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Labyrinth 8
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FABIO CICOLANI
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Copyright © 2013 by La Corte Comunication I edizione: maggio 2013 LA CORTE COMUNICATION Via Paolo Regis 44, Chivasso (To) Tutti i diritti riservati LA CORTE EDITORE è un marchio La Corte Comunication Progetto grafico: Multicreative - www.multicreative.it ISBN 9788896325353 Finito di stampare nel mese di Maggio 2013 presso lo stabilimento grafico UniversalBook di Rende (Cs) per conto di La Corte Comunication
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A tutti i bambini, che possano conservare l’entusiasmo e la speranza, le lanterne migliori da portarsi dietro sul sentiero del futuro.
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“Proprio di fronte a lui, sostenendosi a un ramo basso, stava un bambino bruno, tutto nudo, che sapeva appena muovere i primi passi; una creaturina morbida e grassottella come mai nessun’altra era capitata di notte in una tana di lupi. Alzò gli occhi, li fissò sul muso del lupo e si mise a ridere. - E questo è un cucciolo d’uomo? - chiese Mamma Lupa. - Non ne ho mai visti. Portalo qui.” Da “I fratelli di Mowgli” della raccolta “Il Libro della Giungla” di Rudyard Kipling
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PROLOGO
Del mondo che Sindre aveva lasciato, non era rimasto niente. L’immenso iceberg pianeggiante, il Navigante Polare, regno incontrastato dei Maghi dei Cristalli, era stato devastato dall’attacco di un esercito di Draghi dei Ghiacci, guidati da una falce di sette comandanti, La Runa. Saku, suo fratello, un Mago potentissimo, gli aveva detto di essere l’unica speranza della loro razza e, prima di essere morire dilaniato dal Drago che si faceva chiamare Viggo, gli aveva lasciato una missione: aprire la strada alla nuova generazione di Maghi dei Cristalli, in un altro piccolo mondo, il Navigante Artico. Sindre aveva stretto la mano al fratello morente, e aveva giurato che l’avrebbe vendicato, che avrebbe sterminato i Draghi dei Ghiacci avvelenando la loro stessa stirpe, che 11
una nuova alba dell’Era Sideriana sarebbe sorta per loro, sul Navigante Artico. Così aveva evocato un possente fulmine e la porzione di iceberg dove si trovava si era staccata, aveva preso il largo ancora fumante dell’elettricità magica scatenata dal lampo. Mentre si allontanava, Sindre fissava con odio e disperazione quell’immensa distesa punteggiata di castelli di quarzo che erano stati la sua città, e la città dei suoi genitori e di tutti gli avi dei Maghi che erano migrati dal Navigante Artico e avevano creato il loro insediamento sul Navigante Polare, liberi di usare la magia e compiere sperimentazioni magiche distanti da quei maghi deboli e vigliacchi che invece avevano preferito restare tra gli Uomini Freddi, i pelleverde assoggettati ai Draghi dei Ghiacci. La zattera di ghiaccio di Sindre aveva vagato per settimane nella vastità dell’oceano senza che il suo unico passeggero scorgesse all’orizzonte alcun accenno di terraferma o iceberg. Il Navigante Artico poteva essere ovunque, solcava le acque gelide del mondo, lento e inesorabile, con la sua vetta altissima. Quell’iceberg, il più antico mai conosciuto, aveva una geografia del tutto diversa dal Navigante Polare, sulla cima, Lisse, c’erano i Draghi dei Ghiacci, creature potenti ma terribili, spietate come tiranni, che esercitavano il loro dominio sugli Uomini Freddi, sfruttandoli e relegandoli nella fascia mediana della gigantesca montagna bianca. Straziato dall’interminabile peregrinare, Sindre aveva 12
quasi rinunciato a trovare il nuovo approdo, finché un giorno una punta bianca scintillante era apparsa tra i flutti lontani. Con le ultime forze rimaste, il Mago aveva evocato un vento magico che con un soffio disperato l’aveva condotto alle pendici del Navigante Artico. Lì era stato accolto da una sparuta comunità di Maghi dei Cristalli, costretti nei loro modesti castelli alle pendici del monte glaciale, senza avere alcuna possibilità di riscatto della loro stirpe, sorvegliati a vista dai maestosi Draghi di Lisse. Nei numerosi decenni trascorsi dall’esodo dei Maghi dei Cristalli, molte cose erano cambiate sul Navigante Artico. Le popolazioni si erano organizzate, avevano raggiunto una tregua apparente e gli insediamenti umani avevano assunto l’aspetto di città a tutti gli effetti. Gli Uomini Freddi erano ancora chiamati pelleverde dai Maghi dei Cristalli, poiché, a differenza dei Maghi che coprivano il loro incarnato con pesanti misture colorate e sgargianti, gli Uomini Freddi ostentavano la loro carnagione naturale senza alcuna remora. Il giallo spento della loro pelle si fondeva con il blu pulsante del sangue freddo che scorreva loro nelle vene, dando vita a un colorito verdastro, con gradazioni differenti per ogni individuo e di tonalità variabile a seconda della zona abitata. Le quattro città degli Uomini Freddi erano addossate alle pareti del Navigante Artico. A Ovest, Alma, la città delle nevi, era incastrata in una rientranza e sovrastata da una coltre di nubi che portava con sé una neve perenne. Gli abitanti di Alma avevano un colorito spento, di un verde paludoso e opaco. 13
Poi c’era Theri a Nord, la città sull’Oceano, costruita su una terrazza di ghiaccio, l’unica città pianeggiante e lambita dal sole freddo dell’Era Sideriana. Il sole scintillava sulle pareti cristalline e dava agli abitanti di Theri il tipico colorito smeraldino, brillante come i riflessi oceanici. Al versante Est c’era Ohkle, la città scoscesa, fatta di rocce e ghiacci, addossata alla parete come uno strato di squame sulla schiena di un drago. E proprio alla pelle dei draghi assomigliava l’incarnato degli ohkleani, di quel verde boscoso, di felci e muschi. Infine, a Sud, c’era Inna, la città interna, scavata nella china del Navigante Artico, fatta di cunicoli e tunnel che non vedevano mai la luce del giorno. I suoi abitanti avevano la pelle del verde più bluastro di tutto il Navigante. Era un colore intenso nella sua cupezza, grigio asparago e pino, ma anche brillante come la superficie dell’oceano. Sindre aveva trovato ospitalità nel gradino più basso della gerarchia sociale, l’ultima fascia, quella bagnata dalle onde dell’oceano. Alcuni Maghi però vivevano nelle città mediane, e mettevano a disposizione degli Uomini Freddi le loro capacità magiche. Questa abitudine fece storcere il naso a Sindre per lungo tempo; nel Navigante Polare i Maghi dei Cristalli erano la razza dominante e gli Uomini Freddi, i pochi ai quali era permesso di vivere in mezzo a loro, erano considerati una razza di molto inferiore, erano trattati alla stregua di schiavi. Sindre non aveva dimenticato la sua missione. Si era portato dietro gli studi compiuti col fratello che ora erano incentivati dal fuoco rovente della vendetta, che 14
gli bruciava dentro e che avrebbe trovato la cima fertile di Lisse dove divampare in tutta la sua cieca devastazione.
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CAPITOLO UNO
IL RAPIMENTO
Il fuoco divampò riscaldando l’aria gelida della notte. I radi licheni sparsi sul terreno innevato incenerirono all’istante e sulla cima del Navigante Artico il silenzio liquido fu assorbito dal crepitare delle fiamme. La gittata si infranse sulla barriera luminosa che il mago teneva sospesa sopra la testa a fatica ma con strenua tenacia. Il drago rovesciò ancora fiamme sullo scudo, nella speranza di vedere lo strato cristallino assottigliarsi. Tyra strinse l’uovo tondo e perfetto ancora di più a sé e guardò terrorizzata il compagno che lottava di fronte a lei. Cosa voleva quel mago? Perché si era spinto fino alla cima del monte? L’ennesima vampa che Ulrik emise fu seguita da un cric vetroso. Il drago si voltò verso di lei speranzoso, convinto 16
di aver infranto la barriera del mago; ma Tyra gli restituì uno sguardo sconvolto. Sulla superficie lucida dell’uovo che teneva tra le zampe si era aperta una leggera crepa. Stava per nascere. Suo figlio stava per spalancare gli occhi al mondo. Non poteva permettere che lo facesse nel bel mezzo di una lotta furiosa. Ulrik riprese a combattere, il viso verde marino dell’avversario era contratto in una smorfia di dolore ma continuava ad avanzare spingendo di fronte a sé la barriera luminescente. Le gittate roventi di Ulrik lo rallentavano, ma sembrava che niente potesse fermarlo. Tyra decise di intervenire e soffiò una mitragliata di cristalli sulla barriera. Prima di partire all’attacco al fianco del compagno, la draghessa gettò un’ultima occhiata all’uovo; la crepa si era estesa e ormai disegnava una ragnatela di incrinature sulla superficie. Raccolse l’orgoglio di madre e lo rigettò in schegge aguzze assieme alle fiamme possenti e vibranti di Ulrik. Finalmente lo strato di protezione magica del mago tremò e diede il primo vero segno di cedimento. Incoraggiata da quel risultato, Tyra gettò ancora una pioggia di cristalli sullo scudo. Teneva sempre sotto controllo l’uovo e notò un musetto acerbo che si faceva strada attraverso lo spesso strato del guscio. Il mago si fermò. Con ampi gesti delle mani ampliò lo scudo forse nella speranza di poterlo ricompattare. Rivoli 17
di sangue bluastro iniziarono a colargli dalle orecchie per l’enorme sforzo. Tyra pensò che stesse compiendo uno sforzo immane. Ma quell’uomo voleva suo figlio. Non c’era altra spiegazione. «Torna al nido! Sta per nascere» le ordinò Ulrik. «Sono qui proprio per questo» ribatté Tyra decisa. I due draghi lanciarono di nuovo le loro gittate creando una folgore di fuoco misto a cristalli incandescenti. Questa volta lo scudo cedette. Il mago tentò di tenerlo insieme ma ormai era questione di attimi. Lo strato liquido sospeso a mezz’aria si diradava come se l’aria lo asciugasse. Soddisfatta, Tyra inspirò più che potè e soffiò una pioggia di grossi cristalli aguzzi sull’uomo, ormai ridotto a una maschera di dolore. In un atto di estrema disperazione, Il mago raccolse lo scudo in un pugno di luce e respinse le schegge facendo esplodere quello schermo condensato. L’energia potente che si sprigionò fece rimbalzare i cristalli che schizzarono indietro, contro Tyra. Ulrik fece appena in tempo a farle scudo col proprio corpo nel tentativo di proteggerla. Le punte aguzze gli penetrarono il petto con un suono agghiacciante di carne che si lacerava. Un secondo cristallo gli tranciò un’ala e il grido di dolore che ne seguì fu spezzato dal terzo cristallo che gli aveva trafitto la gola. Tyra era pietrificata. Vide il corpo del suo compagno, svuotato della forza 18
vitale, accasciarsi ai suoi piedi. Quasi non si accorse che il mago era volato sul nido e aveva afferrato il cucciolo color felce che si liberava dal liquido vischioso e, tremante, lasciava cadere l’ultimo pezzo del guscio che lo aveva racchiuso per quasi due anni. L’atmosfera pungente e rarefatta della notte, vibrante delle scintille di fuoco, si riempÏ del fragore delle urla disperate della draghessa, ormai sola al mondo.
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CAPITOLO DUE
IL DONO
Passo dopo passo, la donna si trascinava verso la cima del Navigante Artico sfidando il vento gelido del crepuscolo glaciale. A ogni sferzata si fermava per ritrovare l’equilibrio ma poi riprendeva imperturbabile. I lunghi capelli neri frustavano l’aria in una danza frenetica e la donna cercava di tenere il mantello di drago all’altezza degli occhi, nel tentativo di scrutare la cima del monte. La donna stringeva a sé un fagotto, legato alle spalle e in vita, avvolto in una pelliccia voluminosa. Quando il Navigante Artico era in movimento, i venti erano implacabili, violenti e ancor più gelidi. Si tramutavano in brezza fresca soltanto quando il monte si fermava e la corrente mutevole dell’Oceano si quietava. A giudicare dall’affaticamento della donna, il suo viag20
gio era cominciato molto tempo prima e molto lontano dalla cima. Probabilmente non mangiava da giorni. Tuttavia non era triste, gli ululati del vento erano costretti a lasciare spazio alla melodia sussurrata della donna. Una melodia dolce come una mela caramellata, una delizia per le orecchie riscaldata dell’amore di un canto materno. «Chiudi gli occhi, mio tesoro, punge il vento del Navigante, son cristalli a cinque punte che bussano al tuo cuore e le melodie dei sogni al tuo sonno giungeranno», Il fagotto si mosse. Un leggero colpo di tosse interruppe il canto. La donna posò lo sguardo sul visino del neonato e riprese a canticchiare la melodia a bocca chiusa. Gli occhietti del bambino color rosa crepuscolo scintillarono e poi si richiusero. La donna gli coprì di nuovo il volto con la pelliccia e riprese a camminare. Quando giunse a Lisse, era ormai allo stremo delle forze, ma non aveva mai smesso di cantare la ninna nanna. Solo quel canto riusciva a tenere il bimbo calmo e a isolarlo dalle violenze del clima di Lisse. La donna scrutò la cima e vide un nido ben costruito, fatto di legni incastrati in una tela di cristalli che si stagliava sull’orizzonte roseo. Il nido di cristalli. Doveva essere lui. Spostò il fagotto sulla schiena e si arrampicò sulle spor21
genze. Quando giunse al centro del nido, un grido minaccioso spezzò i lamenti del vento, che nel frattempo si erano placati, segno che il Navigante si era fermato. La donna si voltò verso l’orizzonte. Le sagome maestose dei draghi della colonia di Lisse spiccavano sul cielo rosa pallido. Era quasi l’alba e il branco tornava dalla pesca notturna. Tyra scorse la figura mantellata al centro del nido e gridò l’allarme. La perdita del compagno e del figlio l’aveva resa una cacciatrice spietata. Il dolore l’aggrediva a ondate violente che sfogava sui pesci dell’oceano. Ma quando era nel suo nido, nell’affossamento in cui aveva covato per quasi due anni il frutto dell’amore per Ulrik, la rabbia si trasformava in solitudine. La colonia, in particolare la matriarca Erna, forse speravano che col passare dei mesi la sua rabbia e il suo dolore si placassero. Per il momento non potevano fare altro che lasciarla sfogare. Che potevano pretendere da lei? La perdita era ancora fresca, due mesi appena. La draghessa accelerò la planata e in un attimo si ritrovò di fronte a quella figura al centro del suo nido. Urlò. Il possente grido di rabbia e dolore fece volar via il mantello di pelle di drago dalla figura e rivelò una donna dai capelli neri che stringeva un fagotto di pelliccia. Il bambino nel fagotto iniziò a strillare. La donna, seppur terrorizzata, riprese a cantare la ninna-nanna. Tyra notò che il fagotto avvolgeva un neonato e una lacrima di cristallo le scivolò giù dall’occhio porpora cer22
chiato di rosso scuro. Approfittando di quella momentanea debolezza, la donna posò il fagotto al centro del nido con un gesto lento ma deciso. Colpita da quella mossa inaspettata Tyra indietreggiò pronta a sputare una pioggia di cristalli aguzzi sulla donna, la quale, disperata, indietreggiò fino a sentire i margini del nido dietro di sé. Con un gesto repentino, che lasciò la draghessa di sasso, la donna si gettò nel vuoto inesorabile della china scoscesa del Navigante Artico, ormai immobile alle porte dell’alba.
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