di palazzo nobile a Genova, per evitare le ricorrenti faringiti che gli procurava il clima natìo. Ma sradicarsi del tutto no,

Verdi sceglie il radicamento e ci si trova benissimo, nella misura però che la terra d’origine gli fornisce sostanza e linfa, non occasioni minori d’ispirazione. e-r magazine n. 2 | dicembre 2013 | 39


letture

Già dopo il Nabucco e l’Emani quella che era brace si fece fiamma. Da allora quel fuoco arde perenne. mai. Torna alla mente la polemica fra Barrès e Gide: l’artista sradicato muore o al contrario sradicato e trapiantato rinvigorisce? Non ci sono regole, Verdi sceglie il radicamento e ci si trova benissimo, nella misura però che la terra d’origine gli fornisce sostanza e linfa, non occasioni minori d’ispirazione. Lui le storie le trovava nella Bibbia, in Shakespeare, in Schiller, in Victor Hugo (anch’egli grande poeta, sia pure con l’ahimè aggiuntivo di Gide), e anche in certi poeti minimi, impossibili, che lui getta nella sua fornace e ne escono capolavori della forza del Trovatore. Lui stava lì, contava dalla finestra i carri di fieno che tornavano dai campi, si occupava di acquistare i nuovissimi fertilizzanti ma era sempre chissà dove, a Venezia, a Madrid, anche a Boston, ripiego rapidissimo e geniale per una Svezia che non gli permettevano di usare come scena del suo Ballo in maschera. Boston è inventata lì per lì, ma d’una verità impressionante se quando Amelia s’aggira nell”’orrido campo” subito pensiamo alle donne colpevoli di Nathaniel Hawthorne, poeta supremo di adultere della Nuova Inghilterra. Dalla Lettera scarlatta al Ballo in maschera corrono esattamente nove anni. È che, dotato come tutti i parmigiani d’una “sinistra inclinazione musicale”, secondo la folgorante definizione di Barilli (vorrei precisare “per il teatro in musica”), Verdi vedeva la realtà sotto specie di teatro in musica. Quel teatro in musica che in Italia, nell’Ottocento, coinvolse tutti. Anche gli italiani d’elezione, ricordo il più illustre, Stendhal che, arrivato a Milano all’alba del secolo con la giovane armata di Napoleone, corse alla Scala senza neppure sfangarsi gli stivali. […] È probabile che la “sinistra inclinazione” di cui parla Barilli fosse un po’ brace sotto la cenere quando il melodramma verdiano si levò come un gran vento impetuoso e rapidamente percorse l’Italia, la terra… I nostri

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progenitori s’erano appassionati a Donizetti, a Bellini, a Gluck, ma già dopo il Nabucco e l’Emani quella che era brace si fece fiamma. Da allora quel fuoco arde perenne. Di fuochi ne attizzò tanti, infiniti, Verdi, non soltanto quello che da noi ha la sua stagione più giusta e più intensa fra nebbie e nevi da Santo Stefano a Carnevale. E qui, con un accostamento forse un po’ ardito e destinato purtroppo a diventare presto incomprensibile, alla vigilia del mercoledì penitenziale vedo i fuochi dell’ultima recita d’opera al Regio coincidere con quelli accesi da pianura a collina per il rogo della poiana-strega in cima al palo. Rappresentazione anche questa, finzione inebriante agli occhi dei fanciulli tenuti svegli per un meraviglioso teatro all’aperto in cui stride la vampa delle fascine accatastate, echeggia e si risponde di podere in podere il coro che fa “viva viva Carnevale”. Accadimenti questi ultimi che si estinguono, rapito, dimentico il fanciullo dietro il Sandokan entrato con Yanez e i tigrotti nello spazio lindo della saletta contadina? Può darsi, è certo anzi. Pazienza. Lasciateci almeno ricordare. Abbiamo il compenso che l’altro corno della metafora, il fuoco dell’opera, e qui ripetiamo “ora e sempre Verdi”, brucia inestinguibile: le recite della stagione lirica sono esaurite dalla prima all’ultima. Affollate di giovani anche, si dice. Ansiosi di abitare la battaglia, per dirla con un altro grande verdiano, Gabriele Baldini, che è sempre una recita dell’Ernani, del Rigoletto, del Trovatore. Ho scritto i tre nomi magici nell’ordine in cui li collocò nel 1868 Walt Whitman, padre della poesia moderna, inventore del verso libero, barbuto santo protettore della beat generation, di Jack Kerouac, Allen Ginsberg eccetera: erano, quelle nominate sopra, le sue opere preferite. Abbastanza straordinario il fatto, non so quanto noto ai più incalliti verdiani. Non è tutto. Nel 1848 a New York non c’era ancora il Metropolitan ma Whitman, disceso al Sud, a New Orleans poteva andare all’opera quattro volte alla settimana. New Orleans di legno e di ghisa, di cucina francese e di tante prostitute e di tanti schiavi negri destinati a inventare lo spiritual, il blues, il jazz, nati dalla memoria collettiva dei ritmi d’Africa più la lezione dolce e severa delle arie da chiesa cristiane… Ma forse qualche ritmo verdiano non potrà essere uscito dalle fessure

dei teatri certo interdetti alla gente di colore ed entrato in quelle musicalissime, dolorose e allegre anime schiave? L’ipotesi è eccitante e rischiosa, ma valeva la pena di buttarla lì. Chi avrebbe sognato, del resto, non dico immaginato, per tornare a Walt Whitman, che egli scrivesse queste parole: “Forse, se non fosse stato per l’opera, non avrei scritto le Foglie d’erba?”. E ancora: “ … il godimento quasi intollerabile che mi arreca il canto… “. Dove si vede che il godimento sensuale, specie delle voci di tenori e baritoni, è una componente essenziale della passione di Withman per l’opera: e si sa che liberatore dei sensi è il poeta del Canto dell’Io. Ma c’è di più. Ad un certo punto Whitman parla dell’alternarsi, nelle sue composizioni poetiche, di recitativo e aria. Insomma la musica, il teatro in musica, oltre che (sempre parole sue) “atterrirlo con la visione subita d’un qualche orrore innominabile, trafiggergli il cuore di mille biforcute frenesie, più furiose della grandine e del fulmine, cullarlo sonnolento come per mielata morfina, al fine di destarlo a conoscere la più positiva meraviglia del mondo, ciò che chiamiamo vita”, la musica di teatro, dicevo, lo aiutava a vincere le strutture ancora ferree, seppure minate, della metrica tradizionale. È una coincidenza, non piuttosto un segno fatale che all’adolescente iniziato fanciullo alla musica attraverso i cori del Nabucco e dei Lombardi e poi riguardo alla musica caduto in profondo sonno, l’iniziazione alla poesia più libera e aperta sia venuta attraverso le Foglie d’erba tradotte dal caro e dimenticato Luigi Gamberale e pubblicate nei libriccini umili e preziosi della Biblioteca Universale Sonzogno? Non avevano bisogno di risvegliarsi, di aggiornarsi alla Verdi Renaissance di Franz Werfel e di altri intelligenti austriaci e tedeschi, il prof. Giovanni Marchi, architetto e melomane da me conosciuto ancora nero di capelli e di barba come un baritono d’epoca eppure prossimo alla fine, il cav. Dante Minardi dai baffi appuntiti come un Leoncavallo celtico: entrambi sempre fedeli al maestro, se pure vagolavano allora per una Parma stupenda, prima dello scempio della Bassa dei Magnani orrendamente ricostruita, certi egregi professionisti, anche spiritosi pare, affermanti che il Cigno di Busseto meglio sarebbe stato chiamato (udite udite) il (lo scrivo in francese perché è troppo), diciamo, cochon di Busseto. Ma ci fu chi li


vide, quegli empi wagneriani, forse al Parsifal, in poltrona “voltare la seta”. Mi capirà chi ha visto e seguito i bachi alimentarsi e dormire avanti la meravigliosa trasformazione in dorati bozzoli. Avrebbe certo capito l’agrario Giuseppe Verdi. Trovo fulmineo il paragone, vorrei sapere chi fu l’anonimo geniale che lo inventò. E voglio ricordare qui i verdiani depressi che il giovane Barilli vide attraversare il Ponte di Mezzo coi baffi bianchi di brina: e ne ricavò una pagina degna dei poemetti in prosa di Baudelaire. lo non ero ancora nato. Il cav. Minardi dunque a me distratto, addormentato, diceva: “Quanto al Ballo in maschera, è tutto un gioiello dalla prima all’ultima nota”. Parole sante e definitive. Ma egli non conosceva, e non lo conosceva neppure il prof. Giovanni Marchi, quella sublime tragedia che è il Macbeth. Che Arturo Toscanini, mi pare, non diresse mai, e sembra a noi oggi dimenticanza incredibile. Il legame fra Verdi e la gente ad ogni modo non s’era mai spezzato, anche se in qualche triste periodo un po’ allentato sì. Bastava però che un verticale rimandasse La donna è mobile di borgo in borgo affocato o nevoso della città perché si potesse affermare, come di Carlo nei Masnadieri: “Verdi vive”. Quella stupenda ballata-canzonetta in bocca volgare di duca volgare, suona così giusta tornata alla sua origine, come dire, di musica leggera, mentre echeggia, imparzialmente, per palazzi e tuguri della città… Verdi, supremo poeta

popolarnazionale in un’accezione che, durando una società ingiusta, abbraccia tutte le classi. Del resto Verdi stesso, in quell’epoca di borghesia montante, da figlio di poveretti (usa ancora da noi questa parola un po’ ironica un po’ affettuosa?) s’era fatto, in virtù della sua musica, perfetto e insieme incongruo agrario. Va bene che scrisse un giorno, non so più a chi: “…mi hanno consigliato di prendere la cittadinanza inglese, francese, magari piemontese … ma io voglio rimanere quello che sono, un paesano delle Roncole…”. Ma i paesani se erano spesati aspiravano a diventare mezzadri, se mezzadri fittavoli, se fittavoli proprietari. I Verdi erano anomali, avevano una botteguccia da niente, non penavano proprio piegati sulle zolle. Il cui possesso comunque era l’unico bene desiderabile nella vita, allora, e Verdi appena gli fu possibile, acquistò tante biolche e sopra vi costruì la villa appropriata. […] Gli anni di galera, lui dice. Da cui il luogo comune che anche le opere scritte allora fossero non di, ma da galera, pressappoco. Invece, mentre continuiamo a dissotterrarle, passiamo di meraviglia in meraviglia. Sì, anche Stiffelio, Giovanna d’Arco, I masnadieri, Attila, Il corsaro (cito alla rinfusa). Allora il misterioso Verdi, l’inquietante Verdi che piaceva al Carducci (a lui però piaceva il Manzoni), ma piacque, e molto, anche a Igor Stravinskij? Che non piace, per fortuna sua e nostra, a Pierre Boulez. Lui l’aveva predetto,

del resto. Dopo la prima, tiepida, del Don Carlos a Parigi, egli scrive “ …voi francesi che mettete i ceppi ai piedi degli artisti col vostro bon gout… “. Naturale dunque il sì di Boulez ai grandi draghi, oh mirabili certo, del mito, il no ai grandi inquisitori in carne ed ossa della storia. Va bene un agricoltore, e lo lodiamo, perché seppe condurre fertili fondi, guardando dalla villa con occhio vigile alla crescita del trifoglio e del granoturco; ma, ripetiamolo, uno strano agricoltore, un po’, sempre, come certi suoi personaggi, “in maschera”. Larvatus prodest, come tutti i grandi artisti, ed è tanto più turbativo e inconoscibile poi che a un certo momento della sua vita, ha adottato la figura del grande borghese agrario. […] Infine Verdi è mondiale (altro aggettivo ottocentesco che sa di Giulio Verne e di Ballo Excelsior, dunque si attaglia al Nostro). Ringraziamo l’editore Garzanti per la gentile concessione.

™ continua la lettura su: www.giuseppeverdi.it

Verdi 200 Verdi 200 è una applicazione realizzata dalla Regione Emilia-Romagna in occasione del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Contiene, in costante aggiornamento, notizie e informazioni sui concerti mostre ed eventi dedicati a Giuseppe Verdi. Offre anche la possibilità di ascoltare in background una selezione di brani di opere liriche e anche di vedere, in streaming, intere opere e concerti in diretta dai grandi teatri. Scaricabile su Apple Store e Play Store.

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memoria

Ritorno alle origini Il primo viaggio in regione dei discendenti dei braccianti emigrati nello Stato di San Paolo nelle immagini di Clic Oriundi. Back to the Origins. The first trip to our region made by the descendants of some farm labourers who emigrated to the State of Sao Pãulo in the images of the exhibition Clic Oriundi. ™ translation at page 47

di Claudio Bacilieri

D

opo ventiquattro giorni di navigazione, la vista dal mare di Rio de Janeiro – adagiata nell’immensa baia di Guanabara ancora incontaminata – sarà sembrata meravigliosa agli emigranti italiani che si apprestavano a sbarcare dalla nave Colombo. Partita dal porto di Genova il 28 ottobre 1899, la nave aveva tra il suo carico di uomini malvestiti e stanchi una famiglia di Forlì. Il capofamiglia, il 42enne Antonio Arfelli, bracciante di Teodorano, frazione del comune di Meldola, avrà gridato “Terra!”, convinto di aver avvistato un futuro migliore. E asciugato il pianto dagli occhi della moglie e dei sette figli. Oggi, il bisnipote di Antonio, Amauri Chaves Arfelli, è pubblico ministero a Itu, nello Stato di San Paolo, consultore dell’Emilia-Romagna e promotore di numerose iniziative tra la nostra Regione e il Brasile. L’ultima in ordine di tempo è la mostra Clic Oriundi, realizzata con le fotografie scattate nel 2009, durante il loro primo soggiorno in Emilia-Romagna, dai discendenti dei braccianti arrivati in Brasile per lavorare nelle piantagioni di caffè. Con la sua Associação Emiliano Romagnola Bandeirante di Salto e Itu, Arfelli ha organizzato il viaggio della memoria, che per l’imprenditore e fotografo José Roberto Perina e un’altra ventina di soci si è tradotto nello stupore davanti a luoghi e situazioni sino a quel momento solo immaginati, e restituiti per frammenti nei racconti familiari tramandati per generazioni. Una decina d’anni fa Amauri Arfelli, l’unico dei brasiliani-romagnoli che frequenti con assiduità la nostra regione, ha ricostruito nel libro “Fare l’America.

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O sonho de uma familia forlivese” più di un secolo di storia della sua famiglia. Ma questa volta ha voluto condividere la sua riscoperta amorosa delle radici familiari con gli amici delle città di Salto, Itu e San Paolo nelle cui vene scorre lo stesso sangue oriundo di contadini emiliano-romagnoli, spinti a fine Ottocento verso la nuova terra brasiliana dalla crisi dell’agricoltura, dalle tasse esose del Regno e dalle malattie. Il Brasile apriva loro le braccia perché, dopo l’abolizione della schiavitù, aveva bisogno di manodopera salariata da impiegare presso le fazendas del caffè. E gli italiani sembravano i migliori tra gli immigrati stranieri, per l’abilità nel lavoro, la capacità di sopportare le fatiche e la moralità dei comportamenti. Lo stesso stupore visivo manifestato nel 2009 in Emilia-Romagna dai brasiliani di ritorno, deve aver colto gli uomini delle campagne padane e della Romagna interna al loro arrivo a San Paolo, quando la città era ancora umana, come appare nelle cartoline

postali inviate dagli emigrati ai loro parenti in Italia, raccolte nella mostra “C’era una volta una piccola città, San Paolo”, curata qualche anno fa dalla nostra Regione e dall’Università di Bologna. Agli inizi del Novecento, erano ancora riconoscibili i luoghi topici della città fondata dagli indios Guarany nella pianura di Piratininga, oggi soffocati da una selva di grattacieli, architetture caotiche e traffico paralizzante. Gli avi emiliano-romagnoli potevano ancora vedere il fiume Tamanduatehy scorrere nel Giardino dell’Indipendenza, e passeggiare nei giorni di festa al Giardino Botanico, provenendo dalla periferia del Braz, in cui viveva buona parte degli italiani. Il tram passava per Largo do Thesouro facendosi spazio tra una folla di uomini in paglietta e panciotto, e l’Avenida Paulista nel 1904 era solo una lunga strada nel verde attorniata dalle ville lussuose dei produttori di caffè, mentre oggi è un’arteria a otto corsie,


un serpente d’asfalto stordito tra palazzoni, autostrada, svincoli e sopraelevate. Nelle cartoline, le case basse e i dignitosi palazzi del primo nucleo abitato di San Paolo, Largo de São Bento, fanno quasi tenerezza, a confronto del mostruoso sviluppo urbano che avrebbe poi vissuto la città, e rimandano – come in un gioco di specchi – alle città e ai borghi dell’Emilia-Romagna, che invece hanno conservato una loro dimensione intima e raccolta. A catturare lo sguardo dei fotografi di Clic Oriundi, è stata infatti, soprattutto, la bellezza antica dei luoghi, che il passare del tempo e le attività umane non sono riusciti a stravolgere. L’emozione degli oriundi è stata quella di vedere con gli stessi occhi dei loro avi. Il borgo di Brisighella non è cambiato granché da allora, le verdi colline fanno sempre da corona ai vecchi tetti, mentre un’anziana signora legge tranquilla il giornale seduta al tavolino di un bar. A Dozza, paese dipinto, un pittore ha posto una grande, bianca figura a guardia della porta di casa, ma a Busseto, nelle terre verdiane, piazza Verdi è rimasta un angolo di Ottocento - e chissà com’è dolce la sosta, nel bar teatro sotto il portico del palazzo rosso. Il porto canale di Cesenatico custodisce antichi sogni di navigazione nel suo museo della marineria, e le strade dei borghi si riempiono ancora degli aromi della bollitura del mosto per l’aceto balsamico. Il cuoco col suo cappello, pieno di scienza dell’Artusi, ti regala una ricetta su un pezzo di carta, e in quel gesto è racchiusa l’anima di questa regione. Ciò che si coglie negli scatti degli oriundi, non è la tecnica, la qualità estetica dell’atto fotografico (si tratta per lo più di foto di dilettanti), ma qualcosa che esiste di per sé, e che può esistere senza di noi: qualcosa che sospende il nostro tempo ed è, perciò, altro da noi, fissato in un paesaggio, un’architettura, un volto, un dettaglio. Proprio nell’illuminazione dei dettagli la memoria ha un rigurgito, e torna prepotentemente alla ribalta, rovesciando sul palcoscenico della nostra vita luoghi e cose dimenticate. Una piazza, un campanile, una morbida collina, una Cinquecento con valigia al seguito, fanno quasi tremare l’obiettivo mentre si offrono allo sguardo, come fossero una traccia lasciata dalla scomparsa di tutto quanto li circonda. La fotografia li restituisce al silenzio e all’immobilità perché, davvero, intorno a questa bellezza non c’è più niente.

nella pagina precedente La famiglia Arfelli in una foto d’epoca. in questa pagina Alcuni scatti della mostra “clic oriundi”: 1. busseto (pr), foto di marly fabbri panossian 2. cesenatico (fc), foto di danilo de athaide arfelli 3. ferrara, foto di ailton villa 4. brisighella (ra), foto di joséroberto perina.

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storie

Serge Reggiani, da un tricolore all’altro Figlio di un reggiano emigrato in Francia, è diventato un celebre interprete della canzone francese e del cinema europeo. Il ritorno a Reggio Emilia nel 1997 con un memorabile concerto. Serge Reggiani, from one tricolour flag to another. Son of a man from Reggio Emilia who emigrated to France, he has become a famous interpreter of French songs and the European cinema. He returned to Reggio Emilia in 1997 with a memorable concert. ™ translation at page 47

di Claudio Bacilieri

C’

est moi, c’est l’italien… Davanti a tragedie di emigrazione come quella dello scorso ottobre nel mare di Lampedusa, vengono in mente le parole della canzone L’italien di Serge Reggiani. Il testo in francese racconta il ritorno di un emigrante: “Sono io, sono l’italiano / Aprimi, aprimi la porta / Io non ne posso proprio più / Se ci sei, aprimi la porta / Non sai com’è stato laggiù / Io torno a casa / Ho fatto tutti i mestieri / Ladro, equilibrista / Sergente / Commediante, bracconiere / Imperatore e pianista…”. Forse la più bella canzone sul partire e sul tornare, sul rimpianto e sul perdono: “Da qui sento il cane / E se non sei morta / Aprimi senza rancore / Io rientro un po’ tardi, lo so / 18 anni di ritardo, è vero / ma ho trovato i miei fiammiferi / in una strada del Massachusetts / È faticoso il viaggio / per un bambino della mia età…”. Queste parole poteva scriverle solo chi è stato un migrante, come Serge Reggiani: nel 1930, bambino di otto anni, da Reggio Emilia seguì la famiglia in Francia, terra di libertà per gli esuli antifascisti. Il padre Ferruccio Reggiani era un parrucchiere ostile al regime di Mussolini, e il piccolo Sergio, nato nel quartiere di Santa Croce – il quartiere proletario del pòpol giòst (il popolo giusto) – avrebbe lottato per l’intera vita contro il conformismo e la sopraffazione.

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La famiglia Reggiani scelse Yvetot in Normandia come luogo in cui rifarsi una vita, poi approdò a Parigi per aprire un negozio di parrucchiere. Nella capitale Ferruccio fu tra i primi aderenti alla Fratellanza Reggiana. Fondato nel settembre 1933 in un piccolo caffè di Cours de Vincennes, il più

antico sodalizio emiliano-romagnolo all’estero – oggi presieduto da Simona Iemmi Chenau – aveva lo scopo di aiutare i reggiani che, a partire dagli anni Venti e spesso per ragioni politiche, si erano stabiliti nella banlieue di Saint-Denis alimentando una filiera migratoria che già da fine Ottocento


trovava sfogo nelle fabbriche e nell’edilizia. Il ristorante di Luigi Menozzi nel quartiere di Montrouge ricavato da una vecchia drogheria, fu la prima sede dell’associazione. I fuoriusciti italiani vi trovavano assistenza nella ricerca di alloggio e lavoro, e la condivisione degli ideali di libertà cementava lo spirito di solidarietà. Tra i dodici fondatori della Fratellanza vi furono Cesare Campioli, diventato dopo la Liberazione sindaco di Reggio Emilia, Camillo Montanari, ucciso a Parigi nel 1935 in una stazione del metrò, e Paolo Davoli, fucilato dai fascisti a Reggio all’inizio del 1945. Nel 1939 Serge Reggiani si era avvicinato al mondo del teatro iscrivendosi al Conservatorio nazionale d’arte drammatica, e nel ’42 aveva ottenuto la prima piccola parte al cinema. Dopo la guerra, francesizzò il suo nome con l’acquisto della cittadinanza francese. Dall’operaio Faubourg Saint-Denis all’intellettuale Quartiere Latino, il passo è breve. Parigi a quel tempo è in pieno fermento esistenzialista, e Reggiani, attore formato sui classici, comincia ad affrontare autori moderni come Sartre e Cocteau. Nel 1952 interpreta il film Casco d’oro con Simone Signoret, conosce Yves Montand e nel ’63 a casa di quest’ultimo riceve dal produttore musicale Jacques Canetti, fratello dello scrittore Elias Canetti, la proposta di debuttare come cantante. Jacques Canetti aveva un fiuto infallibile: tutti i grandi chansonniers erano stati scoperti o sostenuti da lui, da Édith Piaf a Charles Trenet, da Juliette Gréco a Georges Brassens, da Jacques Brel a Serge Gainsbourg. Negli anni in cui il Quartiere Latino era il centro del mondo, anche i figli degli emigrati italiani come Montand e Reggiani seppero adattarsi alle sue atmosfere, agli stati d’animo che facevano tendenza, diventando icone della cultura francese. Così, anche grazie all’aiuto della cantante Barbara, Reggiani s’inventò poeta della canzone, con quella sua voce naturale vicina al parlato: una voce da chansonnier adatta ai piccoli teatri, che poi si fecero sempre più grandi per accogliere i suoi spettacoli negli anni Settanta, quando raggiunse il vertice della carriera con i concerti all’Olympia. A renderlo famoso, furono brani come la pacifista Le Déserteur di Boris Vian, l’intramontabile Ma liberté dell’amico George Moustaki, che gli scrisse alcune delle canzoni più belle come

Sarah e Ma solitude, e poi Il suffirait de presque rien, di cui ci resta una memorabile interpretazione alla tv francese nel 1995 con sigaretta accesa tra le dita, Ma fille, La cinquantine, Les loups sont entrés dans Paris, forse una premonizione del maggio ’68, Le petit garçon, struggente anche nella versione italiana “Amore mio, figlio mio”, Le temps qui reste con quella sua sublime voce parlata ormai da vecchio, e naturalmente L’italien. A differenza di Yves Montand, arrivato al cinema dopo un inizio come chansonnier, Reggiani è nato in teatro. Un aneddoto racconta che il giovane Serge, apprendista coiffeur nel negozio del padre, decise di studiare da attore dopo l’invito di una signora a cambiare mestiere per uno shampoo maldestro. Con la sua faccia strapazzata da romantico perdente, segnata nel 1980 dal suicidio del figlio Stéphane, interpretò in 56 anni di carriera pellicole indimenticabili, come Tutti a casa di Luigi Comencini (1960), Vincent, François, Paul et les autres di Claude Sautet (1974), La terrazza di Ettore Scola (1980), Il volo di Théo Angelopolus (1986), Rosso sangue di Leos Carax (1986), Ci sono dei giorni … e delle lune di Claude Lelouche (1990). Recitò anche per Luchino Visconti nel Gattopardo, per un paio di noir di Jean-Pierre Melville, per Marco Ferreri e persino per Aki Kaurismaki. «Un piccolo gatto da marciapiede tutto nervi», lo definì François Truffaut. Uscito dal tunnel della depressione e dell’alcolismo seguiti alla morte del figlio, nell’agosto 1997 tornò dopo moltissimo tempo a Reggio Emilia, invitato a cantare alla Festa nazionale dell’Unità. Aprì il concerto “Omaggio alla mia città” con L’italien, suscitando la commozione di tutti. Il sindaco di Reggio Emilia gli regalò una copia del primo tricolore. Raggiunto dalla morte nell’estate del 2004 per arresto cardiaco, ora riposa nel cimitero di Montparnasse. Il “poeta dal cuore immenso”, come lo ricordò l’allora presidente francese Jacques Chirac al funerale, è stato uno degli ultimi grandi italiani di Francia, un rital - secondo la fortunata definizione dello scrittore, anche lui emiliano, François Cavanna. Un rital che rifiutò la dannazione di rimanere un ritaglio, uno scarto di italiano, e trovò la sua strada nel mondo dello spettacolo, come il toscano Yves Montand-Livi, il parmigiano Lino Ventura, il napo-

letano Coluche-Colucci. Tutti grandi attori, tutti “saltimbanchi”, nella più pura tradizione italiana di passar la vita recitando e cantando, agitandosi sulla scena e illuminandola al meglio, prima di sparire.

nella pagina precedente ritratto di Serge reggiani. in questa pagina la copertina del disco “serge Reggiani chante Boris Vian”. Reggiani con Yves Montand , José Arthur e Simone Signoret alla radio “Pop Culture”, 1963. con michel in “Vincent, François, Paul … et les Autres” diretto da Claude Sautet, 1974.

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english version

p. 04 Feet firmly on the ground by Giovanna Antinori

I

nnovative, organic-friendly and with certified-quality products, aware of its environmental role, a source of new jobs, careful with young farmers, considered to be a resource, but also stronger thanks to the experience of the various projects in the production line: these are the main features of agriculture in our region, as it was defined in the first draft of the 2007-2013 Emilia-Romagna Rural Development Plan (PSR), presented in Bologna during the conference by the name of Results and new planning. Rural development in Emilia-Romagna. The meeting took place a few days after the agreement on the new Common Agricultural Policy (CAP) and was also useful to define the targets of the new 2014-2020 planning. Practically, it started the preparation of the new Programme, which will be sent to Brussels to be approved by the spring of 2014. At the moment it is still not possible to make a final draft of the 2007-2013 PRS, since the planning phase has not been finished yet. Merely 71% of the resources available have been allocated and in the next few months many announcements will be coming out. The latest which has come out so far is the one for young people who want to become farmers: for them, the Region has made available financial support accounting for 2 million 790 thousand Euros. It is a start-up benefit for people under the age of 40, ranging from 15 to 40 thousand Euros, given on the basis of the business plan submitted. Now let us see the details of what has happened today in the 2007-2013 PSR, a plan which included many Measures divided into three large sectors: competitiveness, environmental sustainability and quality of life in rural territories. To these, we should add the Leader method, implemented in territories which are weak or fragile. It envisages a planning and management of measures which are carried out by the local stakeholders directly. In the last seven years, the number of supported agricultural companies has risen by 28%, with a peak of 76% on the mountainside, whereas business

a cura di Agata Bienna e Bruna De Luca – Benedict School

investments have generated an added value of 15%, with a growth of 11% of employment. Young farmers have accounted for 26% of the total applications accepted, and have received 50% of support. Support to organic productions has accounted for 34% of resources, whereas products bearing the DOP (product designation of origin) and IGP (protected geographical indication) marks have received over half of all support. The 2007-20113 PSR has carried out environmental measures in over 208,000 hectares (20% of the total), and has made it possible to lower nitrogenous fertilizing by 42%, the use of phytosanitary products by 51%, emissions of Co2 by 200,000 tons every year. This has evidently resulted in improved water quality, as regards differences between loads, surpluses and nitrogen, phosphor and phytosanitary product release. As a consequence, the quality of the soil has improved and climate changes have been mitigated. The feather in the cap, the main feature of the planning in Emilia-Romagna, is the range of integrated projects involving production lines, which has fostered collaboration between producing, processing and marketing companies, particularly strengthening the role of agriculture. Extending this experience, fostering innovation and facilitating access to credit are measures which will strongly characterize the 2014-2020 PSR. In its text, the community rules have specified some priorities: innovation and human capital, competitiveness and production lines integration, climate changes and environmental sustainability, rural territories and mountainsides. In the new CAP, strict Sector and Measure schemes have been removed, envisaging the possibility of combining several measures in order to reach a certain business or territory objective. Moreover, strong support has been envisaged for the various forms of cooperation between stakeholders in the agricultural and food-producing sector and other subjects which may contribute to rural development. Eventually, financially support will be provided for paying insurance premiums and pension funds in order to stabilize income. The rules introduce important economic incentives for collective investments and production line integrated projects, young people

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and disadvantaged areas. We cannot hide we feel a bit of pride in saying that the successfully tested production line projects in Emilia-Romagna have foreseen and inspired a strategic choice in the new Common Agricultural Policy.

p. 16 Verdi, the musician of Life by Riccardo Muti

V

erdi is the musician of Life, and he has certainly been the musician of my life. As a composer, he is so talented at revealing and dealing with our passions and pains, our virtues and vices, that we identify with them. This is one of the reasons why he is so universal: he will always be up-to-date. As long as humans remain what they are today, and do not have long ears like in Star Trek, mushroom-shaped heads and twisted legs, each generation will find his music soothing. Indeed, Verdi never upsets you: he always makes you feel he is close to you and understands you. As you enter into contact with his music and theatre, you receive the clear impression of a musician who speaks to people about people, experiencing all feelings personally. As I have studied this author more in depth, I have found that his characters are a means to express many of his states of mind, and in each opera there is at least one who represents the composer himself. His life was characterized by continuous bitterness – the expression “Verdi’s pessimism” is often used – and this appears in his works. Not only at the end of Falstaff, where Verdi jokes and, with a bitter smile, bids everyone farewell, but his saddest and most desolate characters are those who mirror his autobiography. Fiesco, in Simon Boccanegra, is certainly an expression of Verdi’s pain, pessimism, in his tragedy (let us think of a sentence from this opera, pronounced by the Doge: “Even the water from the spring is bitter to the lips of the man who rules”), but Riccardo is also so, even if he is bold, in Un ballo in maschera. Rigoletto’s love for his daughter is a paternal feeling, like Verdi’s, who lost his children very early; falling in love, the sense of jealousy, betrayal of the various

characters are his own; La traviata is his reply to the critics from “conformists” of Parma and Busseto because he, a widower, lived with Giuseppina Strepponi and, again in Traviata, Germont, Alfredo’s father who convinces Violetta to leave her son, is nobody but Barezzi, his wife Margherita’s father, naturally seen from a harsher point of view. But we should also add that, overcoming his autobiography, his characters end up being prototypes of a universal world. Just one example: Desdemona. She represents all the world’s Desdemonas, sympathetic, honest, in love with the love for their men as she is in love with her love for Othello. For this reason, when we see an opera by Verdi, we all find on the stage our own casket of feelings, made in a sublime way, and that makes Verdi ageless, such as to be understood by the Chinese, Australians, Peruvians… because his message comes from the depth of a big heart, which can warm you up. It is no coincidence that after Giuseppe Verdi’s death, D’Annunzio wrote in Elettra these famous lines: “He gave a voice to hopes and mournings. / He cried and loved for everyone”. This capacity to communicate and touch a listener’s deepest feelings directly, without any tricks, without needing translation, should not be interpreted as superficiality or thoughtlessness. Many consider him a fiery musician. Sure, I cannot deny he is passionate, but he is so within the framework of great nobility and aristocratic expressions, as I tried to render him in my way to conduct his operas and as I will explain in depth in the next few pages, trying to really understand who Verdi was and what indications he used to give to perform his music. Verdi, as I said, is the musician of my life, in the sense that he has always been with me, since I was a child. When I was three, they took me to the Petruzzelli theatre of Bari to see Aida. I was in our chauffeur’s arms and they say I did not look tired at all, as I listened to the opera in absolute silence. Or maybe I was sleeping, I don’t know. My father, who was a doctor, had a tenor’s voice and at home he would often sing, hum an aria. When I started studying the piano, he could hardly believe he could finally sing with someone who could accompany him, and so Verdi’s arias became familiar to me.


I would also hear the same arias at the feasts of the patron saints, where town bands - which I still admire and protect - used to play Verdi’s fantasias more often than any other author: his various duets between baritone and tenor, baritone and soprano, tenor and soprano. The soprano part was played with a cornet, that is a trumpet, and the baritone one with a barytone and a barytone horn, instruments whose vibrato even seemed to reproduce a human voice. Therefore, even if I was not a regular theatre-goer, I was familiar with those tunes. The first real opera I remember was at the Piccinni theatre of Bari, Othello, directed by Napoleone Annovazzi. The tenor was Argentinean Carlos Guichandut, who was certainly not comparable to Mario Del Monaco, but was very important for me. I remember that when Othello started, with a storm – “A sail! A flag, It is the leader’s ship…” – my father said to me: «My boy, pay attention, Esultate is coming», because Esultate was deemed to be a test for a tenor: if he was not appreciated while singing Esultate, he was condemned for the whole opera, but we will go back to this later. I should make it clear that I immediately felt Verdi was a musician very close to me, I felt a direct relationship with him. One of the moments in which I became aware of that was when I attended my teacher Antonino Vottore’s rehearsals at the Scala theatre. I remember two in particular: Falstaff and Un ballo in maschera. Votto knew Falstaff incredibly well: he could have rewritten its full score, note by note. He would go to Scala theatre for rehearsals and enter from via Verdi wearing his grey little coat; a janitor would take his coat off his shoulders, then he would go through the underground passages straight to the orchestra. Without a score: he would conduct by heart. I do not want to say that those who conduct with a score are less talented than those who conduct without it, but conducting by heart is one thing, rehearsing everything by heart is something else. Rehearsing Falstaff without a score before your eyes, without taking it to the theatre, not even to your changing room, is remarkable. But Votto was like this: he used to behave as if he was going to a meeting with his friends. One day, when I was twenty or twenty-two, I asked him: “Maestro, how can you do that?”.

He answered me in a very simple way: “If you had worked with him, it would be the same for you, too”. “He” was Toscanini: there could be no other him. It was a fantastic world, which I remember with melancholy… In 1968 I was appointed director of Maggio Musicale Fiorentino. The first great nineteenth-century opera I conducted, in a large theatre, with a large stage, was I masnadieri, in 1969: again, even here my career started with Verdi. I was full of enthusiasm, I almost felt like one of Garibaldi’s soldiers as I faced this opera. The director was Erwin Piscator, who had organized it some years before with Gianandrea Gavazzeni: at that time, it was an extremely modern and clever direction. It was a beautiful period. Nothing that could interfere with the preparation of the opera happened. During the stage rehearsals, where I was always present (as I still do when I am not busy with other rehearsals), there was a moment when the chorus was in a position from where they could not see me. This is when I started conducting the chorus standing on a straw chair. Later on, I understood that, in a theatre, accounts are very different, but in 1968-69 Italy was still on the wave of the post-war period, there was a restless atmosphere all over the country. It was a period of protests, youth rebellions, which would then lead to a crisis, with a lot of good things and some not-sogood things. Florence has always been of the most dialectically fighting cities and, in the good and in the bad sense, you could feel a very sparkling air, which also affected theatres. Therefore, the title of Masnadieri was very suitable and sounded like an accusation from the population to certain high-class people. That title, in today’s world, might be topical. In 2013 we celebrate the two hundredth anniversary of Verdi’s birth. The best way to celebrate this anniversary is not, in my opinion, to put his operas on stage once more, since Verdi is already the most frequently interpreted composer in the world, but to study them more in depth. The problem is that you cannot go on interpreting his music respecting an unalterable tradition, just saying: “it has always been done this way, and we must go on doing so”, it doesn’t work: we should take advantage of the situation to re-study him.

Someone might consider me to be arrogant, but I do not really believe I know the absolute truth about Verdi. Much has been written about Bach, Mozart, Rossini, their styles, their instruments, but what do we know about Verdi? First of all, many mistakes are made, since his instructions are not respected; secondly, we often forget that, due to the composer’s long life, his operas were written in different periods. His first opera was Oberto, in 1839, the last one was Falstaff, in 1893. At the time of Verdi’s first few creations, orchestras were made up of instruments built in a different way, if compared with fifty years later: brass instruments did not have pistons, strings were different, there was no orchestra pit and theatres were always lit. The style of an orchestra playing on the stage at the same level as the singers is certainly different from the style of the orchestra in Othello or Falstaff, decades later, when the orchestra stayed in the pit and at the Scala theatre young Toscanini played the violoncello, conducted by Verdi. Therefore, the philologically correct sound of Othello and Falstaff is Toscanini’s sound, the one he remembered for personally hearing Verdi’s instructions, unlike the sound of Oberto or Nabucco , which is almost eighteenth century, weak rather than robust. Therefore, who is Verdi? The opera is a cultural thing, today more than ever. I believe that, instead of focusing on a single note or the duration of a singer’s breath, we should try to discover, more and more carefully, the author’s artistic-cultural message. I would really like the opera to represent the culture of our country again, not like a singer’s circus-like performance. Today everything seems to have become easier, more superficial and immediate, and through the television and the cinema, society has become better at watching, but worse at listening. Our musicians of the past created a great patrimony, which now belongs to the whole world. It is also by taking advantage of this year of Verdi’s celebrations that we must return Verdi, the patriarch, the dignity and respect which he desired and which he deserves. Contrary to most beliefs, the most beloved opera composer is still far from being deeply well-known. Verdi’s opera is still to come: in this sense, Verdi is the composer of the future.

p. 32 The Emilia-Romagna region in the hearth by Leonetta Corsi

“I

am very proud” – stated Vasco Errani – “to be able to share with such an artist as Laura Pausini love for this land and the values it represents, in terms of culture, music, open style of life, solidarity, generosity. I am sure that Laura will be a wonderful ambassador for these values and this vital energy”. Because Laura is always here. Ready to tell the world she would like to have, to give a hand. Her biography includes many events to raise awareness about social issues, as well as many solidarity concerts in her young life but long career, characterized by 45 million albums sold, one Grammy Award and three Latin Grammy Awards. Laura also took part in the Concert for Emilia on 25th June 2012, one month after the earthquake, at the Dall’Ara Stadium of Bologna. And she’s here now, to tell her fans, with her unique enthusiasm and energy, the best of Emilia-Romagna, without asking for anything in return. “For me”, she said, “having a chance to talk to my fans, during my world tour, to tell them how beautiful, warm, merry and hospitable my land is, the land where I grew up, both as a person and as a professional, will be a great joy”. This is where one of the beautiful stories of our country has become real, namely a young student of the Art School of Faenza who, with a strong will and courage – “unmistakable features of our region” – as Laura states – could conquer the world. “I am very proud of this title, I am in love with my region, Emilia-Romagna is in my heart, indeed, my heart is shaped like Emilia-Romagna. And I will tell the world!”, added Laura Pausini as she received the title from President Errani at the Fan-club party in Faenza, in the presence of 4000 fans from all over the world. Already awarded the title of “Commendatore” of the Italian Republic by president Carlo Azeglio Ciampi, Laura’s new album 20 - The greatest Hits will come out on 12th November, and she is about to start a world tour in Puerto Rico, Mexico, USA and Brazil, where she will tell her story at every stop, the story of her last 20 years of music and life. 20 - The greatest Hits and The greatest Hits World Tour will be a chance to tell millions of people about

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english version her origins and her connection with the land where she was born and where she decided to live with her new family. Her world tours often start in Emilia-Romagna, this is where her new album and the whole new projects were conceived.

p. 17 The fingers in the pasta by Angela Simeoni

W

hen Alessandra Spisni shakes your hand, you have already understood a lot of this pure breed Bolognese lady. She has some concrete energy and is happy to live in this world. Having become famous in Italy for taking part every week in La prova del cuoco, a very popular TV programme about cooking on RaiUno and Rai International, Spisni answered our questions sincerely, without creating any myths. Your job stems from a need. And you, as a northern Italian woman, certainly did not step back. —How did your passion for cooking start? It was not vocation. I understood it when I was already quite old. Before that, I used to do something very different. I swore to my granny that I would never do the same job as she did. She was a cook and I used to see her come back home late in the evening, she was always at work, even on Sundays. “That thought doesn’t even cross my mind”, I said to her, although she insisted: “You were born to be a cook”. Then, when I was twenty, I set up house, I had a child. So many expenses, and nothing in my pocket. That is when I said to myself: “All right, I’ll be a cook”. This is when I discovered that people pay you for what you can do well. Then I realized that I liked it, so I thought: “How stupid I was! Why didn’t I start earlier?” Actually, I am glad that everything came at the right moment for me, because I enjoyed it and I am still enjoying it. —How did the idea of setting up a school come to your mind? This idea did not come to my mind, either, it resulted from a request I received. I already had a workshop where I would produce fresh pasta, as I still do today. In 1992-93, groups of tourists started visiting me, often brought here by tour operators. They asked whether they could watch me as

I prepare traditional Emilia-Romagna dishes, to know the ingredients. I started organizing courses occasionally, then more and more often. At a certain point, I understood that it was way the path to tread. In a period in which sales were going down and visitors at exhibitions were less and less, requests for courses were almost daily occurrences. There was a gap to fill: in our town there is a lot of art, interesting things, but we do not “work” as much as they do, for instance, in Rome, Florence and Venice. I started by renting rooms in friends’ restaurants, who would allow me to use their facilities when they were closed. Then, my brother and I thought that it was time we changed things. It was in 1998, we opened the first place in Quarto Inferiore, where I managed a restaurant and in return I could use the rooms there for my courses. Then I moved to via Malvasia, and now I’m here in via Galliera. In other words, we have grown. And we keep on growing, in spite of the crisis. —Who are your students? Foreigners are more numerous than Italians. We started off as a school for foreigners, because speaking about tagliatelle and meat sauce to the people of Bologna sounded funny. Here every house has its own tradition, its recipe, with different doses, grammes, ingredients, different from each other. Whereas for foreigners, especially those of Italian descent, second or third generations, it is like finding a piece of memory. They look for a past they have never seen, but which they feel they belong to. They come here, looking for the flavours, but also gestures, from their memories. So many of them say to us: “My granny used to do so, my mum told me that her aunt…” This is a beautiful thing for me, it is a pleasant feeling. —What parts of the world do they come from? Our first few clients were from Israel and the USA. The Israelis enjoyed it immensely, they were the first to come with television cameras, they filmed my lessons and broadcast them on their national TV. Then they started shooting each other… The Americans are the most numerous clients. But now people come from all over the world: Russia, Japan, Bangladesh, Pakistan, India, Africa, Canada. They are both tourists and people who come here to learn a profession. Tourists are a considerable number, though, and even if the course is short, they knead and roll out the

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pastry…Of course, they cannot make all types of pasta in one day, but they see me making them all. Everyone tastes, everyone puts their fingers in the pasta… There are courses lasting three or five days, one month, three months. Many Americans and Japanese have come to attend the three-month course, but really everyone puts their fingers in the pasta… —And can they learn, starting from scratch? It is better from scratch, since they have no defects to correct, they do not have any automatic gestures they have seen many times in their families. If one arrives and has never done anything before, they learn more quickly. —And after going back home, are they able to repeat what they have learnt here? After one day of lessons, maybe they cannot make tortellini, but they might try to make some tagliatelle. But what is most important for me is that they will enthusiastically tell many people that our cuisine is genuine, and this gives rise to curiosity and love for our gastronomy and our territory. We have never advertised ourselves, everything has gone on because people pass the word. And 9,000 foreigners come here every year, not just a few people.

p. 36 Back to the Origins by Claudio Bacilieri

A

fter twenty-four days of navigation, the view of the sea before Rio de Janeiro - lying in the immense and still uncontaminated Guanabara bay - must have seemed wonderful to the Italian emigrants when they were about to leave the ship Colombo. Having sailed from the port of Genoa on 28th October 1899, the ship carried, among many badly dressed and tired people, a family from Forlì. The head of the family, 42-year-old Antonio Arfelli, a farm labourer from Teodorano, a hamlet in the municipality of Meldola, must have shouted “Land!”, sure he had caught a glimpse of a better future. And he must have dried the tears from his wife’s and his seven children’s eyes. Today, Antonio’s great-grandson, Amauri Chaves Arfelli, is a public prosecutor at Itu, in the State of Sao Pãulo, consultant for the region Emilia-Romagna and promoter of many events involving our

Region and Brazil. The latest one was the exhibition Clic Oriundi (“Photographs of Italian origin”), which included the pictures taken in 2009 by the descendants of the farm labourers who reached Brazil to work in its coffee plantations, during their first trip to Emilia-Romagna. With his Associação Emiliano Romagnola Bandeirante of Salto and Itu, Arfelli organized a memory trip, which astonished businessman and photographer José Roberto Perina and about twenty more members when they saw places and situations they had only imagined before, through fragments of family tales passed down generation by generations. About ten years ago Amauri Arfelli, the only one of the Romagna-Brazilians who visits our region often, in his book “Fare l’America. O sonho de uma familia forlivese” (“Making America. The dream of a family from Forlì”) reconstructed over a century of his family history. But this time he decided to share the lovely rediscovery of his family roots with his friends living in the towns of Salto, Itu and São Paulo, in whose veins runs the same mixed blood of Emilia-Romagna farmers, who in the late Nineteenth century were forced to move to the new Brazilian land by the agricultural crisis, the high taxes of the Kingdom of Italy and diseases. Brazil warmly welcomed them because, after abolishing slavery, they needed paid labourers to work in their coffee fazendas. And Italians seemed to be the best foreign immigrants, due to their working skills, their tolerance to hardship and their morally impeccable behaviour. The same visual astonishment felt in 2009 in Emilia-Romagna by the visiting Brazilians must have been shared by the people of the inland countryside of Romagna when they reached São Paulo, when the city still had a human look, as it appears in some postcards sent by immigrants to their relatives in Italy, collected in the exhibition “C’era una volta una piccola città, San Paolo” (“Once there was a small town, Sao Pãulo”), organized by our Region and the University of Bologna a few years ago. In the early Twentieth century, the places in town founded by the Guarany Indians in the Piratininga plain were still visible, whereas today they are chocked by a forest of skyscrapers, chaotic architecture and paralysing traffic. The ancestors from Emilia-Romagna could still see the river Tamanduatehy flowing through Independence Park and take a walk in the Botanic Garden on holidays, coming from the Braz suburban district, in which most Italians lived. A tram ran through Largo do Thesouro, among a crowd of men wearing straw hats and


waistcoats, and in 1904 Avenida Paulista was just a long green street flanked by the luxury villas of coffee producers, whereas today it is an eight-lane major road, a stunned asphalt snake among large buildings, motorway, junctions and elevated roads. In postcards, the low houses and decorous buildings of the earliest inhabited area of Sao Pãulo, Largo de São Bento, are almost endearing, compared to the monstrous urban development which the city would then live through, and just like in a game of mirrors, they remind us of the towns and boroughs of Emilia-Romagna, which instead have preserved their intimate and reflexive nature. Indeed, what captured the attention of the photographers of Clic Oriundi was mostly the ancient beauty of the places, which the flowing of time and human activities have not managed to distort. The emotion felt by immigrants’ descendants was to see things through their ancestors’ eyes. The town of Brisighella has not changed much since then, green hills still crown the old roofs, while an old lady quietly reads a newspaper sitting at a café table. At Dozza, a painted town, a painter drew a large, white character to guard a house door, but in Busseto, in Giuseppe Verdi’s home-town, Piazza Verdi is still a corner of the Nineteenth century and we wonder how sweet it is to enjoy a break in the theatre café, under the red palace portico. The port-canal of Cesenatico treasures some ancient navigation dreams in its marine museum, and the streets of the towns still fill with the scent of must as it is boiled to prepare balsamic vinegar. A cook wearing his long hat, well-aware of gourmet Artusi’s teachings, donates you a recipe on a piece of paper. This describes the soul of our region. What we appreciate in the immigrants’ descendants’ pictures is not the technique, the aesthetic quality of photographs (in most cases they are amateurs’ works), but something which exists per se, and which can exist even without us: something which suspends our time and, therefore, it detaches from us, fixed in a landscape, building, face, detail. It is in the inspiration of a detail that memory reappears, and forcibly makes a comeback, putting forgotten places and things on the stage of our life. A square, a steeple, a sweet hill, a Fiat Cinquecento carrying a suitcase: these details almost make the focus lens shake as they appear before our eyes, as if they were a trace left by the disappearance of everything around them. Photographs retrieve them silent and still, because there is really nothing around this beauty any more.

p. 43 Serge Reggiani, from one tricolour flag to another by Claudio Bacilieri

C’

est moi, c’est l’italien… When facing such emigration tragedies as the one of October in the sea of Lampedusa, the words of Serge Reggiani’s song L’italien come back to your mind. The French text tells us about an emigrant going back home: “It’s me, it’s the Italian / Open, open the door / I really can’t stand it any more / If you are here, open the door / You don’t know what it was like to be there / I’m going back home / I did all sorts of jobs / Thief, acrobat / Sergeant / Comedian, poacher / Emperor and piano player …”. This is probably the most beautiful song about leaving and not going back, about regret and forgiveness: “From here I can hear the dog / And if you are not dead / Open without grudges / I am coming back a bit late, I know / 18 years late, it is true / but I have found my matches / in a street in Massachusetts / Travelling is hard / for a child my age…”. Such words could only be written by someone who had emigrated, like Serge Reggiani: in 1930, when he was eight years old, he followed his family from Reggio Emilia to France, a land of freedom for antifascist exiles. His father, Ferruccio Reggiani, was a hairdresser who opposed Mussolini’s regime, and little Sergio, born in the Santa Croce district – the working-class district of the pòpol giòst (“the honest people” in the local dialect) – would oppose conformism and injustice all his life. The Reggiani family chose Yvetot in Normandy as the place where they would start a new life, then they moved to Paris to open a new hairdresser’s shop. In the capital of France, Ferruccio was one of the first members of Fratellanza Reggiana (“Reggio Emilia brotherhood”). Founded in 1933 in a small café in Cours de Vincennes, the oldest EmiliaRomagna association abroad – today chaired by Simona Iemmi Chenau – aimed to help emigrants from Reggio Emilia who, starting from the 1920s, often for political reasons, had moved to the Saint-Denis suburbs, thus increasing the high number of emigrants which, since the late Nineteenth century, had started working in factories and in the building sector. Luigi Menozzi’s restaurant in the Montrouge district, built inside an old grocer’s shop, was

the first venue of the association. Immigrants from Italy were helped to find accommodation and work, and the ideals of freedom they shared enhanced their mutual solidarity. The twelve founders of the Fratellanza included Cesare Campioli, who would become mayor of Reggio Emilia after the Liberation, Camillo Montanari, murdered in Paris in 1935 in an underground station, and Paolo Davoli, executed by shooting by the fascists in Reggio Emilia at the beginning of 1945. In 1939 Serge Reggiani took up the theatre, by enrolling at the National Conservatory of Drama, and in 1942 he played a little role on the silver screen. After the Second World War, he Frenchified his name as he acquired a French nationality. From the working class Faubourg Saint-Denis district to the intellectual Latin Quarter, the step to take is short. In that period Paris was full of existentialistic excitement and Reggiani, an actor whose education was based on the classics, started dealing with modern authors like Sartre and Cocteau. In 1952 he played in the film Casque d’or (“Golden Helmet”) with Simone Signoret, and he met Yves Montand, in whose house, in 1963, he received a proposal from Jacques Canetti, writer Elias Canetti’s brother, namely to debut as a singer. Jacques Canetti had great intuition: all the great chansonniers had been discovered or supported by him, from Édith Piaf to Charles Trenet, from Juliette Gréco to Georges Brassens, from Jacques Brel to Serge Gainsbourg. In the years when the Latin Quarter was the centre of the world, even Italian emigrants’ children like Montand and Reggiani could adjust to its atmosphere, its trends which used to become icons of French culture. So, also thanks to a little help from singer Barbara, Reggiani became a song-writing poet, with his natural voice close to common speech: a chansonnier-like voice suitable for small theatres, which later became bigger and bigger, in order to contain his shows in the Seventies, when he reached the peak of his career with his concerts at Olympia. The pieces which made him famous are songs like the pacifist Le Déserteur by Boris Vian, the evergreen Ma liberté by his friend George Moustaki, who also wrote some of his most beautiful lyrics, like Sarah and Ma solitude; we should also mention Il suffirait de presque rien, whose interpretation for the French TV in 1995 holding a lit cigarette in his fingers is memorable, Ma fille, La cinquantine, Les loups sont entrés dans Paris, perhaps

a premonition of May 1968, Le petit garçon, also poignant in its Italian version called “Amore mio, figlio mio”, Le temps qui reste with his sublime voice already speaking like an old man, and naturally L’italien. Unlike Yves Montand, who reached the cinema after starting off as a chansonnier, Reggiani’s career started in the theatre. An anecdote tells the story of young Serge, a hairdresser’s apprentice in his father’s shop, who decided to study to become an actor after a lady invited him to change job because he had shampooed her awkwardly. With his romantic loser’s hard face, marked since 1980 by his son Stéphane’s suicide, in the 56 years of his career he played in unforgettable films, like Tutti a casa (“Everybody Go Home”) by Luigi Comencini (1960), Vincent, François, Paul et les autres (“Vincent, François, Paul and the Others”) by Claude Sautet (1974), La terrazza by Ettore Scola (1980), Il volo (“The Beekeeper”) by Théo Angelopolus (1986), Rosso sangue (“Absurd”) by Leos Carax (1986), Il y a des jours… et des lunes by Claude Lelouche (1990). He also played for Luchino Visconti in Gattopardo (“The Leopard”), in a couple of detective stories for JeanPierre Melville, for Marco Ferreri and even for Aki Kaurismaki. «A little street cat, all nerves», as François Truffaut defined him. Having overcome depression and alcoholism after his son’s death, in August 1997 he returned to Reggio Emilia, after a very long time, where he was invited to sing at the national Festa dell’Unità (festival of the Italian Democratic Party). He started his concert, “A tribute to my city” with L’italien, deeply touching everyone. The mayor of Reggio Emilia donated him a copy of the first tricolour flag. Killed in 2004 by a heart attack, he now rests in Montparnasse cemetery. A “poet with a huge heart”, as French president Jacques Chirac defined him at his funeral one of the last great Italians of France, a rital - as Emilia-Romagna write, François Cavanna defined him, quite appropriately. A rital who refused the destiny of remaining marginal, a useless Italian, who found his way in the world of entertainment, like Tuscany-born Yves Montand-Livi, Parma-born Lino Ventura, Naples-born Coluche-Colucci. All great actors, all “acrobats”, who according to the best Italian traditions spent their lives acting and singing, shaking on the stage and making it very bright before disappearing.


piacenza, piazza cavalli.


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