Posti di polizia ferroviaria dove non passano più treni, uffici situati in zone a rischio frana, presidii di frontiera resi inutili dagli accordi di Schengen: la lista dei possibili tagli studiata dal Viminale è lunghissima, ma si tratta di risparmi impossibili da ottenere per l'opposizione dei sindacati. Il riordino del Comparto Sicurezza resta quindi in alto mare e il rapporto tra il ministero dell'Interno e i suoi dipendenti sempre più difficile, con ripercussioni che hanno rischiato di creare persino un incidente diplomatico con la Cina di ALBERTO CUSTODERO
Quegli uffici inutili ma intoccabili ROMA - Il posto della Polizia Ferroviaria di Livorno San Marco è "non operativo dal marzo del 1986". Da trent'anni è un ufficio fantasma. Il Viminale vorrebbe chiuderlo, ma alcuni sindacati si oppongono. Stessa scena per la Polfer di Palermo Brancaccio, "inattiva dal 1997", e di Roma Trastevere, "non operativa da gennaio 1999". La Polizia rappresenta l'autorità nazionale di sicurezza, vigila sul mantenimento dell'ordine pubblico. È un esercito di 94mila agenti, anche se in pianta organica mancano 18mila unità. Insieme alle altre quattro forze dell'ordine, carabinieri, polizia penitenziaria, guardia di finanza e Corpo forestale, è l'elemento cardine del sistema sicurezza dello Stato. Una macchina da 300mila uomini che costa complessivamente 20 miliardi di euro annui. Anche sulla Polizia s'è abbattuta la scure della spending review: negli ultimi cinque anni sono stati fatti tagli lineari per 4 miliardi, una cura che ha provocato un grande disagio tra gli operatori. Ora il ministero dell'Interno sta tentando di ottenere dei risparmi con un altro sistema, quello della riorganizzazione, della razionalizzazione, del migliore utilizzo delle risorse, eliminando sprechi e rafforzando settori diventati strategici, come il contrasto alla corruzione con l'istituzione di sezioni specifiche all'interno delle Squadre Mobili. Ma questo sforzo di riorganizzazione, al di là delle buone intenzioni, s'è arenato nelle paludi dei tavoli sindacali. I meccanismi di trattativa col personale sono talmente farraginosi da rendere complicata perfino la gestione degli straordinari. Non è a rischio solo la gestione della sicurezza e dell'ordine pubblico nelle città, ma anche i rapporti diplomatici e commerciali internazionali. Air China ha protestato, ad esempio, minacciando di sospendere i voli da Fiumicino, perché la polizia di frontiera non assicurava il servizio notturno ai varchi. Proprio a causa di una trattativa sindacale sugli straordinari. Ma il caso più eclatante sul tavolo del Viminale è quello della chiusura di una cinquantina di uffici diventati del tutto inutili. E inutilmente costosi. Proprio come, ad esempio, gli uffici Polfer di Livorno, Palermo e Roma, da decenni abbandonati. IL DOCUMENTO: LA CIRCOLARE DEL VIMINALE Difficile quantificare quanto costano alle casse dello Stato queste inefficienze gestionali. Considerando che i locali, se affittati anziché essere tenuti vuoti e abbandonati, potrebbero fruttare un reddito medio di millecinquecento euro al mese, i conti sono presto fatti. Mezzo milione di euro la perdita (dovuto al mancato incasso) generata dagli uffici di Livorno, trecentomila euro da quelli romani. Ma l'elenco di queste strutture fantasma è lunghissimo. In Sardegna, a Golfo Aranci - si legge in una nota del Viminale - c'è, ad esempio, "un presidio delle Polizia Ferroviaria ubicato nella zona portuale, in prossimità di binari ferroviari inutilizzati da tempo". Non è chiaro come passino il tempo, appunto, i tre dipendenti. Stesso copione al posto Polfer di San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo, dove, in forza, c'è "un unico dipendente". Che mansioni svolge? Anche a Canicattì si trova una situazione analoga: 4 uomini alla Polfer, a fronte di un passaggio irrisorio di treni. Diverso, ma non troppo, il discorso del posto di polizia di Cetraro, in provincia di Cosenza. È ad altissimo rischio geologico (si trova su un terreno che può franare da un momento all'altro). Ebbene, la sua soppressione per motivi di sicurezza del personale, è stata contestata duramente dai sindacati. Nella medesima situazione delle Polfer c'è poi la "Polizia di frontiera" che, in molti casi, non ha più motivo di esistere in quanto le stesse frontiere sono state annullate dagli accordi di Schengen. Il Piano di riorganizzazione territoriale dei presidi di polizia del Viminale, in generale, tiene conto della necessità di adeguare la struttura complessiva all'organico attuale, che si è ridotto di circa 17.000 unità (per giunta con un'età media che in cinque anni è passata da 40 a 44 anni). E mira, in particolare, alla soppressione di uffici minori, alcuni dei quali di fatto non operativi da anni (quelli "fantasma"), altri con organici così esigui (2, 3, 4 unità come la Polizia stradale di Merano e di Ortona) da non poter garantire una reale attività. Il Viminale pensa di concentrare il personale in uffici maggiori, che potrebbero più facilmente coprire le esigenze del territorio che rientra nella loro competenza. Sul tema, i sindacati di polizia sono divisi, tra il partito del "no" alla soppressione dei presidii e coloro che, invece, ritengono che debba essere contestualmente individuato un sistema che permetta di valorizzare il personale, anche attraverso il riordino delle carriere, misura che il personale di tutte le qualifiche e la dirigenza (l'unica fino ad oggi
esclusa nell'ambito del pubblico impiego) aspettano da anni. In poche parole, riorganizzazione dei presidi sul territorio e riordino delle carriere dovrebbero viaggiare insieme, anche perché il riordino serve a capire com'è distribuito il personale tra le varie qualifiche e quindi come dovrebbe essere immaginata un'organizzazione che di questo deve necessariamente tener conto. A diverse qualifiche corrispondono, del resto, diverse funzioni. La questione è, quindi, più complessa di quanto sembri in apparenza, ma spesso viene condizionata dagli atteggiamenti demagogici di chi si oppone senza se e senza ma ad ogni ipotesi di soppressione, anche quando si tratterebbe di uffici che già di fatto non esistono da anni o, peggio, le cui strutture sono a rischio e quindi insicure per lo stesso personale. In attesa di scoprire da che parte sta la ragione, quel che è certo è che per questo braccio di ferro al Viminale è paralisi.
Dietro le quinte lo scontro con i carabinieri di ALBERTO CUSTODERO ROMA - Dell'unificazione delle forze di polizia, si parla da tempo. La legge 121, in vigore ormai da 35 anni, fissa alcuni principi fondamentali sull'assetto complessivo del "sistema sicurezza", ma in certi casi ha finito involontariamente per aprire la strada ad un equivoco sul quale si consuma un annoso scontro di potere sotterraneo tra Arma e Polizia (le due forze dell'ordine a "competenza generale" presenti sul campo). L'equivoco sta nella diversa interpretazione dell'articolo 14: "Il questore è autorità provinciale di pubblica sicurezza". Per la Polizia, "l'autorità siamo noi, quindi comandiamo noi". Per i carabinieri, "la Polizia è autorità solo per l'ordine pubblico, ma non comanda per tutto il resto". Sta di fatto che questa sostanziale subalternità dell'Arma nei confronti della Polizia, soprattutto nella gestione dell'ordine pubblico, si trascina nel tempo. E vari sono stati i tentativi di modificare questo assetto di poteri. Un partito trasversale che va da sinistra a destra passando per leghisti e "tecnici" (che vorrebbe un unico Corpo civile), ha tentato più volte, se non di smilitarizzarla, quantomeno di portare l'Arma sotto il "controllo" della Polizia. A creare ulteriore confusione si aggiunge la raccomandazione dell'Unione Europea agli Stati membri di dotarsi di una polizia con funzioni civili che dipenda da una autorità civile. Il "partito della Polizia" interpreta, o strumentalizza questa raccomandazione proponendo lo scioglimento dell'Arma. Ma per l'Arma si tratta di una mistificazione, nulla vieta, sostengono, come avviene in Francia, che compiti di polizia civili siano assolti da militari. Il primo tentativo della storia recente di unificazione delle forze dell'ordine risale al 2006, (governo Prodi, ministro dell'Interno Amato), quando, su input del ministero dell'Economia, la commissione Affari costituzionali della Camera presieduta allora da Luciano Violante avvia una indagine conoscitiva per verificare l'efficienza delle stazioni dei carabinieri. Forse si sarebbe voluto dimostrare l'inefficienza del sistema delle stazioni per smantellarlo. Ma l'iniziativa si conclude con una relazione e un nulla di fatto. Il secondo tentativo lo fa l'ex ministro dell'Interno leghista Roberto Maroni, che, nel 2009, si dice favorevole a un "modello di forze di polizia unificato sotto un'unica guida" sull'esempio della Francia e della Spagna. Sotto un'unica guida, e, ovviamente, sotto il primato della Polizia. Anche in questo caso non se ne fa nulla. È poi il turno dell'ex ministro dell'Interno tecnico Annamaria Cancellieri che, nel 2012, parla di "tempi maturi" per un riassetto, anche se passa la palla a un "governo con un forte mandato politico elettorale". Prende ora la palla al balzo il governo Renzi, il cui vento riformista non può non investire le forze di polizia, indebolite e sofferenti per i 4 miliardi di euro di tagli lineari fatti negli ultimi 5 anni. L'anello debole del Corpo Forestale di ALBERTO CUSTODERO ROMA - "Cinque forze di polizia sono troppe", tuona Renzi. È giunto il momento di smilitarizzare l'Arma? Nient'affatto. Renzi sa che i carabinieri non si toccano. I numeri delle forze di polizia schierate in campo, del resto, consigliano il premier di superare la storica contrapposizione Arma-militari, Polizia-civili. E di imboccare un'altra, più facile via. È così che prende di mira il Corpo Forestale dello Stato. Ecco come si arriva a questa conclusione. I cinque corpi di sicurezza costano 20miliardi l'anno. L'Arma dei carabinieri è forte di 105mila dipendenti per 4600 stazioni, 3700 delle quali "esterne", ovvero disseminate in ogni angolo del territorio. Una forza schiacciante sulla Polizia che dispone di 94 mila dipendenti in 330 commissariati, 210 dei quali fuori dai grandi capoluoghi. I forestali sono "solo" 8mila uomini dislocati in 800 stazioni. I vantaggi di accorpare il Corpo con un'altra Polizia (non certo sopprimerlo), per il governo, sono numerosi. Innanzitutto, sono l'anello "debole", per così dire, del comparto sicurezza. L'attuale comandante, poi, si trova in una situazione critica: nominato da Gianni Alemanno quando era ministro dell'Agricoltura, è in sella al Corpo da 11 anni. Troppi, un record senza precedenti tenuto conto della regola (non scritta) secondo cui le cariche apicali della pubblica amministrazione non possono superare il settennato del Quirinale. Inoltre, è contestato dal sindacato più rappresentativo (il Sapaf) per la "mancanza di trasparenza nella gestione del "Fondo di assistenza e benessere del personale". I forestali vivono poi un momento di confusione dovuto alla mancanza di chiarezza sulle loro mansioni: chi li vorrebbe
solo forza contro gli incendi boschivi ("Ma come possiamo spegnere gli incendi con la pistola alla cintola", protestano i sindacati). Chi li vuole usare come presidio delle aree protette e dei parchi. Chi invece li vorrebbe impegnati in altre competenze di polizia giudiziaria non strettamente connesse ai reati ambientali. E chi (soprattutto tra gli stessi forestali), li vorrebbe impegnati per quello che è il loro Dna investigativo: il contrasto agli eco-reati. Se accorpare i forestali a un'altra forza di polizia consentirebbe al governo Renzi di prendere più piccioni con una fava, resta ancora da chiarire con chi: coi poliziotti o coi carabinieri? A favore della polizia, il comune ordinamento civile. Ma a vantaggio dei carabinieri, gioca la struttura dell'Arma, che, vantando un più capillare radicamento sul territorio, potrebbe essere più compatibile con i forestali cui spetta il presidio ambientale. In entrambi i casi l'accorpamento dovrà affrontare un ostacolo burocratico quasi insormontabile: l'equiordinazione delle carriere, ovvero l'allineamento dei gradi di ogni singolo forestale con quelli dei poliziotti (o dei carabinieri). I sindacati sono sul piede di guerra ed è altissimo il rischio che piovano al Tar o al giudice del Lavoro centinaia se non migliaia di ricorsi. Insomma, non si sa se l'accorpamento porterà a una migliore efficienza delle forze di polizia. O a una spending review. Quel che è certo è che, al momento, il progetto di riorganizzazione della Sicurezza in Italia è ancora in alto mare.
Dalle carriere agli orari, è scontro su tutto di ALBERTO CUSTODERO ROMA - È guerra tra Viminale e sindacati. I sindacati "ricattano" il ministero dell'Interno. "Riordinate le nostre carriere - tuonano - altrimenti non si tratta su altri temi come la riorganizzazione della rete della sicurezza sul territorio e gli straordinari". Cosa sta succedendo al ministero dell'Interno? Il Viminale sta tentando da mesi di riorganizzare i presidi di polizia sul territorio. Così com'è, la rete della sicurezza in Italia non è più efficiente, ed è inadeguata ai tempi. Il Viminale ha pronto un progetto per tagliare i rami secchi: uffici che non hanno più senso di esistere, sotto-utilizzati o del tutto inattivi (come i posti Polfer). E ne vuole creare di nuovi per far fronte alla nuova domanda di sicurezza dovuta all'esplosione dei reati informatici, all'epocale fenomeno migratorio, e al dilagare diffuso della corruzione. Ma questo piano di "razionalizzazione dei presidi e delle risorse" è bloccato. L'impasse è dovuta alla resistenza dei sindacati. Sembra incredibile, ma anche presso il ministero dell'Interno (così come a Palazzo Chigi tra Renzi e i confederali), si consuma un braccio di ferro con i sindacati. Le associazioni di categorie dei poliziotti sono almeno una decina: il Siulp, il più numeroso, il Sap, quello più di destra (con il laeder, Tonelli, legato a filo doppio a Gasparri, e Fi), il Coisp, che si dice indipendente (quello al centro delle polemiche per lo scontro con la madre di Federico Aldrovandi), l'Ugl-Polizia (in lite con l'Ugl nazionale), poi il Siap di Giuseppe Tiani (il terzo più rappresentativo), l'Anfp dei funzionari, l'Uil, l'Anip italia sicura (Pnfd), il Consap-Adp. Sigle in questo momento più che mai divise: da una parte un fronte di destra guidata dal Sap, dall'altra una coalizione "moderata". Difficile entrare in queste dinamiche sindacali per capire chi ha la maggioranza, e chi la ragione o il torto. Sta di fatto che nel corso di una recente trattativa sindacale proprio sul progetto di riorganizzazione del territorio, dopo un intervento particolarmente duro di Felice Romano, leader del Siulp, indirizzato al ministro dell'Interno e al Capo della Polizia, Angelino Alfano s'è alzato. Ha interrotto le trattative. E, andandosene, ha tagliato corto: "Ha ragione Renzi - è stata, in sintesi, la sua battuta - è inutile parlare con i sindacati". Da quel momento, tra Viminale e sindacati è sceso il gelo. E le trattative sembrano in stand by. Felice Romano spiega la sua posizione sostenendo che, prima di parlare del riordino del territorio, "vuole costringere i vertici del Viminale a trattare il riordino delle carriere". Ma questo, per il Viminale, sarebbe un falso problema, in quanto è lo stesso capo della Polizia - lo ha detto qualche giorno fa al convegno dell'Anfp sulla corruzione - il primo a volere il riordino delle carriere. E dunque, da che parte sta la ragione? Va detto che tra ministero dell'Interno e sindacati è guerra aperta da tempo anche sulla gestione degli straordinari. Un esempio. Oggi, se un questore ha bisogno di far fare straordinari agli agenti per coprire turni di ordine pubblico (o per altre necessità), deve convocare tutte le sigle sindacali e trattare con loro l'estensione dell'orario. Un lavoro farraginoso, estenuante. E poi basta il no di una sigla sindacale per bloccare la gestione della sicurezza in una città. A tal proposito, il fatto più grave, raccontano al Viminale, è successo a Fiumicino alcune settimane fa, quando, per motivi sindacali, non è stato consentito lo straordinario del personale della polizia di frontiera addetto al controllo passaporti. La conseguenza è stata che i turisti in arrivo dalla Cina (quasi sempre in ore notturne per via del fuso orario) sono stati costretti ad attese estenuanti in piena notte, per aspettare il ripristino del servizio alle prime ore del mattino. I cinesi si sono infuriati al tal punto che Air China ha inoltrato una protesta formale all'Italia, minacciando di sospendere i voli su Fiumicino. Per "sistemare" le cose è dovuto intervenire il capo della Polizia in persona.