Tar 2022-“la prestazione “pigmentazione dell’areola - capezzolo” deve essere eseguita esclusivamente

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Tar 2022-“la prestazione “pigmentazione dell’areola - capezzolo” deve essere eseguita esclusivamente da chi eserciti una professione sanitaria, in ambulatorio accreditato o autorizzato a seconda che venga o non venga eseguita a carico del SSN Pubblicato il 30/05/2022 N. 07033/2022 REG.PROV.COLL. N. 11422/2021 REG.RIC.

R E P U B B L I C A

I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11422 del 2021, proposto da OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato OMISSIS, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; contro Ministero della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato

e

difeso

dall'Avvocatura

Generale

domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; per la condanna

dello

Stato,


del Ministero della Salute al risarcimento del danno subito per effetto della circolare ministeriale del 15 maggio 2019, annullata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4732 del 18 giugno 2021. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 aprile 2022 la dott.ssa Claudia Lattanzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La ricorrente ha impugnato la Circolare del Ministero della Salute del 15 maggio 2019 avente ad oggetto: “nota circolare sui tatuaggi con finalità medica: chiarimenti in merito alla pigmentazione dell'areola-capezzolo” con la quale è stato deciso che “la prestazione “pigmentazione dell’areola capezzolo” deve essere eseguita esclusivamente da chi eserciti una professione sanitaria, in ambulatorio accreditato o autorizzato a seconda che venga o non 2 venga eseguita a carico del Servizio Sanitario Nazionale: non può essere eseguita in strutture non sanitarie e da personale non sanitario”. Con sentenza di questo Tribunale n. 2686/2020 è stato respinto il ricorso proposto dalla ricorrente e, con sentenza del Consiglio di Stato n. 4732/2021, è stato, invece, accolto l’appello con annullamento della predetta circolare, ritenendo che la pratica della dermopigmentazione non può essere ricondotta alla tipologia del trattamento terapeutico ma all’attività propria dell’estetista.


La ricorrente deduce in questa sede di aver subito un danno all’immagine e un danno per mancata formazione e aggiornamento professionale in conseguenza dell’adozione della circolare di cui trattasi. Il Ministero resistente si è costituito controdeducendo nel merito. Alla pubblica udienza del 24 aprile 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione. Il ricorso è infondato. 1. In base al principio sancito dall’art. 2697 c.c. e recepito nell'art. 64 c.p.a., chi agisce in giudizio deve fornire la prova dei fatti costitutivi della domanda, ragion per cui laddove il privato agisca per il risarcimento dei danni provocati da illegittimo esercizio del potere amministrativo, lo stesso è tenuto a fornire in modo rigoroso e circostanziato la prova di tutti gli elementi dell’illecito. Il risarcimento del danno, infatti, non costituisce una conseguenza diretta e costante dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, essendo per contro necessaria la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione giuridica soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, anche del nesso causale tra l’illecito e il danno subito, nonché della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione, incombendo sul danneggiato l’onere della prova di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, la mancanza di uno solo dei quali determina l'infondatezza della pretesa. In particolare, “ai fini del riconoscimento della spettanza del risarcimento dei danni l’illegittimità del provvedimento amministrativo di per sé non fornisce un riscontro automatico della colpevolezza dell’Amministrazione, a tal fine venendo in rilievo altri elementi attinenti al grado di chiarezza della normativa applicabile, alla semplicità o alla complessità degli elementi di fatto esaminati, al carattere vincolato della statuizione provvedimentale da assumere ovvero all'ambito più o meno ampio della discrezionalità di volta in


volta esercitata; la ponderazione di questo insieme di elementi è consustanziale al giudizio di rimproverabilità e conduce a ravvisare l'elemento psicologico della colpa della pubblica amministrazione non già nella mera violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ma nella sussistenza di inescusabili negligenze ovvero di errori interpretativi manifestamente gravi, apprezzabili come tali in relazione all'interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l'amministrazione; la responsabilità deve invece essere negata quando l'indagine conduce al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto” (Cons. St., sez. III, 7 dicembre 2021, n. 8165). In sostanza, la presunzione di colpa dell’amministrazione, può essere riconosciuta solo nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimento normativo, giuridico e fattuale tale da palesarne la negligenza e l’imperizia, cioè l’aver agito intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede nell’assunzione del provvedimento viziato. Per contro deve essere negata la responsabilità quando l’indagine conduce al riconoscimento di un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto (cfr. Cons. St., sez. II, 27 agosto 2021, n. 6058). Nel caso in esame, già l’andamento del giudizio, con il contrasto tra primo e secondo grado, comporta la mancanza della colpa dell’amministrazione e, comunque, la presenza di un errore scusabile per contrasti giudiziari, venendo così meno un necessario presupposto per la richiesta risarcitoria avanzata dalla parte.


È poi da rilevare che la stessa verificazione disposta nel giudizio di appello, che ha poi condotto all’accoglimento del ricorso, ha ritenuto che “È comunque importante evidenziare che indicazioni e controindicazioni alla dermopigmentazione o al tatuaggio con finalità medica sono comunque affidate alla perizia del medico specialista o all’equipe della Breast Unit, avendo ben presente il percorso diagnostico-terapeutico. Il protocollo di esecuzione di questo tipo di tatuaggio dovrebbe prevedere rigorosi criteri di selezione dei pazienti affidando al Chirurgo Senologo e/o dal Chirurgo Plastico l’inclusione o l’esclusione al trattamento … Il personale medico si assume la responsabilità, intrinseca nei suoi doveri, di garantire la sicurezza di tutte le procedure per tutti gli aspetti assicurando sia gli aspetti igienico sanitari sia la minimizzazione dei rischi, nel rispetto dei doveri tipici della sua perizia e diligenza … La sicurezza del/della paziente può essere garantita dalla condizione di lavorare sotto la supervisione del medico”. In sostanza, la verificazione stessa ha evidenziato la sussistenza di una situazione particolarmente complessa e incerta, con la conseguenza che nessuna

colpa

è

ravvisabile

in

capo

all’interpretazione

datane

dall’Amministrazione con la circolare in questione. A soli fini di completezza argomentativa, va infine considerato come, nel caso in esame, come emerge dalla lettura della sentenza del Consiglio di Stato n. 4732/2021, difetti l’elemento psicologico della colpa, atteso che lo stesso giudice di secondo grado, pur riformando la decisione di primo grado e pronunciando l’annullamento dell’atto gravato, nel capo concernente la liquidazione delle spese, ne dispone la compensazione per la complessità della questione, circostanza tale da escludere la configurabilità della colpa dell’amministrazione. 3. È poi da rilevare che costituisce orientamento pacifico della giurisprudenza amministrativa quello per cui l’onere della prova del danno


nel processo amministrativo è posto interamente a carico della parte che si reputa danneggiata, in applicazione rigorosa del c.d. principio dispositivo di cui all'art. 2697 del codice civile e all'art. 64 comma 1 del c.p.a. “Il

principio generale dell'onere della prova previsto dall'art. 2697 cod. civ. si

applica anche all'azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento manchi della prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta” (Cons. St. sez. II, 27 agosto 2021, n. 6058). Nel ricorso in esame, l’esistenza del danno è semplicemente affermata in maniera apodittica senza che sia stato addotto il minimo elemento di prova. Neppure in vista dell'udienza pubblica sono stati depositati documenti o prodotte memorie per meglio specificare la domanda risarcitoria, che rimane pertanto sfornita di qualsiasi supporto probatorio. Per quanto riguarda il dedotto danno all’immagine, questo non è in re ipsa, ma si configura quale danno-conseguenza e, come tale, richiede una specifica prova da parte di chi ritiene di essere stato leso nella propria immagine e pretende di esserne risarcito. Di conseguenza per il riconoscimento del risarcimento è necessaria una specifica prova del danno subìto, una lesione grave dell’immagine, un'offesa che superi la soglia di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale e dunque un pregiudizio non futile, che non consista in meri disagi o fastidi. La ricorrente dichiara di aver subito discredito presso un elevatissimo numero di clienti, limitandosi a enunciare il danno senza fornire alcuna prova dell’effettiva esistenza.


Stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda il richiesto danno per mancata formazione e aggiornamento professionale, laddove questo danno viene solo dichiarato senza fornire alcuna prova sull’esistenza e sull’effettiva quantificazione. 3. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge se dovuti. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 aprile 2022 con l'intervento dei magistrati: Maria Cristina Quiligotti, Presidente Claudia Lattanzi, Consigliere, Estensore Roberto Vitanza, Consigliere L'ESTENSORE Claudia Lattanzi

IL PRESIDENTE Maria Cristina Quiligotti

IL SEGRETARIO


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