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Il cuore della città giapponesi, lo shōtengai
by kotodama
di Guendalina Fanti
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Se vi dico Giappone, quale immagine vi viene in mente per per prima? È una città, un giardino zen o una strada di Kyoto con ragazze in kimono? Non c’è una risposta giusta, ma sarei proprio curiosa di sapere a cosa avete pensato.
Quando pensavo al Giappone, ai tempi dell’università, non avevo un’idea precisa di come fossero le strade, le stazioni o i palazzi, né tantomeno di come fossero davvero la periferia e la campagna. Tutto quello a cui i miei occhi sono abituati, oggi, per me è stato spesso fonte di sorpresa all’inizio e mi ricordo ancora i momenti precisi in cui ho visto per la prima volta Tokyo e Kyoto.
Ogni viaggio è una scoperta sì, ma allo stesso tempo tutte le città in cui sono stata mi danno l’impressione di assomigliarsi molto. Le stazioni, gli autobus, i mercati coperti. L’uniformità di certi elementi mi ha sempre lasciato un po’ dubbiosa. Anche l’Italia vista con occhi stranieri è così? E gli altri Paesi?
Non so più se il Giappone mi sembra tutto un po’ uguale perché lo guardo con i miei occhi da occidentale, o perché effettivamente lo è.
Durante i miei viaggi mi esalto per una strada con case ancora vecchio stile, in legno, e quando attraverso Shibuya sto con il naso all’insù, meravigliata dai palazzi splendenti. Ma ammetto che viaggiando, ultimamente, mi sono trovata a sorprendermi più per un fischio diverso del segnale delle strisce pedonali, o del pulsante per prenotare la fermata, mentre raramente ho ritrovato la sensazione di bellezza scaturita dagli splendidi palazzi e dalle piazze che ho provato viaggiando e tornando in altri paesi, Italia prima fra tutti.
Il fatto che non ci sia quello stesso effetto “wow” non vuol dire però che non ci sia la gioia di essere in quel posto, o che non sia comunque bello. Potrebbe essere che mi sono resa conto che scoprire una nuova città in Giappone spesso è ritrovare degli elementi conosciuti, riconoscere lo schema che caratterizza le città e successivamente cercare e scoprire i posti più particolari. Spesso mi sembra di sovrapporre le città nuove a quelle che conosco, associare le vie, le stazioni, i templi e piano piano cerco di capire cosa caratterizza davvero un determinato luogo.
In particolare, c’è un elemento al quale sono legata; lo cerco e lo rincorro in tutti i luoghi in cui vado, perché è uno di quei posti sempre uguali a se stessi, ma anche sempre un po’ diversi.
Quando penso alle città giapponesi e me viene in mente lui: lo shōtengai.
Ho pensato di condividere alcuni ricordi legati a uno dei miei “must go” delle città, chissà, magari avremo qualche ricordo in comune?
Il mio primo shōtengai
Avete mai sentito questa parola? È formata da tre kanji 商店街 e significa “via dei negozi”, può essere un grande mercato coperto, come Teramachi a Kyoto, o una strada a cielo aperto, come Kitasenjū a Tokyo. Quando sono arrivata a Kyoto per studiare abitavo nell’area nord della città. I primi due giorni mi ero avventurata solo nelle zone circostanti: al supermercato per fare la spesa, una passeggiata in un tempio vicino. Obiettivi tranquilli e sicuri, dato che non avevo internet e mi sentivo una formichina in mezzo a tutte quelle strade un po’ simili. Ricordo che anche solo tornando dal supermercato ho infilato la traversa sbagliata due volte. Per questo motivo, per il primo giorno di scuola, ho controllato più di dieci volte il percorso da fare, quale autobus prendere, a quale fermata, quale minuto sarebbe passato, insomma... Ho controllato e scritto tutto. Tutto. Tranne come tornare a casa.
Ringrazio lo shōtengai che ricordo di avere visto, con sorpresa, dall’autobus all’andata. Una versione moderna e colorata dei portici, una strada coperta dove i negozi si susseguivano uno dopo l’altro. Ce n’erano di un po’ datati, di quelli tutti aperti con i banchi che si affacciano sulla strada che di solito vendono verdure, pesce o articoli per la casa. Poi c’erano botteghe più nuove, con le porte colorate e le insegne moderne, parrucchieri più simili a dei bar molto carini e caffè che invece sembravano negozi di libri. C’erano tante persone che camminavano tra i negozi, biciclette che sfrecciano di qua e di là e ricordo di essermi sorpresa di avere una zona tanto vivace vicino a casa. Ancora oggi, ogni volta che passo per la via Horikawa, ringrazio lo shōtengai per avermi aiutato a ritrovare la zona di casa. Sono scesa a una fermata a caso non appena l’ho visto. Certo, per trovare la share house vera e propria ho poi scomodato altre tre persone e gli impiegati di un ufficio postale, ma di questo ne parliamo un’altra volta! Lo shōtengai di Horikawa, a Kyoto, lo considero il mio primo amore tra i mercati coperti, quello che mi ha accompagnata a casa dal primo giorno fino alla fine del mio anno di studio.
Lo shōtengai a Osaka
Nello scegliere un appartamento, fin dall’inizio per me è stato importante vederne la posizione, la vicinanza alla metro soprattutto. Solo vivendoci, poi, ho capito che altri due elementi sono fondamentali: avere vicino un parco o uno spazio verde e un mercato coperto dove poter “scendere a fare la spesa”.
Senza volere a Osaka ho trovato entrambe le cose, e anche di più, ed è qui che ho iniziato una relazione stabile con gli shōtengai.
A nord della stazione di Tsuruhashi si trova il mercato coperto di Tamatsukuri, tappa fondamentale per fare la spesa, ma anche meta indiscussa per andare a mangiare qualcosa: funziona un po’ come via del comfort food, vai nello shōtengai e sai che troverai il tuo ramen, un ottimo sushi e una pizza fatta ad hoc.
La musica un po’ retrò, il tetto che nei giorni di sole si apre e lascia lo spazio al cielo blu… Ho attraversato quel mercato quasi ogni giorno, a piedi, in bici, da sola, con Takaya o con i miei amici a cui volevo assolutamente far provare il sushi più buono che ci sia. Mi ha dato l’occasione di chiacchierare e conoscere qualche personaggio e mi ha fatto sentire benvoluta e a casa. A est e a sud della stazione invece, si estende un altro mercato, un po’ più particolare: la Koreatown di Osaka, fatta di stradine buie e fitte di negozi di calzini che si alternano a pescivendoli e rivendite di vestiti tradizionali coreani. Un mix assurdo e colorato, il cui sottofondo sono le urla dei commercianti che invitano i clienti a entrare e i gridolini di sorpresa degli avventori, quando scoprono la quantità di cibo, oggetti e vestiti che si trovano per quelle vie.
Cercare gli shōtengai in vacanza
Ogni volta che andiamo in una città nuova, la tappa ai mercati locali è d’obbligo. Li cerco e guardo in alto le insegne che raccontano i nomi di negozi che molte volte non ci sono più. Guardo il colore dei pavimenti, il design della targa che conferma l’inizio della strada dei negozi, ascolto le canzoni passate in filodiffusione. Se c’è il tetto, cerco di capire se si può aprire o se sia fisso e mi domando sempre poi chi è che li apre questi tetti e come, avranno un pulsante? Una manovella?
Un simpatico shōtengai che ricordo è quello della località di vacanza che si trova a Ito, cittadina della penisola di Izu, relativamente vicina a Tokyo. La città è piccolina, ha una strada di lastricato con qualche casetta tradizionale, il fiume che l’attraversa e lo shōtengai che funziona un po’ come una capsula del tempo: una volta dentro, si è catapultati a una quarantina di anni fa… fantastico. In un kissaten abbiamo preso il “set della colazione” accanto a dei signori che leggevano il giornale fumandosi una sigaretta.
Per quanto io ami i templi, i santuari e tutto ciò che ai miei occhi rimanda l’idea di Giappone, credo che il cuore pulsante delle città si trovi in queste strade di negozi. Inevitabilmente portano sempre con sé una vena di malinconia, perché i negozi singoli fanno fatica a competere con i supermercati e i centri commerciali. Molte botteghe, spesso a gestione famigliare, chiudono, rimpiazzate da villette su due piani. Ci sono però anche molti progetti che cercano di salvare o dare nuova vita ai mercati coperti e spesso vi si aprono nuovi ristoranti, pop-up store e anche hotel.