Corte dei Conti 2021- polizia di Stato – Pensione calcolata con il sistema "misto", avendo, alla da

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Corte dei Conti 2021- polizia di Stato – Pensione calcolata con il sistema "misto", avendo, alla data del 31 dicembre 1995, un'anzianità pari a 17 anni e 11 mesi. Corte dei Conti Liguria Sez. giurisdiz., Sent., (ud. 16-06-2021) 1706-2021, n. 116

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LIGURIA In composizione monocratica nella persona del dott. Benedetto Brancoli Busdraghi, ha pronunciato la seguente SENTENZA Nel giudizio pensionistico iscritto al n. (...) del registro di Segreteria, proposto da OMISSIS, rappresentato e difeso .. contro INPS - Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Fuochi, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del medesimo difensore in Genova, Piazza Borgo Pila n. 40 - Torre A; Letto il ricorso ed esaminati gli atti e i documenti della causa, trattenuta in decisione il 16 giugno 2021 ai sensi dell'art. 85, comma 5, D.L. n. 18 del 2020; Ritenuto in Svolgimento del processo Il ricorrente ha preso servizio in data 20 giugno 1981 presso il disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza ed ha poi prestato servizio nella Polizia di Stato fino al 31 agosto 2017. Egli è titolare di una pensione calcolata con il sistema "misto", avendo, alla data del 31 dicembre 1995, un'anzianità pari a 17 anni e 11 mesi.


Con nota del 4 novembre 2019, il ricorrente ha contestato le aliquote sottese al calcolo della quota retributiva della sua pensione, chiedendo la riliquidazione del trattamento. Tale istanza non è stata accolta. Con ricorso depositato in data 17 dicembre 2020, il ricorrente lamenta che la sua pensione sia stata liquidata senza applicare le aliquote di rendimento previste per i militari dall'art. 54, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973, secondo il quale "la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo". Secondo parte attrice, infatti, l'aliquota del 44% andrebbe applicata alla quota retributiva della pensione di coloro che avessero un'anzianità compresa tre 15 e 20 anni alla data del 31 dicembre 1995. Il fatto che il ricorrente abbia perso lo status di militare nel corso della carriera non osterebbe alla concessione del trattamento previsto dall'art. 54, in quanto, ai fini pensionistici, non occorrerebbe far riferimento tanto alla qualifica in sé e per sé, ma piuttosto alla particolare natura del rapporto d'impiego e delle peculiari funzioni che accomunerebbero le forze preposte alla difesa dello Stato e quelle dedicate al mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna. Per la Polizia, pertanto, il venir meno dello status militare non avrebbe avuto alcuna rilevanza, rimanendo essa nel "comparto sicurezza". Parte attrice rimarca, altresì, come il regime di maggior favore stabilito dal D.P.R. n. 1092 del 1973 fosse originariamente diretto a tutte le Forze di Polizia, nell'ottica considerare la speciale condizione dei lavoratori (allora militarizzati). Alla luce della comunanza del settore di afferenza e del modus operandi, un'interpretazione restrittiva del termine "militare", volta a escludere la Polizia di Stato dall'applicazione dell'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973, sarebbe contraria alla Costituzione. Anche l'art. 16 della L. n. 121 del 1981, che ha ricompreso la Polizia di Stato nelle Forze di polizia, dimostrerebbe l'intenzione di equipararla ai corpi militarizzati del Paese. Inoltre, il ricorrente evidenzia come il rapporto di impiego di tutte le Forze di Polizia sia unitariamente regolato dal D.Lgs. n. 195 del 1995, recante norme "in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di


impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate", senza distinguere in funzione dello status militare e ponendo sullo stesso piano Forze di polizia e Forze armate. Da tale unitarietà dovrebbe necessariamente derivare anche l'uniformazione del trattamento di quiescenza. Dovrebbe, conseguentemente, trovare applicazione il predetto art. 54, anche in considerazione dello sviluppo legislativo che negli ultimi decenni ha interessato le Forze di polizia italiane, in cui la gestione della sicurezza interna sarebbe sempre meno connessa a ordinamenti prettamente militari. Il ricorrente chiede, pertanto, di accertare e dichiarare il suo diritto al ricalcolo della pensione, a decorrere dal 1 settembre 2017 con applicazione delle disposizioni di cui all'art. 54, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973 relativamente al calcolo della percentuale di pensione conseguita in quota retributiva, nonché, per l'effetto, di condannare l'Istituto a rideterminare e riliquidare il trattamento pensionistico con l'attribuzione della aliquota pensionabile nella percentuale del 44% per le anzianità retributive maturate al 31 dicembre 1995, e a versare le somme non corrisposte oltre a rivalutazione monetaria e interessi, con vittoria di spese e onorari. In subordine, in caso di mancata adesione all'interpretazione proposta dal ricorrente, quest'ultimo chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 52 e 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (in combinato disposto con l'art. 61 dello stesso D.P.R. e dell'art. 6-bis del D.L. n. 387 del 1987), per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., laddove interpretati nel senso di escludere l'applicazione alla Polizia di Stato del trattamento pensionistico di cui la medesima beneficiava prima della smilitarizzazione e di cui beneficiano le Forze di polizia militarizzate. Con memoria depositata in data 27 maggio 2021, si è costituito in giudizio l'INPS. Quest'ultimo evidenzia, in primo luogo, come il ricorrente non sia un militare, in quanto appartiene alla Polizia di Stato, vale a dire un corpo a ordinamento civile e non militare disciplinato dalla L. n. 121 del 1981. Per tale motivo, dovrebbe trovare applicazione la disciplina pensionistica prevista per i dipendenti civili dello Stato. Sarebbe, altresì, inconferente qualsiasi richiamo all'art. 6-bis, comma 5, del D.L. n. 387 del 1987, in quanto tale disposizione si limita a estendere alla Polizia di Stato l'applicazione dell'art. 52 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ai soli fini del


perfezionamento dei requisisti di anzianità di servizio per accedere alla prestazione pensionistica normale. Al contrario, non sarebbe stata estesa l'applicazione dell'art. 54, che disciplina la base pensionabile. Il ricorso dovrebbe, pertanto, essere rigettato. In via subordinata, l'INPS eccepisce l'infondatezza del ricorso, segnalando che, con la sentenza n. 1/2021/QM/PRES-SEZ, le Sezioni Riunite si sono pronunciate sulla portata dell'applicazione dell'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973, affermando che ai militari in quiescenza, con anzianità alla data del 31 dicembre 1995, compresa tra i 15 e i 20 anni, deve essere applicata l'aliquota del 2,44% all'anno. Tale aliquota, comunque, non sarebbe quella richiesta nel ricorso. Nondimeno, l'INPS dà anche atto di orientamenti giurisprudenziali diversi, nel senso di un accoglimento parziale o totale della domanda, pur ritenendo comunque non condivisibile la condanna alle spese, in quanto l'Istituto non potrebbe essere considerato interamente soccombente. Per tale motivo, in subordine, in caso di parziale accoglimento del ricorso nei limiti della sentenza n. 1/2021/QM/PRES-SEZ, l'INPS chiede la compensazione delle spese. Quanto, infine, alla domanda di pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sui ratei arretrati, la difesa evidenzia che l'art. 16, comma 6, della L. n. 412 del 1991 ha stabilito, per i crediti di natura previdenziale e assistenziale, il divieto di cumulo tra interessi legali e rivalutazione monetaria e quest'ultima sarebbe dovuta solo per la parte eccedente la misura degli interessi calcolati al tasso legale. In data 10 giugno 2021, il ricorrente ha depositato brevi note, ribadendo l'applicabilità al ricorrente dell'art. 54, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973 e insistendo per l'accoglimento del ricorso. Inoltre, alla luce dell'orientamento espresso dalle Sezioni Riunite, il ricorrente chiede altresì, in via subordinata, l'applicazione dell'aliquota del 2,445% all'anno. Dopo la trattazione, il giudizio è stato definito immediatamente con sentenza, ai sensi dell'art. 85, comma 5, del D.L. n. 18 del 2020. Considerato in Motivi della decisione 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. Relativamente all'interpretazione da adottare nel caso in esame, ricorda questo Giudice che, ai sensi dell'art. 12 delle Disposizioni


preliminari al Codice civile, "nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore". Orbene, l'art. 54, comma 1, del D.P.R. n. 1092 del 1973, vigente al 31 dicembre 1995, dispone che "la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile ...". La lettera di tale disposizione, dunque, limita ai militari l'applicazione dell'aliquota del 44%. Inoltre, l'art. 3 della L. n. 121 del 1981, richiamato anche dal ricorrente, dispone che "l'Amministrazione della pubblica sicurezza", nei cui ruoli sono confluiti - fra gli altri - il personale del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e quello del Corpo di polizia femminile, "è civile". Non vengono in questa sede negati il significativo impegno e i sacrifici profusi dalle Forze di Polizia nel garantire la Pubblica Sicurezza. Manca, tuttavia, una norma che estenda alla Polizia di Stato la qualifica militare, come invece avvenuto, p.e., per la Guardia di Finanza (art. 1 del D.Lgs. n. 68 del 2001) (in tal senso, Corte dei conti, Sez. Giur. Sicilia, n. 540/2021). Pertanto, il primo canone ermeneutico, quello dell'interpretazione letterale, esclude alla radice l'applicabilità dell'art. 54 ai pensionati della Polizia, per via dell'espressa scelta di escluderne il carattere militare. 3. A fronte di tale chiaro dato letterale, non è consentita alcuna interpretazione analogica o estensiva, specialmente considerando le profonde differenze che intercorrono tra Polizia di Stato e Forze Armate e la loro origine storica. Al riguardo, si ricorda che la L. n. 121 del 1981, accogliendo anche sollecitazioni provenienti da una parte dell'amministrazione interessata, ha deliberatamente effettuato la c.d. "smilitarizzazione" della Polizia. L'art. 23 ha, infatti, "disciolto" (e non semplicemente trasformato) il corpo militare delle Guardie di Pubblica Sicurezza, prevedendo l'assegnazione dei dipendenti al nuovo corpo della Polizia di Stato, vale a dire un corpo civile di nuova costituzione. Questo passaggio ha, da un lato, comportato la riorganizzazione del personale; dall'altro lato, ha mutato il regime sostanziale delle forze interessate, attribuendo alla Polizia alcune prerogative che


erano precluse alle Guardie di Pubblica Sicurezza in ragione del loro status militare. Il personale della Polizia di Stato, infatti, è articolato in un'unica scala gerarchica, da cui è stata rimossa la distinzione, già presente nelle Guardie di Pubblica Sicurezza, tra Funzionari di Pubblica Sicurezza (civili) e Ufficiali di Polizia (militari). Questi ultimi sono entrati a far parte del ruolo unico "funzionari direttivi e dirigenti" della Polizia di Stato (a carattere civile). Il passaggio all'ordinamento civile ha poi comportato la possibilità per i dipendenti di aderire a sigle sindacali interne e di diventare così maggiormente compartecipi dell'organizzazione delle condizioni di lavoro e di quelle economiche, attenuando, altresì, il carattere gerarchico-verticistico proprio dell'organizzazione dei corpi militari. Inoltre, la Polizia di Stato è stata svincolata dall'applicazione di alcuni plessi normativi rivolti ai militari, come, p.e., il Codice Penale Militare di Pace. Rispetto alle Forze Armate, la Polizia di Stato si caratterizza anche per le differenti tecniche di assunzione e formazione dei direttivi. Le Forze Armate, infatti, dispongono di accademie, che formano i futuri ufficiali con un percorso pluriennale assimilato alla laurea, selezionando le reclute tra i diplomati; i Vicecommissari di Polizia sono, invece, selezionati tramite appositi concorsi riservati ai laureati in alcune discipline, in modo non dissimile da quanto avviene per la selezione di funzionari e dirigenti della Pubblica Amministrazione. È pur vero che alcuni compiti delle Forze Armate e della Polizia appaiono per certi versi affini (si pensi, p.e., alle attività di presidio del territorio e Pubblica Sicurezza svolte dal Comando dei Carabinieri, o allo svolgimento di funzioni di Polizia Giudiziaria da parte dei Carabinieri e della Guardia di Finanza). Tuttavia, la peculiare disciplina dei corpi militari trae fondamento anche dal compito istituzionale di difesa della Patria, nell'ambito della copertura costituzionale dell'art. 52 Cost.. Alla luce di quanto precede, appare chiara la diversità di caratteristiche tra Polizia di Stato e Forze Armate; lo status civile non è semplicemente formale, ma corrisponde a una diversa organizzazione e a un differente regime sostanziale. Non è, pertanto, incoerente la sua differenziazione rispetto alle Forze Armate anche a fini pensionistici.


4. Si ricorda, peraltro, che, a seguito della smilitarizzazione della Polizia di Stato, il trattamento previdenziale degli agenti e dei dirigenti di Polizia è stato oggetto di espressa disciplina, proprio per regolamentare la transizione verso il regime delle pensioni civili. La legge ha, così, indicato puntualmente quali disposizioni previste per le Forze Armate rimanessero applicabili alla Polizia di Stato e in quali casi (p.e. art. 112 della L. n. 121 del 1981). Pertanto, in base al principio dell'interpretazione letterale, deve ritenersi che non si applichino le disposizioni non espressamente richiamate (ubi voluit dixit). Orbene, fra le disposizioni espressamente applicabili non figura l'invocato art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973. Inoltre, se è vero che, in base all'art. 5, comma 6, del D.L. n. 387 del 1987, "al personale della Polizia di Stato continuano ad applicarsi, ai fini dell'acquisizione del diritto al trattamento di pensione privilegiata, le norme previste per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento militare", l'equiparazione è limitata alle pensioni privilegiate. Tale norma, essendo eccezionale, è di stretta interpretazione. Peraltro, la disposizione riguarda solo l'acquisizione del diritto alla pensione, e non la determinazione della sua misura. Né gioverebbe, al fine di equiparare il trattamento pensionistico degli agenti di polizia a quello dei militari, invocare l'art. 6bis del D.L. n. 387 del 1987, secondo cui "al personale della Polizia di Stato, nonché a quello del Corpo forestale dello Stato in possesso delle qualifiche di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, ai soli fini dell'acquisizione del diritto al trattamento di pensione normale, si applica l'articolo 52 del testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092". Come correttamente rilevato dall'INPS, infatti, l'art. 52 del D.P.R. n. 1092 del 1973 disciplina solamente l'acquisizione del diritto alla pensione, non la misura del trattamento. Quanto precede conferma l'intenzione di assoggettare gli agenti di Polizia a un regime diverso da quello militare, fatti salvi i casi espressamente indicati (in tal senso, cfr. già Corte dei conti, Sez. Giur. Toscana, n. 283/2019). 5. Nell'atto introduttivo, il ricorrente rimarca di essersi arruolato nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza già prima del passaggio nel ruolo dell'Amministrazione della pubblica sicurezza. Tale circostanza, tuttavia, non vale ad attribuirgli il diritto a una pensione


militare. In primo luogo, giova ricordare che la Polizia dello Stato non deriva dalla trasformazione del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, ma lo ha sostituito a seguito del suo discioglimento (pur assorbendone personale, insegne, beni e rapporti giuridici). Si tratta, dunque, formalmente di un corpo nuovo e diverso. Pertanto, il fatto che il ricorrente si sia arruolato come militare nel disciolto Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza è irrilevante ai fini della qualifica civile nella Polizia di Stato. In ogni caso, ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione occorre aver riguardo, in generale, al momento del cristallizzarsi del diritto (Corte dei conti, Sez. Giur. Piemonte, n. 255/2019). Il diritto a pensione sorge nel momento in cui si verificano i presupposti soggettivi e contributivi previsti della legge. Conseguentemente, in linea con i principi generali in materia di successione della legge nel tempo, deve trovare applicazione la legge vigente pro tempore (Corte dei conti, Sez. II Giur. Centr. d'Ap., n. 231/2020), e cioè al momento del pensionamento. Poiché a tale data il ricorrente era già parte di un corpo civile, egli non potrebbe comunque fregiarsi della qualifica di militare eventualmente ricoperta all'inizio della carriera. 6. Né varrebbe invocare l'art. 61 del D.P.R. n. 1092 del 1973, che estende la disciplina prevista per i militari ai Vigili del fuoco e alle allora guardie del Corpo forestale Stato. Tale norma, infatti, non include gli agenti di Polizia. 7. Quanto precede non è scalfito dall'art. 110 della L. n. 121 del 1981, ai sensi del quale "le denominazioni Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e Corpo della polizia femminile, previste dalle leggi vigenti, sono sostituite dalla denominazione Polizia di Stato". Tale norma mira, infatti, a sostituire la denominazione prevista negli atti applicabili, ma non vale a estendere l'applicazione di atti e istituti previsti per i Corpi disciolti e non estesi alla Polizia di Stato. 8. Né la disciplina posta dal D.Lgs. n. 195 del 1995 uniforma il regime pensionistico delle Forze coinvolte in attività di polizia. Tale normativa, infatti, riguarda solo la regolamentazione di alcuni aspetti del rapporto di impiego e non è estesa alla quantificazione del trattamento di quiescenza. Inoltre, lo stesso Decreto reca anche disposizioni specifiche distinte per le Forze di polizia a ordinamento civile (art. 3) e per quelle a ordinamento militare (art. 4). Pertanto, non vi è alcuna assimilazione ai fini pensionistici.


9. Con riguardo alla questione di legittimità prospettata dal ricorrente, si ritiene che non sussistano, allo stato degli atti, dubbi sulla conformità alla Costituzione dell'attuale disciplina e l'istanza deve essere respinta. Le significative differenze intercorrenti tra Polizia di Stato e Forze armate, infatti, giustificano un trattamento pensionistico in parte diverso. 10. Alla luce di quanto precede, non sussistono i presupposti per l'applicazione al personale della Polizia di Stato delle aliquote previste dall'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973. In tal senso si è già espressa anche la giurisprudenza largamente prevalente di questa Corte (ex multis, Sez. Giur. Toscana, n. 9/2020; Sez. Giur. Piemonte, n. 255/2019; Sez. Giur. Calabria, n. 148/2019; Sez. Giur. Emilia-Romagna n. 142/2019; Sez. Giur. Lombardia, n. 8/2020; Sez. Giur. Lazio, n. 14/2020; Sez. Giur. Veneto, n. 33/2020; Sez. Giur. Sardegna, n. 168/2020; Sez. Giur. Puglia, n. 210/2020; Sez. Giur. Sicilia, n. 540/2021; Sez. Giur. Liguria, nn. 14/2020 e 100/2020). Pertanto, il ricorso deve essere rigettato. 11. Non vi è luogo a provvedere sulle spese di giudizio, in relazione al principio di gratuità posto, per le cause previdenziali, dall'art. 10 della L. n. 533 del 1973; principio al quale la giurisprudenza di questa Corte attribuisce carattere di generalità (ex multis, Corte dei conti, Sez. I Giur. Centr. d'Ap., n. 76/2016). Quanto alle spese di lite, ai sensi dell'art. 31, comma 1, c.g.c., deve trovare applicazione il criterio della soccombenza, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte in relazione all'applicabilità dell'art. 54 agli Agenti della Polizia di Stato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese nei confronti dell'INPS, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Liguria in composizione monocratica, definitivamente pronunciando: - rigetta il ricorso; - condanna il ricorrente alle spese, liquidandole in Euro 250,00 (duecentocinquanta/00); - manda in Segreteria per gli adempimenti di rito. Così deciso nella camera di consiglio del 16 giugno 2021, tenuta ai sensi ai sensi dell'art. 85, comma 5, del D.L. n. 18 del 2020. Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2021.


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