Tar 2021-non concesso il riconoscimento delle provvidenze “vittima del dovere”, ai sensi del d.P.R. n. 243 del 2006
Pubblicato il 26/07/2021
quale equiparato a
N. 08933/2021 REG.PROV.COLL. N. 04446/2014 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (S.......................ne Prima Bis)
ha pronunciato la presente SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4446 del 2014, proposto da -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avvocato ....................... ......................., con domicilio presso l’indirizzo PEC del difensore come risultante da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, Via Crescenzio, 2; contro Ministero della difesa e Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege, con domicilio digitale come da pubblici registri
e
domicilio
fisico
in
Roma,
Via
dei
Portoghesi,
12;
Ministero della difesa – Dir.......................ne generale della previdenza militare e della leva – I Reparto – IV^ Divisione – Servizio speciali benefici; Ministero della difesa – Dir.......................ne generale della previdenza militare
e della leva – II Reparto – IX Divisione – I S.......................ne; Ministero dell’economia e delle finanze – Comitato di verifica delle cause di servizio; per la declaratoria di nullità o l’annullamento dell’atto di cui alla posizione M-D GPREV/ 1.547/1^/4^, emesso in data 6 dicembre 2013 e notificato in data 16 gennaio 2014, con il quale il Ministero della difesa – Dir.......................ne generale della previdenza militare e della leva – I Reparto – IV^ Divisione – Servizio speciali benefici ha inviato copia del decreto negativo n. 244 del 6 dicembre 2013, emesso dal Ministero ai sensi del d.P.R. n. 243 del 2006, per infermità: “-OMISSIS-”, e del decreto del 6 dicembre 2013, che ha respinto “l’istanza prodotta dal -OMISSIS-e deceduto il 26.02.2013 in quanto l’infermità -OMISSIS- è riconosciuta no dipendente causa di servizio né riconducibile a particolari condizioni ambientali e operative di missione” e ogni atto antecedente (in modo particolare i verbali della Commissione medica, rispettivamente del 18 luglio 2012 e 21 gennaio 2013, che negavano che la patologia fosse dovuta, anche a titolo concausale, al servizio, e per ogni altro giudizio ivi espresso); nonché per il risarcimento dei danni per illegittimità degli atti impugnati; Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa e del Ministero dell’economia e delle finanze; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 aprile 2021 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro, mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’articolo 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, e successive modificazioni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO 1. I ricorrenti, che agiscono nella -OMISSIS-, hanno impugnato, unitamente agli atti indicati in epigrafe, il decreto del Ministero della difesa n. 244 del 6 dicembre 2013, che ha negato il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e la riconducibilità a particolari condizioni ambientali e operative di missione dell’infermità “-OMISSIS-”, contratta dal loro congiunto, e conseguentemente non ha concesso il riconoscimento delle provvidenze quale equiparato a “vittima del dovere”, ai sensi del d.P.R. n. 243 del 2006. Con la proposizione del ricorso è stato domandato anche il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittimità degli atti impugnati. 2. I medesimi ricorrenti hanno dedotto che il Maresciallo capo-OMISSIS-) contratta a causa del servizio prestato e, in particolare, a causa della prolungata esposizione ad amianto e ad altri agenti patogeni, subita nel corso del servizio prestato. Tale esposizione si sarebbe verificata sia nel corso dell’attività lavorativa svolta nel laboratorio di analisi dell’Ospedale militare di Chieti, sia nel corso delle missioni all’estero e in teatri bellici, ove sarebbero state riscontrabili particolari condizioni ambientali e operative di missione. 2.1. In particolare, secondo quanto allegato nel ricorso, il militare si è arruolato nell’Esercito italiano il 5 settembre 1988 e ha frequentato la Scuola allievi sottufficiali di Viterbo e successivamente la Scuola infermieri professionali di Roma, trascorrendo gli ultimi due anni di corso a Bologna. Nel 1992, dopo essere passato in servizio permanente, è stato assegnato all’Ospedale militare di Chieti, quale sottufficiale di sanità militare nel laboratorio di analisi, e ha prestato servizio presso il suddetto Ospedale fino al 2010, quando è stato trasferito alla CMO, dove è rimasto in attività fino al
momento in cui, nel novembre del 2011, ha avuto esordio la malattia che ne ha causato il decesso. L’attività presso l’Ospedale militare di Chieti è stata inframmezzata dall’impiego del militare in numerose missioni all’estero, e in particolare: - dal 18 agosto 2000 al 18 ottobre 2000 nell’ambito dell’operazione “Joint Guardian” in Kosovo; - dal 26 febbraio 2003 al 15 maggio 2003 nell’ambito dell’operazione “NibbioEnduring Freedom” in Afganistan; - dal 16 luglio 2004 al 31 agosto 2004 nell’ambito dell’operazione “Decisive Endeavour” in Kosovo; - dal 2 giugno 2005 al 14 luglio 2005 nell’operazione “Eufor” in Bosnia; - dal 29 dicembre 2005 al 7 marzo 2006 nell’operazione “Althea” in Bosnia; - dal 23 ottobre 2006 al 29 dicembre 2006 nell’operazione “Joint Enterprice” in Kosovo; - dal 28 giugno 2007 all’11 settembre 2007 nell’operazione “Althea” in Bosnia; - dal 18 aprile 2008 al 5 settembre 2008 nell’operazione “Leonte 4” in Libano. 2.2. Nel corso delle suddette missioni, il militare sarebbe stato impiegato quale supporto infermieristico ai team EOD (explosive ordnance disposal), ossia agli artificieri che intervengono sugli ordigni inesplosi, e si sarebbe spostato pertanto di frequente con mezzi corazzati – nei quali sarebbe stato presente amianto – che raggiungevano aree contaminate da uranio impoverito e da polveri e fibre di amianto. Con riferimento alla prima missione in Kosovo del 2000, il militare, oltre a operare come supporto infermieristico ai team EOD, sarebbe stato esposto anche all’amianto presente nelle cucine da campo e nei mezzi corazzati utilizzati per gli spostamenti. Inoltre, muovendosi nei teatri operativi al seguito degli artificieri, il militare sarebbe stato esposto all’amianto, all’uranio impoverito e ai metalli pesanti polverizzati nell’aria a seguito della distruzione,
mediante ordigni e proiettili contenenti uranio impoverito, delle strutture presenti in loco, di armamenti o di carri armati, contenenti amianto e altre sostanze nocive. In tutte queste situazioni, il militare avrebbe operato privo di dispositivi di prot.......................ne e, inoltre, non sarebbe stato informato della presenza di agenti patogeni. Al rientro in Italia, sarebbe stata rilevata la presenza nelle urine del militare di valori di U-238 non inferiori ai LID relativi. Anche nel corso della missione in Afganistan “Enduring Freedom” il militare si sarebbe servito per la propria attività di mezzi contenenti amianto per recarsi nelle aree da bonificare da ordigni inesplosi. La presenza di amianto sarebbe stata accertata pure negli elicotteri impiegati dall’Esercito italiano, come emerso nell’ambito delle indagini condotte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Inoltre, l’amianto sarebbe stato presente nelle cucine da campo, ove non sarebbe stato esposto all’epoca il cartello – apposto invece successivamente – volto a segnalare il rischio dovuto alla presenza di amianto. A Rajlovac, in Bosnia, il militare avrebbe lavorato nella base adiacente all’area utilizzata dalle forze di coalizione come pista per gli elicotteri. Nelle ulteriori due missioni in Kosovo, il Maresciallo capo-OMISSIS-sarebbe stato nuovamente impiegato a supporto dei team EOD e avrebbe operato presso il laboratorio di analisi di Belo Polie. Nell’operazione “Leonte 4”, in Libano, sarebbe stato impegnato con gli artificieri della Brigata Garibaldi, in un’area nella quale sarebbe stato esposto anche al piombo e alle sostanze nocive presenti negli esplosivi e nella polvere da sparo.
Il fisico del militare sarebbe stato inoltre debilitato dalle numerose vaccinazioni, effettuate spesso senza tenere conto di quelle già eseguite in precedenza, che avrebbero depresso il suo sistema immunitario. 2.3. I ricorrenti allegano che, a seguito dell’esordio della malattia, il Maresciallo capo-OMISSIS-ha presentato una prima domanda di pensione di inabilità per infermità non dipendente da causa di servizio, comportante l’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, ai sensi dell’articolo 2, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335. Sono seguiti gli accertamenti sanitari effettuati dalla Prima Commissione medica ospedaliera del Dipartimento militare di medicina legale di Chieti il 12 luglio 2012 e il 29 gennaio 2013, i quali hanno riscontrato l’assoluta non idoneità al servizio del militare, senza tuttavia riconoscere la dipendenza dell’infermità da causa di servizio. Più in dettaglio, nel verbale del primo dei suddetti accertamenti si legge che “(...) Le infermità (...) non risultano allo stato degli atti riconosciute dipendenti da causa di servizio”, ma che “risulterebbero ascrivibili ai fini di p.p.o. alla tabella A prima categoria di cui alle tabelle annesse al d.P.R. 834/81 e succ. mod.”. Il Maresciallo capo-OMISSIS-è successivamente deceduto il 26 febbraio 2013. 3. Con decreto del Ministero della difesa del 6 dicembre 2013 è stata respinta l’istanza presentata dal militare il 24 luglio 2012, volta a ottenere la concessione dei benefici previsti dal d.P.R. n. 243 del 2006, quale equiparato a “vittima del dovere”, in quanto “l’infermità “-OMISSIS-” è riconosciuta NO dipendente da causa di servizio NÉ riconducibile a particolari condizioni ambientali od operative di missione”. Il suddetto provvedimento richiama, oltre al verbale degli accertamenti medici eseguiti il 29 gennaio 2013 dal Dipartimento militare di medicina legale di Chieti, il parere negativo reso il 10 settembre 2013 dal Comitato di verifica per le cause di servizio presso il Ministero dell’economia e delle finanze. Viene, in
particolare, evidenziata la circostanza che il predetto Comitato ha giudicato l’infermità non dipendente da causa di servizio “e non ha ritenuto sussistenti le particolari condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il dipendente a maggiori disagi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto e che si pongano quale causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’infermità in questione”. 4. Avverso il suddetto decreto, i ricorrenti hanno allegato i seguenti motivi: I) violazione della legge 3 agosto 2004, n. 206, dell’articolo 1, commi 573, 564 e 565 della legge n. 266 del 2005, del d.P.R. n. 243 del 7 luglio 2006, del d.P.R. n. 461 del 2001 e di tutte le altre norme che regolano la materia; ciò in quanto la conclusione negativa del procedimento volto a ottenere il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio e dello status di “vittima del dovere” non avrebbe tenuto conto della circostanza che il Maresciallo capoOMISSIS-sarebbe stato esposto ad amianto e, inoltre, a uranio impoverito, polveri nocive e altre sostanze tossiche in teatri di guerra, per cui i suddetti benefici non avrebbero dovuto essere negati, come comprovato anche dalla consulenza di parte depositata in atti; la documentazione prodotta dimostrerebbe la massiccia esposizione all’amianto e, d’altro canto, qualsiasi esposizione alla predetta sostanza avrebbe rilevanza causale ai fini dell’insorgere della malattia; il militare non sarebbe stato inoltre mai informato del rischio, né sarebbero mai state adottate norme di prevenzione tecnica e di prot.......................ne individuale; spetterebbero, pertanto, ai ricorrenti tutti i benefici economici previsti dalla legge per i casi di infermità dipendenti da causa di servizio e in relazione allo status del loro congiunto di “vittima del dovere”;
II) eccesso di potere sotto plurimi profili e sussistenza dei diritti dei ricorrenti; ciò in quanto nelle premesse del provvedimento impugnato si evidenzia che il sig.-OMISSIS-non avrebbe prodotto osservazioni in relazione al parere negativo espresso dal Comitato di verifica delle cause di servizio del 10 settembre 2013, omettendo di considerare che il militare era deceduto il 26 febbraio 2013; il provvedimento sarebbe privo di motivazione, in violazione dell’articolo 3 della legge n. 241 del 1990; non sarebbe possibile negare l’origine professionale del -OMISSIS-, in quanto patologia correlata all’esposizione da amianto e di tipo dose-dipendente; III) diritto al risarcimento del danno per l’illegittimità degli atti impugnati, per il superamento dei termini di durata dei procedimenti e violazione di tutte le norme che regolano i procedimenti amministrativi; ciò in quanto l’illegittimità del diniego e le motivazioni del provvedimento – giustificato sulla base del fatto che il militare, già deceduto, non avrebbe avuto nulla da obiettare al parere negativo del Comitato di verifica delle cause di servizio – avrebbero leso la sfera morale dei ricorrenti, arrecando loro un perturbamento dell’animo meritevole di risarcimento. Sulla scorta delle censure proposte nei termini ora indicati, i ricorrenti hanno formulato articolate domande, che possono essere sintetizzate nei termini seguenti: (i) accertare e dichiarare che il -OMISSIS-che determinato la morte del Maresciallo capo-OMISSIS-è riconducibile a causa di servizio, con il riconoscimento dell’equiparazione a “vittima del dovere”, in relazione alle particolari condizioni lavorative per il servizio svolto; (ii) accertare e dichiarare la nullità e inefficacia ovvero pronunciare l’annullamento del provvedimento del 6 dicembre 2013, nonché degli atti antecedenti e consequenziali, e per gli effetti condannare le Amministrazioni intimate, in solido tra loro, ovvero secondo le rispettive competenze e funzioni, ad erogare ai ricorrenti tutte le provvidenze spettanti per il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da
causa di servizio e per il riconoscimento dello status del proprio congiunto quale “vittima del dovere”; (iii) condannare le Amministrazioni resistenti al risarcimento del danno per l’illegittimità e/o non definizione dei procedimenti amministrativi pendenti e di cui è causa, con quantificazione in separato giudizio, nonché al risarcimento dei danni conseguenti al rigetto. I ricorrenti hanno, infine, fatto riserva di domandare in separato giudizio il risarcimento dei danni iure proprio e nella qualità di eredi del Maresciallo capoOMISSIS-, in ragione delle vicende esposte e del decesso del loro congiunto, nonché di agire per ogni altra spettanza. 5. Il Ministero della difesa e il Ministero dell’economia e delle finanze si sono costituiti con atto di mera forma per resistere al ricorso. 6. In esito all’udienza dell’11 luglio 2018, la S.......................ne ha emesso la sentenza parziale n. 9444 del 2018, con la quale ha dichiarato il ricorso parzialmente inammissibile per difetto di giurisdizione, limitatamente alla parte riguardante il diniego della concessione dei benefici richiesti dal Maresciallo capo-OMISSIS-ai sensi del d.P.R. n. 243 del 2006, quale equiparato a “vittima del dovere”. Con la medesima sentenza è stata disposta una verificazione, per la decisione delle rimanenti domande, incaricando il Direttore dell’IFO – Istituto dei tumori Regina Elena, con sede in Roma, con facoltà di delega a un medico con specifica conoscenza sulla materia, al fine di chiarire se, in base alle attuali conoscenze scientifiche, possa ritenersi verosimile, o altamente probabile, che la specifica patologia sofferta dal Maresciallo capo -OMISSIS-, tenuto conto anche dei tempi di insorgenza e delle modalità di evoluzione, sia riconducibile all’attività svolta dal militare o, al contrario, se detto rapporto di causalità possa essere ragionevolmente escluso.
È stato, inoltre, disposto, a carico dell’Amministrazione della difesa, il deposito di “una dettagliata e documentata relazione circa la vicenda in esame e la relativa documentazione, con particolare attenzione: - a compiti, funzioni e modalità operative seguite dal militare in relazione al servizio prestato, anche per quanto riguarda le missioni internazionali cui lo stesso ha partecipato, con specifico riguardo ad eventuali condizioni implicanti l’esistenza, o anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che potrebbero aver esposto lo stesso a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto; - alle misure cautelative adottate nell’area interessata, e dunque nei confronti del militare, come richieste dall’eventuale normativa di riferimento, o comunque suggerite dalle conoscenze sperimentali, o tecniche, circa i rischi incombenti e lesivi dell’integrità psicofisica dei militari in servizio e in determinate missioni internazionali; - a eventuali deduzioni alle contrarie argomentazioni prospettate dalla parte e giudicate utili ai fini della definizione della presente controversia; - corredata dalla documentazione matricolare del ricorrente”. 7. Con le successive ordinanze n. 917 del 24 gennaio 2019, n. 4859 del 15 aprile 2019 e n. 10077 del 29 luglio 2019 sono state concesse all’Organo incaricato della verificazione altrettante proroghe del termine per il deposito della relazione conclusiva, la quale è stata infine depositata il 2 settembre 2019. I sanitari delegati per l’incombente, in chiusura della disamina svolta, hanno affermato che “non può ritenersi verosimile né altamente probabile che la specifica patologia sofferta dal dante causa sia riconducibile all’attività da lui svolta e pertanto il rapporto di causalità tra la presunta (indimostrata) esposizione lavorativa all’amianto e la infermità che condusse a morte il M.C.--OMISSIS-può essere ragionevolmente escluso”.
8. È invece rimasto inadempiuto l’incombente istruttorio disposto a carico del Ministero della difesa. 9. In prossimità dell’udienza pubblica del 5 febbraio 2020, la difesa dei ricorrenti ha depositato documenti, tra i quali le note del consulente tecnico di parte alla relazione di verificazione, e ha inoltre diffusamente contestato gli esiti della verificazione mediante un’apposita memoria. La medesima parte ha anche prodotto alcuni atti del giudizio riproposto innanzi alla S.......................ne Lavoro del Tribunale di Pescara, a seguito della sentenza declinatoria della giurisdizione di questa S.......................ne n. 9444 del 2018, sopra richiamata. In particolare, è stata depositata la relazione conclusiva della consulenza tecnica d’ufficio resa nell’ambito del predetto giudizio, nonché la sentenza depositata il 16 settembre 2019, con la quale il Tribunale di Pescara ha riconosciuto lo status di “vittima del dovere” del Maresciallo capo -OMISSIS-. 10. Con ordinanza n. 2567 del 27 febbraio 2020, la S.......................ne ha rilevato “la necessità, anche all’esito della verificazione di natura medica già esperita presso l’IFO - Istituto dei Tumori Regina Elena, di disporre una nuova verificazione, (...) avente oggetto parzialmente diverso, mirata a verificare: - se nel laboratorio Laboratorio di Analisi dell’Ospedale Militare di Chieti presso il quale il deceduto (...) ha prestato servizio dal 16/9/1992 al 18/7/2012, svolgendo le mansioni di Infermiere professionale addetto al Laboratorio di Analisi Cliniche e, secondo i ricorrenti, anche quelle di Tecnico Sanitario di Laboratorio Biomedico, fossero effettivamente in dotazione attrezzature contenenti amianto, anche con particolare riferimento a pinze metalliche con i bracci coibentati con fasce di amianto, tappetini dì amianto, reticelle o retini spargifiamma o rompifiamma rivestiti in amianto, guanti in amianto, forni elettrici coibentati con amianto e dotati di guarnizioni degli sportelli in amianto e quant’altro;
- se e in quale misura e per quale periodo il deceduto (...) può essere stato esposto ad amianto nell’ambito dell’ambiente lavorativo, sia nel Laboratorio di Analisi dell’Ospedale Militare di Chieti, che nel corso delle sue missioni all’estero e delle altre incombenze lavorative”. Dell’incombente è stato incaricato il Direttore generale dell’INAIL di Roma, con facoltà di delega a un esperto in materia. 11. Nella relazione, depositata in giudizio il 17 novembre 2020, l’Organo incaricato della verificazione ha concluso nel senso che “non vi sono evidenze che il lavoratore sia stato esposto all’amianto nell’espletamento delle attività richieste dal ruolo di appartenenza, ossia di Infermiere professionale, nel corso della propria attività lavorativa”. 12. In prossimità dell’udienza pubblica fissata per la trattazione della causa, i ricorrenti hanno depositato le osservazioni del proprio consulente tecnico di parte alla relazione conclusiva della seconda verificazione e, inoltre, una memoria e delle note di udienza. 13. All’udienza pubblica del 9 aprile 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, la causa è stata infine trattenuta in decisione. 14. Come sopra detto, con la sentenza n. 9444 del 2018, questa S.......................ne ha dichiarato parzialmente inammissibile il ricorso, per difetto di giurisdizione, “(...) limitatamente alla parte in cui ha impugnato il provvedimento di diniego della concessione dei benefici di cui al D.P.R. n. 243/2006, quale equiparato a vittima del dovere (...)”. Rimangono pertanto da decidere le residue domande, concernenti: (i) il diniego del riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio; (ii) il risarcimento dei danni. 15. Prendendo in esame anzitutto il tema concernente il riconoscimento della dipendenza della patologia da causa di servizio, il Collegio osserva che, con il provvedimento del 6 dicembre 2013, il Ministero della difesa ha affermato che
l’infermità “-OMISSIS-” è riconosciuta non dipendente da causa di servizio né riconducibile a particolari condizioni ambientali od operative di missione. 15.1. Con il predetto provvedimento è stato, quindi, negato non solo il riconoscimento, in favore del militare deceduto, del particolare status di equiparato a “vittima del dovere”, ai sensi dell’articolo 1, comma 564, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ma anche il riconoscimento della mera dipendenza dell’infermità da causa di servizio. Occorre, infatti, tenere presente che, ai sensi dell’articolo 6, comma 6, del d.P.R. n. 243 del 2006, “Nell’esame delle pratiche in cui le infermità non risultino ancora riconosciute dipendenti da causa di servizio, oltre al parere di cui all’articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461 [concernente il riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, n.d.r.], il Comitato esprime contestualmente anche il parere motivato di cui al comma 4”, ossia il parere riguardante la “riconducibilità delle infermità dipendenti da causa di servizio alle particolari condizioni ambientali od operative di missione”. Nel caso oggetto del presente giudizio, il predetto Comitato si è pronunciato in senso sfavorevole, come detto, non solo in ordine alla sussistenza delle “particolari condizioni ambientali od operative di missione”, richieste per il riconoscimento dello status di “vittima del dovere”, ma anche sulla presupposta condizione della dipendenza dell’infermità da causa di servizio. Conseguentemente, a seguito della declinatoria della giurisdizione in ordine al primo profilo, rimane da vagliare l’illegittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui si riferisce al secondo. 15.2. Sul punto, va ancora chiarito che le domande di parte ricorrente devono essere correttamente inquadrate ai fini del presente giudizio, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale “il giudizio espresso dal Comitato di verifica delle cause di servizio costituisce espressione di
discr.......................nalità tecnica, basato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza tecnica; quindi, esso non è sindacabile nel merito ed è censurabile per eccesso di potere solo in caso di assenza di motivazione, manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti o mancata considerazione della sussistenza di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2020, n. 6898; ex multis, id., sez. IV, n. 6169 del 2018; n. 5110 del 2018; n. 2460 del 2018)” (così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2631). Ne consegue che è precluso al Giudice amministrativo di dichiarare la sussistenza della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, essendo invece consentito nella presente sede giurisdizionale soltanto lo scrutinio della legittimità del diniego del riconoscimento da parte dell’Amministrazione, nei limiti propri del sindacato sulla discr.......................nalità tecnica. Per la stessa ragione, in assenza di un provvedimento che abbia accertato tale nesso
di
dipendenza,
non
è
consentito
al
Giudice
condannare
l’Amministrazione alla liquidazione in favore dei ricorrenti di tutte le spettanze conseguenti al riconoscimento stesso. 16. Così chiarita la portata della prima domanda da esaminare in questa sede, rileva il Collegio che costituisce un fatto non controverso che il Maresciallo capo -OMISSIS-. 17. Con riferimento all’.......................genesi di tale patologia, la relazione di verificazione redatta dall’IFO riporta il dato secondo il quale “L’amianto (o asbesto) è causa dell’80% dei casi di -OMISSIS- Il 20% dei casi, invece, non mostra evidenza di esposizione all’amianto” (relazione di verificazione, p. 11). Al riguardo, il prof. Pierluigi Bernardini, consulente di parte dei ricorrenti, precisa utilmente che “Questa espressione lascia intendere ad una persona che non sia un medico con conoscenze approfondite sulla malattia, che nel 20% dei casi la causa del -OMISSIS- è un’altra, il che è falso, in quanto è accertato che
nessun altro agente cancerogeno diverso dall’amianto (o da minerali simili) è in grado di indurre nell’uomo un -OMISSIS-. Dunque la percentuale dell’80% citata dai Verificatori non dimostra che il 20% dei casi di -OMISSIS- in cui non è stata trovata l’esposizione dipendono da altre cause, ma dimostra che per vari motivi (in particolare difficoltà a raccogliere informazioni in caso di persone già decedute a causa della malattia) non si è riusciti a rintracciare la fonte di esposizione” (cfr. relazione depositata il 20 dicembre 2019, p. 4). In effetti, secondo quanto riconosciuto dalla giurisprudenza, sulla scorta degli approdi in materia della scienza medica, il -OMISSIS-presenta una “univocità di dipendenza .......................logica dall’esposizione all’asbesto” (TAR Puglia, Lecce, 16 aprile 2020, n. 455), tanto che, come già affermato da questa S.......................ne, “costituisce ormai fatto notorio l’effetto carcinogenico dell’amianto nell’insorgenza del --OMISSIS-” (TAR Lazio, Roma, Sez. I bis, 16 gennaio 2017, n. 655). 18. Quanto alle modalità con cui si sviluppa il processo patologico che correla l’esposizione all’amianto all’insorgenza della malattia, la Corte di Cassazione ha da tempo riconosciuto che l’.......................patogenesi tumorale da esposizione professionale a fibre d’amianto è di tipo “dose-dipendente”, potendo le esposizioni successive alla prima avere natura concausale, aumentando statisticamente il rischio di riduzione della latenza e accelerazione del processo maligno (Cass. pen., Sez. IV, n. 49215 del 2012). Si è rimarcato, in questa prospettiva, che “questa Corte si è espressa recentemente in termini inequivocabili, affermando che la letteratura scientifica è sostanzialmente convergente sulla circostanza che nella fase di induzione ogni esposizione ha un effetto causale concorrente, non essendo necessario l’accertamento della data dell’iniziale insorgenza della malattia e, pur non essendovi certezze circa la dose sufficiente a scatenare l’insorgenza del --OMISSIS-, è stato comunque accertato che il rischio di insorgenza è
proporzionale al tempo e all’intensità dell’esposizione, nel senso che l’aumento della dose è inversamente proporzionale al periodo di latenza (ovvero l’intervallo temporale compreso tra l’avvio dell’esposizione ad amianto e la data della diagnosi o manifestazione clini del tumore): insomma, la scienza medica riconosce un rapporto esponenziale tra dose cancerogena assorbita determinata dalla durata e dalla concentrazione dell’esposizione alle polveri di amianto e risposta tumorale (...)” (Cass. pen., Sez. IV, n. 11128 del 2015). La giurisprudenza successiva ha evidenziato che “Tale pronuncia si colloca nell’alveo segnato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (tra tutte, Cass. pen. Sez. IV, n. 988 del 11.7.2002, Rv. 227000, Macola) "che ha ritenuto corretta, anche per il -OMISSIS-, la teoria scientifica di un processo patologico che mette in crisi la teoria della "dose killer o della dose trigger, che viene squalificata come frutto di artificio".” (Cass. civ, Sez. lav. n. 8292 del 2019; Id. n. 7640 del 2019). Più di recente, si è precisato che “la teoria dose-correlata, prescelta e accreditata in particolare dalla III Consensus Conference (...), indica il susseguirsi di due fasi distinte: quella della c.d. induzione (a sua volta distinta in iniziazione e promozione) in cui ogni successiva esposizione è rilevante sul piano causale ai fini del prodursi del --OMISSIS-; e la fase della c.d. progressione, o latenza in cui il processo carcinogenetico è irreversibile e ogni successiva esposizione all’amianto è ormai irrilevante. Lo spartiacque fra le due fasi - ossia il momento in cui termina la fase dell’induzione e quello dopo il quale si colloca la fase della progressione o latenza clinica - è costituito dal c.d. failure time, che segna il momento a partire dal quale le ulteriori esposizioni all’amianto sono prive di rilevanza causale” (Cass. pen., Sez. IV, 29 ottobre 2020, n. 34341). 19. Discende da quanto sin qui esposto che la patologia che ha causato il decesso del Maresciallo capo Giuseppe-OMISSIS-è stata ragionevolmente
causata dall’esposizione all’amianto e che – accogliendo le opinioni scientifiche maggiormente accreditate in materia e fatte proprie dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche in applicazione dei rigorosi canoni di prova della causalità operanti in sede penale – qualunque esposizione a tale sostanza ha effetto causale nell’insorgenza della malattia o nella riduzione del periodo di latenza. Ulteriore corollario di quanto sin qui illustrato è che laddove risulti provata una esposizione del militare all’amianto nel corso del proprio servizio, tale esposizione, indipendentemente dall’entità della dose assorbita, riveste rilevanza causale ai fini dell’insorgenza della malattia o dell’accelerazione del processo patologico. 20. Occorre quindi accertare se l’esposizione all’amianto possa ritenersi provata. 21. I ricorrenti hanno depositato agli atti del giudizio copiosa documentazione volta a comprovare che tale esposizione vi sia stata. Per fare soltanto qualche esempio, sono state depositate le fotografie relative alla prima missione in Kosovo del Maresciallo capo -OMISSIS-, che ne attestano la presenza in teatri di guerra, nonché le immagini che dimostrano, ancora nel 2013 (e quindi persino dopo il decesso del militare), l’impiego di amianto nelle cucine militari da campo. Sono state inoltre prodotte le analisi che comprovano la presenza di significativi quantitativi di U-238 nelle urine del Maresciallo capo-OMISSIS-dopo la prima missione all’estero, nonché i contributi tecnici dei due consulenti della parte ricorrente. 22. La S.......................ne, come detto, ha disposto al riguardo due verificazioni, le quali sono pervenute a negare che il militare sia stato esposto all’amianto e, comunque, che possa ravvisarsi un nesso di causalità tra l’attività svolta e la patologia riscontrata.
Il Collegio ritiene, tuttavia, di non poter fare propri gli esiti di tali valutazioni, in quanto, pur tenendo nella massima considerazione il contributo offerto dai verificatori, la metodologia adottata dai medesimi appare sotto alcuni profili non convincente, per le ragioni che si passa a illustrare. 22.1. Con riferimento alla verificazione eseguita dall’IFO, si osserva che l’indagine condotta non reca un approfondimento specifico con riferimento all’attività svolta dal militare durante le missioni all’estero. In relazione a tale attività viene soltanto escluso – peraltro senza richiamare precisi dati scientifici ed elementi di fatto – che possano aver avuto efficacia causale o concausale, ai fini dell’insorgenza della malattia, l’esposizione a polvere contenente anche metalli tossici e frammenti radioattivi di proiettili contenenti uranio impoverito, la preesistente inf.......................ne da virus dell’epatite C, già riconosciuta dipendente da causa di servizio, e lo stress derivato al militare dallo svolgimento del servizio in aree interessate da eventi bellici. La relazione si concentra invece sull’attività svolta dal militare presso il laboratorio di analisi dell’Ospedale di Chieti, ove secondo la tesi dei ricorrenti venivano impiegati materiali contenenti amianto, e in particolare becchi di Bunsen utilizzati con reticelle spargifiamma contenenti amianto, guanti di amianto, forni coibentati con amianto, reti idrauliche parimenti coibentate con amianto. Al riguardo, la relazione illustra le ragioni per le quali i verificatori ritengono poco verosimile l’impiego di becchi di Bunsen nel periodo di attività del militare, pur riconoscendo che “il settore della Difesa non possa certo essere considerato, nell’ambito sanitario, tra quelli tecnologicamente più avanzati nel periodo 1992-2012” (p. 19 della relazione). Ciò posto, nella relazione si afferma l’avvenuta acquisizione di documentazione proveniente dall’Ospedale militare di Chieti, e in particolare del relativo DVR (documento di valutazione dei rischi di infortunio sul lavoro e di prevenzione
delle malattie professionali), trasmesso dalla resistente Amministrazione della difesa, consistente in “un insieme di vari documenti relativi a rilevazioni eseguite negli ambienti di lavoro, verbali di riunioni, verbali di sopralluogo, censimenti delle infrastrutture degli impianti, dei servizi e dei luoghi di lavoro, elencazione dei D.P.I. (dispositivi di prot.......................ne individuale), decisioni adottate, nomine di RSPP e medico competente, ecc., tutti/e eseguiti/e in un arco temporale compreso tra il 1999 e il 2009” (relazione di verificazione IFO, p. 20). La predetta documentazione non è stata tuttavia depositata agli atti del giudizio in allegato alla relazione di verificazione, né prodotta dall’Amministrazione resistente; circostanza, questa, che rende non verificabili le conclusioni che i verificatori traggono dall’esame del DVR. Peraltro, ciò che emerge dalla lettura degli atti, secondo i verificatori, è unicamente che “Alcuni di tali documenti inclusi nel DVR riguardano anche il Laboratorio di Analisi Cliniche dell’O.M. di Chieti, ma il rischio di esposizione all’amianto non è mai citato, né lo è l’impiego di becchi di Bunsen (e quindi neppure di reticelle spargifiamma con parte centrale verniciata di amianto) o di altre possibili fonti di esposizione”. Da tali limitati elementi – sostanzialmente consistenti in un’assenza di dati volti a confermare o smentire la presenza di amianto – viene tratta, tuttavia, la ben più pregnante conclusione che “Tale documento consente pertanto di escludere ragionevolmente che dal 1999 al 2009 presso l’Ospedale Militare di Chieti fosse presente il rischio di esposizione lavorativa ad amianto del personale ivi operante (militare e civile). Ciò costituisce anche verifica negativa indiretta della eventuale persistenza del rischio eventualmente già presente in anni precedenti (ad esempio in caso di prosecuzione nell’impiego di vecchie reticelle spargifiamma, oppure per altre modalità, come ad esempio la eventuale presenza di tettoie in eternit posizionate in anni precedenti, ecc.), tenendo
presenti anche le prescrizioni della citata legge 257/1992, che a partire dall’aprile 1994, come detto, introdusse il divieto di estrazione, importazione, commercializzazione e produzione d’amianto e di tutti i prodotti contenenti amianto”. Da ultimo, la relazione afferma che “Riguardo alle altre possibili modalità con le quali il M.C.-OMISSIS-sarebbe stato esposto al rischio di amianto citate dal prof. Pierluigi Bernardini, diverse dalle reticelle spargifiamma utilizzate coi becchi di Bunsen, oltre ad osservare che nessuna prova è stata prodotta al riguardo, si deve obiettare che la maggioranza delle ipotesi proposte fa riferimento a mansioni che il-OMISSIS-non risulta avere mai svolto (esposizione a polveri di freni e di coibentazioni di automezzi militari, del corpo e dei motori di elicotteri, di cucine da campo), oppure a circostanze del tutto particolari (come il disfacimento di rivestimenti di tubazioni di acqua calda, di tappetini e attrezzature di laboratorio in amianto), che non è noto se mai si siano verificate nella specie (per quanto riguarda i forni e le loro guarnizioni vale quanto detto sopra a proposito delle reticelle spargifiamma) e che nel caso potrebbero aver dato luogo ad esposizione occasionale, nel corso della quale si ipotizza che si sarebbe verificata la inalazione di fibre di amianto. Tuttavia non v’è evidenza che il militare sia stato esposto ad amianto con alcuna delle modalità ipotizzate”. Si tratta di valutazioni che appaiono apodittiche, atteso che la circostanza che il militare non fosse addetto alla guida di elicotteri o mezzi corazzati e non fosse direttamente impiegato per la preparazione dei cibi nelle cucine da campo non equivale ad affermare che non sia stato mai esposto alle fibre di amianto liberate nei suddetti contesti, tenuto conto delle circostanze specifiche affermate nel ricorso. Non viene inoltre preso in considerazione quanto sostenuto dai ricorrenti e documentato agli atti del giudizio in ordine alla presenza del militare, accanto
agli artificieri incaricati del disinnesco di ordigni inesplosi, in teatri bellici contaminati precedenti detonazioni. Pur nella massima considerazione del contributo dei verificatori, i quali hanno dovuto confrontarsi con la indiscutibile difficoltà di ricostruzione, a distanza di molti anni, delle circostanze in cui il militare ha operato, sia in Italia che all’estero, non può pertanto condividersi la metodologia d’indagine utilizzata. La valutazione è stata infatti focalizzata sostanzialmente sulla sola attività svolta dal Maresciallo capo-OMISSIS-presso l’Ospedale militare di Chieti e, con riguardo a tale attività, la presenza di amianto è stata esclusa sulla base di mere ipotesi circa l’organizzazione e le dotazioni del laboratorio di analisi, nonché di un documento, il DVR, che: (i) non è stato prodotto agli atti del giudizio; (ii) si limita a non contenere riferimenti all’amianto, ma neppure ne esclude espressamente la presenza; (iii) si riferisce soltanto al periodo 19992009, e non anche al periodo 1992-1998, nel quale era più probabile la presenza di amianto, messo al bando solo dalla legge del 1992. Laddove avessero ritenuto non sufficienti gli elementi in loro possesso, i verificatori avrebbero potuto eventualmente richiedere al Ministero della difesa ulteriori elementi, ovvero dichiarare l’insufficienza dei dati disponibili al fine della formulazione del giudizio. Appare, invece, metodologicamente non condivisibile la scelta di escludere il nesso di causalità sulla base di presunzioni e di documenti sostanzialmente “neutri”. Per queste ragioni, come anticipato, il Collegio non ritiene di poter condividere nel complesso la metodologia utilizzata dai verificatori dell’IFO e, conseguentemente, neppure le conclusioni cui essi giungono. 22.2. Con riguardo alla seconda verificazione, eseguita dall’INAIL, prescindendo dalla disamina delle ecc.......................ni sollevate dai ricorrenti, deve constatarsi che parimenti la metodologia seguita non appare convincente.
22.2.1. Anche in questo caso la verificazione dà atto dell’avvenuta acquisizione, da parte del verificatore, di documentazione appositamente richiesta al Ministero della difesa “proveniente in parte dall’archivio del Dipartimento militare di medicina legale di Roma che ha acquisito una porzione residuale del carteggio del Dipartimento militare di medicina legale di Chieti a seguito della chiusura avvenuta nell’aprile del 2013, e successiva soppressione, dove il-OMISSIS-svolse prevalentemente la sua attività” (relazione verificazione INAIL, p. 1). Come nel caso della prima verificazione, la documentazione non è stata, tuttavia, depositata agli atti del giudizio. È plausibile che gli atti visionati dal secondo verificatore corrispondano in toto o in gran parte a quelli esaminati dai primi verificatori. Nella relazione si legge infatti che “Sono stati forniti quattro fascicoli contenenti documentazione varia, tra cui diverse edizioni del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) a partire dal 1999, comprensive degli atti di approvazione e dei verbali delle riunioni periodiche a cui hanno partecipato, tra gli altri, i rappresentanti dei lavoratori oltre alle altre figure previste dal D.Lgs. 626/94 prima e dal D.Lgs. 81/08 poi” (relazione di verificazione INAIL, p. 6). Il riferimento ai documenti forniti al verificatore appare in linea con quanto riportato nella prima relazione di verificazione, ove si afferma che “l’Amministrazione della Difesa trasmetteva agli scriventi i 4 fascicoli del “Documento di Valutazione dei Rischi di Infortunio sul Lavoro e di Prevenzione delle Malattie Professionali” del Centro Militare di Medicina legale di Chieti (già ospedale militare di Chieti)” (relazione di verificazione IFO, p. 9). Le tipologie di documenti contenute nei fascicoli vengono, inoltre, descritte in modo analogo nelle due relazioni. Ciò posto, la seconda verificazione risulta contenere alcuni elementi di fatto importanti, poiché ricostruisce puntualmente le mansioni svolte dal militare, periodo per periodo, comprovando anche il fatto che, durante le missioni
all’estero, il Maresciallo capo-OMISSIS-è stato impiegato principalmente quale “Addetto Supporto sanitario Team EOD”, “Addetto aviosgomberi” e “Addetto Supporto plotone EOD e team IEDD”, questi ultimi (improvised explosive detection and disposal) deputati allo svolgimento di attività di rilevazione, controllo e bonifica di ordigni esplosivi (§ 2). La relazione appare tuttavia non convincente nella parte in cui si pronuncia in ordine agli ambienti di lavoro nei quali le suddette mansioni sono state svolte, deducendo ancora una volta dalla mancanza di dati di segno positivo o negativo l’assenza di esposizione all’amianto. Il secondo verificatore afferma infatti che “In nessun caso l’amianto viene riportato come argomento nelle riunioni, né segnalazioni sono state avanzate dai vari partecipanti, nemmeno da parte dei lavoratori o loro rappresentanti che hanno sempre mostrato, di norma, particolare sensibilità verso gli aspetti della salute e sicurezza in presenza di amianto”, aggiungendo che “Il rischio derivante da amianto non viene rilevato in nessuno dei dipartimenti dell’Ospedale militare di Chieti” (relazione di verificazione INAIL, p. 7). Nell’interrogarsi, poi, sulla possibile presenza di amianto nel laboratorio di analisi dell’Ospedale militare di Chieti, il verificatore afferma che “In particolare l’attenzione va posta sostanzialmente verso apparecchiature che necessitando di isolamento termico potevano contenere amianto come coibente (forni, termostati e autoclavi), attrezzature per lavorazioni a caldo (retine, becchi bunsen), dispositivi di prot.......................ne individuali anticalore (guanti) e utensili per manipolare oggetti caldi (pinze). Tale eventualità è ammissibile fino al 1992, anno in cui entra in vigore il definitivo divieto di utilizzo di amianto, sebbene l’industria e il mondo tecnologico in genere avevano già prima di tale data, sicuramente dalla metà degli anni ‘80, intrapreso un percorso di progressivo abbandono di tale sostanza, essendone già noti da tempo gli effetti nocivi sulla salute, anche in considerazione del
fatto che erano ormai disponibili materiali sostitutivi sicuri” (relazione di verificazione INAIL, p. 8 s.). Nella relazione si espone quindi che dalla consultazione di “alcuni cataloghi risalenti alla prima metà degli anni ‘90 di una ditta specializzata (...) operante nella fornitura di apparecchiature per laboratori afferenti a diverse branche delle scienze biologiche e mediche” risulterebbe non impiegato l’amianto (relazione di verificazione INAIL, p. 9) e si afferma che, in base ai dati a disposizione, “appare improbabile una concreta esposizione a fibre di amianto, pur nella ipotesi di adibizione come tecnico sanitario di laboratorio biomedico di cui manca una chiara evidenza nel carteggio visionato. Si esclude ugualmente esposizione professionale, come già detto, per i servizi prestati presso altri reparti e/o servizi ospedalieri mancando il presupposto della presenza e utilizzo di amianto in alcuna forma” (relazione di verificazione INAIL, p. 10). Il verificatore esclude, inoltre, l’esposizione ad amianto del militare anche nel corso
delle
missioni
all’estero,
benché
non
risulti
uno
specifico
approfondimento delle condizioni di svolgimento delle predette missioni e nonostante sia stato riscontrato l’impiego al seguito dei team di artificieri (relazione di verificazione INAIL, p. 10). Si afferma, ancora, che le mansioni cui era adibito il militare presso l’Ospedale militare non rientrerebbero tra quelle che, secondo i dati consultati dal medesimo verificatore, sarebbero maggiormente a rischio di malattie asbestocorrelate (relazione di verificazione INAIL, p. 10 e ss.). Nella relazione si perviene quindi a sostenere che, stante la messa al bando dell’amianto nel 1992, “in ottica conservativa si può ammettere, per un tempo limitato di uno o due anni al massimo, la presenza di amianto in maniera del tutto residuale nelle apparecchiature di laboratorio vetuste, sebbene l’efficienza e la precisione richiesta nello specifico settore ne implica il
continuo aggiornamento, o nei materiali di consumo già acquisiti in via di smaltimento, ma in generale si può ritenere che gli ambienti di lavoro fossero sostanzialmente privi di amianto. Dal 1999 i documenti dei Servizi di prevenzione e prot.......................ne del Dipartimento militare di medicina legale di Chieti escludono, di fatto, la presenza di amianto nell’intero complesso ospedaliero non riportando in alcun caso evidenze di amianto e problematiche ad esso legate sia in termini di valutazione dei rischi sia in ambito di interventi di riqualificazione e adeguamento di impianti e strutture” (relazione di verificazione INAIL, p. 12 e s.). Da ciò la conclusione nel senso che “non vi sono evidenze che il lavoratore sia stato esposto all’amianto nell’espletamento delle attività richieste dal ruolo di appartenenza, ossia di Infermiere professionale, nel corso della propria attività lavorativa” (relazione di verificazione INAIL, p. 13). 22.2.2. Al riguardo, deve osservarsi che, anche a voler ritenere che il DVR del 1999-2009, che nulla dice sul punto, possa dimostrare l’assenza di amianto nel suddetto periodo, non appare convincente la deduzione del verificatore circa l’assenza di amianto prima della suddetta data. È infatti lo stesso verificatore ad affermare che l’amianto veniva impiegato in passato nelle attrezzature dei laboratori di analisi. La circostanza che il materiale sia stato messo al bando nel 1992 non dimostra pertanto che, dal giorno successivo dell’entrata in vigore della normativa, tutto l’amianto esistente sia stato immediatamente eliminato da ogni ambiente di lavoro. Del resto, che lo smaltimento dell’amianto impiegato negli anni passati sia tuttora in corso costituisce un dato di comune esperienza. Non a caso lo stesso verificatore afferma che non possa escludersi la presenza di amianto nel laboratorio di analisi nei primi anni immediatamente successivi alla data di entrata in vigore della legge n. 257 del 1992.
Questa affermazione appare di non poco rilievo, tenuto conto di quanto sopra detto in merito alla natura dose-dipendente del -OMISSIS-e alla circostanza che qualunque esposizione, anche di breve o brevissima durata, presenta rilevanza causale ai fini dell’insorgenza della malattia. Conseguentemente, anche la seconda verificazione non conduce a esiti condivisibili, poiché esclude l’esposizione ad amianto del militare non solo per il periodo 1999-2009, oggetto del DVR, ma anche per il periodo 1992-1998, nonostante l’assenza di elementi di valutazione al riguardo, e persino per i periodi delle missioni all’estero, in relazione ai quali il verificatore non risulta aver effettuato specifici approfondimenti, pur avendo accertato l’impiego del militare a supporto dei team incaricati della bonifica da ordigni inesplosi. 22.3. In conclusione, sul punto, gli esiti delle due relazioni di verificazione non possono essere fatti propri dal Collegio, perché, a fronte di una ritenuta carenza di dati, non è stata richiesta l’acquisizione di ulteriori elementi, né è stata comunque evidenziata l’insufficienza delle informazioni disponibili, ma – nell’intento di per sé apprezzabile di voler fornire comunque una risposta ai quesiti di questo Tribunale – sono state formulate conclusioni che non appaiono fondate su meccanismi logico-deduttivi metodologicamente condivisibili. 23. Deve osservarsi, peraltro, che la difficoltà che le due verificazioni disposte hanno tentato di risolvere nel modo ora illustrato deriva sostanzialmente dal comportamento tenuto dal Ministero della difesa, dal quale è consentito al Giudice desumere argomenti di prova (cfr. articolo 64, comma 4, cod. proc. amm.). Come detto, infatti, l’Amministrazione non ha dato riscontro all’incombente istruttorio disposto a suo carico dalla sentenza n. 9444 del 2018 e, pur essendosi costituita in giudizio, si è limitata a fornire documentazione in occasione delle due verificazioni e a intervenire in contraddittorio nella prima, senza peraltro versare in atti i medesimi documenti esibiti ai verificatori. Ciò nonostante
l’evidente prossimità della prova in cui il Ministero versa rispetto ai ricorrenti, i quali conoscono soltanto de relato le circostanze in cui ha operato il proprio congiunto deceduto. 24. In una tale situazione, il Collegio non può esimersi dal constatare che la copiosa documentazione prodotta agli atti del giudizio dai ricorrenti costituisce quanto meno un principio di prova dell’esposizione all’amianto del Maresciallo capo -OMISSIS-. A fronte delle precise allegazioni svolte dai ricorrenti, documentate con quanto nella disponibilità dei medesimi (cfr. articolo 64, comma 1, cod. proc. amm.), il Ministero della difesa aveva un onere processuale di specifica confutazione, potendo altrimenti quanto dedotto da controparte essere ritenuto provato (cfr. articolo 64, comma 2, cod. proc. amm.). 25. Le allegazioni dei ricorrenti sono peraltro avvalorate anche dalla relazione del consulente tecnico nominato dal Tribunale di Pescara, nell’ambito del giudizio avente ad oggetto il riconoscimento dello status di “vittima del dovere”. Il predetto consulente, tenuto conto di tutti gli elementi acquisiti, incluse le dichiarazioni rese dai testi escussi in quel giudizio in ordine alla presenza di amianto nelle situazioni in cui ha operato il Maresciallo capo -OMISSIS-: (i) ha riscontrato che il militare “nel corso della propria attività lavorativa ha avuto una esposizione da amianto consistente”; (ii) ha ritenuto la “latenza tra esposizione e malattia pienamente compatibile con la latenza propria del -OMISSIS-, che si considera compresa in un range tra 10 e 70 anni”; (iii) ha rimarcato il ruolo di fattori concausali legati parimenti all’attività lavorativa del militare (la preesistente inf.......................ne da virus epatitico C riconosciuta da causa di servizio, l’accertata esposizione a radiazioni ionizzanti in corso di missioni all’estero in dosi superiori a quelle della popolazione generale, una quota di stress causata dallo svolgimento del servizio in aree interessate, il
rilevamento di U-238 nelle urine in concentrazione superiore al valore limite); (iv) ha concluso nel senso che “vi è una piena plausibilità biologica del rapporto causale tra esposizione e malattia, pertanto sussistono tutti gli elementi per affermare che il -OMISSIS-che ha determinato la morte del Sig.OMISSIS-è stato causato dall’esposizione lavorativa ad amianto”. La sentenza del Tribunale di Pescara, parimenti depositata in giudizio, ha conseguentemente concluso nel senso del riconoscimento dello status di “vittima del dovere” del Maresciallo capo -OMISSIS-. 26. Alla luce di tutto quanto esposto, il Collegio ritiene pertanto che la domanda proposta avverso il diniego del riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio debba essere accolta, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato e degli atti del relativo procedimento, nella parte in cui si riferiscono al suddetto profilo. 27. Può quindi passarsi all’esame della domanda risarcitoria. 27.1. I ricorrenti hanno chiesto “il risarcimento dei danni per l’illegittimità degli atti impugnati con il presente ricorso, e per il superamento dei termini di durata dei procedimenti amministrativi e di tutte le norme che regolano i procedimenti amministrativi” (così a p. 42 del ricorso). Viene inoltre precisato che “I danni di cui si chiede il risarcimento in questa sede sono quelli costituiti alla illegittimità del diniego e legati anche alle motivazioni del provvedimento, giustificato sulla base del fatto che il deceduto, venuto a mancare il 26.02.2013, nulla avrebbe avuto da obiettare in relazione ad un parere reso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in data 10.09.2013” (pp. 43 e s. del ricorso). In questa prospettiva, i ricorrenti hanno lamentato in particolare di aver sofferto di un danno morale, consistente in perturbamenti dell’animo derivanti dal provvedimento di diniego e dalle relative motivazioni. 27.2. Al riguardo, deve osservarsi che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, “il principio generale dell’onere della prova previsto nell’art.
2697 c.c., si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al danneggiato dare in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e quindi del danno di cui si invoca il ristoro per equivalente monetario, con la conseguenza che, laddove la domanda di risarcimento danni manchi dalla prova del danno da risarcire, la stessa deve essere respinta (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015 n. 282); ciò riguarda anche il c.d. danno da ritardo, atteso che la pretesa risarcitoria relativa al danno da ritardo va ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2017 n. 563)” (così, ex multis, tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 15 febbraio 2021, n. 1354). Quanto allo specifico profilo del risarcimento del danno non patrimoniale, la giurisprudenza ha chiarito che “premesso che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti il danno morale afferisce alle sofferenze interne patite dal danneggiato per effetto dell’illecito, mentre il danno esistenziale riguarda l’impatto modificativo "in pejus" nella vita di relazione (cfr. Cass. civ. Sez. III, 27 marzo 2019, n. 8442), ai fini del riconoscimento di un danno non patrimoniale, occorre comunque l’allegazione e la prova delle conseguenze pregiudizievoli effettivamente subite. In subiecta materia, trova applicazione il principio per cui “la lamentata lesione di diritti inviolabili della persona, come l’onore e la reputazione, garantiti dall’art. 2 della Costituzione, che fa sorgere, ex se, in
capo all’offeso il diritto al risarcimento del danno morale ai sensi dell’art. 2059 c.c., costituisce pur sempre un’ipotesi che deve essere oggetto di allegazione e prova” (Consiglio di Stato Sez. IV, 15 settembre 2020, n. 5455)” (Cons. Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2020, n. 8368). 27.3. Alla luce delle coordinate ermeneutiche ora esposte, la domanda di risarcimento del danno non può essere accolta. Nessuna specifica allegazione e prova viene fornita, infatti, in merito al danno che sarebbe derivato ai ricorrenti dal “superamento dei termini di durata dei procedimenti amministrativi”, senza ulteriori precisazioni. Quanto al risarcimento del danno non patrimoniale che sarebbe stato causato dal provvedimento illegittimo, si osserva che la lesione grave di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti non appare ravvisabile nella mera adozione del provvedimento di diniego del riconoscimento della dipendenza della patologia da causa di servizio, né nel fatto che il provvedimento censurato abbia riferito erroneamente al defunto militare, invece che ai suoi eredi, la mancata presentazione di osservazioni nel procedimento. Non risultano, peraltro, specificamente allegate e provate le ulteriori circostanze fattuali da cui possa desumersi la sofferenza interna procurata dal provvedimento censurato o le conseguenze che questo abbia determinato sulla vita di relazione dei destinatari. 28. Le spese del giudizio vanno poste a carico del Ministero della difesa e del Ministero dell’economia e delle finanze, in solido tra loro, e liquidate come da dispositivo. Nulla deve liquidarsi con riferimento alle due verificazioni disposte, stante la mancata richiesta da parte degli Organi incaricati della verificazione e il decorso del termine di decadenza per domandare le spettanze stabilito dall’articolo 71, comma 2, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (S.......................ne Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda di annullamento, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione. Respinge la domanda di risarcimento del danno. Condanna il Ministero della difesa e il Ministero dell’economia e delle finanze, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate. Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 9 aprile e 12 luglio 2021, tenutesi mediante collegamento da remoto in videoconferenza, con l’intervento dei magistrati: Concetta Anastasi, Presidente Rosa Perna, Consigliere Floriana Venera Di Mauro, Primo Referendario, Estensore L'ESTENSORE Floriana Venera Di Mauro
IL PRESIDENTE Concetta Anastasi
IL SEGRETARIO In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.