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GIANANDREA SICCARDI
ARSALON Il regno delle ombre
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I edizione: maggio 2012 © 2012 La Corte Comunication Via Paolo Regis 44, Chivasso (To) Tutti i diritti riservati La Corte Editore è un marchio La Corte Comunication Progetto Grafico: La Corte Editore Illustrazione in copertina: Kerem Beyit © ISBN 978-88-96325-14-8 Finito di stampare nel mese di Maggio 2012 presso lo stabilimento grafico Impressioni Grafiche di AquiTerme (Al) per conto di La Corte Comunication
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PROLOGO
La donna si sentì pungere alla gola. “Fai un passo falso e sei morta, strega” le bisbigliò una voce all'orecchio prima che potesse urlare. Rabbrividì percependo gelido metallo. Non farti prendere dal panico, pensò mentre il cuore batteva all'impazzata. La lama premette sul collo e lei chiuse gli occhi, pronta al peggio. “Hai capito?” abbaiò l'uomo che la minacciava. Annuì disperata, poi sentì il freddo allontanarsi per pungerle la schiena. “Cosa vuoi da me?” chiese. “Zitta! Qui le domande le faccio io”. Come ha fatto a entrare nella grotta? Ha ucciso le guardie? Mille domande le affiorarono nella mente. I pochi secondi che passarono le sembrarono un'eternità. “Voglio la pozione”. La strega sussultò. “Quale?” finse di non capire. “Quella per cui sei famosa”. “Richiede tempo”. “Sappiamo entrambi che ne hai una riserva, dammela e ti lascerò vivere” disse in tono ironico facendo gelare il sangue nelle vene della donna. Non aveva scampo, doveva temporeggiare. “Non ne ho più, te lo giuro. Posso preparartela ma ci vorranno un paio d'ore. Toglimi il coltello dalla schiena, non farò pazzie”. Sentì le vesti lacerarsi, il metallo diventare rovente e la schiena bruciare. Non riuscì a trattenere un urlo. “Non giocare con il fuoco, cagna!” Le lacrime cominciarono a sgorgare per la paura. “È in un'ampolla in quello scaffale, disse cercando di non singhiozzare”. Le venne ordinato di recuperarla, perciò si diresse verso la parete della grotta senza fiaccole. Pensò di scappare, ma l'aggressore era un mago. Se già prima pensava di aver poche speranze, adesso era certa di non avere scampo. 9
Rovistò a tentoni fra il materiale dello scaffale. Prima sentì il vetro gelido, ma quando al contatto divenne caldo non ebbe dubbi: era la giusta ampolla. Poté osservare il mago mentre percorreva il breve tragitto che li separava. Non riusciva a distinguerne la faccia, la grotta era illuminata solo da un paio di fiaccole. Tuttavia riuscì a capire che indossava un mantello, forse di color violaceo, che lo ricopriva da capo a piedi. Avvicinandosi notò che una parte del vestito era più sporgente rispetto all'altra. Che gli manchi un braccio? “Prima tu” disse l'aggressore quando gli venne offerta la pozione. “Non vorrei morire avvelenato” continuò ghignando. La strega ne trangugiò un sorso, poi l'ampolla le venne strappata di mano. Sentì lo stomaco contrarsi e fu subito avvolta da un'esplosione di colori. Si ritrovò in un posto che conosceva bene e sapeva esattamente in che tempo si trovava, aveva già vissuto quegli eventi molte volte con l'aiuto della pozione. Era nella piazza centrale di Sinderwood a fianco di un ragazzo dai capelli neri come la notte. Attorno a loro una folla strabordante era accorsa per assistere all'incoronazione di Merv III, imperatore di Arsalon. La donna attese che il sovrano uscisse sulla balconata del palazzo e cominciò a contare nella testa. Tre... due... uno. Un lampo verde abbagliò Sinderwood e la strega si ritrovò catapultata in un altro tempo e in un altro luogo mentre l'imperatore cadeva a terra privo di vita. Adesso era in una foresta rigogliosa insieme a una splendida elfa dai lunghi capelli castani quando una moltitudine di uccelli diversi planò verso di loro. Qualcosa di simile a una freccia sfiorò l'elfa, volteggiando intorno al tronco di un noce e scaraventandosi sulla spalla facendole quasi perdere l’equilibrio. “Principessa Chantal” cominciò un bel falco scuro appollaiato alla destra del volto. “Un attentato. L’imperatore è stato assassinato!” La strega non si spaventò quando i colori esplosero per trasportarla nuovamente altrove. L'Università dei maghi risplendeva in tutta la sua 10
magnificenza, ma lei non se ne curò. Era in una camera con un ragazzo dalla postura leggermente curva per il troppo studio: Amir. Ora si laverà la faccia per il troppo caldo e, incuriosito dai rumori provenienti dalla stanza dell'arcimago, andrà a origliare alla porta, pensò la donna sbuffando. Le sembrava di riascoltare le leggende che i cantastorie narravano quando era bambina: sapeva già tutto. Aveva compreso perché la pozione le facesse sempre rivedere gli stessi episodi, ma era troppo angosciata da ciò che stava succedendo nella grotta per perdere tempo cercando dettagli che le erano sfuggiti. Quel mago era lì per ucciderla, ne era certa e si sentì inerme. Si mise a piangere a dirotto confortata dal fatto che Amir non potesse vederla. Sapeva tutto delle persone che le apparivano in quelle scene. A volte era convinta di conoscerli meglio dei loro cari. Si decise a far mente locale per contrastare le lacrime che incessantemente le rigavano il viso. Erano cinque le storie in cui veniva proiettata. La prima era quella del giovane Amir, promettente allievo che, colto da un'allucinazione, evocava delle magie oscure per ferire gravemente un compagno durante la prova per diventare mago. Espulso dall’Università, il giovane era caduto nelle mani di Sidereus – il re degli elfi, che aveva escogitato l'assassinio dell'imperatore per ottenere il dominio su Arsalon – che lo aveva trasformato in una macchina per uccidere. Amir lo aveva aiutato nei compiti più ignobili e l’odio lo aveva portato a uccidere persino i suoi genitori. Ma tale atto gli aveva fatto realizzare il male provocato e aveva cominciato a provare disgusto per se stesso. Si era perciò rivoltato contro Sidereus, scatenando l’ira dell'elfo che, a sua volta, aveva tentato di ucciderlo. Non vi era riuscito, ma Amir aveva perduto la vista. Se solo Amir sapesse ciò che gli sta per succedere. Ce lo aveva di fronte. Lì, inchinato a spiare dalla serratura mentre Sidereus e l'arcimago erano intenti a discutere sul da farsi, dato che l'imperatore era appena stato ucciso. Provò pena per quel ragazzo cosi giovane e subito le lacrime cominciarono a riaffiorare. Serrando la mascella, decise allora di concentrarsi su Sidereus. L'odio che provava per quel mostro che aveva causato tutte quelle morti con le sue trame oscure non aveva uguali. Per lei era la rappresentazione del male in persona. Secoli prima aveva perso il dominio su gran parte del territorio elfico e aveva dovuto chinare il capo di fronte al re degli uomini. Da allora aveva covato rancore non verso i conquistatori, ma verso il suo 11
stesso popolo per non averlo sostenuto dopo la sconfitta. Ma la follia era definitivamente esplosa secoli più tardi quando gli uccisero sua moglie Lauren, la regina di tutti gli elfi. Da quel momento cominciò a escogitare il piano che lo portò a uccidere l'imperatore, a eliminare tutti i membri del Gran Consiglio e a scatenare una guerra feroce che portò gli elfi, ingannati e traditi, sul baratro dell'estinzione. Per la rabbia, la strega si morse il labbro così forte da farlo sanguinare. Si concentrò sulla terza storia: quella di Chantal, l'elfa che aveva visto pochi minuti prima. Le venne subito in mente che proprio lei era la figlia del re Sidereus. Non aveva molte visioni di quella creatura, ma non si sarebbe mai dimenticata l'espressione di terrore che le si era dipinta in viso alla scoperta che il padre aveva tradito lei e sterminato tutto il popolo elfico. Poi, cambiò di nuovo scena e si ritrovò a Gronte, la capitale dei nani, dove re Petronio dava il suo benestare per una missione importante: ottenere alleati per contrastare Sidereus. La donna si sentì scombussolata. Ho saltato un sacco di eventi, dev'essere perché non ho bevuto tutta la pozione. Di fronte a lei c'era un gruppo variegato. Un elfo, un nano, Amir, Chantal e Sevrian. Proprio in quella regione sperduta le sue visioni si intrecciavano. Sevrian, il ragazzo che aveva assistito alla morte dell'imperatore, era lì, pronto a seguire il gruppo in un piano folle: ottenere l'aiuto dei negromanti e dei non morti per contrastare il re degli elfi. Sevrian era dovuto fuggire da Sinderwood senza conoscerne il motivo. Aiutato da Emyris - l'elfo - e da Armistad - il nano - aveva intrapreso un viaggio sotto le montagne per dirigersi a Gronte e ottenere asilo nella patria dei nani. E lei era lì, a fissare quel ragazzo così giovane, ma con un peso così grande sulle spalle. Poteva capire l’angoscia del ragazzo per tutti quei cambiamenti nella sua vita, così inaspettati e così violenti. Durante il tragitto aveva infatti scoperto di essere il legittimo erede al trono imperiale, che Sidereus desiderava morto per poter regnare definitivamente su Arsalon. E proprio a Gronte Sevrian incontrò Chantal e Amir scoprendo che anch'essi erano scampati per un pelo alla furia di quel mostro. La donna poteva osservare il viso del giovane, intristito dal non aver con sè Vikrian - il suo migliore amico - e di non aver più sue notizie. Ma lei sapeva che Sevrian era ancora più sconfortato per la morte di 12
suo padre Ghinta, ucciso dalle guardie imperiali affinché le trame di Sidereus non venissero rivelate a tutto il popolo di Arsalon. Le si formò un nodo alla gola per quell’orribile storia e scosse la testa per deglutire l’amaro boccone. Sapeva bene cos'era successo a Vikrian. Era l'ultimo tassello di quella storia che le era dato vedere. Il ragazzo, per entrare a far parte dell'esercito imperiale, aveva tradito Ghinta, il padre di Sevrian, condannandolo così a morte certa. Non era stato facile per lei comprendere tutta la storia e aveva fatto più volte uso della pozione per capire. La scena cambiò ancora e la colse impreparata. Vide solo contorni vaghi in un oceano di nebbie. Un dubbio le venne alla mente quando una fitta alla stomaco la investì. Cadde a terra avvolta da fumo bianco. *** Merivia era ricoperta da una spessa coltre di nubi. Da giorni una pioggia lieve ma incessante cadeva sulla capitale senza accennare a smettere. Come lacrime che scendono a terra rigando il viso, così le gocce d’acqua si riversavano nell'Avr e nei suoi affluenti scivolando nelle scanalature delle strade di pietra. Lampi in lontananza illuminavano per attimi sfuggenti il panorama, precedendo di vari secondi tuoni fragorosi che sembravano scuotere anche gli edifici. Un bagliore più lungo del previsto fece scendere ombre longilinee nella stanza di Sidereus. “Mio signore, i nostri informatori a Gronte riferiscono di aver visto un ragazzo che corrisponde alla descrizione fatta da Vostra eccellenza”. Il generale Davni parlò con la massima deferenza a quell’elfo che era l’imperatore di Arsalon, l’essere con più potere del mondo conosciuto. Il sovrano era seduto sulla poltrona dietro a un’ampia scrivania in mogano, unico tocco di maestosità nella stanza sobria. Nonostante Sergej Davni avesse terminato di parlare, Sidereus continuò a leggere una pergamena che teneva fra le mani affusolate, non prestando la minima attenzione al nuovo Generale Supremo delle truppe imperiali. Dopo lunghi attimi l’imperatore posò il manoscritto sul tavolo e fissò Davni in piedi davanti a lui, immobile e sull’attenti. 13
“Elkar mi ha assicurato di aver risolto il problema” disse Sidereus con voce melodiosa, ma nello stesso tempo forte e sicura. “Le notizie che mi sono giunte riguardano un ragazzo che si è presentato alla corte dei nani con il nome di Sevrian di Sinderwood. Non possiamo essere certi che sia lui, ma penso sia meglio controllare.” “Benissimo, generale. Risolva questa faccenda al più presto.” “Certamente mio signore”. Il comandante fece il saluto militare e si incamminò fuori da quello studio che trasudava potere da ogni pietra. “Ah, un’ultima cosa Sergej. Come procedono gli studi del giovane Vikrian?” Gli occhi di Davni si illuminarono a sentir pronunciare quel nome: il ragazzo gli aveva salvato la vita poche settimane prima, durante la battaglia di Stad, quando lui e il vecchio generale erano stati attaccati dalle fenici elfiche. I draghi usati come cavalcature si erano scontrati alti nel cielo ed erano caduti a terra rovinosamente, trascinando i due cavalieri nell’impatto. Le fenici non avevano dato tempo agli avversari di riprendersi e stavano sferrando il loro attacco micidiale. Era stata una vera fortuna che Vikrian avesse assistito a tutta la scena. Il giovane aveva radunato un manipolo di allievi ufficiali per soccorrerli. Quando si era reso conto di non poterli salvare entrambi, era stato costretto a una scelta. Aveva condannato il Generale Supremo Elkar al suo mortale destino, strappando al fato il colonnello Davni. “Il giovane è ritornato con i suoi compagni all’Accademia. È un allievo molto promettente e sono sicuro che diventerà un grande ufficiale.” “Non ne dubito” rispose l’imperatore con un sorriso sardonico sul viso, poi con un gesto congedò il generale e la porta nera si chiuse senza emettere il minimo cigolio. *** La donna cadde a terra e chiuse gli occhi ritrovandosi sul pavimento freddo della grotta. Boccheggiando, cercò di rialzarsi e rimettere a posto le idee, senza successo. Si sentiva esausta. 14
“Non hai cercato di avvelenarmi”, disse il mago che la fissava dall'alto al basso. La strega sapeva che non era passato più di qualche secondo da quando l'aggressore l'aveva costretta a bere la pozione. Rabbrividì. “Per questo non ti farò soffrire più del dovuto”, disse il mago alzando la spada. La donna sentì un sibilo. L'urlo dell'uomo risuonò inaspettatamente nella grotta. Alzando lo sguardo vide una freccia conficcata nel mantello, all'altezza del petto e poté vedere la smorfia di rabbia e dolore scolpita nel viso del suo assassino. Uno sferragliare proveniva dall'ingresso della grotta. Soldati, pensò lei con un barlume di speranza. Altre frecce arrivarono a destinazione, ma il mago aveva alzato uno scudo magico per proteggersi. Le scoccò uno sguardo truce poi il mantello si infuocò e il suo aggressore si trasformò in una palla di fuoco e sfrecciò verso l'uscita. Sentì le urla di alcuni soldati, poi il silenzio e dopo degli istanti che le sembrarono eterni percepì nuovamente dei passi. Temette il peggio. “Sta bene, mia signora?”, disse una voce a lei famigliare. La donna non rispose e si abbandonò a un pianto disperato. Il soldato che aveva di fronte parve preoccupato. “Lo sciamano ha percepito una forza magica nella grotta e ci ha subito convocati. Abbiamo fatto il possibile, ma per le guardie non c’è stato più nulla da fare. Sono desolato”. “Armin non piango per me, ma per ciò che dovrà succedere. L’ho visto morire”.
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