Le Magie di Omnia - Trilogia .- Assaggio di lettura

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Labyrinth 6

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FABIO CICOLANI

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I edizione: gennaio 2013 © 2012 La Corte Comunication Via Paolo Regis 44, Chivasso (To) Tutti i diritti riservati La Corte Editore è un marchio La Corte Comunication Progetto Grafico: La Corte Editore Illustrazione in copertina: Hakim L Shüjaee Foto dell’autore di Massimo Fiorino ISBN 978-88-96325-15-5 Finito di stampare nel mese di Novembre 2012 presso lo stabilimento grafico Impressioni Grafiche di AquiTerme (Al) per conto di La Corte Comunication

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A mia madre Clara, una donna capace di guardare a ogni giorno con gli occhi di un bambino e ad Anna, perchĂŠ speciali, come gli omniani, si nasce.

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I GIORNI GIORNI DELLE TENEBRE

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PROLOGO «Chi sei?» «Non ha importanza, tanto fra un minuto sarai morto». Egokeros non sembrò affatto scalfito da quell'affermazione, si limitò a sostenere il suo sguardo con quegli occhietti porcini, due fessure nere al centro della faccia spigolosa. La testa grossa sembrava staccata da quella montagna d'uomo a torso nudo e con la pelle bianca striata in modo innaturale, come fosse pietrificato. Indossava soltanto una specie di gonnone nero a pieghe, lungo fino ai piedi. L'Oscuromante si guardò attorno. La caverna in cui aveva trovato la sua vittima sembrava uno scavo sotterraneo. Le pareti di roccia erano puntellate da grosse travi alte fino al soffitto, le pareti erano spigolose e taglienti, di tutte le sfumature di grigio possibile. La poca luce che illuminava quella grotta era data dai grossi bracieri in marmo sistemati in modo casuale in giro per la caverna. Ombre nervose e allungate si muovevano tra le rientranze, pronte a intervenire, come soldati in trincea. «State pronte» sibilò. «Chi sei?» ripeté Egokeros spazientito. «Perché ti nascondi qui? L'Imperatrice non ti protegge dalla Tempesta?» «Questa è la mia protezione, la terra» «Ma hai la scheggia...» «È per questo che mi ucciderai?» «Sì». Egokeros abbassò la testa e si mosse con passo pesante. A ogni movimento le spalle si alzavano e abbassavano come se sollevarle fosse una fatica immane. A ogni colpo del piede la terra tremava, come un tamburo. L'ultimo passo martellò il lastricato e questo rispose come fosse stato una membrana elastica, le pietre si sollevarono spinte da una forza centrifuga, esplodendo in direzione dell'Oscuromante. L'uomo congiunse le mani senza scomporsi, serrò le palpebre e i sassi si bloccarono a mezz'aria un istante prima di investirlo con i loro spigoli taglienti. Riaprì gli occhi di scatto e allontanò i palmi: un groviglio di scie scure si dipanò dalle linee della mano formando un piccolo vortice che si espanse fino a diventare una sfera. Le scie divennero tentacoli filiformi che 11


afferrarono le pietre sospese e le avvolsero fino a inglobarle completamente. Come fossero state di fumo, si dissolsero, alimentando i tentacoli che si gonfiarono e sferzarono l'aria con un sibilo agghiacciante. Le spire volarono in direzione di Egokeros e iniziarono a frustarlo con veemenza. Il corpo dell'uomo veniva scalfito ripetutamente e rilasciava una piccola nuvoletta di polvere grigia. Una tempesta di sabbia si sollevò dal terreno e lo avvolse come un bozzolo. Quando la sabbia precipitò a terra, di Egokeros non c'era traccia. L'Oscuromante temé che fosse sfumato via, ma quella paura svanì quando un colpo ai reni lo fece urlare di dolore e la forza del colpo lo scagliò a qualche metro di distanza. Non si scompose, cercò di ignorare le fitte incessanti che gli venivano dal fianco e si rimise in piedi, sfidando l'avversario a combattere ancora. Aveva bisogno che lui gli scatenasse contro tutta la sua forza. Egokeros batté ancora il piede sul terreno e una nuova tempesta di pietre e detriti si sollevò come attirata verso l'alto. Questa volta, però, anche un muro di terra si alzò, simile a un'onda gigantesca, e lo puntò minaccioso. Ancora una volta l'Oscuromante congiunse le mani e il tempo sembrò fermarsi. Il vortice filamentoso che generò dai palmi disperse la terra come fosse stata nebbia, polverizzando le grosse pietre, risucchiandole nel vortice scuro. Questa volta i tentacoli erano più aggressivi, attaccarono Egokeros con furia, iniziarono a consumarlo, a divorarlo come belve voraci e insaziabili. Con un ultimo gesto disperato la vittima sollevò le braccia cercando di smuovere ancora la terra ma a quel punto un nugolo di ombre appuntite sgusciò dagli anfratti bui e lo avvolse, fino a oscurare la vista raccapricciante del suo corpo che veniva consumato. Quando sia le ombre che le spire fameliche furono rientrate, di Egokeros non era rimasto niente, neanche un mucchietto di polvere. L'Oscuromante si avvicinò sorridendo al punto in cui si trovava la sua vittima prima che la dissolvesse. Un minuscolo bagliore rifletteva i fuochi dei bracieri. La scheggia. L'Oscuromante raccolse il piccolo frammento e se lo rigirò tra le dita. Chiuse le palpebre e il pezzetto di cristallo prese a fluttuare a mezz'aria. Quando l'Oscuromante riaprì gli occhi, i filamenti scuri schizzarono all'interno della scheggia, uno dietro l'altro, come se in quel minuscolo frammento ci fosse uno spazio immenso. 12


La scheggia iniziò a vorticare su se stessa, finché da quel puntino luminoso esplosero migliaia di tentacoli rabbiosi. Spinti da una forza potentissima serpeggiarono ovunque divorando qualsiasi cosa incappasse nella loro furia. In pochi minuti l'intera caverna si era trasformata in una voragine nel terreno, un cratere scuro alla luce brillante dell'Arcano. L'Oscuromante si era calato un pesante mantello sul viso e ammirava stupefatto il potere devastante di quella magia. Le spire non accennavano a ritirarsi, consumavano tutta la materia che incontravano, la divoravano insaziabili. Si sparsero ancora e iniziarono a divorare il palazzo che celava l'ingresso al covo di Egokeros, e poi i palazzi circostanti, le strade e gli alberi. Tutto veniva cancellato, svaniva nel nulla come se non fosse altro che un'immagine, una proiezione della realtà che l'Oscuromante aveva toccato fino a qualche minuto prima, quando era sceso nelle profondità della terra, nel cuore di quel nascondiglio cittadino che custodiva la sua vittima. Quando la furia dei tentacoli si arrestò, l'Oscuromante si trovò al centro di una scena apocalittica. Era rimasto solo un terreno accidentato percorso da voragini e crateri di ogni dimensione. Della scheggia non vi era traccia. La magia devastante l'aveva consumata, ma quel minuscolo frammento era il catalizzatore perfetto per espandere il suo potere, proprio come lui aveva sperato. L'uomo si appiattì nell'ombra di una rientranza e chiamò a sé la sua fedele servitrice. In pochi secondi un piccolo vortice blu si materializzò dal nulla. Dal tornado in miniatura emerse un piccolo furetto a strisce bianche e blu con il musetto grazioso e gli occhietti vispi. L'animaletto si guardò attorno entusiasta. «Funxionna!» esclamò eccitata. «Sì, ora ci serve soltanto Fabio Cicolani».

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CAPITOLO UNO IL LADROMANTE

Kyros scivolò all'interno del casolare schiacciandosi nell'ombra oltre lo stipite. Il misterioso compratore sarebbe arrivato a breve, doveva essere certo di avere ciò che gli era stato richiesto. Tese l'orecchio e trattenne il fiato. Nell'unica stanza, aggredita dai rampicanti che si erano intrufolati dalle crepe del tetto di legno marcio, avvertiva soltanto l'umidità stantia della muffa e il silenzioso stato di abbandono che gli erano familiari. Rilassò i nervi e respirò regolarmente. Utilizzava di rado quell'abitazione caduta in malora per i suoi traffici, ma da quando l'Imperatrice della Luce aveva dichiarato fuori legge ogni oggetto magico e si serviva dell'occhio sempre vigile dell'Arcano per estendere il suo dominio tentacolare su tutta Omnia, l'attività di contrabbando era diventata molto redditizia e il casolare immerso nell'ombra il luogo più sicuro dove incontrare i clienti. Infatti i raggi della stella erano maledetti dalla Tempesta, chiunque ne veniva colpito era disincantato in modo irrecuperabile. Soltanto il giorno in cui era stata lanciata, quasi tutti gli omniani esposti alla luce avevano perso i loro poteri. Gli altri, come Kyros, erano costretti a nascondersi, a muoversi nell'ombra e proteggere le loro case da quelle stesse radiazioni che fino ad allora erano state fonte di vita, di magia, e invece ora erano il più temibile dei boia. Nella stanza c'era poco o niente: qualche sedia zoppa, un tavolaccio, pezzi di altri mobili fracassati e accatastati sul pavimento in terra battuta. Kyros si tolse la giacca asimmetrica marrone e la appoggiò su una sedia, quella si inclinò ma rimase in bilico. Andò verso il muro e ne tolse alcune pietre smosse rivelando una nicchia. All'interno una cassa di legno chiaro e lucido, con un lucchetto tondo. Kyros si sfilò una catenella da sotto la casacca e strinse tra le dita un ciondolo appuntito. Graffiò la superficie liscia del lucchetto disegnando un simbolo a 3 punte, simile a una K intersecata con un semicerchio. La serratura scattò e la cassa si aprì. L'uomo fece un veloce inventario degli oggetti al suo interno. C'era tutto. Nell'oscurità della stanza, i pochi oggetti brillavano di luci multicolori e le fiale di vetro tintinnarono dolcemente quando spostò la cassa sul piano del tavolo. 14


Un fruscio in lontananza. Kyros richiuse velocemente il baule e si acquattò dietro il tavolo, gli occhi fissi sul quadrato della porta. La penombra era spezzata dalla sagoma longilinea di un uomo che brillava di luce soffocata, come di una fiamma senza ossigeno. Nei tagli decisi di luce sugli spigoli del volto riconobbe una Guardia Elfica. D'istinto portò la mano allo stiletto infilato nella cinta. Quasi avesse intercettato il gesto, l'Elfo sollevò i palmi delle mani. «Sono Rame» disse sottovoce. Il compratore, pensò Kyros. Allontanò la mano dall'arma e si tirò su. «Sei il Ladromante?» chiese l'Elfo. «In persona». L'Elfo raggiunse il tavolo con poche agili falcate. Ora che lo vedeva da vicino, Kyros notò la sua aria affaticata, la carnagione bronzea tipica della sua razza era sbiadita e gli occhi sembravano orbite vuote. Le Guardie Elfiche erano braccate come criminali, si diceva che l'Imperatrice della Luce ne avesse catturati migliaia e che li avesse amputati senza pietà. Una morsa soffocante gli afferrò lo stomaco. Non era mai stato un sostenitore delle Guardie, ma non avrebbe mai augurato a nessuna di loro l'Amputazione. Finché L'Imperatrice non era salita al potere, gli omniani avevano a malapena sentito nominare quella pratica e si sapeva solo che era una fase della trasformazione in Lupo alla quale gli Aspiranti si sottoponevano di propria spontanea volontà. Ma ora tutti sapevano in cosa consisteva quella tortura e la consideravano peggiore della morte. «Ce l'hai?» incalzò Rame allungando le mani sulla cassa. Kyros scansò le dita tremanti dell'Elfo con un gesto secco. «Ce l'ho. E tu?» Rame fece un debole cenno della testa ed estrasse dalla tasca della lunga giacca bianca una grossa pepita d'oro. Oro dei folletti, pensò Kyros, la fortuna è l'unica cosa che può tenermi in vita di questi tempi. Allungò la mano e afferrò la pietra brillante: era grande un pugno. Non molto, ma forse sarebbe riuscito a collezionarne altre. Aprì la cassa e rovistò con delicatezza tra amuleti, artefatti e pozioni, e la trovò. Una pergamena accartocciata ridotta a una palla di carta informe blu intenso. La lista. Rame l'aveva cercato per quelle informazioni che solo lui poteva procuragli. Essere in contatto con un Oracolo era diventato impossibile, di quei 15


tempi. Erano stati tutti condannati a sottoporsi alla Tempesta. L'alternativa era l'Amputazione. L'Imperatrice della Luce non voleva che ci fossero in circolazione veggenti o sensitivi in grado di indagare sul futuro alternativo di Omnia. Omnia non aveva futuro alternativo, c'era solo lei e ci sarebbe sempre stata. Durante la Grande Guerra era stata una coalizione di Streghe e Oracoli a smuovere la rivoluzione. Disincantando gli Oracoli, l'Imperatrice si era assicurata che un motore fondamentale della ribellione fosse estirpato: la speranza. Ma Kyros conosceva un Oracolo che abitava in un rudere poco lontano da lì, era un vecchio dimenticato da tutti, un reietto del quale si erano dimenticati. Era stato lui a fornirgli quella lista: l'elenco degli evasi dai Privi di Parte. Omniani pericolosi votati solo al male e alla vendetta che, rinchiusi nelle celle inviolabili del Privo, non erano mai stati considerati una minaccia. Se la Resistenza si era ridotta a chiedere aiuto a quegli esseri, voleva dire che erano disperati. «Ci sono tutti?» chiese l'Elfo. «Garantito.» rispose Kyros. Rame distese la pergamena e scorse rapido i nomi. Due colonne, l'evaso e il suo obiettivo. Gli occhi gli si fermarono su uno in particolare e fissò sbalordito il Ladromante. «Anche lui?» Kyros distolse lo sguardo e finse di sistemare gli oggetti nella cassa. «Sì, ma non credo vi servirà a molto. Nessuno può niente contro l'Imperatrice della Luce, e molti di quelli saranno già stati catturati o disincantati dalla Tempesta» disse con tono cupo. Un silenzio doloroso calò come una cappa pesante nella stanza. Il tetto crollò con un fragore assordante. Fu un'esplosione di fuoco e schegge violentissima. I due si gettarono a terra, cercando riparo tra le macerie. Dalla voragine in alto planò un uomo vestito di giallo vivido, gli occhi completamente neri e le mani tese. Un Radiante. Si muovevano attraverso la luce dell'Arcano e costituivano la milizia scelta dell'Imperatrice. Kyros strinse la pepita nella mano: per uscire vivo da quella situazione avrebbe avuto bisogno di tutta la fortuna possibile. La Guardia Elfica, molto probabilmente, era spacciata. 16


Il Radiante sollevò le braccia e il mucchio di macerie, legno bruciato e mobilia distrutta si alzò a mezz'aria ed esplose in migliaia di piccole scintille di fuoco bianco. Kyros vide Rame evocare un sottile scudo di luce, ma la protezione si dissolse in fretta, divorata dall'urto dell'esplosione. Il Radiante volò verso di loro e roteò le dita come se muovesse fili invisibili. Scie di luce sottili e affilate si mossero nell'aria e si attorcigliarono attorno al collo dell'Elfo, trascinandolo fuori dal casolare semidistrutto. Il Ladromante cercò di schivare i tentacoli luminosi che lo puntavano come rampicanti famelici. Rotolò su un fianco e un artiglio di luce si schiantò contro la parete. Un sibilo vicino all'orecchio destro lo fece scattare verso sinistra ma il fascio lo prese alla caviglia. La stretta si fece rovente e l'uomo urlò di dolore. Strinse con più forza la pepita d'oro nella mano e la sentì frantumarsi tra le dita. Subito dopo la morsa si allentò e lui rovinò al suolo. Scattò in piedi e si lanciò fuori dalla porta. Inciampò nel corpo dell'Elfo rannicchiato a terra, ma riuscì a non perdere l'equilibrio. Sentì il calore del Radiante farsi sempre più vicino e cercò riparo in un folto cespuglio. Una nuova esplosione bruciò le chiome degli alberi e le fronde ombrose furono divorate dalle fiamme bianche scatenate dal soldato dell'Imperatrice. Kyros alzò gli occhi al cielo. «Nooo» sentì urlare. Una saetta accecante colpì l'Elfo, scuotendolo dalla testa ai piedi. Rame si contorceva a terra, scosso da brividi e convulsioni. Ora non aveva più scampo, i raggi dell'Arcano l'avevano disincantato. Kyros prese a tremare. Poteva tentare di fuggire, ormai non c’era più nulla da fare per l'Elfo, sarebbe stato amputato. Amputazione. Una parola che gli scatenò una nausea disgustosa. No, non poteva permettere che quel disperato subisse una sorte tanto orrenda. Si lanciò su di lui, lo stiletto sfoderato, la lama affilata puntata al torace dell'Elfo: doveva salvarlo e, se fosse riuscito a ucciderlo, almeno l'Alito sarebbe sopravvissuto, altrimenti una volta che la magia gli fosse stata definitivamente asportata sarebbe morto per sempre. Vide il Radiante volare verso l'Elfo, i filamenti di luce che roteavano nell'aria come fruste, pronte ad afferrare la vittima. Kyros allungò il braccio e sentì il corpo fragile dell'Elfo fare resistenza alla punta, tese i muscoli e caricò la spinta, più deciso, ma d'improvviso le forze lo abbandonarono e 17


non fece neanche in tempo a urlare per il dolore delle sue stesse braccia recise dalle lame di luce, che tutto si fece buio.

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Disponibile anche in formato e-book

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