FINALMENTE SEI QUI - Cap 1

Page 1

1


2


GIANNI LA CORTE

3


I edizione: maggio 2012 © 2012 La Corte Comunication Via Paolo Regis 44, Chivasso (To) Tutti i diritti riservati La Corte Editore è un marchio La Corte Comunication Progetto Grafico: La Corte Editore Foto in copertina: Fabio Rinaldi Foto dell’autore: Fabio Rinaldi © 2012 La Corte Comunication ISBN 9788896325131 Finito di stampare nel mese di Aprile 2012 presso lo stabilimento grafico Impressioni Grafiche di AquiTerme (Al) per conto di La Corte Comunication

www.lacorteditore.it www.giannilacorte.it

4


All’Amore.

5


6


1

Il tempo non l’ho mai afferrato. È irrazionale, misterioso, imprevedibile. Soprattutto non è mai quello che si pensa, quello che si vorrebbe. Ogni attimo ha la sua intensità, il suo colore, la sua durata. Non c’è mai un istante che sia uguale all’altro. Il tempo è astratto, persino gli orologi in realtà fanno fatica a incasellarlo. Perché lui è la spensieratezza di un bambino che gioca, il desiderio di tornare tra le braccia amate, la tavolozza di un pittore che gronda ancora colore. Il tempo è una magia che non si può controllare. E la prima volta che ci ho pensato davvero è stato quando avevo nove anni e mio padre è morto. In realtà non ci ho creduto subito. Pensavo che fosse solamente un altro dei suoi trucchi, dei suoi colpi ad effetto. Mio padre faceva l’illusionista di professione e con lui non si era mai sicuri di nulla. Si esibiva in teatri, casinò, circhi, navi da crociera, palcoscenici di ogni genere, eppure mi sussurrava sempre che il suo preferito rimaneva quello invisibile che c’era a casa, tra il divano del salotto e il tavolo della cucina, dove non mancava mai di stupire noi figli. La magia era la sua passione, la sua vita. Per lui manipolare la realtà era un modo di essere, una ragione di esistere. Penso che la banalità del quotidiano fosse per lui una prigione troppo dura, dalla quale cercava di evadere ogni qualvolta gli fosse possibile grazie a una moneta, un mazzo di carte o un cappello a cilindro. Aveva lo spettacolo nel sangue. Per questo ero convinto che con un colpo di teatro, voilà, sarebbe rispuntato così, all’improvviso, dove e quando nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Che genio mio padre, pensavo, aveva studiato la magia più grande del mondo. Sarebbe passato alla storia definitivamente. Sarebbe stato ricordato come il Grande Ivan, l’uomo che aveva vinto la Morte. E vissi quei giorni in uno stato di strana trance. Ero in attesa, vigile, come a ogni suo spettacolo, pregustandomi il colpo di scena, attendendo il prestigio. 7


Ero convinto che sarebbe successo durante il funerale. Che mentre tutti piangevano e pregavano, inginocchiati in chiesa, lui si sarebbe alzato sorridendo e avrebbe fatto comparire una colomba dal taschino. Ne ero assolutamente certo. Ci sarebbe stato un attimo di stupore generale e gli sguardi sarebbero stati attoniti, increduli, meravigliati, di chi non si riesce a capacitare di una simile impresa. Ma qualche attimo dopo, superato lo shock, sarebbe esplosa un’ovazione per il mago più grande del mondo: mio padre! Ma quando al funerale lo vidi chiudere nella bara, capii che mi ero sbagliato. Che sarebbe stato troppo semplice. Che la sorpresa sarebbe stata ancora più forte se fosse ricomparso dopo. Se, come il migliore degli escapologi, fosse riuscito a scappare da una tomba sigillata e seppellita sotto tonnellate di terra bagnata. Nessuno l’avrebbe mai dimenticato. Sarebbe diventato immortale. Il suo nome sarebbe stato scritto nei libri di storia della magia e tramandato per secoli. Così rimasi in trepidante attesa. Ma dopo tutti questi anni sono ancora qui che aspetto e mi pongo quesiti sul tempo. Sono uno spettatore che non vuole capire che lo spettacolo è finito e rimane ancorato alla poltroncina rossa, nonostante il teatro si sia ormai svuotato e non ci sia più nessuno. Perché mi manca mio padre. La sua risata era qualcosa di unico. Riesco ancora a sentirla ogni tanto e se chiudo gli occhi mi sembra di avvertirla: cristallina, spontanea, divertita, identica a quella che risuonava ogni volta che riusciva a fregarmi, facendomi scomparire e riapparire da sotto il naso qualsiasi oggetto gli capitasse tra le mani. E io rimanevo strabiliato tutte le volte. Rimanevo incantato. Cioè, era ovvio che ci fosse il trucco, lo sapevo anch’io, crescendo ne ero diventato consapevole, però c’erano momenti in cui non riuscivo proprio a dare una spiegazione razionale a quello che vedevo, e pensavo che mio padre fosse davvero magico, che avesse realmente qualche sorta di potere. Non ci poteva essere altra soluzione. Ed è bello pensare che sono ancora molti i dettagli che ricordo di lui: il suo strano modo di farsi la barba a secco, la sua bizzarra abitudine di parlare con le colombe, la maniacale sequenza di gesti con cui apriva un mazzo di carte nuovo. 8


Altri dettagli invece li ho persi per strada, hanno cominciato a sfocarsi e faccio sempre più fatica a tenerli stretti a me. Ma ci sono momenti che non potranno mai cancellarsi dal mio cuore, come quelli in cui si fermava vicino a me e mi insegnava a fare qualche gioco, trasmettendomi un po’ della sua magia. Non potete immaginare quanto mi sentissi importante. Che bambino privilegiato che ero. Poter avere un papà così bravo, così importante, che m’insegnava cose che a nessun altro avrebbe mai raccontato. Il Grande Ivan tutto per me. Già allora avrei voluto fermare il tempo e rimanere sospeso in quell’incanto. Così lo stressavo tutte le volte che potevo, tutte le volte che rimaneva a casa. Insegnami qualcosa papà, insegnami a far sparire una moneta, insegnami a manipolare le carte… E lui mi insegnava. Si metteva lì e pazientemente mi spiegava le tecniche, le prese, le malizie. Ma era il segreto, la cosa più importante. “Quello, mi raccomando, non dovrai mai svelarlo. Un vero mago non tradisce mai la magia. Ti supplicheranno di rivelar loro come hai fatto, ti cercheranno di ammaliare, ti offriranno qualunque cosa. Ma tu non cedere. Una volta svelato il trucco, ogni cosa perderà il suo valore e tu perderai il tuo fascino. La forza di ogni mago sta nei suoi segreti.” E io non ne ho mai tradito nessuno. Li ho conservati gelosamente uno a uno. Ho continuato ad allenarmi, a esercitarmi, a tenere le mani allenate. È stato un modo come un altro di sentirlo vicino, di pensare che fosse lì con me. Ma la magia l’ho praticata gelosamente, in silenzio, come un innamorato che non osa rivelarsi, ma che senza farsi accorgere riempie di attenzioni la sua amata. Non mi sono mai voluto iscrivere a nessun circolo magico o a nessun club, non mi sono mai voluto esibire per nessuno se non per me stesso. Il palcoscenico era di mio padre, non mio. Mi bastava l’emozione del gesto, la familiarità della ripetizione, la confortante sensazione di saper fare qualcosa. Qualcosa di speciale. Qualcosa che sapesse trasportarmi nel tempo. Ma ora lo ammetto, sto per fare quello che non ho mai fatto, sto per tradire tutto in quello in cui ho sempre creduto. 9


No, no. Non rivelerò nessun segreto, ma… come dire… sto per utilizzare la magia per fini indegni. Lo so, è sbagliato. Ma in questo momento non trovo altra soluzione. Ho bisogno di soldi. Ed è solo ed esclusivamente perché non ho altra scelta che sono seduto al tavolo di un poker, aspettando la mano giusta per tirare fuori, più o meno letteralmente, il mio asso nella manica. Perché non so come, ma mi sono ritrovato in un mare di guai. Nei mesi scorsi mi sono fatto prendere dal virus del gioco e in un batter d’occhio, ho perso tutti i miei già miseri risparmi. Così ora sono nella sala privata di un locale per scommesse. Fino a un paio di ore fa brulicava di gente che puntava sui cavalli o sulle partite del week end, mentre ora è riservato a una cinquantina di giocatori che, su vari tavoli, si stanno sfidando a colpi di bluff. Mi sono lasciato trascinare in questo gioco dalla bellezza che trasmette. Dall’adrenalina che regala. Dalle emozioni che fa vivere. Ma soprattutto, mi sono lasciato trainare perché ero convinto che il poker, e in particolare il Texas Hold’em, fosse un gioco dove prevalesse la razionalità. Un gioco nel quale bastasse rimanere lucidi e concentrati per vincere. Ero sicuro che il segreto del poker fosse tutto lì. Che, nonostante ti sembrasse di camminare sempre sull’orlo del baratro, per portare a casa il risultato bisognasse semplicemente saper essere pazienti, aspettare la mano giusta e gettarsi solo nei rischi calcolati. Invece sono solo stronzate. Nel poker vince chi ha più culo. Punto. L’ho capito durante l’ultima partita, quando sono riuscito a perdere con un poker di otto in mano. Non volevo crederci. Mi ci ero giocato tutto. Per questo ho deciso ora di recuperare, dando una piccola mano alla mia fortuna. Finora mi ero sempre rifiutato di usare le mie capacità manuali per avvantaggiarmi al gioco. Ma che diavolo… Aiutati che il Ciel ti aiuta, no? Sono stanco di essere lo zimbello di tutti, il giullare del destino. Così ho smesso di frequentare i casinò ufficiali e ho cercato un posto che potesse fare a caso mio, dove girassero un po’ di soldi e dove potessi agevolare la mia sorte. 10


Sono già stato qui ieri sera. Un giro d’ispezione per capire che carte usano, come si muove il mazziere, come si organizza la security, se ci sono delle telecamere. Ho visto che ai tavoli utilizzano dei mazzi particolari che non esistono in commercio e quindi non ho potuto preparare nulla da casa. Ma ho notato anche che hanno l’abitudine di giocare ben venti mani di seguito con lo stesso mazzo, prima di cambiarlo. Venti mani sono tantissime per uno come me. Così ho deciso di seguire una tecnica piuttosto semplice, anche se rischiosa. Durante le prime mani, quando mi sale una carta alta, a meno che non possa già servirmi per vincere, lascio la puntata e, approfittando del momento di confusione di fine gioco, faccio la magia. Un veloce gioco di mano ed è fatta. Faccio finta di restituirle tutte e due, ma ne consegno una sola. E la carta alta rimane mia. Nessuno la può vedere, e la faccio sparire rapidamente nel polsino della giacca. Il trucco più vecchio del mondo. Ma le mie mani sono veloci e nessuno potrebbe sospettare di nulla. Poi, al momento opportuno, impalmo la carta e la sostituisco con una di quelle che mi han dato. Finite le venti mani, con la scusa di andare a prendere il cellulare, infilo la mano in tasca e scarico la carta in esubero. Così posso ricominciare daccapo. Mi sono seduto al tavolo con i miei ultimi cinquecento euro e dopo due ore di gioco ne sto vincendo più di tremila. Guardo l’ora e decido che è arrivato il momento di alzarsi. Bisogna sempre sapere quando andarsene via vincitori. Annuncio la mia ultima mano e gioco le ultime carte. Mi salgono un cinque e un nove. Lascio subito e vince un signore pelato accanto a me. Io mi alzo, saluto tutti e mi avvio verso la cassa per riscuotere la vincita. Sono soddisfatto. È un ottimo inizio per tornare a sentirsi padroni della propria vita. Ora devo solo trovare il coraggio di conquistare Celeste. Celeste è la ragazza che lavora nel mio ufficio e a cui praticamente non ho ancora osato nemmeno rivolgere la parola. 11


Eppure so che timbra tutti i giorni alle otto e cinquantanove, che il caffè lo prende macchiato ma senza zucchero, che il suo pranzo non supera mai le quattrocento calorie, che quando parla al telefono con i clienti il timbro della sua voce cala di un’ottava, che il leggerissimo rumore dei suoi tacchi è la distrazione più grande che possa esistere. La guardo ogni giorno sognando di essere la persona che condivide la sua vita, che gode dei suoi abbracci, che può conoscere tutti i suoi piccoli segreti, i significati nascosti delle sue variegate espressioni. Ma non ho ancora avuto il coraggio di muovere alcun passo. Sono sempre stato così con le donne. Impacciato, impaurito, imbranato. Non sono mai riuscito a dire la cosa giusta quando era il momento di farlo, né, tantomeno, sono mai stato bravo ad agire, a far capire i miei sentimenti, a provare ad avvicinarle quando non avrei desiderato altro. Non voglio dire che io sia ancora vergine a ventotto anni. No, per carità, ho avuto anch’io le mie storie, le mie esperienze, Dio sia lodato. Però, con le ragazze che mi piacciono davvero, niente. Mi comincia a battere il cuore in gola, la bocca si fa secca, le parole cominciano a farfugliare e rimango sempre così, alla finestra, a guardare gli altri che vivono la vita che vorrei io, che escono con le donne che vorrei io. Quindi è ora di dare una svolta anche questo lato della mia vita. Voglio cominciare a guidare io. Ma non finisco di formulare il pensiero che succede l’imponderabile. Un cameriere distratto mi urta e mi fa perdere l’equilibrio. Cado che mi sembra di precipitare. Lentamente. Che mi sembra di vedere tutti gli occhi che si sono voltati nella mia direzione. Attirati dal rumore, dall’odore di disastro. Percepisco chiaramente che il Destino mi sta giocando un brutto scherzo. Che la magia ha deciso di prendersi la sua vendetta. Non è successo ancora nulla, ma quei decimi di secondo che ci vogliono affinché il mio culo sbatta a terra, mi raccontano che, al contrario di quel che pensavo, ho appena perso definitivamente il controllo della situazione ed è tutto il mio mondo che sta per precipitare. Infatti, appena cado a terra, non solo mi si rovesciano addosso tutti i bicchieri che il cameriere stava portando e si spargono a terra tutte le fiches che avevo vinto, scatenando la cupidigia di tutta la sala, ma se12


guendo il cellulare che s’infrange a terra, anche le carte sottratte al gioco sgusciano dalla tasca e traditrici scivolano via per terra. Cazzo, se qualcuno le vede sono fottuto. Non potrò inventare nessuna palla. Capiranno che ho barato. Così, nella frazione di secondo successiva, sperando che tutti si siano fatti distrarre dalla moltitudine di gettoni colorati che si sono sparsi e dalla brama di farli propri, mi rotolo immediatamente sulla destra per coprire con il corpo la prova del reato. In un sol gesto, poi, dando ancora prova di riflessi eccellenti, raccolgo carte e cellulare e mi alzo in piedi con l’intenzione di riprendermi le fiches. Mi guardo intorno e noto che dopo una risata generale, tutti sono tornati al loro gioco. Tiro un sospiro di sollievo. Nessuno sembra essersi accorto di nulla. Il cameriere sembra mortificato e si profonde in mille scuse. Io invece cerco di togliermi il più velocemente possibile da quella situazione pericolosa e imbarazzante. Mi riprendo tutto e mi avvio verso la cassa. Ma non faccio in tempo ad arrivare che accanto a me si palesa Tony, il proprietario del locale. Si presenta. È un uomo sulla quarantina, elegante nel suo completo, con gli occhi che incutono subito timore e rispetto. “Piacere, Marco.” Gli rispondo stringendogli la mano. Dietro di lui c’è un nero che sfiora i due metri e ha l’aria di un tirannosauro affamato. “Si è fatto male?” Mi chiede. “No, no. Non si preoccupi.” “Sono felice che non si sia fatto niente, ma ci tenevo a chiederle scusa per il nostro cameriere. Mi dispiace che si sia sporcato tutto.” “Si figuri. Sono cose che possono succedere.” “Vorrei offrirle da bere, posso?” Io invece vorrei solamente andarmene via il più presto possibile. Ma non posso rifiutare. “Certo, con piacere.” Ci incamminiamo verso il bar. Anche il nero viene con noi. 13


Non sono per niente tranquillo. Mi sembra di percorrere il miglio verde, prima dell’esecuzione. Ci appoggiamo al bancone del bar e fa portare due whiskey e un martini per me. Mi presenta Didier, il tirannosauro, e si mette a parlare di calcio, di partite, di scommesse. Mi racconta che da quando ha aperto il locale otto mesi prima, ha passato ogni sera qui dentro. Che sente il locale come un figlio. Io di me gli racconto poco, invento molto, rispondo per frasi fatte. Non vedo l’ora che questa tortura finisca. “Vede,” continua lui “adoro gli scommettitori. Sono la razza più bella del mondo. Gente pronta a vendere l’anima per l’illusione di un sogno. È bello osservare le persone quando giocano. In quel momento si sentono tutti vincitori. Immaginano già cosa potrebbero fare con i soldi che ancora non hanno vinto ma che già si sentono in tasca. Pensano a cosa comprerebbero, dove li spenderebbero, come cambierebbero la loro vita. I loro occhi brillano di una luce diversa e, anche se sono effimere e provvisorie, mi piace sapere di regalare loro queste piccole emozioni.” “Già.” Rispondo io sorridendo, ma con un’evidente vena di tensione in continua crescita. “Ed è per questo che mi infurio quando qualcuno tenta di fregarli.” Corruccio la fronte a punto interrogativo e il cuore comincia a martellarmi nel petto. “È un po’ come se provassero a fregare me.” Fa un attimo di pausa, poi con un sorriso sicuro, spara la bordata “Posso chiederle di farmi vedere cos’ha in tasca?” Cazzo, mi ha beccato! Cazzo, cazzo, cazzo. Lo sapevo. Potrei bluffare e far sparire velocemente le carte, ma ho paura che ormai la mia copertura sia saltata. Così provo a sorprenderli. Gli getto in faccia le fiches che ho in mano e gli tiro un violento calcio nelle palle. Poi lo spingo brutalmente contro Didier che non si aspettava una reazione del genere e si fa sorprendere in equilibrio precario. Cadono a terra. E io mi fiondo verso il bagno che dista pochi passi. Entro e mi chiudo a chiave. 14


Non passano nemmeno due secondi che sento il bisonte nero che prova già a sfondare la porta. Non ci metterà molto. Quindi apro la finestrella che c’è in una delle toilette e arrampicandomi sul cesso mi ci isso sopra per uscire da lì. Il guaio è che siamo al primo piano, a tre-quattro metri d’altezza e rischio di spezzarmi una gamba. Tentenno un attimo indeciso, poi quando sento che Didier è riuscito a fracassare la porta, lascio andare ogni remora e calandomi prima con le mani, per risparmiare un po’ di altezza nella caduta, mi lascio andare giù. Tocco rovinosamente l’asfalto, ma un istante dopo sto già correndo via. Sento Didier che mi insulta in qualche strana lingua, e quando mi giro per capire se mi stia seguendo o meno, vedo che sta prendendo la mira con una pistola. E nonostante la paura che paralizza le mie gambe, mi viene da sorridere. In fondo penso che sia destino che debba finire così. Un destino nato tanti anni fa. Perché non fu un incidente a stroncare la vita di mio padre. E nemmeno un infarto, una malattia improvvisa o un cazzo di drogato che aveva bisogno di soldi per una dose. No, mio padre fu ucciso da due colpi di pistola. I giornali dissero che era stato fatto fuori per aver tentato di barare al gioco. Quale ironia della sorte. Tale padre, tale figlio. E un secondo dopo, un boato squarcia la notte.

15


16


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.