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Arte Orientale n. 15 - Giugno 2010
Netsuke
La Galliavola Arte Orientale Via Borgogna, 9 - 20122 Milano tel. +39 0276007706 - fax. +39 0276007708 www.lagalliavola.com info@lagalliavola.com
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Cari Amici, in questi ultimi tempi i netsuke hanno aumentato notevolmente la loro visibilità su un mercato che sta riconoscendo loro sempre più il rango di opere d’arte e non di mera curiosità. Ne sono estrinseca prova le numerose vendite che si susseguono, con alterne fortune, in tutte le case d’asta nazionali ed internazionali. Ne sono, anche e soprattutto, qualificata testimonianza le esposizioni e i diversi simposi che vengono organizzati in Italia e nel mondo dai Collezionisti e dalle Organizzazioni Culturali. Per citare quelle più vicine a noi, ricordiamo la mostra della significativa Collezione Lanfranchi organizzata presso il Museo Poldi Pezzoli di Milano. Inoltre, proprio in questi giorni, è in corso a Genova, al Museo Chiossone, la mostra Animali dello Zodiaco giapponese a cura di Donatella Failla. Una esposizione di stampe, dipinti, lacche, bronzi, porcellane e netsuke, collegati al fantastico mondo dello zodiaco, che rimarrà aperta fino al 9 gennaio 2011. Speriamo, nel prossimo numero, di poter pubblicare un esauriente reportage che vi possa invogliare a visitare questa interessante mostra ospitata nell’ineguagliabile museo ligure interamente dedicato al Giappone. E proprio agli animali dello Zodiaco giapponese, con un primo servizio che si occupa della scimmia, dedicheremo una serie di articoli che, prendendo spunto dai dodici animali che animano l’astrologia giapponese, ci consentiranno di presentare alcuni netsuke di grande livello, sempre visibili nei locali della nostra galleria. Un’accurata ricerca che è stata portata a termine sul famoso “Kirin Meinertzhagen”, controversa opera d’arte che da 100 anni fa discutere gli esperti, i mercanti e i collezionisti di netsuke, è l’approfondimento che presentiamo in questo numero. L’articolo ripercorre e riunisce tutte le notizie e le informazioni che hanno reso famosa questa opera. I commenti sono condivisi con Bruno Asnaghi al quale, come di consueto, vanno i nostri doverosi ringraziamenti. L’incontro con Ono No Komachi, un personaggio molto amato dai netsukeshi, è l’argomento di un appassionante articolo che ne rievoca la storia e che, come tutte le storie appassionanti, corre sul labile confine tra realtà e leggenda. E come non potrebbe esserlo, dalla sua complessità iniziale, al grande amore non ricambiato, al finale melodrammatico che ricorda, a parti invertite, la storia del perfido ufficiale Pinkerton e della devota Chōchō-san di pucciniana memoria. Proseguiamo il nostro consueto viaggio nelle aste del mondo, soffermandoci a Parigi e a Londra, con vendite che, non riuscendo in molte occasioni a soddisfare il sempre più raffinato palato dei collezionisti, spesso incappano in clamorosi “flop”. Il Bollettino si chiude con la rubrica “Dite la vostra…” nella quale si è dato spazio ad una delle varie lettere ricevute riguardo all’interpretazione del netsuke sottoposto nel precedente numero dalla signora E.M. A questo proposito mi preme qui sottolineare: era una interpretazione e tali rimangono le altre. L’altra lettera è molto interessante e ci propone un argomento curioso e molto raffinato: l’analisi etimologica dei kanji giapponesi. Se qualcuno sa, si faccia avanti! Un caro saluto a tutti e buona estate! Roberto Gaggianesi Hanno collaborato a questo numero: BRUNO ASNAGHI - CARLA GAGGIANESI - ROBERTO GAGGIANESI ANNA ROSSI GUZZETTI Fotolito e stampa: Grafiche San Patrignano - Ospedaletto di Coriano - Rimini In copertina e ultima di copertina: Netsuke del tipo Manju Ryusa di forma ellittica. Avorio con applicazioni di lamine d’oro, firmato Taka, Nagoya, secolo XIX, mm 41x36. Collezione La Galliavola.
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Il Kirin Meinertzhagen: fine di una leggenda? Capita di frequente a noi collezionisti di netsuke di affezionarci ad un nostro pezzo per motivi imperscrutabili: molto spesso l’innamoramento è legato ad uno dei primi acquisti, oppure, con un po’ di romanticismo, al ricordo di una vacanza particolare oppure, quello più fatale, alla convinzione, non sempre avvalorata, che ci porta ad innalzare il nostro netsuke a onori fantasiosi diventando, a questo punto, Il netFig. 1 - Frederick Meinertzhagen suke “unico” e mentre esamina il “suo” Kirin. “straordinario” da mostrare con orgoglio agli amici e al mondo. Fatta questa premessa che, non nascondo, a volte ha coinvolto anche il sottoscritto, vorrei non essere assolutamente frainteso sull’argomento trattato. Non c’è nessuno spirito polemico, né intenzione alcuna di confutare o contestare valutazioni e documentazioni di collezionisti ed esperti assolutamente più qualificati di chi scrive. L’intento è invece quello di soffermarmi su alcune affermazioni o solo meri aneddoti e farvi partecipi delle mie riflessioni su un netsuke sicuramente famoso di cui si è scritto a partire dagli anni ’50 del secolo scorso fino ad arrivare ai giorni nostri e scoprire come si può “amare” il proprio pezzo tanto da sorvolare su alcuni particolari di rilievo che lo riguardano, non accorgendosi che forse il senso dell’obbiettività si è leggermente offuscato per averlo amato, forse troppo. L’altro intento è, ovviamente, anche quello di farlo conoscere a coloro che ancora non ne avessero mai sentito parlare. Il netsuke è famoso, tanto quanto il suo “primo” possessore: si tratta del Kirin di Mr. Frederick Meinertzhagen Fig. 2 - Il Kirin di (1881-1962). (Figg. 1, 2) Meinertzhagen.
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La storia o, se volete, la leggenda di questo netsuke, raccontata su una scheda intitolata Il mio netsuke n. 1 conservata al British Museum, nasce nel marzo del 1950. Rimanda al febbraio del 1911 quando Mr. Meinertzhagen è davanti alla vetrina di un piccolo negozio di antiquariato di Londra. Il nostro collezionista aveva allora 30 anni ed aveva cominciato a collezionare netsuke, per sua stessa ammissione, solo da pochi mesi, quando vede in questa vetrina quello che identificò e classificò subito come un capolavoro che doveva essere suo, comprato a qualsiasi prezzo. Fino a quel momento, afferma, non aveva speso più di quattro sterline per un netsuke ma, individuata la grande qualità del pezzo non esita a spendere ben 18 ghinee pur di averlo, una somma importante per i tempi e che non era nelle sue disponibilità, essendo allora studente. Questa prima riflessione può essere considerata solo un inciso. Pur riconoscendo Frederick Meinertzhagen come uno dei più grandi collezionisti-mercanti esistiti, è stupefacente questa sua immediata individuazione della straordinaria qualità del Kirin solo dopo qualche mese dall’inizio della sua collezione. Possiamo pensare invece, questo sì straordinario, ad un colpo di fortuna? Tutti sappiamo quanto sia faticoso e lungo il cammino del neofita prima di riuscire ad individuare le qualità ed i difetti di un netsuke. Meinertzhagen continua, sulla scheda, a descrivere quello che riteneva essere il più raffinato netsuke che avesse mai visto e che, a distanza di quarant’anni, confermava ancora la sua convinzione: “Il disegno della figura, esotico, unico ed espressivo, con così tanta grazia e potenza, combinate con l’insolita altezza, unite per catturare e sorprendere l’occhio, per suscitare emozioni, per qualificarsi come il lavoro di un genio, ad un livello che nessun altra opera di scultura potrà mai raggiungere.”. Si tratta evidentemente di una descrizione avvenuta dopo alcuni anni e che, a mio parere, è ben lontana da un giudizio sereno ed obbiettivo e deborda nell’enfasi di colui che possiede e ama. Si intuisce che l’analisi è frutto della più puerile forma di entusiasmo da innamoramento quando parla della “insolita altezza” del Kirin dichiarata in 11,5 centimetri, dimentiFig. 3
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candosi che la misura è assolutamente usuale nei netsuke, in particolar modo in quelli del XVIII secolo, incontrandone spesso alcuni alti 15 centimetri ed oltre, ma anche spudoratamente esagerato giudicare quella scultura ad un livello mai raggiunto da nessun artista! Meinertzhagen scrive del suo Kirin una seconda volta nel libro The Art of the Netsuke Carver (fig. 3) pubblicato nel 1956 e, dalla didascalia che illustra il disegno del Kirin (i netsuke pubblicati sono della collezione Meinertzhagen, molti dei quali disegnati dallo stesso collezionista), apprendiamo che il “netsuke” è apparentemente privo di himotoshi ed in alternativa viene suggerito un passaggio naturale per la cordicella in un voluta della coda per poi essere, forse, avvolta intorno al collo dell’animale (fig. 4). Su questo inconsueto suggerimento si inserisce il commento di Bruno Asnaghi che, disponibile come al solito quando si tratta di disquisire, mi racconta che, cinquant’anni or sono, si trovò ad assistere ad una discussione tra mercanti d’oltralpe che, esaminando la foto del Kirin, già commentaFig. 4 - Disegno del Kirin di vano, non sempre benevolmente, gli aspetti F. Meinertzhagen tratto da estetici ed esecutivi del soggetto che, secondo The Art of the Netsuke Carver. i partecipanti, contrastavano con quanto fino ad allora conosciuto circa gli stilemi dei netsuke giapponesi dell’epoca fissata dal Meinertzhagen: inizi del XVII secolo. Va detto che Asnaghi, a proposito di una corretta valutazione ed esame del pezzo, lamenta che in tutte le fotografie pubblicate e a lui note, il nostro Kirin è presentato ritraendolo come una visione “lunare”, la stessa immagine che abbiamo noi a disposizione. Impossibile quindi intuire cosa possa riservare la sua parte mai vista, come del resto accade per la faccia nascosta della luna. Inoltre, sulla interpretazione dell’allacciamento, così come proposta, le perplessità di Asnaghi sono notevoli in considerazione dell’inestetismo determinato da una cordicella avvolta intorno al collo, che avrebbe reso l’opera inaccettabile dagli “importanti Shogun e loro consimili” ai quali l’oggetto doveva essere senz’altro destinato.
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Ma, ripete il nostro interlocutore, tutto è lasciato all’interpretazione del soggetto in fotografia e, per di più, da una sola visuale. Qualche anno dopo, nel dicembre 2008, l’attuale proprietario del Kirin già Meinertzhagen, Joseph Kurstin, pubblica sull’autorevole rivista International Netsuke Society (INS Journal), da lui stesso presieduta, un articolo scritto con altrettanta, se non superiore, enfasi. L’articolo inizia in modo inequivocabilmente “americano” e non lascia spazio a compromessi: “Probabilmente, questo è il più bel netsuke che sia mai stato intagliato”. Il Dr. Kurstin prosegue fortunatamente aggiungendo altre notizie utili circa il percorso dell’ormai famoso netsuke, da Frederick Meinertzhagen fino ad arrivare alla sua collezione. Seguiamolo. Il Meinertzhagen, ormai quasi ottuagenario, regala “il più bel netsuke che sia mai stato intagliato” ad un amico, il noto collezionista W.W. Winkworth, ma anziché consegnarlo personalmente o farlo recapitare in una confezione consona e adatta, almeno ben imballata, spedisce il prezioso oggetto per posta ordinaria, non assicurata e in una semplice scatola di cartone perfino un po’ “troppo piccola” (fig. 5). Winkworth conserva il netsuke nella sua collezione fino a poco prima di morire, quindi lo vende ad un parente. In seguito, il leggendario Kirin, viene ceduto ad un collezionista molto riservato che lo espone solo in una occasione a Londra negli anni ’80 e, in seguito, lo cede al Dr. Kurstin. Mi si impone più di una riflessione su questa ultima parte: ma come, lo straordinario netsuke, il più bello che io abbia mai visto e posseduto, capolavoro artistico di tutti i tempi, anziché farne omaggio al British Museum, con il quale sono in ottimi rapporti, affinché tutti ne possano godere ed apprezzare la bellezza, lo regalo ad un amico (queste amicizie al giorno d’oggi sono scomparse) e, per giunta, lo spedisco in una scatolina di cartone come se fosse un oggetto qualsiasi? Le poste britanniche, certo altri tempi e altra civiltà, non smarrivano o danneggiavano la corrispondenza? Certamente il Dr. Meinertzhagen si fidava molto della “Royal Mail”. Sorvolando su questa leggerezza, forse senile, ci imbattiamo subito in altre stranezze. Sempre il nostro straordinario netsuke, viene questa volta venduto dal Winkworth, ribadisco, famoso collezionista inglese ma apparentemente privo di sensibilità e di riconoscenza per il ricordo dell’amico che glielo aveva regalato, ad un non ben identificato parente il quale, evidentemente non riconoscendo la straordinarietà dell’oggetto, lo cede in tempi brevi ad un collezionista, anche qui, supponiamo, senza tanti preamboli così come, non ci è dato di conoscere altro, viene ceduto a Kurstin. Asnaghi, prendendo atto di questi passaggi commenta “Così come esposto, sembra che il cursus honorum del “Mio netsuke n. 1” lasci molto incuriositi. Lascia soprattutto spazio a qualche perplessità, come se, scomparso Meinertzhagen suo scopritore e mentore, il netsuke sia immediatamente rientrato in canoni più normali”.
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Anche Kurstin comunque, nel suo articolo, intitolato The Meinertzhagen Kirin fa “svettare” il netsuke dall’altezza di 11,5 centimetri, soffermandosi sulla straordinaria ed indubbia patina dal tono di un ricco bianco tendente al color panna sul davanti e più scura, di un tono arancio giallino, sul retro. Aggiunge inoltre una interessante considerazione sul perché di questi due differenti toni che, va detto, anche questa non è una particolarità di questo pezzo, ma si riscontra su numerosi netsuke d’epoca. Infatti l’avorio è stato ricavato dalla parte esterna della zanna, utilizzando la parte coperta dalla pelle dell’elefante per il retro che quindi risulta
Fig. 5 - Il pacchetto “perfino un po’ piccolo” della spedizione postale.
di colore più scuro. In sintonia con il Meinertzhagen, Kurstin continua quindi affermando che questa patina così intensa conferma la datazione risalente agli inizi del 1600 ed il suo “elaborato ma sommesso stile barocco” rimanda certamente ad una scuola di Osaka o Kyoto. L’articolo è corredato dalla “solita” fotografia del Kirin, riproposta anche in prima pagina e dalla fotografia della scatolina di cartone, quasi fosse una reliquia, con la quale Meinertzhagen spedì il netsuke al suo amico Winkworth.
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Questa che mi permetto, lo riconosco, è l’unica nota veramente polemica ma, me ne darete atto, va detta. Non si capisce perché il Dr. Kurstin, attuale proprietario del Kirin, non abbia voluto corredare il suo articolo con l’altro volto “lunare” del netsuke: se non altro avrebbe dato un taglio meno monotono al suo articolo. Eppure lui, che evidentemente ne aveva la possibilità, non ne ha avuto la volontà. In effetti la foto dell’altra faccia del netsuke naturalmente esiste, anche se si trova dimenticata su una poco nota (almeno in occidente) pubblicazione giapponese Netsuke Masterpieces Abroad di Kottou Rokusho volume 38. Il lato tenuto nascosto, oltre ad essere meno plastico e affascinante di quello conosciuto individua, in modo non completamente chiaro, quelli che potrebbero essere degli himotoshi abbozzati o forse realizzati e richiusi a seguito di un tardivo ripensamento, che avvalorano le tesi a cui giungeremo in seguito (Fig. 6). Riflettendo invece sull’attribuzione ad un’epoca così remota (per un netsuke), cioè inizi del XVII secolo, occorre decidere a monte a quale epoca storica vogliamo far risalire i netsuke. Penso si debba onestamente presumere dalla fine del 1500 agli inizi, appunto, del 1600. Appare anche scontato che, semplificando, dalle arcaiche “radici”, prima levigate, poi intagliate e scolpite, sempre con profili molto semplici, ai manju, indiscussi primitivi netsuke testimoniati sulle antiche stampe giapponesi, debbano essere trascorsi alcuni decenni, se non secoli, per arrivare a scolpire un netsuke il cui stile si presenta come un po’ più del “sommesso stile barocco” che suggerisce Kurstin. Concordo invece con quanto afferma Asnaghi quando la ritiene “una esuberante opera barocca”. Se non si volesse attribuire con insistenza ad una scuola giapponese il merito di questo effettivamente straordinario manufatto, tutto potrebbe essere accettato. Invece, dopo aver sfiorato la probabile verità, ecco che invariabilmente vengono citate le scuole di Kyoto (Meinertzhagen), Osaka o Kyoto (Kurstin), Osaka con l’individuazione anche di probabili artisti Garaku o Gechù (Morena). Asnaghi con la semplicità che gli viene dall’espeFig. 6 - La parte “lunare” rienza e dall’obbiettività di pensiero afferma: del Kirin di Meinertzhagen.
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“La mancanza di determinati attributi distintivi e necessari per essere convenientemente indossato e mostrato fa di questo Kirin uno dei più classici netsuke adattati e di chiara provenienza cinese”. Ed è la conclusione a cui in effetti giunge Meinertzhagen, relegata però nelle ultime parole della sua scheda, quasi a volersi giustificare con “io comunque l’ho detto: …but it’s classical dignity shows Chinese inspiration...”. Una giusta osservazione lasciata forse un po’ in disparte da Meinertzhagen per non sminuire “il suo netsuke n. 1”, che tale doveva essere e rimanere. Bibliografia consultata: - International Netsuke Society Journal, Volume 28 N. 4, Winter 2008. - F. MEINERTZHAGEN, The Art of the Netsuke Carver, Londra, 1956. - MCI - The Meinertzhagen Card Index on Netsuke in the “Archives of The British Museum”. Part A., F. Meinertzhagen, edito da George Lazarnick. - Netsuke Masterpieces Abroad, (Kottou Rokusho), vol. 38. Febbraio 2009.
Londra: 5 - 8 novembre 2010
Netsuke Symposium Per gli amanti dei netsuke e della Londra autunnale segnaliamo questa prestigiosa manifestazione che si terrà dal 5 all’ 8 novembre in concomitanza con l’annuale settimana della Asian Art in London. Il programma del simposio si articola nelle giornate da venerdì 5 a lunedì 8 in varie conferenze, workshops ed incontri con i Dealers. Potete trovare maggiori dettagli sul programma e sulle modalità di iscrizione con i relativi costi e suggerimenti per la sistemazione in albergo, visitando il sito: www.euronetsuke.eu Segnaliamo che, oltre alle interessanti manifestazioni organizzate nell’ambito del simposio, la settimana della Asian Art in London offre ai suoi visitatori l’opportunità di visite ai musei, mostre organizzate dai Dealers e aste speciali. A proposito di queste ultime, segnaliamo in modo particolare quella organizzata da Bonhams per la prima parte della Collezione Ted Wrangham, curata da Neil Davey.
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I personaggi che ispirarono i netsukeshi
Ono No Komachi Ono No Komachi è un personaggio nel quale ci si imbatte spesso, sia nei netsuke che nei netsuke-okimono, anche se non sempre risulta di facile identificazione. Le varie rappresentazioni di Ono No Komachi infatti, sono tanto diverse da poterle raggruppare in un elenco detto Nana Komachi cioè “Le sette Komachi”: - Soshi arai Komachi mentre lava il libro - Seki dera Komachi che entra in un tempio, nel pieno della sua bellezza e vestita sontuosamente - Kiyomizu Komachi che entra nel tempio Kiyomizu di Kyoto - Kaigyo Komachi, ancora giovane, in visita con una domestica - Ama koi Komachi mentre declama la sua poesia per la pioggia - Omu Komachi o Komachi pappagallo così definita perché una volta, in età avanzata, ricevette dall’imperatore Yosei un poema tramite un cortigiano e lei, dopo averlo letto, anziché rispondere con una poesia appropriata, rispedì indietro all’imperatore il manoscritto correggendo soltanto un carattere in tutto il componimento. - Sotoba Komachi così chiamata perché raffigurata seduta su una piccola lapide in legno (sotoba). Si tratta dell’ultima fase della sua esistenza, durante la quale si autoinfligge una pena per l’amante perduto, diventando mendicante.
Fig. 1 - Netsuke okimono che ritrae Komachi nell’atto di lavare il libro osservata da due oni (diavoli) da dietro il paravento. Avorio, firmato Haruyama, metà del secolo XIX, altezza mm 32. Collezione La Galliavola
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Fig. 2 - Ono No Komachi mentre lava il libro. Avorio, prima metĂ del secolo XIX, non firmato, lunghezza mm 61. Ex Collezione Tamanini. N. cat. 48.
La storia e la leggenda si intersecano, si sovrappongono e narrano come Ono No Komachi fosse una dei Sei Poeti cosiddetti waka, o della poesia breve, del periodo giapponese Heian (794-1185), della quale si conservano numerose opere e quindi storicamente vissuta. Era la figlia di Dewa No Kami Yoshizane che governava la provincia di Dewa intorno al IX secolo e si narra fosse incredibilmente bella (il nome Komachi in Giappone ancora oggi è sinonimo di bellezza), molto ricercata nel vestire, amante dei gioielli e del lusso e, come spesso accade in circostanze simili, esageratamente orgogliosa e capricciosa. Fin qui la storia. La sua vita leggendaria fu invece molto complicata e controversa, tanto che i vari artisti che in seguito la raffigurarono sia nei netsuke che negli okimono, rappresentarono la poetessa solo mediante alcune tipiche caratterizzazioni e quindi la sua identificazione risulta a volte complessa e riconoscibile solo attraverso piccoli indizi.
Fig. 3 - Ono No Komachi mendicante. Corno di cervo, firmato Gyokuzan, metĂ secolo XIX, lunghezza mm 44, altezza mm 33. Ex Collezione Tamanini. N. cat. 49.
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Dice ancora la leggenda che la bella poetessa trovò un primo momento di gloria quando, nell’866, una grande siccità colpì la regione che suo padre governava: mentre sacrifici e preghiere dei sacerdoti e della popolazione non riuscirono nell’intento di far piovere, ci riuscì una sua poesia. La vicenda però che coinvolge Ono No Komachi e che la porta all’attenzione delle rappresentazioni dei netsukeshi, ed anche a quelle del teatro Nõ, è quella che la vede partecipare ad una competizione di poesia che si teneva al Palazzo Reale. Il poeta Otomono Kurunoshi, suo invidioso e perfido rivale, dopo aver ascoltato Komachi recitare in anteprima i versi del suo componimento per la gara, li aveva tra-
Fig. 4 - Ono No Komachi mendicante. Avorio tinto, firmato Shigemitsu, metà secolo XIX, altezza mm 48. Milano, Museo Poldi Pezzoli, Collezione Lanfranchi. N. cat. 52.
scritti sul Manyoshu, una famosa e antica raccolta di poesie giapponesi, accusando la rivale di aver copiato la sua poesia dal famoso testo e, a supporto delle accuse, presentò alla giuria una copia del libro stesso. Ono No Komachi chiese allora dell’acqua e la versò sulla pagina del libro: l’inchiostro fresco si sciolse e rimase solo l’inchiostro del testo originale, rivelando così l’inganno. La seconda vicenda, anche questa probabilmente leggendaria, che segnerà la vita della bellissima Ono No Komachi, è quella legata a Fukusaka Shosho, un funzionario di alto rango, innamorato della capricciosa poetessa.
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Fig. 5 - Ono No Komachi mendicante, seduta su una lapide di legno, con in mano un bastone e sulle spalle un grande cappello di paglia. Avorio, non firmato, metà secolo XIX, altezza mm 48. Collezione La Galliavola.
Komachi promise al poveretto, che si era dichiarato, di diventare sua sposa qualora lui avesse trascorso cento notti disteso su una panca da calesse che lei stessa posizionò sul terreno. Fukusaka accettò la sfida e ogni notte con pioggia, vento e gelo, il poveretto si stese sulla panca rimanendovi fino al mattino. Per novantanove giorni resistette, il centesimo morì, senza quindi poter ottenere l’agognato premio. L’interpretazione più diffusa racconta che Ono No Komachi, consumata dal rimorso, si allontanò dalla corte e visse come una mendicante per il resto della sua vita. E’ proprio in numerosi netsuke che troviamo la rappresentazione di questa ultima leggenda; si tratta quasi sempre di piccoli okimono che ritraggono la vecchia ed emaciata poetessa seduta su un tronco o su una lapide di legno, con alcuni oggetti tipici dei mendicanti: un cappello di paglia, la ciotola del riso, un bastone, un cesto di vimini.
Fig. 6 - Ono No Komachi. Netsuke in legno, non firmato, fine secolo XVIII-inizio XIX, altezza mm 88. Già Hindson Collection, già Behrens Collection.
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Gli animali dello Zodiaco Narra la tradizione che, all’approssimarsi della fine della sua vita terrena, il Buddha chiamasse a raccolta tutti gli animali della terra; di questi, però, soltanto dodici si recarono a salutarlo. Come premio per la loro fedeltà, il Buddha decise di chiamare ogni anno del ciclo lunare con il nome di uno dei dodici animali accorsi. Il Topo, furbo e veloce di natura, arrivò per primo; il Bue, mansueto e ubbidiente, arrivò secondo; fu poi la volta della feroce Tigre e del pacifico Coniglio, il Drago arrivò quinto, seguito dal fratello minore, il Serpente, l’agile Cavallo fu settimo e l’elegante Capra ottava. Per nona arrivò l’astuta Scimmia; il coloratissimo Gallo fu decimo, il Cane, fedele, fu l’undicesimo animale recatosi a salutare il Buddha, mentre il fortunato Maiale giunse ultimo… appena in tempo. Di volta in volta ci occuperemo di ognuno di loro, presentandoli attraverso alcuni straordinari netsuke della nostra Galleria che li raffigurano.
Il nono segno: la Scimmia La Scimmia, in giapponese saru, è dunque il nono dei dodici animali dello Zodiaco orientale associati alle dodici ramificazioni del cielo e corrisponde nel calendario astrologico occidentale al segno del Leone. Anche se l’unica specie presente in Giappone è il piccolo Macaco, i carvers giapponesi hanno rappresentato diversi tipi di scimmie, anche quelle dalle lunghe braccia, completamente sconosciute in Giappone in quanto originarie di altri Paesi. Numerosi sono i significati e le credenze attorno a questo animale che è associato alla fertilità e che si crede possa tenere lontane le malattie e proteggere dal male in generale. La Scimmia viene spesso rappresentata dagli artisti giapponesi nell’atto di prendere la luna che si specchia nell’acqua oppure in groppa ad un cavallo, guardiana del cavallo sacro ed ancora con una tigre ad indicare la settima ora del giorno giapponese. Secondo la leggenda taoista è la Scimmia che dispensa la pesca della longevità e quindi spesso è rappresentata con questo frutto o con un kaki, frutto di cui è ghiotta. Divertente è la rappresentazione delle “tre scimmie” o sampiki saru: una che si copre gli occhi, una la bocca e l’altra le orecchie. Gesti che, nella tradizione orientale, simboleggiano il desiderio che nessun male entri nel proprio corpo attraverso gli orifizi più esposti. Questa figura è molto
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riprodotta sia sotto forma di netsuke che di okimono ed anche di sculture lignee sui tetti dei templi o di sculture in pietra ai bordi delle strade campestri. Adottata, nell’immaginario collettivo occidentale, come l’emblema delle spie e dei servizi segreti, è associata al famoso motto: non vedo, non sento, non parlo. Il netsuke che presentiamo è uno dei più begli esempi della raffigurazione di questo segno dello Zodiaco. Scimmia con cucciolo Mamma Scimmia tiene tra le zampe il suo cucciolo per spulciarlo; il piccolo si ribella e vorrebbe sfuggire a quella materna “tortura”. La madre, protettiva, trattiene le zampine che vorrebbero liberarsi e lo accarezza con sguardo amorevole che, allo stesso tempo, sembra imporre “stai fermo!”. Questo netsuke è uno dei capolavori in legno di bosso di Mitsuhide, intagliatore (carver) attivo a Kyoto tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo. Di questo straordinario artista già si parla nel Soken Kisho, antico testo di Inaba Michitatsu, mercante di curiosità, che nel settimo volume riporta i 56 artisti intagliatori di netsuke conosciuti e apprezzati nel 1781. La sua firma, autentica, è apposta sotto il netsuke tra le zampe della mamma scimmia, in una riserva ovale. Ma, più che dalla firma, l’autenticità del pezzo si deduce ed apprezza dalla raffinata esecuzione delle dita degli animali, dalla cura con la quale sono tracciate le linee dei peli dei corpi e dalla armonica composizione del netsuke. La patina acquisita in più di 200 anni di vita e di manipolazione completano il pregio di questo pezzo. Bibliografia: - NEIL DAVEY, Netsuke, 1974, Pagine 82/83, fig. 221. - GEORGE LAZARNICK, Netsuke & Inro Artists and how to read their signatures, 1982, Vol. I, Pagina 774. - FREDERICK MEINERTZHAGEN, The Art of The Netsuke Carvers, Londra, 1956, fig. 51.
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Parigi - Londra
Aste europee di transizione
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In attesa dei grandi eventi autunnali, due su tutti: la vendita della collezione Ted Wrangham da parte della casa d’aste Bonhams a novembre e in contemporanea, sempre a Londra, il Netsuke Symposium organizzato da Rosemary Bandini, numerose vendite primaverili hanno tentato di entusiasmare, non sempre con successo, il mondo del collezionismo dei netsuke, particolarmente in fermento in questi ultimi tempi. Hanno iniziato a Parigi Beaussant et Lefèvre il 28 aprile, Art d’Asie con soli trentuno lotti di netsuke confusi tra arte tribale africana, Cina e arte del Sud Est asiatico. Molti i lotti invenduti, più di un terzo, e pochi quelli su cui fare commenti. Registriamo invece, sempre con stupore, che monsieur Portier si “dimentica” ancora una volta di attribuire le epoche. Una politica a dir poco inusuale. Lotto 229. Netsuke in legno, Ashinaga in piedi con un tamburello, non firmato, altezza mm 86, stima 400/500 euro, rimasto invenduto. Un lotto che andava sicuramente visto, un sashi netsuke che dalla foto risulta di bella patina e di buona epoca, almeno inizi del XIX secolo e non viene pagato nemmeno 500 euro! Forse un po’ di ingenua distrazione? Lotto 230. Netsuke in avorio, olandese con gallo, non firmato, altezza mm 90, stimato 1.200/1.400 euro e aggiudicato per 1.600. L’intaglio è un po’ grossolano e il soggetto è visto sino alla noia; forse acquistato da qualche neofita che comunque approfitta di un buon prezzo per averlo in collezione. Lotto 232. Netsuke in avorio, Kwanyu in piedi, non firmato, altezza mm 88, stima 2.500/3.000 euro, raggiunge il minimo e viene ceduto a 2.500 euro. Il più noto Lotto 232 Kanu, con l’alabarda e la lunga barba liscia-
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ta dalla mano sinistra, ripaga il compratore con una buona patina che testimonia una buona epoca ed un raffinato intaglio di un dragone sulla veste. Avremo modo in seguito di riparlarne. Come dicevo pochi i lotti da segnalare. Passiamo quindi a Londra, 11 maggio, dove la Lotto 200 Bonhams in un catalogo Fine Japanese Art ha messo in vendita circa cinquanta lotti di netsuke. La prima parte, circa ventisette lotti (63 netsuke) provengono da una collezione italiana che non ha avuto molto fortuna (come se fosse sufficiente portare all’estero una modesta collezione con pezzi medio bassi per vederla rivalutata!) e che non merita nessun commento. Appena dopo: Lotto 200. Netsuke in legno, una lumaca, firmato Yoshiharu, Choshu, XIX secolo, diametro mm 38, proposto con una stima di 2.000/2.500 sterline e aggiudicato a 6.480. Raffinatissima la resa delle lamelle del guscio, la provenienza è dalla prestigiosa Hindson Collection, Lotto 207 pubblicata da Neil Davey su Netsuke, ma l’acquirente avrà visto la scheggia mancante nella parte non fotografata? Lotto 207. Sashi netsuke in legno, natamame, firmato Tetsugendo Kyusai (1879-1938), lungo mm 128, stimato 4.000/5.000 sterline e venduto a 6.000. Questo lungo baccello di fagiolo riconferma, se ne dovessimo ancora aver bisogno, il grande interesse del collezionismo anglosassone anche per il netsuke di epoca tarda. Lotto 210. Netsuke in avorio tinto, un gatto con kimono, tardo XIX secolo, alto mm 57, stima 2.000/2.500 sterline, venduto a 2.160. Un netsuke simpatico penalizzato dalla firma Masaka non affidabile e non creduta. Lotto 210
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Lotto 211. Netsuke in avorio, due cammelli, firmato Yoshitomo, inizi del XIX secolo, alto mm 45, stimato 2.000/3.000 e aggiudicato a 7.200 pounds. La particolarità del soggetto, gli occhi intarsiati degli animali e la cura del loro pelo lo rendono ancora più ambito: ma anche in questo caso il compratore sarà stato al corrente che nella parte non fotografata, ad un cammello mancava una zampa? Lotto 211 Lotto 212. Netsuke in avorio, tigre con cucciolo, firmato Tomotada, tardo XVIII secolo, alto mm 45, stimato 25.000/30.000 sterline e aggiudicato a 30.000. Un bel tigrone, una bella patina (attestata dalla Casa d’Aste), occhi intarsiati, non si vede tuttavia una particolare cura nell’esecuzione del pelo e anche l’himotoshi fotografato non dice molto. Provenienze: nessuna, “di proprietà di un Gentleman”. Ma qui l’esperto è Neil Davey e se non riconosce lui un Tomotada!
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Rimaniamo a Londra alla Christie’s di South Kensington, dove il 12 maggio sono passati in asta un centinaio di netsuke. Lotto 1. Netsuke in avorio, Arciere tartaro, firmato Okakoto, XVIII secolo, altezza mm 68, stimato 8.000/10.000 sterline e aggiudicato a 10.625. Un netsuke di forte espressività e di qualità indiscussa ma vi ricordo che siamo a Londra, dove si paga sempre una “royalty” alla Regina e il prezzo è in sterline, quindi sono circa 15.500 euro. Lotto 42. Netsuke in avorio, cinque cuccioli di karashishi su una base ovale, firmato Chounsai Jugyoku, XIX secolo, largo mm 50, stima 2.000/3.000 Lotto 1 pounds, aggiudicato a 5.000. Un netsuke di bella qualità e di sicuro gradimento per il soggetto sempre apprezzato. Lotto 43. Netsuke in avorio, cinghiale selvatico nelle erbe del sottobosco, firmato Ranichi, XVIII secolo, lungo mm 45, stimato 3.000/4.000 e aggiudicato per 5.000 sterline. Lotto 42 Scuola di Tokyo, grande cura nei particolari compresi gli occhi intarsiati in corno, ma l’animale non lo vedo così “selvatico”, anzi mi appare mansueto con il suo bel musone allungato. Mi sembra una grossa nutria. De gustibus… Lotto 44. Netsuke in avorio, tigre che mangia un germoglio di bambù, firmato Okatori, XVIII secolo, lungo mm 50, con una valutazione di 6.000/7.000 sterline è stato aggiudicato a 9.375. Certo non regalato, ma il soggetto è particolare e l’epoca buona. Forse. Lotto 43
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L’attribuzione settecentesca mi sembra che in questo catalogo venga assegnata con una certa facilità, spesso affidandosi più alla firma dell’artista che allo stile della scultura. Ci sarebbe molto da commentare… Lotto 45. Netsuke in avorio, tigre con due cuccioli, firmato Hakuryu, XVIII secolo, alto mm 32, stimato 3.000/4.000 sterline, aggiudicato a 3.125. Ecco che un soggetto molto ricercato, firmato e dichiarato settecentesco non ha trovato collezionisti creduloni: comprato e, giustamente, pagato come un buon netsuke del XIX secolo. Lotto 78. Netsuke in avorio, Kwanyu con l’alabarda, non firmato, XVIII secolo, alto mm 85, con stima di 6.000/8.000 sterline, aggiudicato a 10.625. Se lo rapportiamo al Kanu visto a Parigi, pagato 2.500 euro, potete constatare quali siano le differenze di valutazioni e quanto Londra induca i collezionisti a spendere di più. Per certi versi inspiegabile ma è vero che da sempre gli inglesi riescono a spuntare prezzi più alti. Lotto 79. Netsuke in avorio, Baku, non firmato, XVIII secolo, alto mm 80, valutato 8.000/12.000 e aggiudicato a 8.125 pounds. Un netsuke molto particolare, forse penalizzato da una straLotto 78 Lotto 79 na patina, quasi il colore dell’avorio
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dell’elefante appena ucciso. Il corpo del baku quasi privo di peli e una proboscide appena accennata. Non è piaciuto in modo particolare. Lotto 80. Netsuke in avorio, Kirin, scuola di Kyoto, XIX secolo, alto mm 70, stima 1.800/2.500 sterline e venduto a 4.000. Commentare un altro kirin in questo bollettino mi sembra almeno ripetitivo, perciò mi astengo. Lotto 96. Netsuke in legno di ebano, Daruma, firmato Tokoku, Scuola di So, Lotto 96 tardo XIX secolo, stimato 2.000/3.000 pounds e aggiudicato a 4.000. Interessante questo netsuke anche per la combinazione di diversi materiali: l’ebano, l’avorio, l’avorio colorato e il corno di bufalo. Il soggetto è buffo, può anche piacere, ma sicuramente il compratore è stato attratto dalla policromia dei materiali. Lotto 114 Lotto 114. Netsuke in avorio, cane con una conchiglia di abalone, non firmato, XVIII secolo, alto mm 18, stimato 1.500/2.000 sterline e aggiudicato per 3.500. Sull’epoca mi permetto di avere qualche perplessità, il netsuke è di dimensioni ridotte, lascia anche qualche dubbio l’esecuzione con un pelo che lo rende più simile ad una capra che ad un cane. Pazienza.
Lotto 80
In attesa di quanto l’autunno potrà offrirci, questo è tutto.
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Dite la vostra ...
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