Pasolini - Salò

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SALÒ O DELLA DISTRUZIONE DEI CORPI Dal film di Pier Paolo Pasolini

Di Luca Cremonesi

MAGALINI EDITRICE 2 BRESCIA – 2004 cremonesiluca1977@alice.it


La vicenda dell’ultimo film di Pasolini è assai complessa. Pellicola posta sotto censura fin dai suoi primi passaggi cinematografici nel 1975, ora, di recente, è stata ripubblicata in versione DVD1, completamente restaurata. Audio ed immagine sono ritoccati grazie alle moderne tecnologie digitali. Il restauro è stato condotto con grande competenza e professionalità seguendo la luminosità della scena, dei personaggi e dei corpi, che Pasolini voleva probabilmente dare all’intero film. Questa pellicola doveva essere, negli intenti del regista, la prima opera della Trilogia della morte2, gruppo di film che si collocava dopo la fortunata e splendida Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte). Non a caso i quattro film sono stati rimasterizzati e riproposti insieme. Salò o le 120 giornate di Sodoma, titolo originale della pellicola, è l’unico film portato a termine della seconda trilogia. Esiste solo la sceneggiatura, o meglio il soggetto, e porta il titolo di Porno – Teo – Kolossal3, del capitolo successivo di questa trilogia che doveva avere come protagonista De Filippo. L’attuale recente volume della collana I Meridiani (Per il cinema)4 le pubblica entrambe. Ho rivisto di recente questa edizione rimasterizzata del film Salò. Ne ho apprezzato finalmente la fattura e la costruzione meticolosa delle scene. La vecchia pellicola in 1

Pasolini, Pier Paolo, Salò o le 120 giornate di Sodoma, DVD Cfr. Pasolini, Pier Paolo, Trilogia della vita, Garzanti, Milano 1995 e Toffetti, Sergio, A cura di, La terra vista dalla luna. Il cinema di Sergio Citti, Lindau, Torino 1993. 3 Pasolini, Pier Paolo, Per il cinema, Meridiani Mondadori, Milano 2001, pp. 2695 – 2757; Toffetti, Sergio, A cura di, La terra vista dalla luna. Il cinema di Sergio Citti, cit., pp. 47 – 85. 4 Pasolini, Pier Paolo, Per il cinema, cit. 2

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VHS che possedevo, edita dal quotidiano l’Unità (in prima edizione nazionale) non rendeva giustizia a questo lato del film. Rivedendolo in questa nuova veste ci si può render conto del lavoro svolto dal regista nel progettare la messa in scena dell’opera. Ogni inquadratura è studiata a tavolino, i dettagli dell’immagine non sono mai disposti senza incarnare l’estetica e il pensiero dell’autore. Anche gli oggetti sopra i tavoli, gli specchi e i quadri alle pareti, sono disposti secondo una precisa ricerca stilistica. Pasolini vuol farci vedere il conformismo e l’amore per lo sfarzo che sempre più la classe borghese sta imponendo all’arte, all’urbanistica e al gusto stesso. Ciò che il regista ci mostra nell’immagine è una condanna di questa decadenza del gusto estetico, ma non solo, che sta attraversando l’Italia di quegli anni. Una morte del senso artistico, e dell’arte stessa, che Pasolini vede crescere attorno a sé nell’Italia dei primi anni settanta. La stessa pellicola Salò è proprio il primo capitolo della trilogia della morte che non deve essere intesa solamente come termine della vita fisica dell’individuo. Non è di questo che Pasolini vuol parlarci, come non ci vuole mostrare, banalmente, solo la vita nei precedenti tre film. La vita e la morte di cui narra Pasolini sono perlomeno dimensioni estetiche e sacro – civil – culturali ove non regna per nulla il peso della morale. Potremmo quasi affermare che si tratta, in queste opere, di una vera e propria originalità religiosa se, per noi italiani ed europei, questo termine non fosse lordo di morale e di secoli di pensiero cristiano. Non a caso Pasolini stesso rimarca questo peso specifico della morale nella nostra cultura quando nel film Salò mostra come, nella ‘villa della morte’, sia interdetta ogni forma di preghiera. Il divieto è categorico a tal punto che chi è colto in fragrante deve essere punito con la morte. La religione, dunque, è solo consolazione ed ultimo appiglio quando l’individuo non sa ove sbatter la testa, quando il singolo non riesce a reagire, quando l’uomo non vuole reagire e quando ci si omologa all’orrore che si ha davanti agli occhi. Solo allora la preghiera entra nella nostra vita e serve semplicemente per cercare altrove la nostra salvezza, per sperare in un gesto esterno che intervenga là dove non siamo più capaci di pensare un’azione liberatoria. Il cristiano, in altre parole, è un uomo che non riesce a vivere bene qui sulla terra e necessita della speranza di una vita migliore. I giovani della villa rappresentano bene questo moralismo cristiano che vuole l’uomo incapace d’azione e di decisione. Negare tutto ciò comporta un’impossibilità del singolo come essere unico ed irripetibile. Il singolo è semplicemente figlio di Dio e a questi si deve ricongiungere. La vita terrena è un semplice passaggio ed una semplice stagione all’Inferno. Non a caso il film Salò è diviso in gironi. Questa incapacità di decisione (e d’azione) è cruciale nel film. Perché, 3


mi sono chiesto, i giovani torturati non si coalizzano (social catena di leopardiana memoria) per uccidere i quattro gerarchi (il potere o mercanti del potere), le quattro narratrici di storie erotiche (i missionari o coloro che sono addetti alla propaganda) e un piccolo gruppo di militari mal armati e lascivi (i guardiani o servi del potere)? Perché non compiono una rivolta? Perché restano a farsi torturare? Non riescono a far altro che piangere, invocare l’aiuto divino ed esser succubi del loro destino. Perché non tentare la fuga? O una rivolta? Dormono sempre senza alcuna sorveglianza e potrebbero fuggire in qualsiasi momento, eppure restano li. Non solo, due ragazze si accoppiano tra loro, un’altra cerca di pregare, un ragazzo diventa una spia, un altro giovane pur di salvarsi accetta d’essere l’amante di uno dei gerarchi, così come ne accetta l’atto della penetrazione anale accompagnato dalla relativa pratica della coprofagia. Un giovane guardiano si accoppia con la serva di colore e, scoperto dai quattro, alza il pugno rivendicando così la sua ‘natura rossa’ e la propria ribellione, che si è resa concreto in una ‘scappatella’ con la donna delle cucine. Piccola rivolta che gli costa, più per rabbia che per altro, la vita. I gerarchi lo uccidono perché non sono stati loro ad autorizzare l’atto sessuale. In un solo gesto il giovane guardiano ha disubbidito alle leggi scritte, ma ha anche goduto al di fuori del controllo del potere e questo è lo sgarro che lo condanna a morte. Sono consapevole del fatto che spesso la tortura di pochi è l’arma migliore per soggiogare i molti, così come credo che anche Pasolini fosse a conoscenza di tale posizione ma non sia ciò di cui ci vuol parlare. Trovo che la posizione di uno dei violentatori di O, nel romanzo di Pauline Réage Histoire d’O5, si avvicini in parte a ciò che Pasolini vuol farci vedere. O viene legata e torturata per molti giorni, ma appena giunta nella casa, nel mentre le vengono spiegati gli obblighi a cui deve sottostare e le torture che deve subire, le viene anche detto: Con un tale mezzo, come con l’altro della catena che, fissata all’anello del collare, la terrà più o meno strettamente legata al suo letto per numerose ore al giorno, ci proponiamo non soltanto di farla soffrire, o urlare, o piangere, ma soprattutto di renderla cosciente per mezzo del dolore, del fatto che lei non è libera, e di insegnarle che è totalmente votata a qualcosa che è al di fuori di lei.6

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Réage, Pauline, Histoire d’O, Gruppo Editoriale l’Espresso, Milano 2003. Ivi., p. 22, corsivi miei.

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Leggiamo alcune parole di Pasolini che sono in sintonia con le domande poste. Scrive Pasolini: “In secondo luogo, nella prima fase della crisi culturale ed antropologica cominciata verso la fine degli anni Sessanta – in cui cominciava a trionfare l’irrealtà della sottocultura del mass media e quindi della comunicazione di massa – l’ultimo baluardo della realtà parevano essere gli innocenti corpi con l’arcaica, fosca, vitale violenza dei loro organi sessuali. Infine, la rappresentazione dell’eros, visto in un ambito umano appena superato dalla storia, ma ancora fisicamente presente (a Napoli, nel Medio Oriente) era qualcosa che affascinava me personalmente, in quanto singolo autore e uomo”.7 Taglio netto. Riprendo alcuni fili interrotti, ma che sono indispensabili per il discorso che voglio portare avanti sull’opera Salò. Ho mostrato come i giovani non si rivoltino alle tre emme della conosciuta teoria imperiale (militari, missionari, mercanti). Chi non ha visto il film potrebbe chiedersi qual è lo spazio che inibisce questi giovani. Il film è ambientato in una villa (una grande costruzione che si trova nei pressi di Governalo, paese della pre-bassa mantovana) e, per esser precisi, in un numero ben definito di stanze che hanno un nome ed una qualifica. I gerarchi, in altre parole, hanno nominato le stanze e scelto quelle ove i giovani posso stare, quelle in cui non possono entrare se non accompagnati (per soddisfare il piacere economico – politico – libidinale di chi li comanda) e quelle in cui non avranno mai accesso. Il potere dei quattro diventa, per i giovani, Potere. La villa è una vera e propria gabbia, ove ci sono regole e luoghi ove stare, dove ci sono angoli proibiti e spazi nascosti dove i giovani credono di non poter esser scoperti (è il caso, descritto poco sopra, della giovane che pregava davanti ad un’icona, del militare con la serva e delle due ragazze sorprese a consumare la loro passione). Luoghi segreti che sono dentro la villa e dove la ribellione si pensa possa prender piede solo perché si trasgredisce a regole scritte. Il problema è che questi giovani sono ancora una volta oggetto del piacere di questi gerarchi, i quali altro non hanno fatto che pensare anche ai luoghi della ribellione. Una sorta di godimento come fattore politico nell’ottica di Žižek8, ed è per questo che chi gode al di fuori del loro comando deve essere ucciso. Questo fa sì che si possa parlare di un sistema che pensa le 7 8

Pasolini, Pier Paolo, Lettere Luterane, Einaudi, Torino 1976, pp. 71 – 72, corsivi nel testo. Cfr. Slavoj, Žižek, Il godimento come fattore politico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000.

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proprie falle, progetta le proprie trasgressioni e le ingloba al suo interno come accade in campo economico quando si calcolano i rischi di mercato, come accade ad una moda che pensa il suo opposto producendo essa stessa la contro-moda (ma se è contro-moda vuol dire che si accetta la moda come canone principale). Lo stesso è per questi giovani: sono schiavi anche nella ribellione, perché è già stata pensata per loro in quel modo ed essi stessi si adeguano alla crudeltà erotica di regime facendo proprio quello che il regime gli ha insegnato. Disciplinamento direbbe M. Foucault, anche involontario, ma pur sempre di disciplinamento del Potere si tratta. Oppure si può parlare di denuncie democratiche o di atteggiamento politicaly correct. Scrive Žižek: “Le relazioni sociali in una simile comunità sono regolate da una duplice fiction, o piuttosto dalla coesistenza paradossale e sovradeterminata di due fiction incompatibili”.9 In questo caso la fiction non è altro che la messa in scena di un immaginario crudele che regola i rapporti sociali. Tale immaginario è radicato nei giovani, secondo la narrazione proposta da Salò, nei quali si crea una sorta di corto circuito: io giovane prigioniero della villa non agisco perché ciò che vedo vorrei che non fosse vero, ma anche perché ciò che vedo è così assurdo che spero che in realtà sia così. Il Potere, in altre parole, per questi giovani non esiste (basterebbe una loro piccola reale ribellione), ma essi lo legittimano sperando, in cuor loro, che esista veramente. Il Potere, per mezzo del potere, disciplina così le azioni, le controlla e le prevede non solo da un punto di vista reale, ma anche simbolico. J. Baudrillard nel suo Power Inferno10 coglie questa dinamica a proposito del crollo delle Torri Gemelle: erano i simboli della potenza dell’Occidente e quanto è successo l’11/09 non è altro che ciò che tutti noi, come desiderio, speravamo che un giorno accadesse. Tutti, scrive Baudrillard, volevamo un giorno vederle cadere proprio perché affascinati dal loro potere simbolico e dall’immaginario che ormai ci governa. Il Potere opera con reali strumenti repressivi ma anche, e soprattutto, per mezzo dell’immaginario che ci circonda. “Benvenuti nel deserto del reale!”…11 Il secondo capitolo di Matrix12 è una parafrasi attuale di

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Slavoj, Žižek, Il Grande Altro, Feltrinelli, Milano 1999, p. 18, corsivi nel testo. Baudrillard, Jean, Power Inferno, Ed. Galilée, Paris 2002; tr. it. Power Inferno, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003. 11 Cfr. Slavoj, Žižek, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi, Roma 2002. 12 Matrix Reloaded; a tal proposito cfr. Slavoj, Žižek, The Matrix o i due volti della perversione in Quaderni di estetica, vol. I, Deleuze e il cinema francese, Mimesis, Milano 2002, pp. 155 – 187. 10

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quest’ultimo Pasolini: Neo deve scegliere tra due possibilità che l’architetto, l’autore della matrice, ha già programmato per lui. La ribellione è stata prevista dal sistema stesso. Non solo, tale sistema ha previsto anche le scelte della ribellione (ne ha scritto la matrice dello stesso immaginario). Ma Matrix, come il film di Pasolini, non è una pellicola banale (anche se troppo spettacolar – americana) e l’architetto rimarca più volte che l’uomo è prevedibile al 95% in quanto la potenza (e non il potere!!) della scelta è ciò che ci rende non gestibili del tutto. Se ne deduce che solo schiacciando sempre più la possibilità della scelta (eliminando la potenza della scelta in nome del potere della scelta) si può impedire all’uomo di agire e, per questo motivo, lo si può gestire. Dalla società disciplinare di Foucault si passa alla società di controllo di Deleuze.13 Scrive Deleuze: “Nelle società disciplinari non si faceva che ricominciare (dalla scuola alla caserma, dalla caserma alla fabbrica), mentre nelle società di controllo non si finisce mai con nulla, in quanto l’impresa, la formazione, il servizio sono gli stati metastabili e coesistenti di una stessa modulazione, di uno stesso deformatore universale. […] Il controllo è a breve termine e a rapida rotazione, ma anche continuo e illimitato, mentre la disciplina era a lunga durata, infinita e discontinua”.14 Conclude Deleuze con un esempio chiarificatore: se usiamo tutti l’autostrada siamo controllabili. Certamente è la via più comoda, la più veloce e la più sicura, ma c’è la possibilità d’essere sempre controllati. Commistione Žižek – Deleuze: c’è la possibilità d’essere controllati e lo sappiamo, così come siamo a conoscenza dei vantaggi che arreca l’autostrada. Questo fa sì che siamo spinti ad utilizzarla nella speranza, come singoli, di sfuggire al controllo. Mentre si cerca tale fuga, però, dentro i vari singoli nasce il desiderio che il controllo ci sia veramente. Allora prendiamo l’autostrada e aspettiamo di vedere cosa accade… Anche i giovani della villa sono sfruttati per un determinato tempo (forse una settimana) e poi fatti a pezzi (letteralmente nelle scene finali). Da qui si può dedurre che ne arriveranno altri e, pertanto, che altri son già passati (controllo e disciplina). Gli stessi gerarchi confermano quanto detto. In una delle scene finali elencano quelli che saranno puniti, mentre gli altri (“coloro che collaboreranno” dice il Conte) potranno andare a Salò (il centro del Potere). Non solo, i 13 14

Deleuze, Gilles, Pourparler, Quodlibet, Macerata 2000. Ivi., pp. 236 – 237.

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ragazzi sanno già, per bocca dei loro carcerieri, d’esser morti. Gli è stato detto quando sono giunti alla villa: “Deboli creature incatenate, destinate al nostro piacere. Spero non vi siate illuse di trovare qui la ridicola libertà concessa dal mondo esterno. Siete fuori da confini di ogni legalità, nessuno sulla terra sa che voi siete qui. Per tutto quanto riguarda il mondo voi siete già morti… Ed ecco le leggi che regoleranno qui dentro la vostra vita”.15 I giovani sono a conoscenza della loro situazione, gli viene detta e non nascosta, eppure non reagiscono. Sanno d’esser “fuori dai confini della legalità”, sanno che nessuno li verrà a cercare perché nessuno sa che sono li. Ma se nessuno sa che sono in quel posto è anche vero che nessuno sa che i gerarchi sono con i giovani (“creature destinate al nostro piacere”). Allora, a maggior ragione, perché non cercare una ribellione? Perché non organizzarsi? Nessuno da il cambio alle guardie, quindi sono sempre le stesse, quindi nessuno sa veramente che sono li. Allora perché non agire? Piccoli Amleto? Amleto può tutto fuorché compiere il gesto che tutti si aspettano che compia: uccidere l’assassino del padre. Nel caso di Amleto (secondo C. Bene) il protagonista non può compiere la vendetta perché vorrebbe dire ristabilire il dominio/legge del padre.16 Questo dominio, nel film di Pasolini, è esasperato ancor più. Non solo si rischia la disobbedienza al(la legge del) padre, ma si trasgredirebbe all’immaginario del padre. La ribellione è, nel gesto, semplice, molto semplice in verità, ma comporta una distruzione immensa, uno sconvolgimento irreversibile se accadesse (Žižek ci mostra il tutto facendo l’esempio della folla davanti al palazzo del potere rumeno ai tempi del grande dittatore… quando con un semplice gesto si è distrutto l’immaginario tutto il regime reale è crollato). Ecco che i gerarchi edificano, in combutta con i giovani (e per questo motivo vogliono ancor più produrre corpi collaborazionisti, per ammissione dei gerarchi stessi), il Potere tirannico che ha il compito di controllare, l’obiettivo di disciplinare e la finalità di massificare (rendere prevedibili gli atteggiamenti). Non acquistiamo, ma siamo acquistati dal sistema dei consumi. Ancora un taglio per due problemi. In una famosa intervista televisiva rilasciata da Pasolini poco prima di morire (1975) il regista, con il vento che lo spettina e Sabaudia 15 16

Pasolini, Pier Paolo, Per il cinema, cit., p. 2036. Bene, Carmelo, Opere, Bompiani, Milano 1995, pp. 1355 – 1379.

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sulla sfondo, ribadisce il concetto che in Salò ci ha mostrato. L’attuale società dei consumi che sta nascendo, afferma, è molto più pericolosa dello stesso Fascismo in quanto il regime del ventennio non è stato in grado di sradicare completamente le persone e, inoltre, non è riuscito nella distruzione della coscienza, delle tradizioni, del senso estetico della vita e della società in modo radicale. L’affermazione di questo sistema consumistico – capitalista è, invece, il coronamento del progetto della società di controllo. L’ideologia, in altre parole, non riesce a plagiare, se non con repressioni armate (e dunque si fonda sul terrore e sulla paura), l’anima delle persone. Vi riesce la società dei consumi che opera per mezzo dell’apparato economico, che è costruito e costituito non più sulla paura, ma sul bisogno e sul desiderio (riecco Žižek e Deleuze). Il mercato, termine riassuntivo, riesce la ove ha fallito il Fascismo come ideologia (ma potremmo dire, vista la storia che Pasolini non ha potuto analizzare, che questo vale anche per il Comunismo). Altra cosa, ma solo per precisare, è dire che tale sistema è fascista nel suo modo d’essere. Se tale sistema si fonda sul desiderio e sul bisogno, allora il controllo di tale dimensione è fascista nel suo essere. Da questo punto di vista il Guattari de La rivoluzione molecolare17 è un’ottima chiosa a Pasolini (i due si conoscevano personalmente). Scrive Guattari: “Salvaguardare il desiderio nomade, il desiderio barbarico, la voglia di sbarazzarsi di quelli che sono estranei a esso. Riserva di energia per trarre fuori dal torpore gli operai integrati, che si preoccupano delle cambiali di fine mese e dei voti dei figli a scuola. Pretendere di disciplinare il sottoproletariato, significa castrare la classe che meglio incarna la macchina nel senso dell’economia del desiderio: significa agire al servizio della borghesia, dell’integrazione”.18 Queste parole potrebbero essere il riassunto del contenuto (e dell’estetica) di tutta la Trilogia della morte, del film Salò (e di Porno – Teo – Kolossal) e di buona parte degli scritti degli ultimi anni di vita di Pasolini (pagine raccolte, in gran parte, nel volume Lettere Luterane). Il blocco del desiderio, che potremmo chiamare anche, seguendo il Pasolini del piccolo trattato incompiuto di pedagogia dal titolo Gennariello (anch’esso in Lettere Luterane)19, potenza e gioia vitale (sacralità della vita dice il centauro di 17

Guattari, Félix, La rivoluzione molecolare, Einaudi, Torino 1977. Ivi., p. 44, corsivi miei. 19 Pasolini, Pier Paolo, Lettere Luterane, cit., pp. 15 – 71. 18

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Medea20) evitando in ogni modo l’accezione prettamente psicanalitica che il termine richiama. Il desiderio non è mai letto in chiave psicoanalitica nell’opera del poeta di Casarsa. Basta passare per la Trilogia della vita per rendersene conto, ma anche leggere la condanna del sesso fatta nel soggetto di Porno – Teo – Kolossal, oppure leggere le magnifiche parole dedicate alla città di Napoli, oppure il discorso del centauro nello splendido Medea e, oggetto del saggio, vedere Salò per rendersi conto che il desiderio che Pasolini analizza è di tutt’altra natura (più vicino a Deleuze e Guattari che a Lacan). E’ un’innocenza e una forza di vita, un gusto e uno sguardo sul mondo, una capacità estetica e un respiro a pieni polmoni che è magistralmente incarnato da Accattone, dagli occhi della Magnani in Mamma Roma e che trova il suo contro altare negli occhi dei giovani di Salò. Questi occhi sono spaesati, appesantiti e cercano sempre e solo d’essere dalla parte di chi comanda. Sono occhi volutamente in primo piano, che si contrappongono agli occhi inferociti dei gerarchi. Non sono più quelli della Magnani quando scopre che il Potere gli ha arrestato il figlio, oppure di quando ne nota e ne percepisce il degrado. Quelli di Salò sono occhi furbescamente attenti, che cercano di capire chi può salvarli e a chi ci si può affidare. Emblematica la scena in cui il giovane biondo accetta di diventare il prediletto di uno dei gerarchi. Appresa questa “fedeltà” il gerarca lo sposa, lo ingozza d’escrementi (la passione nascosta del gerarca stesso) e lo sodomiza tutta notte. Non solo combutta e collaborazione, ma anche istigazione alla collaborazione per aver salva la vita e per cercare protezione. I giovani accettano d’essere gli amanti del Potere, non voglio tentare di ribaltarlo, ma restano nel corto circuito del godimento nella speranza di aver salva la vita, non di viverla, ma solo di preservarla integra. Adeguazione e collaborazione che fa sì che anche la stessa arte, luogo per eccellenza del gesto di ribellione, sia solo decorativa. Pasolini non smette mai di mostrare stanze con opere rivoluzionarie (per l’arte s’intende) che servono solo da sfondo e da ornamento alle turpi azioni dei gerarchi. I gesti, la possibilità della vita, l’azione, nei termini arendtiani, è negata da una gestione fascista del Potere, non da un potere Fascista. Ecco il perché di una villa e di quattro gerarchi… di uno spazio chiuso e di quattro uomini che sfogano il loro desiderio sessuale reprimendo il desiderio sessuale dei giovani e distruggendo, in questi giovani, ogni capacità d’azione che proprio da quel loro desiderio potrebbe derivare. Chi non si lascia comandare nel desiderio deve essere ucciso come nel caso del giovane guardiano. La Trilogia della vita mostrava l’esatto opposto. 20

Pasolini, Pier Paolo, Il Vangelo secondo Matteo, Edipo Re, Medea, Garzanti, Milano 1991, p. 544

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Questa società commerciale che sta nascendo è in grado contemporaneamente di distruggere i corpi, i giovani, la vita dei giovani e di edificare un enorme centro di Potere. Il meccanismo più subdolo di questo sistema non è solo nella dinamica fascista (secondo le analisi di Guattari), e neppure nel relativo controllo (seguendo Deleuze), ma nella stessa dinamica relazionale tra l’esterno e ciò che deve essere portato al centro. Una parte di tale dinamica l’abbiamo vista nelle analisi di Žižek e di Deleuze, ma ne manca ancora un frammento, che Pasolini in Salò non omette affatto. Il film è ambientato nel periodo della Repubblica Sociale di Salò. Ci sono quattro gerarchi fascisti (con ruoli importanti nella gestione politica della Repubblica. Non è detto, ma lo si deduce dal fatto che possono muoversi a piacimento ed impartire ordini) che sono i “protagonisti” del film. Ci si aspetta, visto anche il titolo della pellicola, che la vicenda sia ambientata in quel luogo. Il film stesso si apre con un’ampia panoramica del golfo di Salò, ma le vicenda narrate non si svolgono nel luogo che da il titolo all’opera cinematografica. Anzi, non è mai nominato il paese, e volutamente s’inquadrano i cartelli di altre località (tra cui Marzabotto dove probabilmente si trova la villa nella finzione scenica). Una sola volta viene nominato il luogo della Repubblica Sociale, ed è significativo. Prima di punire i giovani un gerarca afferma: “Quelli che sono stati chiamati saranno cinti da un nastro celeste, possono immaginare cosa li aspetta. Gli altri, a patto che continuino a collaborare, potranno sperare di venire con noi a Salò…”.21 A Salò ci si arriva dopo aver fatto questa esperienza, ed è indispensabile la collaborazione così come la speranza che forse, solo grazie a tale atteggiamento collaborativo, si potrà andare nel luogo del potere (ancora l’immaginario di Zizek). Arrivare al centro del Potere è il premio per quei giovani che si sono comportati bene. Ma possiamo dire anche che è l’obiettivo nascosto, il fantasma, di tutti questi giovani così come sono rappresentati: diventare a loro volta carnefici e poter godere liberamente. Questa condizione è ben chiara ai veri gerarchi i quali si sbarazzeranno di tutti i giovani per impedire, per deduzione, che prendano il loro posto e possano godere al loro posto. Il Potere è a sua volta uno spettro che non si vuole perdere. Il problema è che al centro di Potere bisogna arrivarci, o meglio serve arrivarci. Per i giovani è l’obiettivo primario e, visto che non sono disposti alla ribellione, ogni mezzo è lecito. 21

Pasolini, Pier Paolo, Per il cinema, cit., p. 2058, corsivi miei.

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Non solo è necessario arrivare al centro, ma anche ci si deve andare se si vuole agire e godere delle proprie azioni. Questo pensiero è magistralmente descritto da Pasolini nella frase di uno dei quattro gerarchi: “Noi fascisti siamo i soli veri anarchici, naturalmente una volta che ci siamo impadroniti della Stato. Infatti la sola vera anarchia è quella del potere”.22 Ecco il vero obiettivo di tutta la gioventù che Pasolini condanna, ma una condanna che ha come reale centro la forma che il Potere ha assunto nella società dei consumi, ed ecco il movimento fantasy - fiction di cui parla Žižek.23 Saramago, in La Caverna24, chiosa Pasolini là ove si presenta la necessità della venuta al centro del Potere. Il problema, anche per Saramago come per Pasolini, è sempre uguale: è possibile non andare al Centro? E come? Nel caso di Saramago l’artigiano vasaio protagonista del romanzo ha sempre trattato con il centro (con il potere), ma ora il centro si è trasformato ed è diventato Centro (Potere) dal quale deve dipendere se vuole continuare a fare la sua vita. Da piccolo centro della città ove si recava a vendere i suoi prodotti nei negozi (del centro città), il vasaio si ritrova davanti ad un’enorme costruzione, il Centro commerciale, con il quale dovrà trattare. Diventa lui l’intruso che deve essere disciplinato, controllato e inglobato. I suoi vasi, in altre parole, non rispettano più l’esigenze del Centro (perché il Centro ha delle esigenze, mentre il centro trattava con il vasaio) che parla sempre però a nome dei clienti. Ci sono dei canoni e delle regole scritte che il vasaio dovrà d’ora in poi rispettare se vuole far parte del Centro, e farne parte vuol dire potere “liberamente”, all’interno del Centro, vendere le sue merci. Tutto questo era già in Pasolini come abbiamo visto, ma Saramago l’attualizza magistralmente. La differenza tra il vasaio di Saramago e i giovani di Pasolini è che il primo cerca sempre, e per tutto il libro, di ribellarsi, andando anche a vedere il fondo del Centro commerciale (dove troverà la Caverna platonica pietrificata), mentre i giovani, secondo Pasolini, proprio perché colpiti nel desiderio e nel godimento, si stanno omologando sempre più. Il loro desiderio, nell’accezione sopra vista, è anch’esso mediato e si deve adeguare a quello di chi comanda e li (vuole) distrugge: accettano la sodomia, accettano la coprofagia, accettano le torture, accettano

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Pasolini, Pier Paolo, Per il cinema, cit., p. 2041 – 2042. Slavoj, Žižek, Il Grande Altro, cit., pp. 13 – 32. 24 Saramago, José, La caverna, Einaudi, Torino 2000. 23

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i calendari, accettano i canoni della moda, accettano di scolpire e lavorare su i propri corpi ecc… Siamo arrivati al titolo del presente saggio: Della distruzione dei corpi. Salò è la condanna della corporalità dei giovani dei primi anni in cui si afferma il modello della società dei consumi. La Trilogia della vita li aveva esaltati come la vera possibilità della vita libera e rivoluzionaria, ora, nell’ultima pellicola di Pasolini, sono drasticamente condannati. Come condannata è la loro capacità erotica, che è solo becera pornografia (fusione, nell’accezione beniana – kafkiana, del soggetto con il proprio oggetto) di serie B. Basti leggere L’Abiura alla Trilogia della vita, scritta dallo stesso Pasolini sulle pagine del Corriere della Sera (ora in Lettere Luterane)25, per rendersi conto dello sforzo concettuale, e fisico, fatto dal regista per portare a termine questo film. Non solo la fatica, ma anche il dispiacere e la rabbia per questa situazione. Credo, però, che non sia solo questo punto a cui il regista bolognese voleva arrivare. Quando morì, il 2 Novembre 1975, Pasolini era nel pieno di una battaglia politica e critica che aveva intrapreso a suon di articoli sul Corriere della Sera (tutti raccolti in Lettere Luterane e ora nell’edizione de I Meridiani). In quegli scritti c’è un forte attacco alla decadenza che una certa politica ha permesso. Questa decadenza investe l’arte, i costumi, l’Italia stessa, le persone ed in particolar modo i giovani. Guardare Salò senza leggere tutta questa critica si è a rischio di non comprensione dei fili rossi del film. Pasolini, dalle colonne del Corriere della Sera, attacca la politica italiana, responsabile diretta di questa decadenza che si manifesta nella sua forma più alta come crescita incontrollata della società dei consumi. Nella Trilogia progettata, e nel film realizzato, Pasolini condanna anche la decadenza della vita e dei corpi mostrando, in chiusura della pellicola, la distruzione dei corpi-giovani da parte del P/potere (purché questi corpi non prendano il posto di chi comanda). Perché questa crudeltà? Non basterebbe abbandonarli a se stessi questi giovani? Dopo lo schok subito non sarebbero più in grado di riprendere una vita normale (Freud lo insegna nell’Al di la del principio di piacere26). Invece si tortura e si distrugge il corpo che potrebbe, nonostante quello che ha subito, produrre una resistenza (una ripetizione del dolore che potrebbe produrre una differenza). Vero è che il godimento dei gerarchi, e del Potere, si deve ancora sfogare completamente, ma è la crudeltà (dal francese cruel dove ricorda anche ciò che è crudo, la carne cruda) con cui si sfoga che stupisce. Ma perché, appunto, tutta questa crudele rabbia nello smembrare i corpi, nel bruciarli e nell’infliggergli le più atroci 25 26

Pasolini, Pier Paolo, Lettere Luterane, cit., pp. 71 – 77. Freud, Sigmund, Al di la del principio di piacere, Bollati Boringhieri, Milano 1996.

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torture? E poi, perché non sparargli e basta, ma cercare di danneggiare il più possibile il corpo? Forse questo corpo oltre ad essere la potenzialità repressa dei giovani è anche qualcosa d’altro nella mente di Pasolini. È corpo dei giovani, ma è anche, letti quegli articoli, metafora della stessa politica. Una vera e propria politica della corporeità.27 Pasolini nota che la società dei consumi è volta, in prima istanza, a deviare e reprimere i corpi dei giovani (elementi possibili delle nuova politica e della ribellione), ma anche a torturare e deviare il corpo politico (che avesse il sentore di tangentopoli e della attuale classe dirigente?). In altre parole, il dominio della sfera economica, che in quegli anni inizia il suo processo di espansione, proprio per necessità interna di diffusione a macchia d’olio deve contagiare e rovinare ciò che più lo può ostacolare: il corpo politico. Serve far violenza in ogni modo sulla politica, danneggiarla, corromperla, farla penetrare e sodomizzare dal denaro, sporcarla con lo sterco del demonio (seguendo la fortunata metafora del libro di Massimo Fini, Denaro sterco del demonio28) e far sguazzare dentro questo guano puzzolente tutte le forze potenziali, sia rivoluzionarie (l’arte in generale), sia ribelli (i giovani che potranno anche far politica). Da questo punto di vista la pellicola Teorema, di qualche lustro precedente a Salò, è assolutamente chiarificatrice e quasi profetica.29 Seguendo le indicazioni di Corpo in figure di A. Cavarero30 notiamo come la politica sembri rigettare l’elemento corporeo pur ricorrendovi sempre (il braccio armato dello Stato, il cuore dello Stato, la mente ecc..). Il corpo è la metafora migliore per la politica, e la politica stessa se ne serve. La società dei consumi, mescolando Cavarero e Pasolini, cerca d’imprimere e d’imprimersi a tutti i livelli sociali, culturali, tecnico-amministrativi. Ha bisogno di mercanti per colonizzare, ma necessita poi di missionari che indottrinino e, in fine, dei militari che garantiscano l’ordine stabilito. Come nella villa di Pasolini! Se è vero che il corpo è metafora dominante nella politica, tale corpo è ovviamente modellato sul maschio, ma soprattutto, e in questo Pasolini e Cavarero sono perfettamente in sintonia, sul godimento e sull’immaginario del maschio. Questo comporta che la forma di desiderio, e di godimento, che caratterizza il corpo maschile sia ben conosciuta dal Potere di stampo misogino che caratterizza la politica occidentale (non a caso si ricorre alla sodomia nel film). Succede che per dominare il corpo, maschile, della politica serva puntare sul godimento tipicamente maschile. Non solo, la tortura e la rabbia di

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Cfr. Cavarero, Adriana, Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995. Fini, Massimo, Denaro sterco del demonio, Marsilio, Venezia 2003. 29 Cfr. Teorema pellicola ma anche Pasolini, Pier Paolo, Teorema, Garzanti, Milano 1994. 30 Cavarero, Adriana, Corpo in figure, cit. 28

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tale godimento ha da essere feroce (seguendo le parole di una bella canzone dei CCCP: “e cavità di donna che crea il mondo, contiene membro d’uomo che s’alza e spinge, insoddisfatto poi distrugge”). Abbiamo per tanto due movimenti che attraversano il corpo, dei giovani e della politica, agli occhi di Pasolini: una prima parte è volta al far nascere nei corpi dei giovani, probabilmente politici in un futuro, la voglia di godere del potere e solamente nell’ambito del Potere (anche da questo punto di vista Pasolini oggi non avrebbe più nulla da dire in quanto aveva già detto e “pre-visto” tutto sull’attuale utilizzo del corpo nel settore dell’immagine), e una seconda parte che è rappresentata dal godimento che si cerca di indurre al vero e proprio corpo politico (sia dominante che dirigente). Da una parte (livello A) ritroviamo la disciplina (1→) e poi il controllo (2←), dall’altra (livello B) la destabilizzazione (1→), l’omologazione (2↔), la perversione (3↔) per giungere al controllo (4←). I movimenti del film Salò, e di quanto detto, sono di questa natura: livello A, 1→ 2←, che produce corpi assuefatti al godimento di Stato (alla rappresentazione di Stato direbbe C. Bene che in Nostra signora dei Turchi (1968) mette in scena lo stesso problema pasoliniano della distruzione dei corpi dei giovani, anche se l’obiettivo della critica non è immediatamente politico); livello B, 1→2↔3↔4←, che altro non è che il meccanismo di omologazione e corruzione del corpo politico per renderlo inefficiente e non più in grado di incidere sulle scelte strategico-militare e strategico-commerciale. Serve smembrare questi due corpi, ma nel caso dei giovani serve anche deturparli per far si che il godimento sia ricercato solo ed esclusivamente nella sfera del Potere, al di fuori della quale non si può godere perché si pensa, e s’immagina, d’essere sempre controllati. Solo chi comanda può godere e far godere a suo piacimento il proprio corpo riducendo il tutto ad oggetto di consumo. Nel caso del corpo politico, dopo che Amleto ci ricorda che il cadavere del politico (del re) puzza e sta degenerando, serve intaccarlo e vincolarlo ad un godimento assoluto e sempre in progress che solo nella sfera della politica degenerata può essere appagato. Chi comanda, chi detiene il potere, non può rischiare di perdere il suo ruolo dominante, anche se tale potere è solo apparente ormai. Non può correre il rischio di perdere questo fantasmatico privilegio perché rischierebbe una mancanza assoluta di godimento (ricordiamoci le parole del gerarca sulla vera anarchia) che solo nel corpo della politica ormai corrotta e lasciva trova la sua ragion d’essere. Il problema, e qui Pasolini è profeta, è che tale corpo necessariamente deve essere smembrato, scarnificato e offeso; deve essere oggetto di scempio scellerato e di violenza inaudita oltre ad essere volutamente intaccato dal denaro e dalla logica della 15


società dei consumi. La dinamica è quella di distruggere i corpi (d’entrambe le nature) per poterne poi edificare dei nuovi. Non è solo una questione di biopotere di foucaultiana memoria, ma anche di un’esigenza vera e propria di costruzione di corpi. Prima serve distruggere una certa corporalità, un certo rapporto con il corpo, ma ciò che non si abbandona mai, come Cavarero insegna, è l’esigenza del(la metafora del) corpo. Per questo motivo l’edificazione va fatta dei corpi. E come edifica e costruisce il suo dominio la società dei consumi? La sua dinamica è legata al bisogno, al desiderio ed alla perversione. Il meccanismo economico è legato inscindibilmente a queste tre componenti e su queste tre edifica il suo dominio, così come ricorre a queste per distruggere ciò che non soddisfa le regole interne della sua logica. Ecco che Pasolini, come il teatro di Carmelo Bene per certi versi, leggendo nella crisi della sessualità ha scoperto e portato alla luce uno dei meccanismi intrinseci di questa nostra società dei consumi. Non dimentichiamoci che la critica più feroce che tale società porterà all’opera tutta del regista sarà sempre e solo a sfondo sessuale: Pasolini è un pervertito, Pasolini è un marchettaro, Pasolini è un omosessuale e per di più insoddisfatto, la sua mente è malata ecc… Questa è la complessa, ma splendida condanna che Pasolini ci lascia nella pellicola di Salò, film che ci disturba non per le immagini e per il tema trattato, ma esattamente per ciò che ci vuol far vedere e di cui tutti noi siamo a conoscenza, ma che tutto sommato non vogliamo accettare nella speranza, però, che tutto sia vero. Allora, come la scena finale del film, danziamo sulle note leggere di una canzonetta e prestiamo poco ascolto alle parole di Ezra Pound che la radio, poco prima di quel motivetto, ci ha fatto ascoltare … così come non abbiamo ascoltato il regista del film!.

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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA 1. P. P. Pasolini, Lettere Luterane, Einaudi, Torino 1976. 2. P. P. Pasolini, Scritti per il cinema, Meridiani Mondadori, Milano 2000. 3. P. P. Pasolini, La trilogia della vita, Garzanti, Milano 1995. 4. P. P. Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano 1994. 5. P. P. Pasolini, Dialoghi, Editori Riuniti, Roma 1992. 6. J. Baudrillard, Power Inferno, Raffello Cortina Editore, Milano 2003. 7. S. Žižek, Il grande Altro, Feltrinelli, Milano 1999. 8. S. Žižek, Il godimento come fattore politico, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. 9. S. Žižek, Sulla Intolleranza, Città Nuova, Roma 2003. 10. S. Žižek, The Matrix o i due volti della perversione in Quaderni di estetica, vol. I, Deleuze e il cinema francese, Mimesis, Milano 2002. 11. A. Cavarero, Corpo in figure, Feltrinelli, Milano 1995. 12. G. Deleuze, Pourparler, Quodlibet, Macerata 2000. 13. G. Deleuze, Differenza e Ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997. 14. J. Saramago, La Caverna, Einaudi, Torino 2000. 15. M. Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1998. 16. M. Foucault, “Bisogna difendere la società”, Feltrinelli, Milano 1999. 17. F. Guattari, La rivoluzione molecolare, Einaudi, Torino 1977. 18. H. Arendt, Vita Activa, Bompiani, Milano 1997 19. AA. VV., Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano 1976 20. C. Bene, Opere, Bompiani, Milano 1995. 21. M. Fini, Denaro sterco del demonio, Marsilio, Venezia 2003 22. S. Freud, Al di la del principio di piacere, Bollati Boringhieri, Milano 1996. 23. J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino 1980. 24. P. Réage, Histoire d’O, Fayard, Paris 2000.

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