Cassazione 2021-ingiuria e diffamazione- reato di cui all'art. 595 c.p., commesso in danno di -OMISSIS-, comandante della Polizia municipale Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 03/09/2021) 03-11-2021, n. 39505 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. SABEONE Gerardo - Presidente Dott. SETTEMBRE Antonio - rel. Consigliere Dott. GUARDIANO Alfredo - Consigliere Dott. ROMANO Michele - Consigliere Dott. SESSA Renata - Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: avverso la sentenza del 04/03/2020 del TRIBUNALE di SANTA MARIA CAPUA VETERE; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere SETTEMBRE ANTONIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CENICCOLA ELISABETTA, che si riporta alla requisitoria scritta e conclude per l'inammissibilità del ricorso. Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha confermato la sentenza di prima cura, che aveva condannato -OMISSIS- a pena di giustizia per il reato di cui all'art. 595 c.p., commesso in danno di -OMISSIS-, comandante della Polizia municipale di Teano. Secondo l'accusa, condivisa dal giudicante, l'imputato offese la reputazione del C. inviando a varie autorità comunali una lettere aperta, con cui accusava quest'ultimo di non aver fatto nulla per reprimere gli abusi di cui era a conoscenza. 2. Ha presentato ricorso per Cassazione il difensore dell'imputato lamentando, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale: a) l'assenza di prova circa la conoscenza del contenuto della missiva da parte di soggetti diversi dal destinatario;
b) l'illogica e illegittima esclusione della sussistenza di una causa di giustificazione: l'esercizio del diritto di cronaca e di critica; c) la mancata valutazione dell'elemento soggettivo, atteso che l'imputato "non aveva intenzione di divulgare...a terzi soggetti" il contenuto della missiva, ma solo quella di "far conoscere ai vertici amministrativi determinati fatti". In ogni caso, l'imputato non aveva la consapevolezza e la volontà di denigrare il destinatario della missiva; d) l'assenza di prova circa la conoscenza dell'atto da parte di più destinatari; e) l'erronea qualificazione giuridica del fatto, da ricondurre, per il ricorrente, alla fattispecie dell'ingiuria; f) l'incompetenza del Giudice di pace, per la ricorrenza dell'aggravante dell'art. 595 c.p., comma 4, ovvero dell'aggravante di cui al medesimo articolo, comma 3; g) la violazione dell'art. 533 c.p.p., ovvero dell'art. 530 c.p.p., per essere stata pronunciata condanna senza la certezza della responsabilità; h) l'illegittima ammissione della parte civile per mancata indicazione, nella domanda, del petitum e della causa petendi. Motivi della decisione Il ricorso è assolutamente inammissibile per totale e irrimediabile genericità, perchè prescinde da qualsiasi critica ragionata della sentenza impugnata e perchè è totalmente infondato in fatto ed erroneo in diritto. L'assoluta inconsistenza degli argomenti difensivi - che costituiscono replica pedissequa di quelli già avanzati in appello e dal giudice d'appello adeguatamente vagliati e confutati - impone una fulminea considerazione delle doglianze contenute in ricorso ed i seguenti rilievi: a) la missiva era indirizzata a più Autorità. Questo fatto spiega, già da solo, perchè più persone abbiano avuto contezza delle propalazioni diffamatorie dell'imputato; b) la critica - per essere legittima - deve esercitarsi su fatti veri e specifici. Nella specie, le generiche accuse di "complicità" e "protezione" dei trasgressori, rivolte al comandante della Polizia Municipale, senza alcuna specificazione del fatto che si intendeva criticare, rimanda direttamente - come già rilevato in sentenza (pag. 5) all'ipotesi delittuosa contestata; c) non hanno nessun rilievo - in funzione della valutazione dell'elemento soggettivo - le "intenzioni" dell'autore del fatto. Ciò che conta è la coscienza e volontà di offendere l'altrui reputazione: fatto di cui la sentenza dà adeguatamente conto, col richiamo del contenuto denigratorio della missiva; d) le dichiarazioni della persona offesa - adeguatamente valutate dal giudicante - e la trasmissione della missiva a più soggetti spiegano ampiamente perchè sia stata ravvisata l'ipotesi diffamatoria;
e) l'ingiuria richiede la comunicazione diretta con l'offeso. Nella specie, è stato esaurientemente spiegato che L. si è rivolto a più persone separatamente, in assenza della persona offesa. L'illecito integrato è, pertanto, quello penale contestato e non già quello civile supposto dal ricorrente; f) correttamente è stata esclusa l'aggravante dell'art. 595, comma 3, dal momento che la posta non rappresenta un mezzo di pubblicità, come già spiegato in sentenza col corredo di pertinente e condivisibile giurisprudenza, ostentatamente ignorata dal ricorrente. Nemmeno è configurabile l'aggravante dell'art. 595, comma 4, perchè, come già spiegato in sentenza, l'offesa fu recata a -OMISSIS- quale persona fisica avente il comando della Polizia Municipale e non già quale rappresentante del Corpo di Polizia Municipale. Destituita di fondamento - oltre che inammissibile per mancanza di interesse - è, pertanto, la pretesa di applicare l'art. 595, comma 4; g) la violazione dell'art. degli artt. 530 o 533 c.p.p. non costituisce motivo di nullità della sentenza se non quando venga dedotto, e dimostrato, il vizio di motivazione. Cosa di cui nella specie non v'è traccia; h) gli eventuali vizi dell'atto di costituzione della parte civile vanno dimostrati e tempestivamente dedotti. Nella specie non v'è prova nè della tempestiva deduzione (anzi, viene teorizzata l'insanabilità del vizio) nè del fatto che l'atto in questione mancasse dei requisiti di legge. Del tutto inconferente è la giurisprudenza citata in ricorso, atteso che la quantificazione del danno è stata rinviata a separato giudizio, mentre la legittimazione dell'offeso è in re ipsa. Consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo quantificare in Euro 3.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 a favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 3 settembre 2021. Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2021