Consiglio di Stato 2021-domanda di risarcimento di danni per illecite condotte dell’Amministrazione (cd. mobbing)
Pubblicato il 14/06/2021 N. 04551/2021REG.PROV.COLL. N. 07858/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 7858 del 2013, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato ..................., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, ..................., n. 7, contro il Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n.12, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente domanda di risarcimento di danni per illecite condotte dell’Amministrazione (cd. mobbing)
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno; Visti tutti gli atti della causa; Relatore il Cons. Carla Ciuffetti nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2021, tenutasi con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e modificato dall’art. 1, comma 17, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO 1. Con la sentenza in epigrafe il Tar ha respinto il ricorso presentato dall’odierno appellante, agente della Polizia di Stato, per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali che sarebbero derivati da mobbing subito durante il periodo di assegnazione alla Questura di -OMISSIS-. Secondo il Tar, il ricorrente non aveva fornito “il benché minimo elemento di prova sia dell’elemento oggettivo dell’illecito che di quello soggettivo” e, pur risultando “indubbiamente una situazione di conflittualità e di disagio patita dal ricorrente nell’ambiente lavorativo di -OMISSIS-”, non era “in alcun modo ravvisabile una serie di comportamenti finalizzati alla sua persecuzione ed emarginazione”. Il primo giudice ha richiamato la pronuncia resa dallo stesso Tar (sentenza n. -OMISSIS-), di rigetto del ricorso con cui il medesimo ricorrente aveva chiesto l’annullamento di una delle tre sanzioni disciplinari che gli erano state irrogate durante il periodo di assegnazione alla suddetta sede. In tale sentenza si evidenziava che, nel preteso comportamento denigratorio dei superiori e nelle sanzioni disposte nei suoi confronti, non era “ravvisabile quell’indissolubile nesso causale e quella particolare finalizzazione che costituiscono gli elementi essenziali per dimostrare l’esistenza di un disegno unitario volto alla vessazione della figura professionale della vittima”.
2. Con un primo motivo di gravame, rubricato “Eccesso di potere nelle figure sintomatiche del travisamento dei fatti e dell'erronea valutazione dei fatti e degli elementi di prova offerti: difetto di motivazione. Contraddittorietà e illogicità”, l’appellante assume che il Tar avrebbe travisato i fatti esposti nel ricorso di primo grado, valutandone erroneamente la portata. Tali fatti avrebbero dovuto essere invece considerati “episodi oggettivamente ostili, finalizzati alla persecuzione e all'emarginazione”, come sarebbe desumibile dai tre procedimenti disciplinari cui l’appellante era stato sottoposto durante il periodo di assegnazione alla sede di OMISSIS-. Tali procedimenti si erano conclusi: il primo, con l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione del servizio per un mese, il secondo, con l’irrogazione della sanzione pecuniaria della decurtazione di 5/30 di una mensilità e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo e, il terzo, con l’irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio per quattro mesi. Nel loro complesso, gli stessi procedimenti manifesterebbero “evidenti anomalie”, in quanto concentrati in soli otto mesi, mentre, in passato, l’interessato non sarebbe stato sottoposto ad alcun procedimento disciplinare. Sicché, sarebbe verosimile che i suddetti procedimenti fossero stati causati dalla “specifica volontà degli organi di vertice della Questura di -OMISSIS- di contestare e sanzionare appositamente comportamenti del tutto abituali con il solo fine di emarginare” l’appellante. Nei suoi confronti, l’ostilità dei superiori sarebbe stata sostanziata anche dalle espressioni denigratorie rivoltegli, dalla progressiva estromissione dal servizio di volante, con privazione dell’equipaggiamento di servizio, nonché dai provvedimenti di rigetto sia delle istanze di accesso presentate in occasione di detti procedimenti disciplinari, sia delle richieste di trasferimento inoltrate dall’interessato. Ciò troverebbe conferma in una nota ministeriale con cui si invitava l’organo competente a valutare l’ipotesi
di
ambientale.
un
trasferimento
del
medesimo
appellante
per incompatibilità
Con un secondo motivo di gravame, rubricato “assenza di attività istruttoria”, l’appellante deplora che il Tar non avesse disposto alcuna attività istruttoria e che, in particolare, non avesse ammesso le prove testimoniali richieste. Da ciò deriverebbe la contraddizione in cui il primo giudice sarebbe incorso nell’affermare che “il ricorrente non ha in alcun modo provato di essere destinatario di una serie di atti intenzionalmente utili a opera del suo superiore; in particolare, in ordine alle offese di cui sarebbe stato destinatario, non ha fornito riscontro alcuno né ha indicato soggetto che le possano confermare”. L’appellante reitera nel presente grado di giudizio la richiesta di ammissione di dette prove testimoniali, nonché la disposizione di una consulenza medico - legale per l’accertamento dei danni risentiti per effetto delle illegittime condotte subite. Ai fini della condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno, l’appellante quantifica i danni patrimoniali: nella somma di euro 2.373,18 a titolo di risarcimento del danno emergente, “consistente nella perdita economica subita dal ricorrente conseguentemente all'applicazione delle sanzioni pecuniarie ingiustamente irrogate nei suoi confronti dall'Amministrazione convenuta nonché nelle spese sostenute per effettuare le visite mediche”; nella somma di euro 4.300,00 a titolo di risarcimento del danno per lucro cessante, “consistente nella perdita delle retribuzioni accessorie per il periodo luglio 2009 - ottobre 2012, ovvero nella diversa somma da accertarsi e liquidarsi in corso di causa, anche in via equitativa”; nella “somma commisurata alla differenza tra la retribuzione prevista per la qualifica di Assistente e la retribuzione prevista per la qualifica di Vice Sovrintendente con riferimento agli anni 2009, 2010, 2011, 2012 a titolo di danno da perdita di chance”, pari a euro 2.800,00 o alla diversa somma eventualmente liquidata in via equitativa. I danni non patrimoniali sono quantificati dall’appellante come segue: una somma pari alla retribuzione che gli sarebbe spettata nel periodo marzo 2008/aprile 2009 a titolo di danno alla professionalità, nonché in una somma
di euro 193.864,00 a titolo di danno biologico, oltre alla somma di euro 53.781,00 a titolo di danno biologico temporaneo. 3. Il Ministero dell’interno si è costituito con atto di rito in data 8 novembre 2013. 4. La causa, chiamata all’udienza del 4 maggio 2021, è stata trattenuta in decisione. 5. Il Collegio osserva che il primo motivo d’appello è pressoché interamente incentrato (oltre sette pagine) su circostanze relative ai procedimenti disciplinari menzionati dall’interessato, dal medesimo considerate “già di per sé sufficienti nel loro complesso, a integrare la fattispecie del mobbing”. In proposito va rilevato che, in sede di esame dell’impugnazione della sentenza n. OMISSIS-, sopra citata al punto 1, che aveva respinto il ricorso dell’odierno appellante avverso la terza sanzione disciplinare, questo Consiglio aveva considerato che: “tra i comportamenti elencati nella censura ed attribuiti soprattutto al Commissario Capo (giudizi negativi espressi in merito alla professionalità del ricorrente; rimproveri per assenze invece giustificate da malattia; ripetuto affidamento di incarichi e mansioni non gradite; precedenti sanzioni disciplinari irrogate per un “banale alterco” con un collega e per frasi confermate da un solo testimone) non è ravvisabile quell’indissolubile nesso causale e quella particolare finalizzazione che costituiscono gli elementi essenziali per dimostrare l’esistenza di un disegno unitario volto alla vessazione della figura professionale della vittima, secondo la definizione di “mobbing” adottata dalla giurisprudenza” (…) “manca la prova dell’elemento soggettivo nei riferiti comportamenti vessatori dei superiori gerarchici, mentre la circostanza che siano state irrogate più sanzioni disciplinari per episodi poco rilevanti non assume una valenza decisiva, specie se si tiene conto del particolare rigore che caratterizza lo svolgimento del rapporto di impiego in ambiente militare” (Cons. Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2412). Inoltre, il ricorso straordinario con cui l’interessato aveva impugnato la prima sanzione disciplinare è stato respinto (Cons. Stato, -OMISSIS-) e il ricorso
straordinario con cui è stata impugnata la seconda sanzione è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse in quanto, nelle more, l’Amministrazione si era pronunciata sul ricorso gerarchico presentato dal ricorrente, rigettandolo (Cons. Stato, -OMISSIS-). Perciò, il Collegio ritiene di dover prendere atto che, su quanto dedotto a essenziale fondamento del primo motivo d’appello, questo Consiglio si è ormai definitivamente pronunciato ravvisandone l’infondatezza. Per quanto attiene a circostanze ulteriori a quelle sopra richiamate, peraltro appena tratteggiate in modo del tutto sommario nell’atto d’appello, deve convenirsi con il convincimento del Tar circa l’instaurazione nella sede di -OMISSIS- di “una situazione di conflittualità e di disagio patita dal ricorrente”, senza che fosse ravvisabile in quanto esposto dall’interessato una strategia persecutoria e di emarginazione nei suoi confronti. Infatti, dalla natura conflittuale di un ambiente di lavoro non può desumersi il ricorso di condotte mobbizzanti, se, dagli elementi conflittuali episodici che la caratterizzano, non sia verosimilmente ricavabile, come nella fattispecie, il comune denominatore dell’elemento soggettivo sostanziato da un intento persecutorio e discriminante nei confronti del singolo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 2018, n. 5905). Il rilievo del Tar in merito alla mera connotazione conflittuale dell’ambiente lavorativo esprime il condivisibile convincimento – una volta escluso, per le ragioni anzidette, ogni possibile rilievo dei procedimenti disciplinari subiti dall’appellante per la configurabilità di un’intenzione persecutoria dell’Amministrazione nei suoi confronti – della superfluità delle prove testimoniali di cui l’interessato aveva chiesto, qui reiterandola, l’ammissione, sicché devono ritenersi infondate le censure proposte con il secondo motivo d’appello. Per la stessa ragione, non sussistono i presupposti per l’accoglimento della richiesta di ammissione di prova testimoniale, né di consulenza medico legale, che,
comunque, in difetto di idonee allegazioni in merito alla lesione dell’integrità psicofisica dell’interessato, sarebbe meramente esplorativa. 6. In conclusione, l’appello è infondato e va respinto. Il regolamento delle spese del grado di giudizio, liquidate nel dispositivo, segue la soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al rimborso, in favore dell’Amministrazione appellata, delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 4000,00 (euro quattromila/00), oltre s.g. e accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 e al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte appellante. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2021, svolta con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati: Ermanno de Francisco, Presidente Giancarlo Luttazi, Consigliere Giovanni Sabbato, Consigliere Carla Ciuffetti, Consigliere, Estensore Francesco Guarracino, Consigliere L'ESTENSORE Carla Ciuffetti
IL PRESIDENTE Ermanno de Francisco
IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.